Introduzione
L’acquisto di un prodotto è il risultato di una presa di decisione volta a risolvere un problema. La presa di decisione
implica pertanto l’identificazione di un problema da risolversi attraverso tre fasi: (1) la ricerca di informazioni
sui modelli disponibili e sui relativi prezzi, (2) la valutazione delle informazioni raccolte e il confronto fra le
diverse opzioni possibili per poi giungere (3) alla scelta del prodotto da acquistare. Quali variabili o persone
influiscono sulla durata e sull’esito delle fasi di cui sopra? La psicologia può aiutare il marketing a rispondere a
queste domande. Per l’acquisto di un qualsiasi prodotto di un certo valore, la scelta finale è quasi sempre preceduta
da una fase più o meno lunga di ricerca di informazioni e da un confronto fra le diverse opzioni, mentre per altri
prodotti più economici la scelta può risultare da una valutazione sommaria o addirittura costituire un
comportamento d’impulso. Talvolta le scelte impulsive riguardano tuttavia anche prodotti costosi, che ci
colpiscono sul piano emozionale e che scegliamo indipendentemente da una valutazione attenta delle loro
caratteristiche funzionali. La natura del processo decisionale può variare anche in base alle caratteristiche personali
del decisore in particolare in base al suo livello di coinvolgimento. In una ricerca realizzata per una nota marca di
televisori emergeva una differenza significativa nella durata delle fasi del processo decisionale a seconda del
genere sessuale. I maschi dedicavano molto più tempo alla ricerca di informazioni e al confronto dei diversi
modelli di televisori. La durata della fase di “esplorazione” delle diverse opzioni sembrava essere determinata da
un maggiore coinvolgimento degli uomini nei confronti delle specifiche tecnologiche su cui poteva basarsi il
confronto. Molte persone visitano i negozi prima ancora di aver preso la decisione finale di sostituire, ad es. il
televisore. In questa fase il consumatore trae gratificazione dall’esperienza di esplorazione e dall’esposizione
all’innovazione tecnologica. Tale gratificazione pare mediare la raccolta di informazioni, ovvero queste ultime
sono immagazzinate perche l’attenzione è attirata dalla tecnologia, dal design innovativo, da immagini colorate e
vivide. In questa fase, il consumatore si trova ancora in una condizione di relativamente basso coinvolgimento nel
senso che non si osserva una ricerca attiva di informazioni tecniche, quanto piuttosto un comportamento orientato
alla gratificazione esperienziale. In questa fase sarà inizialmente attratto dai prodotti più “seducenti”, ovvero dalle
offerte più innovative o stimolanti da un punto di vista estetico, e solo successivamente inizierà a raccogliere prezzi
e informazioni tecniche. La fase dell’esplorazione può durare anche mesi e si conclude con la decisione di
acquistare un televisore di una certa grandezza e all’interno di una data fascia di prezzo. Il design, sulla base della
nostra ricerca, sembra essere importante allo stesso modo per gli uomini e per le donne, anche se queste ultime
dedicano mento tempo alla raccolta personale di informazioni tecniche affidandosi ai consigli del partner, di amici
e del commesso del negozio. Sebbene il processo decisionale sembri essere orientato a operare una scelta
razionale, basata sulla valutazione oggettiva delle caratteristiche dei prodotti e finalizzata ad elaborare un
ordinamento di preferenze, in realtà la complessità e la numerosità delle alternative rendono questo obiettivo
praticamente irraggiungibile.
Il principio della razionalità limitata
La ricerca dell’informazione
Come già detto, l’identificazione del problema dà avvio a un processo decisionale che mira a trovare una soluzione.
La soluzione, ovvero la scelta di un prodotto specifico e il conseguente comportamento di acquisto e di consumo,
è preceduta da una attività di ricerca dell’informazione il cui orientamento razionale e la durata sono estremamente
variabili. Possiamo concludere che la scelta non è mai perfettamente razionale. Occorre tuttavia notare che alcuni
processi decisionale si caratterizzano per un orientamento maggiore alla razionalità rispetto ad altri. A questo
riguardo, occorre infatti distinguere gli acquisti pianificati e consapevoli dagli acquisti di impulso, che non essendo
programmati non risultano da un precedente ricerca di informazioni.
Acquisto pianificato
Gli acquisti pianificati sono quelli che risultano da un processo decisionale di una certa durata e, a loro volta, si
possono distinguere in acquisti che richiedono una soluzione di problemi estensiva e acquisti caratterizzati da un
problem-solving limitato. Il problem solving è estensivo quando il consumatore si impegna a ricercare molte
informazioni prima di procedere all’acquisto e questo avviene quando la scelta implica un certo grado di rischio
percepito. La teoria della dissonanza cognitiva (Festinger, 1957) ha spiegato l’effetto dell’incertezza nella scelta
fra più opzioni come una condizione di disequilibrio che necessita di essere risolta attraverso l’accumulo di
informazioni coerenti con la scelta fatta. Secondo Festinger, quando il decisore si trova di fronte a più opzioni tutte
ugualmente desiderabili ed è costretto operare una scelta fra di esse, esperisce una condizione di frustrazione
causata dalla rinuncia ad una delle alternative. Tale condizione si accomuna alla percezione di rischio, che può
essere associata alla scelta in situazioni di alto coinvolgimento, ovvero quando la scelta è considerata importante,
implica un certo costa da sopportare e spinge pertanto il consumatore a una ricerca attiva di informazioni.
L’acquisto pianificato può comunque essere caratterizzato da un basso coinvolgimento se il prodotto è di consumo
abituale e non implica un investimento particolare o la percezione di rischio, ad esempio la spesa settimanale.
Acquisto di impulso
L’acquisto di impulso, o acquisto non pianificato, costituisce più del 50% delle vendite all’interno di un
supermercato e per alcuni prodotti è addirittura la forma più usale di acquisto. Secondo la definizione di Rook
(1987), esso è causato da una forte spinta a entrare in possesso di un oggetto indipendentemente dalla valutazione
di alternative o dalle sue conseguenze. A differenza degli acquisti pianificati, l’acquisto di impulso risponde a un
bisogno percepito nell’immediato e che può essere favorito da stimolazioni esperienziali che coinvolgono le
emozioni più che complessi processi di elaborazione cognitiva. Le caratteristiche di (1) non intenzionalità e (2)
immediatezza sono state osservate come tratti distintivi di tutti gli acquisti di impulso e hanno aperto la strada allo
studio delle strategie che possono influire sull’attenzione del consumatore all’interno di un punto vendita. Le
regole generali per attirare l’attenzione del consumatore si declinano in termini di: (1) visibilità, (2) convenienza
e (3) gratificazione. La visibilità si concretizza soprattutto nella visibilità a scaffale all’interno dei supermercati; a
questo riguardo emerge l’importanza dello studio del packaging del prodotto che, oltre a risaltare, deve essere
attraente e adatto al tipo di prodotto. La visibilità può essere perseguita anche attraverso l’utilizzo di spazi dedicati,
chiamati normalmente corner o isole. L’utilizzo di tali spazi, o delle cosiddette “testate di gondola”, ovvero degli
spazi espositivi situati all’estremità della corsia di vendita, si è rivelato particolarmente strategico per aumentare
la visibilità del prodotto. La percezione di convenienza favorisce l’acquisto di impulso perché rappresenta una
motivazione razionale e immediata per giustificare l’acquisto. Secondo Rook e Fisher (1995), il passaggio dalla
spinta a comprare all’effettivo acquisto si realizza attraverso una valutazione di adeguatezza rispetto al budget e
rispetto alle aspettative sociali. La componente “razionale” distingue infatti l’acquisto di impulso dall’acquisto
compulsivo, il quale sfugge all’esercizio di qualsiasi controllo e assume pertanto un’accezione patologica. Per
attirare l’attenzione del consumatore ad essere soggetto ad acquisto di impulso, il prodotto deve stimolare
emozionalmente il consumatore favorendo emozioni positive. Secondo l’approccio economico, nell’acquisto di
impulso il compratore dà un peso maggiore al valore della gratificazione immediata e prende meno in
considerazione il futuro, tuttavia al momento dell’esborso del denaro il consumatore riacquista la corretta
percezione della realtà e ciò provoca il rimpianto dell’acquisto. L’eccessivo focus sui benefici del momento
rispetto all’esborso futuro è stato anche definito come assimilabile a una condizione di miopia, contrapposta a
quella più consona del “presbite” che invece si concentrerebbe sulle conseguenze future, ovvero sull’esborso di
denaro contro un prodotto non necessariamente utile. L’acquisto d’impulso anziché rispondere esclusivamente
all’istinto, sembra comunque dipendere da fattori come denaro e tempo a disposizione, energia dedicata
all’osservazione dei prodotti e da una predisposizione all’autogratificazione attraverso il consumo, in
contrapposizione all’esercizio di un controllo rigido sulla tentazione a lasciarsi andare.
Ricerche empiriche che hanno valutato l’impatto di diverse variabili sono giunte alla conclusione che la tipologia
del prodotto insieme al grado di coinvolgimento sembrano avere sull’acquisto di impulso una maggiore forza
predittiva rispetto alla predisposizione individuale (Reynolds, Weun e Beatty, 2003). A questo riguardo occorre
distinguere fra acquisto d’impulso in seguito al ricordo, nel caso in cui il consumatore si ricorda di avere il bisogno
di un certo prodotto dopo averlo visto nel negozio, e acquisto d’impulso puro, che fa riferimento all’acquisto di
un prodotto nuovo o comunque non previsto. Il vero acquisto di impulso appartiene a questa seconda tipologia.
Oltre alla visibilità e alla convenienza, un altro fattore di grande importanza nell’acquisto di impulso è la
gratificazione, che rimanda al potenziale di stimolazione emozionale e al significato simbolico associato al
prodotto.
Dittmar et al. (1996) hanno misurato la tendenza all’acquisto di impulso per diverse categorie di prodotti durevoli
mettendo in evidenza che esistono anche differenze di genere nella scelta impulsiva di determinati prodotti. Nello
specifico, gli autori si sono proposti di distinguere le diverse funzioni associate a un prodotto (strumentali; legate
al piacere e al relax; inerenti all’espressione identitaria: - simboli di status, - simboli di appartenenza sociale e
gruppale, e - simboli per l’autoespressione individuale a livello di atteggiamento, valori, preferenze).
I risultati dello studio empirico condotto attraverso interviste qualitative a studenti dell’University of Sussex
dimostrano che alcune categorie di prodotti sono più soggette all’acquisto di impulso di altre. La maggior parte
dei prodotti selezionati come soggetti all’acquisto di impulso erano oggetti musicali, seguiti dall’abbigliamento e
da oggetti di moda, riviste, prodotti per il corpo, bigiotteria e gioielli. I prodotti che invece non sembravano essere
oggetto di acquisto di impulso erano soprattutto gli articoli di arredamento e auto. I prodotti indicati come soggetti
all’acquisto di impulso apparivano tutti adatti a svolgere funzioni per la presentazione e l’espressione del self o
per il miglioramento dell’umore. Sebbene questo sembrasse valere per entrambi i sessi, le femmine apparivano
maggiormente soggette all’acquisto di impulso. Le donne attraverso gli acquisti impulsivi esprimono una
preoccupazione maggiore nei confronti del proprio aspetto fisico, mentre gli uomini sembrano essere
istintivamente attratti da prodotti per il proprio intrattenimento. Seguendo la letteratura clinica che ha dimostrato
la relazione significativa fra inadeguatezza del self e shopping compulsivo, questi risultati suggeriscono che la
discrepanza fra il self reale e il self ideale influisce sull’acquisto di impulso. In particolare:
Le donne sembrano più soggette a un senso di inadeguatezza del self e ricorrono allo shopping a fini
compensatori più degli uomini;
Il tipo di prodotti acquistati impulsivamente, ovvero senza la mediazione di un controllo razionale, esprime
meglio di altri le dimensioni identitarie su cui ci si sente carenti e a cui si attribuisce maggiore importanza
nell’espressione del self.
In base a quanto detto fin ora, possiamo dire che l’acquisto di impulso riguarda tutti i tipi di acquisto tranne
l’acquisto di impulso puro. Occorre distinguere fra la raccolta attiva e la raccolta passiva di informazioni. Il primo
caso corrisponde alla situazione in cui il consumatore va alla ricerca deliberata di informazioni che possano
consentirgli una scelta migliore, mentre nel secondo il consumatore raccoglie informazioni per il solo fatto di
essere esposto a comunicazioni pubblicitarie e perché entra a contatto con il prodotto sia nei punti vendita che nel
quotidiano d’uso da parte di amici e familiari. Concentrandosi sul caso della raccolta attiva di informazioni,
l’evidenza empirica suggerisce che la raccolta di informazioni aumenta quando il consumatore:
Ritiene l’acquisto importante
Considera necessario raccogliere più informazioni
Ritiene che le informazioni raccolte siano facilmente interpretabili e utili alla scelta finale
Oltre a distinguere fra raccolta attiva e passiva, la teoria del decision making mette a confronto ricerca interna e
ricerca esterna. La prima corrisponde al ricorso ad informazioni già accumulate, già presenti nella memoria e che
devono essere attivate ad hoc di fronte al nuovo problema da risolvere. La ricerca esterna corrisponde invece alla
ricerca ulteriore di informazioni presso fonti esterne e implica la visita a negozi, la consultazione di mezzi di
informazione come stampa e internet e il consulto con altri consumatori.
Punj e Staelin (1983) affermano che la partenza da una condizione di minore conoscenza nei confronti del prodotto
porta ad un processo di decision making più accurato e più efficace. Al risparmio economico si associa inoltre un
maggior grado di soddisfazione nei confronti dell’esperienza di acquisto. La quantità di tempo e di energia dedicata
alla ricerca attiva ed esterna di informazione, oltre ad essere condizionata dalla conoscenza pregressa è fortemente
influenzata dal tipo di coinvolgimento nei confronti del prodotto.
BOX pag. 15 – Rammarico successivo all’acquisto
Il rammarico può essere definito “un’emozione negativa, cognitivamente determinata, che noi proviamo quando
scopriamo o immaginiamo che la nostra situazione presente sarebbe stata migliore se noi avessimo agito in un
modo diverso” (Zeelenberg, 1999). Con riferimento specifico alle scelte di consumo, si può dire che il rammarico
deriva dal fatto che la persona si rende conto che i risultati ottenuti con la propria scelta sono inferiori a quelli che
avrebbe ottenuto facendo una scelta diversa. Tale consapevolezza può derivare sia da informazioni che il
consumatore acquisisce dopo l’acquisto, sia dal suo immaginare le conseguenze diverse e migliori che si sarebbero
prodotte se avesse acquistato un prodotto diverso da quello che ha effettivamente scelto. L’esperienza del
rammarico dopo un acquisto è più probabile:
Quando si acquista un prodotto di marca diversa da quella abituale
Quando si acquista affrettatamente qualcosa che si poteva evitare di comprare
Quando si scopre che lo stesso prodotto poteva essere acquistato ad un prezzo più basso in un altro punto
vendita o in un momento diverso
L’esperienza di rammarico risulta, inoltre, mediata dalla responsabilità personale: quanto più ci si sente
responsabili tanto più si prova rammarico.
La percezione del rischio condiziona il processo decisionale volto alla scelta del prodotto, per cui a una maggiore
percezione del rischio dovrebbe corrispondere una ricerca più estensiva di informazioni. Solomon (2002) identifica
5 tipologie di rischio:
Rischio monetario Si riferisce a consumatori ad alta percezione del rischio, quei consumatori con
patrimonio e reddito più basso o particolarmente orientati al risparmio. Rientrano tra i prodotti di consumo
soggetti al rischio quindi tutti i beni durevoli che richiedono un ingente esborso di denaro.
Rischio funzionale Riguarda quei consumatori pratici e attenti alla performance dei prodotti. Rientrano
tra i prodotti soggetti al rischio, tutti quei prodotti che coinvolgono direttamente il consumatore nello
svolgere una mansione importante.
Rischio fisico Riguarda in particolare consumatori anziani, malati e tutti coloro particolarmente
preoccupati per la salute e il benessere (donne), per cui rientrano quei prodotti come medicine, interventi
di chirurgia estetica, o prodotti alimentari.
Rischio sociale Ci si riferisce a quei consumatori più attenti alle opinioni degli altri, preoccupati per la
propria immagine sociale. In questo caso rientrano tutti quei prodotti utili alla differenziazione sociale e
all’espressione di status e di appartenenza ad un gruppo (vestiti, gioielli, auto)
Rischio psicologico Relativo a consumatori con minore autostima e minore senso di autoefficacia; per
cui rientrano quei prodotti che possono influire negativamente sul benessere psicologico producendo sensi
di colpa o minando l’autostima (come prodotti crescita dei capelli, o per dimagrire).
Ciascuna di queste tipologie di rischio influisce sulla ricerca di informazioni in base alla relativa preoccupazione
che suscita nel consumatore con riferimento a determinati prodotti. Come indicato nella tabella 1.2 a pag. 17,
alcuni consumatori possono essere più vulnerabili a determinati rischi: gli anziani, per es. sono più preoccupati ai
rischi relativi alla loro salute e quindi aumentano la ricerca di informazioni quando acquistano alimentari e
medicinali.
Per quanto riguarda il rischio monetario, questo si riferisce al rischio di un esborso monetario superiore
all’effettivo valore del prodotto. Il rischio funzionale dipende molto dall’uso che se ne deve fare del prodotto. Per
esempio, dovendo acquistare un paio di calze da indossare in una serata importante si penserà con preoccupazione
alla possibilità che possano smagliarsi e, indipendentemente dal costo, la performance del prodotto costituirà un
rischio. Per quanto riguarda il rischio fisico, le persone più deboli come gli anziani e gli ammalati, o anche i
genitori che acquistano per i propri figli, rappresentano i gruppi più preoccupati. I prodotti che sollevano maggiori
preoccupazioni sono i prodotti alimentari, i farmaci, gli elettrodomestici che possono essere causa di incedenti
domestici e tutti i consumi che espongono a un potenziale rischio per la salute. Sono invece portatori di rischio
sociale i consumi che possono essere oggetto di valutazione da parte di terzi e divenire uno strumento per la
formazione di opinioni, per la differenziazione sociale e per l’appartenenza o l’esclusione di gruppo. I consumatori
che sono maggiormente esposti al rischio sociale sono tutti coloro che danno importanza alla propria immagine
pubblica, che sono preoccupati della costruzione sociale della propria identità, che sentono il bisogno di esprimere
uno status e differenziarsi o di aderire a certi stili di vita al fine dell’appartenenza ad un gruppo di riferimento
ideale. I consumi più soggetti al rischio sociale sono i capi di abbigliamento e tutti i prodotti come l’automobile e
la casa, che sono normalmente utilizzati al fine della differenziazione di status. Il rischio psicologico riguarda i
consumi che possono influire negativamente sull’autostima individuale e che possono generare sensi di colpa. Si
pensi all’acquisto del Viagra, o di una crema anticellulite o agli acquisti di prodotti eccessivamente cari per le
proprie tasche o ancora consumi che riflettono debolezza e dipendenza come il fumo o i dolci per chi dovrebbe
essere a dieta. I consumatori possono mettere in atto una serie di espedienti antirischio volti a ridurre l’incertezza
e a proteggersi del rischio della perdita. Secondo Greatorex e Mitchell (1994) i consumatori ricorrono a:
Prove e dimostrazioni
Lettura delle istruzioni e delle etichette
Lettura della stampa specializzata
Scelta della marca più economica
Scelta della marca più nota
Valutazione dell’immagine del negozio
Preferenza per le soluzioni con garanzia soddisfatti o rimborsati
Confronto fra più negozi e rivenditori
Fedeltà alla marca
Scelta della marca più cara
Fiducia nel testimone
Consigli di amici e familiari
Offerte speciali e promozioni
Consigli dell’addetto alle vendite
Fiducia e percezione di affidabilità sembrano essere gli attributi più significativi nella spiegazione della relazione
che i consumatori instaurano con le marche. I rischi che sono impliciti nell’acquisto dipendono dall’eventualità
che le aspettative sulla qualità e sulla performance del prodotto non siano soddisfatte. Tali aspettative risultano da
una promessa di risultato che è fatta dall’offerta e richiedono pertanto fiducia nel brand affinché possano essere
positive e consentire la scelta del prodotto. Acquistare un prodotto corrisponde in questo senso a un atto di fiducia
nei confronti del brand e della sua promessa. La letteratura psicologica e sociale ha definito la fiducia come la
risultante da una serie di aspettative riguardanti il fatto che i soggetti coinvolti onoreranno gli impegni presi; mentre
nei contesti di consumo, la fiducia appare legata in modo esplicito all’aspettativa che le aziende agiscano in
maniera etica e leale. Inoltre, è stato notato che la componente cognitiva delle aspettative è affiancata e anche
condizionata da una componente emotiva.
Alcuni autori hanno argomentato a favore di un costrutto non bipolare della fiducia (Lewiki, McAllister e Bies
1998). Secondo tale approccio, fiducia e sfiducia non sono che gli estremi di un unico continuum lungo il quale le
persone si posizionano più o meno stabilmente; pertanto, l’assenza di fiducia diventa indice di tendenza alla
sfiducia e viceversa. Secondo alcuni autori, tra cui Luhmann (1979) fiducia e sfiducia possono coesistere allo
stesso tempo. Per es. Nicola può apprezzare la Vespa Piaggio perché è simbolo della tradizione italiana e ha un
motore affidabile, ma contemporaneamente nutrire sfiducia per quanto riguarda l’assistenza meccanica e la
possibilità di reperire i pezzi di ricambio. Oppure verso Mc Donald si può avere fiducia verso il rischio monetario
(i panini costano poco), ma sfiducia verso il rischio fisico (si sa che i panini fanno male). Secondo questa
concezione quindi, fiducia e sfiducia possono coesistere creando una condizione di ambivalenza, ovvero una
condizione che prevede la simultanea o sequenziale esperienza di stati emotivi multipli. L’ambivalenza di fiducia
provoca un’incostanza nel comportamento di consumo. Ad es. verso Coca-Cola e Nutella c’è una forte
ambivalenza di fiducia (è buono ma fa male) e quindi tendenzialmente i consumatori alternano periodi di consumo
intenso a periodi di evitamento drastico del prodotto.
Il ruolo dell’esperienza
La competenza del consumatore e la sua relativa efficacia percepita nel poter controllare e comprendere le
informazioni rilevanti, influisce sulla motivazione alla ricerca di informazioni. I meno esperti sono coloro che in
assoluto si impegnano meno nella raccolta di informazioni. La difficoltà che questi soggetti incontrano
nell’interpretare le informazioni rilevanti sembra disincentivare l’impegno nella ricerca delle informazioni. I meno
esperti tendono ad affidarsi ai consigli di altri, come i commessi dei negozi, o a imitare le scelte di conoscenti e
familiari, o ad affidarsi a grandi marche come garanzia di qualità. Lo stesso accade con i genitori che acquistano
prodotti alimentari per la prima infanzia. Come la marca, anche il prezzo può essere utilizzato come indice di
garanzia di qualità. Nel caso in cui il consumatore non si senta in grado di procedere a una elaborazione adeguata
delle informazioni egli tenderà a utilizzare il prezzo come informazione circa la qualità funzionale del prodotto.
Le ragioni per cui il prezzo si utilizza come criterio positivo per la valutazione dei prodotti sono state sintetizzate
da Ferrari e Romano (1999):
- Il prezzo rappresenta una caratteristica concreta, tangibile e misurabile, che consente di confrontare e di
ordinare i prodotti lungo una scala di valore a cui si associa spontaneamente una connotazione qualitativa;
- Quando i prodotti hanno un valore ostentativo, il prezzo alto diventa una caratteristica essenziale e
desiderabile;
- Dato che il prezzo rappresenta almeno in parte lo sforzo dedicato all’acquisizione del prodotto, tanto più
è alto tanto maggiori devono essere la desiderabilità del prodotto e la soddisfazione che se ne trae
attraverso l’acquisto;
- Infine, partendo dal presupposto che i prezzi sono determinati dall’incontro tra domanda e offerta, il prezzo
alto dovrebbe corrispondere a una domanda elevata che a sua volta rifletterebbe l’affidabilità qualitativa
del prodotto.
La relazione fra esperienza e ricerca esterna di informazione si configura attraverso un’inversa curva a U, dove la
ricerca raggiunge il massimo livello quando l’esperienza è media, mentre si riduce ai livelli minimi in caso di
inesperienza totale o di notevole esperienza e conoscenza del prodotto. Come esposto da Urbany (1986), nel
Modello di Riduzione dell’Incertezza, la maggiore conoscenza del prodotto si associa a una maggiore conoscenza
del prezzo e degli attributi e porta a una conseguente riduzione del comportamento di ricerca; per cui, tanto più è
considerato importante il prezzo, tanto più il consumatore ne avrà già acquisito una conoscenza tale da poter
limitare la sua ricerca al confronto tra poche alternative.
Il concetto di rischio percepito associato all’atto di acquisto, mette in evidenza il contesto di incertezza in cui si
realizza la presa di decisione. Molti studi in ambito psicologico, tra cui quello di Daniel Kahneman, sono stati
condotti con l’obiettivo di dimostrare che la presa di decisione non è basata su un tentativo razionale di calcolo
delle probabilità, ma che, nella maggior parte dei casi, si affida a delle semplificazioni che riflettono lo scarto fra
probabilità soggettive e probabilità oggettive.
La dottrina delle euristiche spiega i principali meccanismo di semplificazione della realtà che ricorrono nel
ragionamento delle persone. Uno di questo meccanismi è detto rappresentatività. Con questo termine si intende
la tendenza a ricorrere a tratti proto tipici per il riconoscimento e l’attribuzione di oggetti, eventi, persone a
determinate categorie. Questa scorciatoia cognitiva è molto utile per un riconoscimento rapido che non necessiti
della valutazione attenta di tutte le caratteristiche dell’oggetto in esame. Per es. quando si pensa a un professore
universitario alcuni tratti proto tipici possono venirci subito in mente, il professore sarà maschio, avrà una certa
età e magari gli occhiali, un po’ di barba, vestirà con abbigliamento classico ecc. L’euristica della rappresentatività
può comunque indurci a commettere errori nel giudizio o a ragionare secondo stereotipi. Ovviamente la
rappresentatività entra in gioco anche nelle scelte di consumo. Per esempio, se nella nostra esperienza il prosciutto
buono e fresco è di colore chiaro, potremmo scartare a priori un prosciutto come quello spagnolo, perché di colore
più scuro.
Un'altra nota scorciatoia cognitiva è la disponibilità, per cui tende a sovrastimare quegli accadimenti che sono più
disponibili alla memoria. La ricerca ha dimostrato che le coppie, anche di lunga data, quando interrogate sulla
qualità del loro rapporto tendono a valutare la relazione in base all’andamento delle ultime due settimane. Allo
stesso modo una lunga tradizione e scelte socialmente responsabili di una azienda, possono essere mandate in
fumo velocemente da una notizia negativa relativa alla responsabilità sociale di quell’azienda. Una terza euristica
è nota con il termine effetto cornice. Questo meccanismo condiziona la valutazione degli eventi a seconda delle
informazioni con cui sono presentati, che vi fanno appunto da cornice. In particolare, si nota che le persone
prendono decisioni in base al modo in cui le opzioni vengono formulate, ovvero se in prospettiva positiva o
negativa. Le persone scelgono indipendentemente da un calcolo razionale, ma affidandosi a una preferenza
spontanea per le opzioni che sono “incorniciate” in modo da apparire più positive. Il ruolo delle informazioni che
accompagnano un oggetto di valutazione si evidenzia anche nell’euristica dell’ancoraggio. In condizioni di
incertezza, il decisore utilizza alcune informazioni come punto di partenza da cui valutare tutti i dati che
sopraggiungono successivamente. Per es. quando un consumatore viene ancorato dal venditore a un certo prezzo,
qualsiasi riduzione sarà percepita come un risultato positivo, indipendentemente da una valutazione oggettiva del
valore dell’oggetto della negoziazione. Un’ulteriore fattore che incide su valutazioni e scelte economiche è
l’effetto dote, ossia il solo fatto di aver posseduto un oggetto ci porta ad attribuire a questo un valore maggiore di
quanto esso effettivamente abbia.
Vedi da p. 26 a 32
In contrapposizione alla prospettiva razionale, secondo la quale il consumatore tenderebbe prendere in esame tutte
le informazioni disponibili, e gli sembra piuttosto ricorrere a continua semplificazione del processo di scelta un
paradosso che riguarda la società dei consumi è infatti quello della troppa scelta. Secondo un'accezione comune,
l'assortimento dei prodotti delle Marche dovrebbe costituire una caratteristica positiva dell'offerta, nella realtà la
quantità di alternative rende il processo decisionale più arduo. nel fare la spesa, la maggior parte dei consumatori
non ha il tempo di prendere in esame tutte le opzioni alternative per ciascun prodotto e tanto meno di valutare nel
dettaglio le differenze fra tali opzioni. Di fronte a decine e decine di offerte differenti, il consumatore tenderà ad
orientarsi verso prodotti già conosciuti o a variare all'interno di una categoria prestabilita. L'esperienza pregressa
e l'abitudine giocano un ruolo di primaria importanza nel facilitare la scelta, orientando l'attenzione verso prodotti
già conosciuti ed eliminando selettivamente tutto ciò che non rientra nell'ambito del conosciuto\desiderabile. A
questo riguardo è stato sottolineato il problema emergente dell’information overload al quale occorre porre
rimedio progettando le interfacce di siti compatibilmente ai percorsi cognitivi dell'utente e la sua necessità di
semplificazione. Fra le motivazioni principali che sembrano spingere i consumatori all'acquisto on-line vi è la
possibilità di risparmiare tempo. L'importanza del fattore tempo evidenzia la necessità di adattare i contenuti degli
ipertesti e la grafica dei siti al fine di semplificare il processo decisionale del consumatore.
Oggi per assistere il consumatore in questo complesso compito di decision making, si sono diffusi siti con la
funzione di orientarlo attraverso la predisposizione di classificazioni analitiche e di intelligent software agents che
sono in grado di guidare il cliente in base alle scelte effettuate in precedenza e all’interrogazione ad hoc di banche
dati. La loro applicazione ha incontrato tuttavia numerosi ostacoli, relativi alla disponibilità da parte dell’utente ad
interagirvi per via delle preoccupazioni per la privacy e per il trattamento dei dati personali.
In una ricerca in cui i consumatori dovevano scegliere se acquistare o -1 vasetto di marmellata fra ben 24 diverse
tipologie, è emerso che, di fronte a tale numero eccessivo di alternative, i soggetti, 20 attratti dalla varietà, avvertiva
un senso sgradevole di confusione e di conflitto tale per cui non riuscivano a decidere quale prodotto acquistare.
L'effetto del motivante dell'avere troppa scelta, si manifesta ancor più forte negli ambienti decisionali on-line.
Infatti, a differenza dei comuni negozi, i siti virtuali non hanno alcun confine spaziale e, di conseguenza, possono
facilmente supporre una schiacciante quantità di alternative che, dati i limiti cognitivi dell'essere umano, risulta
impossibile valutare adeguatamente. Per ovviare a tale inconveniente, oggi sempre più siti Web stanno dotando di
particolari software che aiutano a prendere le decisioni. Tale software intelligenti, noti come Decision Aids,
assistono i consumatori on-line tramite un processo interattivo riducendo in primo luogo l'eccessivo numero di
alternative a una gamma più limitata e comparando, in secondo luogo, le restanti opzioni mediante un'apposita
tabella di confronto, in cui in ogni riga è rappresentata un'opzione in ogni colonna un attributo.
Introduzione
La comprensione dei processi percettivi rappresenta una delle aree di maggior interesse per lo studio dei
comportamenti dei consumatori per diversi motivi. Da una parte perché la scelta di acquistare un prodotto o di
fruire di un servizio è influenzata dal modo di percepirlo ed al “significato” ad esso attribuito, dall'altra perché
questo processo è alla base dell'esigenza di selezionare da una grande quantità di dati e di stimolazioni solo quelli
che sono utili per la scelta. La nostra vita quotidiana si svolge in un ambiente particolarmente ricco di stimoli che
producono un flusso continuo di sensazioni. Ogni giorno messaggi pubblicitari cercano di attirare la nostra
attenzione, eppure nostra attenzione, viene catturata solo da alcuni di essi, attraverso meccanismi di selezione più
o meno consapevoli, ma certamente determinati dalle nostre esperienze, dai nostri desideri, dalle condizioni
specifiche in cui ci troviamo in un determinato momento e in un luogo specifico. Si tratta di un processo assai
naturale, se non addirittura ad attivo, poiché se non riuscissimo a selezionare l'infinità di stimoli che ci colpiscono
saremo letteralmente schiacciati dal peso dell’enorme della quantità di informazioni.
Il processo percettivo non avviene in maniera lineare, razionale, chiara e immediata. Esso è infatti un processo
assai complesso e influenzato da una miriade di fattori. Per esempio, un'immagine che immediatamente richiama
ricordi della prima colazione della nostra infanzia potrebbe evocare delle sensazioni piacevoli capaci di influenzare
la percezione del prodotto, attivare l'attenzione e stimolarci all'acquisto, anche se non abbiamo piena coscienza del
ricordo infantile. Si tratta di un processo immediato, che parte dalle stimolazioni del nostro sistema sensoriale, ma
che viene guidato da tanti altri fattori, come per esempio la memoria e l'interpretazione delle stimolazioni
ambientali. Diceva Zaltman “l'incapacità di comprendere che il mondo interiore di un consumatore può trasformare
radicalmente il messaggio esterno di un esperto di marketing e la causa di molti insuccessi”. Ciò che viene
percepito è soggetto a selezioni, modifiche, interpretazioni sulla base di emozioni, conoscenze, aspettative,
stereotipi. Questo processo di selezione, di organizzazione e di integrazione delle informazioni rende gli individui
non semplici recettori di stimoli, ma soggetti capaci di elaborazione, interpretazione e integrazione delle
informazioni che ricevono. Questo processo, riassumibile con il termine cognizione, è capace di dare significato
al nostro ambiente e alle nostre esperienze. È un processo che sta alla base della selezione delle informazioni e che
assume un ruolo determinante nella percezione degli non è ambientali. La percezione viene intesa, quindi, come
“un processo di elaborazione dell'informazione e per viene ai nostri organi di senso e del risultato di una serie di
processi complessi che si realizzano in modo automatico implicito” e che contribuiscono a dare significato alle
stimolazioni che pervengono dall'esterno. L'aspetto più caratteristico di questo processo è la sua indeterminatezza:
la lettura delle stimolazioni esterne è influenzata (se non determinata) da una serie complessa di fattori (emotivi,
cognitivi, mnemonici, sociali, culturali) che rendono assai soggettivo l'esito finale.
Il ruolo attivo del sistema percettivo permette di avere percezioni soggettive a volte molto diverse fra soggetti
diversi. L'immagine della donna riportata a pagina 39 è l'esempio più noto di letteratura, possiamo considerare la
donna giovane o anziana in funzione di come il nostro sistema percettivo ricostruisce questa immagine ambigua.
Per chi si occupa di consumo è necessario cercare di comprendere come le informazioni sono ricostruite dal
consumatore. Occorre non lasciarsi guidare dalla convinzione errata e le informazioni offerte consumatori (sotto
forma di immagini pubblicitarie, packaging, ecc) vengano recepite nello stesso modo con cui vengono proposte. I
bisogni, le motivazioni, gli stati emotivi, di atteggiamenti interessi personali agiscono sull'organizzazione
percettiva una ricerca ha dimostrato che i soggetti tenuti a digiuno da un minimo di un'ora a un massimo di 18 ore
tendevano ad attribuire a immagini ambigue proiettate sullo schermo connotazioni specificamente relativi al cibo.
Ciò aumentava man mano che il numero di ore di digiuno cresceva.
Vi è una evidente differenza tra percezione e sensazioni. Questa, infatti, intesa come la fase iniziale
dell'elaborazione dell'informazione che giunge ai nostri sensi (gusto, olfatto, vista, udito e tatto) e che comprende
sia l'attivazione degli organi recettori situati in questi organi di senso, sia la trasmissione di segnali alle aree
corticali del nostro cervello. La sensazione, come la percezione, non è un processo uguale in tutti i consumatori,
ma varia da persona a persona e nei diversi gruppi sociali e nelle diverse culture. La nostra analisi parte dalla
considerazione che la percezione ordinata della realtà non corrisponde un dato di fatto, ma è un'attiva
interpretazione effettuata da processi cognitivi di cui a volte non si è pienamente consapevoli. Siamo ormai lontani
dalla convinzione aristotelica descritta nell'esordio della Metafisica secondo cui i sensi sono attendibili fonti di
conoscenza. Solo alcuni secoli dopo, Cartesio ha messo in crisi la totale fiducia nei confronti dei sensi. Con
Cartesio, infatti, si esaurisce l'idea della percezione come registrazione fedele della realtà oggettiva, lasciando
spazio alla percezione intesa come complesso processo di elaborazione di organizzazione dei dati, informazioni e
di sensazioni.
L'interpretazione degli stimoli e dei dati provenienti dal mondo esterno non coincide con il mero ricevere
stimolazioni ambientali così come sono “oggettivamente” nella realtà. La percezione è un processo dinamico,
influenzata dalle nostre abitudini, da quanto abbiamo appreso, da quanto vogliamo prendere, dalle credenze, dalle
motivazioni ed ai valori della comunità in cui viviamo o in cui “speriamo di essere inseriti”. Il processo percettivo
si riferisce, pertanto, a quel complesso meccanismo attraverso il quale selezioniamo dati e informazioni al fine di
attribuire loro uno specifico significato. Si presuppone che sia la cultura e non la biologia a plasmare la vita nella
mente dell'uomo, a dare significato all'azione e alla realtà che ci circonda inserendo gli stati intenzionali profondi
e delle stimolazioni sensoriali in un sistema interpretativo. Già Lewin nel 1935 sosteneva che la realtà non è
assoluta, ma varia a seconda del gruppo al quale l'individuo appartiene: l'ambiente diverso da persona a persona,
ma differenziate anche della stessa persona momenti differenti. Questa tesi ci spinge a considerare il
comportamento del consumatore determinato non solo dai suoi bisogni dalla sua dimensione biologica, ma anche
dal contesto sociale e culturale in cui si muove. Questo è ancora più evidente se pensiamo al modello di cultura
del consumo dell'età postmoderna., Anche dalla dimensione del bisogno, il consumo nell'atto di acquisto sono
diventati un contesto ricco di stimolazioni necessario per vivere un'esperienza che trascende il bisogno stesso. Il
consumo diviene pertanto un palcoscenico dove raccontarsi e attraverso il quale trovare indicazioni utili per poter
costruire la propria modalità di espressione del Sè. Husband e Godfrey (1934) dimostrarono che il grado
d'identificazione di marche di sigarette in condizione di blind test, era di poco migliore rispetto a quanto sarebbe
stato prevedibile rilevare attraverso una scelta del tutto casuale. Il nome della marca, il riconoscimento del colore
della confezione e altre informazioni di tal genere hanno un significativo effetto sulla percezione del prodotto e
delle sue specifiche qualità. Non sempre si è consapevoli che la percezione di ciò che ci circonda è il risultato di
un processo in inferenziale così complesso. Molto spesso siamo fermamente convinti che il modo di percepire la
realtà esterna da parte degli altri soggetti sia assolutamente identico al nostro. Così, negli altri rispondono alle
stimolazioni in maniera diversa dalla nostra, la prima considerazione che ci viene in mente è che gli altri stiano
sbagliando, che non abbiamo capito, o abbiano intenzionalmente alterato il significato delle cose occorre
considerare che la percezione è un processo fortemente influenzato dal processo di acculturazione, ovvero
determinato da modelli culturali più che da processi strettamente individuali. I professionisti del marketing
internazionale sono costantemente impegnati con il problema della natura soggettiva e culturale della percezione.
Se la percezione viene infatti influenzata da fattori sociali e culturali, allora allo studio della percezione dei prodotti
pensati per un mercato internazionale deve necessariamente confrontarsi con questa dimensione aleatoria e
soggettiva del processo percettivo per un mercato. Ciò costringe gli uomini di marketing a uno studio dei processi
psichici non più disaggregati o ridotti nei loro aspetti costituenti, ma come strettamente integrati e mutuamente
interagenti, andando al di là della semplice analisi degli aspetti sensoriali o dell'individuo decontestualizzato dalla
sua cultura e dal contesto sociale e di vita che lo circonda. I messaggi dei consumatori captano nella comunicazione
possono essere molto diversi da quelli che l'impresa intende trasmettere.
La sensazione
Alla base della concezione delle informazioni vi sono due processi di base: la sensazione, intesa come risposta
immediata dei nostri sensi a uno stimolo di base, e la percezione, ovvero quel processo attraverso il quale queste
sensazioni sono selezionate, organizzate e interpretate. Quando si fa riferimento alla sensazione si pensa ai classici
canali sensoriali: uditivo, visivo, tattile, olfattivo e del gusto tuttavia possiamo individuare molti altri sensi da cui
riceviamo stimolazioni sensoriali. Infatti, possiamo distinguere diverse sensazioni in base al tipo di sistema
sensoriale coinvolto:
sensazioni esterocettive (vista, udito, tatto, olfatto, dolore, gusto e temperatura): in questa categoria
rientrano le sensazioni che derivano da variazioni sensibili dell'energia ambientale;
sensazioni enterocettive (viscere): in questa categoria rientrano le sensazioni che derivano dalle
formazioni nervose provenienti per esempio dagli organi interni al corpo;
sensazioni propriocettive (posizione, cinesia, cinestesia): in questa categoria rientrano le sensazioni che
segnalano la posizione del corpo nello spazio e il movimento degli arti.
Tutti questi sensi hanno il compito di rilevare le informate provenienti dal mondo esterno attraverso specifiche
cellule o gruppi di cellule capaci di rispondere a piccoli mutamenti degli stimoli fisici e trasmetterli al cervello
attraverso il sistema nervoso centrale. Il cervello poi elabora queste informazioni, e dal modo in cui queste vengono
organizzate e interpretate si ha la percezione. La percezione assume un ruolo importante per lo studio dei
comportamenti umani, in quanto rappresenta l’interfaccia tra la realtà esterna e i processi di coscienza interiori, e
soprattutto per la comprensione della relazione tra gli individui e prodotti commerciali.
Sta cambiando il modo di rapportarsi fisicamente ai prodotti, di percepirne le caratteristiche oggettive e strutturali,
di valutarne la qualità. Fino a non poco tempo fa la percezione degli oggetti e dei prodotti era relegata
prevalentemente facendo riferimento a un solo senso, per cui il cibo era vantato dal palato, l'abito dalla vita, il
tessuto dal tatto e via dicendo. La valutazione sensoriale era poi sempre subordinata a un giudizio razionale. Una
recente teoria sviluppatasi in questo ambito di studi è quella di Trasiman e Gelade (1980) definita Teoria
dell'integrazione delle caratteristiche. In base a tale teoria la percezione di un oggetto è il prodotto di due stadi
di elaborazione. Nel primo stadio, definito l'individuazione delle qualità primarie, ha luogo la registrazione e
detenzione di alcune caratteristiche dello stimolo (allineamento, colore, movimento, curvatura delle linee ecc.).
Nel secondo stadio, definito integrazione delle qualità primarie, mediante l'integrazione delle qualità analizzate
nel primo stadio si perviene al “prodotto cognitivo”, ovvero ciò che noi percepiamo. I prodotti devono essere
toccati e non solo vi è, percepiti anche con l'olfatto, non solo intravisto in questo panorama l'affermarsi del
marketing estetico (ovvero il marketing delle esperienze sensoriali nell'attività di Corporate o Brand che che
contribuisce a formare l'identità di un'organizzazione o di una marca) segna appunto il definitivo riconoscimento
dei sensi nel mondo del consumo. La pubblicità di una bibita fresca non si limita più a presentare il prodotto
circondato da tante visibili bollicine e nell'opacità di un bicchiere ghiacciato sempre più si sente in sottofondo il
piacere provato da lunghe sorsate amplificate dall'altoparlante in una spiaggia assolata per sedurre con una
promessa di sicura freschezza e come irresistibile richiamo contro la sete.
La vista
L'immagine, il gioco di colori, il grado di luminosità hanno un ruolo determinante per la promozione di un
messaggio citati, per la realizzazione della confezione di un prodotto o per l'organizzazione di un punto vendita.
Dal momento che quasi due terzi degli stimoli che arrivano al cervello passano attraverso il sistema visivo, molto
spesso la nostra esperienza delle immagini è di natura visiva. Inoltre, in considerazione del fatto che numerosi
esperti sono concordi nel dire che la maggior parte della comunicazione (circa l'80%) avviene attraverso i mezzi
non verbali (tra cui anche il tatto, l’udito ovviamente), sapere interpretare il para-linguaggio (soprattutto quello
visivo) si rivela importante in molti contesti di mercato. Per questo motivo la vista è uno dei sensi più studiati da
autori e ricercatori. L'impressione visiva di cui facciamo esperienza diretta era assai diversa dalla distribuzione
fisica della luce sulla retina poiché è il risultato di un processo interpretativo. Il cervello in questo caso assume un
ruolo determinante. L'attribuzione di significato dato alla stimolazione luminosa dipende, infatti, da molti fattori.
Basti pensare alla percezione dei colori. Alcuna reazione colori sono strettamente influenzate dalla cultura e dal
contesto sociale in cui si vive. Il colore del lutto e in alcuni contesti in nero, in altri è il bianco, come in Brasile.
Le risposte le reazioni sono influenzate dal contesto e non solo dalla semplice sensazione del colore. Ovviamente
l'influenza della cultura e dell'appartenenza sociale non esclude i fattori biologici. Nel campo della pubblicità i
colori bianco e nero hanno minore capacità di attirare l'attenzione rispetto ai colori vividi, anche se il contrasto tra
un messaggio pubblicitario in bianco e nero e un contesto colorato circostante è stato più volte utilizzato proprio
per attirare l'attenzione. In questo caso è il contrasto percettivo che attira l'attenzione, poiché innovativo e
inaspettato, e non l'uso del bianco e del nero. In uno studio sul ruolo del colore i ricercatori hanno osservato che i
colori possono influenzare le emozioni e le sensazioni di rilassamento o di eccitazione. In genere i colori caldi
(come il rosso e il giallo) dei colori freddi (come il blu) generano sensazioni stati d'animo contrastanti.
Per esempio, si osservato che il rosso è associato ad aumenti della pressione sanguigna, del movimento oculare e
della frequenza respiratoria, all'eccitazione in generale, alla vitalità. Viceversa, si osservato che colori freddi
scatenano reazioni opposte, come un senso di pace, di calma, di rilassatezza. Il giallo rappresenta un colore caldo
per eccellenza, rassicurante e armonioso (es. campo di grano giallo Mulino Bianco). Prendendo ispirazione dai
sacchetti dei fornai, mulino Bianco realizza ancora oggi la confezione a sacchetto di un colore giallo caldo intenso,
in modo che il consumatore si ricordi della tipica genuinità dei prodotti. Esperti di marketing non hanno mai
sottovalutato i vantaggi derivanti da una corretta selezione dei colori. Anche nel campo dell'organizzazione degli
spazi di vendita occorre riconoscere un ruolo determinante ai colori oltre che all'organizzazione degli spazi in sé.
Basta cambiare la tipologia di luce (gialla al posto di Bianca) e il grado di diffusione per rendere molto più
accoglienti gli ambienti. L'attenzione ai colori non coinvolge solo il mondo della pubblicità e del packaging. Infatti,
anche nel campo dei servizi, vi sono interessanti studi sul rapporto tra colore e clienti. In particolare, nel campo
medico si parla di cromoterapia o terapia di colori, secondo la quale adottare uno specifico colore può essere utile
per stimolare specifiche sensazioni nei pazienti di un ospedale. Tuttavia, questa impostazione va usata con cautela
poiché le differenze culturali possono portare a clamorosi fraintendimenti, ad esempio il colore verde in Irlanda e
di buon augurio, in Cina è correlato al tradimento, negli Stati Uniti rappresenta la gelosia. Altro aspetto degno di
attenzione nel mondo dei consumi e della comunicazione pubblicitaria è uno degli Stati psicologici più
affascinanti, indicato con il termine sinestesia, secondo il quale lo stimolo di un senso (per esempio, il suono) è in
grado di suscitare l'esperienza propria di un altro senso (per esempio, un colore). La sinestesia cromatica è un
fenomeno consistente nell' “udire i colori”, cioè nell'avere l'esperienza di un colore in risposta a uno stimolo
uditivo. Secondo molti psicologi i fenomeni sinestesici rivelano l'unità profonda dei sensi.
L'olfatto
Lo stimolo olfattivo, in quanto indifferenziato e difficilmente scomponibile nelle sue componenti, rimane
strettamente legato all'intero contesto nel quale è stato percepito. Ecco perché, durante la rievocazione, esso non
si isola dagli altri elementi contestuali, ma li trascina con sé. Riferendoci al percorso di crescita di un bambino, si
constata come il sistema olfattivo abbia, nel guidare comportamenti, un ruolo molto più pronunciato durante la
fase neonatale e post – neonatale rispetto alla fase. È in dubbio i profumi possono stimolare emozioni e far ricordare
eventi e sensazioni. Per questo sono state condotte molte ricerche per cercare di comprendere la relazione tra
olfatto, memoria e umore. Alcune ricerche hanno dimostrato che l'introduzione di una Roma è in grado di alterare
la percezione del tempo trascorso dal consumatore durante l'attesa per il pagamento alla cassa o per ottenere
informazioni da parte di un addetto alla vendita. All'interno del grande trend del polisensualismo che caratterizza
la società postmoderna l'olfatto sta acquisendo un'importanza sempre maggiore. L'olfatto, d'altra parte, essendo
collegato al nostro sistema limbico, che è il centro della vita emozionale, esercita una forte e direttiva influenza
mondo dei sentimenti e delle emozioni. L'importanza dell'olfatto è testimoniata dalle numerose ricerche
sull'utilizzo dei profumi in alcuni negozi (come il profumo di montagna nei negozi Timberland) o di profumi
rilassanti nelle sale di attesa (per esempio, quelle della business class della British Airways).
L'udito
La musica e il suono hanno un ruolo importante nel mondo dei consumi. La musica è in grado di stimolare ricordi
ed emozioni del passato, influenzare l'umore e modificare la percezione della realtà stessa. Con la musica e suoni
si costruiscono significati, si rafforzano associazioni, stimolano sensazioni. La produzione pubblicitaria si serve
molto dei suoni. Si provi a pensare a un film o uno spot senza musica di sottofondo o sette suoni di rinforzo di
certe scene o azioni. Basta soffermarsi solo un attimo su uno dei tanti spot televisivi sulle bevande (come quella
Estathè), accompagnati dal rumore di uno dei gruppi ione esageratamente marcata o da un forte (e innaturale)
fruscio di liquido che scivola in un bicchiere. L'esigenza di amplificare su ogni e di studiarne la valenza è
strettamente legata alla capacità che hanno i suoni e le musiche di stimolare e determinare anche alcune emozioni.
Difatti è possibile associare circa emozioni a determinati brani musicali, anche se questo processo mette in gioco
aspetti strettamente individuali e soggettivi. La storia personale, con le relative esperienze e la cultura di
appartenenza, così come lo stato emotivo di un preciso momento, rendono estremamente difficili una
generalizzazione degli effetti sull'individuo e lo studio delle emozioni in musica. A tal proposito risulta interessante
lo studio condotto da Bigand, Filipic e Lalitte (2005) che, dopo aver selezionato un gran numero di brani con
diverse connotazioni emozionali, hanno cercato di individuare potenziali affinità emotive facendo ascoltare ad
alcuni soggetti diversi tipi di brani. I risultati hanno dimostrato che la maggior parte degli individui utilizza un
sistema di raggruppamento basato su due dimensioni: la valenza (cioè il valore delle emozioni in sé: positiva o
negativa) e l'intensità o arousal (bassa o alta) stimolata dalla musica. Tale connotazione emozionale correlata a
un brano avviene in tempi brevissimi, inferiori al secondo. È stato possibile riscontrare come, fin dalle prime note,
i soggetti esaminati fossero in grado di individuare le emozioni legate a essi.
Hui et al (1997) hanno dimostrato che la musica, contrariamente alle attese, incide anche sulla percezione dei
tempi di attesa di un servizio prestato a un gruppo di consumatori: nel luogo in cui non vi è musica, l'attesa
percepita e maggiore rispetto al tempo trascorso effettivamente. La presenza di stimoli musicali pop pertanto agire
positivamente sulla risposta affettiva attesa e sulla valutazione dell'ambiente. Nello stesso modo è stato dimostrato
che la presenza di musica in un centro commerciale incide sulla rapidità di movimento dei consumatori al suo
interno. Una musica con un ritmo più veloce incrementa di una percentuale significativa la movimentazione dei
clienti rispetto a una musica decisamente più lenta. I dati di una ricerca hanno dimostrato che i consumatori “più
lenti” spendono circa il 38% in più rispetto a quelli “più veloci”.
Un altro aspetto importante, soprattutto nel campo della comunicazione pubblicitaria, è quello relativo alle
tecniche di Time compression, usate per manipolare la velocità con cui lo speaker pronuncia un messaggio
radiofonico o televisivo. I consumatori sembrano preferire una comunicazione più rapida (con una velocità
superiore al normale di circa 120,130%) rispetto a una più lenta. Tale effetto sembra sia determinato dalla
percezione di una maggiore credibilità e affidabilità nei confronti di coloro che hanno una capacità comunicativa
più rapida. In altri casi, una comunicazione troppo rapida potrebbe inficiare il processo di comprensione e stancare
l'ascoltatore, soprattutto se questi è particolarmente motivato ad ascoltare e a comprendere ogni singolo elemento
del discorso. in questo caso entrano in gioco l'effetto del grado di coinvolgimento e l'influenza dell'attivazione del
sistema di elaborazione centrale piuttosto che quello periferico, come indicato nella teoria di Petty e Cacioppo
(1983), vedi capitolo sui processi decisionali. Secondo questa teoria, l'attivazione del sistema di elaborazione
centrale, stimolata da un maggiore coinvolgimento, spinge il consumatore a investire più energie per cercare tutte
le informazioni necessarie per la decisione. In questo caso, l'esigenza di raccogliere attentamente tutte le
informazioni contratta con la rapidità di esposizione che, quindi, non verrebbe apprezzata.
Il tatto
La percezione aptica, ovvero quella che coinvolge il tatto, ha sempre avuto ruolo importante nella scelta di acquisto
di un consumatore. Basti pensare a quanto è importante, soprattutto nel passato, poter toccare tessuti, la frutta, il
legno prima di decidere l'acquisto. Solo attraverso il tatto è infatti possibile percepire alcuni aspetti fondamentali
dei prodotti. Il consumatore osserva tattilmente (Fabris, 2003), ovvero attraverso il tatto può avere chiare
informazioni sulla densità, la compattezza, la tesatura di un prodotto. A volte il tatto stesso e più importante della
vista nella scelta di un articolo. Il tatto incide anche sulla relazione venditore-acquirente. Solomon (2004) a tal
proposito riporta alcuni dati di ricerca che dimostrano che i clienti leggermente toccati dal personale di un
ristorante lasciano una mancia maggiore. Anche il contatto, come i colori, ha una sua propria declinazione
culturale. Per esempio, nei pressi del Nord Europa contatto fisico è culturalmente meno accettato che nei paesi
mediterranei.
Il gusto
Anche il gusto ha un ruolo determinante nei comportamenti di consumo. Attraverso il gusto vengono percepite le
caratteristiche dei prodotti alimentari. In base alla gradevolezza di sapori il consumatore individua una propria
classifica delle tipologie e delle marche preferite. In una società multiculturale introduzione dei piatti etnici tra
leggermente modificando il modo di alimentarsi e il legame ai sapori tradizionali. Questo ovviamente non intacca
la possibilità di riconoscere e rimanere fedeli ad altri sapori percepiti come altamente specifici di una marca o di
un prodotto. Basti pensare alla famosa Nutella. Diverse sono state le altre marche che hanno tentato di spodestare
il suo primato senza riuscirci. Il sapore della Nutella, come quello della coca-cola classica, identifica fortemente
prodotto e ne garantisce il riconoscimento da parte dei consumatori affezionati. Di certo possiamo affermare che
anche per il gusto occorre prestare attenzione alle diversità culturali esistono cibi assolutamente immangiabili per
un italiano, ma molto prelibati per un vietnamita.
Negli ultimi anni inoltre, si sta assistendo ad un incremento di attenzione verso le abitudini alimentari. In
particolare, la presenza sempre più ampia di casi di obesità e di altre patologie alimentari, come l’anoressia e la
bulimia, ha promosso diverse ricerche e programmi di intervento.
Le soglie percettive
Non tutti gli stimoli sensoriali possono determinare l'attivazione dei nostri sensi. Ciascuno dei nostri recettori
rispondere a stimoli specifici entro limiti abbastanza ristretti. Il sistema sensoriale dell'uomo e in ogni caso
caratterizzato da specifici limiti. Per questo motivo non tutte le lunghezze d'onda della luce sono percepibili
dall'uomo, che non riesce infatti a vedere i raggi gamma, i raggi X e quelli ultravioletti. E anche il nostro sistema
uditivo risponde solo alle vibrazioni dell'aria comprese tra i 20 e i 20 000 cicli al secondo (e infatti risaputo che i
nostri sensi sono molto meno efficienti di quelli di numerosi animali). Tali limiti sono determinati dalle
caratteristiche fisiologiche dei nostri sensi, anche se la possibilità di percepire alcuni stimoli piuttosto che altri può
dipendere dal processo di selezione e dal grado di attenzione nei confronti degli stimoli stessi. Le capacità sensitive
di alcuni soggetti, infatti, possono essere così allenate da rispondere alle stimolazioni più di quanto avvenga in una
persona “media”. Per esempio, i musicisti riescono a percepire molti più toni rispetto a un soggetto non allenato.
Probabilmente il polisensualismo verso cui è proiettata la società postmoderna (Fabris, 2003) ci porterà a
valorizzare maggiormente le nostre capacità sensoriali fino ad ora poco utilizzate.
La soglia assoluta
La soglia assoluta è la stimolazione minima che può essere rilevata dagli organi di senso. Non va confusa con la
soglia di percezione cosciente. Per soglia di percezione cosciente intende quel valore al di sopra del quale lo
stimolo è percepito molto forte: in questo caso il soggetto è perfettamente conscio della sua presenza, lo percepisce
chiaramente e può reagire di conseguenza. Per sua natura questa soglia può variare da un individuo all'altro o da
un momento all'altro nello stesso soggetto essa dipende dal diverso grado di attenzione, che può essere influenzata
dalla stanchezza, dall'età, dalla sensibilità dei diversi organi sensoriali o dalla presenza simultanea di altri stimoli.
Sopra la soglia di percezione cosciente, lo stimolo possiede sufficiente energia per provocare nello stesso tempo
sia la risposta che la relativa rappresentazione cosciente. In questo caso l'individuo, consapevole dello stimolo,
reagisce in base alla sua volontà, cosa non possibile nel caso di percezione subliminale. La risposta dell'individuo
può dunque essere completamente differente a seconda che lo stimolo lo raggiunga a livello subliminale
(precosciente) o superliminale (cosciente). Sopra la soglia assoluta di percezione cosciente, ma sotto quella di
percezione cosciente, sono situati gli stimoli troppo deboli per essere percepibili coscientemente. Pur non essendo
abbastanza forti perché il soggetto di percepisca spontaneamente, essi hanno comunque un'intensità sufficiente per
farsi riconoscere nel momento in cui l'attenzione viene spostata su di chi di noi non ha una sveglia sul comodino
di cui non percepisce più il ticchettio, se non quando volontariamente vi pone l'attenzione?
Dixon (1981) definisce la soglia assoluta di coscienza come il più debole livello di energia entro il quale un
individuo può sentire o vedere uno stimolo. Infine occorre descrivere la soglia fisiologica al di sopra della quale
(ma sotto al livello assoluto di percezione cosciente) si trovano gli stimoli di intensità troppo deboli per essere
recepiti dalla coscienza, sia volontariamente involontariamente ma nonostante ciò, questi stessi stimoli possono
portare a una risposta sensoriale o di una modifica osservabile del comportamento per esempio, possiamo percepire
inconsapevolmente una musica che in effetti non è udibile, ma che raggiunge la coscienza sotto forma di un
canticchiare spontaneo, non intenzionalmente voluto. Gli stimoli la cui intensità e talmente debole da non produrre
nessuna reazione sensoriale si considerano sotto la soglia fisiologica, là dove qualsiasi tipo di percezione è
completamente assente. Questa è la zona del “grande silenzio”, alla cui soglia l'uomo si è sempre fermato. Sotto
la soglia fisiologica lo stimolo non può avere risposta. Sopra la soglia fisiologica, ma sotto la soglia di percezione
cosciente, lo stimolo possiede sufficiente energia per essere captato dagli organi di senso e produrre una risposta,
ma questa energia è comunque insufficiente per raggiungere la coscienza. È questa la zona di “percezione
subliminale” in senso lato. La soglia assoluta, che varia da individuo a individuo, può dipendere anche dalle
condizioni fisiche del soggetto ed al suo stato motivazionale. I giovani sentono maggiormente profumi e gli odori
rispetto ai consumatori più anziani una migliore performance nel campo degli odori e dei profumi è stata riscontrata
anche nelle donne. La musica all'interno di un centro commerciale potrebbe non essere percepita, anche se di fatto
ha un effetto sui comportamenti dei soggetti. La soglia assoluta rappresenta quindi quel limite è necessario da
superare affinché uno stimolo sia percepito. Ecco perché lo studio di tale soglia assume un ruolo importante per
chi si occupa di marketing. Molti stimoli sono al di sotto della soglia assoluta tanto da non poter essere percepiti.
Analogamente, un'immagine troppo piccola potrebbe risultare difficile da decifrare nitidamente e perciò non viene
percepita come tale. A volte nei messaggi pubblicitari sono presenti testi scritti con caratteri così piccoli per evitare
che vengano percepiti. Il concetto di soglia assoluta è strettamente legato a quello di filtro percettivo. in un mondo
caratterizzato da una grande quantità di stimolazioni, i filtri percettivi permettono di selezionare solo le
informazioni che sono ritenute più utili. Per questo motivo chi si occupa di marketing sa perfettamente che occorre
attirare l'attenzione attraverso stimolazioni che hanno un'intensità leggermente più alta della soglia assoluta.
L'aumento automatico del volume della radio quando vengono trasmesse le informazioni sul traffico stradale
rappresenta una delle più note tecniche per attirare l'attenzione.
La soglia differenziale
La soglia differenziale è la quantità minima di stimolazione necessaria per distinguere due stimoli diversi. Non si
tratta pertanto della quantità minima percepita, ma della quantità differenziale, ovvero del cambiamento minimo
percettibile di uno stimolo. La possibilità di misurare le condizioni in cui la differenza tra due stimoli è percepita
dal consumatore è un aspetto di grande importanza nel mondo dei consumi. La conoscenza della soglia
differenziale è determinante e si intende modificare il prezzo di un prodotto (per esempio durante i saldi) o si vuole
rendere più dolce il sapore di un prodotto provando a modificare la quantità degli ingredienti al fine di rendere tale
differenza percepibile il calcolo della soglia differenziale permette di individuare la quantità minima necessaria
perché venga realmente percepito il cambiamento. La soglia differenziale non è un valore costante, ma dipende
dall'intensità dello stimolo originale. Se il livello quantitativo di un attributo presente in un prodotto e modesto, il
consumatore si mostrerà assai sensibile anche piccole variazioni di questo attributo, mentre se lo stesso elemento
è presente in maggiore quantità, per ottenere la stessa percezione di cambiamento, occorrerà una maggiore
variazione della quantità di quello stesso attributo. È ben comprensibile l'importanza di questo principio se
consideriamo che a volte gli incrementi di alcuni ingredienti di un prodotto hanno un costo assai elevato. Così, se
volessimo risparmiare sui costi di produzione di un biscotto senza che il consumatore percepisca un cambiamento
del sapore, basterebbe ridurre lo zucchero o un altro ingrediente all'interno della soglia differenziale.
La soglia differenziale è regolata da un preciso teorema matematico sviluppato nel corso del XIX secolo da Ernest
Weber, il quale è riuscito a individuare la relazione (conosciuta come legge di Weber) che descrive il rapporto tra
l'ammontare del cambiamento e l'intensità originale dello stimolo affinché tale rapporto possa essere percepito.
Secondo questa legge, più forte il valore dello stimolo iniziale e più grande deve essere la quantità addizionale di
stimolazione affinché questa venga percepita. A volte un'azienda desidera modificare il proprio packaging senza
che il consumatore se ne accorga, oppure alla necessità di modificare il luogo senza che i clienti perdano la
possibilità di identificare l'azienda. Il concetto di soglia differenziale permette di prevedere cambiamenti al di sotto
della soglia, attuando piccole impercettibili modifiche attraverso fasi in cui il mutamento (il passaggio a un nuovo
logo) non viene significativamente percepito dal consumatore (esempio del graduale passaggio dal logo Omnitel
a quello Vodafone).
Vedi formula pag. 60
Il tema della percezione subliminale è strettamente legato al concetto di soglia percettiva. Per percezione
subliminale si intende la possibilità di recepire informazioni attraverso stimoli sensoriali e risultano al di sotto
della soglia percettiva cosciente (sublimen, dal latino, significa. Sotto soglia). Si tratta di piccole immagini inserite
all'interno di messaggi pubblicitari stampati, o di messaggi uditivi inseriti in contesti musicali, o di messaggi assai
prossimi alla soglia assoluta.
Lo studio della percezione subliminale nasce verso la fine degli anni 50, in un momento storico in cui il tema della
persuasione delle masse era molto sentito. Siamo ancora nel periodo di sviluppo dei Mass media ovvero nel periodo
storico definito della modernità, in cui l'individuo veniva percepito e pensato come soggetto razionale, logico,
coerente con se stesso e con i principi religiosi, politici e sociali. L'idea di influenzare l'individuo al di là della sua
consapevolezza e del suo controllo era in contrasto con l'uomo, razionale, consapevole e coerente con se stesso.
Gli studi che risalgono alla fine dell’800 e all’inizio del secolo successivo, relativi al valore della soglia assoluta
di percezione e della soglia differenziale (legge di Weber) hanno contribuito significativamente a stimolare il
dibattito sulla comunicazione persuasiva subliminale (esperimenti nella prima metà del ‘900 si sono concentrati
su campi di ricerca delimitati da particolari condizioni patologiche, che mettessero i luce le reazioni di una
sensibilità ipofunzionale, ad esempio la vista cieca, o l’epilessia). All’inizio del secolo scorso l’influenza di Freud
e il riferimento alla dimensione inconscia hanno stimolato alcuni studiosi a occuparsi dei meccanismi percettivi
subliminali, cioè non consapevoli. Come Otto Poetzel, il quale condusse l'esperimento in cui dopo aver sottoposto
alcuni soggetti a proiezioni di immagini per brevissime frazioni di secondo chiedeva loro di disegnare ciò che
avevano visto; il giorno successivo, esaminando i loro sogni rilevava la presenza di quegli elementi o particolari
delle immagini proiettate che il soggetto non aveva percepito coscientemente il giorno prima e che non aveva
riportato nei suoi vicini.
Ma il maggior contributo sulla percezione subliminale arrivò quando l'attenzione al tema della persuasione e dei
processi decisionali fu stimolata dalle ricerche dai sondaggi politici durante le campagne elettorali statunitensi. Un
tema questo che si era sviluppato all'ombra del timore delle possibili influenze sulle opinioni degli elettori
attraverso gli organi di stampa e di altri strumenti di comunicazione di massa, soprattutto se tali influenze potevano
essere determinate da messaggi che andavano oltre la ragione e la consapevolezza dell'elettore. La possibilità di
influenzare la decisione riguardante un particolare comportamento (di acquisto o di muto) era alla base delle
preoccupazioni di quel periodo storico.
Il momento cruciale di questa preoccupazione coincise con la pubblicazione del testo di Packard (1957) The hidden
persuaders che fece da cassa di risonanza a una serie di dati di ricerca riguardanti la pubblicità subliminale in
questo testo l'autore coniò l'espressione di successo persuasione occulta. Packard l'individuò nel pubblicitario
l'agente principale dell'eversione sociale in atto, definendolo come il "persuasore occulto" che entra nell'inconscio
del pubblico attraverso misteriose tecniche di psicologia applicata, come messaggi subliminali, per forgiarne le
decisioni a suo piacimento. I toni della vicenda iniziarono ad alzarsi ulteriormente quando fu convocata una
conferenza stampa il 12 settembre 1957 New York. Un ricercatore, di mercato James M. Vicary, portavoce di una
sconosciuta azienda dal nome Subliminal Projection, presentò i risultati di un esperimento che avrebbe avuto luogo
a Fort Lee, nel New Jersey: durante la proiezione di un film erano stati immessi fotogrammi non percepibili (della
durata di 3 millisecondi, ogni cinque secondi) con comandi scritti che citavano a mangiare poco e a bere Coca-
Cola. Secondo Vicary i consumi di questi due articoli presso la popolazione esposta fotogrammi impercettibili
sarebbero aumentati rispettivamente del 57,7% e del 18,1%. In realtà, i dati dei termini scientifici dell'esperimento
non furono mai resi pubblici; in un'intervista del 1962 Vicary avrebbe inoltre confessato che l'esperimento non era
altro che una montatura, nonostante ciò la portata della notizia ebbe una diffusione inaspettata. La conferenza
stampa dell'oscura azienda americana assunse dunque tutti gli elementi per dare vita a una vera e propria leggenda
metropolitana. Tuttavia, l'interesse pubblico per la questione della persuasione occulta uscì dall'ambito puramente
per entrare massicciamente in un campo più sociologico o filosofico. L'inserimento surrettizio negli annunci
stampa di immagini attinenti alla sessualità è un capitolo molto florido della letteratura sul tema e sulle sue
applicazioni attualmente le legislazioni nazionali e internazionali sulla comunicazione pubblicitaria o
propagandistica dei Mass media si sono schierate per la proibizione delle tecniche subliminali riconoscendo de
facto una qualche efficacia fenomeno.
L'Ingegnere Hal Becker, nel 1966, brevettò la little black box, un dispositivo capace di leggere cassette audio e
mescolare segnali da diverse fonti audio, rendendole infine percettibili sono in forma subliminale. Questo
dispositivo fu acquistato da numerosi supermercati dove veniva utilizzato per inviare in forma subliminale, mixati
alla regolare musica di sottofondo, messaggi del tipo "io sono onesto" oppure "io non rubo". In generale molti
psicologi concordano sull'esistenza della percezione subliminale, ma non hanno lo stesso parere rispetto alla forza
e all'ampiezza dei suoi effetti. Sintetizzando possiamo dire che gli aspetti che rendono inefficace la pubblicità
subliminale sono diversi: tra questi la diversità soggettiva e l'influenza di altri fattori sociali e contestuali sulla
soglia assoluta, l'esigenza di un'elevata attenzione verso il canale comunicativo al fine di cogliere gli stimoli
subliminali, la difficoltà a determinare uno specifico comportamento di acquisto (il rischio di generalizzazione
dell'effetto è molto alto).
La selezione percettiva
Generalmente si pensa al processo percettivo come a una finestra sul mondo, ma la funzione primaria di questo
sistema è quella di selezionare e di scegliere tra le tante stimolazioni quelle più interessanti. Un primo processo di
selezione avviene attraverso il meccanismo pre – attentivo secondo il quale, in maniera inconsapevole, i
consumatori riescono a filtrare le informazioni che sono più utili o che ritengono più accattivanti o emozionalmente
più cariche di affetto.
La selezione
I consumatori mettono in pratica una forma di "economia psichica" (Solomon, 2004) selezionando e scegliendo
gli stimoli più interessanti, evitando di lasciarsi confondere dall'enormità delle informazioni disponibili. Si tratta
di un processo naturale, diremmo quasi all'attivo, per contenere il disagio da sovrabbondanza di dati. Ma le persone
come scelgono come selezionano le informazioni verso cui rivolgere l'attenzione? Vi sono alcuni fattori che
permettono una selezione delle informazioni strettamente legate alle specificità individuali del consumatore ed
altri aspetti più strettamente correlati alle specificità degli stimoli. Tra i fattori personali un ruolo importante è
giocato dalle emozioni, dagli interessi, dai disordini e soprattutto dai desideri del consumatore. Il desiderio di
acquistare una nuova macchina spinge consumatore in genere a prestare attenzione a tutti i messaggi pubblicitari
relativi alla vendita e alla promozione di automobili. C'è un consumatore ha sviluppato una preferenza di marca,
allora tenderà notare la pubblicità di quel prodotto, con il rischio di lasciarsi sfuggire di annunci pubblicitari di
prodotti della concorrenza. Allo stesso modo alla pubblicità del ristorante può diventare oggetto di grande
attenzione se siamo alla ricerca di un locale dove poter gustare una buona cena.
Questo tipo di attenzione specifica è chiamata vigilanza percettiva. Sempre più spesso occorre trovare soluzioni
creative per attivare la vigilanza percettiva dei consumatori: l'utilizzo di domande negli spot (soprattutto quelli
radiofonici), così come la presentazione di una storia che prosegue nel tempo, o l'uso di messaggi nei cartelloni
pubblicitari che rimandano a una possibile soluzione a una domanda o spiegazioni in futuro, sono tutte tecniche
per cercare di mantenere vigile l'attenzione del consumatore verso quei messaggi.
L'uso di filtri personali attivati da desideri, interessi, emozioni può dare vita non solo a una percezione selettiva,
ma anche a una forma di percezione difensiva, intesa come la tendenza a non rilevare la presenza di stimoli ritenuti
non graditi o minacciosi e spiacevole. Ciò significa che le persone vedono e percepiscono ciò che intendono o
preferiscono vedere al fine di ridurre al minimo la spiacevole situazione della dissonanza cognitiva (Festinger,
1957). La dissonanza, intesa come incoerenza da processi cognitivi, o come discordanza tra atteggiamento
dichiarato e comportamento agito, provoca una condizione di disagio che spinge l'individuo ad adottare tutte le
possibili soluzioni per recuperare uno stato di coerenza, di equilibrio e conseguentemente di "benessere".
Così, se ci si trova ad agire alcuni comportamenti o dichiarare alcune opinioni contrarie ai propri atteggiamenti o
credenze, e se tali comportamenti od opinioni sono stati dettati da libera scelta, la sensazione provata sarà di uno
stato di tensione spiacevole dovuto alla dissonanza tra il proprio comportamento o l'opinione manifestata e il
proprio atteggiamento. In questo caso si può comprendere perché un fumatore incallito potrebbe selezionare tutte
quelle informazioni che sottolineano la non pericolosità del fumo. Così come quando si acquista una nuova
automobile si rischia di divenire particolarmente sensibili a tutte le notizie che confermano la correttezza della
scelta fatta, divenendo meno predisposti a percepire e ricordare tutte le informazioni che discreditano l'auto
acquistata.
L'attenzione
Studiare l'attenzione e processi che la caratterizzano ci permette di rispondere ad alcune domande importanti e chi
deve promuovere un nuovo prodotto tra tanti già in commercio. Sebbene sia impossibile in ogni istante fare
attenzione a stimoli specifici, la nostra attenzione si sposta in continuazione. Una determinata attività può catturare
tutta la nostra attenzione, mentre altri stimoli potranno di volta in volta attirarci in maniera quasi irresistibile.
La percezione degli stimoli che bombardano costantemente i nostri organi di senso è perciò altamente selettiva. Si
tratta di un processo assai naturale, se non indispensabile, per potere sopravvivere all'infinità di stimolazioni
giornaliere che ci circonda. Se non avessimo questa capacità di selezionare le informazioni non riusciremmo a
parlare con un amico in mezzo a una folla di persone, leggere il giornale o svolgere un compito in un luogo
pubblico, trovare l'informazione utile in mezzo mondo di messaggi, di luci, di colori e di voci.
Purtroppo, a causa della selezione attentiva, un consumatore potrebbe non prestare attenzione a un messaggio
pubblicitario e ciò spiega come mai una buona parte del mailing commerciale che giunge nelle case dei
consumatori venga gettata via senza nemmeno aprire la busta contenente una eventuale promozione. L’attenzione
quindi, particolarmente studiata dalla tradizione cognitivista della psicologia, filtra ciò che viene elaborato e ciò
che deve arrivare alla coscienza. Per questo, non a tutti gli stimoli in arrivo è dato spazio di accesso. Ad esempio,
La visione del cibo ha certamente un effetto diverso sulla nostra attenzione in funzione del nostro grado di sazietà.
Bruner è partito dalla considerazione della percezione non è altro che un processo di categorizzazioni. Non più
solo acquisizione di informazioni attraverso i nostri sensi, ma processo di rielaborazione delle informazioni
sensoriali attraverso la guida dettata dai nostri desideri e dalle nostre emozioni. Per dimostrare questo assunto
Bruner si è servito di uno dei più noti esperimenti di manuale di psicologia sociale. L'esperimento, noto con il
nome di Value and need as organizing factors in percepition, consisteva nel chiedere a un gruppo di ragazzi di 10
anni di età di giudicare la grandezza di alcune monete. Metà del gruppo campione di bambini proveniva da un'aria
benestante di Boston, l'altra metà dai sobborghi e dalle zone più povere della città. I risultati mostrarono i bambini
di questo secondo gruppo tendevano a sovrastimare la grandezza delle monete rispetto al primo gruppo soprattutto
per le monete di maggior valore, e ad accentuare le differenze tra le diverse monete, soprattutto quelle che avevano
i valori più estremi, contrastando il principio della tendenza centrale secondo cui un gruppo di valutatori tende
naturalmente a confluire verso un giudizio di valore medio indipendentemente dall'oggetto da valutare.
L'appartenenza a un contesto sociale, di sogni e desideri hanno influenzato la percezione della grandezza delle
monete indicando chiaramente l'influenza di processi "caldi" affettivi e cognitivi nell'elaborare le informazioni.
Lo stesso principio pare che valga per il consumatore che presta una maggiore attenzione a una marca o un prodotto
in funzione dei propri interessi. In questo caso si parla di attenzione selettiva. Secondo alcuni autori questa
selezione delle informazioni può avvenire in maniera precoce o tardiva. Secondo l'ipotesi precoce, l'attenzione
agisce come filtro periferico che esclude dall'elaborazione gran parte delle informazioni provenienti dal mondo
esterno. Diversamente, i sostenitori dell'ipotesi della selezione tardiva ritengono che il filtro apprensivo intervenga
più tardi, al momento della selezione della risposta. Quindi secondo l'ipotesi precoce l'attenzione è in grado di
influenzare processi sensoriali e percettivi, mentre l'ipotesi tardiva sostiene che l'attenzione agisce a livello post
percettivo.
Hillyard et al. (1973) hanno dimostrato tale ipotesi attraverso l'analisi psicofisiologica del sistema auditivo nella
famosa condizione definita "cocktail party" in cui un ascoltatore focalizza la sua attenzione su una conversazione
inibendo alla ricezione di altre conversazioni. Anche se siamo al centro di una festa con tante persone e con
un'assordante musica di sottofondo, riusciamo a concentrarci e a selezionare le parole della persona con cui stiamo
parlando.
Un aspetto importante nella selezione delle informazioni è dato dalle aspettative e dagli schemi. Infatti, l’attenzione
opera in modo tendenzioso, favorendo l’accesso degli input verso i processi superiori di elaborazione di quei
contenuti che sembrano avere più pertinenza con le attese, con abitudini e bisogni e con gli scopi che l’organismo
sta perseguendo in quel momento. Per questo motivo, la psicologia sociale ha evidenziato la forte tendenza ad
agire per stereotipi e pregiudizi. Per questo motivo è ricorrente l’uso di schemi, ovvero di categorie e di concetti
intesi come rappresentazioni mentali e strutture di conoscenza più o meno condivise, anche se indispensabili per
semplificare la realtà e dare senso all’enorme quantità di stimoli e informazioni, può condurre a errori e cattive
interpretazioni.
L'assuefazione
L'assuefazione è quella situazione in cui, dopo un periodo di esposizione prolungata, uno stimolo costante perde
la sua capacità attrattiva. Diventiamo assuefatti agli oggetti quotidiani, nei messaggi abituali, ai rumori costanti
mettendo di percepirli, agli enormi cartelloni pubblicitari che investono vostri monumenti in restauro. Se, tuttavia,
vi è un mutamento nello stimolo cui siamo assuefatti, immediatamente questo verrà notato nella nostra attenzione
sarà di nuovo vigile. Come indicato da Williams (1988), per certi versi percepiamo per differenziazione; il che
significa che la nostra attenzione è attirata da oggetti e situazioni che in qualche modo differiscono dal nostro
livello precedente di adattamento e di assuefazione. Oltre all'esigenza del controllo, si riconosce all'uomo una
caratteristica particolare, che consiste nella voglia di esplorare, di giocare e di incuriosirsi. L'eccitamento,
l'emozione del rischio e la novità nascono dall'esigenza di modificare propri schemi attraverso nuovi stimoli. È
dimostrata inoltre l'esistenza di una particolare caratteristica di personalità che distingue i cosiddetti sensation
seekers (cercatori di emozioni) ovvero quei soggetti con una "soglia di annoiabilità" molto più bassa degli altri.
Questi soggetti sono alla continua ricerca di stimolazioni sensoriali nuove, diverse, forti.
Tra le varie spiegazione di questo fenomeno vi è quella che riconduce tutto a una società in cui viviamo ormai
spinta verso gli eccessi e la disinibizione, una società del no-limits: ciò provoca un continuo bisogno di emozioni
intense. Spesso infatti negli spot pubblicitari nei programmi televisivi assistiamo ad azioni esagerate o messaggi
che incitano alla ricerca di emozioni forti.
La regolarità in un mondo complesso e l'innovazione esperienziale non si escludono a vicenda, ma si devono
intendere come estremamente complementari e interagenti. La novità è colta solo sulla base di uno schema di
riferimento solo in queste condizioni produce curiosità, esplorazione, eccitazione ludica. Infatti, uno stimolo che
riproduce perfettamente uno schema già noto determina abitudine, noia e disattenzione, mentre uno stimolo che
non coincide per nulla con gli schemi disponibili rischia di non essere percepito per nulla. Questa è una delle
ragioni per cui gli spot che richiamano schemi noti, evocando personaggio situazioni ben conosciuti, sono quelli
più apprezzati e di maggior successo. Oltre alle caratteristiche individuali, le proprietà fisiche dello stimolo
giocano un ruolo importante per attrarre l'attenzione del consumatore. Tra queste vi sono l'intensità, la dimensione,
la posizione, il contrasto, la novità, la ripetizione e il movimento. Vediamo alcuni di questi aspetti più in dettaglio:
intensità: uno stimolo meno intenso tende a produrre maggiori assuefazione, anche se raddoppiare il valore
di uno stimolo non significa far accrescere proporzionalmente l'attenzione del consumatore.
durata: gli stimoli che richiedono una maggiore esposizione per essere percepiti ed elaborati tendono a
produrre una più rapida assuefazione.
posizione: fa riferimento non solo al luogo dove lo stimolo viene collocato, ma anche alla sua dimensione
e alle caratteristiche che lo distinguono da stimoli simili. Per esempio, a causa della nostra abitudine a
leggere da sinistra a destra è evidente che gli stimoli posizionati a sinistra del nostro spazio visivo sono
più facilmente percepiti
discriminazione: stimoli “semplici” tendono a stancare poiché non richiedono un'elevata tensione
contrasto: quanto più ampio è il livello di distinzione di uno stimolo rispetto a quelli tra i quali si trova,
tanto maggiore è la possibilità di attirare e mantenere attiva l'attenzione
rilevanza: stimoli che sono ritenuti meno rilevanti o poco importanti tendono a produrre più velocemente
assuefazione.
Ecco perché le aziende investono tempo e denaro per cercare di realizzare spot attraenti stimolanti tali da invogliare
lo spettatore a seguirli con attenzione e interesse.
Un aspetto importante del processo percettivo e quello che permette l'organizzazione delle informazioni. I
consumatori classificano ciò che hanno percepito in categorie e per fare questo lavoro si servono delle categorie,
che hanno già preso di ritenuto in memoria. Il processo di categorizzazione si verifica in maniera rapida e
inconsapevole ed è estremamente utile per poter far fronte alla complessità del mondo esterno. È importante per
ciascuno di noi riuscire a identificare gli oggetti e le persone utilizzando le informazioni già immagazzinate in
categorie. Ogni categoria non è altro che un insieme di oggetti che hanno in comune una o più caratteristiche
perfettamente rappresentate dall'oggetto o dalla persona che rappresenta il prototipo della categoria. I film, le
favole dei bambini in messaggi pubblicitari sono colmi di rappresentazioni prototipiche, ovvero oggetti o persone
che rispecchiano perfettamente il prototipo di una specifica categoria: un personaggio "cattivo" verrà pertanto
presentato con le labbra piccole, gli occhi stretti, un viso spigoloso, inserito all'interno di un contesto freddo con
colori scuri, ambienti squallidi ecc., mentre il buono avrà grandi labbra di colore rosso, la pelle chiara, un viso
tondeggiante, con due grandi occhi blu. Questa stessa immagine la ritroviamo in tanti messaggi pubblicitari in cui
un bambino con queste caratteristiche ci convince della bontà del prodotto condividere la stessa cultura, lo stesso
linguaggio, gli stessi miti e leggende permette di condividere anche la stessa modalità di attribuzione dei significati,
un medesimo universo simbolico capace di dare un senso comune e condiviso alle medesime cose. Per noi italiani
la categoria "neve" richiama un unico significato, queste molto diverso da quello degli eschimesi che distinguono
21 tipologie di neve.
Queste considerazioni non valgono solo per gli oggetti, ma anche nel caso dell'impressione che ci facciamo degli
altri, a volte per giudicare un estraneo ci serviamo di poche informazioni, pochi elementi bastano per costruire
l'impressione di una persona. Uno dei più noti esperimenti in merito a questo processo di categorizzazione sociale
è stato realizzato da Asch (1946), il quale ha dimostrato come da una lista di aggettivi e di elementi che descrivono
una persona è possibile avere un'idea comune condivisa delle caratteristiche di personalità della persona stessa
(modello configurazionale). Asch ha somministrato un gruppo di persone una lista di aggettivi (intelligente,
competente, industrioso, caldo, determinato, pratico, prudente) per avere una descrizione pressoché condivisa da
tutti di una persona generosa, sincera, che vuole che gli altri capiscano il suo punto di vista. Oltre a questa
immagine condivisa dalle persone che avevano letto la lista di aggettivi, Asch ha dimostrato l'esistenza di alcuni
elementi centrali capaci di modificare radicalmente l'immagine della persona. Bastava sostituire l'aggettivo caldo
con freddo per avere un'impressione profondamente diversa. Asch ha contribuito significativamente
all'applicazione delle teorie gestaltiche in campo sociale e ha voluto dimostrare che l'impressione che ci facciamo
degli altri è sempre più della semplice sommatoria delle parti. Secondo i principi della Gestalt, le persone non
percepiscono gli stimoli in maniera isolata. Il nostro cervello tende a elaborare in maniera automatica le
informazioni, servendosi anche degli schemi già immagazzinati per dare senza significato a quanto viene
percepito. In questo processo intervengono alcuni principi organizzatori: questi sono la vicinanza, la somiglianza,
la chiusura, la continuità di direzione, la buona forma e l'esperienza passata.
Secondo il principio della vicinanza a parità di condizioni le parti vicine di un insieme percettivo si organizzano
nella formazione di un margine dando luogo a un'unità figurale. Così all'interno di una stessa "scena", gli elementi
tra loro vicini vengono percepiti come un tutt'uno. La vicinanza di prodotti e servizi può creare un tutt'uno. Ralph
lauren è riuscito a legare diversi stimoli proponendo immagini sempre accostate fino a giungere alla percezione di
un insieme: la linea Polo, le immagini dei country-club, il piacere del classico
Secondo il principio di similitudine all'interno di una stessa "scena" di elementi tra loro simili per forma, colore
e dimensione, vengono percepiti come collegati
Secondo il principio della chiusura, le linee e le forme familiari vengono percepite come chiuse complete, anche
se graficamente non lo sono.
Secondo il principio della figura sfondo le persone vengono percepite prima di tutto va proprio contorno, mentre
il resto viene inteso come sfondo.
A parità di altre condizioni, secondo il principio della continuità di direzione, si impone quella unità percettiva
cui margine offre il minor numero di cambiamenti o interruzioni. La buona forma è quel principio secondo il quale
il campo percettivo si fermenta in modo che ne risultino unità e oggetti percettivi per quanto possibile equilibrati,
armonici appunto di buona forma. Infine, il principio dell'esperienza passata incide sulla percezione degli stimoli
in modo tale da favorire la costituzione di oggetti con i quali abbiamo familiarità, che abbiamo già visto, piuttosto
che forme sconosciute o poco familiari. Secondo la Gestalt la percezione visiva dipende dall'organizzazione delle
percezioni e non funziona atomisticamente, ma nella totalità (la mente completa parti coperte di figure, interpreta
come righe seguenti punti eccetera).
in un contesto sociale complesso e in continuo cambiamento si manifesta quello che Siri (2001) indica come uno
dei "difetti" maggiori del sistema dell'Io: esso, quanto più lavora sotto stress tanto più tende a irrigidire gli schemi
e i pregiudizi che governano il suo operare, nel tentativo di garantirsi una rappresentazione rassicurante di sé e
delle cose. Questa ricerca di coerenza e di stabilità la ritroviamo in diversi contesti e dinamiche, anche nelle
dinamiche percettive dei messaggi e delle comunicazioni, come per esempio quelli fondati sulla paura e la loro
efficacia, i fear arousing appeals. Si tratta di quei messaggi che inducono a confrontarsi con la paura, l'angoscia e
il senso di impotenza che derivano dalla rappresentazione di situazioni a rischio, cioè situazioni in cui l'individuo
viene a trovarsi per aver adottato comportamenti irresponsabili, in primis verso se stesso, e spesso anche nei
confronti dei propri simili. Anche questi messaggi devono fare i conti con le difese percettive. Il fearing arousing
appeal ha sempre avuto un ruolo importante all'interno della pubblicità sociale. La pubblicità sociale ha infatti una
funzione didattico\pedagogica. La sua finalità è quella di indicare soluzioni di utilità collettiva, e pertanto risulta
talvolta istintivo ritenere che lo strumento della paura debba essere un utile strumento per la progettazione del
contenuto dei messaggi. Esiste tuttavia il pericolo che messaggi impatto troppo forte attivino nell'individuo una
sorta di meccanismo di difesa che lo porta rimuovere un'esperienza traumatizzante. È stato riscontrato che l'uso
della paura a un risultato efficace solo in particolari condizioni. Tra queste vi è la necessità di offrire una soluzione
che sia percepita realmente e facilmente applicabile per scongiurare gli effetti spiacevoli. Quando la paura è elevata
da persone possono respingere le informazioni e non dargli conto. Anche contesti sociali culturali incidono sulla
capacità delle persone di poter recepire i messaggi persuasivi caratterizzati dalla paura. In un contesto come quello
anglosassone è possibile assistere a messaggi pubblicitari che fanno uso di scene particolarmente cruente paurose,
in Italia ciò non è possibile. Affinché un appello possa essere percepito e non vengano attivati filtri percettivi
occorre che sia costruito in modo sufficientemente realistico, senza quell'eccesso di orrore che provoca il rifiuto
del destinatario e soprattutto che sia costruito nel rispetto delle differenziazioni culturali che possono contribuire
a dare senza significato all'immagine. In particolare, la pubblicità sociale, come anche quella commerciale, vive
di un continuo interscambio tra ragione ed emozione, poiché è proprio grazie a questa combinazione che messaggi
acquistano efficacia. Il problema sta quindi nell’equilibrare questi due elementi. Lo studioso Kapfere fa riferimento
a come, in realtà, i messaggi, pur caratterizzandosi per una loro modalità espressiva particolare, siano il risultato
di più variabili che interagiscono con quella principale. L’impatto quindi dipenderà dalla combinazione delle
variabili presenti, in quanto ogni combinazione avrà un effetto diverso sulle interferenze tra le reazioni emotive e
i trattamenti dell’informazione.
Box l'efficacia dei Fear arousing appeals in ruolo delle istruzioni di coping
Il termine qualità è sempre più utilizzato per descrivere il valore che ci aspettiamo da un prodotto o da un servizio.
La qualità di un prodotto deve però fare i conti con la soggettività di chi vanta piccola percezione che ha dei suoi
attributi. I consumatori sono sempre più stimolati a dare indicazioni in merito ai propri sentimenti, alle loro
opinioni e alle proprie emozioni in riferimento al prodotto o al servizio, per cercare di dare senso a una parola
tanto carica di valenze simboliche quanto difficile da definire a priori. È realmente difficile comprendere il
significato profondo del termine qualità, uno dei rischi maggiori e quello di confondere la qualità del prodotto con
i riferimenti puramente tecnici e aspetti esclusivamente superficiali.
Per molte imprese qualità è una norma scritta, la famosa normativa ISO 9000. Si tratta di un insieme di normative
internazionali sulla base delle quali tutti processi aziendale sono stati ridisegnati secondo un modello
razionalistico.
La qualità a cui fa riferimento il consumatore è un importante insieme di elementi di un prodotto o di una marca
per fronteggiare con successo una competitività crescente. In questo caso una prima definizione di qualità è relativa
alla capacità naturale fare nella maniera più compiuta le istanze di base del consumatore, ovvero la capacità fornire
come minimo ciò che il consumatore si aspetta. Ma non basta. Oltre a ciò che il prodotto deve offrire vi sono alcuni
attributi che rispondono alle aspettative del consumatore e altri attributi che contribuiscono alla valutazione
soggettiva di "qualità". L’importanza di un’attenta valutazione del grado di customer satisfaction nasce proprio
dall’esigenza di misurare il grado di soggettività della qualità di un prodotto o di un servizio. La qualità acquista
quindi una valenza multidimensionale.
A volte gli elementi che contribuiscono alla qualità di un prodotto rischiano di essere in contrasto tra di loro. Per
esempio, la qualità soggettiva percepita dai consumatori relativamente a un'auto può essere garantita per alcuni
dal comfort, per altri dalla sportività, per altri ancora dalla sicurezza o dall'innovazione tecnologica. Come dice
Fabris (2003), la qualità deve essere sempre più considerata e studiata come elemento complesso e
multidimensionale di un prodotto o servizio, capace di garantire un certo polisensualissimo, di determinare forti
emozioni e di stimolare la sensazione che il prodotto sia ricco e significativo, capace di essere attuale
culturalmente, di generare esperienze nella sua globalità senza ridursi a un suo aspetto o a un suo attributo, capace
di rapportarsi con la dimensione economica e di garantire originalità e distintività rispetta ciò che offre il mercato.
La percezione della qualità di alcuni prodotti deve fare i conti con alcune convinzioni e credenze difficili da
modificare. I prodotti realizzati nel proprio paese in genere sono percepiti di migliore qualità rispetto a come questi
stessi prodotti vengono percepiti dai consumatori di altri paesi così come prodotti provenienti da paesi
industrializzati sono percepiti di migliore qualità rispetto a quelli provenienti da paesi in via di sviluppo. I prodotti
vengono dunque percepiti in funzione della loro origine il legame, a volte assolutamente irrazionale e
ingiustificato, tra prodotto il paese di origine ma a volte effetti positivi e altre volte effetti molto negativi, poiché
per un processo di generalizzazione (effetto "alone") gli aspetti negativi di un paese possono essere generalizzati
a tutti prodotti di quel paese. Questi stereotipi rischiano di stimolare valutazioni superficiali e ingiustificate.
Introduzione
Fin dalla nascita noi apprendiamo. Apprendere significa riconoscere, associare e ricordare. Attraverso
l’associazione di un prodotto a un ricordo si crea la possibilità di un legame che si chiama fedeltà alla marca o
semplicemente riconoscimento della marca di un prodotto. L’apprendimento non si può osservare direttamente.
Possiamo infatti solo osservare il risultato di un processo che prevede degli input e un comportamento finale.
Secondo Hilgard e Bower (1975) il concetto di apprendimento si riferisce al cambiamento del comportamento di
un soggetto di fronte ad una data situazione per il fatto che quella situazione sia stata sperimentata ripetutamente.
Affermare che il comportamento del consumatore è in continuo cambiamento, significa riconoscere che il
consumatore evolve continuamente in base alla sua storia personale, l’influenza del gruppo di appartenenza,
influenza culturale etc. questo significa che lo studio di questi fenomeni difficilmente produce soluzioni valide nel
tempo e nello spazio perciò i dati sui consumi devono essere circoscritti ad un determinato prodotto o servizio, ad
un particolare gruppo di consumatori, così come ad uno specifico contesto spazio temporale.
L’apprendimento implica cambiamento: per apprendimento si intende qualsiasi cambiamento relativamente stabile
che si verifica in conseguenza di un’esperienza o di un’abitudine. È un processo che implica un’esperienza diretta
o indiretta con un oggetto, prodotto, situazione o persona. I consumatori apprendono preferenze o predisposizioni
a comprare certe marche, a preferire certi luoghi d’acquisto e di conseguenza cambiano i loro comportamenti. Il
cambiamento può essere innescato da nuovi stimoli che possono far cambiare i comportamenti. Affinché il
cambiamento sia duraturo è necessario che l’esperienza del prodotto sia soddisfacente e coerente con le aspettative
create dal messaggio pubblicitario. I consumatori continuano ad apprendere le regole che possono permettere la
soddisfazione dei loro bisogni e delle loro esigenze. Molti, infatti, non sono in grado di soddisfare quei bisogni
che possono permettersi o a soddisfare in maniera vicaria quelli che sono fuori dalla sua portata. Quindi, l’intero
comportamento dei consumatori è un comportamento appreso.
Si tratta quindi di un processo complesso in quanto la modifica continua del comportamento del consumatore
impone un costante sforzo di revisione di strategie di marketing e l’esigenza di comprendere i processi di base che
caratterizzano l’apprendimento e il continuo mutamento dei comportamenti dei consumatori.
Altro aspetto importante e che i cambiamenti comportamentali che costituiscono l’apprendimento hanno un valore
adattivo. Il valore adattivo è stato studiato da Darwin (definito primo teorico moderno dell’apprendimento). Nella
sua teoria l’apprendimento rappresenta uno dei 2 meccanismi principali che assicurano la sopravvivenza di un
organismo che si adatta in maniera rapida alle molteplici richieste di cambiamento provenienti dall’ambiente. Il
meccanismo è costituito dalla selezione delle caratteristiche che permettono alla specie di adattarsi alle variazioni
macroscopiche dell’ambiente. La selezione naturale agisce innanzitutto sul comportamento e solo in un secondo
momento sulla struttura biologica; gli organismi che si comportano in modo adattivo sono favoriti nella
competizione per la sopravvivenza e ancora di più lo sono quelli che sono in grado di apprendere comportamenti
adattivi. Nell’apprendimento, tra tutte le interazioni che un organismo instaura casualmente con l’ambiente,
verranno selezionate quelle che sono seguite da conseguenze positive (cioè adattive) per l’organismo. Queste
acquisizioni trasmesse alle generazioni successive, danno luogo all’evoluzione culturale della specie.
L’apprendimento è quindi il meccanismo individuale attraverso il quale si realizza l’evoluzione culturale. Nella
ricerca sui consumi, il valore adattivo dell’apprendimento consente ad un organismo di interagire nel modo
migliore con l’ambiente.
Attraverso la ripetizione le persone apprendono un’innumerevole quantità di cose anche accidentalmente.
Nell’apprendimento incidentale infatti non vi è volontà di apprendere nuovi comportamenti anche se ciò avviene
in maniera inconsapevole. A volte ha una valenza molto più forte di altre forme di apprendimento. Brehm parla di
teoria della reattanza secondo la quale quando le persone percepiscono di essere state private della loro libertà,
esercitano una resistenza (reattanza) e cercano di riaffermare la loro libertà e la loro capacità di controllo.
L’apprendimento incidentale si differenzia da quello basato sulla descrizione che prevede un processo di
acquisizione di informazioni anche attraverso esperienze vicarie. L’apprendimento può avvenire in maniera diretta
o indiretta.
Alla base del processo di apprendimento vicario (indiretto) vi è l’abilità umana di riconoscere le emozioni senza
la mediazione della razionalità. Con questo infatti non solo riusciamo a capire razionalmente quali sono i
comportamenti da avere per ottenere un premio o evitare una punizione ma riusciamo a vivere la medesima
esperienza emotiva come se agissimo in prima persona. Nell’apprendimento vicario il consumatore tende ad
associare il brand o il prodotto con l’emozione generata e rappresentata dal modello testimone, vedendo in quel
brand lo strumento sociale che permette di ottenere premi e punizioni. Si può così apprendere osservando il
comportamento di un attore. In generale le persone imitano comportamenti di altri se questi sono seguiti da effetti
positivi, mentre li evitano se seguiti da conseguenze negative.
L’altra forma di apprendimento deriva dall’esperienza diretta. L’apprendimento diretto prevede l’esperienza in
prima persona da parte del consumatore che elabora le variabili dell’esperienza e modifica di conseguenza il suo
comportamento passato. Naturalmente il processo non è così lineare ma l’elaborazione della propria esperienza è
sempre soggetta a possibili bias o errori di interpretazione. La stessa esperienza diretta avrà diversi significati in
funzione di una serie di variabili individuali, gruppali e culturali che porteranno a leggere quella particolare
esperienza in uno specifico modo.
Le teorie dell’apprendimento
Nessuna teoria riesce a piegare in maniera esaustiva il complesso processo di apprendimento. Il comportamentismo
fin dagli esordi si è occupato di apprendimento, focalizzandosi soprattutto sul tema dell’associazione.
Le teorie associazioniste si fondano sul lavoro di Pavlov e Thornidike, i quali dicevano che per il processo di
apprendimento potesse essere spiegato soffermandosi sull’associazione tra stimolo e risposta. Le teorie
comportamentali infatti nascono dalla considerazione che l’apprendimento è il risultato di risposte ad eventi
prevalentemente esterni. La forma più semplice di apprendimento è l’associazione cioè la connessione di due
oggetti o eventi in un determinato tempo e luogo. Queste associazioni si sviluppano frequentemente grazie al
ripetersi delle connessioni tra due variabili come ad esempio l’associazione di una melodia ad un prodotto, o un
prodotto ad un jingle.
L’associazione è alla base dei tentativi di marketing di associare i valori di una marca ad un prodotto. La pubblicità
mira a sviluppare questo tipo di associazioni. Il rinforzo (le conseguenze di un comportamento d’acquisto) sono
un fattore fondamentale nella costruzione dell’associazione. Infatti, se si ottengono conseguenze positive dal fare
una particolare azione, come acquistare e consumare un tipo di prodotto, la soddisfazione che ne viene fuori
aumenta la probabilità che tale azione o comportamento venga ripetuto in futuro. In questo processo determinante
è la forza della ricompensa, come lo è anche la motivazione poiché se non si è motivati non si è in grado di
apprendere associazioni.
Per le teorie comportamentali (condizionamento classico, condizionamento operante e modeling), il feedback
ricevuto a seguito di un comportamento rappresenta un fattore determinante del processo di apprendimento. Le
persone hanno piena consapevolezza che le azioni possono avere diverse conseguenze, le quali possono
comprendere la punizione, il rinforzo positivo, il rinforzo negativo (conseguenza positiva che deriva
dall’evitamento di qualcosa di spiacevole) e l’estinzione (mancanza di feedback, condizione che non porta alla
perdita di un particolare comportamento).
Il condizionamento classico
Il condizionamento classico descritto da Pavlov nell’esperimento della salivazione di un cane, si verifica quando
ad uno stimolo neutro si associa uno stimolo in grado di esercitare (stimolo incondizionato come il cibo) una
risposta incondizionata (come la saliva) ad uno stimolo neutro (il suono di un campanello o l’illuminarsi di una
lampadina). Dopo diverse associazioni, lo stimolo neutro si trasforma in stimolo condizionato, ovvero capace di
produrre la stessa risposta che solo lo stimolo incondizionato era in grado di attivare prima del processo di
associazione. Mentre Pavlov studiava l’attività digestiva dei cani si rese conto che introducendo nella bocca di un
cane della polvere di carne o soluzione acida, questo produceva una risposta involontaria e automatica, ovvero
salivazione. Tale riflesso venne chiamato risposta incondizionale o incondizionata.
Nel corso dei suoi esperimenti notò che l’animale iniziava a salivare prima che il cibo avesse raggiunto la bocca e
che quindi la salivazione era prodotta dalla vista del cibo o addirittura dal riconoscimento dell’uomo che
generalmente gli portava il cibo. Tale reazione non era sicuramente innata e naturale, evidentemente uno stimolo
insignificante aveva assunto per il cane un nuovo significato ovvero un segnale anticipatorio della comparsa del
cibo. Pavlov cosi durante l’esperimento presentò più volte al cane il cibo in grado di produrre la salivazione
associandolo al suono di un campanello. Il cane dopo un cero numero di associazioni tra stimolo neutro e stimolo
incondizionato apprese che il campanello era premonitore dell’arrivo del cibo. In questo caso accoppiando i due
stimoli, lo stimolo condizionato (precedentemente neutro) provocava una risposta di salivazione del cane. Si era
quindi verificato il condizionamento; un processo di sostituzione dello stimolo in base al quale uno stimolo
precedentemente neutro acquista la capacità di produrre la risposta che originariamente veniva prodotta da un altro
stimolo.
In pubblicità, molte promozioni e messaggi pubblicitari si ispirano al condizionamento classico, attraverso
associazioni di immagini positive capaci di produrre una risposta immediata e automatica con un prodotto che in
origine è neutro. L’associazione dell’immagine piacevole di un testimone con un prodotto neutro è un esempio di
condizionamento classico al mondo dei consumi. L’immagine del testimone agisce anche nei processi di
identificazione con i valori, i modi, gli stili di vita del testimone con cui si entra in contatto tramite la pubblicità
determinando una reazione piacevole alla vista del prodotto come a quella stimolata dal testimone. Il
condizionamento classico permette di associare ad alcuni prodotti degli stimoli capaci di generare emozioni forti
con l’obbiettivo di generalizzare tale emozione anche in relazione al prodotto. Ad esempio, alcuni spot televisivi
e radiofonici utilizzano la voce di famosi cronisti sportivi per evocare l’emozione che l’ascoltatore ha provato
durante eventi sportivi del passato. Nel condizionamento classico bisogna tenere in considerazione quattro
variabili:
1. Stimolo incondizionale (SI): è sempre in grado di provocare una risposta specifica da parte dell’organismo.
Incondizionata indica che è innata e naturale.
2. Stimolo condizionale (SC), in partenza stimolo neutro (SN): se viene associato a quello incondizionale
dopo un certo numero di presentazioni riesce a svolgere la stessa funzione producendone la risposta
specifica.
3. Risposta incondizionale (RI): risposta specifica prodotta da uno stimolo incondizionale (la saliva prodotta
dalla polvere di carne).
4. Risposta condizionale (RC): risposta allo stimolo condizionale. Da un punto di vista sostanziale non si
differenzia da quella incondizionale se non per esserne di poco interiore in termini di ampiezza.
Il condizionamento operante
I comportamenti di consumo sono determinati dall’effetto che producono. Se otteniamo soddisfazione e piacere la
probabilità di ripetere il comportamento che ci ha provocato tale sensazione sarà sicuramente molto alta. Questo
processo è il risultato di un condizionamento definito operante. Mentre il condizionamento classico è caratterizzato
dal processo di associazione tra due stimoli; il condizionamento operante secondo Skinner (1938) si basa sul ruolo
delle conseguenze di un comportamento. Il condizionamento operante prende questo nome dal fatto che il ruolo
dell’individuo è maggiormente attivo: l’individuo agisce e continuerà ad agire in funzione del tipo di conseguenza
che riceve. Le conseguenze infatti possono modificare la probabilità che il comportamento che le aveva prodotte
si verifichi ancora; esse possono quindi rendere un apprendimento o un comportamento già stabilizzato più forte,
ovvero più probabile, o meno. Questa possibilità rappresenta nel campo dei consumi, uno dei principali obiettivi
dei responsabili marketing di un prodotto specifico.
L’uso finalizzato delle conseguenze, ovvero la somministrazione di ricompense e punizioni in un contesto
sperimentale per individuarne le regole, i principi e le funzionalità, si deve allo psicologo americano Skinner, il
quale svolse una precisa analisi sistematica del rapporto tra un comportamento e le conseguenze naturalmente
prodotte dall’ambiente.
Il metodo proposto da Skinner è lo Skinner box una gabbia a prova di luce e suono nella quale un operandum (una
leva che veniva premuta da un ratto o un disco di luminoso beccato da un piccione) era collegato ad un meccanismo
di erogazione programmata di conseguenze ( un dispensatore di cibo o acqua e una sorgente di stimolazione
negativa) e a un registratore di risposte. La procedura prevedeva un periodo di deprivazione di cibo al ratto che
esplorava la gabbia, ed entro 10-15 minuti premeva casualmente la leva. La pressione esercitata sulla leva dal ratto
portava all’erogazione del cibo all’interno di una vaschetta. Fu osservato che il ratto una volta mangiata la pallina
di cibo ricominciava a curiosare per la gabbia premendo ancora la leva. Tutte le risposte registrate su un grafico
mostrarono come le pressioni diventavano sempre più frequenti e l’intervallo che separava l’una dall’altra sempre
minore. Questo processo fu integrato con un elemento aggiuntivo, facendo si che a volte il cibo fosse erogato dalla
pressione e a volte no. Inoltre, la leva fungeva anche da elemento anticipatorio delle conseguenze. Appare chiaro
come nel condizionamento operante la conseguenza cibo rinforza il comportamento che ne ha prodotto
l’erogazione. Quindi le conseguenze che possono incrementare o ridurre la probabilità dell’azione sono 4:
- rinforzo positivo: è uno stimolo che rafforza una determinata classe di risposte. Gli esempi nella vita sono
infiniti, dalla buona riuscita di un’interrogazione ai complimenti per l’eleganza nel vestire. Ottenere un
rinforzo positivo facilita l’apprendimento di un nuovo comportamento o il rafforzamento di un’abitudine.
- rinforzo negativo: È uno stimolo che rafforza un comportamento mediante la sua rimozione. È’ quella
conseguenza che rafforza quei comportamenti che ci hanno permesso di evitare qualcosa di spiacevole,
come per esempio svegliarsi presto la mattina per arrivare puntuali in ufficio onde evitare il rimprovero
del capo. Molti messaggi pubblicitari si servono del messaggio che sottolinea l’importanza
dell’evitamento di qualcosa di spiacevole. Comprare un profumo per evitare di non essere apprezzati è un
comportamento che si basa sul rinforzo negativo.
- Punizione: È l’ottenimento di qualcosa di spiacevole e tende a inibire o a ridurre un comportamento. La
punizione diminuisce temporaneamente l’intensità o la frequenza del comportamento che segue ma non
lo elimina completamente, esso infatti ricompare e addirittura la punizione può avere l’effetto paradossale
di impedire che si verifichi questo processo di disapprendi mento chiamato estinzione. Non basta
aumentare le punizioni perché si riduca un determinato comportamento, si pensi ad esempio alle droghe.
La punizione non cancella l’apprendimento del comportamento che segue, ma dà luogo con
temporaneamente all’apprendimento di altri comportamenti, primo fra tutti quello dell’apprendimento di
reazioni emotive condizionate che interferiscono con gli apprendimenti successivi. Un individuo che viene
punito continuamente presente disturbi emozionali forti come paura, ansia, aggressività. Un’altra risposta
che viene appresa dopo una punizione è la risposta di evitamento che si traduce in qualunque
comportamento possa prevenire un’altra punizione.
- Estinzione: È la diminuzione della forza della risposta. La velocità con cui avviene il decremento del
comportamento dipende dalla storia di apprendimento dell’individuo. Se siamo abituati a trovare sempre
e comunque il nostro prodotto preferito sullo scaffale del supermercato, non trovandolo dopo un
determinato numero di tentativi ci rivolgiamo all’addetto per chiedere spiegazioni. Se invce siamo persone
abituate a non trovare subito quel prodotto perché per esempio è esotico, prima di desistere e chiamare
l’addetto, faremo una serie di tentativi guidati dall’esperienza passata grazie alla quale abbiamo appreso
che è difficile reperire quello specifico prodotto. Il primo comportamento è basato su una storia di
apprendimento normale che produce una bassa resistenza all’estinzione. Il secondo comportamento deriva
da un apprendimento particolate, controllata da un modello di rinforzo intermittente e che produce un’alta
resistenza all’estinzione. Quando il rinforzo è discontinuo, la risposta tende a persistere a lungo e
l’apprendimento è molto più efficace.
Il rinforzo è un evento-stimolo che ha come effetto quello di rafforzare, cioè rendere più frequente e probabile un
comportamento.
Riepilogando, la differenza tra condizionamento classico e operante è che il primo avviene in maniera automatica
senza la consapevolezza del consumatore e l’apprendimento è il risultato di un’associazione. Il secondo invece più
complesso e spiega come i consumatori apprendono attraverso prove ed errori.
A volte apprendiamo un comportamento attraverso l’insight. Studiato già da Kotler nel 1968, non è altro che una
forma di intuizione che ci permette di trovare una soluzione a volte molto innovativa per risolvere un problema o
un quesito. Questo deriva dalla capacità di essere flessibili, dall’uscire da schemi precostituiti. È un processo di
apprendimento studiato dalla psicologia cognitivista che si è occupata dell’elaborazione delle informazioni, dei
processi di categorizzazione degli stimoli etc. L’attenzione per la mente da parte del cognitivismo porta ad un
superamento del comportamentismo, concentrandosi sulla mente non più come magazzino nel quale si accatastano
conoscenze, ma bensì una struttura assai elaborata e connessa. Viene abbandonata l’idea della memoria come
passiva e vengono alla luce dei dati centrali: tanto più la conoscenza è strutturata tanto più facile è memorizzare.
La struttura è tanto più potente quanto ramificata e connessa con altre. A questo modello si può fare risalire
l’apprendimento e la memorizzazione delle mappe cognitive. Anche per il processo d’acquisto, l’utilizzo delle
mappe è molto interessante. Ognuno di noi infatti ha delle mappe più o meno elaborate che indicano dove alcuni
prodotti dovrebbero essere in un particolare negozio.
Il processo di apprendimento per imitazione viene definito modeling da Albert Bandura e consiste nel processo
attraverso cui una persona osserva l’azione di un modello (affascinante, attraente prestigioso). In questo caso le
ricompense ricevute dagli altri in maniera indiretta rappresentano una forma di rinforzo del comportamento
osservato. Il modeling parte dalla considerazione che il termine esperienza non si riferisce solo al contatto diretto
con le cose, eventi e conseguenze di un comportamento ma anche esperienze indirette e conseguenze mediate, la
cui azione è stata vista su altre persone. Presupposto del modeling è l’apprendimento osservatorio, che implica un
modello e un osservatore. Se la frequenza del comportamento dell’osservatore cambia in funzione del
comportamento del modello osservato si parla di modellamento. Tra i vari fattori che entrano in gioco nel
modellamento, primo fra tutti è il processo di imitazione, poi le proprietà di stimolo del modello (età, sesso, status
e la somiglianza del modello con il soggetto), il tipo di comportamento del modello, ruolo del rinforzo e le
caratteristiche motivazionali dell’osservatore. Una donna che compra un determinato prodotto cosmetico potrebbe
ricordare l’effetto positivo che questo prodotto ha avuto in un gruppo di amiche. L’utilizzo del testimonial in una
campagna pubblicitaria si basa proprio su l’apprendimento per imitazione. In questo caso infatti acquistare le
marche che il proprio idolo usa significa non solo avere gli stessi benefici e le stesse ricompense ma significa
anche immaginarsi come il proprio idolo.
Tale apprendimento è stato studiato soprattutto da esperti dello sviluppo del bambino. Tra questi Albert Bandura,
che è il creatore della teoria dell’apprendimento sociale, che sostiene che l’uomo per sua natura tende a imitare i
modelli sociali, e quindi è proprio attraverso l’osservazione e l’imitazione che acquisisce comportamenti. Secondo
la teoria, l’apprendimento avviene anche grazie a quello che viene definito rinforzo vicariante: osservando e
ricordando che qualcuno viene premiato e lodato per un particolare comportamento, il soggetto che osserva può
essere incoraggiato ad imitarlo. Al contrario guardare un soggetto che viene punito suscita comportamento
opposto.
Anche se non fu lui a chiamarla così, Bandura formulò negli anni ‘60 la teoria del modellamento (modeling) che
indica come avviene il processo di influenzamento della comunicazione di massa sui comportamenti degli
spettatori. Essa consiste in diverse fasi:
1) lo spettatore vede/legge nel contenuto mediale una persona (il modello) che compie una determinata azione;
2) l’osservatore si identifica con il modello;
3) l’osservatore riconosce che il comportamento è funzionale cioè che produrrà un risultato desiderabile;
4) quando si trova in una situazione di stimolo, ricorda le azioni del modello preso in considerazione e riproduce
quel comportamento come risposta a quella situazione;
5) compiere l’azione riprodotta da all’individuo qualche ricompensa che fa sì che il legame tra stimolo e quella
risposta suggerita dal modello venga rinforzato;
6) il rinforzo positivo aumenta la probabilità che quella risposta venga ripetuta abitualmente dall’individuo.
Teoria della disinibizione: Secondo alcuni autori la visione prolungata di immagini violente desensibilizza il
soggetto ad un punto tale che scene di stupro di un film producano una riduzione del livello di ansia legato a quel
tema e minore empatia e solidarietà per le vittime. Con il concetto di emulazione si intende un processo pericoloso
che in questi ultimi anni abbiamo imparato ad apprendere. Proprio per evitare tale rischio molte notizie di cronaca
vengono comunicate cercando di non enfatizzarle eccessivamente.
Il termine memoria si riferisce a informazioni o rappresentazioni interne basate su esperienze passate e in grado di
influenzare il comportamento futuro. Rappresenta quindi l’abilità cognitiva di acquisire, conservare e utilizzare in
un momento successivo le informazioni riguardanti il mondo intorno a noi e la nostra esperienza in esso. Nel
mondo dei consumi possiamo fare riferimento a diversi aspetti del processo mnemonico. Tra i vari, ad esempio la
capacità di un messaggio promozionale di un prodotto di essere ricordato nel momento della scelta o ancora il
ricordo di un’esperienza passata in relazione a quel prodotto o l’emozione provata per averlo posseduto sono tutti
elementi che incidono sulla scelta. I prodotti fungono da stimolazioni per rivivere o anche evitare di rivivere
esperienze passate. La nostalgia è un’emozione che viene molto utilizzata nella pubblicità per legare un prodotto
o servizio ad un momento storico pieno di ricordi positivi. Il termine nostalgia deriva dal greco nostos (ritorno a
casa) e algos (dolore) e fu coniato da un medico svizzero nel 1688 e utilizzato per descrivere una precisa malattia.
Poteva essere una sindrome privata o un morbo pubblico. Nel marketing si è consolidata una branca chiamata
marketing della memoria che crea prodotti e brand come tasselli principali nella costruzione di identità e storie di
gruppi e generazioni. La Nutella un tempo alimento d’élite, è stata riposizionata creando nuove occasioni di
consumo. Sono stati creati legami forti con la tradizione ed il passato, da prodotto da consumare di nascosto da
soli a prodotto da condividere con gli amici.
Per capire i meccanismi che caratterizzano l’uso della memoria nel mondo dei consumi deve conoscere meglio il
processo mnemonico. La memoria è strettamente legata all’apprendimento, cosa e come un individuo ricorda
dipende da diversi fattori: la correlazione tra categorie, immagini ed esperienze, età dei soggetti, la frequenza con
cui un’immagine viene richiamata alla memoria. Il ricordo di un evento è soggetto ad una serie di alterazioni
determinate da diversi fattori tra cui l’emozione. La memoria non è mai uno specchio fedele della realtà ma il
risultato di un processo di elaborazione e rielaborazione delle informazioni. Si tratta di un processo di attribuzione
di causa che prende forma quando cerchiamo di spiegare un comportamento passato, attribuendo un nuovo valore
all’esperienza memorizzata e ricategorizzando l’esperienza stessa in maniera diversa. I ricordi di relazioni affettive
so no soggette a continue modifiche a causa delle emozioni che vi sono collegate. L’abbandono di un partner
trasforma i momenti più cari inesperienze amare modificando il ricorso. Si tratta del cosiddetto processo di
elaborazione del lutto che porta ad attribuire diversi significati all’esperienza e a dimenticare la spiacevolezza
dell’esperienza.
La memoria quindi non consiste in una semplice operazione di immagazzinamento di informazioni, di
elaborazione d’idee, sentimenti ed emozioni passate, ma in un processo dinamico, che coinvolge da un lato
meccanismi automatici e automatizzati, e dall’altro, un insieme di strategie tra cui hanno particolare importanza il
pensiero, l’attenzione e la percezione.
Uno dei primi autori a occuparsi di memoria è stato Ebbinghaus (1885) che concentrandosi sull’oblio riteneva
fosse da attribuire al passare del tempo. Tale teoria conosciuta come legge del decadimento fu confutata sulla base
dei risultati sperimentali che misero in evidenza come non fosse il passare del tempo a causare l’oblio ma quello
che avviene tra l’apprendimento e il recupero dell’esperienza. Si parla perciò di interferenza: retroattiva e
proattiva.
- Interferenza retroattiva: avviene quando la nuova informazione inibisce il recupero dell’informazione
vecchia. Le info di un nuovo prodotto possono interferire con il ricordo di uno specifico prodotto.
- Interferenza proattiva: le informazioni vecchie agiscono inibendo il recupero delle info apprese
recentemente.
Lo studio dell’interferenza nella comunicazione mediatica è determinante affinché le informazioni siano
correttamente memorizzate. Alcuni studiosi dicono che quando singoli blocchi monotematici diventano troppo
consistenti è auspicabile attuare salti di argomento che portino ad un reset del sistema cognitivo di ricezione e
immagazzinamento della memoria. L’interferenza dimostra come il processo economico non è un semplice
rispecchiamento della realtà ma un continuo processo di riorganizzazione delle informazioni.
Alla fine degli anni 60, all’interno della prospettiva cognitivista dello Human Informating Processing, gli psicologi
Atkinson e Shiffrin, elaborano il primo modello della memoria che per immagazzinamento, che distingue memoria
a breve termine (MBT) da quella a lungo termine (MLT). La memoria è immaginata come una sequenza di tre
magazzini in cui passa l’informazione che non può essere elaborata da un magazzino se non è stata filtrata da
quello precedente. Il primo magazzino è definito memoria sensoriale, qui l’info rimane per qualche secondo.
Questo tipo di registro non richiede l’attenzione da parte dell’individuo e rappresenta la prima forma di
immagazzinamento degli stimoli con le loro caratteristiche sensoriali. Successivamente se si presta attenzione alla
stimolazione, l’informazione passa nel magazzino a breve termine che ha capacità limitata; generalmente il limite
è di sette elementi, questa permette all’uomo di mantenere in uno stato attivo una limitata quantità d’informazioni
per un breve periodo di tempo e compiere su tali info diverse operazioni. Infine, solo attraverso l’elaborazione e
l’organizzazione degli stimoli, le info vengono concatenate (Chunking) con altre informazioni e passano nel
magazzino a lungo termine.
La memoria a lungo termine è costituita dall’insieme di rappresentazioni, fatti, immagini sentimenti, esperienze
che possono essere presenti per tutta la vita. Secondo Graft e Schacter nel magazzino a lungo termine è possibile
distinguere tra memoria implicita ed esplicita. Parliamo di memoria implicita quando esperienze precedenti
facilitano l’esecuzione di un compito che non richiede un recupero intenzionale di quelle stesse esperienze
(l’acquisto di routine di un prodotto ormai familiare non richiede ad esempio l’analisi di tutte le informazioni
disponibili) parliamo invece di memoria esplicita quando invece l’esecuzione di un compito richiede il recupero
consapevole di tali esperienze (acquisto di un prodotto ad alto rischio).
All’interno della memoria a lungo termine possiamo distinguere anche la memoria semantica e la memoria
episodica. La memoria semantica fa riferimento alle conoscenze che i consumatori hanno di un prodotto.
Rappresenta l’insieme di significati attribuiti ad un prodotto (es.: tutte le informazioni relative al cibo giapponese);
la memoria episodica invece fa riferimento all’insieme delle informazioni che hanno uno specifico legame con un
episodio o un momento. Es.: il ricordo di uno specifico ristorante giapponese mentre eravamo rapiti dagli occhi
del nostro partner che era con noi. Le strategie di comunicazioni tendono a attivare l nostra memoria episodica,
stimolando emozioni e vissuti. Un tipo di memoria semantica nel marketing è quella che fa riferimento a come
viene percepita l’immagine del brand (brand image) ad esempio l’immagine del baffo Nike richiama alla mente
una serie di concetti e significati che sono stati associati al brand; sportività libertà coraggio etc.
Studiando la memoria con compiti di rievocazione, gli psicologi hanno osservato che se il tempo che intercorre tra
la presentazione di una lista di parole ed il ricordo di queste è breve, è più probabile che i soggetti ricordino le
parole che si trovano verso l’inizio e la fine della lista piuttosto che quelle centrali. Le prime parole vengono
ripetute più volte e man mano che si va avanti nella lista diventa più difficile ricordarle tutte. Ne consegue che le
parole che si trovano all’inizio sono ricordate meglio (effetto primacy) rispetto alle altre. Inoltre, poiché la memoria
a breve termine ha una capienza limitata, ogni parola successiva esclude quella precedente, ecco perché è più
probabile che vengano ricordate le ultime parole piuttosto che quelle centrali (effetto recency)
Tra gli altri fattori recentemente studiati dalla psicologia cognitiva vi è il fenomeno del priming (preattivazione)
inteso come la facilitazione nell’elaborazione di uno stimolo in seguito a un’esperienza recente con quello stesso
stimolo. Il priming di ripetizione si ha quando un primo incontro con uno stimolo (stimolo primer) aumenta l’abilità
di analizzare quello stesso stimolo a una successiva presentazione. Questa facilitazione è misurata in termini di
velocità (maggiore rapidità) della risposta o di accuratezza (maggiore precisione) nella prestazione. Questa
facilitazione è molto importante per il marketing perché se viene utilizzata bene permette il riconoscimento
immediato di un prodotto.
Network associativo: l’arrivo di nuove informazioni deve fare i conti con questa struttura presente in memoria. Un
consumatore per esempio potrebbe avere una rete per il concetto di pasta, ciascun nodo rappresenta un concetto
collegato alla categoria pasta; questi nodi potrebbero essere un attributo (pasta fresca, provenienza geografica,
tipologia) uno specifico brand (Rana, Voiello) un personaggio famoso o testimonial. È importante nelle fasi di
ricerca comprendere quale possa essere il set evocato dal concetto in maniera tale da rilevare i link di nodi della
rete semantica memorizzata e la loro forza. Alcuni link infatti sono molto forti nella mente dei consumatori, altri
invece molto deboli. Attraverso il concetto di network associativo è possibile descrivere le strutture della
conoscenza dell’individuo, studiare i contenuti, l’articolazione per comprendere quali sono le conoscenze
utilizzate dal consumatore per la scelta e la presa di decisione sulla base delle info memorizzate. Importante è il
grado di accessibilità degli attributi al fine di ottenere info utili riguardo un concetto o un brand.
Per studiare la rete di associazioni si può fare riferimento al paradigma della rievocazione libera. Esso
consiste nel far rievocare al soggetto il materiale appreso precedentemente (in qualque modo sia stato
appreso) nell’ordine da lui preferito. Questo consente di sottolineare alcuni effetti quali primacy e recency,
categorizzazione, clustering e organizzazione soggettiva. Si parla anche di rievocazione suggerita quando
uno stimolo viene suggerito al soggetto con il fine di facilitare la rievocazione. I jingle o i claim degli spot
servono proprio a facilitare il ricordo di un prodotto. Vi sono alcuni fattori chiave di attivazione nel
recupero delle informazioni:
Fattori fisiologici: gli anziani tendono a ricordare meglio le esperienze passate e le info memorizzate
durante la giovinezza.
Fattori situazionali: la novità dell’info influenza la memorizzazione.
Fattori emozionali: se l’emozione provato nel momento d’acquisto è simile con quella attivata dalla
comunicazione pubblicitaria, la scelta del prodotto è facilitata. (mood congruence effect)
Da quanto detto finora risulta quindi che il processo mnemonico è soggetto a diversi fattori e variabili che occorre
studiare per cercare di comprendere se gli investimenti pubblicitari hanno contribuito ad aumentare la capacità di
riconoscimento di un prodotto o di un marchio e la sua memorizzazione.
Uno degli indicatori più utilizzati è l’impressione che questa riesce a lasciare tra i consumatori attraverso l’analisi
del riconoscimento (ovvero la capacità di riconoscere uno spot dopo che è stato mostrato al consumatore), oppure
attraverso il test del richiamo secondo il quale si chiede ai consumatori di ricordare gli spot di alcuni prodotti.
Entrambi i processi sono importanti nel processo di acquisto: il riconoscimento per il valore che ha la possibilità
di riconoscere un particolare prodotto nel momento dell’acquisto, e il richiamo per il valore delle informazioni
memorizzate, importanti nel momento in cui il consumatore on ha indicazioni a disposizione e deve far fronte alla
soluzione del problema della scelta servendosi solo dei dati memorizzati.
PARTE II – PROCESSI SOCIALI E INFLUENZA SUL CONSUMATORE
Introduzione
Occorre considerare il comportamento di consumo come risultante di tre principali aspetti: le specificità personali
e caratteriale degli individui (che comprendono quindi personalità, percezioni, atteggiamenti, bisogni e desideri),
l’ambiente e le influenze sul singolo soggetto (rappresentati dall’influenza della cultura, delle subculture, della
famiglia, degli amici e del contesto sociale in genere), le specificità fisiologiche dei singoli (dimensione biologica
ereditaria dell’individuo). Questi tre elementi sono quindi strettamente correlati tra di loro. Secondo il modello
indicato da Chaudhuri, così eventuali stimoli di marketing si trasformano in risposte razionali e affettive in
relazione alle influenze determinate dagli aspetti individuali, ambientali e genetici. Secondo tale modello, le
emozioni influenzano le motivazioni principali nei processi decisionali e nel comportamento del consumatore,
essendo questi aspetti determinanti nella celta dei prodotti e dei servizi e nella valutazione dei messaggi
pubblicitari. Per questo, nello studio delle motivazioni al consumo, occorre non solo far riferimento ai processi
razionali e di valutazione, ma anche al valore emotivo e affettivo degli stimoli, e al ruolo che la cultura e i valori
hanno nell’influenzare sia le emozioni che il processo di valutazione razionale.
L’essere umano, inserito in un ricco e articolato contesto sociale e culturale, è caratterizzato da bisogni determinati
da esigenze biologiche quali dormire, mangiare e riprodursi, e da bisogni che si sviluppano nell’ambiente sociale
in cui vive quali aspirazione a raggiungere una certa posizione sociale o essere accettati e stimati dagli altri. Oggi
il consumo trascende il valore funzionale di soddisfazione dei bisogni. Il cibo ad esempio oggi ha anche una
valenza simbolica, sia nella scelta del tipo di cibo che nelle modalità di assumerlo. Possiamo distinguere tra bisogni
innati, naturali e generici che riguardano la natura dell’essere umano e bisogni acquisiti, culturali e sociali che
sono strettamente collegati all’esperienza alle condizioni ambientali e all’’evoluzione della società.
La motivazione può essere definita come quella spinta interna che determina un’attivazione diretta al
raggiungimento di un obiettivo. Le motivazioni sono quindi dei processi che portano i soggetti a comportarsi in
un determinato modo, e rappresentano una spinta che orienta l’organismo verso un’azione finalizzata al
raggiungimento di uno scopo o di un obiettivo.
Parliamo di motivazioni primarie per quelle motivazioni che sono direttamente connesse ai bisogni fisiologici
fondamentali (fame, sete, contatto emotivo), secondarie per quelle motivazioni prodotte dai processi di
apprendimento e dall’influenza sociale. Queste ultime fanno riferimento ai bisogni appresi (autostima, prestigio,
potere, ricchezza) dal contesto sociale e organismo sociale (famiglia, scuola lavora e mass media). Secondo la
teoria più classica, la motivazione è il risultato di uno stato di tensione che guida il consumatore con il fine di
cercare di ridurre o eliminare il bisogno stesso. La direzione in cui la spinta viene incanalata, viene descritta come
motivo vero che sta alla base di un preciso comportamento del consumatore, capace di ridurre lo stato di tensione
e riportare l’individuo a una situazione di omeostasi. Il processo di fatto è molto più complesso.
Infatti, in molte circostanze, i consumatori sembrano motivati a tenere desta lo stato di tensione piuttosto che
tentare di raggiungere uno stato di equilibrio riducendo lo stato di tensione determinato dalle pulsioni. A volte
sembra che l’individuo tenda ad avere comportamenti che provocano un aumento di tensione e uno stato di forte
attivazione fisiologica (arousal). Con questo termine si indica l’intensità fisiologica e comportamentale. Alcune
esperienze di consumo infatti si basano sulla motivazione a ricercare forte emozioni e mantenere alta la tensione
psicofisica. Pensiamo ad esempio al piacere di dilazionare la soddisfazione mantenendo attivo lo stato di tensione
per poter godere di una soddisfazione maggiore subito dopo (esempio preferiamo non rovinarci l’appetito
mangiando un aperitivo molto ampio per poi godere della cena).
Gli studiosi della teoria dell’arousal ritengono quindi che la motivazione abbia a che fare non solo con la riduzione
ma anche con l’accrescimento dell’attivazione che alla fine ne rappresenta una forma di regolamentazione. Questa
teoria presuppone quindi che i soggetti siano motivati non tanto ad abbassare l’arousal quanto a mantenerlo a
livello ottimale, tanto da riconoscere coloro che maggiormente sono attratti da questa forma di attivazione
(sensation seekers).
Già a partire dagli studi di Festinger(1975) sulla dissonanza cognitiva, è stato dimostrato che gli individui pur di
non trovarsi in uno stato di disagio determinato dalla dissonanza tra i propri atteggiamenti e comportamenti,
tendono a selezionare le info per rendere coerenti tra di loro atteggiamenti e comportamenti. La dissonanza, intesa
come incoerenza tra atteggiamento dichiarato e comportamento agito, provoca uno stato di tensione che spinge
l’individuo ad adottare tutte le possibili soluzioni per recuperare uno stato di coerenza, di equilibrio e
conseguentemente di benessere.
L’individuo quando si trova in uno stato di disagio per porre fine a tale stato di tensione, è portato o a modificare
il proprio atteggiamento o a selezionare adeguatamente le informazioni. Così di fronte ad una decisione, esempio
comprare un’automobile, pur di evitare il disagio provocato da informazioni contrastanti con la propria scelta,
legge e ricorda solo le info che supportano quella scelta rinnegando o screditando tutte le informazioni che
dimostrano che l’individuo a commesso un errore nell’acquistare quell’auto. L’individuo utilizza filtri cognitivi
per la selezione delle informazioni ed adatta la realtà modificando i suoi atteggiamenti per mantenere uno stato di
equilibrio interiore.
Ogni atto d’acquisto, ogni messaggio pubblicitario, ogni relazioni con gli altri, vengono inseriti e compresi
all’interno di precisi percorsi di senso che l’individuo costruisce, analizzati alla luce dei propri filtri cognitivi e
affettivi analizzati alla luce dei propri filtri cognitivi ed affettivi al fine di leggere la realtà e gli eventi secondo uno
schema coerente con i propri bisogni desideri e aspettative. Secondo Kunda la gente tende a vedere ciò che vuole
vedere, secondo quel processo definibile tendenza alla conferma. Secondo questo principio l’individuo ricerca
quelle informazioni che confermano il proprio punto di vista o l’immagine positiva di se stessi. Altro meccanismo
è l’optimistic bias, errori secondo i quali il consumatore tende a percepire e rappresentare se stesso in forme più
positive di quanto farebbero gli altri; o ancora la tendenza del consumatore a focalizzarsi su immagini e pensieri
congruenti con la propria aspettativa guidato da una vera e propria illusione di obiettività.
In questo senso, le motivazioni umane, e quelle orientate al consumo, non si esauriscano nei soli bisogni ma anche
negli obiettivi e aspettative al fine di guidare il comportamento.
In questa direzione, gli studiosi Miller, Galanter e Pribram (1960) hanno elaborato il Modello TOTE (test operate
test exit), proponendo il concetto di comportamento guidato da scopi. Ogni azione è diretta verso uno scopo
specifico e ogni volta che un individuo deve compiere un’azione, prepara un piano di comportamento per ottenere
lo scopo prestabilito. Alla fine di questo processo, vige il principio dell’effetto secondo il quale gli individui
tendono a massimizzare i profitti e a ridurre le perdite o limitare le punizioni. Secondo questa legge, i consumatori,
nel soddisfare i propri bisogni, saranno guidati da ciò che in passato ha portato alla loro soddisfazione.
La teoria dell’aspettativa ci dice che l’individuo è motivato dall’attesa di ottenere ricompense positive dall’evitare
esperienze negative. Weiner e altri autori per spiegare il processo motivazionale analizzano le componenti
cognitive dei processi di attribuzione della causalità del successo e dell’insuccesso. Egli distingue le cause in:
interne/esterne, stabili/instabili, controllabili/non controllabili.
L’impegno è causa interna variabile e controllabile, mentre l’abilitò è causa interna stabile e non controllabile.
Non è sufficiente aver stabilito di essere causa dei propri successi poiché occorre decidere se il proprio successo è
frutto di impegno oppure di specifiche capacità. La spinta motivazionale è strettamente dipendente da una serie di
fattori: tra questi vi è l’attribuzione del locus of control. Gli individui nell’accumulare successi e insuccessi e nel
rapportarsi con eventi positivi o negativi che costellano la sua esperienza, struttura un proprio sistema specifico di
attese.
Questi sistemi di attese vengono divisi in due categorie dalle quali derivano due prototipi di soggetti. A un estremo
si posizionano coloro che hanno un locus of control interno che credono nella propria capacità di controllare gli
eventi, questi soggetti attribuiscono i propri successi o insuccessi alle proprie capacità volontà e abilità. All’altro
estremo si posizionano coloro che hanno un locus of control esterno secondo i quali gli eventi della vita, come
premi e punizioni dipendono da fattori esterni imprevedibili, quali il caso e la fortuna.
Altri due fattori in grado di influenzare il processo di motivazione sono: la stabilità della causa e la sua
controllabilità. Sul piano psicologico questi due processi possono influire sul modo di percepirsi e di percepire gli
altri. Se l’individuo attribuirà il suo insuccesso ad un impegno sufficiente e non alla mancanza di abilità persevererà
nel suo scopo e si sentirà motivato a impegnarsi maggiormente la volta successiva. Se al contrario attribuirà
l’insuccesso alla mancanza di abilità sarà propenso a rinunciare.
La motivazione intrinseca è quella che porta ad intraprendere un’attività perché di per sé motivante. Un soggetto
quando è intrinsecamente motivato, attiva il suo comportamento per divertimento o sfida e non per ricompense
esterne. Le attività dell’individuo estrinsecamente motivato invece sono sostenute da rinforzi esterni (vantaggi,
ricompense, evitamento di conseguenze sgradevoli).
La motivazione intrinseca non può essere rappresentata come un costrutto unitario, ma va considerata sfaccettata.
Secondo la Multifaceted theory of intrinsic motivation si possono distinguere 16 desideri fondamentali alla base
del costrutto della motivazione intrinseca. La soddisfazione di ciascuno dei desideri produce un sentimento di
gioia, e si può ipotizzare che ogni consumatore abbia una diversa attribuzione di priorità in base al contesto sociale,
ai valori di riferimento e esperienze personali. Secondo questo schema ciò che motiva gli individui è la discrepanza
tra la quantità di soddisfazione intrinseca desiderata e quella che viene esperita.
Il significato degli oggetti di consumo e la soddisfazione dei bisogni ad essi correlati sono prevalentemente
simbolici. Ciò non vale solo per gli oggetti più costosi ma anche per quelli più insignificanti. Gli oggetti di
consumo possono essere infatti parte integrante della storia personale di un individuo e del suo modo di
rappresentarsi, di narrarsi e di percepirsi. In un contesto sociale in cui le relazioni tra persona e oggetti di consumo
sono sempre più correlate con le biografie individuali, lo studio delle motivazioni all’acquisto deve prevedere un
approfondimento del valore simbolico degli oggetti, senza soffermarsi solo su quello funzionale. Se non fosse così
non si spiega il senso e il significato di promuovere la vendita di una scopa chiamandola per nome Pippo e
rappresentandola con valori simbolici e significati relazionali anche se si tratta di un oggetto così comune.
Il consumo è quindi caratterizzato da un sistema di simboli che dev’essere analizzato nel magma socioculturale in
cui si manifesta, oltre che essere studiato secondo principi basici e funzionali universali.
La dimensione gerarchica della motivazione e la catena mezzi-fini
Le motivazioni possono essere intese come sistemi gerarchi di scopi e come sistemi di monitoraggio e controllo
per raggiungere gli scopi medesimi attraverso un processo che può essere distinto in diverse fasi:
1) individuazione degli obiettivi;
2) valutazione dei mezzi disponibili;
3) traduzione delle intenzioni in azioni;
4) cambiamento degli obiettivi e delle strategie per raggiungerli in funzioni del variare del contesto.
Questa visione gerarchica prevede anche una suddivisione degli scopi in maniera altrettanto gerarchica, infatti
possiamo individuare obiettivi o scopi centrali e obiettivi o scopi secondari. Per esempio, se la motivazione che
spinge il consumatore è perdere kili di troppo, questa rappresenta lo scopo principale al quale possono essere
correlati una serie di copi secondari quali la cura del proprio corpo ed il benessere. La motivazione quindi può
essere definita come una configurazione organizzata di esperienze soggettive che consente di spiegare l’inizio, la
direzione e la persistenza di un comportamento per raggiungere uno scopo. È sempre più frequente sostituire al
termine motivazione orientamento motivazionale che esprime meglio questa evoluzione teorica.
La presenza di molteplici bisogni alla base del comportamento di consumo era già stata rappresentata da Williams
nel 1982 che diceva che è possibile descrivere il rapporto tra comportamento agito e aspetti motivazionali sulla
base di due rappresentazioni: modello mezzi-fini e quello che presenta la motivazione come un conglomerato di
bisogni.
La catena mezzi fini è lo strumento concettuale che permette di comprendere il modo in cui i consumatori
percepiscono le conseguenze che derivano dall’utilizzo e consumo di un prodotto. L’ acquisto di una lavastoviglie
di una certa marca risponde contemporaneamente a diversi bisogni posti in ordine gerarchico: il piacere della
pulizia, il desiderio di un aiuto nelle pulizie di casa, la voglia di autonomia.
Il collegamento tra consumatore e prodotto avviene pertanto attraverso la costruzione di una serie di relazioni tra
attributi concreti e astratti del prodotto, conseguenze funzionali e psicologiche legate all’uso del prodotto, e infine
bisogni di base e motivazionali finali. I beni/ servizi vengono visti dal consumatore vengono visti dal consumatore
come strumenti per la soddisfazione dei propri bisogni più o meno consci. Nel modello mezzi-fini, il prodotto
quindi non è scelto e acquistato per se stesso ma per il significato che questo assume nella mente del consumatore.
L’analisi mezzi fini ha una valenza molto importante, essa infatti permette l’analisi di posizionamento e
segmentazione del mercato, lo sviluppo di nuovi prodotti o il miglioramento di quelli attuali e l’elaborazione di
strategie di comunicazione.
Per il collegamento tra bisogni di base (mezzi) e quelli finali, occorre utilizzare delle tecniche appropriate. Spesso
infatti, la posizione gerarchica dei bisogni non è immediatamente disponibile alla consapevolezza del consumatore.
Per questo, nella descrizione della catena mezzi – fini, e per comprendere in che modo i consumatori percepiscono
il prodotto e il significato personale che a esso attribuiscono è necessario utilizzare le tecniche d’intervista in
profondità, il cui scopo è quello di costruire una serie di mappe cognitive, o Hierarchical Value Maps.
Il metodo più utilizzato per ricostruire e valutare la catena mezzi-fini è il laddering, una tecnica qualitativa di
intervista in profondità one to one con il cliente e che permette di ricostruire e rappresentare graficamente la mappa
cognitiva delle relazioni tra prodotti, attributi, benefici, bisogni e valori. Con questa tecnica vengono indagati i
motivi di una scelta d’acquisto, tentando di risalire dagli attributi del prodotto che l’hanno determinata ai benefici
percepiti sino ad identificare i valori finali che attraverso il comportamento di consumo si ritiene di poter ottenere.
La procedura basata sul laddering prevede diverse fasi; l’individuazione delle caratteristiche salienti dei prodotti
o della marca oggetto d’indagine e il riconoscimento dei benefici e dei valori sia nella fase di raccolta dei
dati(intervista) sia in quella di analisi dei risultati (costruzione mappa). Le tecniche di costruzione dei network
associativi possono essere diverse: la richiesta diretta in cui si chiede al consumatore di esprimere le ragioni che
lo spingono all’acquisto del prodotto considerato cercando di capire quali sono le finalità che intende raggiungere.
Il confronto comparativo che consiste nel sotto porre a ogni intervistato delle triadi di prodotto o marche e nel
chiedere di enunciare le differenze e similarità che percepisce. Analisi di contesto in cui gli viene chiesto di
ricordare un’occasione di utilizzo del prodotto con il fine di analizzare tale occasione. Analisi ipotetica in cui si
chiede al soggetto di immaginare il suo comportamento in caso di assenza del prodotto; laddering negativo in cui
vengono chieste le ragioni per cui non si fanno determinate cose o non si vogliono provare determinate sensazioni;
laddering regressivo nel quale si invita il soggetto ad andare indietro nel tempo e poi esprimere sentimenti e
comportamenti di acquisto in riferimento a precedenti occasioni di consumo; laddering proiettivo si invita il
soggetto a ricordare un’occasione d’acquisto ed esprimere non le sue ma le impressioni di un terzo che
l’intervistato sceglie di impersonare per individuare i fini ultimi di quella persona.
Le tipologie di bisogno
Secondo Murray, il bisogno è un costrutto ipotetico che organizza e guida il comportamento al fine di mantenere
l’organismo in una condizione di equilibrio. I bisogni secondo questo studioso possono essere suddivisi in 4
dimensioni.
Bisogni primari e secondari, a seconda che abbiano origine fisiologica o no.
Bisogni positivi e negativi, a seconda che il soggetto sia attirato o respinto dall’oggetto
Bisogni manifesti o latenti a seconda che il bisogno conduca a un comportamento reale o no
Bisogni consapevoli o inconsapevole a seconda che il soggetto mantenga nei loro confronti un
atteggiamento introspettivo o meno.
Secondo Murray l’insieme dei bisogni è universale e uguale per tutti e ciò che differenzia un individuo da un altro
è la diversa attività attribuita a un particolare bisogno. Murray utilizza il TAT (thematic apperception technique)
un test che si basa sulla visione di una serie di figure, ambigue di fronte alle quali l’individuo è teso a proiettare
pensieri, emozioni, desideri strettamente legati ai bisogni, anche i più inconsapevoli e inconsci.
Un ulteriore contributo viene da Mcclelland che individua tre tipi di bisogni, (bisogno di potere, di affiliazione e
di successo), ai quali aggiunge motivazione alle competenze e motivazione all’unicità.
Queste motivazione possono produrre comportamenti differenti:
la motivazione al potere: è una spinta per evitare la dipendenza;
la motivazione all’affiliazione: per evitare l’isolamento;
la motivazione al successo per evitare il fallimento
la motivazione alla competenza e all’unicità è una spinta a sviluppare continuamente le proprie abilità e a
svolgere i propri compiti mantenendo un elevato standard di prestazioni con l’obiettivo di essere unici.
Lo studio delle motivazioni al consumo richiede anche una breve considerazione sulla base dei principi della teoria
di Veblen, che prende in considerazione il ruolo della classe agiata nel determinare la motivazione e la nascita di
modelli di consumo di carattere ostentativo, attraverso i quali gli individui appartenenti a tale classe dimostrano la
propria agiatezza nei confronti della classe inferiore. In questo caso il bisogno di differenziarsi e il bisogno di
prestigio guidano i comportamenti di consumo. Così facendo la classe agiata offre modelli di comportamento di
consumo alla classe meno agiata.
Il modello proposto da Veblen risente della contingenza storica dalla quale trae origine, nell’ambito della quale lo
status di ogni individui è dato essenzialmente dal patrimonio di cui dispone. In quell’epoca (società americana
della fine dell’800), l’individuo tendeva a definire la sua posizione sulla base della reputazione di cui godeva
presso altri componenti della società (stima sociale), riconoscendo il bisogno di accettazione sociale come uno dei
motori sociali. Così il consumo ostentivo diventa uno strumento e al tempo stesso fine dell’attività dell’uomo nel
contesto sociale.
L’emulazione e le aspirazioni alla crescita sociale divengono aspetti di un processo continuo che coinvolge gli
appartenenti a tutte le classi sociali, spiegando quel fenomeno consistente nell’aumento del consumo di alcuni beni
nonostante il loro prezzo elevato, o addirittura proprio a ragione del prezzo. (effetto Veblen)
Un contributo significativo allo studio sulle motivazioni viene dalla teoria psicanalitica secondo la quale il
comportamento umano sembra determinato da un perenne conflitto tra i desideri di una soddisfazione immediata
e la necessità di rispondere alle regole della società e della morale.
Freud riteneva che in ogni uomo operassero due tipi di pulsioni: la pulsione della vita (Eros) comprendente libido
e istinto di autoconservazione e la pulsione di morte (Thanatos) che si manifesta in tendenze autodistruttive.
Nel modello dinamico di Freud, l’inconscio coincide con il “rimosso”, cioè con tutti quei contenuti psichici il cui
accesso alla coscienza è costantemente impedito dalla rimozione. La rimozione rappresenta uno tra i possibili
meccanismi di difesa teorizzati da Freud per spiegare il contrasto tra ciò che è voluto e desiderato e ciò che è lecito
agire in un contesto sociale. I meccanismi di difesa sono utili per spiegare i comportamenti dei consumatori. Quelli
individuati da Freud sono:
Identificazione: è il meccanismo secondo il quale l’individuo si identifica in un’altra persona(testimonial
ad esempio) considerata migliore e meno vulnerabile nei confronti delle proprie pulsioni.
Rimozione: ha lo scopo di impedire che contenuti mentali pericolosi affiorino alla coscienza.
Sublimazione: l’individuo sostituisce un obiettivo non raggiungibile o inaccettabile con un altro
socialmente accettabile.
Proiezione: è quel processo inconscio con cui si attribuiscono ad altri sentimenti negativi della propria
coscienza perché inaccettabili. Questo permette di evitare il senso di colpa e giustificare la propria condotta
verso glia altri.
Formazione reattiva: sostituzione di un sentimento o desiderio inaccettabile con il suo opposto (amore-
odio).
Fissazione: è un meccanismo con cui l’individuo blocca il suo sviluppo psichico a uno dei primi stadi di
sviluppo cognitivo e comportamentale per il timore di affrontare l’angoscia legata agli stadi successivi
(sindrome di Peter Pan che indica il desiderio di rimanere eterni bambini).
Regressione: ripiego ad uno stadio evolutivo precedente in cui il soggetto si sentiva sicuro poiché non si
era ancora dimostrato lo stimolo angosciante.
Negazione: consiste nella repressione della realtà e negazione delle evidenze per stabilire un equilibrio
psichico.
Fantasmatizzazione: si ha quando l’individuo non accetta la realtà e produce fantasmi che consentono di
sostituirla con una più accettabile.
Introiezione: prima ancora di essere una difesa, è un meccanismo psichico che si può osservare già nei
primi mesi di vita del bambino. All’inizio della vita il bambino vive un rapporto di simbiosi con la madre,
la presenza della madre che gli dà il latte è assimilata alla vita, la sua assenza alla morte. All’inizio
l’introiezione rappresenta la gratificazione immediata e completa dell’istinto ed il senso di benessere che
scaturisce da questa gratificazione porta il bambino a conservare l’oggetto che gli assicura il benessere e
a identificarsi con lui.
Un ulteriore teoria portata avanti da Freud prende il nome di modello economico che fa riferimento alla quantità
e intensità delle forze psichiche in gioco. In base a questo modello Freud traccia la linea di demarcazione tra
normalità e patologia in campo mentale, individuando l’elemento distintivo non nella qualità dei percorsi implicati
(il tipo di forze psichiche), bensì nella qualità relativa delle diverse forze, tra le quali non riconosce alcuna
differenza qualitativa.
Il modello più conosciuto per la descrizione delle spinte motivazionali è quello strutturale elaborato da Freud nel
1920, secondo il quale nello studio dei comportamenti e motivazioni è possibile distinguere una precisa struttura
dell’apparato psichico, composta da tre istanze:
Es: completamente inconscio, rappresenta il serbatoio di tutte le pulsioni (sessuali, aggressive, auto
conservative). Questi contenuti psichici sono in parte ereditari e innati e in parte rimossi e acquisiti. L’Es
agisce irrazionalmente per la soddisfazione dei bisogni. Rappresenta il bambino che è in noi. (principio di
piacere)
Io: rappresenta il mediatore tra l’es, il super io e le esigenze della realtà esterna ed interna. Svolge funzioni
coscienti cercando di garantire un collegamento con la realtà. Funziona secondo il principio della realtà.
Super io: in buona parte inconscio, svolge il ruolo di giudice nei confronti dell’io e rappresenta la
coscienza morale, i valori e gli atteggiamenti autocritici.
La teoria freudiana ha ispirato molto la ricerca sulle motivazioni del consumatore, una delle maggiori implicazioni
e che per riuscire a studiare il comportamento dei consumatori occorre andare oltre ciò che si vede. Seguendo
questo filone, negli anni ‘60 nasce la ricerca motivazionale che sostiene che è sempre possibile fornire una
spiegazione di qualsiasi comportamento in chiave causale. In questo caso osservando il comportamento del
consumatore la motivazione può essere definita come la spinta a soddisfare i bisogni anche più irrazionali e a
migliorare l’opinion di sé attraverso l’acquisto di un determinato prodotto o una particolare marca anche se ciò
non ha base razionale e consapevole.
Nel ’61, viene ufficializzata la psicologia umanistica, detta “terza forza”, in quanto a metà strada tra psicoanalisi
e comportamentismo, come nuova corrente di pensiero nell’ambito della psicologia. Essa si interessa di argomenti
che hanno avuto uno spazio limitato nelle teorie e nei sistemi esistenti, come l’amore, creatività, crescita,
responsabilità, ecc. uno dei principali esponenti di questa corrente sono stati Abraham H. Maslow e Carl Rogers.
Secondo la teoria della gerarchica dei bisogni di Maslow, i bisogni possono essere suddivisi in 5 categorie disposte
in ordine progressivo, per cui senza la soddisfazione dei bisogni dei livelli inferiori non si sente la necessità di
soddisfare quelli dei livelli superiori. I bisogni di livello inferiori sono i bisogni fisiologici legati alla dimensione
biologica, poi troviamo i bisogni di sicurezza legati alla sensazione di protezione e di sicurezza fisica e psichica.
Seguono i bisogni di appartenenza e di riconoscimento sociale, legati all’esigenza di sentirsi parte integrante di
un gruppo. Poi abbiamo i bisogni di autostima legati all’esigenza di avere una buona immagine di sé, ed infine
quelli più difficili da raggiungere i bisogni di autorealizzazione legati alla sensazione di realizzazione personale.
Questa scala dei bisogni è stata utilizzata dal mondo del marketing in maniera forse un po’ troppo semplificata. In
realtà i consumatori non passano in maniera così schematica da un livello all’altro. Inoltre, non è detto che un
prodotto o una marca soddisfino solo uno dei suddetti bisogni, così come non possiamo non considerare che questa
gerarchia potrebbe andare bene solo per il contesto culturale e sociale all’interno del quale è stata studiata. Gli
appartenenti ad altre culture per esempio potrebbero considerare molto più importante la dimensione sociale
piuttosto che la sicurezza. Ed ancora bisogna poi considerare la predisposizione personale, ogni individuo infatti
ha una particolare situazione personale e quindi avere differenti priorità e specifici bisogni da soddisfare.
Una visione d’insieme sulle motivazioni
Leggi da p. 160 a 162 (panoramica generale delle teorie)
Il coinvolgimento
Il concetto di coinvolgimento (involvement) indica la rilevanza che un particolare oggetto o prodotto può avere
per un individuo in base ai suoi bisogni, ai suoi valori e ai suoi interessi. Il grado di informazione a cui presta
attenzione un consumatore è strettamente dipendente dal suo grado di coinvolgimento. Questo grado di
coinvolgimento può essere considerato come un continuum dove da parte vi è lo stato di inerzia, che porta a
prestare attenzione solo agli aspetti più superficiali, il comportamento del consumatore è legato all’abitudine e le
decisioni vengono prese senza analizzare attentamente le possibili alternative. Dall’altra parte vi è il
coinvolgimento massimo che spinge l’individuo a cercare informazioni e a scegliere solo dopo un’attenta analisi
di tutte le possibili scelte. Heath propone uno schema con 3 diversi livelli di attività cognitiva in relazione al
coinvolgimento verso uno specifico stimolo: livello di attivazione di elaborazione delle informazioni; tipologia di
apprendimento; effetto consecutivo all’apprendimento.
Nel caso di elevato coinvolgimento e quindi di un’attrazione o attenzione alta verso lo stimolo, il processo di
elaborazione delle informazioni prevede un impegno maggiore. Nel caso di un più basso gradi di coinvolgimento
(inerzia), l’analisi dei dati sarà più superficiale e il consumatore sarà astratto dagli aspetti più irrilevanti e
superficiali della comunicazione. In questo caso il tipo di apprendimento sarà più passivo e meno consapevole e il
conseguente cambiamento degli atteggiamenti più lento e graduale. Ci troviamo di fronte ad una forma di
apprendimento a basso coinvolgimento cognitivo che Shiv e altri autori chiamano lower-order cognition. In questo
caso la frequenza di presentazione della comunicazione avrà una funzione determinante nel processo di
apprendimento. Poiché i fattori che influenzano il grado di coinvolgimento possono essere diversi e attribuibili
alla situazione personale del consumatore (interessi, valori, bisogni) all’oggetto in sé (contenuto informazione,
disponibilità di alternative) ed alla situazione, la motivazione a prestare attenzione risulta essere il risultante della
combinazione di ogni singolo fattore in uno specifico momento e in un dato spazio.
Il product involvement riguarda il livello di interesse per un prodotto. Molte campagne promozionali sono
finalizzate in modo specifico ad accrescere questo tipo di coinvolgimento nei consumatori. In questo caso si punta
a dare maggiori informazioni sul prodotto e sulle specifiche caratteristiche.
L’advertising involvement si riferisce al livello di interesse nei confronti della comunicazione relativa al prodotto.
Infine, il purchase situation involvement riguarda le differenze che possono esserci nelle situazioni in cui ci si
trova per l’acquisto di un particolare prodotto. La presenza di altre persone significative, tipo la donna amata, così
come l’essere in vacanza piuttosto che ad un noioso convegno influenzano profondamente il grado di
coinvolgimento. Il coinvolgimento è in grado di modificare la nostra capacità di raccolta delle informazioni e
attribuzioni di senso.
L’influenza dei processi caldi e della motivazione nella costruzione della realtà.
Uno dei contributi più interessanti allo studio del grado di influenza dei processi psicologici “caldi” (la
motivazione, aspettative, bisogni) sui processi cognitivi e decisionali è quello di Bruner che sottolinea e indica il
ruolo delle motivazioni, i desideri e le emozioni hanno nei processi sociali e in quelli decisionali. Per dimostrare
ciò l’autore si è servito di uno dei più noti esperimenti di psicologia sociale. Tale esperimento consisteva nel
chiedere a un gruppo di bambini di 10 anni di giudicare la grandezza di alcune monete. Metà del gruppo proveniva
da un’area benestante di Boston, l’altra metà da sobborghi e zone povere. I risultati mostrarono come questi ultimi
bambini tendevano a sovrastimare la grandezza delle monete rispetto al primo gruppo. In questo caso
l’appartenenza al contesto sociale, i bisogni e desideri hanno influenzato la percezione della grandezza delle
monete indicando chiaramente l’influenza dei processi caldi affettivi nell’elaborare le informazioni. Le
motivazioni sembrano quindi avere un ruolo determinante nell’interpretazione della realtà e nel giudicare i
comportamenti. Diversi studi hanno infatti sottolineato l’influenza esercitata dalla motivazione all’accuratezza sui
processi cognitivi.
La motivazione all’accuratezza spinge l’individuo a ricercare e adottare strategie più onerose, il suo contrario
invece, la motivazione alla chiusura spinge all’adozione di strategie semplificatrice, esempio le euristiche. Infatti,
la motivazione alla chiusura coincide con l’uso di schemi e stereotipi e con l’impazienza e l’impulsività nel
formulare un giudizio e arrivare alla soluzione del problema. Si tratta di un modo di reagire al contesto sociale
dettato prevalentemente da una forma di rigidità di pensiero e dalla riluttanza ad accettare punti di vista diversi dal
proprio.
La realtà quindi non è assoluta ma la sua percezione può variare a seconda del gruppo a cui un individuo appartiene.
Secondo Lewin le forze ambientali hanno un ruolo di grande rilievo nello sviluppo dell’individuo e nella
determinazione del suo comportamento, ma ciò che è importante è la profonda relazione causale circolare fra le
une e le altre. L’ambiente esperito dall’individuo è visto diverso da persona a persona, come anche per la stessa
persona in momenti diversi. Solo negli ultimi anni si è assistito in campo psicologico a una maggiore attenzione
alla dimensione narrativa e simbolica per la comprensione dei comportamenti social. Così lo stesso oggetto o
comportamento umano assumono un significato diverso nel tempo e nello spazio, perché condizionati dalla cultura
e dal modo di interpretare secondo principi situazionali di costruzione sociale. L’individuo deve essere considerato
come sistema complesso interrelato con un sistema ancora più ampio come quello sociale, culturale e valoriale
analizzabile attraverso una modalità di studio di tipo olistico.
Introduzione
La maggior parte delle decisioni di acquisto e di consumo non è frutto di una valutazione consapevole, razionale
e logica. Infatti, contrariamente a quanto rappresentato teoricamente dalle teorie economiche normative, tutte le
volte che un individuo si trova a fare una scelta e decidere se acquistare un prodotto o un servizio, egli è
inconsciamente coinvolto in una tempesta di emozioni di segno positivo e negativo, che incideranno sulla
decisione di acquisto.
Il conflitto neuronale che conduce alla decisione, interessa essenzialmente la componente emotiva della mente,
che a sua volta può anche essere attivata da marcatori somatici, sviluppati dalle aziende con la loro comunicazione.
Le emozioni, dunque, non sono un elemento disturbante del processo decisionale, ma ne rappresentano una parte
essenziale, ovvero diventano il modo con cui viene contestualizzato un problema e le opzioni che caratterizzano
una scelta di acquisto.
A partire dagli anni ’70, in particolare, è stato infatti evidenziato che la decisione non può essere guidata
esclusivamente da processi logici e razionali (freddi), essa è determinata da vissuti e percezioni strettamente legati
ad aspetti emotivi e motivazionali (caldi). Oggi più che mai, in seguito a numerose ricerche neuroscientifiche,
questo cambiamento epocale è stato riconfermato.
In particolare, un enorme contributo è stato offerto da uno dei più noti neuroscienziati contemporanei, Damasio,
il quale, nel suo saggio L’errore di Cartesio (1995), ha offerto una nuova visione dell’uomo che decide, andando
a ribaltare la concezione cartesiana del dualismo mente – corpo, evidenziando l’azione reciproca del corpo e del
cervello, che costituiscono un organismo unico e indissociabile. In questo saggio infatti, Damasio inquadra la
funzione delle emozioni non come elementi perturbanti la serenità della ragione, bensì come elementi di base del
buon funzionamento della mente, andando a dimostrare che un danno all’area cerebrale deputata alle capacità
emozionali, va a rendere le persone incapaci anche di manifestare ragionevolezza, soprattutto nella presa di
decisioni in condizioni socialmente rilevanti. In questo modo, i consumatori non sarebbero macchine pensanti che
si emozionano, ma macchine emotive che pensano.
Questa nuova prospettiva e questo nuovo modo di intendere la relazione tra emozione e decisione, impone nuovi
modelli di studio del consumatore, come quelli offerti dal neuromarketing. Il consumatore non può più essere
studiato nella sua rappresentazione razionale e logica, tipica dell’età moderna, quindi semplicemente come homo
oeconomicus, ma deve essere analizzato nella sua più complessa rappresentazione, in cui la dimensione razionale
si fonde con il suo substrato biologico, e quindi come homo neurobiologicus.
Lo studio neuroscientifico non deve essere dunque uno studio fine a se stesso, ma deve essere capace di analizzare
quali possono essere gli elementi in grado di orientare l’azione e giustificare un atto di consumo. Si parte dal
presupposto che se ci emozioniamo positivamente alla vista di un prodotto, probabilmente saremo più propensi ad
acquistarlo. Alla base del neuromarketing, vi sono due elementi caratterizzanti:
La consapevolezza che molte scelte di acquisto sono fatte senza un’immediata attivazione del sistema
cognitivo, ma grazie al sistema adattivo delle emozioni, offrendo, a volte, significato a ciò che si è fatto
solo dopo aver agito.
La convinzione che i segnali psicofisiologici e neurologici possono essere in qualche modo misurati e
registrati, permettendo di arricchire con utili informazioni gli esiti delle indagini sul consumatore svolte
con le tecniche tradizionali (focus group, interviste, questionari, ecc.). Infatti, attraverso le tecnologie
sempre più sofisticate è possibile misurare una serie di elementi (come l’attività elettrica del cervello, la
conduttanza cutanea, la pressione arteriosa, il movimento oculare, il ritmo del respiro), che fungono da
indicatori utili per l’analisi di una modifica psicofisiologica e neurologica da correlare con l’engagement
emotivo, l’attenzione focale e la possibile memorizzazione di stimoli legati al mondo del consumo.
a queste vanno aggiunte anche le indicazioni che sono state tratte da macchine più sofisticate come ad
esempio la PET (Positron Emitted Tomography), la magnetoencefalografia (MEG) e la risonanza
magnetica funzionale (FRMI functional magnetic resonance imaging). Queste ultime tecniche di idagine
hanno permesso in questi ultimi anni di mappare il cervello offrendo preziose informazioni riguardo le
funzioni cerebrali in relazione alle decisioni di acquisto, indicando quali aree corticali si attivano in
relazione a particolari comportamenti o esperienze (brain mapping, ha permesso la prima mappatura
cerebrale).
Questa metodologia di studio di analisi del cervello ha ripreso e ampliato gli esiti delle scoperte fatte nel secolo
scorso e che fino allo sviluppo delle tecnologie neuroscientifiche si era sviluppato sulla base dell’osservazione di
soggetti traumatizzati per incidenti e rimasti in vita (esempio Phineas Gage, grazie al quale si è rilevato per la
prima volta che la zona prefrontale mediale è strettamente collegata con le emozioni e con le decisioni).
Un soggetto umano giudica le offerte che gli vengono presentate non sulla base del loro valore oggettivo e
razionale, ma sulla base delle sensazioni soggettive che tali offerte gli suscitano e gli prospettano.
Il mondo delle esperienze soggettive è ancora in gran parte misterioso e solo in anni recenti le neuroscienze lo
hanno preso in considerazione grazie agli sviluppi delle tecniche di brain imaging e delle metodologie di
registrazione diretta dell’attività neurale in soggetti umani e animali coscienti.
Il decennio 1990 - 2000 è stato considerato il decennio del cervello dagli esperti delle neuroscienze perché ha visto
un impressionante incremento nella comprensione delle basi neurale dell’esperienza soggettiva.
Si deve tener presente che prima di questa data la maggior parte degli esperimenti era condotta su animali
anestetizzati, mentre per l’essere umano ci si basava su patologie oppure sui dati ottenuti su soggetti deceduti.
Si prova a spiegare l’esperienza soggettiva, ma cos’è? È fatta di colori, forme, sapori, sensazioni, piaceri, dolori?
Il momento di svolta in questa disciplina sono stati gli anni ’90, quando vari autori hanno iniziato a occuparsi di
esperienza soggettiva e si sono resi conto dell’esistenza di quello che, con nome appropriato, è stato definito
problema difficile: ovvero, anche se si potessero individuare tutte le connessioni neurali, perché tale attività
dovrebbe trasformarsi nella qualità dell’esperienza dei soggetti?
Il problema quindi non è solo scientifico, ma anche pratico.
Allo stato attuale delle ricerche ci sono due diversi approcci all’esperienza soggettiva: secondo il primo la
coscienza è il frutto delle interazioni tra il mondo esterno e il soggetto grazie alla percezione, all’apprendimento,
alla cultura, alle relazioni intersoggettive, alla comunicazione, all’interazione linguistica.
Addirittura, secondo molti autori, l’esperienza soggettiva dipende in maniera sostanziale dall’ambiente esterno.
Alternativamente, le neuroscienze reputano che l’esperienza soggettiva sia esclusivamente una proprietà dei
neuroni, anche se, per potersi sviluppare il cervello richiede un corpo inserito in una rete di relazioni.
Strettamente apparentate con l’esperienza soggettiva, e tradizionalmente altrettanto sfuggevoli, sono le emozioni.
Da un punto di vista neurologico, queste possono essere viste come stati prodotti da un segnale di rinforzo, generati
da quei particolari stimoli che un essere vivente deve essere in grado di riconoscere in quanto legati a situazioni
critiche per la sua sopravvivenza.
I segnali di rinforzo devono il loro nome al fatto di essere responsabili dell’apprendimento delle reti neurali e di
condizionare la crescita e lo sviluppo di un individuo da un punto di vista cognitivo.
Grazie agli studi, si è compreso che, mentre l’esperienza soggettiva è strettamente correlata con le aree corticali,
le emozioni dipendono da alcune strutture nervose molto antiche e altamente specializzate, come l’amigdala e il
talamo.
L’idea più comune è che esistano sistemi neurali dedicati a riconoscere certe situazioni selezionate durante
l’evoluzione delle specie umana.
L’amigdala costituirebbe il fulcro di questi sistemi, il luogo dove la selezione naturale ha depositato l’esperienza
antica della nostra specie.
Al contrario, la corteccia, dove le associazioni di più alto livello sono portata a termine, contiene l’esperienza
individuale dell’individuo: emozioni personali, esperienze uniche, archetipi culturali; un dominio molto più ampio,
ma anche molto più personalizzabile e difficile da determinare a priori.
Per ottenere risposte più complesse a stimoli non sempre selezionabili su base evolutiva è stato proposto il
meccanismo del marcatore somatico che, in pratica, estende il sistema cognitivo umano non solo alle strutture
corticali, ma anche al suo intero organismo. Ogni volta che una combinazione di stimoli viene riconosciuta
pericolosa o piacevole, viene associata ad uno stato fisico corporeo.
Quando lo stato fisico si ripresenta, anche in assenza dello stimolo originario, il sistema emotivo induce lo stesso
tipo di reazioni associate all’evento esterno: questo stato fisico sarebbe il marcatore somatico dell’evento esterno.
Lo studio della motivazione e quello dell’affetto sono strettamente correlati. I concetti di affetto, emozione,
sentimento sono spesso citati e descritti dagli studiosi, e sono fondamentali, in quanto in grado di influenzare il
comportamento dei consumatori.
L’affetto ha la capacità di attivare, di preparare all’azione e di stimolare il raggiungimento dell’obiettivo. Per
affetto intendiamo uno stato sentimentale interiore, una valutazione sentimentale verso un oggetto, evento o
persona che nulla ha a che fare con i pensieri e la valutazione cognitiva ma con genuino sentimento interiore o con
l’umore. L’affetto di distingue dall’umore semplicemente perché quest’ultimo è considerato come uno stato
affettivo che generalmente può mancare di una precisa identificazione della sua origine ed è di bassa intensità.
L’umore può essere facilmente manipolabile, attraverso ad esempio l’esposizione a stimoli sonori, musica,
immagini o attraverso il recupero di particolari ricorsi emotivamente connotati. L’intensità della manipolazione
dello stato emotivo ed affettivo con stimoli ad esempio pubblicitari è alla base della distinzione tra emozione ed
umore. L’emozione è una reazione intensa, improvvisa, di breve durata, in grado di incidere sul consumatore a tre
livelli:
1) quello fisiologico attraverso modificazioni riguardanti la respirazione, la pressione arteriosa, il battito
cardiaco, la circolazione, la digestione e così via;
2) quello comportamentale grazie al quale possiamo vedere come cambiano le espressioni facciali, la postura,
il tono della voce e le reazioni;
3) quello psicologico che si riferisce a ci che sentiamo e proviamo personalmente e che Ł in grado di
modificare il controllo di noi stessi.
L’emozione è uno stato affettivo più intenso dell’umore e meno stabile.
I sentimenti invece, si riferiscono alla capacità di provare sensazioni ed emozioni in maniera consapevole e
riguardano la coscienza delle proprie azioni, del proprio essere e dell’altro. Si riferiscono ad una o a più persone,
sono meno intensi delle emozioni, hanno una durata più lunga delle emozioni e sono consapevoli.
Il ruolo della comunicazione pubblicitaria è di creare una emozione alla vista della marca o del prodotto e con il
tempo di promuovere un conseguente coinvolgimento sentimentale. Le emozioni hanno un ruolo guida nei
comportamenti. Permettono di aumentare l’intensità del ricordo ma anche magari di inibire il processo
mnemonico. In genere lo studio dell’effetto della pubblicità dal punto di vista emotivo ha prevalentemente fatto
riferimento a due dimensioni emotive o affettive: piacevolezza e non piacevolezza e attivazione/deattivazione
(engagement).
Per questa potrebbe essere una eccessiva semplificazione: una forte emozione positiva non è detto che sia contrario
ad una emozione negativa, anzi alcuni autori hanno individuato deboli correlazioni tra queste emozioni in soggetti
coinvolti emotivamente.
Il circumplex model of affect, rappresentazione grafica proposta da Barrett e Russell (1999), non è molto utile
adesso, in quanto non contempla l’idea di poter vivere contemporaneamente emozioni contrastanti (è un modello
bipolare). In realtà esistono emozioni miste che permettono di essere al contempo felici e tristi. Gli stati emotivi
sono anche stati correlati con la produzione di cambiamento di attenzione, di possibilità di richiamo di stimoli e
elaborazione delle informazioni.
Grazie alle riflessioni della psicologia economia, agli studi di behavioral economic e alle neuroscienze le emozioni,
gli affetti, l’umore non sono più nell’atto di consumo elementi ritenuti intervenienti o disturbanti da controllare,
ma quegli elementi essenziali della scelta da studiare.
La ricerca sul consumatore considera oggi il ruolo determinante che hanno nel condizionarne le scelte sia nel caso
in cui l’emozione e integrale alla relazione con il prodotto (ovvero stimolata dal prodotto), sia quanto è un elemento
incidentale al rapporto con il prodotto (ovvero quando è preesistente alla relazione e determinata da altre cause),
sia infine quando l’emozione è task – related ,ovvero strettamente legata al processo di scelta come quando occorre
fare una scelta su due prodotti o alternative emotivamente identiche.
Le forme e le tipologie di emozione
Un primo punto condiviso da quasi tutte le teorie risiede nel fatto che le emozioni si possono dividere in primarie,
o di base, e secondarie, o complesse. Mentre le emozioni di base hanno una forte determinazione biologica (paura
o collera per esempio), quelle secondarie derivano dal diverso peso di alcune emozioni primarie, ma sono anche
il risultato delle esperienze passate e quindi del contesto educativo, storico e culturale. Autori diversi sostengono
diversi tipi e numeri di emozioni, ma quelle comuni sono la tristezza, la rabbia, la paura, la felicità e la sorpresa.
Di certo c’è un consenso generale nell’ascrivere agli stati emotivi i seguenti denominatori comuni: spontaneità,
pervasività e transitorietà.
Un altro fattore condiviso risiede nell’attribuzione agli stati affettivi di una connotazione o di un valore. Per questo
alcuni ricercatori parlano di valenza, lungo l’asse su cui possono essere scanditi i giudici di piacevolezza /
spiacevolezza di una emozione. Il significato del termine valenza può essere anche spiegato come la qualità di una
esperienza emotiva, per cui essa può essere giudicata da chi la prova come positiva o negativa.
Vale la pena di riflettere sul rilievo che la soggettività esercita su una emozione. Per questa ragione si parla di
qualità edonica di una persona, e con questa etichetta si vuole catturare la dimensione soggettiva di uno stato
psicologico o affettivo, in termini di positività / negatività.
Un ultimo denominatore comune e condiviso consiste nel riconoscere alle emozioni un correlato biologico di
attivazione, in inglese chiamato arousal. In sostanza, ogni qual volta si fa l’esperienza di una emozione, si ravvisa
un cambiamento, rilevabile anche attraverso delle alterazioni fisiologiche e biologiche del corpo e/o del sistema
nervoso centrale e periferico.
Secondo la teoria degli effetti periferici di James (1890), nota come teoria di James - Lange, la percezione di
eventi esterni è in grado di determinare delle modificazioni corporee periferiche, che vengono poi elaborate
retroattivamente a livello cognitivo, ed etichettate come emozione o sentimento emozionale. La relazione stimolo
– sentimento emotivo può essere riassunta nella sequenza: STIMOLO RISPOSTA FISIOLOGICA
RETROAZIONE SENTIMENTO.
L’ipotesi di James presentava alcune analogie con quella formulata da un fisiologo danese Charl Lange. Secondo
Lange ciò che caratterizza l’emozione è la percezione dei cambiamenti dell’organismo, cioè quelli causati da un
aumento dell’attività del sistema nervoso autonomo.
Lo studioso Hohmann, in linea con la concezione di James, concluse, dopo un esperimento, che per provare
emozioni intense è necessario avere un qualche feedback dal proprio corpo.
Secondo Damasio (1994) queste emozioni innate sarebbero le emozioni primarie, da distinguere dalle emozioni
secondarie che si presentano una volta che abbiamo cominciato a provare sentimenti e a formare connessioni
sistematiche tra categorie di oggetti (di consumo) e situazioni da un lato, emozioni primarie dall’altro.
Darwin sosteneva che l’espressione delle emozioni fosse universale e adattiva, finalizzata alla coesione del gruppo
e alla sopravvivenza della specie. Egli sottolineò la continuità e somiglianza delle espressioni emotive umane con
quelle del mondo animale e la loro duplice funzione, consentire un’azione efficace nei confronti dell’ambiente e
costituire un magnifico strumento di comunicazione.
La funzione evoluzionistica porta ad una nuova ipotesi: la possibilità di riconoscere le emozioni
indipendentemente dall’etnia di appartenenza, oltre ad avere una funzione comunicativa, permette di poter studiare
l’effetto di uno stimolo pubblicitario con modelli interpretativi fondati sul riconoscimento delle emozioni.
A questa finalità si potrebbe affiancare anche quanto previsto dalla teoria del feedback espressivo di Paul Ekman,
che sottolinea il ruolo dei muscoli facciali alla percezione delle emozioni. Alla base di tale concezione vi è l’idea
che le emozioni abbiano un carattere innato, pertanto una specifica configurazione facciale è associata o determina
una specifica emozione.
La teoria del feedback facciale è molto interessante perché sostiene che il feedback proveniente dai muscoli
facciali influisce sull’emozione che il soggetto prova, ci significa che il feedback sensoriale che deriva dalle
espressioni facciali contribuisce all’emozione che noi proviamo in un dato momento. Ekman nelle sue ricerche Ł
riuscito, inoltre, a dimostrare l’esistenza anche di micro – espressioni del volto che sono strettamente legati ai
circuiti cerebrali delle emozioni e pertanto poco controllabili.
Il lavoro di Paul sulle espressioni facciali ha messo in evidenza come vi siano delle gestalt universali sul volto
umano in grado di veicolare diversi tipi di emozioni o stati mentali, a prescindere dalle culture di appartenenza.
Applicando a tali gestalt universali dei punti di riferimento sul volto in modo tale da poterli usare per elaborare
l’espressione facciale, è possibile misurare le emozioni attraverso le espressioni facciali.
Il riconoscimento delle espressioni emotive fondamentali e delle micro – espressioni attraverso le nuove tecnologie
ha creato una nuova branca scientifica di grandissimo interesse per lo studio dei consumi, l’affective computing,
che riuscendo a riconoscere l’emozione del soggetto attraverso le emozioni del volto o l’attivazione dei parametri
fisiologici connessi all’emozione e come possano interagire con il soggetto sulla base del suo stato emotivo, riesce
ad offrire a chi si occupa di neuromarketing un sistema di lettura delle emozioni provate in relazione a stimoli di
consumo.
La ruota delle emozioni creata da Plutchik evidenzia le polarità e l’intensità via via decrescente delle emozioni,
più i vari stati intermedi. In questa rappresentazione le emozioni si contrappongono a coppie in modo polare.
Seguendo il petalo del fiore verso l’interno l’emozione primaria aumenta di intensità e si forma così il cerchio
centrale del fiore. Verso l’esterno invece l’emozione cala di intensità. Secondo questo modello le emozioni poi si
combinano tra di loro, per creare quelle che abbiamo già definito emozioni secondarie o complesse.
Secondo la teoria di Cannon o teoria degli effetti centrali, la risposta emotiva è conseguente alla stimolazione dei
nuclei dell’ipotalamo. In questo caso il sistema nervoso centrale ha un ruolo determinante e lo dimostrano
numerosi studi in cui si è messo in evidenza come stimolando in modo sistematico le zone più diverse del cervello
si producono comportamenti coincidenti con quelli tipici di alcune emozioni, quali gioia e rabbia. La differenza è
netta con le altre teorie. Infatti, secondo l’ipotesi di Cannon, tutte le emozioni presentano la stessa configurazione
di risposte fisiologiche osservate nella reazione di emergenza, mentre secondo James ogni emozione presenta una
propria specifica. Secondo Cannon le emozioni però iniziano e terminano in coincidenza con la stimolazione nella
zona cerebrale specifica secondo quella che può essere anche chiamata teoria delle emozioni di Cannon – Bard.
Gli studi di Cannon hanno costituito un punto di partenza per le cosiddette teorie dell’attivazione o Arousal. Tra
queste quella di Arnold e Lindsley che sostiene che lo stimolo determina a livello di corteccia cerebrale un
eccitamento che a sua volta ha il doppio e contemporaneo effetto di suscitare un’emozione e di attivare schemi
dinamici ipotalamici che si esprimono a livello periferico. Secondo questa teoria l’emozione contribuisce ad
articolare la comprensione e la percezione della realtà e non porta alla perdita di razionalità.
Nello studio della cosiddetta reazione di emergenza, Cannon ha individuato l’esistenza dell’arousal simpatico o
autonomo che prevede un quadro tipico di modificazioni fisiologiche, cioè un pattern che si osserva in tutte le
forme di eccitamento.
A sua volta Lindsley (1951) ha osservato l’esistenza di un arousal corticale, inteso come una sorta di blocco o
comunque di de - sincronizzazione delle onde alfa che avviene in seguito alla stimolazione della formazione
reticolare del tronco encefalico, connessa all’eccitazione emotiva. Si tratta di sistemi che presentano un certo grado
di interrelazione. L’aspetto più importante è che essi variano lungo la dimensione dell’intensità.
A questa teoria si affianca anche il lavoro di Schacter e Singer e la teoria dell’eccitazione cognitiva, che sembra
comprendere sia la posizione di Cannon che quella di James. Schacter (1964) sostiene che l’esperienza emotiva si
verifica quando una persona si trova in uno stato di attivazione (arousal) e, contemporaneamente, attribuisce tale
condizione ad un qualche evento emozionale e la definisce appraisal (da contrapporre all’arousal).
Di conseguenza, la consapevolezza dell’arousal rende emozionale l’esperienza vissuta dal soggetto. Mentre
l’elaborazione cognitiva della situazione (appraisal) che ha provocato l’attivazione fisiologica, determina il tipo di
emozione provata. Il feedback periferico proveniente dall’organismo rende consapevole il soggetto di uno stato di
attivazione (arousal), ma solo la valutazione cognitiva (appraisal) del contesto permette di identificare l’emozione
specifica.
La teoria di Schacter e Singer ha aperto la strada ai successivi approcci cognitivisti alle emozioni. Tra queste vi
sono le teorie cognitiviste che ritengono che l’affettività derivi dal modo in cui il soggetto struttura ed interpreta
gli eventi del mondo circostante, cioè dipende dalle sue cognizioni. In questo caso il valore emotivo nasce dal
modo in cui il consumatore lo interpreta.
Le Doux e la sua teoria a due vie offre una interessante chiave di lettura per lo studio del consumatore attraverso
le tecniche di neuromarketing: secondo l’autore il cervello valuta lo stimolo e stabilisce le modalità di risposta.
Ciò avviene prevalentemente grazie ad un ruolo determinante agito dall’amigdala che trovandosi al centro di un
sistema di comunicazioni del nostro cervello, e ricevendo informazioni da diverse fonti è alla base dell’intero
processo emotivo ed è in grado di elaborare in maniera complessa l’esperienza emotiva di uno stimolo, attraverso
il collegamento e la retroazione tra centri specifici sensoriali, cognitivi e motori. La via o circuito sub – corticale
collega l’amigdala al talamo per questo sembra la diretta responsabile della valutazione automatica e inconscia
degli stimoli. Secondo questo approccio la prima impressione emotiva che potrebbe guidare l’atto di consumo Ł
attribuibile a questa via. Mentre il circuito corticale implicherebbe connessioni più articolate tra l’amigdala, talamo
e corteccia cerebrale. Attraverso tale via, l’amigdala si connette ai lobi frontali importanti nell’espressione e
pianificazione comportamentale e di decisione in merito alla scelta d’acquisto. Sempre attraverso questo circuito
l’amigdala risulta implicata nei processi cognitivi superiori e nella valutazione e attribuzione di significato
(consapevole) agli stimoli emotigeni. Questa doppia via spiegherebbe sia la dimensione immediata e non
consapevole dell’atto di consumo che l’effetto della valutazione cognitiva e l’influenza della dimensione culturale
e sociale dell’emozione.
Secondo Zajonc, basandosi sui risultati ottenuti nei suoi studi, arriva a concludere che il processamento affettivo
avrebbe il ruolo di giudicare se lo stimolo / situazione piace o non piace, mentre il processamento cognitivo
avrebbe la funzione di riconoscere lo stimolo / situazione.
La pratica di misurare le reazioni psico – fisiologiche correlate con le emozioni è anche conosciuta generalmente
con il termine di Biofeedback, che dagli anni ’70 in poi è stata la base dei trattamenti di medicina
comportamentale. Proprio come il termine suggerisce, il concetto di base ruota attorno alla possibilità di fornire
una informazione di ritorno in merito al singolo stato psicofisico generale col fine di migliorare la propria
regolazione dei processi fisiologici che più o meno direttamente influiscono sugli stati mentali.
Nella terapia basata su questa tecnica, attraverso l’impiego di schermi di computer che rappresentano i loro indici
fisiologici, gli individui sono allenati ad esercitare il proprio controllo volontario sui loro parametri fisiologici, che
in genere sono: l’attività cardiaca, la sudorazione della pelle, la respirazione, la temperatura periferica, la pressione
del sangue, la tensione muscolare e l’attività cerebrale. Le applicazioni nel campo del marketing si servono degli
stessi processi e delle medesime tecniche di indagine. Nello specifico i parametri fisiologici più utilizzati sono:
sudorazione cutanea: quando aumenta il sudore, diminuisce la resistenza elettrica della pelle;
variabilità cardiaca: comprendente le misure del battito cardiaco in tutte le sue espressioni;
consumo di ossigeno: generalmente nel sangue;
livello di tensione / rilassamento (elettromiografia EMG): del tono muscolare;
vasocostrizione periferica: pulsazione del volume del sangue presente nei capillari;
segnale elettroencefalografico del cervello (EEG): con cui si misurano le onde cerebrali.
Oltre a questi parametri un ulteriore dato è offerto dalla dilatazione pupillare che permette di misurare il grado di
attivazione di un soggetto. La dilatazione pupillare può essere misurata attraverso uno strumento indispensabile
per analizzare i movimenti oculari, l’eye tracker. Questo è in grado di tracciare su uno schermo tutti i punti dove
gli occhi guardano e di tracciare il percorso degli occhi sullo schermo. Quando si guarda qualcosa, gli occhi
compiono delle soste, dette fissazioni e dei salti o movimenti molto rapidi detti saccadi. Infine, non si può non fare
un breve cenno alle tecniche di neuroimmagine frutto di tecnologie molto complesse ma in continua evoluzione,
come la risonanza magnetica funzionale, la magnetoencefalografia, la tomografia computerizzata, la tomografia a
emissione di positroni. Tutte tecniche che hanno permesso di mettere in evidenza le aree del cervello che si attivano
maggiormente quando il soggetto fa l’esperienza di stati emotivi.
La risonanza magnetica funzionale è una tecnica di imaging biomedico che consiste nell’uso dell’imaging a
risonanza magnetica per valutare la funzionalità di un organo o di un apparato, in maniera complementare
all’imaging morfologico. Si tratta di tecniche che da una parte hanno permesso di avere una più chiara conoscenza
del sistema cerebrale e dall’altra hanno permesso di avere interessanti applicazioni dirette nel campo della ricerca
sul consumatore già dagli anni ’90. Sebbene la RMF sia una terminologia generica, essa è spesso usata come
sinonimo di risonanza magnetica funzionale neuronale. Questa tecnica è in grado di visualizzare la risposta
emodinamica correlata all’attività neuronale del cervello o del midollo spinale. Nell’uomo o in animali.
La RMF ha contribuito in maniera significativa nel dare alla neuropsicologia la possibilità di analizzare differenti
aspetti del ruolo di ciascuna regione cerebrale attraverso lo studio delle aree attivate in funzione di un particolare
atto o pensiero.
Se la RMF misura l’attività sanguigna, che ha tempi di risposta molto più lunghi, la magnetoencefalografia (MEG)
è, invece, una tecnica di immagine molto più veloce usata per misurare i campi magnetici attraverso l’impiego di
apparecchiature elettroniche molto sensibili, in inglese SQUIDs.
Il segnale MEG e EEG deriva dall’effetto dalla corrente degli ioni che scorrono attraverso la membrana dei dendriti
durante le trasmissioni sinaptiche.
Poiché l’EEG è una tecnologia molto adatta a captare i campi elettrici (non quelli magnetici) dei neuroni in
superficie, la combinazione di EEG e MEG risulta essere un binomio ottimale per rilevare i segnali prodotti dalla
attività elettrica dei neuroni della corteccia cerebrale.
Un altro interessante strumento di matrice psicofisiologica legato alla capacità di misurare i tempi di reazione e il
tempo di latenza è il test d’associazione implicita. Questo test è stato originariamente sviluppato come strumento
per esplorare le radici inconsce del pensiero e del sentimento ed è una tecnica per misurare le associazioni
automatiche di immagini e / o aggettivi. L’ipotesi di funzionamento dello IAT risiede nel principio che se vi è un
atteggiamento positivo radicato nei confronti del brand o prodotto più basso sarà il tempo di latenza nell’associare
l’immagine del prodotto o brand con concetti positivi.
Prima ancora dello sviluppo del marketing esperienziale fondato proprio sulla capacità di coinvolgimento emotivo
ed affettivo il marketing ha sempre cercato di misurare l’emozione che stava dietro la relazione con il brand e con
il prodotto. Fin dagli anni ’60 è possibile trovare le prime applicazioni sui consumatori e le ricerche finalizzate ad
analizzare le emozioni, l’attenzione, la memorizzazione. Negli anni abbiamo assistito all’utilizzo di specifiche
tecniche:
negli anni ’60 e ’70 la dilatazione pupillare e la conduttanza elettrodermica‚
negli anni ’80 la misurazione cardiovascolare e le espressioni facciali.
Dal 2000 in poi si è assistito ad un incremento dell’utilizzo di tutti gli indicatori grazie allo sviluppo delle
conoscenze sul funzionamento cerebrale e al miglioramento delle tecnologie sempre più sofisticate e
sensibili.
La misurazione della dimensione affettiva che si svilupperebbe spontaneamente, senza alcuno sforzo cognitivo,
permetterebbe di valutare oggettivamente ci che Mehrabian e Russel (1974) avevano definito reazione emotiva
nelle sue principali dimensioni, quella di piacere, di attivazione e di dominanza.
Il grado di piacere e di attivazione legata alla dimensione affettiva è stato già studiato attraverso l’analisi delle
onde alpha e delle onde beta dell’elettroencefalogramma (EEG), utilizzate anche per misurare l’attività cerebrale,
l’impegno cognitivo che una scelta può generare nel consumatore e lo stato di attivazione cognitiva (attenzione e
memorizzazione).
Sebbene le neuroscienze confermino che l’attivazione selettiva di ciascun emisfero può variare a seconda dell’et,
del sesso, del tipo di stimolo, gli studi sulla possibilità di distinguere le attivazioni differenziate per area cerebrale
non hanno ancora portato a dati indiscutibilmente attendibili e validi.
Gli studi sul funzionamento del cervello, effettuati grazie sia alle tecniche encefalografiche che a quelle offerte da
attrezzature più sofisticate come la risonanza magnetica funzionale, hanno permesso anche di analizzare eventuali
differenze funzionali e anatomiche tra uomo e donna, tra giovani e anziani, permettendo di giungere a soluzioni
applicative nel campo dei consumi e della comunicazione pubblicitaria coerenti con queste eventuali
differenziazioni. Sappiamo per esempio che il cervello dell’uomo e quella donna si differenziano molto anche per
motivi di ordine adattivo.
Nella donna per esempio il corpo calloso che permette la congiunzione tra i due emisferi è molto sviluppato più
che nell’uomo, e ci si traduce in una maggiore predisposizione delle donne alla gestione di più compiti
contemporaneamente ed una capacità di elaborazione delle informazioni maggiore (l’uomo invece ha più
sviluppata l’amigdala, cioè la ghiandola necessaria per la gestione dell’aggressività e della sessualità).
Individuare le aree cerebrali coinvolte in un messaggio pubblicitario, unitamente alla misura dell’eccitazione
neuronale, consente prima di esporsi a grandi spese di valutare l’efficacia del prototipo sulla base del livello di
interesse suscitato e del potenziale mnemonico associato all’attivazione di particolari aree deputate alla
memorizzazione.
Inoltre, poiché spesso i consumatori non sono consapevoli di tutte le emozioni che provano e non riescono a farne
una precisa valutazione quantitativa, dobbiamo sempre considerare che il giudizio esplicito e razionale rischia di
essere fuorviante.
Non a caso i primi studi dell’effetto della pubblicità sulle emozioni dei consumatori effettuata con fMRi ha
permesso di selezionare i messaggi più efficace nell’attivazione di una specifica area cerebrale (l’insula anteriore)
dedicata alla reazione empatica nell’osservazione dell’emozioni altrui.
La dilatazione pupillare è sempre stata considerata una misurazione di grande interesse, Ł utilizzabile per la
misurazione dell’attenzione, dell’arousal, dello stato di piacere, e per la misura della memorizzazione e
dell’attivazione cognitiva.
Il picco vocale è un’altra misurazione che storicamente è stata utilizzata per l’analisi dell’attivazione emotiva.
Questo indicatore misura come cambia il tono di voce quando si è coinvolti emotivamente. Sviluppato
originariamente da Brickman (1976) è stato anche utilizzato nel campo dell’advertising research e per misurare il
cambiamento degli atteggiamenti.
Anche l’analisi del battito cardiaco ha una sua storica applicazione per la misurazione dello stato di piacere o non
piacere, del processo cognitivo e dell’attenzione e per predire il richiamo e la memorizzazione. Inoltre, sembra
particolarmente utile anche nella sua applicazione fuori dal laboratorio. Come il battito cardiaco, l’attività
vascolare rappresenta un ulteriore indicatore di attivazione emotiva. Essa è stata già studiata per misurare lo stato
di piacere, di arousal e di memorizzazione. Non basta avere macchine e tecnologie avanzate per misurare
l’attivazione fisiologica in maniera attendibile e ipotizzare un diretto effetto stimolo - risposta, la complessità dei
dati e l’influenza di possibili variabili intervenienti richiedono tecniche di triangolazione del dato e l’uso di saperi
interdisciplinari come per esempio le conoscenze psicosociali, quelle bio - ingegneristiche, quelle mediche e quelle
di bio - statistica.
Introduzione
Esempio Simone: dirigente di una grande multinazionale. Molto attento alla cura del proprio corpo e della propria
forma fisica. Questo aspetto lo si riscontra anche nella scelta di determinati prodotti. Interessato prima di tutto a
se stesso, alla sua immagine, ai suoi hobby (nuoto) e a mettere in atto pratiche di consumo che riflettono l’interesse
per la propria autodeterminazione.
Alcuni cambiamenti sociali, come l’indipendenza delle donne, le famiglie monoparentali, il moltiplicarsi dei
single, destrutturano gli equilibri attorno ai quali si caratterizzavano i consumi negli anni ’60 – ’70.
Anni ’80: il consumatore vive all’insegna dell’individualismo. In questi anni si parla di “sovranità dell’individuo”,
come della “sovranità della marca”, quasi a suggerire il dialogo esclusivo che il consumatore instaura con il brand,
appropriandosi dei valori e dei significati che rappresenta al fine della sua costruzione identitaria. Questo modo di
rapportarsi ai prodotti di consumo raffigura una relazione di dipendenza dell’individuo rispetto alla marca, che
egli stesso, anche a seguito di condizionamenti sociali, erige a modello di riferimento, quale detentrice e
rappresentante di immagini valoriali a cui ispirarsi e di cui perseguire l’acquisizione. Sebbene oggi si registri un
calo della sovranità della marca, la sovranità dell’individuo permane, anche se rispetto agli anni ’80, il consumatore
trova nella scelta di un prodotto un appiglio momentaneo rispetto ad un’esigenza di autodeterminazione.
I concetti di identità e di self (il sé) sono usati sempre per fare riferimento a descrizioni della persona nella sua
individualità. Il concetto di self viene più spesso utilizzato per fare riferimento a specifiche componenti o a
posizioni di auto - osservazione o ancora a determinati processi che riguardano l’idea che ci facciamo di noi stessi.
Il termine identità rimanda più frequentemente alla unicità della persona nel suo complesso.
Per quanto riguarda il piano individuale, si è distinto il self come soggetto dal self come oggetto. Già James (1890)
ha distinto i due modi di guardare a se stessi:
il self come conoscitore, ovvero l’IO ‚
il self come conosciuto, ovvero il ME
Il self come conoscitore comprende i vari stati del self, come per esempio lo stato di consapevolezza di sé detto
self - awareness, e le motivazioni del self che riguardano tutti i processi auto - riflessivi e di auto - regolazione che
influiscono sull’azione. Quando si parla di self conosciuto, invece, possiamo distinguere definizioni del self che
fanno riferimento a ruoli e a categorie di appartenenza, e definizioni del self che fanno riferimento al confronto tra
diverse rappresentazioni del self, come la distinzione fra Sé ideale e Sé reale, oppure si riferiscono ai vari Sé
possibili, e ai giudizi su diverse dimensioni del self, come l’auto - stima (giudizio di valore generico attribuito alla
persona) e l’auto - efficacia (giudizio circa la capacità relativa a specifici contesti di azione).
Le varie percezioni del self e i sistemi di conoscenza del self sarebbero organizzati in strutture gerarchiche utili
all’attivazione mnestica oppure in narrative che attribuiscono coerenza e continuità al senso di identità altrimenti
frammentate in una moltitudine di rappresentazioni.
Il piano di analisi sociale concepisce il self - identità come sostanzialmente condizionato dall’esterno. Si parla di
modello sociale condiviso, di aspettative sociali, di concezione culturale della persona, di valori culturali prevalenti
e processi di costruzione identitaria influenzati dagli standard di riferimento sociali.
Quindi, i concetti di “cultura” e di “identità” sono strettamente correlati tra di loro nella costruzione identitaria;
basti pensare alle diverse concezioni delle società occidentali e orientali circa l’identità (es.: queste ultime
antepongono l’identità di gruppo all’identità individuale contrariamente a quanto avviene nelle società occidentali
dove l’espressione individuale è considerata al pari di un valore e sin dall’infanzia si va alla ricerca della propria
unicità.
Queste differenze culturali hanno un impatto considerevole sulle valutazioni delle considerazioni delle condizioni
che favoriscono o impediscono l’espressione individuale verso quelle del gruppo.
È per esempio il caso della “privacy”: la legislazione deve tener conto delle differenze culturali circa il valore
attribuito all’identità individuale e alle conseguenti diversità nelle percezioni in materia di diritto alla privacy.
Nella concettualizzazione di Altman (1975) l’abilità o l’incapacità di regolare le barriere personali è un fattore di
primaria importanza per la definizione del self. La percezione di essere in grado di controllare l’interazione con
gli altri fornisce informazione positiva circa la propria competenza ad affrontare il mondo e a mantenere allo stesso
tempo la propria individualità. Per la definizione del self è importante quindi saper regolare le barriere personali e
i meccanismi della privacy definiscono proprio i limiti e le barriere del self. Ciò che è importante è l’abilità di
regolare il contatto nella misura che si ritiene adeguata, allontanando le influenze degli altri quando non sono
gradite o avvicinandole senza paura quando ritenute necessarie.
“Se posso controllare quello che sono io da quello che non sono io, se posso definire cosa è una da cosa non lo
è, se posso osservare i limiti e lo scopo dal mio controllo, allora ho fatto un grande passo verso la comprensione
e la definizione di che sono. Quindi il meccanismo della privacy serve ad aiutarmi nella mia auto-definizione.”
(Altman, 1975)
Molti sociologi attribuiscono un ruolo importante alla privacy, infatti questi ultimi suggeriscono che la protezione
della privacy risponda sia ad un bisogno di evitamento del rischio di invasione da parte degli altri, sia ad un bisogno
di esercitare controllo sulle influenze esterne, sempre al fine di salvaguardare la propria autonomia (Hinde).
La protezione della privacy risponde sia ad un bisogno di evitamento del rischio di invasione da parte degli altri,
sia ad un bisogno di esercitare controllo sulle influenze esterne, sempre allo scopo di salvaguardare la propria
autonomia. (Kelvin, 1977)
Anche per Goffman, utilizzando la metafora del retroscena del teatro, concettualizza l’esistenza della zona privata,
dove certe informazioni circa il self sono preservate dalla conoscenza altrui. Attraverso la regolazione di barriere
personali, ovvero controllando il grado di auto - rivelazione e il grado di privacy, le persone possono controllare
la propria identità, intesa come immagine sociale, e di conseguenza il proprio impatto nella società.
Oggi, secondo Altman, a causa dell’innovazione tecnologica e della pervasività dell’informazione, sarà sempre
più difficile per il consumatore esercitare un controllo sulle proprie barriere e quindi sulla propria identità. La
minaccia alla privacy assume il valore una minaccia alla libertà. Tutto ciò che minaccia la privacy corrisponde
anche ad una minaccia all’identità individuale, oggi più che mai basata sui principi di libertà e autonomia.
Con il termine self - concept si fa riferimento all’idea che si ha di Sé, ovvero a quel self conosciuto. E quindi:
Sé reale: quello che penso di essere, la condizione attuale;
Sé ideale: quello a cui aspiro, l’ideale da raggiungere;
Sé possibili: molteplici sfaccettature di me stesso, sia attuali che potenziali. Rappresenta il collegamento
fra cognizione e motivazione.
Le valutazioni del “Sé reale” e del “Sé ideale” possono discostarsi l’una dall’altra. La pubblicità sfrutta proprio
questo gap, presentando modelli di identificazione che forniscono un ideale troppo lontano dal reale e incentivando
una valutazione severa del sé reale, per esempio associando valutazioni negative alle rughe o ai capelli bianchi.
L’associazione tra bellezza giovinezza e successo economico produce un divario tra i due “Sé”, colmabile solo sul
piano simbolico attraverso la scelta di prodotti e di marche in grado di rappresentare gli stessi valori.
Dal momento che il contesto sociale svolge un ruolo importante nella costruzione del “Sé”, è possibile considerare
il self come una realtà dinamica ed in costante evoluzione. Si tratta di interpretazioni socio-centriche, in quanto
l’identità appare composta di molte sfaccettature che trovano espressione in base ai diversi contesti e stimolazioni
che provengono dall’ambiente. Rosenberg parla di “identità sociali” a seconda dei ruoli rivestiti. Esse tuttavia
non esauriscono la molteplicità delle identità di una persona e a queste si associano anche tratti individuali non
riconducibili a particolari ruoli sociali.
Il Sé ideale è formato da modelli che si sono introiettati, che rappresentano come si pensa si dovrebbe essere. Essi
derivano dalla sovrapposizione di modelli parentali con modelli aspirazionali acquisiti attraverso l’esposizione
diretta o mediatica ad altre persone che vengono assunte a ideali di riferimento.
Secondo la tradizione più prettamente sociologica dell’interazionismo simbolico, ogni persona ha potenzialmente
più Sé sociali che si costruiscono e si esprimono nell’interazione sociale. Qui gli stimoli che provengono
dall’esterno non sono dati oggettivi, ma piuttosto il frutto di processi interpretativi che si forgiano attraverso la
comunicazione, il linguaggio, i simboli che emergono nello scambio con l’altro. Le persone attribuiscono
significato a se stesse e alle cose in base ai significati che vi attribuiscono e al modo in cui agiscono verso queste
stesse cose o persone. Il significato emerge quindi, dall’agire stesso nel contesto dell’interazione e dalla reciproca
interpretazione di quello che si pensa essere l’agire dell’altro. (Blumer) Ecco perché possono coesistere diversi
modi di essere e diverse identità.
La concezione dell’identità come risultato di una interpretazione sottolinea la sua natura cangiante e fluida a
seconda dei contesti sociali. Per l’ottica socio - costruzionista di Gergen (1979), l’identità è in continua evoluzione.
Allontanandosi dalla concezione di identità come elemento stabile che fornisce una dimensione centrale e unitaria
all’essere umano, Gergen propone un concetto di identità multipla e fatta di elementi spesso in contraddizione fra
loro. Tale concezione viene ripresa come caratteristica di base nella descrizione degli individui delle società
postmoderne. Ne deriva un consumatore dalle identità multiple che lo orientano verso forme di autorealizzazione
contradditorie, che tenta di compensare le sue mancanze attraverso scelte di stili di vita adeguati e relazioni
significative con i brand che sono spesso all’origine degli stessi processi di identificazione e imitazione.
Oggi si tende a descrivere il consumatore come un soggetto dalle identità multiple, dai molteplici Sé possibili che
lo orientano verso tentativi di autorealizzazione contraddittori e allo stesso tempo impegnativi perché troppo
numerosi o troppo onerosi.
Post modernità e identità
Fra i principali cambiamenti rispetto al passato si rileva la crescente individualizzazione, per cui il consumatore
agisce e sceglie in quanto individuo, seguendo le proprie inclinazioni e nel tentativo di esprimere se stesso piuttosto
che come membro di un gruppo o in funzione di necessità utilitaristiche.
Oltre ad essere concentrato su di Sé, il consumatore postmoderno si trova ad affrontare una tendenza alla
frammentazione dei modelli, dei valori e degli stili.
Anche Giddens, sebbene preferisca adottare il termine di modernità radicale per sottolineare la permanenza di
forze strutturali ed evitare il rischio di relativismo, riconosce nella frammentazione e nell’individualizzazione
alcuni dei cambiamenti più significativi che investono l’individuo nella società contemporanea.
Inoltre, come Beck, puntualizza l’emergere della percezione del rischio come elemento di ulteriore complicazione
nel quadro già incerto dell’identità moderna.
Di fronte alla complessità, all’incertezza e al rischio percepito, il consumatore di oggi si trova nella necessità di
affidarsi alla fiducia ontologica per evitare l’effetto paralizzante dell’ansia che esperisce nel dover scegliere. La
possibilità dell’auto - determinazione obbliga il consumatore a dedicare tempo ed energie nel tentativo di operare
scelte corrette, che garantendo l’apprezzamento sociale possano apparire adeguate al perseguimento della felicità.
Egli è infatti, sicuramente più libero nell’auto-determinarsi, ma paga questo atto di libera espressione in termini di
insicurezza, ansia da prestazione e paura.
La concentrazione sul self (self - focus) appare pertanto una esigenza dettata dalla necessità di esercitare
discrezionalità e autonomia. Il self-focus aumenta all’aumentare dell’insicurezza e dalla mancanza di controllo
percepito ed è un’esigenza che nasce dal perseguimento della felicità. Se prima si affidava la felicità alla religione,
rimandando la questione all’aldilà, i nuovi valori di riferimento sollecitano un’autorealizzazione tutta terrena e
costringono l’individuo a ricercare nella contemporaneità la ragione della propria esistenza. Il self focus si esprime
in termini di riflessività, per cui il soggetto tende a sottoporsi a valutazione continua, in relazioni ai risultati che
ottiene nell’ambiente e in base ai quali si predispone al cambiamento. La dimensione postmoderna enfatizza la
dimensione sociale dei processi riflessivi che, stimolati dalla pervasività dell’informazione, inducono la società
nel suo insieme e gli individui che ne fanno parte a riflettere costantemente sui propri processi, predisponendosi
in questo modo ad una dinamica di costante evoluzione.
Il rapporto con i beni di consumo non è di tipo utilitaristico. I beni sono infatti portatori di significati e possono
svolgere un ruolo simbolico ai fini dell’espressione identitaria. Ne deriva che il consumo è un atto di
comunicazione. Douglas e Isherwood (1979) hanno evidenziato il significato culturale degli oggetti e messo in
evidenza la loro funzione simbolica al di là delle caratteristiche funzionali e utilitaristiche.
Nella società contemporanea i significati simbolici si amplificano per via delle strategie di comunicazione delle
marche che diventano portatori di valori e significati. Tuttavia, il consumatore non sempre è fruitore passivo in
questo processo di significazione ma attribuiscono agli oggetti significati propri e intangibili, non previsti dal
produttore e dal marketing.
La condivisione sociale del valore economico di certi beni è un fattore importante nella spiegazione del
materialismo, termine con cui ci si riferisce alla tendenza ad attribuire valore al possesso di beni e alle persone che
li possiedono. La ricerca psicologica ha infatti dimostrato che le persone materialistiche misurano il proprio e
l’altrui valore con riferimento ai beni materiali posseduti, che apparirebbe quindi anche come garanzia di felicità.
Se i beni possono essere considerati come espressione di valore individuale, essi assumono anche il significato
simbolico di estensione del self (extended self). I beni con cui entriamo in relazione, che diventano di nostra
proprietà e di cui ci circondiamo, assumono significati ulteriori che vanno ad aggiungersi a quelli definiti dalla
marca.
Per spiegare il legame tra le proprietà materiali e l’identità, Dittmar (1992) propone un modello simbolico -
comunicazionale. Secondo questo modello, alcuni oggetti sono considerati per le caratteristiche fisiche e assumono
quindi un significato strumentale; tali oggetti possono assumere anche una funzione simbolica. Altri oggetti invece
hanno solamente significato simbolico, che può essere suddiviso in categorico ed espressivo del Sé. Il significato
simbolico categorico posiziona l’individuo in termini socio - materiali, essendo un indicatore di status e della
posizione economica e sociale; il significato espressivo del sé riguarda invece la rappresentazione di attributi,
qualità, attitudini e inclinazioni personali.
Dittmar sottolinea l’aspetto pubblico dei beni materiali, ovvero il significato che viene attribuito ad un oggetto da
osservatori esterni, distinguendola dalla dimensione privata che è invece rappresentata dalla somma dei significati
che l’oggetto rappresenta per un individuo e può comprendere anche il significato pubblico. Al di là del significato
privato, è il significato pubblico dei beni che spiega molte delle scelte individuali.
I giudizi categorici svolgono un ruolo importante nella formazione della prima impressione. Di conseguenza il
nostro comportamento nei confronti delle persone varierà in funzione di questa prima impressione che ci siamo
formati. In questo modo viene dato un giudizio sulla condizione della persona (valutazione categorica) e
successivamente si forma una impressione sulle qualità personali (valutazione espressiva). In funzione della prima
valutazione.
Nell’ambito delle ricerche di mercato, le tecniche qualitative sono utilmente impiegate per la comprensione dei
significati simbolici attribuiti agli oggetti di consumo. Per esempio, l’approccio semiotico si basa sull’analisi dei
sistemi di senso che concorrono alla creazione e alla caratterizzazione di prodotti e marche attraverso i processi
della comunicazione sociale. Esso serve per individuare quelle forme di relazione e valori in gioco che
caratterizzano gli oggetti di analisi, al fine di poterlo posizionare (per analogie o differenze), incrementando il
potere euristico (si spiega meglio ciò che è stato smontato e confrontato).
La ricerca socio-semiotica è però anche uno strumento che può essere utilizzato autonomamente per esempio per
costruire scenari editoriali, per evidenziare scarti e specificità di posizionamento o per individuare aree non ancora
presidiate. È possibile costruire così una tabella comparativa (mappa o grafico) che mette in evidenza queste
caratteristiche.
Nell’ambito del ripiegamento narcisistico che è funzionale al monitoraggio della narrativa identitaria e alla
protezione rispetto al rischio percepito di inadeguatezza, le pratiche trasformative del corpo, le cure di bellezza
come l’attenzione per la moda sono tutti comportamenti di consumo sintomatici del bisogno di controllo sul
proprio self.
Il corpo è il primo territorio a ospitare pratiche di consumo per la costruzione identitaria. Il proprio corpo e tutto
ciò che lo adorna e lo ricopre, così come gli oggetti che hanno a che fare con la persona (auto, casa, letto, …) sono
tutte funzioni rappresentative dell’estensione del self. Le pratiche trasformative del corpo, come la cura della
bellezza l’attenzione per la moda e per la chirurgia estetica e così via, sono invece comportamenti di consumo
sintomatici del bisogno di controllo sul proprio self, per proteggersi dal rischio percepito di inadeguatezza, per
intervenire sul pericolo di esclusione sociale, per contrastare l’invecchiamento.
Il corpo rappresenta quindi, il fulcro del controllo sull’espressione del sé nella relazione sociale, percepito come
uno strumento funzionale al successo nelle relazioni intime come in quelle di lavoro. Ci sono poi casi in cui si
assiste ad una parziale o totale sovrapposizione fra immagine fisica e identità, come per esempio coloro che
ricorrono in maniera intensiva e continua alla chirurgia plastica e nonostante ciò restano comunque insoddisfatti.
Tutta la loro insicurezza e instabilità sociale e relazionale, si ripercuote sul corpo, visto come l’unico territorio sul
quale sentono di poter esercitare un certo dominio.
Per identità di genere si intendono non solo la consapevolezza dell’individuo di essere maschio o femmina, ma
soprattutto quelle categorie interpretative condivise che ispirano il comportamento secondo il genere di
appartenenza e il ruolo ad esso legato.
Dittmar (1995) propongono una spiegazione del differente comportamento di consumo di uomini e donne
basandosi sulla doppia dimensione del significato che gli oggetti possono assumere: strumentale ed emozionale
simbolico.
Le interviste di venti studenti di sesso maschile e venti di sesso femminile hanno evidenziato che, in accordo con
la self - completion theory, gli individui paiono rapportarsi agli oggetti per il loro significato emozionale e
simbolico a seconda delle mancanze percepite nel concetto di Sé.
L’acquisto di prodotti a contenuto simbolico si spiega in base alla discrepanza percepita fra Sé reale e Sé ideale e
tale discrepanza appare spesso riferita a rappresentazioni di genere. Il genere sessuale e le rappresentazioni che lo
connotano sul piano sociale svolgono un ruolo importante nella costruzione identitaria perché fanno emergere
scelte di consumo differenti in base al genere di appartenenza.
Le donne sono più focalizzate su compensazioni inerenti l’immagine sociale e scelgono quindi prodotti che sono
in relazione trasformativa con il corpo (cibo, trucchi, vestiti). Gli uomini, invece, si concentrano sui simboli che
sono più significativi per l’identità personale, prediligendo così consumi che riguardano l’intrattenimento
personale, consumi funzionali che assumono un ruolo simbolico strumentale alla realizzazione del self. In entrambi
i casi, la scelta dei consumi dipende dal significato emozionale e simbolico a seconda delle mancanze percepite
nel concetto di sé.
Oggi si studiano anche i simboli rappresentativi per la costruzione identitaria da parte dei consumatori gay, dato
che il marketing riesce a orientarsi direttamente al segmento.
La pubblicità tende a indirizzarsi verso un pubblico più eterogeneo per gusti e orientamenti sessuali, un po’ della
rappresentazione degli stereotipi come l’“uomo macho che non deve chiedere mai” e della “donna fatale”
riproponendoli così anche in altri contesti. Un’attenzione particolare è rivolta al consumatore gay, dal momento
che rappresenta sempre più una realtà che identifica prodotti simbolo e stili di consumo utili alla propria
rappresentazione.
Quando la persona accetta, privatamente e socialmente, di vivere la sua identità gay, si attivano determinate
dinamiche di consumo. Il processo di costruzione dell’identità gay viene definito coming out, in quanto si deve
passare attraverso vari livelli di auto - accettazione e visibilità.
È possibile individuare delle fasi del “coming out” a cui corrispondono diversi sistemi di consumo del soggetto:
Consumi generici tutti prodotti che non rientrano nelle altre tre categorie e che vengono acquistati
anche da eterosessuali;
Consumi ad hoc assicurazioni gay, viaggi gay, gay club, porno gay, siti gay;
Consumi simbolici gay “maker goods”: cosmetici, moda, design + gay “maker brand” : Gucci, Prada,
Absolut Vodka;
Consumi consumption cross – over cosmetici, moda, design, arte.
I mercati e i consumi non solo manifestano le identità dei consumatori, ma partecipano anche alla loro
ridefinizione. Come dice Laura Oswald: “Per quanto da una parte il comportamento di consumo sia una sorta
di specchio del sé, dall’altra il consumo costituisce il sé: i prodotti sono oggetti da amare, odiare, maneggiare e
contribuiscono alla formazione sociale e psicologica del consumatore e della cultura.”
Lo studio della personalità è stato utilizzato dal marketing per individuare comportamenti stabili e riconoscibili a
caratteristiche personali. Anche in psicologia questo studio nasce dal desiderio di spiegare delle apparenti
regolarità nel comportamento degli individui attraverso una varietà di situazioni diverse.
In realtà, i tratti della personalità anche se concepiti come caratteristiche stabili, risultano più come una funzione
di impulsi innati, motivazioni apprese ed esperienza.
Teoria psicoanalitica di Freud mette in evidenza la componente inconscia ad agire. Secondo Freud la personalità
è composta da:
ES: componente pulsionale regolata dal piacere e orientata alla gratificazione immediata e all’evitamento
del dolore. Per esempio: soddisfazione istinti sessuali e aggressivi;
IO: adatta gli istinti dell’Es a un principio di realtà che tiene quindi conto delle regole e limiti imposti dal
mondo in cui l’individuo vive. Rappresenta l’istanza adulta adatta alle richieste dell’ambiente quindi, oltre
soddisfare i propri bisogni, tiene al mantenimento della relazione.
SUPER-IO: istanza ideale che orienta l’Io a migliorarsi e allontanarsi dalla pressione alla soddisfazione
che giunge dall’Es.
La concezione di Freud ha influenzato la ricerca sul consumatore suggerendo l’esistenza di motivazioni inconsce
che si celerebbero dietro a razionalizzazioni imposte dalla coscienza. Ci sono quindi prodotti che al di là dei loro
attributi funzionali, possono rappresentare oggetti per la soddisfazione di bisogni inespressi, spesso legati all’eros.
Da qui si è sviluppata la ricerca motivazionale con lo scopo di scoprire le motivazioni inconsce del consumo,
represse o rimosse a causa di un super-io severo. Questo prevede interviste in profondità, tecniche proiettive a test
di associazioni di parole (indagine qualitativa). La ricerca motivazionale non si pone obiettivi di rappresentatività
ma attraverso l’indagine qualitativa, mira a scoprire motivazioni profonde che non potrebbero emergere attraverso
indagini di tipo quantitativo e descrittivo.
Per lo studio della personalità ci si rifà anche ad un altro approccio che individua dei tipi di personalità. Lo studioso
Horney ha individuato 3 tipi di persona:
1. Quelle che si avvicinano alle altre, dette compiacenti, che sentono il bisogno di essere accettate, apprezzate,
amate, di stare in compagnia. Per piacere agli altri evitano le discussioni, sono generose e si lasciano dominare;
2. Quelle che si allontanano dalle altre, dette distaccate, che cercano di mantenere un distacco emotivo e
comportamentale dagli altri, evitano obblighi e impegni, cercano di non attirare l’attenzione;
3. quelle aggressive, che cercano di impressionare gli altri, di vincere, di attrarre l’attenzione con un
comportamento disinvolto e con atteggiamenti da leader.
Queste tre diverse tipologie di persone possono ricondursi a comportamenti di consumo differente e a preferenze
per marchi diversi.
Jung, invece fa una distinzione tra persone introverse e persone estroverse a seconda della tendenza a trarre stimoli
dall’esterno attraverso le relazioni sociali rispetto alla tendenza opposta.
Ciò che differenzia e influenza il consumo può essere relativo a quanto le persone sono interessate alle novità, al
materialismo, a controllare la propria immagine.
Certo è che spesso i brand hanno caratteristiche tali da consentire processi di identificazione. Il rapporto tra marca
e consumatore si basa su norme di relazione interpersonale: dipende quindi da come le persone percepiscono il
brand e dal tipo di effetti che tale percezione esercita sugli atteggiamenti e i comportamenti di consumo.
Brand personality
Il brand serve per ridurre la distanza fisica tra consumatori e impresa differenziando i brand rispetto ai concorrenti,
sia come garante della qualità del prodotto. Il brand non è più solo indicatore del produttore o della provenienza
geografica ma con l’aumentare dell’offerta, esso acquisisce ulteriori significati, è sempre più autonomo, in grado
di esprimere la personalità e i valori. A partire dagli anni ’80, il brand è diventato sempre più segno autonomo, in
grado di rappresentare il prodotto e di esprimere personalità e valori in modo indipendente dal produttore, che
viene identificato con il concetto distinto di corporate brand. In questi anni emerge sempre più chiara la differenza
fra comunicazione istituzionale che promuove la reputazione del produttore, e comunicazione del brand che mira
a creare una associazione positiva fra tratti valoriali e di personalità con un certo prodotto, anche attraverso lo
studio del packaging e del logo. Il riconoscimento del ruolo della marca come strumento di maggiore portata
strategica per raggiungere il consumatore ha indotto a intensificare lo studio dei fattori che spiegano le relazioni
di identificazione con il brand.
Il concetto di brand personality si riferisce alle caratteristiche umane associate ad un brand; rappresenta il punto
di intersezione più importante fra marketing e psicologia per ciò che riguarda la promozione del prodotto. Infatti,
è attraverso lo studio della psicologia del consumatore che si può progettare una personalità di marca in grado di
soddisfare i bisogni di identificazione alla base della relazione e della scelta.
I tratti della personalità vengono trasferiti direttamente al brand (es.: i testimonial) come se si trattasse delle
caratteristiche del consumatore tipo del prodotto o del consumatore che produce quel prodotto. (Mc Craken, 1989)
Un contributo largamente citato sulle dimensioni della personalità di marca è quello di Aaker (1997). Secondo lo
studio di Jennifer Aaker infatti, non sempre il “Principio di congruenza del SELF”, secondo il quale i consumatori
si avvicinano ai brand che presentano tratti analoghi ai propri, ha trovato conferma in letteraturaUna delle ragioni
plausibili per la mancanza di risultati positivi a sostegno di tale ipotesi può essere legata alla non corrispondenza
fra tratti umani e tratti del brand. Al fine di colmare questo gap in letteratura, Aaker ha elaborato una brand
personality scale basata sullo studio di 37 marche, di cui 114 tratti di personalità sono stati misurati da un totale
di 631 soggetti.
Aaker individua 5 dimensioni di personalità presenti in tutte le marche:
Sincerità
Eccitazione
Competenza
Sofisticatezza
Rudezza (big five)
Emerge che vi è una sovrapposizione per i primi tre tratti ma non per gli altri due, che pur non essendo presenti
nelle persone, rappresentano dimensioni aspirazionali.
La brand personality è stata studiata anche con approcci molto doversi da quelli psicometrici. Per esempio,
l’approccio relazionale sostiene che il brand è antropomorfizzato da parte del consumatore e che, come tale, può
entrare nella relazione come se si trattasse di una persona. A questo proposito, lo studioso Fournier dice che questa
tendenza sarebbe innata negli individui e quindi è inevitabile un processo di attribuzione di caratteristiche e tratti
di personalità ai prodotti che si distinguono con una certa marca.
Le relazioni che possono instaurarsi fra consumatore e brand possono essere di tipo:
Funzionale: la relazione adempie ad un ruolo pratico e viene giudicata dal consumatore in base all’utilità
percepita;
Psicologico-emozionale: coinvolge il consumatore personalmente perché soddisfa i bisogni di
identificazione;
Socio-culturale: la relazione consente di costruire e comunicare appartenenze sociali, aderendo a stili di
vita necessari all’identità sociale del consumatore.
STILI DI VITA
Il concetto di stile di vita viene associato di frequente a quello di personalità. Secondo la teoria che cerca di
interpretare l’esistenza di tratti che nelle persone inducono a pattern regolari di comportamento, la relazione fra
personalità e consumo si potrebbe tradurre in aggregati di scelte tali da portare all’identificazione di diversi stili di
vita. Questi rappresentano un miglioramento delle segmentazioni classiche e hanno incluso variabili di ordine
psicologico come gli atteggiamenti e in qualche caso anche i tratti di personalità. Rispetto alle segmentazioni
classiche basate solo su dati socio-demografici, gli stili di vita includono variabili di tipo psicologico come gli
atteggiamenti, tratti della personalità, vengono così chiamate psicografie. Gli stili di vita così strutturati si sono
difatti chiamate psicografie con l’intento di enfatizzare la componente di misurazione psicologica che Ł implicata
nella tecnica. In termini pratici, gli stili di vita sono misurati attraverso la formazione di numerosi item che
generalmente descrivono: attività (A), interessi (I), opinioni (O).
A questi item si possono aggiungere misurazioni psicometriche per la rilevazione di tratti di personalità. In
numerose tecniche di segmentazione gli item utilizzati rilevano inoltre la centralità attribuita ai valori, come fattore
determinante nell’orientare in modo costante atteggiamenti e comportamenti dei consumatori
Gli item mettono in rilievo la centralità attribuita ai valori come fattore determinante nell’orientare in modo
costante atteggiamenti e comportamenti dei consumatori. Dall’analisi degli item/stili di vita è possibile:
Identificare il target;
Sviluppare strategie per il posizionamento dei prodotti;
Sviluppare strategie di comunicazione adottate al target di riferimento.
La tecnica psicografica più nota è il VALS (Value And Life Style) di Mitchell (1989) che si basa soprattutto sulla
teoria gerarchica motivazionale di Maslow, secondo cui il comportamento delle persone risulta dai bisogni che
sono ordinati gerarchicamente e il cui soddisfacimento seguo per l’appunto un ordine gerarchico che va dai bisogni
fisiologici e di sicurezza, ai bisogni di tipo sociale come quelli di appartenenza, attaccamento, stima,
riconoscimento e autorealizzazione. Per cui si avranno consumatori orientati al soddisfacimento di bisogni di
sicurezza, altri focalizzati sui bisogni di riconoscimento sociale e altri ancora alle prese con necessità di
autorealizzazione. Secondo questa tecnica, una volta soddisfatti i bisogni fisici (need driven), i consumatori si
dividono in:
Outer Directed (eterodiretto): da più importanza al giudizio degli altri e si rifà a valori socialmente
condivisi;
Inner Directed (autodiretto): puntano più sull’autogratificazione e sono orientati a valori più personali;
Integrati: sono alle prese con i bisogni di autorealizzazione.
Per risolvere i limiti della VALS, viene creata una nuova tecnica chiamata VALS 2, che dà minore peso ai valori
e alle influenze sociali e si concentra molto di più su caratteristiche psicologiche che dovrebbero discriminare fra
gli individui in modo stabile e spiegare, insieme all’educazione e al potere di acquisto, specifiche costellazioni di
acquisti. Questa tecnica individua due dimensioni psicologiche di base:
- Self-orientation, che spiegherebbe il comportamento a seconda che si sia orientati a perseguire la coerenza
con i propri principi; migliorare il proprio status; ottenere informazioni e sfide;
- Dimensione delle risorse personali: rappresentate tramite un continuum che esprime il diverso grado di
motivazione, intelligenza, interesse al consumo ed energia, che possono caratterizzare gli individui anche
in considerazione dell’età anagrafica e dell’educazione
Secondo l’approccio VALS 2, la spiegazione psicologica, quando è in grado di identificare orientamenti
personologici stabili, appare più persuasiva soprattutto se si è alla ricerca di determinati universali che superino
eventuali differenze culturali per raggiungere mercati globali.
Sul territorio italiano possiamo trovare la 3SC con i suoi 14 stili di vita, tra cui stili giovanili, stili superiori, stili
centrali maschili, stili centrali femminili, stili marginali. Essa è stata elaborata con la tecnica di segmentazione di
Sinottica di Eurisko, fondata da Galvi (1972) e consiste nell’elaborazione di 14 stili di vita tramite un questionario
su atteggiamenti, interessi, opinioni, realizzato su un campione di circa 1000 persone dai 14 anni in su, da cui è
possibile mettere in evidenza delle aggregazioni per stili giovanili, stili superiori, stili centrali maschili e femminili,
stili marginali, a seconda delle variabili prese in considerazione che fanno riferimento soprattutto a descrittori
socio-anagrafici e ad attività di spesa e consumo.
Però ci sono comunque parecchie critiche riguardanti la vera funzionalità di queste tecniche, cioè se davvero
mantengono la promessa di consentire la previsione del comportamento.
La mancanza di una teoria che spieghi la creazione di tali aggregazioni, vanifica anche la questione della validità.
Inoltre, queste tecniche difficilmente consentono di prevedere il comportamento. Si limitano, in genere, a
descrivere gruppi di consumatori, giungendo alla formulazione del target già raggiunto. Risulta perciò sempre più
evidente la necessità di integrare le varie tipologie di stili di vita con domande specifiche al prodotto in questione.
Brand management
Con il termine brand management, si fa riferimento a tutte le strategie di gestione della marca finalizzate ad
aumentare il valore percepito di uno o più prodotti in termini di istintività, qualità e attrattività dell’offerta rispetto
a quella dei concorrenti. Si parla infatti di:
Brand Equity (valore della marca): con riferimento alla conoscenza e alla forza di una marca in un dato
mercato come fra i principali indicatori di successo per un dato prodotto. Essa è determinata da:
- Proprietà della marca (Brand awareness)
- Fedeltà alla marca (Brand loyalty)
- Qualità percepita della marca
- Immagine di marca (Brand image)
Le attività di gestione della marca comprendono tutte le strategie orientate a promuoverne la conoscenza e a
raggiungere gli obiettivi prefissati dal marketing a livello di immagine e di qualità percepita.
Line Extension: strategia di marca che riguarda il lancio di una categoria di prodotti nuovi all’interno di
una linea di prodotti già noti (es.: la mozzarella Santa Lucia della Galbani che introduce la mozzarella alle
olive).
Brand Extension: strategia di marca che coinvolge il lancio di nuove categorie di prodotti utilizzando una
marca già nota (es.: il brand Ferrari utilizzato per le linee di abbigliamento).
Licencing: i diritti di sfruttamento di un marchio sono venduti ad un altro produttore per la vendita di
prodotti appartenenti categorie non concorrenti, per edizioni speciali e limitate nel tempo.
Co-Branding: associazione fra due marchi al fine di consentire al prodotto di un marchio di raggiungere
il target del secondo (es.: telefonino lanciato da LG Electronics con il marchio Prada).
Il successo delle strategie di gestione del brand dipende da molteplici fattori. Per esempio, un fattore critico nella
realizzazione di strategie di brand extension è la consonanza percettiva. La somiglianza fra la nuova categoria di
prodotto e alla categoria per la quale la marca gode già di notorietà influisce sulla reale possibilità di trasferimento
del capitale della marca.
Introduzione
Le persone con cui ci si relaziona influenzano gli atteggiamenti verso la politica e anche verso molte altre questioni.
Gli atteggiamenti si formano e cambiano in virtù delle informazioni che riceviamo nel nostro ambiente di
interazioni. Il gruppo dei pari come i contesti lavorativi svolgono un ruolo importante nella spiegazione delle
posizioni attitudinali e dei comportamenti di ciascuno.
Gli atteggiamenti possono perciò essere considerati come il risultato di predisposizioni personali e delle tante forze
sociali che agiscono sulla persona fino a determinare le preferenze, le intenzioni e i comportamenti.
Atteggiamenti diversi portano a reazioni diverse anche nei confronti del consumo, per questo, possiamo dire che
gli atteggiamenti dei consumatori hanno un importante influenza sui comportamenti d’acquisto e questi ultimi
possono successivamente andare a rinforzare un certo atteggiamento o modificarlo.
La ricerca sugli atteggiamenti può essere utilizzata per comprendere le potenzialità di un nuovo prodotto, oppure
per comprendere e prevedere eventuali cambiamenti nelle abitudini di consumo.
Aalport: atteggiamento-stato mentale, organizzato grazie all’esperienza che esercita un’influenza sulle risposte
dell’individuo nei confronti di tutti gli oggetti e le situazioni con cui è in relazione.
I vari approcci alla definizione degli atteggiamenti corrispondono a diverse metodologie di misurazione. Ci sono
3 modelli che hanno interpretato l’atteggiamento in base alle componenti:
Modello a una componente (Thurstone): l’atteggiamento consiste in un sentimento o valutazione verso
un determinato oggetto, persona o evento. In termini di misurazione è stato tradotto attraverso l’uso di
scale attitudinali volte a descrivere “il grado di valutazione positiva o negativa associata a un dato oggetto
psicologico.” È stata poi individuata anche una componente di predisposizione all’azione.
Modello a due componenti: l’atteggiamento consiste in una condizione mentale che influenza il
comportamento e che di conseguenza influisce sui giudizi valutativi in maniera persistente.
L’atteggiamento viene quindi visto come qualcosa di inosservabile all’esterno se non attraverso le
valutazioni e comportamenti.
Modello a tre componenti: l’atteggiamento è costituito da una componente cognitiva (si riferisce alla
convinzione, probabilità che un’affermazione sia vera o falsa), una componente affettiva (che implica
sentimenti negativi o positivi) e una componente conativa (che esprime la tendenza a comportarsi in un
certo modo nei confronti dell’oggetto dell’atteggiamento).
Modello tripartito dell’atteggiamento – Hogg e Vaughan – considera la relazione tra atteggiamento e
comportamento come già data, definita.
Ai fini del marketing è importante comprendere quale sia la funzione che svolge l’atteggiamento verso un
determinato prodotto, perché partendo da essa si possono capire le principali barriere all’acquisto o individuare gli
attributi più significativi del prodotto nella spiegazione delle preferenze e della scelta.
Kats individua 4 funzioni degli atteggiamenti:
Funzione utilitaristica: l’atteggiamento verso un certo oggetto si sviluppa per raggiungere un certo
beneficio o evitare un effetto negativo (piacere/dispiacere)
Funzione di espressione del valore: gli atteggiamenti svolgono la funzione di esprimere valori self-concept
individuali, quindi atteggiamenti che meglio esprimono l’immagine del self che si intende proiettare e che
ne determina l’appartenenza ad un gruppo sociale attraverso l’adesione a stili di vita.
Funzione difensiva del self: il consumatore può assumere un determinato atteggiamento per difendere una
mancanza percepita a livello identitario. Quindi si avvicinerà ad un dato prodotto che è in grado di
compensare la debolezza percepita (es.: di sex appeal per cui le donne si orientano verso un abbigliamento
più provocante).
Funzione cognitiva: questa funzione deriva dalla necessità di coerenza che induce, nei processi di
elaborazione dell’informazione, a privilegiare le interpretazioni che sono conformi a ci che si conosce e
non è in contraddizione con la struttura di credenze che già condiziona decisioni e comportamenti. La
funzione cognitiva dell’atteggiamento è stata evidenziata da mote teorie note con il termine di teorie della
consistenza cognitiva. Tra queste, la teoria della dissonanza cognitiva sostiene che quando ci troviamo a
dover scegliere fra più opzioni tutte ugualmente desiderabili, per poter operare una scelta e superare la
condizione di dissonanza che permane di fronte all’incertezza di aver scelto l’opzione migliore, si tender
a selezionare informazioni utili a formare un atteggiamento positivo e coerente alla scelta fatta. Si possono
aggiungere informazioni, eliminare determinati fattori o cambiare l’informazione.
La necessità di perseguire una sorta di coerenza cognitiva è al centro anche della BALANCE THEORY che
formula l’esistenza di strutture attitudinali triadiche che tenderebbero alla ristrutturazione cognitiva in caso di
disequilibrio. Essa presuppone l’esistenza di triadi date da due persone e un oggetto, oppure da tre persone, che a
seconda degli atteggiamenti con cui si associano gli uni agli altri possono rappresentare strutture equilibrate o
disequilibrate che tendono pertanto a un cambiamento. Questa teoria mette in evidenza la possibilità di intervenire
su una triade di atteggiamenti presentando una associazione fra un certo prodotto e un testimonial o un altro
prodotto verso il quale esiste già un atteggiamento. Sempre in linea con il concetto di coerenza cognitiva, la teoria
del giudizio sociale sostiene che le persone raccolgono informazioni sugli oggetti di atteggiamento in base a quello
che sanno già e di cui hanno accumulato precedente esperienze.
Secondo questa teoria, gli atteggiamenti iniziali identificano uno standard entro il quale vanno ad adattarsi le nuove
informazioni. Tale standard definisce inoltre il livello di accettabilità soggettiva che informa il giudizio sociale e
che incide sulla predisposizione positiva o negativa verso determinati messaggi.
Tutte le informazioni che cadono entro il livello soggettivo di accettabilità sono inoltre considerate molto più
coerenti con la propria posizione rispetto alle informazioni che invece non rientrano in tale standard e che vengono
percepite come più lontane dalla posizione personale rispetto a quanto lo siano veramente.
Questi due effetti, per cui lo standard soggettivo di accettabilità influisce sull’interpretazione dei messaggi e sul
loro effetto, sono noti rispettivamente come effetto assimilazione ed effetto contrasto.
La strategia di marketing, a partire da una conoscenza approfondita del target della comunicazione, dovrà puntare
a stimolare un effetto assimilazione, soffermandosi ed enfatizzando gli elementi che risultano essere in maggiore
sovrapposizione con la struttura di atteggiamenti pregressi.
I MODELLI DI ATTEGGIAMENTI
Il comportamento non sempre è spiegato dall’atteggiamento. La nuova frontiera dello studio degli atteggiamenti
consiste nella distinzione fra atteggiamenti manifesti e atteggiamenti impliciti (non richiedono una valutazione
esplicita di un oggetto di atteggiamento, ma è ricavata in genere dai tempi di reazione associati ad un compito di
tipo cognitivo. Corrispondono a fattori associativi, veloci, impulsivi, automatici, contro quelli riflessivi e
deliberativi degli atteggiamenti espliciti. I comportamenti sono determinati da entrambi i fattori, mentre gli
atteggiamenti privilegiano o un aspetto o l’altro).
Un problema nella misurazione degli atteggiamenti è rappresentato dalla difficoltà a verbalizzare tutte le
componenti. Non sempre il consumatore è in grado di esprimere una valutazione su un dato prodotto e in ogni
caso, gli atteggiamenti sono costrutti complessi che non si esauriscono in una semplice valutazione di
apprezzamento. Si sono così sviluppati modelli di atteggiamento multi-attributo che sostengono l’importanza di
valutare i diversi atteggiamenti che il consumatore può esprimere verso i numerosi attributi di un prodotto al fine
di giungere ad una misurazione dell’atteggiamento complessivo verso un dato oggetto di atteggiamento. Questi
modelli implicano quindi per il ricercatore di mercato una analisi degli attributi significativi del prodotto che deve
precedere la valutazione dei relativi atteggiamenti fino a giungere alla determinazione dell’atteggiamento
complessivo. Successivamente all’identificazione di tutti i tratti che il consumatore prende in considerazione nella
valutazione del prodotto di questa categoria, i modelli multi - attributo prevedono la rilevazione dei credi del
consumatore circa gli attributi posseduti dallo specifico oggetto di atteggiamento. Un terzo livello di misurazione
prevede infine la valutazione del peso dell’importanza soggettivamente attribuita ai diversi tratti del prodotto.
Fra i diversi modelli multi-attributo di atteggiamento, il più noto è il modello di Fishbein, del 1983. Questo
modello misura:
- i credi salienti circa un certo oggetto di atteggiamento ‚
- la relazione esistente fra lo specifico oggetto di atteggiamento e i credi
- la valutazione soggettiva di importanza circa la presenza di tali attributi
Il limite di questi modelli sta nel fatto che essi prevedono che le persone possono razionalmente valutare ciascun
attributo singolarmente e che siano in grado di esprimere una preferenza o meno per ciascuno prima ancora di
giungere alla formulazione di un atteggiamento complessivo.
Si presuppone pertanto che il consumatore proceda all’elaborazione di tali informazioni prima di giungere alla
formulazione di un atteggiamento complessivo e influente sul comportamento.
L’atteggiamento generale cos calcolato per non soddisfa la necessità di prevedere il comportamento di consumo.
Come si ricava l’atteggiamento generale nel modello di Fishbein?
Formula: Aijk = ∑BijkIjk
L’atteggiamento generale del consumatore (K) si ottiene moltiplicando la valutazione rispetto a ciascun attributo
(i) considerato del prodotto (B) per l’importanza soggettiva percepita per ciascun attributo(i) rispetto a tutte le
marche considerate (j).
L’atteggiamento generale così calcolato non prevede il comportamento di consumo.
Nel tentativo di perseguire tale predizione, è stato elaborato il cosiddetto modello esteso di Fishbein, ovvero la
teoria dell’azione ragionata. Questa teoria basa sul presupposto centrale che il modo migliore per prevedere un
certo comportamento è chiedere alle persone se sono effettivamente intenzionate a metterlo in atto.
In maggior dettaglio, questa teoria prevede che l’intenzione ad agire sia condizionata rispettivamente da:
- atteggiamento verso il comportamento che si declina nel prodotto dei credi individuali verso il
comportamento e dell’importanza soggettiva attribuita a tali credi;
- norma soggettiva, ovvero il prodotto delle percezioni individuali circa le aspettative altrui e la
motivazione individuale a conformarsi a tali aspettative.
Secondo la teoria, una particolare azione sarà messa in atto se l’atteggiamento verso l’azione è favorevole, le sue
conseguenze sono valutate come desiderabili ed esiste una spinta motivazione a compiere l’azione come risultato
del bisogno di conformarsi alle aspettative sociali percepite.
Le principali critiche rivolte alla teoria dell’azione ragionata evidenziano che il modello si adegua esclusivamente
alla predizione di comportamenti che sono sotto il controllo dell’individuo (c’è la mancanza del controllo
percepito).
Come la motivazione anche gli atteggiamenti hanno direzione e forza e possono influire sul comportamento
attraverso la loro reazione con l’intenzione ad agire.
Una particolare azione sarà messa in atto se l’atteggiamento verso l’azione è favorevole, se le sue conseguenze
sono valutate come desiderabili ed esiste una spinta motivazionale a compiere l’azione come risultato del bisogno
di conformarsi alle aspettative sociali percepite.
Mentre per Fishbein il modo migliore per prevedere un certo comportamento è chiedere alle persone se sono
effettivamente intenzionate a metterlo in atto, secondo la teoria dell’azione ragionata, l’intenzione ad agire è
condizionata dall’atteggiamento verso il comportamento (credi e importanza cognitiva) e dalla norma soggettiva
cioè il prodotto delle percezioni individuali circa le aspettative e la motivazione a conformarsi ad esse.
Questa teoria predilige solo quei comportamenti che sono sotto il controllo dell’individuo.
Le ricerche di mercato supportano il marketing aziendale nella presa di decisione su molteplici temi (prodotto,
comunicazione, prezzo), fornendo informazioni che favoriscono scelte di successo, riducendo i margini di
incertezza nel processo decisionale. Sempre più spesso l’ambito in cui si trova ad operare è quello dei mercati
maturi caratterizzati dalla saturazione del mercato, elevata competitività e omologazione dei prodotti.
Quindi, forte è l’esigenza di individuare il quid che fornisce al prodotto/servizio un vantaggio competitivo capace
di differenziarlo dai suoi concorrenti. Va quindi alla ricerca di un’idea innovativa che richiede una certa creatività,
ovvero la capacità di individuare una soluzione originale e nuova che altri non hanno saputo trovare. Bisogna
quindi rompere e superare schemi di pensiero consolidati (pensiero convergente) per esplorarne di nuovi e
inconsueti, approdando a soluzioni inedite e, si spera, sorprendenti (pensiero divergente).
Nel processo di individuazione creativa di nuove idee può intervenire la ricerca qualitativa per l’innovazione
attraverso tecniche specificamente finalizzate ad attivare il pensiero creativo.
Questa ricerca si basa su sessioni creative che possono durare poche ore o anche tutta la giornata, durante le quali
uno o più conduttori guidano e coordinano il lavoro di uno o più gruppi di persone nel processo di creazione di
nuove idee.
Tra le tecniche creative più utilizzate la più nota è il brainstorming (tempesta di cervelli), introdotta da Osborn,
prevede un processo di soluzione e definizione del problema in 4 fasi:
Presentazione e definizione del problema (limiti e confini);
Raccolta, analisi e condivisione delle informazioni e dati;
Produzione delle idee, fase del pensiero divergente: è il brainstorming vero e proprio, dove vi è la
sospensione del giudizio;
Fase del pensiero convergente: le idee prodotte vengono esaminate, valutate, finalizzate e selezionate.
Un’altra tecnica creativa è la sinettica (unione di elementi diversi). Si fonda sull’impiego dell’analogia, la
situazione (o oggetto di studio) viene messa a confronto con altre situazioni, apparentemente diversi, al fine di
individuare aspetti comuni aprendo così la possibilità di trasferire e applicare ad un determinato settore,
conoscenze e soluzioni già sviluppate in un altro campo.
La tecnica dei 6 cappelli per pensare permette di affrontare il problema secondo prospettive o atteggiamenti
diversi. Ad ogni cappello di colore diverso (bianco, rosso, nero, giallo, verde, blu) corrisponde una diversa
modalità di approccio al problema. Nel caso dell’incontro il moderatore invita i partecipanti ad indossare
simbolicamente cappelli di colori diversi.
Obiettivo comune a queste tecniche è quello di liberare il pensiero creativo e produrre nuove idee per il marketing
delle aziende.
Dopo la fase della creazione delle nuove idee c’è la finalizzazione delle stesse, valutazione delle loro potenzialità
di successo sul mercato, la trasformazione delle idee in prodotti / servizi reali e infine la loro comunicazione.
La misurazione dell’atteggiamento
Scala di Thurstone
Vengono formulate un numero notevole di affermazioni su uno specifico oggetto di atteggiamento in
modo tale da rappresentare nel modo più esauriente possibile tutti gli atteggiamenti che le persone possono
avere nei confronti di tale oggetto.
Queste affermazioni vengono sottoposte al giudizio di numero elevato di persone che le devono ordinare
lungo un continuum a più punti in modo da rappresentare la distribuzione degli atteggiamenti da quello
meno favorevole a quello più favorevole. I giudici non devono esprimere la propria opinione personale
verso l’oggetto di atteggiamento.
Tra queste vengono poi scelte una trentina di affermazioni dal valore maggiormente condiviso dai giudici,
che andranno a formare la scala per la misurazione dell’atteggiamento da sottoporre ai partecipanti agli
studi.
Questo metodo permette di avere valori circa gli atteggiamenti più attendibili e anche più numerosi, ma comporta
un alto dispendio di tempo, per questo viene poco utilizzato.
Scala Likert
L’obiettivo era quello di produrre un metodo di più facile realizzazione rispetto alla scala di Thurstone.
L’atteggiamento di una persona viene misurato sottoponendo al soggetto una serie di affermazioni (item) circa
l’oggetto di atteggiamento e chiedendo di esprimere il grado di accordo o disaccordo rispetto a ciascuna
affermazione (da 1 a 5 o da 1 a 7 o da 1 a 9: l’elemento dispari serve per consentire di dare un giudizio neutrale,
di mezzo, oppure lungo una scala che va da “molto d’accordo” a “per niente d’accordo”).
Questa scala ci dà la posizione attitudinale di un individuo ma non consente di esprimere con esattezza di quanto
gli atteggiamenti differiscono tra loro.
Misurare un atteggiamento significa accedere ad un costrutto non direttamente osservabile La misurazione tenta
di quantificare l’intensità di tale costrutto, chiedendo al soggetto della misurazione da manifestare,
consapevolmente o inconsapevolmente, il proprio atteggiamento.
Il problema consiste nella bontà di tale operazione, cioè valutare la validità e l’attendibilità degli strumenti
utilizzati.
Validità: quando lo strumento misura effettivamente ciò che vorremmo misurasse (validità convergente = deve
essere coerente con altre misure dell’atteggiamento, ma non con le misure di altri costrutti validità discriminante).
Queste vengono stabilite valutando la validità predittiva, capacità di predire scelte, comportamenti, opinioni che
dipendono dall’atteggiamento.
Attendibilità: quando lo strumento misura un solo costrutto che deve essere sempre lo stesso dimostrando così di
avere un’alta coerenza interna che deve mantenersi nel tempo (test-retest).
Dal punto di vista teorico, gli atteggiamenti impliciti riflettono i fattori associativi, impulsivi, automatici e
contribuiscono al comportamento, mentre quelli espliciti riguardano riflessione.
In conseguenza al crescente interesse per lo studio dei processi automatici, si è assistito all’avvento di una nuova
generazione di misure: misure indirette o implicite.
Queste nuove misure differiscono dai questionari tradizionali, in quanto non richiedono valutazione esplicita di un
oggetto di atteggiamento, ma ne ricavano la sua valutazione dai tempi di reazione associati ad un compito
cognitivo. Una misura cos ricavata viene definita atteggiamento implicito.
Le caratteristiche di questa misura sono per esempio il fatto che risente meno della desiderabilità sociale, delle
conseguenti distorsioni delle risposte.
Tra i metodi più usati vi è l’Implicit Association Test che è un compito di doppia categorizzazione veloce di vari
stimoli appartenenti a quattro categorie:
- concetto target (es. fiori) ‚
- concetto di contrasto (es. insetti) ‚
- attributo (es. positivo/negativo)
Il partecipante deve associare velocemente gli stimoli (es. fiori/positivo vs insetti/negativo); poi le coppie vengono
invertite fiori/negativo vs Insetti/positivo.
Il compito risulterà più facile, quindi più rapido, se quella soluzione è compatibile con pensiero della persona: se
la persona ha associazioni più positive verso gli insetti sarà più veloce nella seconda fase delle associazioni e
viceversa.
Cap. 8 – Influenza sociale e consumo
I comportamenti dei consumatori non possono essere studiati se non all’interno di un contesto sociale e culturale
(Bauman, 2007), attraverso lo studio del ruolo delle interrelazioni e dei processi dinamici che danno senso e
significato alle azioni dei consumatori. Per farlo ci avvaliamo di contributi del costruzionismo sociale, che, come
scrive Siri (2004), prende le mosse da un lavoro di Berger e Luckman dall’esplicito titolo “La realtà come
costruzione sociale”. Secondo Siri la tesi dei due studiosi fino ad allora intendeva sottolineare come, nel contesto
specifico di azione dotata di senso, le persone interpretano il significato dell’esperienza e orientano il loro vissuto
e il loro comportamento concreto sulla base della lettura dei segnali interni. La realtà vissuta dall’individuo sarebbe
in questo caso una costruzione intersoggettiva emersa nel rapporto sociale.
Nel campo dei consumi possiamo quindi servirci del costruzionismo sociale (Berger e Luckman): nel contesto
specifico di azione dotata di senso, le persone interpretano il significato dell’esperienza e orientano il loro vissuto
e il loro comportamento concreto sulla base della “lettura” dei segnali interni (stati d’animo, poli di attenzione,
attribuzioni causali).
Berger e Luckman intendevano soprattutto indicare con forza che la grammatica che guida questa “interpretazione”
non è decisa dai soggetti, né dalla loro specificità biologica, ma dal contesto socioculturale e anzi più
specificatamente dai percorsi di socializzazione e dai gruppi di riferimento. Tale prospettiva riconosce l’influenza
delle variabili sociali sui processi individuali (e viceversa):
“la realtà vissuta dall’individuo sarebbe in questo caso una costruzione intersoggetiva emersa nel rapporto
sociale”.
Questo modo di considerare il consumatore ci porta ad analizzare il ruolo delle appartenenze gruppali,
organizzative e culturali e il valore dell’influenza sociale sui processi di scelta e di consumo. Il contesto di
interazione sociale riesce a orientare le opinioni, i sentimenti e/o le azioni delle persone. Si tratta di un’interazione
che coinvolge la sfera individuale e quella sociale, ponendosi come ponte del dualismo cartesiano interno-esterno.
L’ interazionismo simbolico concepisce l’individuo come inserito sempre in un dato contesto socioculturale, entro
il quale opera come attivo interprete dei significati attribuiti all’azione altrui (De Grada e Bonaiuto, 2002) e si
caratterizza per 3 principi di base:
Le persone agiscono nei confronti dei prodotti sulla base dei significati che quegli oggetti hanno per loro;
Tali significati nascono dall’interazione tra l’individuo e gli altri;
L’interpretazione è usata da ogni individuo in ogni momento della vita come essere sociale.
Un’implicazione teorica di queste concezioni è che il comportamento umano non risulta essere unicamente il
risultato di forze immodificabili, ma è influenzato da azioni razionali, e spesso irrazionali che dipendono delle
esperienze specifiche di quell’individuo e dalle sue motivazioni.
Uno dei più autorevoli studiosi di tale approccio è certamente Tajfel (1972), con la sua teoria dell’identità sociale,
secondo cui gli individui cercano di raggiungere e di mantenere una immagine di sé positiva esclusivamente in
relazione alle loro appartenenze di gruppo, e ci ha contribuito allo studio del rapporto fra individuo e consumo
secondo l’ottica costruttivista. Ci possiamo riferire quindi alla teoria dello studioso Colautti (2005) la Teoria
dell’identità sociale secondo cui gli individui cercano di raggiungere e di mantenere un’immagine di sé positiva
esclusivamente in relazione alle loro appartenenze di gruppo (contribuendo così allo studio del rapporto tra
individuo e consumo secondo l’ottica costruttivista).
Nello studio del comportamento di consumo si va oltre la descrizione delle singole funzioni elementari per fare
sempre più spesso riferimento al contesto normativo condiviso, proponendo una visione del consumatore non
arroccata intorno ad un polo intra individuale, rappresentato dalla mente, dalla cognizione, dal comportamento e
dall’azione, ma centrata su un polo inter individuale, in cui la dimensione interattiva e narrativa assume un ruolo
determinante per la comprensione dei comportamenti umani. La conoscenza sociale riguarderebbe gli scopi che il
conoscente si prefigge e le esperienze empiriche che tale soggetto prova in una specifica situazione e in relazione
a specifici valori culturali e sociali. La realtà sociale sembra non esistere, o non risulta comprensibile,
indipendentemente dal modo in cui essa è percepita e costruita dall’individuo. Ciò significa fare i conti con diverse
realtà e attribuzioni di senso, tante quante sono le prospettive (persone) dalle quali essa può essere percepita.
Il riconoscimento della dimensione culturale e situazionale spinge ad adottare accanto al metodo sperimentale di
tipo nomotetico (la ricerca delle leggi universali), modelli di analisi e di spiegazione sempre più capaci di
comprendere la relatività delle esperienze, attraverso una prospettiva rispettosa della dimensione ideografica. In
questo senso possiamo distinguere alcuni approcci di studio che si affiancano sempre più spesso a quelli usati dalla
tradizionale ricerca sui consumi:
- l’etnografia che studia come le persone danno senso a ci che fanno nella vita quotidiana soffermandosi
sui vissuti quotidiani, sulle azioni agite sul campo e sull’analisi delle differenziazioni culturali e
sociali;
- l’approccio drammaturgico che ricerca nell’interazione, considerata analoga alla rappresentazione
teatrale, il significato degli eventi e delle azioni agite nei contesti sociali e di vita;
- la psicologia sociale discorsiva che intende rintracciare nell’analisi della conversazione e della
narrazione la costruzione culturale del mondo in cui le persone effettivamente pensano e agiscono. Si
tratta di un approccio utile anche allo studio dei valori.
I consumi diventano occasione per appartenere ad una classe sociale, a un gruppo, a una cultura, contribuendo al
contempo alla costruzione della propria identità. La dimensione di gruppo e il contesto di azioni vengono
considerati costitutivi dell’individuo, divenendo parte essenziale del modo in cui egli guarda a se stesso e al mondo.
Il comportamento di consumo, quindi, non è solo determinato da elementi interni, ma da un continuo processo di
interazione sociale e culturale in cui la dimensione individuale si misura e si confronta sulla base dell’esperienza
intersoggettiva, in cui l’aspetto interiore non può essere analizzato senza un’attenta contestualizzazione e senza
una valutazione dei significati che assume in una particolare situazione sociale e culturale.
La cultura è definibile come il complesso di conoscenze, convinzioni, espressioni artistiche, principi giuridici e
morali, costumi e di qualunque altra capacità e abitudine acquisite dagli individui in quanto membri di una società.
(Sherry) Queste facilitano l’unione degli individui, trasmettono un sentimento di identità, offrono una guida ai
processi di soluzione dei problemi. Ciascuna cultura è caratterizzata da un sistema di valori ben precisi che occorre
conoscere accuratamente per comprendere i comportamenti degli individui che ne fanno parte. Questo è infatti
uno dei compiti più ardui che il marketing delle grandi multinazionali deve affrontare, in particolare per lanciare
la promozione di un prodotto, in quanto obbligate a considerare le forti differenziazioni culturali e valoriali.
Si evidenzia quindi una funzione adattiva e regolatoria della cultura, la quale è in grado di trasmettere senso di
identità, di appartenenza, definire le regole e costituire una guida per la risoluzione dei problemi.
Nell’ambito dello studio delle differenziazioni culturali, la prima grande distinzione è quella tra culture
individualiste e culture collettiviste.
Secondo Hofstede è possibile distinguere le culture sulla base di cinque indicatori:
1) INDIVIDUALISMO E COLLETTIVISMO (IND). Focalizza l’attenzione sui meccanismi relazionali
prevalentemente autocentrati o eterocentrati. L’elemento dello schema mentale implicato in questa
dimensione riguarda la concezione di sé, che si può disporre lungo un continuum che va
dall’individualismo al collettivismo. Nelle società collettiviste l’individuo agisce conferendo maggiore
attenzione agli interessi del gruppo piuttosto che a quelli individuali; una società con un alto grado di
individualismo implica invece relazioni sociali in cui gli individui si percepiscono più indipendenti dagli
altri, cui il perseguimento di obiettivi individuali è molto importante.
2) POWER DISTANCE INDEX (PDI) (distanza di potere): Distanza di potere, questo indicatore si
riferisce al grado di aderenza all’autorità formale. Soggetti con un elevato PDI si trovano perfettamente in
linea con organizzazioni in cui il potere è fortemente accentrato e centralizzato (sistema di autorità)
rispetto a coloro che hanno punteggi più bassi. Culture con un elevato PDI prevedono e legittimano la
differenziazione del potere tra le persone e la non equa distribuzione di opportunità e risorse.
3) Uncertainty avoidance index (UAI) (tolleranza all’incertezza): misura l’importanza attribuita alle
regole e alle procedure standard e il grado con cui le persone ritengono arduo affrontare e gestire le
situazioni ambigue e incerte. Le modalità con cui le diverse società, tradizionali e moderne, fronteggiano
l’incertezza derivano dalle loro tradizioni culturali e vengono trasmesse e rinforzate attraverso le
istituzioni come la famiglia, la scuola e lo Stato.
4) Indice di mascolinità-femminilità (MAS): La differenziazione di genere è molto radicata in alcune
culture. La distribuzione dei ruoli sessuali in particolari società è trasmessa attraverso il meccanismo della
socializzazione della famiglia, nella scuola, nei gruppi di pari, nelle organizzazioni e attraverso i mezzi di
comunicazione.
5) Indice di long-term time orientation (LTO) (orientamento temporale): i soggetti con livelli elevati in
questo indice tendono a essere più cauti e a riconoscere grande valore alla persistenza e alla progettazione
a medio e lungo termine.
Tramite diverse ricerche si è scoperto che nelle culture collettiviste viene espresso un più elevato grado di fiducia
negli scambi sociali tra membri di un gruppo. In queste culture è più difficile essere aperte e cooperative con
persone esterne al gruppo di appartenenza.
L’appartenenza al gruppo favorisce la percezione di un individuo come affidabile. Diversamente accade in quelle
culture caratterizzate da un orientamento prevalentemente individualistico, in cui si può registrare una maggiore
propensione all’apertura sociale e a relazioni di fiducia, anche nei confronti di persone sconosciute.
In altre parole, in un contesto culturale come quello italiano gli individui sono considerati estranei, salvo i membri
dell’ambito familiare e gruppale.
La scarsa fiducia verso gli estranei è considerata più caratterizzata e pervasiva che in altri contesti europei o
americani.
In questo caso il valore della dimensione familiare e gruppale sembra essere supportate da evidenze di tipo storico,
antropologico ed economico nei processi di sviluppo dal dopoguerra in Italia.
Un’altra distinzione del collettivismo e individualismo la offrono nel 1998 Trandis e Gelfrand distinguendo i due
indicatori nella loro dimensione orizzontale e verticale. Secondo gli autori, nell’individualismo verticale
(tipicamente americano o inglese) l’attenzione viene posta prevalentemente sullo status e su una forma di
distinzione competitiva tra i soggetti. Nell’individualismo orizzontale (tipicamente norvegese e svedese) ci che
conta non è la forza della competitività estrema ma nel valore dell’unicità della persona.
C’è anche un collettivismo verticale (tipicamente giapponese o coreano) in cui si subordina il valore soggettivo e
i risultati personali a quelli del gruppo, in cui si riconosce un forte valore e un grande rispetto verso l’autorità
costituita e in cui si sente molto forte il contrasto tra in-group e out-group. A questa forma di collettivismo si
oppone quello definito orizzontale (tipicamente israeliano) in cui si esalta maggiormente la similitudine con gli
altri, la condivisione degli obiettivi con il gruppo, e l’interdipendenza.
Una definizione utile a chiarirne la natura e anche la complessità è quella proposta da Weinreich, dove il marketing
sociale è inteso come l’uso delle tecniche del marketing commerciale per promuovere comportamenti capaci di
migliorare la salute o il benessere delle persone cui ci si rivolge o della società nel suo complesso. (1999)
Un’altra definizione, più focalizzata sulle finalità della disciplina, è quella offerta da Kotler, il quale intende invece
il marketing sociale come quell’attività che ha lo scopo di influenzare comportamenti individuali per far sì che
essi, in modo volontario, tendano al benessere di individui, gruppi e della società nel suo complesso.
Per entrambe le tipologie di marketing è fondamentale il ruolo centrale del destinatario, del consumatore; il
marketing sociale però si differenzia da quello commerciale per l’obiettivo delle sue attività: non tanto gestire la
relazione di scambio tra produttore e consumatore in grado di soddisfare i bisogni dei secondi e garantire profitti
ai primi, ma piuttosto nel promuovere il cambiamento dei comportamenti delle persone in modo che siano dissuase
le condotte nocive e rinforzate quelle positive con beneficio di tutta la comunità.
L’attività di marketing sociale non è riconducibile alla messa in atto di campagne, ma comprende un insieme di
operazioni assai complesse e numerose:
- Fase di pianificazione (definiscono obiettivi, strumenti, destinatari);
- Messa a punto dei materiali utilizzati per l’azione (messaggi attraverso i media);
- Fase di implementazione (intervento viene realizzato).
Obiettivo delle sue attività è di promuovere il cambiamento dei comportamenti delle persone soprattutto in ambito
di salute.
Il marketing sociale oltre alle 4p (promozione, prodotto, prezzo, punto vendita) ne aggiunge altre 4:
1) partnership: per ottimizzare risorse è utile collaborare con altre organizzazioni con obiettivi simili;
2) politica: coinvolgere chi ha responsabilità politico/amministrative che possano creare condizioni
ambientali in grado di facilitare raggiungimento obiettivi;
3) purse-strings: risorse economiche;
4) pubblico: pubblico di riferimento e persone che partecipano al programma
I cartoncini appesi in metropolitana, il passaggio di Emergency in tv, la lettera del medico di base sono tutti esempi
di marketing sociale.
Nonostante l’importanza che il termine valore ha avuto nella ricerca psicosociale, non è del tutto immediata la
possibilità di adozione nel campo applicativo dei consumi. Lo studio dei valori fa riferimento a concetti astratti ed
eccessivamente generalistici, come per esempio la sicurezza, l’amore, la giustizia, utili per studiare il
comportamento di acquisto in generale, ma inadeguati per la distinzione di marche e prodotti. (Solomon, 2006)
Per una corretta rilettura del significato del valore nella ricerca sui consumi occorre, pertanto, rivalutare il valore
della ricerca ideografica e situazionale e la possibilità di declinare la ricerca sui valori in considerazione delle
situazioni specifiche in cui viene applicato il termine.
Occorrerà quindi distinguere tra:
Valori culturali (centrali) come la libertà e la felicità
Valori specifici relativi al consumo come il valore della convenienza o il valore della sostenibilità
ecologica nell’acquisto in generale
Valori specificamente correlati al prodotto come per esempio il valore della facilità d’uso
Il concetto di valore è uno di quelli più utilizzati nello studio dei processi di consumo poiché i consumatori
associano ai prodotti certi valori simbolici e personali, ma al contempo stesso attraverso i prodotti stessi cercano
di raggiungere determinati valori sociali o manifestare a se stessi e agli altri l’adozione di certi valori.
“Il valore è la concezione stabile di ciò che è desiderabile per un individuo e per una società.” (Zatti, 1997)
Ciò non significa che i valori siano immutabili e stabili nel tempo; infatti l’immutabilità non è una categoria
descrittiva della società in cui viviamo. Anche i valori sono soggetti al cambiamento. I valori, in generale,
rappresentano gli obiettivi che ci si pone: sicurezza successo, salute. Inoltre, nelle relazioni sociali, i valori
esercitano funzioni importantissime: i valori di gruppo danno a un membro i fini e significati generali dell’agire
nonché le leggi che ne rappresentano la codificazione.
Come descritto da Solomon (2006) il valore attribuito all’esperienza di consumo può essere ricondotto a otto
specifici valori:
Efficienza: è il grado di convenienza riscontrata nell’esperienza di consumo e si riferisce al contesto di
costi-benefici dell’acquisto;
Eccellenza: fa riferimento all’unicità e alla particolarità dell’esperienza di consumo e al concetto di
qualità;
Status: richiama al valore del prestigio e della posizione sociale che deriva dal possesso;
Autostima: si riferisce all’effetto che ha il consumo nella costruzione di un’immagine personale di
successo o alla sensazione di autorealizzazione;
Divertimento: fa riferimento allo stato di gioco e di benessere che può provocare il consumo;
Estetica: richiama la ricerca del bello come valore importante;
Etica: fa riferimento al valore morale, sociale e politico del consumo;
Spiritualità: richiama a esperienze quasi religiose o comunque sacre nella relazione tra consumo e prodotto
o servizio.
In una società multietnica essere consapevoli della coesistenza di diversi valori è diventato importante per il
marketing che dovrà ampliare quanto più possibile il proprio mercato alla luce di queste profonde differenziazioni.
In queste dinamiche è bene sapere distinguere il processo di inculturazione (processi di apprendimento di credenze
e comportamenti legati a valori specifici della propria cultura) dal processo di acculturazione (processo di
apprendimento di valori di altre culture).
Le appartenenze a subculture
La presenza in Italia di una immigrazione molto consistente deve far riflettere gli operatori di marketing sulle
necessarie differenziazioni di bisogni e di desideri di una fascia di popolazione che appartiene a etnie diverse.
Nello studio dei consumi non si può non considerare le differenze che produce l’appartenenza alle subculture.
All’interno della società odierna, vi sono delle subculture capaci di influenzare direttamente il comportamento dei
consumatori. Solitamente l’appartenenza religiosa, le differenze etniche e di provenienza geografica e le
differenziazioni di genere e di età sono quelle che ci permettono di differenziare le subculture.
Una subcultura identifica gruppi che hanno origini culturali, lingua, religione, senso di appartenenza ad una
specifica eredità storico-sociale diversa.
Nello studio dei consumi non si può quindi non considerare le differenze che produce l’appartenenza alle
subculture. Un esempio è dato dal rapporto tra consumo alimentare e identità dei giovani immigrati. È necessario
studiare il consumo di cibo come indicatore dei processi culturali di integrazione\differenziazione, non solo in
un’ottica di approfondimento antropologico, bensì anche sociologico, psicologico, economico, di salute e di
marketing.
Parlare del consumo alimentare dei giovani stranieri significa parlare delle loro scelte d’acquisto, da collegarsi più
che col bisogno primario di nutrizione, con il bisogno di integrazione, di costruzione, di identità e di appartenenza.
Guidoni e Menicocci sottolineano che l’alimentazione è uno dei display più importanti per delimitare barriere
ideologiche, etniche, politiche, sociali o al contrario, uno dei mezzi più utilizzati per conoscere le culture, per
mescolare le civiltà, per tentare la via dell’interculturalismo.
Chi si occupa dei processi di consumo di tali subculture deve considerare il significato simbolico che coinvolge i
comportamenti di consumo in relazione alle dinamiche di aderenza/distacco, vicinanza/lontananza,
privato/pubblico che nella vita delle famiglie straniere e nelle volontà dei giovani della seconda generazione
determinano i processi di relazione con la tradizione di origine in base alle specifiche storie di vita e biografie
migratorie, ma anche sulla base della provenienza.
Le appartenenze religiose hanno un’influenza decisiva sui comportamenti:
- famiglie cattoliche: il marito contribuisce maggiormente nella presa delle decisioni;
- famiglie ebree: il potere di decisione e l’azione all’acquisto sono equamente distribuiti rispetto a ruoli;
- famiglie non religiose: equa distribuzione nel ruolo di decisione rispetto a famiglie religiose.
Il processo di globalizzazione ha permesso ai consumatori di confrontarsi con realtà, prodotti e significati assai
diversi da quelli della propria terra di origine e della propria cultura.
La globalizzazione, lungi dal promuovere una cultura totalizzante e omogenea, ha definito uno spazio nel quale le
diverse culture del mondo si confrontano e si scontrano, generando significati e condividendo valori e costruiscono
modi di leggere la realtà nuovi ed eterogenei. I prodotti vengono percepiti in funzione della loro origine, e ciò può
essere positivo o anche molto negativo. Infatti, a causa del processo di generalizzazione, gli aspetti negativi di un
paese possono essere generalizzati a tutti i prodotti di quello stesso paese. Per l’origine del prodotto può solo essere
una ulteriore variabile da considerare insieme a tanti altri attributi per poter decidere se acquistare un prodotto o
meno.
In alcuni casi la possibilità di acquistare prodotti importati significa potere accedere a un livello di qualità può
elevato, mentre in altri casi i prodotti importati da altre culture o aree geografiche devono confrontarsi con
stereotipi e profonde convinzioni. Nei confronti di alcuni prodotti non sempre vi è la consapevolezza di potere
fruire della qualità attesa. I prodotti realizzati nel proprio paese in genere sono percepiti di migliore qualità rispetto
alla percezione che hanno i consumatori di altri paesi per gli stessi prodotti, così come la qualità provenienti dai
paesi industrializzati Ł percepita migliore rispetto a quella dei prodotti provenienti dai paesi in via di sviluppo. I
prodotti quindi vengono percepiti in funzione della loro origine.
A causa del processo di generalizzazione gli aspetti negativi di un paese possono essere generalizzati a tutti i
prodotti di quello stesso paese.
Tuttavia, le reazioni nei confronti di queste potenzialità sono diverse. I prodotti realizzati nel proprio Paese in
genere sono percepiti di migliore qualità rispetto alla percezione che hanno i consumatori di altri Paesi per gli
stessi prodotti, così come la qualità dei prodotti provenienti dai Paesi industrializzati è percepita migliore rispetto
a quella dei prodotti provenienti dai Paesi in via di sviluppo. (I prodotti vengono percepiti in funzione della loro
origine)
Il primo Gruppo di Acquisto Solidale nato in Italia risale al 1994: consorzi, più o meno informali, di consumatori
che si riuniscono per dar vita a processi di acquisto e consumo all’insegna della solidarietà e del rispetto
dell’ambiente, inteso sia in termini meramente ecologisti che in termini sociali. (definiti da Valera come “il popolo
dei gasati”)
Consumo etico: è un consumo che rispetta e non froda il produttore;
Consumo sostenibile (o green consumers): con questo termine ci riferiamo consumatori particolarmente attenti,
nelle loro scelte di consumo, a tutelare l’ambiente fisico nel quale viviamo;
Consumo critico e acquisto solidale: si riferisce ad una pratica di consumo che rispetta, chi nel produrre, a sua
volta ha rispettato l’ambiente, inteso a 360 gradi come l’unione delle risorse ambientali a disposizione da un lato,
e dell’intera compagine umana dall’altro.
Dunque, nei GAS la solidarietà non viene semplicemente espressa verso l’ambiente verso l’ambiente e i produttori
ma, in primo luogo, verso la rete di consumatori cui si appartiene, che si gestisce insieme, segnalando a tutto il
gruppo nuovi produttori e rendendosi disponibili, a turno, ad effettuare opera di contatto-ritiro-magazzino di merci
specifiche, così ciascuno si occuperà di un settore specifico (pasta, detersivi, formaggi).
I valori contribuiscono a creare regole di convivenza civile e a guidare i comportamenti e possono essere rilevati
attraverso l’analisi di usi, costumi e convenzioni sociali. Questi infatti riescono a dare indicazioni dei valori
condivisi in una specifica comunità o gruppo.
Gli usi sono le consuetudini della vita derivanti dalla tradizione: per esempio ci si aspetta che la gestione degli
affari domestici sia prevalentemente assegnata alle donne.
I costumi sono invece le norme più forti: essi hanno una valenza morale profonda e indicano quali sono i
comportamenti che possono essere agiti in relazione al contesto, ai momenti e alle persone con cui si entra in
relazione.
Inoltre, un ruolo determinante viene riconosciuto ai canali di comunicazione. I valori, infatti, sono trasmessi e
influenzati dai messaggi mediatici. Anche la comunicazione di marketing può, dunque, influenzare il processo di
acquisizione di valori e di regole sociali.
Un ulteriore suggerimento e indicazioni sui valori di una comunità ci vengono offerti dall’analisi dei miti e dei
rituali.
I miti sono “aneddoti contenenti elementi che simboleggiano gli ideali di una cultura, che generalmente
presentano un conflitto tra due forze opposte, il bene e il male, e dal cui esito i membri di una società traggono
un’indicazione morale di comportamento” (Solomon, 1996)
I rituali sono attività simboliche ed espressive manifestate con azioni o comportamenti che vengono ripetuti
periodicamente. (rituali religiosi, r. magici, r. culturali, r. civici, r. di passaggio)
Come possiamo distinguere i valori attraverso una prima grande categorizzazione? E ancora, come possiamo
misurare i valori?
Possiamo distinguere valori terminali e valori strumentali:
Valori terminali: una vita serena, una vita eccitante, uguaglianza, libertà, amore, saggezza, vera amicizia (sono gli
obiettivi ultimi della vita)
Valori strumentali: ambizione, apertura mentale, coraggio, onestà, intelligenza, indipendenza, autocontrollo (sono
i comportamenti per raggiungere gli obiettivi)
Questa classificazione prevede una distribuzione dei valori lungo un continuum, in cui da una parte troviamo i v.
strumentali e dall’altra quelli terminali. I primi, caratterizzati da un grado di astrattezza superiore, portano al
soddisfacimento di quelli terminali.
Lo strumento che più si usa per la misurazione dei valori è la scala Rokeach Value Survey.
Secondo Rokeach, i valori possono essere concettualizzati come una gerarchia semplice e lineare. Tra di essi esiste
un ordine di priorità definito tramite un processo cognitivo, che implica il confronto tra coppie di essi, influenzato
a sua volta dalla personalità soggettiva, dal grado di socializzazione, dall’ambiente socio-istituzionale e culturale.
Questa scala è costituita da 18 valori; i valori terminali definiscono gli obiettivi ultimi della vita, e i valori
strumentali indicano i comportamenti attuati per raggiungere tali scopi. Questa scala è stata per definita poco
attendibile.
Una scala alternativa è quella definita LOV (list of values) che distingue valori interni ed esterni in nuove tipologie
(appartenenza, eccitazione rel. amichevoli, rispetto da parte di altri, autorealizzazione, sicurezza, piacere di vivere,
appagamento, rispetto per se stesso), resasi necessaria anche perché la scala di Rokeach faceva riferimento a valori
eccessivamente astratti e di difficile applicazione nel campo del marketing.
Una delle scale che ha dimostrato validità maggiore anche in contesti socioculturali diversi è quella dei domini
motivazionali di Schwartz che individua 56 valori raggruppati in aree o domini motivazionali. Queste aree sono
individuabili attraverso due assi: uno di apertura - chiusura e uno che fa riferimento alla dimensione individuale o
al grado di attrazione di valori sociali e comunitari. Secondo lui i valori possono essere considerati una
rappresentazione cognitiva dell’interazione tra bisogni biologici e le richieste di benessere sociale e di
sopravvivenze della comunità. Tra le metodologie quantitative vi sono numerosi strumenti per la misurazione degli
stili di vita finalizzati ad analizzare gli atteggiamenti, le opinioni, le motivazioni dei consumatori.
Queste hanno portato a definire il processo di consumo come un atto comunicativo mediante il quale trasmettere
agli altri una determinata immagine di sé. La preferenza accordata ad una marca piuttosto che ad un’altra assume
il valore di simbolo, di stemma, con cui il consumatore esprime il suo personale stile di vita, l’adesione a
determinati valori, la condivisione di certe tendenze culturali.
I valori tendono a cambiare quando eventuali situazioni culturali, economiche e sociale che le persone vivono in
prima persona cambiano. Il valore dell’ambiente e la sensibilità alla riduzione degli sprechi sembra che stiano
caratterizzando il mondo dei desideri e al contempo sembrano avere acquisito una valenza personale che prima
era inimmaginabile. I consumatori in questa società post - crescita sono sempre più riflessivi, capaci di intercettare
le informazioni per una scelta più consapevole, critica, sono più attenti alla qualità in una perenne ricerca del giusto
rapporto tra prezzo e qualità. Oggi il consumo sembra determinato da una sorta di interesse lungimirante, cioè
votato alla comunità più che sul personale.
Il valore del superfluo e del lusso sfrenato lascia sempre più spazio all’etica come dimensione della qualità e alla
responsabilità sociale come metro di valutazione, anche se al contempo persiste il mantenimento della ricerca del
piacere e della soddisfazione offerta dall’esperienza prima ancora che del valore d’uso e della funzionalità dei
prodotti stessi.
La situazione di crisi che stiamo vivendo ha determinato un nuovo senso di consapevolezza caratterizzato dal
recupero dei valori fondanti, originari perché percepiti come utile strumento per il recupero di un passato che può
garantire le certezze che hanno contribuito a realizzare una epoca di grande sviluppo e di grande crescita.
Per comprendere ci che attira oggi l’interesse dei consumatori occorre prendere atto del declino dell’intero modello
socio - economico che ha caratterizzato il più recente passato, ovvero il modello di matrice prettamente americana.
Oggi si sente parlare sempre più spesso nei tavoli di discussione tra gli esperti di stili e modelli di vita, e quindi di
scelta più vicini alla nostra cultura, ovvero del modello mediterraneo come alternativa al sistema fondato sul
superfluo e sul consumo spropositato.
In questo nuovo modello di consumo i temi che più attireranno l’attenzione dei consumatori saranno la lentezza,
la misura, la genuinità, la naturalità e la sostenibilità.
Uno dei concetti fondamentali per la comprensione e la spiegazione del comportamento di consumo è quello che
fa riferimento allo stile di vita. La ricerca psicografica fornisce un’ampia e realistica analisi dell’universo dei
consumatori, facendo emergere le particolarità che permettono di descrivere lo stile di vita di un gruppo sociale.
Lo stile di vita riguarda gli schemi di consumo che rispecchiano le scelte personali circa il modo di spendere tempo
e denaro. È influenzato dai modelli culturali, dai valori, dai dati demografici, dalle subculture, dalla classe sociale,
dal gruppo di riferimento, dalla famiglia, dalle motivazioni, dall’emozione e dalla personalità.
Lifestyle si riferisce al modo di vivere tipico o caratteristico di tutta una società o di un segmento, inteso nel senso
più ampio e globale. Esso si occupa di quegli elementi o caratteristiche particolari che descrivono lo stile di vita
di un certo tipo di cultura o di un certo gruppo, e lo distinguono da altri.
Le espressioni psychographic segmentation e lifestyle segmentation stanno entrambe ad indicare una
segmentazione che va oltre il semplice dato socio demografico: se prevale un’impronta psicologica si parlerà di
psychographic segm.; se invece prevale un’impronta di tipo sociologico si parlerà di lifestyle segm. Con il termine
psychographic segmentation prevale uno studio di personalità, valori e credenze fondamentali, mentre con il
termine lifestyle segmentation l’enfasi viene posta sulle variabili di atteggiamento.
Le lifestyle e psychographic segmentation hanno lo scopo di:
enfatizzare la relazione esistente fra prodotto-individuo-scenario di appartenenza;
spiegare le differenze tra certi tipi di comportamento manifestate da gruppi di individui non spiegabili in
base a caratteristiche fisiologiche, demografiche e socioeconomiche;
scoprire differenze di stili di vita;
esaminare modelli di consumo dei prodotti e tipologie di consumo;
sviluppare tipologie di consumatori.
La prima ondata di ricerche psicografiche ha utilizzato prevalentemente i profili di personalità (la scala di
misurazione utilizzata per misurare gli aspetti generali di personalità, al fine di definire dei gruppi omogenei di
consumatori, è stata l’Edward’s Personal Preference Schedule)
Questi studi hanno dimostrato correlazioni basse e inconsistenti con il comportamento del consumatore,
rivelandosi non soddisfacenti per le esigenze di marketing
La seconda ondata di ricerche psicografiche ha rimpiazzato il concetto di personalità con il nuovo concetto di
lifestyle, definibile come l’insieme dei modi di vivere, spendere tempo e denaro delle persone.
Oggi lo studio dei processi di identificazione e di personalizzazione ha riportato nuovamente l’attenzione
sull’esigenza di integrare gli studi sugli stili di vita con i processi di significazione che caratterizzano i processi
espressivi del Sé. (AIO misurazione di attività, interessi, opinioni del consumatore = si svolge sottoponendo un
questionario a un panel di consumatori a livello nazionale nel quale vengono richieste, oltre alle informazioni
demografiche, anche quelle sui tassi medi di consumo di almeno un centinaio di prodotti differenti).
In ricerche di questo tipo si pone molta attenzione nel cercare di stabilire:
- in quali attività gli individui trascorrono il loro tempo;
- quali sono i loro maggiori interessi, in relazione anche all’ambiente in cui vivono;
- che opinione hanno di se stessi e del mondo che li circonda;
- quali sono l’et, il reddito, il livello di istruzione, la professione, il luogo di residenza.
Psicografia VALS
- VALS 1 (Value and Lifestyles di Mitchell, 1960)
Si basa su un insieme di studi del comportamento umano e della personalità, realizzati nell’ambito della
ricerca motivazionale e della psicologia dello sviluppo, ma soprattutto della “teoria delle motivazioni
dominanti” di Maslow. La segmentazione VALS fa corrispondere a ogni livello della gerarchia dei bisogni
una “fetta” della popolazione, aggiungendo però che ciascun individuo può orientarsi a seguire due
percorsi diversi, quello outer-directed (eterodiretto) e quello inner-directed (autodiretto), che portano
entrambi al vertice rappresentato dal bisogno di autorealizzazione.
Si distinguono i seguenti profili:
Need driven: sono individui caratterizzati da un comportamento d’acquisto fortemente condizionato dalla
scarsa disponibilità di reddito, ulteriormente suddivisi in due segmenti:
outer directed: sono collocati ad un livello superiore rispetto al precedente; sono attentissimi a
ciò che la gente pensa di loro e ispirano la loro vita a ciò che è materiale tangibile;
inner directed: nascono con la fine della II G. Mondiale e crescono nelle agiate condizioni degli
anni ’50 e ’60; sono molto aperti all’innovazione e al cambiamento, attenti alla “qualità della vita”
e alla propria auto gratificazione, agiscono seguendo una forza interiore e non solo in relazione al
denaro;
Integrateds: rappresentano la vetta della gerarchia, sono spinti dal bisogno di autorealizzazione, hanno
un’età matura, un alto reddito e dovrebbero riassumere tutte le migliori caratteristiche dei gruppi
precedenti.
VALS 2
Ha sostituito la prima versione ritenuta eccessivamente universalistica e troppo astratta per analizzare le
specificità delle situazioni di consumo. Si differenzia dalla VALS 1 per la minore enfasi che pone sui
valori sociali e per la maggiore attenzione che dedica alle risorse psicologiche, economiche ed educative
degli individui. Essa definisce i consumatori secondo due dimensioni: self-orientation e personal
resources.
La tipologia VALS 2 suddivide la popolazione in 8 segmenti con caratteristiche distintive diverse:
actualizers: sono soggetti indipendenti, propensi a essere leader e amanti del rischio; consumatori
di successo dalle molte risorse, sono interessati ai temi sociali e aperti al cambiamento;
fulfilleds: sono persone molto organizzate, pratiche intellettuali e sicure delle proprie capacità;
soddisfatte, riflessive e pacate, tendono a prestare attenzione alla concretezza e a i valori di
funzionalità;
believers: sono individui fedeli, rispettosi delle convenzioni e puntigliosi; hanno forti principi e
preferiscono brand sperimentati;
achievers: sono pragmatici, seguono le convenzioni sociali, hanno un forte senso del dovere e
della famiglia; orientati alla carriera, preferiscono la prevedibilità al rischio o alla scoperta;
strivers: seguono la moda, sono influenzati dagli altri e dominati dalla volontà di migliorare la
loro condizione;
experiencers: soggetti impazienti, dal comportamento impulsivo e spontaneo, giovani e amanti
delle esperienze rischiose;
makers: curano molto i rapporti familiari, sono pratici e autosufficienti; orientati all’azione,
pensano alla propria autosufficienza;
strugglers: persone conformiste, conservative e molto caute; sono molto centrate nel soddisfare i
bisogni del momento.
Sinottica di Eurisko
L’Istituto Eurisko è stato fondato nel 1972 da Gabriele Calvi; è nata ufficialmetnte nel 1976 con il nome di
Psychographia. A partire dal 1993 l’indagine si basa su un campione di 10000 casi, rappresentativo di individui
maschi e femmine, in età compresa fra i 14 e i 64 anni. Le interviste vengono realizzate attraverso due rilevazioni
di 5000 casi ciascuna, rispettivamente a novembre e a maggio.
La psicografia dell’Istituto Eurisko si presenta come un’indagine single source (tutte le informazioni vengono
rilevate sugli stessi soggetti) assai completa e operativa e a classificazione standardizzata, dove, cioè, la
suddivisione degli stili di vita deve sottostare ai vincoli che il sistema informativo integrato richiede.
Attraverso l’analisi dei comportamenti e degli orientamenti comportamentali all’interno delle principali aree
settoriali Eurisko ha proceduto alla creazione di specifiche tipologie.
In particolare, sono state definite, accanto a quella generale (gli stili di vita), 13 segmentazioni stilistiche settoriali,
quali alimentazione (individuale e familiare), abbigliamento (maschile e femminile), cosmesi (maschile e
femminile), salute e cura di sé, tempo libero, gestione della casa, esposizione ai mezzi, amministrazione
finanziaria, comportamento d’acquisto, uso dell’automobile.
La struttura degli stili di vita crea così una grande mappa, che è lo strumento attraverso il quale poter inquadrare e
interpretare qualsiasi fenomeno o caratteristica della popolazione, sia essa strutturale, piuttosto che relativa ad
atteggiamenti e comportamenti. Si tratta di uno strumento standard, utile per tutti i settori e di immediata
operatività.
La struttura composta dagli stili di vita è ripartita secondo questi stili:
stili giovanili: liceali, delfini, spettatori;
stili superiori: gli arrivati e gli impegnati;
stili centrali maschili: gli organizzatori e gli esecutori;
stili di vita centrali femminili: colleghe, commesse, raffinate, massaie;
stili marginali: gli avventati, gli accorti, le appartate modeste, le appartate povere
Oltre alle segmentazioni stilistiche vengono effettuate delle segmentazioni su mappa, ove l’universo degli
individui non è più suddiviso in gruppi bensì distribuito in modo continuo in uno spazio geometrico immaginario,
rispettando una logica di caratterizzazione del profilo secondo il posizionamento: individui “vicini” sono individui
“simili”.
Le due dimensioni rappresentanti gli assi portanti della mappa possono essere così interpretate:
Prima dimensione tratti duri: è la dimensione del confronto sociale, della competizione con gli altri,
della conquista. Gli attributi di questa dimensione sono: la forza, la ricchezza, la fisicità del corpo, la
razionalità, il rischio, la lotta, il piacere.
Seconda dimensione tratti morbidi: è la dimensione culturale della forma e della sovrastruttura, rispetto
alla semplice sostanza. Gli attributi di questa dimensione sono: l’amore, la cultura, lo spirito, l’emotività,
la moderazione, la dolcezza, l’eleganza.
PRIVATO
APERTURA CHIUSURA
Cultura post-materialista, orientata alla realizzazione Cultura austera e do veristica, fondata sulla
del sé e caratterizzata dalla ricerca di autenticità e condivisione dei valori più tradizionali: famiglia,
progettualità, dal rifiuto delle convenzioni sociali, religione. La diffusa ostilità al nuovo è speculare alla
dall’impegno etico, dalla sensibilità ambientale. nostalgia del passato e alla ricerca di certezze e di
L’approccio al consumo, di tipo critico e selettivo, è radici.
orientato all’autodirezione e al pragmatismo. Forte Tutte le forme di sollecitazione al consumo sono
interesse riscuotono i benefit prestazionali e le fonte di ostilità e di diffidenza. Il risparmio è vissuto
innovazioni di prodotto e di servizio. come valore. Il prezzo è la principale leva
competitiva.
SOCIALE
Senza un sistema di valori ben riconoscibile a tutti i livelli della gamma di prodotto, anche le attività che la
comunicazione e il marketing realizzano, perderebbero significato, mancando l’obiettivo di rafforzare l’identità e
posizionamento del marchio. A questo proposito, un momento fondamentale è quello dell’analisi delle aspettative
e atteggiamenti di chi si avvicina al marchio. Nel caso di Porsche, il valore del brand passa attraverso tre elementi
cardine: tradizione, razionalità e relazioni tra appassionati.
Nel caso della tradizione, ritroviamo il modello 911 che è sempre prodotta allo stesso modo, stesso design, ma
ovviamente con sorprese in termini di avanguardia tecnologica, performance. Costruire l’auto che non c’era è
ancora oggi l’obiettivo di ogni nuovo modello Porsche (dal nome dell’ideatore) che nasce per rispondere alle
esigenze del futuro, forte dei valori rappresentati dalla propria storia in quella che possiamo definire una tradizione
nell’innovazione riconoscibile in tutti gli elementi progettuali stilistici e produttivi dei prodotti.
Insieme al valore della tradizione, un altro fondamentale elemento che contraddistingue, in termini di significato,
il marchio Porsche è quello della razionalità. (auto da usare per ogni evenienza, dalle corse in pista all’andare ad
accompagnare i figli a scuola)
Il terzo elemento distintivo del marchio Porsche è senz’altro costituito dalle relazioni tra appassionati (rete di
comunicazione interna che esprime vitalità e capacità di rendere tangibili significati. Porsche opera anche in ambito
ambientale sostenendo progetti ecosostenibili.
Porsche, inoltre, lega la propria esperienza a quella del mondo della musica (il sound, il piacere dell’ascolto che
rimandano inevitabilmente all’unicità del rombo Porsche) ”Porsche Jazz Festival”, “Porsche Live”, ”Le notti” In
ambito letterario: “La brevità meravigliosa”. Riesce a coinvolgere anche i giovani creativi emergenti in
quest’ambito: “Tiro Rapido” (genere giallo/noir); “Giro Rapido” (il viaggio); “Volo Rapido” scrittura creativa
scrivere un romanzo, una traccia in 911 minuti (911 richiamo esplicito al modello Porsche).
Il valore aggiunto legato all’esperienza di possedere una Porsche, condividendone la passione con altri, diventa
anche elemento strategico per il mkt, che lavora costantemente per consolidare relazioni creando momenti di
aggregazione, rafforzando senso di appartenenza alla marca.
Il ruolo dei media è fondamentale: in Italia esiste un gruppo di giornalisti che possiede una Porsche. Attraverso i
media è stato possibile venire a conoscenza dell’impegno del brand per la realizzazione di prodotti con elevata
attenzione all’ambiente.
Un altro aspetto positivo giocato dai giornalisti possessori di Porsche, riguarda l’immagine stereotipata che vede
Porsche come prodotto elitario e riservato a pochi e facoltosi possessori.
I centri Porsche organizzano spesso eventi di aggregazione sociale, dove non sempre auto sono protagoniste, così
che anche chi non la può acquistare, può comunque avvicinarsi a filosofia azienda.
Da vedere: BOX pag. 325 – pag. 327 – pag. 339 – pag. 341
Introduzione
Quando si parla di consumo il primo pensiero che viene in mente Ł l’azione di acquisto che coinvolge una famiglia
in prossimità di un centro commerciale. La famiglia è infatti l’attore principale dell’azione di consumo, con un
ruolo sempre più determinante da parte dei bambini e degli adolescenti.
I bambini hanno una forte influenza nella scelta di prodotti e marche, nell’acquisto degli stessi, nell’aggiornamento
sulle tendenze del momento, qualità dei prodotti, e ciò sia per l’influenza della pubblicità che dei pari. (es: uso del
motorino, i giovani innescano il trend negli adulti). Oggi per si osserva una più flebile parvenza di influenza da
parte dei più giovani sui consumi degli adulti, prevalentemente indotta dalla tendenza al giovanilismo degli adulti.
L’aspirazione a restare, o apparire, giovani rappresenta uno dei maggiori trend degli ultimi anni.
Sempre più i bambini vengono bombardati da messaggi pubblicitari di ogni sorta fin dalla nascita con l’unico
obiettivo di avere una fidelizzazione alla marca quanto più precoce possibile.
Negli USA il motto per promuovere la fedeltà al marchio è cradle to grave. I bambini vengono studiati a fondo e
vengono svolte su di loro varie iniziative, che non vengono accolte positivamente dalla maggior parte di educatori,
psicologi e da tutti colori che si dedicano alla tutela dei più piccoli.
Da un lato infatti si sostiene che il processo di commercializzazione dell’infanzia sia inevitabile; dall’altro si
sottolinea invece che è necessario porre un freno a questo processo. Nonostante ci sia un premio per la migliore e
più efficace pubblicità destinata ai bambini, sono iniziative che non vengono accolte positivamente dagli educatori,
per questa ‘commercializzazione dell’infanzia’ che in una società consumistica in cui viviamo è anche
comprensibile, ma gli educatori sono preoccupati per la debolezza dei bambini di fronte alle strategie di marketing
come la persuasione.
Ci che preoccupa chi si oppone a questo è la debolezza dei bambini di fronte alla macchina poderosa del mkt.
Occorre precisare che l’idea che il bambino possa essere influenzato dalle sofisticate azioni di marketing è in parte
giustificata dall’accezione negativa che si attribuisce al termine consumo. Il consumo promette infatti magie
attraverso prodotti che sono quasi come bacchette magiche. La facilità a confondere realtà e fantasia trova per il
bambino alimento e conferma nel consumo e nelle sue modalità comunicative, rendendo meno agevole transitare
verso un mondo adulto.
Il ruolo del consumo: non è più né semplicemente un atto razionale del consumatore per la soddisfazione dei propri
bisogni, né come un agire simbolico per determinare l’appartenenza a una determinata categoria sociale. Bisogna
invece tener presente la valenza comunicativa che ha assunto, rivolta prima a se stessi e poi al mondo delle relazioni
sociali. Per questo anche l’atto di consumo che potrebbe sembrare più istintivo e irrazionale diventa un atto dotato
di significato e quindi la pubblicità diventa uno strumento per la costruzione di senso anche nell’infanzia; diventa
un’enciclopedia di senso di facile accesso che genera un linguaggio e ha quindi un ruolo nell’etichettatura sociale
delle merci e delle marche che gli stessi consumatori inizieranno a consumare.
La pubblicità è un genere narrativo particolarmente adatto alla fruizione da parte dei bambini: breve, dinamica,
colorata, coinvolgente, musicale e quindi anche piacevole per loro. I prodotti pubblicizzati diventano un elemento
di integrazione nel gruppo dei pari, il consumo è un passaggio obbligato per l’integrazione nel gruppo dei
compagni e per i giochi. Il sogno del consumo è magico, gratifica, concilia gli opposti.
Il consumismo nei giovani si è accentuato molto e soprattutto da un’età sempre più bassa, quindi i bambini e gli
adolescenti sono diventati un target importante sia per il loro effetto trainante nelle decisioni dell’intera famiglia
sia per la loro effettiva capacità di acquisto: un nuovo attore economico da fidelizzare. Essi sono infatti oggi
un’importante fonte di profitto e indiscussi attori persuasivi nei confronti delle decisioni familiari.
Essi apprendono, si formano e interagiscono con i loro coetanei in un mondo dominato dalle leggi del mercato,
circondati da merci facilmente acquistabili e capaci di fornire una gratificazione immediata.
I bambini trascorrendo la maggior parte del tempo libero davanti alla tv, conoscono perfettamente i prodotti in
commercio e le loro marche. Rischiano di essere troppo coinvolti in questo consumismo e di acquisirne i valori;
passando la maggior parte del tempo davanti la tv con messaggi pubblicitari o nei centri commerciali conoscono
perfettamente e sanno riconoscere le marche (prima di ancora di saper scrivere). Oltre a far spendere i soldi ai
genitori, i bambini diventano essi stessi protagonisti delle ricerche di marketing, sia come soggetti privilegiati di
analisi, sia agendo da stretti collaboratori delle aziende di ricerca di mercato e agenzie pubblicitarie. Questi ultimi
sono teenager consulenti (trendspotters) che tengono costantemente informate le imprese sui principali trend che
investono la loro cultura di consumo, fungendo spesso anche da epicentro per iniziative di viral marketing verso i
loro compagni. Diventano oggetto degli studi di marketing, con i loro stili di vita e i consumi mutevoli spesso
agendo da collaboratori per le aziende.
Negli Stati Uniti a partire dagli anni ’80 si è sviluppato un filone di ricerca ‘etnografica’ che raccoglie dati sui
comportamenti dei bambini da parte di addetti al marketing e ricercatori, studiandoli da vicino in ogni momento
della loro giornata per capirne gusti, desideri, mode; nei suoi spazi privati il bambino potrà comportarsi più
naturalmente per cui si raccolgono informazioni più profonde, tanto da stringere con lui un rapporto di fiducia e
ad utilizzare queste info per lo sviluppo dei nuovi prodotti o per campagne pubblicitarie. Tale filone di ricerca
mira dunque alla raccolta di dati relativi ai comportamenti dei bambini nei confronti di una certa categoria
merceologica attraverso tecniche di analisi sul campo.
Le aziende investono tanto in termini di comunicazione per bambini, investendoli del ruolo di consumatori, con
pubblicità suggestive che arrivano a casa quando il bambino è davanti la tv nel suo ambiente tranquillo, familiare,
al pc, mentre passeggia o addirittura a scuola (soprattutto negli USA c’è una commercializzazione della scuola:
sponsorizzazione da parte di grandi aziende soprattutto del settore alimentare di libri e strutture scolastiche. Es:
Coca-Cola sponsorizza un intero istituto, McDonald’s: fa lavorare gli insegnanti per qualke sera nei propri
ristoranti per attirare i ragazzini delle scuole, opp a Milano McD. Offre buoni pasto e gadget brandizzati)
Sono a questo punto comprensibili le motivazioni che spingono la nota economista e sociologa Schor a etichettare
tale fenomeno come mercificazione dell’infanzia (bambini sottoposti alle leggi del mercato, costantemente
raggiunti da pubblicità, anche a scuola). Fin dalla nascita si cerca quindi di far socializzare i bambini ai consumi
in quanto sono considerati dal mercato e dalla pubblicità:
Consumatori Immediati: Il bambino è il consumatore ideale perché ingenuo a cui si può vendere qualsiasi
cosa; i bambini oggi fanno acquisti da soli senza la supervisione dei genitori scegliendo i prodotti
pubblicizzati che più preferiscono (merendine, caramelle, snack) e i genitori cercano di placare il loro
senso di colpa per il poco tempo dedicato a loro aumentando la paghetta settimanale.
Mediatori dei consumi degli adulti: sono uno strumento per le aziende per il loro grande potere di
influenzare i genitori, e questo aiuta le aziende a dirigere i consumi e gli acquisti delle famiglie. Quindi
diventano il bersaglio anche dei prodotti per adulti, a volte sono gli stessi adulti disinformati che chiedono
consigli e suggerimenti ai loro figli. La tecnica messa in atto dai bambini verso i genitori viene definita
‘pester power’ (o nag factor) ovvero il potere di assillare per le richieste non appagate che potrebbe
compromettere il rapporto con i genitori che vogliono vederlo felice.
Futuri consumatori: le aziende da subito cercano di fidelizzare il consumatore creando un atteggiamento
positivo nei confronti della marca così da condizionare le scelte d’acquisto future. Bambini consumatori
di domani.
Il bambino, protagonista dei consumi propri e altrui e dei messaggi pubblicitari, cresce e diventa un vero e proprio
soggetto economico in grado di produrre profitto per le aziende. La letteratura in materia di sociologia della
comunicazione e dei consumi considera il rapporto fra bambino e mercato non definibile in termini di influenza
unilineare da parte del mercato sulle scelte del bambino.
Secondo la scuola di Francoforte, il bambino non ha nessun potere in quanto è sottomesso dagli interessi delle
imprese, e c’è un rapporto di passività in quanto l’attore economico non è libero di agire. Al contrario, il bambino
non è passivo e decodifica attivamente il messaggio dei media, in particolare della pubblicità, i bambini riescono
ad analizzare la struttura narrativa e a caprine la natura persuasiva. I bambini crescono più velocemente,
manifestano esigenze simili a quelle degli adulti e sono più smaliziati ormai verso ciò che li circonda e verso il
marketing. Ciò non significa che riescano a decodificare i messaggi pubblicitari e a opporvi resistenza (soprattutto
i più piccoli) ma che al contrario sono molto più sensibili a queste forme di suggestione. Nonostante queste diverse
visioni del rapporto bambino e consumo, non si può realmente considerare che il bambino è un soggetto
indipendente dai mezzi di comunicazione di massa: gli spot televisivi sono sì considerati come uno spettacolo ma
invogliano anche al desiderio e al possesso (quindi all’acquisto da parte dei genitori) senza avere coscienza del
significato di quella scelta.
A questo proposito, lo studioso Linn (2005) sottolinea che il marketing confonde o finge di confondere i segni
esteriori della consapevolezza con quelli della maturità. Il fatto che i bambini, anche quelli più piccoli, richiedano
o riconoscano le marche non significa che siano smaliziati nei confronti nel mkt, ma che i bambini molto piccoli
sono estremamente sensibili a queste forme di suggestione.
La strategia di Tim nasce nel 2005 un momento in cui l’azienda è leader di mercato ma c’è voglia di rinnovarsi,
cambiare, usare nuovi mezzi di comunicazione e differenziarsi dalla concorrenza.
L’obiettivo di TIM era quello di proporsi in maniera diversa sul mercato, aggregando un’ampia il segmento dei
più giovani. Ci si concentra su target 14-24 anni.
Per la prima volta non si analizzano più solo i dati (n. chiamate, n. sms, orari chiamate ecc), ma si fanno analisi
psicosociali, si analizzano gli stili di vita, interessi motivazioni, aspirazioni, bisogni che poi vanno integrati con
dati come sesso, et, provenienza geografica. La forte spinta data dall’innovazione tecnologica, insieme a un
costante cambiamento della società e del modo di vivere le relazioni interpersonali, aveva permesso al mondo
delle community di prendere piede in modo consistente.
A livello strategico e quindi come modo per rinnovare le strategie di marketing a lungo termine viene pensata
l’idea della Tim Tribù (non solo un nuovo piano tariffario quindi).
Tim crea un fenomeno sociale basato su concetto di comunità, con immagine giovane e divertente. La strategia di
Tim Tribù si articola su fronti diversi:
- Dal punto di vista economico, un’offerta chiara, semplice e vantaggiosa;
- Forte enfasi su tecnologie per creare gruppo;
- Eventi e operazioni di co-marketing con gadget e package differenziato (Tim Tribù e non Tim).
Altro aspetto importante unione con Mtv, possibilità di scaricare contenuti gratis, blog, chat e sponsorizzazioni di
eventi attraverso il cinema. La TIM essendo entrata per prima sul mercato aveva un numero di utenti e una
community più grande degli altri operatori entrati nel mercato per target o con tariffe diverse (Vodafone si
differenzia perché orientata ad un target più giovane; Wind per i suoi prezzi bassi). Anche Tim decide di rivolgersi
in particolar modo ai più giovani con una maggiore conoscenze dei nuovi mezzi di comunicazione e le nuove
tecnologie, l’immagine dell’azienda era troppo lontana dal nuovo target che si voleva colpire. Il nuovo target a cui
voleva indirizzarsi era però cambiato negli anni, andava studiato, capito; un target esperto, curioso e attento alle
relazioni interpersonali, alle community, da qui l’idea di un gruppo di amici, una comunità di amici globale che
Tim definisce con il concetto di Tribù per creare appartenenza a quel gruppo. Anche la comunicazione di Tim
cambia, il linguaggio più vicino ai giovani, diversi co-marketing, azioni virali, mezzi ATL e BTL, partnership con
Mtv, cinema e sponsorizzazioni di eventi per lancio di nuovi film: il concetto era semplice diventare indispensabili
per ogni utente giovane che volesse sentirsi parte di quella tribù e non escluso da agevolazioni, partecipazioni a
giochi e premi. Si differenzia dalla concorrenza non con una guerra tariffaria, semplicemente essendo più vicina
centrata ai bisogni del target generando awareness fino a diventare un nuovo fenomeno sociale.
Le fasi di sviluppo del bambino e la socializzazione al consumo
Per comprendere il processo di sviluppo cognitivo del bambino, è possibile riferirsi a una delle teorie più note
sullo sviluppo infantile, ovvero la teoria di J. Piaget, che individua quattro stadi dell’attività cognitiva del
bambino. Le fasi evolutive di cui parla Piaget sono:
1. La fase sensomotoria (fino ai 2 anni)
2. La fase preoperazionale (dai 2 ai 7 anni)
3. La fase operazionale concreta (dai 7 ai 12 anni)
4. La fase operazionale formale (dai 12 anni)
(1) Nella prima fase sensomotoria, il bambino utilizza un approccio multi - sensoriale e le sue abilità motorie per
capire ciò che lo circonda, è aperto e sensibile ad ogni stimolo sensoriale e risponde con comportamenti fissi che
seguono uno schema semplice stimolo-risposta. (solo nella seconda fase iniziano a svilupparsi le capacità
cognitive).
(2) Nella fase preoperazionale, il bambino inizia ad avere un’idea del mondo, l’attività cognitiva è basata su un
pensiero simbolico; si sviluppano le capacità linguistiche e la capacità di pensare in modo più organizzato
attraverso gesti, simboli, immagini. Il suo pensiero è però ancora intuitivo e legato solo a ciò che vede attorno a
lui. Il gioco è simbolico, reinventa l’uso degli oggetti, il bambino è ancora egocentrico, esiste solo il suo punto di
vista.
(3) Nella fase operazionale-concreta, l’attività diventa più complessa, sviluppa ragionamenti sempre più flessibili,
strutture logiche per compiere operazioni mentali e ottenere informazioni sugli oggetti. Decentra l’attenzione, è
attento a più messaggi provenienti da fonti diverse contemporaneamente.
(4) Nella fase operazionale-formale, si sviluppa la capacità di pensiero astratto/ipotetico, si raggiunge il completo
sviluppo delle abilità cognitive e un ragionamento più articolato. Si sviluppano un pensiero di tipo astratto e un
ragionamento più articolato e organizzato che permette di eseguire operazioni mentali non più solo legate alla
realtà circostante e agli oggetti concreti, ma anche ad affermazioni verbali o logiche e concetti.
Secondo questa teoria la vulnerabilità e la suggestionabilità del bambino alle sollecitazioni del marketing e della
comunicazione mediatica risultano molto spiccate fino ai 7 anni di et circa, dal momento che la sua concezione
del mondo passa soprattutto attraverso l’esperienza multisensoriale ed emotiva piuttosto che attraverso i canali
intellettivo - cognitivi. In questa fase perciò sono più indifesi e non riescono a prenderne le distanze, è in questa
fase che il ruolo dei genitori e della scuola sono determinanti per lo sviluppo delle sue capacità critiche e del suo
ruolo di soggetto economico.
In questo panorama si ritiene che approfondire il rapporto tra infanzia, comunicazione e consumo significhi
soprattutto studiare un corpus di atteggiamenti, valori e competenze che, al contrario dell’adulto, è ancora in via
di ristrutturazione
A tal fine la prospettiva più adeguata per studiare il fenomeno risulta essere quella della consumer socialization,
vale a dire quel sistema di ricerche appartenente alla matrice del consumer behaviour che indaga il processo
mediante il quale bambini e adolescenti apprendono il loro ruolo di consumatori. La socializzazione ai consumi è
stata infatti definita da Ward (1974) come il processo attraverso il quale i giovani acquisiscono competenze,
conoscenze e atteggiamenti rilevanti per il loro futuro ruolo di consumatori nel mercato.
Si tratta di un processo che ha il suo avvio nei primi mesi di et del bambino e si estende sino all’adolescenza, anche
se è opportuno riconoscere un ruolo importante alla socializzazione anche in et adulta; in questo caso si può parlare
di socializzazione inversa o retroattiva secondo cui sono i più giovani a socializzare al consumo gli adulti.
I principali filoni di ricerca sulla consumer socialization non si sono limitati a studiare soltanto gli output del
processo di socializzazione, ma si sono rivolti anche ad analizzare i complessi meccanismi cognitivi che lo
caratterizzano in quanto vero e proprio processo di apprendimento sul consumo. Viene studiato anche e soprattutto
il ruolo dei media nella costruzione dell’immaginario culturale.
Si può parlare anche di socializzazione inversa, sono i giovani a socializzare al consumo gli adulti.
Nella socializzazione ai consumi esistono dei fattori che vanno a costruire il futuro ruolo di consumatore del
bambino:
- Costruzione di un sistema di credenze sul mercato e suoi operatori;
- Acquisizione conoscenze strutturali sui prodotti e conoscenze simboliche su marche;
- Costruzione schemi cognitivi sul processo di acquisto;
- Apprendimento dell’insieme di competenze per agire nel mercato come agente economico;
- Sviluppo competenze decisionali sul consumo;
- Apprendimento strategie per influenzare acquisti familiari;
- Sviluppo valori e motivazioni di consumo;
- Acquisizione conoscenze su pubblicità e meccanismi della persuasione.
I principali filoni di ricerca sulla consumer socialization, non si sono limitati a studiare solo gli output del processo
di socializzazione, ma si sono rivolti anche ad analizzare i complessi meccanismi cognitivi che lo caratterizzano
in quanto vero e proprio processo di apprendimento sul consumo, approfondendo inoltre il ruolo di tutti gli attori
sociali che esercitano un’influenza su di esso (come le agenzie di socializzazione). Tra questi attori notiamo la
presenza della comunicazione di marketing, questa influenza il bambino non solo con comunicazione e pubblicità
ma anche con gli stessi prodotti con cui interagisce per fargli già sperimentare il suo ruolo di consumatore, e con
luoghi di consumo che facilitano l’apprendimento dell’atteggiamento di acquisto. Il ruolo dei media e in particolare
della pubblicità influisce anche nella cultura e nella trasmissione di valori e modelli di vita, con un’attenzione
anche allo sviluppo poi di valori materialistici.
Il processo di socializzazione ai consumi può essere rappresentato attraverso uno schema input-output dove ai due
estremi troviamo le agenzie di socializzazione e gli esiti del processo. Nella sua semplicità, il modello è in grado
di tener conto della complessità cognitiva del soggetto, in quanto considera il suo livello di sviluppo cognitivo, le
sue competenze relazionali e gli stili di apprendimento che possono essere messi in atto negli specifici contesti di
apprendimento.
L’importanza del modello risiede nel considerare eventuali agenti esterni che possono frapporsi tra l’agenzia di
socializzazione e il soggetto influenzando l’esito del processo; questi agenti esterni possono essere: iniziative di
educazione ai consumi, da tentativi dei genitori di filtrare gli stimoli del marketing a cui sono esposti i figli e da
strategie aziendali con l’uso di insider o trendspotter.
La socializzazione ai consumi può essere descritta come un processo che si alternano fasi diverse, caratterizzate
dalla manifestazione progressiva delle dimensioni sottostanti ai comportamenti di consumo:
1. Capacità di provare desideri e preferenze;
2. La volontà di ottenere un mezzo per soddisfarli;
3. l’opportunità di compiere delle scelte d’acquisto;
4. La possibilità di valutare il prodotto e le sue alternative.
La prima dimensione si manifesta nei primi mesi di vita, il comportamento infantile non è ancora consapevole, i
desideri e le preferenze provocano solo reazioni. I comportamenti invece orientati a uno scopo emergono intorno
ai 2 anni di età quando i bambini iniziano a chiedere ai genitori di acquistare dei prodotti per soddisfare i loro
desideri. Invece nei prima anni di scuola elementare emerge l’opportunità di compiere scelte d’acquisto, è il
momento in cui i bambini iniziano a sperimentare soli o con i coetanei le prime scelte autonome di consumo. Solo
nell’adolescenza poi c’è la coscienza critica verso i prodotti e le scelte, il consumo è la fase finale di una serie di
scelte e valutazioni tra diverse alternative.
Un quadro ancora più completo del processo di socializzazione è quello fornito da Roedder (1999), il quale
suddivide l’iter di socializzazione in 3 stadi di sviluppo:
1. Il perceptual stage (3 – 7 anni): i bambini hanno già familiarità con la marca con la spesa ma è ancora
una prima comprensione, le conoscenze di consumo sono elementari si basano su caratteristiche
fisiche o sensoriali die beni fano riferimento a una singola caratteristica.
2. L’analytical stage (7 – 11 anni): le esperienze di acquisto e consumo si strutturano in modo più
complesso, in base alla performance e alle caratteristiche funzionali, ci sono più strategie decisionali,
valutazioni, ipotesi e pensieri complessi. In questa fase aumenta anche la complessità dei processi
decisionali.
3. Il reflective stage (11 – 16 anni): segna il passaggio all’adolescenza si sposta sull’azione di consumo
come un modo per esprimere se stessi e la propria identità, per essere accettati in un gruppo e per
comunicare.
Dai dati di ricerca i bambini imparano a riconoscere le marche e i prodotti ancora prima di imparare a leggere.
Già dai 2-3 anni di età. A 3 anni i bambini sono in grado di effettuare una suddivisione logica delle diverse famiglie
di prodotti sulla base di attributi dominanti sotto l’aspetto visivo. All’età di 7-8 anni cominciano a raggruppare i
prodotti in base ad attributi che suggeriscono funzioni di uso e occasioni di consumo.
Lo sviluppo di conoscenze relative al mondo di marche e prodotti comprende anche la comprensione delle funzioni
del packaging. I bambini riescono a riconoscere le marche ancora prima di saper leggere, riconoscono nei punti
vendita i diversi packaging di diversi prodotti o sanno richiamare quei brand che hanno visto continuamente in tv
soprattutto se associati a forti colori, figure e forme o personaggi. Verso l’età scolare i bambini non solo sono in
grado di riconoscerne le caratteristiche visive ma ne riconoscono anche le caratteristiche principali e pian piano
iniziano a catalogarli in base alle funzioni d’uso. La comprensione delle marche dipende anche dal ruolo e dalla
comprensione delle funzioni del packaging. Nei primi anni c’è scarso interesse verso la scatola ed è quasi un
ostacolo al prodotto, anche perché sono gli stessi genitori a scartare il prodotto e a mettere via la confezione. Già
verso i 6 anni i bambini iniziano a vedere nel packaging un modo per riconoscere e differenziare i prodotti, c’è più
interesse per le confezioni colorate, brillanti con disegni. La fase successiva è poi iniziare a leggere le info riportate
sul packaging cercando però promozioni, sconti e premi in particolar modo. La conoscenza reale della marca si
sviluppa in età scolare, più che altro si riconosce il suo significato simbolico e lo status associato a certe marche
anche in vista di un riconoscimento sociale nel gruppo dei pari e a giudizi e opinioni sugli altri in base alle marche
che utilizzano. L’attenzione per il packaging aumenta ulteriormente durante l’adolescenza, quando questo
comincia ad essere associato con la marca.
Per gli adolescenti certe marche non solo conferiscono status ai loro possessori, ma diventano centrali per
comunicare la propria identità personale e il senso di appartenenza a determinati gruppi o culture giovanili.
Gli studi si occupano di questo perché è stato appurato che un terzo delle spese familiari Ł attribuibile alle richieste
dei bambini. I bambini hanno viste replicate le proprie risorse finanziarie per piccole spese, dolciumi, giocattoli;
questi sono i bambini che poi diventeranno i consumatori di domani per cui vale la pensa socializzarli da subito al
consumo, ma cosa più importante questi bambini hanno un grande potere di influenzare le scelte dei genitori.
Questo potere per guadagnarsi l’acquisto di un bene è conosciuto come nag factor (o pester power) è un’azione di
assillo continuo ai genitori per ottenere qualcosa sotto la spinta di pubblicità o gruppo dei pari. Si può anche
distinguere tra assillo persistente e assillo d’importanza: il primo fa riferimento al continuo richiedere da parte del
bambino che aumenta il volume della voce e diminuisce le pause tra una richiesta e un’altra, ritmo incalzante fino
alla resa dei genitori. L’assillo d’importanza invece più potente e subdolo è appreso dalla pubblicità, le richieste
sono sempre le stesse ma argomentate secondo la presunta importanza personale di possedere quel bene facendo
riferimento all’educazione, al tempo, alla felicità propria alla sicurezza personale, argomentazione a cui un
genitore non può resistere. Per capire il motivo o la nascita di questo nag factor bisogna prima capire il rapporto
tra genitori e figli e il modo in cui i bambini vivono la propria quotidianità, il ruolo dei genitori, l’educazione data,
il fatto stesso che si innesca nei bambini la convinzione che solo i genitori possano darti ciò di cui hai bisogno e
non bisogna chiedere ad altri come segno anche di buona educazione, è come se queste richieste quindi fossero in
un certo senso incentivate dagli stessi genitori. Le richieste sono più forti per prodotti di marca.
Più complesso diventa comprendere le determinanti psicologiche e comportamentali che innescano o incentivano
il nag factor. Tali fattori vanno sicuramente cercati nelle famiglie, nelle relazioni con i genitori e nella modalità
tipica con cui il bambino vive la quotidianità. Secondo Mc Neal, alla base del nag factor si nasconderebbe
un’educazione di un certo tipo, attraverso l’ancoraggio da un lato al senso della proprietà e dall’altro all’installare
nei piccoli l’idea che debbano essere i genitori e solo loro a fornire al piccolo tutto ci di cui ha bisogno.
Quando il nag factor diventa oggetto di ricerca sono due le tematiche più intriganti:
1) capire il contropotere dei genitori, ovvero come e se i genitori sono in grado di resistere e che tipo di
comportamento adottano di fronte agli attacchi dei loro figli;
2) capire l’oggetto dei desideri dei piccoli e come avviene, a livello cognitivo, la costruzione valoriale di simili
oggetti.
I luoghi di vendita
Nei punti vendita il bambino inizia a costruire i primi schemi cognitivi sul consumo grazie a degli stimoli esterni
e ambientali del punto vendita come prodotti, display, sistema di prezzi, personale di vendita, promozioni.
Apprendono così i comportamenti più idonei per agire in questi luoghi: interazione con personale di vendita, altri
consumatori, transazioni, modalità di utilizzare offerte e promozioni; ovviamente il genitore diventerà un modello
di comportamento per i figli nell’esperienza di co-shopping o anche potrà porsi come una chiave interpretativa.
L’esposizione al processo d’acquisto non si traduce in una comprensione dello stesso, questa compare con
l’avanzare dell’età e con l’adolescenza, fino a quel momento i negozi vengono visti come luoghi per appagare i
propri desideri, in modo egocentrico quindi. Una comprensione più matura inizia quando iniziano ad essere
considerati importanti per l’approvvigionamento della famiglia, si comprende meglio anche il significato di certe
insegne e del modo di esposizione. I primi script (copioni) delle esperienze si basano su una sequenza di azioni
elementari, poi nel periodo successivo questi si trasformano in schemi più astratti e generali. Quando nel bambino
inizia a svilupparsi il pensiero ipotetico riuscirà anche a prevedere certi eventi che possono presentarsi in
determinate situazioni così da fissare dei veri e propri piani nella propria mente e organizzarle in metapiani e
schemi complessi.
Fino all’adolescenza vengono dedicate relativamente scarse attenzioni ai prezzi. Durante la prima e la seconda
infanzia i prezzi vengono ricondotti alle caratteristiche fisiche dei prodotti: un oggetto costa di più perché è più
grande o pesa di più.
La consapevolezza che il prezzo di un oggetto possa essere legato alla quantità di lavoro necessaria per produrlo
comincia ad emergere intorno agli 8 - 10 anni, mentre soltanto verso i 13 anni il prezzo viene collegato alla qualità
dei fattori produttivi e alla soddisfazione delle preferenze dei potenziali consumatori.
Nel caso del rapporto tra bambini e denaro, la letteratura evidenzia come l’esperienza diretta e i processi di
socializzazione degli individui conducono a una percezione del denaro caratteristica. Nei bambini è documentata
una visione maggiormente funzionale del denaro e le monete sono associate al loro essere strumento di acquisto
in mancanza di una chiara corrispondenza di valore.
In una ricerca di Bustreo et al che ha avuto come obiettivo quello di esplorare i fattori predominanti nel
comportamento individuale di fronte al denaro, si è cercato di fare una comparazione tra la percezione propria dei
bambini in confronto con quella degli adulti. È stato quindi osservato che al concetto di denaro, i bambini associano
con maggiore frequenza le categorie semantiche di bisogno, valore e desiderio.
Il denaro appare così:
- Come strumento funzionale necessario per comprare quanto desiderato, principalmente beni necessari
e accessori;
- Come espressione dei valori presenti nella loro vita quotidiana;
- Come mezzo di differenziazione sociale.
Sono presenti riferimenti espliciti ai significati simbolici del denaro: indipendenza, responsabilità, autonomia,
colpa, controllo, relazione e conflitto. Si è inoltre dimostrato come l’atteggiamento verso il denaro sia strettamente
correlato al contesto familiare, al processo di socializzazione e allo sviluppo individuale.
Per acquisire competenze d’acquisto è anche importante conoscere i prezzi e valutare la convenienza. Nell’infanzia
i prezzi vengono associati alle caratteristiche fisiche dei prodotti, un oggetto costa di più perché è più grande o
più pesante, solo con l’età poi capiscono che il prezzo può dipendere dalla quantità di lavoro necessaria o ai fattori
produttivi o alla realtà di marca; come la comparazione tra prezzi per valutarne la convenienza iniziano a
manifestarsi quando iniziano a prendere parte alle decisioni d’acquisto familiari o quando hanno a disposizione
somme di denaro per potersi gestire autonomamente.
L’atteggiamento nei confronti del denaro, del suo universo simbolico, come del suo utilizzo, cambia durante lo
sviluppo individuale, dall’infanzia fino all’età adulta e matura, passando da una predominanza funzionale a una
complessa dinamica relazionale e metaforica. Tale processo sembra essere influenzato da diversi fattori, tra cui
l’educazione familiare, le esperienze sociali, il contesto, i differenti ruoli professionali agiti e i modelli socio-
economici assunti come riferimento.
Nella società postmoderna assistiamo a una perdita di valore di famiglia, scuola e istituzioni che ha visto crescere
il ruolo dei media e della televisione come guida a modelli e stili di vita, soprattutto per il tempo che i bambini
trascorrono davanti la tv. I dati di ricerca confermano che bambini ed adolescenti trascorrono la maggior parte del
tempo libero guardando programmi televisivi.
La tv scandisce i momenti di una giornata dei bambini, prima o dopo la scuola soli, in famiglia con amici, anche
se trascorrono la maggior parte del tempo soli davanti la tv come passatempo il pomeriggio. Si può affermare che
i bambini italiani ed europei in generale guardano troppo la televisione, che viene percepita da una parte come
fonte di divertimento, di piacere e di possibilità di evasione e dall’altra come fonte di conoscenza e di informazioni
attraverso cui capire e conoscere il mondo.
La fruizione dipende dall’età e quindi dalla comprensione dei programmi e dall’interesse, dalla stagione, il livello
culturale della famiglia in grado di offrire anche delle alternative durante la giornata. I bambini oggi guardano
troppa tv, come fonte di divertimenti, di evasione e di conoscenza e informazione grazie ad un linguaggio semplice
e immediato dove prevalgono le immagini.
Secondo Francois Mariet (1992), tre sono gli stili di consumo televisivo a cui corrispondono tre diversi livelli della
qualità di ascolto:
- Tv-passione, l’attenzione è massima;
- Tv-tappezzeria, la tv fa da sottofondo mentre il bambino svolge un’altra attività e non è molto attento;
- Tv-tappabuchi, guardano la tv quando non hanno niente da fare o per passatempo però accetterebbero
volentieri proposte alternative.
Oggi siamo davanti a una tv più generalista con meno contenuti per ragazzi e bambini che spesso sono costretti a
guardare film, programmi pesati per tutti. Al contrario della tv invece nella pubblicità i bambini appaiono sempre
più o come testimonial di prodotti destinati ad un pubblico giovane o adulto, o come destinatari di questi messaggi.
È nei momenti in cui i bambini sono davanti alla tv e in cui magari sono attenti a fruire programmi adatti a loro
come cartoni o telefilm (orari pomeridiani) che la pubblicità li bombarda di più, pubblicità in cui i bambini però
sono specifici destinatari.
Uno degli aspetti da considerare nel rapporto tra bambini e pubblicità è il grado di fiducia e credibilità ad essa
attribuita in relazione all’età dei bambini. Ad 8 anni i bambini hanno molta fiducia, sono convinti che la pubblicità
dica cose vere, che dia ottimi consigli; con l’aumentare dell’età diminuisce questa credibilità. Iniziano a
riconoscere la pubblicità intorno ai 5 anni e vengono distinti per la loro breve durata; riconoscerla non significa
capirne la natura commerciale anzi vengono percepiti come una forma di intrattenimento o di informazione sui
prodotti senza alcuno scopo, non essendo in grado di capirli non sono neanche in grado di difendersi. I bambini
sono soggetti fragili, sensibili, sprovveduti e vulnerabili dal punto di vista psicologico perché non hanno capacità
e abilità mentali sviluppate. Al crescere dell’et nel bambino si sviluppano le abilità cognitive che gli permettono
di prestare maggior attenzione alle informazioni contenute nel messaggio, di memorizzare ci che vede, di elaborare
e interpretare le informazioni e infine di comprendere a pieno il contenuto, la natura e lo scopo della pubblicità.
I bambini non sono passivi davanti la tv in quanto c’è bisogno di uno sforzo di elaborazione e interpretazione delle
informazioni ma non tutti i contenuti sono facilmente decodificabili, questo può variare in base all’età e allo
sviluppo cognitivo raggiunto: più sarà alto più il bambino riuscirà a comprendere il contenuto e soprattutto lo
scopo della pubblicità.
Per poter essere efficace il messaggio pubblicitario deve essere compreso chiaramente e memorizzato riuscendo a
raggiungere l’obiettivo di modificare l’atteggiamento o il comportamento del bambino; la comprensione del
linguaggio televisivo è condizionata principalmente dall’età ma anche dal livello di alfabetizzazione e cultura, dal
contesto familiare e dal tempo trascorso davanti la tv.
Per capire le modalità di ricezione e comprensione dei messaggi pubblicitari possiamo basarci sulla teoria degli
stadi di sviluppo di Piaget. (1964) Secondo tale teoria, già nei primi mesi di vita i bambini sono già in grado di
rispondere agli stimoli televisivi, la sua attenzione è catturata da luci, suoni, colori e immagini, il bambino pensa
che ciò che vede accade veramente, che gli oggetti siano reali e che i personaggi parlino con lui. Tra i 2 e i 7 anni
l’attenzione per gli spot cresce anche se hanno ancora difficoltà a capire gli intrecci e la differenza tra realtà e
finzione, difficoltà di distinguere personaggi umani e cartoni. Riconoscono la pubblicità per la sua brevità inserita
in altri programmi, per la funzione di divertire, per il jingle e solo verso i 7-8 anni anche la memorizzazione degli
slogan e si concentrano più selle info contenute. Dopo gli 8 anni il ricordo e la comprensione aumentano e si
concentrano sempre più sul contenuto e sulle caratteristiche del prodotto presentato, distinguono la realtà dalla
fantasia e la natura della pubblicità come genere televisivo, ed è a quest’età che iniziano ad avere dubbi sulla
veridicità dei messaggi pubblicitari. Fino ad arrivare all’adolescenza in cui sono molto più coscienti dell’intento
persuasivo e commerciale della pubblicità e iniziano ad avere un atteggiamento più critico prendendone un po’ di
più le distanze anche se i loro comportamenti d’acquisto sono ancora condizionati dalla pubblicità e dal gruppo
dei pari. La pubblicità per vendere prodotti si rivolge però a quel pubblico di bambini più fragile e indifeso per le
carenze cognitive che non può capire ancora le finalità del messaggio e può essere ingannato; è importante
informare ed educare i bambini sulla natura e gli scopi della pubblicità sia in famiglia che a scuola.
L’attenzione è focalizzata sulle informazioni centrali del messaggio, ma anche sugli aspetti estetici e tecnici.
Secondo Robertson e Rossiter (1974) comprendere completamente la finalità persuasiva e commerciale degli spot
significa aver raggiunto le seguenti abilità:
- Essere capaci di distinguere la pubblicità dai programmi;
- Riconoscere l’esistenza di una fonte esterna da cui deriva il messaggio;
- Essere consapevoli che il messaggio è costruito e diretto ad un pubblico;
- Riconoscere la natura simbolica della pubblicità;
- Riconoscere il gap tra prodotto reale e prodotto presentato dallo spot.
La pubblicità costruita per vendere un prodotto, si rivolge però a un pubblico, quello dei bambini, che è indifeso e
fragile, che per le sue carenze cognitive non può capire l’obiettivo del messaggio e quindi è oggetto di costante
inganno. Ecco che diventa importante informare ed educare i bambini riguardo la natura e lo scopo della
comunicazione pubblicitaria, sia nel contesto familiare che scolastico.
La pubblicità è un genere televisivo che attrae e interessa molto bambini e adolescenti per la sua forma estetica e
per un linguaggio vicino a loro, la apprezzano perché è vista come fonte di divertimento e di informazioni sulla
realtà diventando oggetto di discussione con i compagni. Lo spot si presenta come una storia breve a lieto fine con
un sottofondo musicale, protagonisti sorridenti in un clima familiare e sereno.
Per i bambini in età pascolare l’elemento centrale nell’elaborazione dei messaggi è dato dalla rilevanza percettiva.
Ecco le caratteristiche formali dello spot che attraggono i bambini suscitando in loro piacere e gradimento:
- Brevità spazio-temporale (utile per la concentrazione e l’attenzione dei bambini),
- Ripetitività: nell’arco di una giornata facilità l’ascolto e la memorizzazione, ai bambini piacciono le
cose ripetute danno senso di sicurezza e stabilità,
- Semplicità delle situazioni e immagini: le storie narrate sono chiuse con uno schema semplice con
inizio e fine e i problemi alla fine vengono sempre risolti;
- Semplicità verbo-iconica: linguaggio immediato e semplice, chiaro;
- Facile da memorizzare: la ripetizione, durata breve ritmo, musica, presenza di attori bambini, sono in
grado di ricordare per la natura standardizzata del testo pubblicitario;
- Rapidità delle azioni: situazione e inquadrature si susseguono l’una dopo l’altra con ritmo veloce e
dinamico che mantiene alta l’attenzione,
- Aspetti ludici, umoristici e paradossali sono spot divertenti, avventure emozionanti che coinvolgono
e fanno partecipare i bambini;
- Musica, personaggi sorridenti simpatici e rassicuranti sono definiti come comportamenti condivisi a
cui aspirare;
- Clima di serenità, amicizia, successo atmosfere allegre, problemi risolti, contesti familiari e calorosi.
Grazie a questi elementi lo spot entra nella mente creando un mondo, una realtà in cui il bambino può indentificarsi,
il bambino ha bisogno di modelli a cui aspirare perciò le pubblicità per minori sono piene di situazioni e personaggi
simili alla realtà in cui vivono i bambini, scene di vita quotidiana (il momento della colazione) in modo che il
bambino inizia a fare delle connessioni tra i due mondi identificandosi con i protagonisti degli spot e a suscitare
emozioni. Quando i protagonisti degli spot sono più grandi entra in gioco il processo di emulazione, apprendono
per imitazione per avere gli stessi benefici e ricompense, diventano modelli da imitare. La pubblicità dice loro
come essere felici e come realizzare i propri desideri con quei prodotti. I bambini nelle diverse fasce d’età sono
attratti da elementi e personaggi diversi: i bambini più piccoli da immagini e cartoni, personaggi di fantasia,
animali, quelli più grandi invece da figure adulte appartenenti al mondo del cinema o dello sport (da imitare).
Soprattutto il campo dei prodotti elementari si rivolge più ai bambini che ai genitori per influenzare le scelte
alimentare dei più piccoli, scelte in termini di conoscenza e preferenza del cibo, e infatti la pubblicità ha una diretta
influenza sulla scelta e sulle preferenze alimentari dei bambini, da qui il rischio della promozione di prodotti junk
food (cibo spazzatura ricco di grassi e zuccheri che aumenta il rischio di obesità), in questo caso vendono sogni ,
stili di vita e comportamenti alimentari per cui si associano elementi ludici e fantastici per coinvolgere
emotivamente e associare il consumo a motivazioni più profonde del semplice bisogno di sopravvivenza (non si
acquista solo una merendina ma uno stile di vita); soprattutto le pubblicità di junk food creano attorno al cibo
simpatia e allegria trasformando il bisogno di mangiare in gioco e divertimento (spesso associandolo a cartoni
animati, testimonial, musiche) e sono molto più pubblicizzati rispetto a cibi salutari come frutta e verdura, il junk
food viene presentato come attraente e desiderabile associato a immagini divertenti e a gadget e regali. Vedendo
questi prodotti sullo schermo costantemente i bambini li riterranno più importanti rispetto ad altri che non vengono
pubblicizzati (gli spot per gli adulti presentano il cibo in termini di salute, quelli per i bambini come divertimento,
fantasia e gusto). Nonostante questo ci sono azioni di marketing significative per promuovere uno stile alimentare
nell’infanzia più salutare per prevenire l’obesità ( = lancio di nuovi prodotti a base di frutta e verdura, Zuegg; o
l’associazione di Ferrero tra consumo di snack e merendine con l’importanza di svolgere attività sportive con
testimonial dello sport).
La pubblicità di prodotti alimentari rivolta ai bambini
I bambini trascorrono di fronte allo schermo televisivo molte ore del pomeriggio, in media tra le 2 e le 3 ore, e
quindi dedicano molto del loro tempo anche alla pubblicità. Secondo l’indagine “in bocca al lupo” che ha
analizzato in due settimane distinte la fascia oraria tra le 16 e le 19 di 11 paesi, l’Italia è uno dei paesi con la
maggior quantità di pubblicità televisiva di prodotti alimentari. Su 1256 spot trasmessi, 971 Mediaset e 286 la Rai.
La situazione in Europa è molto eterogenea: vi sono paesi con elevati livelli di spot alimentari, e altri con livelli
quasi irrisori. Differenze notevoli si possono rilevare anche tra le reti pubbliche dello stato che vengono finanziate
attraverso il canone e le reti private che invece si finanziano grazie agli introiti pubblicitari.
La Polonia è il paese con il più alto numero di spot trasmessi, 880 messaggi promozionali, mentre la Svezia è
quella che risulta averne molti di meno, solo 58 trasmessi. Questo è dovuto anche dal fatto che in Svezia sono state
emanate restrizioni e leggi più severe che regolano la pubblicità televisiva, con particolare attenzione a quella
diretta ai minori.
Quindi bambini e adolescenti europei sono soggetti a un bombardamento pubblicitario costante che attraverso
sofisticate tecniche persuasive li induce continuamente a mangiare qualcosa. I prodotti più pubblicizzati in
televisione durante il pomeriggio nell’orario di maggiore ascolto da parte dei bambini nel Regno uniti sono stati:
- 62% prodotti con elevati livelli di grasso
- 50% prodotti con elevati livelli di zucchero
- 61% prodotti con elevati livelli di sodio.
Oggi in Europa la situazione non è cambiata: la maggior parte dei prodotti pubblicizzati in tv è rappresentata da
snack, merendine, fast food, patatine e bibite zuccherate. Circa il 36% degli spot sono di cibi poco sani.
Oltre alla pubblicità le aziende oggi hanno scoperto le potenzialità di internet, l’età in cui i bambini iniziano a
navigare in rete si abbassa sempre di più, è un mezzo innovativo e in espansione che non attrae solo il pubblico
adulto ma anche i più piccoli per il suo modo di comunicare e di interagire in modo dinamico; i bambini giocano,
si divertono e sono più attivi, devono decider e compiere azioni ci vuole più impegno; la rete è anche considerata
per questo più pericolosa perché può sfuggire al controllo dei genitori. Così le aziende alimentari sfruttano la
comunicazione online costruiscono i siti in forma di cartoon, colorati ricchi di giochi e gadget di ogni tipo per
raggiungere direttamente i bambini senza dover passare tra i genitori, inoltre il marketing online può tenere
l’attenzione e impiegare i bambini anche per più tempo coinvolgendoli e immergendoli totalmente nel mondo della
marca. La caratteristica di tutti i siti per bambini è l’advergaming (advertisement e videogame) per definire la
pubblicità sottoforma di videogioco, confonde gioco e pubblicità; alcuni siti di aziende di prodotti alimentari come
Nesquik Nestlè sono strutturati come dei videogiochi in cui il bambino può esplorare, divertirsi e giocare con
diverse attività che ruotano intorno al brand e al prodotto, i bambini si divertono con personaggi e testimonial
inconsapevoli di essere sottoposti continuamente a un bombardamento pubblicitario, instaurano con la marca un
rapporto amichevole e familiare (per loro è un videogioco, un passatempo e non una pubblicità, ma non fa altro
che creare fedeltà e atteggiamenti positivi verso un brand).
Tra i principali vantaggi che un’azienda può trarre dall’advertgaming vi sono:
- Creare un impegno e una relazione confidenziale con la marca;
- Attirare l’attenzione sul brand mediante il gioco e per un tempo prolungato;
- Essere uno strumento economico per fare pubblicità;
- Possibilità di monitorare l’audience: numero visitatori, tempo trascorso sul sito, visite ripetute;
- Possibilità di diventare il punto centrale per un piano integrato di comunicazione.
Advergame
La maggior parte dei siti di aziende che decidono di investire in advergaming utilizza videogiochi online di
avventura e sport con musiche e all’interno del gioco possono comparire prodotti, packaging, testimonial, logo,
diventa un’esperienza di brand divertente aumentando il ricordo della marca anche in altre occasioni, in più c’è il
coinvolgimento diretto del bambino personalizzando e scegliendo i propri protagonisti, immedesimandosi e
superando diversi livelli come una sfida personale o una gara tra amici, in questo modo i bambini trascorreranno
con voglia molto tempo davanti al pc e a quel brand (es: Ovetto Kinder, Kinder Frutti in cui sostituire i volti dei
personaggi con foto proprie o della famiglia per renderlo ancora + intimo e personale; Mulino Bianco in forma di
cartoon dove vivono tutti i testimonial di ogni pubblicità e prodotto).
Il rapporto della Kaiser family foundation ha segnalato la presenza in alcuni siti americani di un ad alert, ossia di
scritte che avvertono i bambini che quello che stanno guardando è pubblicità. Ma si tratta di casi molto rari.
L’advergaming rende le marche più familiari e amichevoli agli occhi dei bambini. Attraverso questi siti il pubblico
dei minori ha modo di conoscere meglio, prendere confidenza, fidelizzarsi e interagire con la marca dalla quale
poi sarà difficile separarsi.
L’obiettivo delle aziende è infatti far avvicinare il bambino al proprio mondo attraverso giochi e regali, così da
rafforzare la fedeltà e la consapevolezza di marca.
In alcuni siti americani esiste un ‘’ad alert’’ ossia scritte che avvertono i bambini che stanno guardando pubblicità,
ma sono casi rari (es. Mc Donald’s in America).
Giotto Be-Bè è la nuova linea di prodotti Fila, dedicata al pubblico dei bambini a partire dai 2 anni di età. Giotto
Be-bè rappresenta un caso interessante sia per la peculiarità del pubblico a cui si rivolge, sia perle peculiarità del
pubblico a cui si rivolge, sia per l’innovativo approccio da parte della marca alla dimensione dei consumi rivolti
all’infanzia.
La linea è partita da una constatazione che sul mercato mancasse una serie di prodotti dedicata alla primissima
infanzia e orientata allo sviluppo delle capacità espressive e creative dei più piccoli.
Quello che è stato creato va oltre la realizzazione di una nuova linea di prodotti, ma si costituisce come un
approccio radicalmente innovativo rispetto alla dimensione del consumo nella prima infanzia, con un deciso
orientamento al valore della relazione con la marca e al legame simbolico con il brand.
La confezione del prodotto si offre come un elemento ludico utile a sviluppare le capacità spaziali e manuali del
bambino, tanto che da un lato il divertimento è nel colorare, disegnare e modellare un mondo di forme e colori
sempre diversi, dall’altro l’ulteriore gioco sta nel riporre i prodotti nella confezione componendo una tavolozza o
puzzle da completare.
L’idea di Giotto è comunicare attraverso i sensi e l’esperienza rendendo tangibile la presenza della marca e
costituendo una relazione con il bambino destinata a proseguire e consolidarsi nel tempo.
Tra gli elementi che costituiscono l’identità di Giotto, oltre il nome, anche un simbolo che è stato spesso citato
anche nei focus group che hanno coinvolto le mamme: l’immagine che vede Giotto, insieme a Cimabue, impegnato
nel disegno di una pecora nella roccia.
Altro elemento fondamentale per Giotto è riconducibile alla puntuale pianificazione del marketing dal punto di
vista distributivo e dal posizionamento della nuova linea di prodotti. Giotto si propone come il primo approccio
allo sviluppo creativo-manuale dei bambini, con il linguaggio dei bambini.
Distribuzione nei punti vendita, importante partnership con Chicco. Inoltre, creazione di corner all’interno di 1500
studi pediatrici.
Il target principale è quello delle mamme a cui è stato presentato un prodotto non solo in grado di rispondere alle
loro esigenze in tema di sicurezza e praticità, ma anche in grado di coinvolgere il proprio bambino in un’esperienza
di gioco educativo tutto tondo.
Oltre alla tradizionale pubblicità, veicolata soprattutto su testate dedicate alla crescita del bambino, un altro
fondamentale strumento di comunicazione è derivato dalle attività di relazioni pubbliche e di ufficio stampa nei
confronti delle numerose riviste di moda e costume che hanno utilizzato i prodotti Giotto all’interno dei propri
articoli dedicati al tema dell’infanzia.
Introduzione
L’obiettivo principale di chi si occupa di marketing e di comportamento dei consumatori è di modificare gli
atteggiamenti per fidelizzare un consumatore alla scelta di una marca o per indirizzarlo nella scelta di un nuovo
prodotto. Le modalità possono essere diverse per rendere più favorevoli gli atteggiamenti dei consumatori verso
un brand o un’azienda, come la scelta del packaging, di un bravo testimonial, la segnalazione di ingredienti
contenuti nei prodotti alimentari, l’impegno sociale delle aziende. In un contesto attuale sempre più saturo di
informazioni e suggerimenti è sempre più difficile riuscire a persuadere i consumatori e provare a cambiarne gli
atteggiamenti, riuscire ad attirare l’attenzione di un pubblico distratto ed esigente figuriamoci a cambiarne gli
atteggiamenti. È evidente come ormai non basta più solo presentare un prodotto e ripetere il messaggio perché sia
percepito e faccia effetto, il modo in cui elaboriamo le informazioni risponde al principio del massimo risparmio
energetico (economia dell’attenzione) rendendo ancora più difficile il compito di chi vuole attirare l’attenzione.
Generalmente le informazioni che vengono più recepite dai consumatori sono quelle attese che concordano con
gli stereotipi o con schemi già consolidati.
Il ruolo della persuasione
La prima cosa da dire è che si occupa di persuasione deve fare i conti con meccanismi psicologici a volte poco
razionali e standard; tra i fattori che rendono più efficace la persuasione ci sono:
La reciprocità: le persone sono più propense a modificare i propri atteggiamenti se si sentono in dovere
verso qualcuno o qualcosa (il regalo ai consumatori prima di una vendita, effetto ‘piede nella porta’ per
far sentire il consumatore in dovere verso il venditore).
Il valore dell’autorità: l’importanza della fonte del messaggio e il suo grado di autorità in un tema (es:
CNN) ha effetto sui comportamenti degli ascoltatori.
L’effetto della scarsità di prodotti o servizi: spinge i consumatori a modificare il proprio atteggiamento e
a considerare quel prodotto più gradevole o indispensabile.
L’effetto piacevolezza della fonte: una fonte attraente raggiungerà ricompense positive, oppure un
processo di identificazione per godere delle stesse qualità di quel modello con cui ci si identifica.
A rendere ancora più complesso il lavoro del marketing è la consapevolezza che il messaggio percepito a volte
viene correttamente compreso e interpretato. Diverse ricerche hanno dimostrato che non sempre le intenzioni del
comunicatore sono adeguatamente colte e corrette, comprese dal proprio target di riferimento (soprattutto se sono
bambini dove la comunicazione spesso è molto adultocentrica, poco attenta alle specificità dei bambini).
Ciò si verifica anche nel processo di memorizzazione, non è sempre scontato che il prodotto oggetto del messaggio
e ciò che dovrebbe essere ricordato sia lineare e immediato.
Chi si occupa di persuasione deve quindi anche studiare il modo di rendere quella pubblicità memorizzabile oltre
che comprensibile, spesso accade di vedere pubblicità molto accattivanti ma difficilmente memorizzabili. Affinché
ci sia un cambiamento degli atteggiamenti, l’efficacia della comunicazione deve essere valutata sulla base dei
diversi parametri:
- Capacità di attirare l’attenzione;
- Possibilità di essere correttamente percepita;
- La forza che ha di dire informazioni comprensibili;
- Possibilità che il messaggio sia adeguatamente complesso e ricordato;
- Intrinseca capacità persuasiva
Molto importante anche il chi dice cosa a chi, ovvero:
- le caratteristiche della fonte;
- la natura del messaggio;
- le caratteristiche del ricevente
Le neuroscienze stanno studiando le differenze funzionali fra cervello maschile e femminile. In particolare, sono
state evidenziate le influenze delle differenze di genere su numerose aree cerebrali come l’ippocampo, l’amigdala,
processi cognitivi come la memoria, l’elaborazione di stimoli visivi e acustici, i circuiti delle emozioni ecc.
Studio sulle differenze di genere, le differenze funzionali tra il cervello dell’uomo e quello delle donne. In
particolare, le differenze durante il processo d’acquisto, le emozioni sono decisive talvolta nell’acquistare un certo
bene, uomini e donne sembrano diversi di fronte a uno stimolo emotivo intenso, le donne ricordano in modo
particolare gli stimoli emotivi quando viene attivata di più l’amigdala sinistra, per gli uomini avviene il contrario;
quindi uomini e donne memorizzano in modo diverso le diverse emozioni e quindi i diversi prodotti. Le donne
utilizzano per decidere l’emisfero sinistro, gli uomini il destro, ciò è fondamentale per iniziare a pensare strategie
di marketing gender-oriented. Le donne utilizzano strategie di acquisto mirate a classificare i prodotti in precise
categorie, quindi la decisione d’acquisto si basa molto su ciò che è contenuto in memoria e quindi sulle esperienze,
ciò permette decisioni più veloci in situazioni routinarie nel caso di un prodotto già conosciuto e provato, è un
processo di scelta più veloce e anche più efficace basato su categorizzazioni (basta vedere le corsie dei
supermercati per vedere le differenza tra uomo e donna nel fare gli acquisti). Gli uomini sono meno determinati in
alcuni tipi di scelta come al supermercato e quindi più vulnerabili rispetto a informazioni marginali ma con un
impatto emotivo più positivo, quindi l’abilità comunicativa sembra fare più effetto sull’uomo, mentre le donne in
determinate circostanze sono più abili nel perseguire le proprie strategie d’acquisto.
Uno dei primi obiettivi della comunicazione pubblicitaria è rendere disponibile le informazioni e provare a
determinare un cambiamento cognitivo. Per capire la persuasività di un messaggio bisogna capirne l’obiettivo,
quindi che tipo di cambiamento si vuole promuovere con un messaggio persuasivo.
Uno dei primi obiettivi della comunicazione pubblicitaria è provare a determinare un cambiamento cognitivo che
non necessariamente porta poi a un cambiamento di comportamento.
Come abbiamo visto, gli studi di Ajzen e Fishbein (1980) dimostrano che perché ci sia l’intenzione di cambiare
un comportamento non basta solo essere consapevoli e avere delle opinioni verso un prodotto o una situazione,
ma considerare anche il contesto sociale, ovvero se il nostro comportamento e le nostre scelte sono apprezzate da
altri. Nel caso della semplice trasmissione di info lo scopo principale del processo persuasivo è di creare
consapevolezza e conoscenza, fornendo esclusivamente informazioni adeguate.
Un diverso obiettivo è quello del cambiamento dell’azione, un po’ più complicato, ovvero quello di indurre
determinate persone a compiere una specifica azione in un periodo di tempo, quindi non solo riuscire a
comprendere il messaggio e le informazioni ma occorre fornire adeguate informazioni ed efficaci motivazioni in
base alle quali gli individui saranno spinti a compiere una determinata azione.
Ancora più complesso è l’obiettivo di cambiamento comportamentale ovvero indurre una modificazione più o
meno permanente del comportamento di un gruppo che presentano un atteggiamento favorevole verso il
cambiamento. La relazione tra atteggiamento e comportamento non è lineare, un cambiamento dell’atteggiamento
non comporta un cambiamento dell’azione vera e propria; la difficoltà nell’attuazione di processi comunicativi
persuasivi è dovuta al fatto che il cambiamento di un atteggiamento verso una persona, un’azione o una situazione
non corrisponde poi in un cambiamento di comportamento (Es. persone convinte della nocività di un
comportamento ma continuano cmq a ad agire con comportamenti pericolosi, come il fumo).
Certe informazioni su alcuni prodotti o situazioni non sono sufficienti per determinare un certo comportamento,
ad es. quando non si è liberi di rispettare i propri atteggiamenti per paura della valutazione sociale, sono
atteggiamenti quindi a cui non corrispondono dei comportamenti (e viceversa).
La teoria dell’azione ragionata (Fishbein e Ajzen) indica che il comportamento di una persona dipende oltre che
dalla valutazione degli attributi di un particolare prodotto, dalla possibilità che lo caratterizzino ma anche da altre
variabili quali la pressione sociale, le aspettative individuali dei risultati di un’azione e il valore attribuito a questi
risultati (infatti nella costruzione del messaggio pubblicitario bisogna anche fare attenzione al ruolo della norma
soggettiva e del contesto del consumatore).
Nella vita quotidiana la maggior parte delle nostre intenzioni è così immediata da non sembrare un processo
consapevole o ragionato analizzando costi e benefici; la teoria dell’azione ragionata vede l’uomo fortemente
razionale quindi in questo caso la persuasione e il rapporto tra atteggiamento tra atteggiamento e comportamento
agito dipendono da un processo di valutazione razionale degli attributi, del loro valore e della pressione sociale
riguardo un’azione. Questa teoria, integrata poi da quella del Comportamento Pianificato, offre utili indicazioni
su quali siano gli elementi su cui agire per determinare un cambiamento degli atteggiamenti. L’applicabilità del
modello sembra valere solo ed esclusivamente per quei comportamenti che possono ritenersi ragionevolmente
intenzionali
L’ultimo tipo di cambiamento che la comunicazione persuasiva tenta di attuare, e anche quello più difficile, è un
cambiamento di valori, ovvero modificare i valori radicati in alcuni individui rispetto a determinate situazioni;
questo perché i media assumono un ruolo importante accanto ai vecchi organizzatori sociali come famiglia, lavoro,
scuola, e si inseriscono, in particolare la tv, in quel processo di costruzione della realtà, orientando i processi di
costruzione della conoscenza.
Inizialmente gli studiosi trattavano il tema della persuasione e dell’influenza della comunicazione sugli individui
come un’influenza determinante facendo riferimento a quegli anni in cui la comunicazione politica aveva dominato
e ritenevano che gli individui fossero passivi a tutta la comunicazione, si sviluppa la teoria del proiettile magico:
i mezzi di massa sono come proiettili che arrivano sicuramente a bersaglio perché mirano a innescare i meccanismi
automatici che governano i comportamenti delle folle (il processo persuasivo veniva visto come unidirezionale
dalla fonte ai destinatari). Poi verso la fine del XX secolo si afferma invece la teoria dell’influenza limitata: il
messaggio promozionale perde quel valore determinante e influenzante, viene avvalorato se accompagnato dalla
testimonianza di persone degne di fiducia, è importante quindi coinvolgere per la persuasione possibili opinion
leader per altri. Negli ultimi decenni del XX secolo si è affermata la teoria dell’influenza modellatrice: offrendo
indicazioni su stili e modelli di vita a cui ispirarsi. Bisogna capire più che l’effetto della persuasione ha sui
consumatori, cosa invece ne fanno i consumatori dei messaggi persuasivi. I consumatori non sono più una massa
passiva ma ben consapevoli fruitori di comunicazione simbolica alla ricerca di informazioni per informarsi,
divertirsi e identificarsi con il proprio gruppo di appartenenza, interagendo con il messaggio: modello
interazionista, co-costruttore di significati, secondo 3 principi:
Il consumatore reagisce alle informazioni sulla base del significato che egli stesso contribuisce a dare.
Il significato attribuito a questi oggetti è correlato alle informazioni provenienti dal contesto culturale di
riferimento e dalle relazioni sociali.
Il significato viene costruito attraverso un processo interpretativo continuo.
Questo modello quindi considera le parti del processo persuasivo non più come emittente e ricevente ma come
comunicatori: l’azienda e la marca che comunicano qualcosa di sé e il ricevente, consumatore che costruisce il
significato sulla base del suo sé e della sua cultura in modo proattivo. Il processo di cambiamento degli
atteggiamenti quindi viene visto oggi in modo interpretativo e costruttivo, in più la memorizzazione e la percezione
di un messaggio avvengono secondo procedimenti selettivi, l’audience si espone quindi alle informazioni
congeniali alle loro attitudini evitando le altre.
C’è da dire che in tutto questo i media hanno un ruolo fondamentale nell’offrire informazioni di base, quindi il
modo di presentare un certo fenomeno attraverso i media influenza sicuramente il giudizio che le persone hanno
di quel fenomeno. La comunicazione persuasiva oggi deve fare affidamento non più solo sul valore della
razionalità ma deve basarsi su leve simboliche.
Informazione: le persone normalmente valutano e decidono cosa fare anche in base a ciò che sanno, le informazioni
di cui dispongono anche se selezionate, costruiscono un sistema di conoscenze che orientano il proprio
comportamento. L’influenzamento della comunicazione pubblicitaria consiste quindi nell’informazione: uno spot
può dire qualcosa su quel prodotto su qualsiasi aspetto che prima non si sapeva, ora che si sa quindi, questo, può
indurre il consumatore a comportarsi in modo diverso rispetto al comportamento iniziale senza quell’informazione.
Persuasione: Una seconda modalità di influenzamento è rappresentata dalla persuasione, persuadere significa
indurre il proprio interlocutore a cambiare la propria opinione alla luce di un argomento convincente. I significati
del termine persuasione sono due:
1. Il primo significato presuppone l’idea di verità e presume che la ragione possa riconoscerla in quanto resa
evidente dall’argomento; in questo senso la persuasione fa appello alla razionalità presupponendo un
interlocutore ragionevole disposto a mettere in discussione la propria opinione e se persuaso ad adottare
quella nuova, è intelligente colui che grazie a un argomento ragionevole si persuade a modificare le proprie
credenze e i propri comportamenti; una giusta via di mezzo, né essere facilmente influenzabili né però
restare ciechi e sordi di fronte ad un argomento mantenendo le proprie opinioni e resistenza al
cambiamento. Chi viene persuaso riconosce la verità dell’argomento, convincere diventa un vincere
insieme condividendo qualcosa di vero razionalmente: ciò che a volte fa la pubblicità mostrando qualcosa
che il consumatore possa cogliere in quanto vero, cerca di persuadere mostrando come dato un problema,
il prodotto o la marca che si vuole promuovere offre la soluzione migliore.
2. Il secondo significato del termine persuasione prescinde dall’idea di verità e presuppone i limiti e la
soggettività dei ragionamenti umani, quindi l’argomento è persuasivo non perché mostra la verità
razionale ma perché riesce a far prevalere le ragioni del persuasore su quelle del persuaso avvalendosi di
espedienti. Il termine convincere qui rimanda alla relazione tra uno che vince e uno che perde, il prevalere
di chi convince e sa usare argomenti persuasivi su chi viene convinto, sono in posizione di uno ‘one up’
sull’altro ‘one down’.
Seduzione: Un terzo modo di influenzare si avvale della seduzione. Sedurre significa condurre a sé, attrarre l’altro
e indurlo a seguire spontaneamente quanto indicato da chi seduce. È un modo di comunicare che fa appello alle
emozioni e influenza il soggetto ponendosi come risposta illusoria ai suoi bisogni e desideri; l’autorevolezza della
fonte induce a credere nelle sue affermazioni, induce a fidarsi, suscita consenso e disponibilità verso chi si dimostra
amichevole e umoristico, simpatico. La comunicazione pubblicitaria si mostra a volte come informativa a volte
come persuasiva, ma soprattutto come seduttiva per suscitare interesse, adesione, sorrisi, positività mostrandosi
gioiosa, fantasiosa, giocando con i sentimenti che legati a prodotti o marche liberano l’oggetto dalla sua funzione
d’acquisto e lo caricano di significati simbolici.
Oggi il rapporto tra pubblicità e consumatore si è evoluto: è una relazione bilaterale che entrambi gli attori
contribuiscono a costruire. Un esempio potrebbe essere gli advergame: sono giochi interattivi attraverso i quali si
promuovono campagne pubblicitarie online.
È un nuovo formato di comunicazione vincente proprio grazie all’interattività, dove il consumatore ha un ruolo
più attivo nel rapporto.
Lo schema del gioco può essere quello dell’evasione o quello della persuasione.
Nel gioco pubblicitario la componente “evasione”, riguarda sul piano psicologico, la legittimazione a violare la
distinzione tra realtà e fantasia, permettendo di mettere in scena situazioni di sogno, di appagamento del desiderio,
comunque legata alla capacità di vivere esperienze in una sfera intermedia tra realtà e fantasia, in cui la dimensione
ludica e quella immaginativa costituiscono la parte più estesa e condivisa.
La dimensione della “persuasione”, riguarda non più la dimensione del desiderio, ma quella dell’adattamento
intelligente alla realtà. In questo senso, il gioco pubblicitario pone il fruitore in una situazione di preda, dal
momento che il gioco consiste nel riuscire a persuaderlo di qualcosa (come l’acquisto di un prodotto, o modificare
il pensiero che ha su un brand), e quindi nel porlo in una condizione di preda.
Il modo di studiare la persuasione e i processi che stanno alla base del cambiamento degli atteggiamenti si è
modificato nel tempo fino a giungere ad una visione costruttivista.
L’idea della persuasione della modernità è influenzata dal positivismo (‘800) che si è imposta nella riflessione
sull’uomo, promuovendo un’immagine forte e indipendente, capace di dominare la natura con il proprio ingegno,
di costruire e di influenzare la natura; era un periodo storico caratterizzato dall’ottimismo e una visione dell’uomo
come forza, artefice della propria vita e del mondo. Questa visione prevedeva anche una perdita della centralità
dell’anima e della sua coscienza, piuttosto ciò lasciava più spazio al ruolo delle forze esterne nella sua
determinazione. Da quest’influenzamento esterno che scaturisce la dimensione ansiogena del tema della
persuasione e della decisione: nel momento che l’uomo si appropria della libertà e dell’autonomia rischia di essere
la preda di qualcosa di esterno e incontrollabile come la persuasione occulta dei poteri nascosti e divini. A
contribuire ad aumentare le differenze verso il termine persuasione troviamo l’esperienza dei totalitarismi che
hanno fornito un esempio di pericolosità dell’influenzamento della propaganda nelle decisioni e nella
manipolazione delle coscienze. È diventato per questo un tema contraddittorio che ha messo da una parte la libertà
dell’individuo come forza creatrice e dall’altra ha messo l’uomo nella natura e l’ha reso dipendente da altre forze
esterne.
L’uomo però è sempre e comunque visto come un essere razionale, e inizialmente anche il processo di acquisto
poteva essere spiegato da un modello razionale e logico, il soggetto quindi veniva visto come capace di prendere
decisioni e cambiare i propri atteggiamenti su una razionale ricerca di informazioni e un’attenta valutazione delle
alternative per ottenere il massimo beneficio con le minime energie. Questa stabilità era collegata al principio di
coerenza che vincolava l’individuo ad essere coerente con i valori e i principi che aveva interiorizzato e metterli
in pratica poi coerentemente.
La postmodernità ha cambiato radicalmente il modo di vedere l’uomo e i suoi processi decisionali e di
cambiamento, rinunciando all’idea di un soggetto e una coscienza stabile e razionale, non esistono più i valori
universali e le istituzioni guida per le scelte decisionali e per la costruzione di atteggiamenti e hanno lasciato il
posto alla continua riscoperta di valori, al continuo cambiamento degli atteggiamenti e ad un modo per esprimere
la propria individualità.
La persuasione cambia il proprio ruolo, l’audience non ascolta più in modo neutrale e riesce ad accettare più
facilmente ciò che è coerente con le proprie aspettative quindi per modificare gli atteggiamenti occorre confermare
alcuni aspetti e idee preesistenti.
Il comportamento può dipendere dalle situazioni o dalle circostanze, si agisce quindi influenzando in un modo o
in un altro il divenire degli accadimenti, in questo caso si parla di decisioni: scegliere un corso di azione tra quelli
possibili. Per questo si studiano i meccanismi di comunicazione e persuasione per capire come influenzare le azioni
altrui per cambiarne gli atteggiamenti. La persuasione però non è semplicemente la trasmissione di un messaggio
da una fonte a un destinatario trascurando la relazione nella quale i comunicanti sono coinvolti, è ispirato troppo
a una visione positivistica dell’uomo.
Secondo Simon (1957), se di razionalità bisogna parlare, questa è pure sempre limitata dalle difficoltà e dai costi
della ricerca delle informazioni nel mondo esterno e dai limiti interni, quali le difficoltà di elaborazione cognitiva
delle informazioni, i limiti della memoria e l’attenzione. In secondo luogo, in questo ambito di studio, non sembra
più parlato parlare di psicologia “applicata”, come se la psicologia scientifica producesse i risultati della propria
ricerca solo studiando l’uomo in sé, a prescindere dai contingenti contesti interpersonali e sociali in cui vive e
opera.
Teoria Ipodermica: che descrive gli effetti che nel dopoguerra aveva la comunicazione di massa, teoria chiamata
anche del proiettile magico, muovendosi in una teoria meccanicistica considerando che esistesse un repertorio
comportamentale dell’uomo e i messaggi potessero essere recepiti nello stesso modo con tutte risposte immediate
e dirette; in questo caso la comunicazione persuasiva può influenzare decisioni di un gruppo di persone indifese
di fronte alla forza della comunicazione, se il bersaglio viene raggiunto si otteneva il successo prefissato (la fiducia
dei mass media derivava dai risultati della propaganda in atto nella Grande Guerra che influenzava le masse).
Teoria degli Effetti Limitati e dell’Agenda Setting: Secondo la teoria degli effetti limitati l’interesse ad acquisire
informazioni così come la memorizzazione avvengono secondo procedimenti selettivi, esponendosi alle
informazioni più congeniali alle proprie attitudini e a evitare i messaggi contrastanti; le campagne di persuasione
hanno effetto soprattutto se gli individui sono già d’accordo, sono i più interessati ad esporsi all’informazione, per
rinforzare certi atteggiamenti e comportamenti. Inoltre, il contenuto del messaggio pubblicitario viene rielaborato
all’interno di dinamiche sociali e ha valore solo in queste interazioni in cui viene poi interpretato, accettato o
rifiutato. La mente umana è punto di incontro di tante influenze strutturanti, e non c’è una corrispondenza diretta
tra messaggio, decisione e successiva risposta comportamentale, esistono anche variabili di mediazione come la
percezione selettiva o gli stati mentali del ricevente. Perciò la gente tende a includere o escludere dalle proprie
conoscenze ciò che i media includono o escludono dal proprio contenuto, dando più importanza a ciò che includono
proprio perché sono i media a dare più enfasi e priorità a certe informazioni. Si può ipotizzare quindi che lo spazio
e l’enfasi dedicata alla notizia influenzino il modo in cui l’ascoltatore costruisce la propria agenda personale in cui
inserisce e diverse notizie; i media in una prospettiva di agenda setting definiscono quali sono le notizie a cui dare
più attenzione e importanza, dicendo a cosa devono pensare gli ascoltatori (non come i soggetti devono pensare).
Ciò è strettamente collegato al meccanismo euristico della disponibilità, ovvero, dovendo stimare la probabilità di
accadimento di un certo fenomeno il giudizio delle persone sarà influenzato dalle informazioni più disponibili o
più reperibili in memoria; nel caso dell’agenda setting certe informazioni sono più reperibili perché presentate con
più frequenza rendendo queste informazioni più disponibili.
I media in questo caso non dicono come i soggetti devono pensare, ma a cosa devono pensare. Le modalità
utilizzate per rendere più pregnante una notizia e incidere sulla rappresentazione che l’ascoltatore si fa di una
particolare tematica o fenomeno sono:
- Ripetizione frequente della notizia;
- Continuità temporale di presentazione;
- Spazio accordato alla notizia e l’ordine rispetto alle altre notizie;
- Importanza della testata e dei comunicatori che ne danno notizia;
- Utilizzo di commenti che generalizzano il contenuto di un singolo fatto o episodio.
La ricerca recente però sta criticando questa corrispondenza tra l’agenda dei media e quella del pubblico, in quanto
esistono variabili individuali che possono mediare questa corrispondenza troppo semplicistica. Secondo tale teoria,
i media non ci direbbero cosa pensare di un determinato argomento, ma ci suggerirebbero tuttavia quali argomenti
introdurre nella nostra agenda (il giudizio delle persone sarà influenzato dalle informazioni più disponibili o
facilmente reperibili).
La Teoria Della Coltivazione: A differenza della teoria dell’agenda setting, la teoria della coltivazione non solo ci
dice quali sono le cose su cui decidere e pensare ma anche in che modo dobbiamo pensare ad esse. Secondo questa
teoria i media hanno un ruolo di socializzazione che possa plasmare decisioni, comportamenti, le persone soggette
ai media hanno una visione uniforme e condivisa del mondo a causa della presentazione unica della realtà
comunicata, è un processo mainstreaming in cui la televisione conduce ad un’omogeneizzazione della visione del
mondo (basti vedere la differenza con chi guarda meno la televisione, ci sono differenze di idee dovute al diverso
grado di esposizione).
Una delle principali critiche però è posta proprio su questa relazione, non si riesce a dimostrare che chi guarda di
più la tv è più influenzato da essa, la relazione potrebbe essere inversa considerando che nell’ideazione dei
programmi si cerca di rispecchiare i gusti e le opinioni dei potenziali spettatori e le persone scelgono i programmi
in base alle proprie opinioni quindi potrebbero avere una visione comune perché selezionati dall’inizio per
condivisione di opinioni.
Già nel 1949, in un testo dal titolo Esperimenti sulla comunicazione di massa sull’efficacia persuasiva della
propaganda filmica statunitense, un gruppo di ricercatori aveva riportato i risultati di una serie di ricerche
attraverso le quali si è dimostrato che gli effetti persuasivi e di propaganda ottenuti con i film o le trasmissioni
radio erano decisamente limitati.
Il messaggio per avere un’efficacia deve avere dei criteri:
- Credibilità: riassume le caratteristiche della validità e dell’attendibilità del messaggio (deve essere
distinta dalla verità);
- Coerenza: sottolinea l’importanza dell’organizzazione logica degli elementi che vengono portati a
sostegno di una determinata argomentazione;
- Consistenza: indica il valore e l’importanza della continuità temporale della comunicazione
persuasiva, la non contraddittorietà e la costanza della proposta del persuasore;
- Congruenza: Fa riferimento a tutto ci che nel linguaggio comune viene definito come capacità di
trovarsi nel luogo giusto, al momento giusto, con le parole giuste.
La Teoria dei Ruoli e Il Ruolo Attivo dello Spettatore: per essere persuasivi bisogna produrre un messaggio che
corrisponde il più possibile con quanto gli altri si immaginano o si aspettano da noi, sottolineando la visione
dell’uomo razionale e coerente, e quindi gli uomini in questo caso possono essere persuasi dalla coerenza di un
discorso razionale. Per fortuna poi successivamente si è passati a valutare anche il ruolo del destinatario oltre che
il ruolo del messaggio, quindi alle sue differenze individuali e alle variabili cognitive e sociali, un pubblico attivo.
Le motivazioni personali, le emozioni e il contesto sociale influenzano il modo di percepire la realtà. Questo
rappresenta una guida capace di influenzare il modo di percepire la realtà esterna e per costruire categorie dotate
di senso.
Non c’è più un pubblico dormiente, ma un pubblico attivo che a sua volta influenza i media. È proprio il significato
che diamo alle cose, a guidare il nostro modo di percepire la realtà; realtà non data per scontata, ma una realtà che
si costruisce volta per volta in base ai nostri processi di simbolizzazione e ai significati che noi stessi gli
attribuiamo.
In questo processo di significazione, il contesto sociale e culturale in cui ci troviamo, le emozioni, le motivazioni,
influenzano profondamente il modo di percepire la realtà.
Per capire i fattori che rendono efficace la persuasione bisogna studiare le caratteristiche della fonte, del messaggio
e del ricevente (aspetti studiati dalla scuola di Yale).
La fonte può avere grande impatto per la ricezione del messaggio, può essere attrattiva ed efficace nell’attirare
l’attenzione (un bel testimonial), così come rendere credibile e veritiero il messaggio (testimonial prestigiosi); tra
l’altro alcuni elementi positivi di una persona possono creare un effetto alone su tutto ciò che lo circonda e sul
prodotto che utilizza per esempio nel caso di una pubblicità. Infatti, l’uso di personaggi famosi come testimonial
negli spot, ha un costo elevato, ma è una delle strategie più usate. Sono persone che rappresentano il successo, la
bellezza; non dimentichiamo per che oltre alla loro attrattività, devono essere anche credibili: il personaggio
famoso deve avere un qualche legame con prodotto o servizio che sponsorizza.
Nel caso in cui non ci fosse un reale legame tra personaggio e prodotto, il consumatore pensa che si tratti solo di
questioni economiche e il prodotto o la marca perdono credibilità.
L’efficacia persuasiva è ancora più forte se il messaggio e la sua fonte rispondono a specifici bisogni dei
consumatori, e sono più motivati pure a lasciarsi trasportare, soprattutto coloro che tendono ad essere più sensibili
al giudizio degli altri sono più facilmente persuasibili da una fonte attrattiva rispetto a quelli orientati internamente.
Invece la credibilità, la fiducia e l’oggettività della fonte hanno più efficacia soprattutto se il consumatore non ha
potuto sapere molto di quel prodotto affidandosi del tutto alla fonte, soprattutto se è una fonte legittima (quasi si
arriva a un grado di obbedienza che induce ad eseguire ordini in quanto si riconosce una figura autoritaria e
legittima; es. esperimento: delle persone sono state incaricate a dare scosse elettriche a collaboratori complici che
avrebbero finto dolore, nel caso in cui le risposte di quest’esperimento fossero sbagliate, così i soggetti
dell’esperimento finirono per venir meno ai propri principi morali perché non si sentivano personalmente
responsabili in quanto persuasi da un potere esterno più grande e legittimo, loro avevano solo agito come esecutori
di quel comando). Altro fattore importante che influenza l’attrattività della fonte è il processo di identificazione
con essa (usando ad es personaggi famosi che offrono esempi di simbolizzazione e aspirazione) interpretando
diverse categorie sociali simboliche e attraenti (uomo manager, donna elegante e affascinante, mascolinità)
ovviamente dipende anche dalla credibilità di quei personaggi e la coerenza tra il personaggio famoso e il prodotto
che deve essere immediato per i consumatori.
È stato scoperto però che la credibilità della fonte a parità di messaggio non ha per forza degli effetti immediati
sugli atteggiamenti; esiste un effetto sleeper (Kelman e Hovland) secondo il quale i consumatori dopo un po’
tendono a dimenticare l’identità della fonte del messaggio e si lasciano influenzare solo dal contenuto del
messaggio memorizzato, si dissocia la fonte e il contenuto del messaggio, oppure il contenuto del messaggio è più
forte.
Il gruppo di Yale studiò anche la variabile del soggetto destinatario con la sua personalità e suscettibilità alla
persuasione e inoltre anche la struttura del messaggio in base alla sequenza di informazioni, e gli effetti di primacy
ovvero memorizzazione e influenza delle prime informazioni, e recency ovvero memorizzazione delle ultime
informazioni con conclusioni esplicite o i contenuti minacciosi. Solitamente se parliamo di memoria, quando il
tempo che passa tra la presentazione della lista di parole e il ricordo è breve i soggetti ricorderanno le parole
all’inizio e alla fine della lista, ciò è definito effetto della posizione seriale, le parole all’inizio di una lista sono
ricordate meglio alla fine, però siccome la memoria a breve termine ha una capienza limitata ogni parola successiva
della lista esclude quella precedente e per questo motivo è più probabile che vengano ricordate le ultime parole
piuttosto che quelle centrali (effetto primacy e recency). Invece l’utilizzo dei fear appeals, ovvero il richiamo alla
paura può aumentare o inibire la risposta a una pubblicità influenzando il processo decisionale. L’uso della paura
è efficace se oltre all’informazione paurosa viene anche fornita una soluzione reale e facilmente applicabile per
evitare quegli effetti spiacevoli mostrati (es. la pubblicità sociale è diventata un importante bacino di persuasione,
il messaggio però più che far leva sulla paura dovrebbe fornire soluzioni ed enfatizzare risultati positivi associati
al cambiamento di un particolare comportamento), tutto ciò diventa ancora più persuasivo se spinge l’audience a
parlarne e a condividerlo con altre persone, in quanto la discussione di un messaggio e al sua difesa durante un
confronto con altri facilita l’adozione poi delle scelte e dei comportamenti riportati nel messaggio.
La persuasione agisce sia a livello consapevole che inconsapevole. Ciò significa che bisogna riconoscere che
esistono meccanismi automatici di associazione tra concetti e vissuti. Uno di questi processi fondati sulla
connessione tra un concetto ed un vissuto o atteggiamento è legato al termine atteggiamento implicito. Tale
concetto riflette infatti processi particolari, come i fattori associativi, impulsivi, automatici in grado di determinare
un comportamento. Si va a differenziare dal concetto di atteggiamento esplicito, che riguarda ciò che comprende
la riflessione.
Questo interesse nei confronti dei processi automatici, ha anche avviato una nuova generazione di misure indirette
o implicite degli atteggiamenti, che non richiedono quindi una valutazione esplicita di un oggetto di atteggiamento,
ma ne ricavano la sua valutazione dai tempi di reazione associati ad un compito cognitivo. Tra questi troviamo
l’Implicit Association Test (IAT), sviluppato da Tony Greenwald e i suoi collaboratori, strumento sviluppato per
studiare la forza dei legami associativi tra concetti rappresentati in memoria. Lo IAT è infatti una misura implicita
del collegamento della forza del legame di alcuni concetti nella memoria. Esso sfrutta l’effetto Stroop, interferenza
tra significato della parola e colore in cui è scritto, connesso a concetti e qualificatori emotivamente rilevanti per
il tema di studio. Tale effetto consiste nel ritardo del processamento del colore della parola osservabile tramite un
rallentamento dei tempi di reazione e tramite l’aumento degli errori nella condizione incongruente (es. parola verde
scritta in rosso) rispetto a quella congruente (es. parola rossa scritta in rosso). Per le associazioni parola – aggettivo
congruenti, ci si aspettano tempi di latenza minori rispetto alle associazioni incongruenti. Analizzando i tempi di
latenza di ciascuna associazione, è possibile dedurre quali associazioni sono percepite implicitamente come più
congruenti e quali meno.
Le applicazioni iniziali di questo strumento riguardavano soprattutto l’indagine del pregiudizio, il suo uso è stato
poi successivamente esteso anche all’indagine degli stereotipi, dell’identificazione sociale, degli atteggiamenti
verso il cibo. In questo caso, la dissonanza o consonanza tra parole è stimolata dall’associazione incrociata tra
diverse categorie di parole e attributi positivi o negativi, come:
- Parole target positive (colorate di verde): bontà, benessere, genuinità, natura ecologia;
- Parole target negative (colorate di blu): spreco, egoismo, consumismo, sfruttamento, inquinamento;
- Attributi positivi (non colorati): utile, attraente, intelligente, efficace, divertente;
- Attribuiti negativi (non colorati): terribile, orribile, sgradevole, atroce.
In sintesi, riguardo alle parole target, il soggetto deve concentrarsi solo sul colore, indipendentemente dal
significato che le parole esprimono; per quanto riguarda gli aggetti, invece (che non compaiono colorati), si chiede
al soggetto di rispondere in base al significato.
La possibilità di misurare gli atteggiamenti impliciti con la tecnica dello IAT ha permesso di fare confronti tra
atteggiamenti espliciti e auto - dichiarati e atteggiamenti impliciti misurati indirettamente.
Vedi ricerche pag. 443
Il gruppo di Yale ha fornito il modello più serio di spiegazione del messaggio persuasivo, però col tempo s’è visto
che non sempre si realizzano tutti i passaggi per avere effetto, ad esempio gli argomenti non sempre vengono
compresi per parlare di persuasione, basti pensare ai bambini che vengono comunque influenzati dai messaggi
pubblicitari.
Se parliamo del modello della probabilità di elaborazione ELM (1986) di Petty e Cacioppo, considera la
persuasione come un processo che ha l’obiettivo di cambiare gli atteggiamenti o i comportamenti senza l’uso
dell’inganno o della forza che può avvenire attraverso due vie: la periferica e la centrale.
Se il ricevente è motivato a elaborare il messaggio e quindi disposto a collaborare si ottiene un’elaborazione di
tipo centrale, mentre se una delle due condizioni (motivazione e capacità) non si avvera si ottiene solo
un’elaborazione periferica di intrattenimento piacevole ma senza effetti duraturi. La pubblicità quindi lavora su
questi due percorsi: quello centrale prevede una razionalità e un’elaborazione cognitiva delle informazioni e delle
alternative, richiede energia e attenzione, è attivato soprattutto dai più motivati e dai più competenti in materia. La
seconda via periferica è caratterizzata da un minore impegno nell’elaborazione delle informazioni e nelle decisioni,
la decisione in questo caso viene presa in modo automatico secondo abitudini determinata anche da pregiudizi
esterni senza un’attenta riflessione sulle informazioni e le possibili alternative.
Questo dovrebbe spingere il marketing a prestare attenzione al grado di coinvolgimento (+ coinvolta/motivata –
coinvolta/motivata) e alle competenze del proprio target perché ciò permette di capire se il messaggio deve essere
strutturato per agire a livello centrale o periferico, quindi con un’attenta elaborazione delle informazioni o in modo
più superficiale su aspetti secondari. Il modello ELM prevede che una stessa variabile possa attivare allo stesso
tempo sia un percorso centrale che periferico; alcune variabili per le loro caratteristiche sono capaci di attivare
quasi esclusivamente la via centrale o identificare una lista di variabili centrali e una lista di variabili più
periferiche.
Il modello di Chaiken prevede invece la possibilità che i due processi si verifichino contemporaneamente, chi
riceve il messaggio può avere la motivazione e la capacità di seguire un’elaborazione sistematica e allo stesso
tempo se disponibile potrebbe lasciarsi guidare da pregiudizi o elementi più superficiali; il giudizio finale e il
cambiamento di atteggiamento possono essere influenzati da entrambe le modalità di elaborazione perché il modo
di reagire di un individuo deve essere sempre visto nella sua complessità in modo dinamico e interattivo (es. scelta
e acquisto di un auto, oggi si somigliano così tanto che l’influenza del processo comunicativo e la decisione di
acquisto vengono guidate soprattutto da aspetti simbolici e affettivi piuttosto che solo dalla valutazione costi-
benefici). Il processo decisionale è complesso e deve fare i conti anche con processi non razionali o automatici,
quindi le decisioni istintive e controllate non possono escludersi; i processi automatici sono quelli attivati in modo
più immediato e forniscono la prima risposta che poi viene controllata e nel caso modificata valutando con più
attenzione le informazioni e le alternative; a volte però il tempo limitato o la stanchezza o i pochi interessi specifici
potrebbero ostacolare l’avvio di un’analisi più razionale e dettagliata.
Introduzione
Esempio: la protagonista ha un'amica che si sposa e non ha ancora acquistato il regalo. La sposa ha fatto la lista
nozze ai magazzini John Lewis di Londra che permettono di acquistare on line. Sul sito ad assistere i clienti ivi
sono delle commesse virtuali che attraverso delle domande aiutano il cliente nella scelta del regalo. il cliente
soddisfatto e felice si ricorderà dell'acquisto in futuro e provvederà a recarsi nel negozio durante un viaggio a
Londra. Vi sono altri casi in cui dopo l'acquisto le persone continuano a ricevere messaggi promozionali a volte
graditi a volte no. Alcune persone non autorizzano l'invio di tali messaggi per proteggere la propria privacy.
Negli Usa se ne inventano di tutti i colori, come i carrelli intelligenti che forniscono info sui prodotti e riconoscendo
il cliente suggeriscono cosa manca nella sua dispensa. Ciò non è fantascienza ma l'incrocio fra tecnologia e servizi
al cliente.
Dall'e-commerce all'm-commerce
Molti ricercatori hanno studiato il mezzo internet per vedere se fosse stato possibile utilizzarlo nelle ricerche di
mercato. in psicologia dei consumi, tra le ricerche svolte negli anni, si evince che le principali barriere all'acquisto
on line vi è quello della insicurezza sulla privacy.
Oggi affrontiamo un'ulteriore evoluzione: l'm-commerce, ovvero il commercio sui telefonini, nuovo grande mezzo
di comunicazione, interattivo, indipendente da un terminale (casa, uffici, etc), ma sempre limitato nelle occasioni
d'uso. La mobilità della nuova tecnologia sembrerebbe spontaneamente favorire quello che è stato definito come
l’inesorabile destino di ogni artefatto, secondo cui dopo un iniziale periodo in cui l’artefatto irrompe sulla scena,
in un secondo momento sarebbero le ristrutturazioni stimolate e i contesti d’uso a prendere il sopravvento.
Questa tecnologia permette, quindi, di concentrarci su nuovi contesti di consumo, per cui serviranno nuove
strategie di mkt che vedranno come obiettivo la possibilità di scambiare info e dati con il consumatore ai fini della
ricerca.
Secondo i dati Istat, sull'utilizzo delle nuove tecnologie in Italia, il 23% degli italiani acquista on line (fascia tra i
20 e i 44, in maggioranza uomini). Ciò è dovuto anche al fatto che nel nostro paese solo il 43% delle famiglie
possiede un accesso ad Internet. Dato inferiore alla media europea.
ricerche simili negli USA hanno dimostrato che chi acquista on line rispetto chi utilizza internet per altri scopi ha
un'età più elevata e una possibilità economica maggiore, è meno avverso al rischio, è più comodista, impulsivo e
più favorevole alla pubblicità.
Il rischio è uno dei fattori che differenziano chi acquista da chi non acquista.
tra i fattori che lo influenzano:
- il genere = i maschi percepiscono un livello di rischio minore quando acquistano prodotti che conoscono
meglio, come quelli elettronici.
- esperienza d'uso di internet = chi lo usa di più percepisce un livello inferiore di rischio.
Fare acquisti comporta un doppio livello di rischio: 1° l'uso della tecnologia che fa da tramite (la paura di un virus,
acquisizione dei propri dati da parte di altri utenti, la paura di diventare dipendenti da internet), 2° prodotto o
servizio che si vuole acquistare.
Altri ostacoli: voler interagire con il commerciante, dubbi su come protestare in caso di insoddisfazione,
preoccupazione circa la carta di credito.
Ricerca su studenti universitari di psicologia vs ingegneria: per entrambi chi aveva già acquistato sentiva meno il
rischio, cosa che non avviene per altre attività.
Inoltre, chi si ritiene competente si ritiene in grado di proteggersi dai rischi, quando il rischio riguarda gli errori
del venditore, la possibilità di proteggersi è più alt. quindi ciò dipende dalle competenze.
La fiducia è un elemento importante, che nell'acquisto tradizionale si manifesta nel primo approccio col venditore,
in quello on line può svilupparsi dall'osservare il sito, dagli elementi grafici.
Mariani e Zappalà hanno dimostrato che gli elementi ergonomici del sito influenzano la percezione del rischio.
Il processo decisionale avviene in due fasi: - scelta del prodotto (che avviene sulla base delle info e descrizioni) ;
- accettare o restituirlo (vi sono altre info cruciali). la polizza assicurativa può ridurre il rischio.
1995: USA come una community di appassionati. 2001: in Italia. 2007: 5 milioni di utenti. Italia tra i paesi con
crescita di utenti maggiore. In Italia ha avuto successo anche in relazione al fatto della sfiducia degli italiani
nell'acquisto a distanza e scambio tra privati.
La sfida di Ebay è stata quella di assicurare le persone sulla sicurezza delle transazioni (metodo diverso per ogni
paese: in Italia con il codice fiscale, In usa con la carta di credito).
Hanno anche realizzato una campagna in rete per la sicurezza, e per sfatare dei miti su interrogativi che le persone
nella vita quotidiana non si pongono. Venne fornito un vademecum in cui la gente doveva affidarsi ai propri sensi:
- vista: controllare password
- olfatto: fiutare l'odore di bruciato
- ascolto: ascoltare e prestare attenzione alle credenziali degli altri utenti.
- gusto: assaggiare un acquisto, leggere bene le descrizioni
- tatto: toccare la spedizione ovvero scegliere un metodo sicuro
Evento university ebay, in cui vi sono formatori.
Successo di ebay: piattaforma realizzata da persone comuni.
es Archio Palmas: Giuseppe palmas era un fotografo della dolce vita i cui lavori non ebbero successo in vita. Il
figlio decise di mettere su ebay i lavori e ben presto girarono per il mondo.
Poco dopo il figlio riuscì a realizzare una personale a NY.
Le ricerche sui consumatori stanno sempre di più utilizzando i nuovi mezzi di comunicazione che aiutano a
raggiungere ovunque l'utente e in poco tempo. Ma le preoccupazioni sulla privacy e indisponibilità dei consumatori
di essere costantemente bersagliato da ricerche di mercato sono ancora un groppo limite. Internet ha permesso di
instaurare una relazione one to one e personalizzata con l'utente. (mkt relazionale).
Il marketing one to one o interattivo ha sviluppato dei metodi di raccolta dati in banche dati facili da interrogare
per le ricerche di mercato. La letteratura sul marketing relazionale ha enfatizzato l’importanza di raccogliere
informazioni accurate sul consumatore e di utilizzarle per garantire la sua soddisfazione attraverso l’offerta di
servizi personalizzati, prodotti ad hoc e in generale una comunicazione più efficiente. A partire da queste
considerazione strategiche, il marketing one – to – one applicato a Internet, detto anche marketing interattivo, ha
cercato di sviluppare nuovi metodi di contatto sui siti web e nuovi strumenti per la raccolta di dati che consentono
l’organizzazione di dati individuali in banche apposite. Queste banche dati, sempre disponibili attraverso le reti,
sono state elaborate in modo da poter essere interrogate su specifiche questioni, consentendo operazioni di
segmentazione del target sempre più approfondite.
Queste strategie di raccolta dati (definite Customer Relationship Management) hanno incontrato degli ostacoli nel
reperire informazioni sui consumatori ecco perché spesso alcune di queste attività sono svolte senza la
partecipazione degli utenti come il monitoraggio delle pagine web che grazie all'IP number, raccolgono dati sui
percorsi dell'utente.
Ma anche questo tipo di ricerche sono fonte di preoccupazione da parte degli utenti che si sentono costantemente
osservati e per tale motivo sono delle tecniche inefficienti nel lungo periodo perché il condizionamento può avere
effetti negativo sul consumatore.
Vi sono due prospettive di ricerca relative agli studi fatti per riuscire a recuperare informazioni utili dagli utenti:
1. Interazione uomo - computer nei contesti e-commerce: disegno di interfacce adeguate fra utente e sistema
(embodied conversational agents – simulazioni di uomini che interagiscono con gli utenti reali).
L'approccio utilizzato è “centrato sul sistema”, ovvero esso deve adattarsi al linguaggio umano.
2. Studio delle variabili situazionali, enfatizzando il valore della fiducia per risolvere le problematiche sulla
privacy.
L'adozione dei computer per le ricerche informative sui consumatori è avvenuta perché si pensava che fossero più
attendibili delle interazioni faccia a faccia in cui l'intervistato è condizionato dall'interazione con l'intervistatore
(desiderabilità sociale).
Tuttavia, vi sono pensieri contrastanti. Weisband e Kiesler hanno condotto una meta-analisi di 39 studi dal 69 al
94, secondo la quale l'assenza di informazioni sul contesto sociale dell'intervistato riduce la percezione di essere
identificati e quindi aumenta la disponibilità a fornire informazioni.
Inizialmente quindi, la self-disclosure appariva più alta nelle interviste via computer ma con il tempo questa si
abbassava perché aumentava la consapevolezza del mezzo nei consumatori, riguardo le attività di raccolta delle
informazioni e dei dati attraverso i computer. Quindi gli autori riconoscono che all’inizio le persone tendevano ad
aprirsi di più con i metodi di raccolta tramite pc, proprio grazie al senso di anonimato, supportato dalla condizione
di isolamento di fronte allo schermo. Con il tempo però, questo metodo di raccolta è diventato più usuale e la
preoccupazione rispetto al trattamento dei dati raccolti è salita notevolmente. Ad oggi si può affermare quindi che
la consapevolezza dei rischi relativi alla corretta gestione dei dati porta a diminuire l’eventuale effetto positivo
della visual anonimity.
Vi sono anche altri studi che dimostrano come la desiderabilità sociale può aumentare in certi casi nelle interviste
via pc a seconda delle identità rese salienti e delle relazioni di potere che si instaurano.
Gli effetti “linking” e “reciprocity” come strategie per raccogliere informazioni via computer
Moon, a partire dalla letteratura Psicologica sulla self-disclosure, ha tentato di verificare gli effetti di Linking
(principio secondo cui il consumatore sarebbe disposto a fornire più informazioni al pc verso il quale ha sviluppato
una preferenza) e gli effetti di reciprocity (principio secondo cui il consumatore tenderebbe a rispondere in modo
più intimo dopo aver ricevuto informazioni dal pc). Questo avviene quando il consumatore ha un rapporto con la
macchina come se si trattasse di una persona (teoria della Risposta Sociale). Secondo questa teoria, quando una
macchina ha come caratteristiche funzioni comunicative che sono simili a quelle degli esseri umani, le persone
risponderebbero con attribuzioni sociali e svilupperebbero una relazione specifica con la macchina, come se si
trattasse di una persona.
Inoltre, si verificano tali risultati quando è il pc ad iniziare il dialogo fornendo prima domande più superficiali e
poi domande più intime (al contrario non si verificano effetti positivi). In questo studio i consumatori erano
consapevoli che fosse un esperimento quindi non erano condizionati ne dall'interlocutore, ne da ricompense come
accade a volte.
La ricerca si è concentrata anche sulla relazione tra consumatore e organizzazione. Spesso è possibile ottenere info
tramite lo “scambio secondario” (ovvero non monetario come nel caso di quello primario, in cui in cambio di
informazioni personali, i consumatori ottengono servizi e offerte personalizzate).
Culnan e Milberg hanno segnalato che la gestione dello scambio secondario è importante perché un errore può
compromette anche quello primario.
Data la voglia di diminuire la percezione del rischio sui consumatori, si è fatto ricorso alle “fair information
practises”, ovvero le pratiche per mezzo delle quali le aziende comunicano ai consumatori la necessità di fare delle
ricerche di mercato ed automaticamente loro saranno maggiormente disponibili a fornire informazioni.
Inoltre, i consumatori sembrano diventati più consapevoli circa il valore di mercato delle loro informazioni, e
potrebbero quindi essere disponibili a scambiare informazioni contro denaro. Anche lo scambio di info con il
denaro secondo alcuni fa diminuire il rischio perché gli utenti percepiscono questo scambio come una
dimostrazione di trasparenza. Secondo altri studiosi, invece, le informazioni più delicate non verrebbero scambiate
con denaro perché si contribuirebbe alla mercificazione dell'informazioni, e ciò di conseguenza farebbe aumentare
la probabilità di un uso non corretto dei dati personali.
La consapevolezza che l’informazione può avere un valore di mercato, insieme alla percezione del rischio, motiva
un bisogno di emancipazione dal potere esterno che è espresso attraverso la domanda di controllo attivo sull’uso
dell’informazione privata. Tale atteggiamento che emerge in modo sempre più significativo tra i consumatori che
possono essere definiti pragmatici e consapevoli, potrebbe essere un sintomo del cambiamento della natura della
relazione con le aziende. Infatti, emerge il bisogno di strumenti che consentano al consumatore di prendere
decisioni consapevoli nell’ambito degli scambi con le aziende e di negoziare benefici adeguati.
Economia della mobilità e nuovi strumenti per l'analisi comportamentale del consumatore
Con la nuova tecnologia del mobile e la possibilità di connettersi ad internet si aprono nuovi mercati. Tale
tecnologie si può suddividere in una macro-suddivisione:
tecnologie wireless che consentono l'accesso, la gestione, il trasferimento di dati in modo indipendente
dalla presenza di un cavo (smartphone). A questa categoria si collocano per esempio i cellulari della nuova
generazione, definiti smartphone e personal digital assistant.
tecnologie di posizionamento che consentono di rilevare posizione e spostamento di un oggetto/soggetto
con riferimento a un dato contesto geografico.
Alcuni autori hanno evidenziato la voglia di sviluppare una sinergia tra psicologia dei consumi, mkt e
progettazione informatica per disegnare applicazioni davvero utili.
Per fare in modo che queste applicazioni siano davvero utili bisogna adattarle, in seguito a testing dei reali bisogni
dei consumatori.
Ad esempio, invece di focalizzarsi sulle tecniche di segmentazione in base alle caratteristiche sociodemografiche,
si potrebbero analizzare gli acquisti passati del singolo utente, sia in termini di frequenza sia sui gusti, la varietà
etc.
Inoltre, parlando di tecnologia mobile, bisogna tenere in conto la stimolazione ambientale e studiare e prevedere i
comportamenti delle diverse identità situate (consumatori riconoscibili in termini di caratteristiche
sociodemografiche, gusti, atteggiamenti, tratti di personalità, bisogni funzionali e simbolici stimolati dall'essere in
un luogo per un determinato scopo, svolgendo un'azione precisa).
La necessità di monitorare il comportamento del consumatore all’interno del punto vendita viene,
paradossalmente, già soddisfatta negli ambienti digitali e virtuali, attraverso quelle che possono essere definite
attività di data-mining che mediante software, permettono di seguire i comportamenti degli utenti nel tempo.
L'Italia sembra il Paese ideale per sviluppare m-commerce per questo sta crescendo sempre più il mobile-
marketing che ha l'obiettivo di raggiungere il consumatore in maniera interattiva direttamente al cellulare.
Le strategie di interazione con il consumatore potrebbero essere ancora più pervasive perché raggiungono l'utente
ovunque e sono in grado di fornire informazioni sul comportamento in atto, immediatamente e con consapevolezza
da parte del consumatore.
Si parla quindi di Mobile Customer Relationship Management dovrà anche esso soddisfare dei bisogni dei
consumatori in termini di servizi e informazioni ma anche di privacy (problematica importante).
Il mobile consente l'implementazione di metodologie qualitative come chiamate telefoniche e altre adatte alla
mobilità. Tali tecnologie possono essere sfruttate per monitorare comportamenti all'interno di musei, centri
commerciali, librerie etc. In alcuni ipermercati si utilizza il portale shopping system (PSS) che dà la possibilità ai
consumatori di registrare i prodotti acquistati e risparmiare tempo e ai venditori il vantaggio di raccogliere info sul
comportamento del cons che vengono associati ai dati sociodemografici raccolti al momento della distribuzione
dello strumento.
Randel e Muller presentano lo shopping jacket, un pc portatile dove inserire la lista della spesa che ti avvisa quando
il con si trova nelle vicinanze del negozio.
Un sistema più elaborato è l'iGrocer, uno smartphone che memorizza il profilo nutrizionale del cliente e controlla
che i prodotti nel carrello non contengano ingredienti desiderati; suggerisce gli acquisti; inserendo ricette ti dice
quali alimenti comprare etc. My Grocer combina tecnologia wireless con l'RFID che avvisa il fornitore sulla
mancata disponibilità di alcuni alimenti nello scaffale, grazie all'etichetta presente in ogni prodotto. alla cassa
viene automaticamente trasmessa la lista della spesa.
La relazione tra azienda e consumatore ha assunto un ruolo importante nel determinare le scelte e influenzare il
grado di soddisfazione del cliente (ovvero il giudizio espresso nei confronti del servizio o del prodotto offerto).
Esso dipende dalla percezione della qualità relazionale. Tale relazione viene influenzata dalla comunicazione,
ovvero dall'immagine che l'organizzazione vuole trasmettere. La soddisfazione infatti si configura come un
processo assai complesso, dipendente dalle relazioni con l’impresa e dalla sua qualità relazionale. Affinché ci
possa essere una particolare attenzione al grado di soddisfazione dei clienti e un’effettiva risposta da parte
dell’impresa occorre che l’organizzazione nel suo complesso sia preparata a gestire la relazione e che abbia i
caratteri per una corretta comunicazione e relazione con i consumatori.
Se in passato bastava il prodotto o il servizio a posizionare l'azienda nel mercato, oggi l'identità organizzativa che
viene trasmessa attraverso vari canali è un elemento molto significativo.
Il cambiamento organizzativo rappresenta la carta vincente per ogni organizzazione che voglia sopravvivere in un
mercato competitivo e resistere alla concorrenza. Secondo Weik è preferibile parlare di organizing (processo
continuo dell'organizzazione) piuttosto che organization (dà il senso della stabilità). Cambiamenti tecnologici,
economici e socioculturali sono alcune delle variabili con cui bisogna entrare in relazione per adattarsi alle
esigenze del consumatore. Anche la globalizzazione ha creato una profonda instabilità dei processi organizzativi
per questo motivo le organizzazioni in grado di relazionarsi e stare vicino al cliente sono quelle con maggiore
possibilità di sopravvivere.
Questo modello gestionale impone l'abbandono di modelli organizzativi burocratici e stabili.
Il pensiero delle persone è flessibile ed instabile per cui è difficile trovare delle regole fisse e universali per
dimostrare che il prezzo o la qualità o le caratteristiche del prodotto etc, sono variabili sulle quali operare quando
bisogna catturare il cliente. Vi sono altre variabili socioculturali che possono incidere. Il nuovo consumatore è
sempre più autonomo e si fa guidare dalla libertà del suo potere di scelta più che da altre ideologie particolari.
Anche la relazione tra consumatore e produttore diventa più confusa; da un lato i consumatori hanno sempre più
possibilità di scelta, sono più critici e consapevoli ma anche più bombardati dalle promozioni e dall'altro le
organizzazioni lavorano sempre più in funzione dei comportamenti dei consumatori.
Ecco perché sempre più si cerca di analizzare la soddisfazione dei clienti per orientare il lavoro dell'organizzazione.
Se prima il consumatore doveva ricercare il prodotto adesso può accedere ad internet e confrontare prezzi e qualità
di tutti i competitor.
Le organizzazioni si ritrovano quindi a gestire e progettare prodotti e servizi con la mutevolezza delle aspettative
dei consumatori, da una parte, e con l’attesa di una relazione significativa dall’altra. Quindi, l’organizzazione deve
essere in grado di ridefinire la propria funzione strategica, valorizzando le sollecitazioni provenienti dall’esterno,
riducendo i tempi di progettazione, pianificazione, distribuzione e controllo, rispondendo con rapidità.
Questa liberalizzazione del processo di scelta del consumatore l'ha reso più sensibile al fascino della valutazione
della qualità del prodotto ma anche più attendo ai messaggi provenienti dall'organizzazione, che grazi agli input
dei clienti riduce i tempi di progettazione, pianificazione, distribuzione e controllo, risponde con rapidità: questo
è organizing (la capacità di ascoltare, di comunicare e vendere la propria immagine.)
l’importanza della relazione tra consumatore e l’intera organizzazione è testimoniata dal valore che ha assunto
oggi il concetto di corporate brand. Il concetto di marca tradizionalmente legato al prodotto e riferito al vissuto
del consumatore, si è sviluppato caratterizzando l’intera organizzazione.
L'impresa ha sempre avuto relazioni con diversi soggetti, i clienti, i fornitori, i collaboratori, il governo etc.,
trattando ogni relazione in maniera diversa. Per molto tempo, le imprese inviavano messaggi differenziandoli sulla
base del target di riferimento; ciò non è più possibile, in quanto attualmente i diversi target possono essere al tempo
stesso fornitori e clienti.
Nel momento storico in cui i media sono sempre più attenti alle azioni organizzative, l'esigenza di prestare
attenzione alla coerenza tra ciò che si dichiara di essere e i comportamenti organizzativi è cresciuta sensibilmente.
Si rileva un’azione di comunicazione interna e di condivisione dei progetti di corporate social responsability tra
tutti i dipendenti. Le organizzazioni hanno appreso che la reputazione organizzativa ha una forte influenza sul
brand, sul posizionamento e sulla possibilità di costruire e mantenere una relazione di fiducia con i consumatori.
L'organizzazione deve gestire se stessa come fosse un brand, in modo tale da differenziarsi dagli altri, garantire
una certa consistenza nel tempo e nello spazio (assicurarsi quindi che la propria identità sia la stessa nel tempo e
nello spazio), creare empatia con i consumatori.
I brand non sono solamente i singoli prodotti ma sono associati ad uno stile di vita ed a ideologie che vengono
condivise dalle persone. Es: Malboro, nella sua comunicazione ha un'immagine coerente con i suoi valori.
L'azienda deve essere in grado d stimolare emozioni e superare barriere etniche religione e culturali.
Sempre più i consumatori scelgono spinti dalle emozioni e non dalla ragione per cui non occorre comunicare
informazioni sul valore del prodotto o servizio ma sul significato simbolico che assume per creare una relazione
di fiducia.
Il formarsi delle opinioni non può avvenire solo al consumo del singolo prodotto o alle campagne pubblicitarie ma
grazie all'insieme di scambi e relazioni con l'esterno.
Se osserviamo le campagne pubblicitarie delle imprese possiamo osservare i cambiamenti negli anni per seguire
le esigenze dei consumatori. Es: Osserviamo il mercato della telefonia. Gli operatori cercano di creare universi
simbolici per differenziarsi: Omnitel era gioventù, innovazione, etc.; Tim era rassicurante ma ancora legata alla
dimensione statalista, improvvisamente cambiò per ringiovanire il brand, TIM tribù).
Sebbene sia necessario integrare la comunicazione interna ed esterna per una più efficace politica di
comunicazione, spesso le aziende le considerano separatamente. La diffusione e l’ampliamento dei possibili
contatti tra interno ed esterno richiedono un coinvolgimento profondo di tutti i soggetti dell’organizzazione, nella
gestione della relazione con l’esterno, anzi, loro stessi partecipano a questa relazione con l’ambiente
influenzandosi a vicenda, rendendo così obsoleto un modello relazionale predefinito da procedure e compiti pre –
assegnati.
Il concetto di identità organizzativa può essere descritto tramite due denominazioni: corporate identity e
organizational identity. La prima, nel campo del Marketing, si riferisce a come l'organizzazione si relaziona con
gli stakeholder e la seconda richiama la letteratura di tipo organizzativo e psicologico-sociale, si riferisce a come
i membri si percepiscono. Entrambe devono essere coerenti tra di loro e non in contrasto.
Albert e Whetten ritengono che da una parte l'identità è analizzata per definire le caratteristiche più specifiche di
una organizzazione, per comunicarla all'esterno, dall'altra è utilizzata all'interno per descriversi e pensarsi nella
relazione con gli altri.
Il concetto di identità risponde da una parte all'esigenza di creare valore, dall'altra alla necessità di individuare e
comunicare aspetti specifici dell'organizzazione. le dimensioni che possono essere utili per distinguere l'identità
di una organizzativa, sono ad esempio, la filosofia gestionale, i valori in cui crede, la sua cultura, il significato che
intende trasmettere. Un'identità è forte quando è coerente sia all'interno che all'esterno, perché le incongruenze
sono fatali per l'organizzazione. Le incongruenze corrispondono a contraddizioni che potrebbero portare ad una
crisi irreversibili dell’impresa, in quanto comportano una perdita di credibilità agli occhi dei consumatori. Quello
che a prima vista sembra un errore di comunicazione diventa un problema capace di coinvolgere l'intero sistema
organizzativo. Per cui, occuparsi di identità organizzativa significa prendere in considerazione l’eventuale
incongruenza tra comunicazione interna ed esterna e quindi gli elementi che realmente contribuiscono a costruire
una relazione vera e duratura con il consumatore.
Spesso, operare un mutamento della propria presenza sul mercato, si ripercuote sulle modalità di funzionamento
interno, o nel caso in cui si voglia mutare la gestione interna questo può provocare modifiche all'esterno.
L'immagine dell'organizzazione è il risultato complesso e difficile da cogliere tra quello che viene espresso di per
sé e ciò che invece vuole essere trasmesso dal comunicatore che si occupa di trasmettere una certa immagine. Dato
che l’immagine, e di conseguenza la stessa identità dell’organizzazione, è legata alla rappresentazione
dell’oggetto, piuttosto che dell’oggetto in sé; il modo di esprimersi, così come tutti i possibili contatti con
l’organizzazione, possono incidere sulla sua immagine e sull’identità percepita. È per tale motivo, Berg e Gagliardi
(1986) avevano parlato di possibilità di falsificare dell'identità attraverso la gestione dell'immagine al fine di
mostrare al mercato ciò che l'impresa potrebbe essere e non ciò che è veramente, cercando di presentare
un'immagine verosimile in relazione alle attese del mercato.
La grande competizione tra aziende le ha spinte a creare immagini forti ma a volte anche un po’ false pur di lasciare
il segno. Un’eccessiva differenza tra la realtà organizzativa e la comunicazione verso l'esterno può causare
problemi sia con il consumatore, sempre più consapevole e sensibile, e sia con gli stakeholders interni, mezzo di
comunicazione verso i consumatori.
Chi si occupa di comunicazione d’identità e di corporate image deve conoscere perfettamente quali sono i
meccanismi per presentare in maniera manipolatoria una particolare identità. L’identità quindi risulta non più un
fenomeno monolitico, ma un fenomeno complesso, soggetto a un processo di gestione.
Concetti come identità, cultura e immagine devono essere analizzati nei processi di cambiamento. Tuttavia, una
eccessiva semplificazione o la sovrapposizione dei termini, rende difficile la comprensione di alcuni concetti. Per
questo motivo, si può far riferimento all'analisi di Hatch e Schultz, che propongono di analizzare il concetto di
identità in relazione al concetto di image da una parte e cultura dall'altra.
Una prima considerazione a fatta in relazione alla distinzione tra corporate e organizational identity: la prima
nasce dal marketing e fa riferimento ai processi di comunicazione, la seconda legata ai processi organizzativi fa
capo all'area delle scienze organizzative.
La corporate identity richiama la specificità dell'organizzazione e il modo con cui viene comunicata ai propri
stakeholders e come si differenzia dagli altri. Balmer analizza tale concetto da due diverse prospettive: quella della
scuola e quella legata alla dimensione visiva ed espressiva ovvero si sofferma sui processi di comunicazione
grafica (logo, colori, stili comunicativi). La corporate identity rappresenta non chi si è ma chi si vuol diventare, è
una linea guida per i cambiamenti che si vogliono mettere in atto.
Il concetto di organizational identity (identità organizzativa) ha una valenza psicosociale e fa riferimento a ciò che
i membri dell'organizzazione percepiscono in relazione a chi sono. L'organizational identity è legata alla teoria
dell'identità sociale secondo la quale la relazione ed il confronto con gli altri diventano necessari e indispensabili
per costruire la propria identità, rappresenta la miriade di modi attraverso i quali i membri percepiscono chi sono
effettivamente.
Per quanto riguarda i concetti di image e cultura, Hatch e Schultz mettono in relazione identità e immagine e
identità e cultura. L'immagine fa riferimento a ciò che si comunica verso l'esterno ed è strettamente legata
all'identità, a come essa viene percepita dagli altri. È quindi più prossima al concetto di corporare identity. In ogni
caso quando si fa riferimento all'identità si considera il valore comunicativo che alcuni attributi hanno in relazione
alla dimensione esterna; Nel riferirsi all'identità la dimensione pregnante è quella interna. Infine, il concetto di
immagine può essere declinato in molteplici modalità, in relazione al tipo di pubblico. Ciò non significa che le
identità non possono essere molteplici e frammentate.
Per quanto riguarda invece il rapporto tra identità e cultura, questo è talmente stretto che chi si occupa di
cambiamento di identità o di cambiamento culturale non può non prendere in considerazione la loro relazione.
Secondo Hatch (2003), l'identità permette di esprimere se stessi e le proprie esperienze attraverso le proprie
credenze e aspettative che sono a loro volta influenzate dalla cultura organizzativa e dai valori che esprime.
A differenza dell'identità, la cultura fa riferimento a tutti quegli aspetti che colorano la vita quotidiana in un
contesto organizzativo e sociale nel quale il significato e i valori sono espressi dai comportami e dagli artefatti.
L'identità fa riferimento a quanto è narrato e vissuto dai singoli membri: anche in questo caso il concetto di identità
è espresso in maniera formale, esplicita e consapevolmente accessibile, opponendosi a un livello più tacito e
inconsapevole che caratterizza le assunzioni culturali. Gli assunti taciti permeano l'intera organizzazione e
influenzano la mission, la strategia, i mezzi usati, i sistemi di valutazione, le sue norme, etc.
È limitante spiegare il concetto di identità solo nelle aree di comunicazione e marketing, essi richiedono
l'integrazione di conoscenze strategico- organizzative, comunicative e psicosociali nella gestione dei processi di
comunicazione.
L'identità è: risultato di un processo sia interno che esterno; non completamente separata dalla percezione che gli
altri hanno dell'impresa; caratterizzata da una molteplicità di espressioni; un testo deve essere letto in base al suo
contesto culturale; legata ad una dimensione istituzionale; manifestazione ed espressione di simboli culturali.
Il Museo Nazionale della Scienza e della tecnologia “Leonardo da Vinci” è il caso di una organizzazione che ha
cercato di mantenere la relazione con i clienti in un momento di crisi come quella della ristrutturazione.
Oggi i musei scientifici sono più attenti ai bisogni di un consumatore postmoderno esigente, informato, selettivo,
sempre più alla ricerca di esperienze che coinvolgano i sensi.
Per tale motivo, il museo affianca l'efficace sistema di raccolta e catalogazione, anche lo sviluppo di servizi
educativi e di professionalità come l'exhibition design, il mkt e la comunicazione.
Questi sperimentano nuovi linguaggi, metodologie e modalità di coinvolgimento per creare esperienze uniche.
Il continuo evolversi, sia nelle esposizioni sia nella struttura è una caratteristica di un museo.
Si può scegliere o di chiudere e sparire dall'agenda setting o tenere aperta solo una parte dell'edificio o chiudere
per tre mesi durante i lavori. L'efficacia della strategia dipende dalla condivisione dei valori e degli obiettivi.
Comunicare i valori in corso: All'inizio del 2008 iniziano i lavori che ebbero la durata di un anno.
Diventava allora importante coinvolgere il pubblico all'interno del cambiamento, bisognava garantire un'immagine
interna ed esterna coerente al delicato momento di cambiamento, costruire una relazionale stabile tra tutti i livelli
di personale e i visitatori. Il concept della campagna: “Con che faccia teniamo aperti?”, i soggetti erano 4 facce
della campagna ed ognuno veicolava messaggi diversi.
Sagome segnaletiche di operai al lavoro senza volto in cui introdurre la propria faccia per scattare foto.
Info-piantine che riportano oltre alla giuda del museo anche la spiegazione dei lavori, come nel sito internet.
L'attività di comunicazione parla sia ai visitatori ma anche ai possibili clienti del museo.
Secondo molti autori per fidelizzare i clienti occorre considerare gli effetti che i processi comunicativi hanno
all'interno dell'organizzazione. Questo non è solo giustificato dal fatto che i clienti interni sono al contempo
consumatori, ma anche perché gli attori dell'organizzazione hanno un ruolo attivo nel supportare la comunicazione
all'esterno. Un'identità forte e condivisa serve a motivare i dipendenti i quali possano diventare comunicatori a
loro volta.
Si tratta di individuare e soddisfare i bisogni e i desideri dei collaboratori, promuovere i processi di socializzazione
al lavoro che possono sviluppare un profondo senso di appartenenza.
Esempio delle banche in termini di cambiamento organizzativo: In seguito agli scandali finanziari, all'entrata in
gioco di competitor stranieri, alla possibilità di accedere ai servizi direttamente da casa, ha costretto le banche a
trovare nuove soluzioni per accaparrarsi fette di mercato e mantenere i vecchi clienti. La trasparenza, la serietà e
la reputazione hanno assunto un ruolo sempre più pregnante.
A tal fine sembra significativo l'intervento in termini di formazione sulle dinamiche interpersonali e sulla
comunicazione efficacie che vede coinvolti non solo gli agenti e i consulenti ma soprattutto il management e tutti
gli operatoti del back office. Es di Banca San Paolo che nello spot pubblicitario ha adottato un sms in cui la banca
non è più identificabile con un prodotto o un servizio ma con la faccia delle persone che ci lavorano: “io sono la
banca, ma sono uno come te! di me ti puoi fidare”.
Questo tipo di comunicazione ha avuto degli effetti positivi solo perché l'immagine rappresentata coincideva con
la realtà, ovvero l'immagine coincideva con i vissuti dei dipendenti della banca.
Le incongruenze potrebbero avere un risultato negativo e per questo devono essere gestire dal management.
Balmer e Greyser hanno ideato uno schema per evitare le incongruenze. Secondo gli autori, le tipologie di identità,
oggetto di incongruenza possono essere cinque:
identità attuale: insieme di caratteristiche attuali relative allo stile della leadership, alla qualità dei prodotti
e servizi, alla struttura organizzativa, etc.
identità comunicata: identità comunicata attraverso processi formali, tipicamente corrisponde con quanto
riportato nei processi comunicativi verso l’esterno (spot, broshure, relazioni pubbliche)
identità ideale: corrisponde con la percezione della condizione ideale di rappresentazione identitaria. Si
basa su quanto il management ha ideato e pianificato e sulla base dell'ideale posizionamento nel mercato.
Generalmente questa è influenzata da fattori esterni (industria del viaggio dopo l'11 settembre).
identità percepita: si riferisce a quanto viene vissuto e percepito dai clienti e dal mercato. (corporate image
e reputazione).
identità desiderata: ciò che viene desiderato dal management ed è in stretta relazione con la visione
dell'organizzazione, (rientra nell'identità deale).
Queste tipologie non rappresentano una classificazione tassonomica dell'identità, essa più che un aspetto
oggettivante è la risultante di un processo di costruzione e di significazione in continuo divenire.
Un aspetto sul quale mancano ancora delle teorie relative è la corporate social responsability, considerata sempre
più uno strumento di comunicazione esterna che una possibile strategia di coinvolgimento e di motivazione interna
per stimolare l'identificazione dei membri con l'organizzazione.
L'identità organizzativa trova la sua origine in diverse fonti: ci sono identità fortemente influenzate dai processi
comunicativi, e identità determinate dai valori e dalla cultura, altre influenzate e determinate dalla leadership forte.
Alvesson (1990) propone di distinguere le organizzazioni e le loro identità in funzione del grado di investimento
in termini di sforzi e di impegno economico nel creare l'immagine comunicata e opporla a quella rivelata dalla
reale natura dell'impresa.
A volte è possibile riscontrare pseudoeventi finalizzati a mostrare una particolare immagine dell'impresa,
pseudostrutture che rivestono un valore simbolico. Si tratta quindi di pseudoazioni che difficilmente le persone
all'esterno dell'impresa riescono a distinguere dalla realtà dei fatti.
Secondo Alvesson, si possono distinguere le organizzazioni utilizzando un continuum che prevede da una parte le
imprese che maggiormente sono rappresentate dalle immagini in maniera controllata, e a volte manipolatoria (ciò
non vuol dire necessariamente falsare la realtà), e dall'altra, le imprese la cui immagine e identità derivano dalla
sostanza delle cose.
L'interesse verso la corporate image può essere definito in termini negativi e positivi. per quanto riguarda quelli
negativi, quando la dimensione identitaria e simbolica deve compensare quella reale troppo complessa. Per quelli
positivi, fa riferimento alla capacità del management di intervenire al cambiamento in maniera proattiva.
Rappresenta l'obiettivo principale dell'azienda orientata al marketing, i cui sforzi tendono allo sviluppo di una
relazione di qualità con la clientela e alla sua conseguente fidelizzazione. La soddisfazione dell'acquirente di un
prodotto o dell'utente di un servizio. Nel contesto sanitario si parla di soddisfazione del paziente.
Nel libro il cliente nella sanità, Favretto riassume i risultati di una ricerca presso i degenti dimessi dell'Azienda
ospedaliera Ospedaliera di Desenzano del Garda, relativamente alla soddisfazione percepita rispetto al loro
ricovero ospedaliero.
Le ipotesi erano: l'esistenza di una relazione tra la soddisfazione del paziente e le sue caratteristiche scio-
anagrafiche; l'esistenza di una relazione tra la soddisfazione espressa dall'utente per il ricovero ospedaliero e la
soddisfazione per la sua vita in genere; l'esistenza di una relazione tra la soddisfazione espressa dall'utente per il
ricovero ospedaliero e la soddisfazione per i servizi pubblici in generale.
Strumento utilizzato: questionario a 1025 persone e una serie di focus group.
I risultati: Non sono emerse differenze per quanto riguarda la soddisfazione percepita che tuttavia tende ad
aumentare con il crescere dell'età e a diminuite con l'aumentare del grado di istruzione. È stata evidenziata una
correlazione tra la soddisfazione dichiarata per la propria vita privata e la soddisfazione del paziente e tra questa e
la soddisfazione per i servizi pubblici in generale.
“Organizzare la soddisfazione in sanità” è stata un'altra ricerca condotta per verificare una relazione tra le
caratteristiche socioanagrafiche e la soddisfazione.
Strumento: intervista telefonica tramite questionario standardizzato.
Risultati: identici all'indagine precedente.
La comunicazione interna non è solo inducting, ovvero non ha solo obiettivi di manipolazione, ma offre anche
un'opportunità di identificazione sia per il consumatore esterno sia per il cliente interno.
La comunicazione assume un ruolo fondamentale nei processi di socializzazione, in quanto il modo in cui il
soggetto attribuisce un senso agli eventi che si susseguono nella vita sociale e lavorativa può spiegare gran parte
delle decisioni concrete, dello stile di azione e delle caratteristiche del suo comportamento nell'ambito
dell'organizzazione. Anche gli studi di marketing relazionale, evidenziano il ruolo cruciale della comunicazione
interna nel sistema di gestione delle relazioni verso l’esterno. Infatti, i collaboratori di un’impresa, essendo in
relazione con i clienti esterni, ed essendo inseriti a pieno titolo nel sistema di relazioni, contribuiscono al valore
dell’appartenenza e della rappresentanza a gestire le relazioni con il cliente esterno.
In letteratura si parla di “contratto psicologico”, ovvero la ricerca sul patto che si instaura tra i collaboratori e
l'organizzazione, fondato sull'appartenenza, sul coinvolgimento, sull'impegno, sull'engagement etc, che indicano
il passaggio dall'adesione a stare nell'organizzazione verso l'attivazione di tutte le proprie risorse per dare senso e
contribuire al successo complessivo.
Per fare in modo che ciò si verifichi, il management deve proporre ai collaboratori una narrazione
dell'organizzazione più efficace affinché possa essere compresa. Gli abili manager sono quelli che affrontano il
cambiamento attraverso l'abilità del dialogo e della condivisione dei valori e degli obiettivi.
La narrazione organizzativa diviene una delle leve manageriali per favorire il processo di identificazione
organizzativa. Essa rappresenta l'elemento cardine emozionalmente forte dell'organizzazione, non riducibile alla
vision o alla mission e alla comunicazione, ma comprende tutto ciò che fa riferimento alle competenze, alle
credenze fondamentali, ai valori etc.
La sfida del management è quella di creare dei messaggi emotivamente accattivanti, immagini dell'organizzazione
attraenti e narrazioni in grado di coinvolgere gli stakeholders interni.
Le attività manageriali necessarie sono:
- capacità di individuare e definire la narrazione organizzativa che più riesce a dare una rappresentazione
ed un'immagine reale dell'organizzazione;
- capacità di leggere eventuali incongruenze tra le identità organizzative e tra immagine e identità attuale;
- capacità di creare storie, immagini coerenti;
- capacità di ridurre l'incongruenza tra comunicazione interna ed esterna;
- capacità di creare valore;
- capacità di ottimizzare i processi organizzativi in relazione non solo alla produzione ma anche alla
comunicazione;
- capacità di leggere la comunicazione come fattore importante come produzione, mkt etc.
Collaborazione tra IULM e l'Associazione Nazionale Dentisti Italiani per sviluppare un ricerca che prendesse in
esame percezioni, vissuti e soddisfazione dei pazienti odontoiatrici.
Il processo: L'obiettivo era valutare la qualità della prestazione odontoiatrica da parte dei pazienti.
Strumenti: una parte della ricerca con focus group e interviste in profondità e una parte quantitativa con questionari
somministrati in parte in formato cartaceo in parte formato elettronico.
Analisi: La prima dimensione analizzata è l'immagine; è emerso che l'immagine degli studi privati sia più alta per
la maggior parte degli intervistati, ma anche molti risultano sconosciuti evidenziando una carenza comunicativa.
Un'altra dimensione è la valutazione della soddisfazione dei pazienti in merito ai diversi aspetti costitutivi della
qualità del servizio privato.
Secondo la letteratura anglosassone, la soddisfazione è un concetto multidimensionale che presenta una certa
difficoltà ad essere valutato oggettivamente dai pazienti, per questo si presta attenzione all'esperienza di cura nel
suo insieme. il paziente è sempre più agente attivo nella relazione di cura (si parla anche qui di prosumer).
Risultati: Il successivo ritorno del paziente è legato al livello di soddisfazione attribuita a una o poche variabili,
quali attenzione ricevuta dal personale, chiarezza delle info ricevute, accessibilità confort e pulizia, etc.
Pag. 468 mappa: confronto tra grado di importanza esplicita (verbale) assegnata a ciascun servizio e la correlazione
dei singoli fattori con il grado di soddisfazione generale.
Dall'incrocio dei dati è possibile generare delle mappe in cui i diversi fattori oggetto di analisi appaiono collocati
in uno dei quattro possibili quadranti:
- fattori dovuti- prerequisiti di un servizio
- fattori strategici- servizi di reale impatto
- fattori critici o opportunità- aspetti che dimostrano di possedere un forte impatto nel determinare la
soddisfazione.
- Gli aspetti relazionali hanno una valenza strategica di grande valore.
Introduzione
L’attività di shopping consiste nell’andare in giro a guardare le vetrine, esplorare i negozi, i centri commerciali
etc. L’obiettivo di un tale comportamento sembra essere quello di raccogliere stimoli, informazioni e più in
generale fare nuove esperienze. La gratificazione deriva dall’esplorazione di ambienti di shopping in grado di
mettere in scena significati, utili quindi a comunicare chi si è e chi piace essere.
Quest’interpretazione sul ruolo dell’ambiente sull’esperienza di shopping mette l’accento sulla componente
simbolica del consumo e sulla sua funzione al fine della costruzione identitaria. Così, come attraverso l’acquisto
di un prodotto, anche attraverso l’interazione con un ambiente di shopping connotato simbolicamente, il
consumatore può soddisfare bisogni legati all’espressione del self più che non di tipo funzionale-utilitaristico.
La sollecitazione ludica e la stimolazione cognitiva che il consumatore ottiene nel luogo d’acquisto sono da
considerarsi al pari delle componenti funzionali di un prodotto, costituiscono le “ragioni d’uso”. La progettazione
dell’esperienza attraverso il design e la pianificazione degli stimoli ambientali sembra rappresentare una delle
nuove frontiere della strategia di “marketing al retail”.
Le applicazioni strategiche riguardanti l’esperienza si possono distinguere in 2 diversi ambiti:
il marketing esperienziale, il cui obiettivo è quello di intervenire sul vissuto del consumatore all’interno
del punto vendita e di manipolare percezioni e comportamenti attraverso una pianificazione ad hoc delle
variabili ambientali;
il marketing dell’esperienza, il cui scopo è la produzione e la commercializzazione dell’esperienza intesa
come vera e propria offerta economica.
Per entrambi gli ambiti, nel primo caso gestire l’esperienza di consumo, nel secondo creare e commercializzare
nuove esperienze, emerge la necessità di comprendere che cosa sia l’esperienza in senso psicologico, come si
possa valutare e osservare.
Holbrook e Hirshman (1982) criticano la visione di stampo cognitivista che descriverebbe il consumatore come
un mero risolutore di problemi, impegnato nell’elaborazione di informazioni e nella presa di decisione necessaria
alla selezione e all’acquisto di prodotti. A questa visione tradizionale i due autori contrappongono una visione
esperienziale per la quale il consumatore sarebbe anche condizionato da emozioni, fantasie che non solo
condizionano scelte e comportamenti, ma che sembrerebbero costituire una parte imprescindibile del consumo.
Affianco alla scelta funzionale-utilitaristica c’è una stimolazione sensoriale e ludica per gratificazioni legate al
piacere.
L’approccio esperienziale suggerisce l’importanza di integrare allo studio del consumatore come risolutore di
problemi anche l’indagine sulle componenti ludiche e creative, sulle risposte emozionali, sui significati simbolici
del consumo che concorrono a definire la relazione che il consumatore instaura con i prodotti e con i brand. Il
focus sull’esperienza implica quindi uno spostamento dal paradigma dell’acquisto come atto di scambio fra
prodotto e denaro, al paradigma del consumo come comportamento esplorativo e relazionale prima ancora che
d’uso.
Schmitt e Simonson (1997) propongono l’attuazione di strategie improntate alla dimensione sensoriale e a quella
simbolica-relazionale con cui si esprime l’interazione fra consumatore, prodotto e brand. Gli autori sottolineano
la necessità di una pianificazione “estetica” al fine di comunicare l’identità della marca e gestire al meglio il vissuto
del consumatore. Per il marketing estetico, la strategia di marketing deve concentrarsi sulla gestione delle
impressioni che l’azienda produce nel consumatore e cioè pianificare in modo coordinato la comunicazione di tutti
gli elementi che concorrono alla costruzione dell’identità di marca e quindi in particolare:
una narrativa coerente con la rappresentazione del brand in tutti i diversi canali e mezzi utilizzati;
la stimolazione sensoriale del consumatore per promuovere il coinvolgimento anche sul piano edonistico
e dell’affettività.
Schmitt dopo l’elaborazione del marketing estetico si concentra su come promuovere l’esperienzializzazione
dell’offerta. Secondo l’autore, l’esperienza è principalmente legata all’offerta dell’impresa che può orchestrare e
gestire la stimolazione sensoriale e mettere in scena i significati simbolici della marca per migliorare la qualità
della relazione instaurabile con il consumatore.
Le strategie di branding devono perciò coinvolgere tutti i possibili momenti di contatto tra il prodotto e il pubblico,
dal design, alla distribuzione in modo da creare una rappresentazione chiara e coerente con l’universo della marca
e dei suoi tratti identitari. Diventa indispensabile, quindi, creare contesti in cui impresa e cliente possano interagire
al di là della rappresentazione classica pubblicitaria. Il marketing dell’esperienza sottolinea la necessità di superare
un destinatario passivo e riconoscere l’importanza dell’esperienza significa elevare il consumatore ad un ruolo
attivo e partecipativo. Di qui, il crescente ricorso a mezzi “non-convenzionali”, che perseguono la creazione di
esperienze spettacolari finalizzate ad aumentare il coinvolgimento con il brand entrando in contesti di interazione
quotidiana.
Per Schmitt, gli ambiti in cui il marketing deve intervenire per pianificare strategie esperienziali rivolte al
consumatore sono i seguenti:
il sense con riferimento alle stimolazioni estetiche;
il think che riguarda l’elaborazione cognitiva dell’esperienza;
il feel che comprende emozioni e affettività;
l’act con riferimento ai comportamenti e agli stili di vita;
il relate che fa riferimento al contesto socioculturale in cui il consumatore è inserito e le relazioni di
influenza che egli instaura.
Pine e Gilmore (1999), inaugurando il marketing dell’esperienza hanno descritto l’esperienza come una forma di
offerta economica a sé stante, distinta dai servizi e dai prodotti, nei confronti della quale esistono da parte dei
consumatori aspettative di intrattenimento, coinvolgimento e memorabilità. Esperienzalizzare l’offerta significa
ricorrere ai servizi per creare il contesto dell’esperienza e ai beni per coinvolgere il consumatore sul piano
emozionale, fisco e intellettuale.
Alla base dell’offerta esperienziale c’è quindi la partecipazione del consumatore, e quindi non solo intrattenere i
clienti, ma anche coinvolgerli.
Le tipologie o ambiti di esperienza sarebbero:
il campo dell’intrattenimento, che prevede l’esposizione passiva del consumatore a stimolazioni cognitive
come accade quando si ascolta musica
il campo dell’educazione, quando alla semplice stimolazione cognitiva si coniuga la partecipazione attiva
con l’obiettivo di stimolare un apprendimento
l’area dell’evasione, caratterizzata da esperienze dove l’immersione è molto più profonda rispetto alle
esigenze di intrattenimento o educative
il campo dell’esperienza estetica che prevede l’immersione passiva del consumatore, il quale non entra in
interazione con l’ambiente se non in qualità di osservatore.
Secondo questo modello, le esperienze più ricche comprendono aspetti di tutti e quattro i campi. Gli autori
sostengono che il coordinamento di tutte e quattro le dimensioni consentirebbe la creazione di un “luogo”
simbolico che indurrebbe i consumatori a intrattenersi più a lungo, con maggior soddisfazione e un coinvolgimento
cognitivo e mnestico superiore.
Per autori come Schmitt e ancora di più per Pine e Gilmore l’esperienza deve essere parte dell’offerta, finalizzata
ad arricchire i prodotti offerti. Questa visione dunque si allontana drasticamente dalla concezione originaria della
componente del consumo fornitaci da Holbrook e Hirschman. L’esperienza qui non era assimilata a una proprietà
identificabili nell’offerta, ma più propriamente in linea con la conoscenza psicologica del costrutto, era descritta
nella sua dimensione primariamente soggettiva, come risultante di un vissuto individuale riconducibile
all’interazione dell’individuo con le variabili ambientali piuttosto che con beni e servizi orchestrati ad hoc ma cmq
non oggettivabile esternamente.
Carù e Cova (2003) spiegavano che un limite del marketing esperienziale è il fatto che, la progettazione
dell’esperienza che si focalizza solo sul rendere memorabili certi eventi sottovaluta che l’esperienza non equivale
a una somma di stimoli, ma è un processo interpretativo del soggetto.
Nel considerare i significati che la marca può rappresentare si evidenzia la dimensione interpretativa su cui si basa
l’esperienza del consumatore. Emerge quindi la necessità di pensare alla progettazione non come una
caratterizzazione dell’offerta da veicolare ad un consumatore più o meno passivo, ma come il risultato di un lavoro
di interpretazione dei vissuti del consumatore a di adattamento a un principio di costruzione partecipativa della
relazione. Le limitazioni del marketing esperienziale come inteso da Schmitt sono da ricondursi al fatto di studiare
e spiegare l’esperienza solo attraverso le risposte comportamentali del consumatore senza far riferimento a nessun
meccanismo interpretativo da parte del consumatore.
Gli approccio esperienziali risultano oggi caratterizzati da una certa parzialità in quanto spesso vengono associati
all’attività di shopping e quindi si focalizzavano solo sul mondo del retail o ancora vengono banalizzati nell’ambito
della comunicazione pubblicitaria senza che in realtà vi sia una vera esperienzializzazione dell’offerta.
In realtà un approccio esperienziale può essere concepito per rinnovare la posizione competitiva di un prodotto-
servizio, rafforzando agli occhi del consumatore il significato e il valore dell’offerta. Di conseguenza l’esperienza
che il consumatore vive va intesa in senso “olistico”: egli infatti deve formarsi la sua customer experience lungo
tutto il suo processo di acquisto e uso del prodotto-servizio.
Prendendo spunto dai contributi di Schmitt e Laselle Britton possiamo far riferimento a 5 valenze che possono
contribuire a produrre customer experience. La situazione deve essere gratificante dal punto di vista razionale, ma
anche stimolante su 1 o più piani (emotiva, relazionale, valoriale, cognitiva, sensoriale) in modo da formare un
ricordo positivo e duraturo verso il brand. Il modello però rischia di concretizzarsi in una serie di azioni operative
disarticolate che non concorrono alla concezione olistica necessario al vissuto esperienziale. Serve perciò una
cornice strategica dove assumano coerenza le singole iniziative esperienziali. Per questa ragione si può ricorrere a
un processo/metodo in 5 fasi con cui governare l’esperienzializzazione dell’offerta aziendale.
Fase 1: individuazione del “potenziale esperienziale” che è proprio del brand. Esso viene esplorato con
ricerca qualitativa e osservazionale sui clienti e non-clienti della marca. I l risultato è una mappa
esperienziale che riproduce le 5 valenze esperienziali (cognitiva, emozionale, sensoriale, relazionale e
valoriale) e le fasi del processo di acquisto del consumatore. In essa saranno indicate le “attese
esperienziali” dei consumatori ricavate dalle indagini.
Fase 2: La mappa esperienziale aiuta a definire l’experience concept necessario per impostare
l’evoluzione dell’offerta su basi strategiche. L’experience concept corrisponde al sistema di bisogni più
ampio entro quale si può inserire il significato dell’uso del prodotto per il cliente.
Fase 3: Gli elementi definito fin qui permettono ora di delineare la vera e propria strategia esperienziale.
Essa comporta 3 tipi di scelte, fra loro collegate:
- il mix di ruolo fra fornitore e cliente (quando possibile partecipazione attiva del cliente)
- il grado di personalizzazione della relazione con il cliente
- il “tema” sul quale impostare la proposta al cliente
Anche qui dovrà esserci una stretta coerenza con la brand strategy, in particolare con la brand value
proposition.
Fase 4: Si procede con la progettazione operativa dei contenuti esperienziali che l’offerta dovrà cercare di
far vivere ai clienti. Le possibilità sono molteplici: attivare una o più delle 5 valenze esperienziali durante
processo d’acquisto attraverso le leve del marketing e quindi infine esperienzializzare il prodotto, la marca
e la rete di vendita.
Fase 5: fase di controllo dei risultati, ad esempio la misurazione dell’impatto sull’immagine della marca,
e ancora meglio del differenziale di prezzo che l’offerta esperienzializzata permette di realizzare.
Gli stimoli fisici che sperimentiamo nei luoghi prescelti influiscono non solo sulla qualità dell’esperienza e sulla
soddisfazione, ma possono condizionare il consumo attraverso due livelli di influenza: fisico-sensoriale e
simbolico.
Kotler (1973), ha ampiamente dimostrato l’effetto dell’esperienza legata alle caratteristiche ambientali sul
comportamento di consumo. La pianificazione atmosferica è stata definita da molti come una determinante
primaria del successo o fallimento di un’attività commerciale.
Olivero (2005) ha introdotto il concetto di “experience design paradox” e cioè la contraddizione osservabile da
un lato tra l’esistenza di un notevole background di ricerca empirica sul tema, la consapevolezza della rilevanza
della progettazione dell’esperienza ormai condivisa da tutti e, dall’altro lato, la difficoltà a rispondere attraverso
l’implementazione di una strategia sistematica nella progettazione.
La maggior parte delle sperimentazioni hanno spesso adottato il paradigma di tradizione neo-comportamentista
Stimolo-Organismo-Risposta (S-O-R) concentrandosi su risposte comportamentali quali l’approccio,
l’evitamento, il grado di soddisfazione, la quantità di shopping e il tempo trascorso nel negozio.
Barman e Evis (1995) distinguono 5 categorie principali di stimoli:
1. variabili esterne (es. architettura edificio, vetrine…)
2. variabili interne (illuminazione, profumi, suoni…)
3. layout e design (organizzazione degli spazi, arredamento)
4. point of purchase e decorazioni (display dei prodotti, indicazioni...)
5. variabili umane (affollamento, personale di vendita …)
La ricerca ha dimostrato che una valutazione positiva dell’ambiente contribuisce ad aumentare le vendite e induce
i consumatori a dedicare più tempo nell’esplorazione delle merci e a visitare il negozio con maggiore frequenza.
Colori
L’evidenza empirica dimostra come saremmo attratti maggiormente dai colori caldi quali il rosso o l’arancione,
ma poi tenderemmo a considerare come più piacevoli quelli freddi. Inoltre, molti effetti vengono manipolati
dall’illuminazione e in ulteriori studi si è potuto vedere come l’adozione di illuminazione supplementare produca
un effetto positivo sul comportamento del consumatore in termini di numero di prodotti acquistati, di tempo
dedicato all’esplorazione dei prodotti e di numero di items visionati.
Musica
L’impatto della musica influenza la quantità delle vendite e il livello di eccitazione dei consumatori. Tuttavia,
l’impatto della musica appare dipendere dall’età dei consumatori, dal tempo, dal volume e dall’uso della musica
in sottofondo. In uno studio condotto da Yalch e Spangenberg (1990) i consumatori più giovani trascorrevano più
tempo nel negozio in presenza di musica in sottofondo, mentre i consumatori più anziani reagivano allo stesso
modo in assenza di musica di sottofondo. La musica inoltre sembrava poter influire sull’acquisto d’impulso, ma
solo quando i consumatori non erano task-oriented, cioè già motivati verso acquisti specifici.
Odore
Anche l’odore appare influenzare il comportamento del consumatore. Mitchell, Kahn e Knasko (1995) hanno
dimostrato l’effetto positivo dell’uso di odori congruenti con il tipo di merce in vendita. In presenza di odori
congruenti aumentava il tempo dedicato alla ricerca di informazioni sul prodotto e ne migliorava la relativa
memoria. Inoltre, i soggetti sperimentali percepivano il tempo trascorso nel negozio come inferiore rispetto al
tempo percepito in assenza di profumo. In generale gli studi dedicati alla manipolazione dell’odore nell’ambiente
di shopping hanno evidenziato la sua tendenza a interagire con le altre variabili e il suo impatto sulla sfera emotiva,
data la connessione del bulbo olfattivo al sistema limbico deputato al controllo delle emozioni.
Layout
Il modo in cui i prodotti vengono esposti pare avere un effetto significativo sull’esperienza di shopping. Usare
grandi display e cartelli che forniscono informazioni sul prodotto sono tutte strategie che consentono di attirare
l’attenzione verso il prodotto con il risultato di aumentare le vendite. Il layout del negozio, ovvero il modo e lo
stile in cui i prodotti sono organizzati nello spazio sembra invece avere un ruolo sulla percezione dei prezzi. Smith
e Burns (1996) in un loro studio hanno dimostrato come, al diminuire del numero di prodotti esposti si verificava
un aumento del prezzo percepito degli stessi.
Variabile umana
È un’altra componente fondamentale. Le persone che popolano un ambiente di consumo, siano esse clienti o
personale addetto alle vendite, influiscono sul modo in cui il contesto di shopping viene esperito. La variabile
umana può incidere in termini di affollamento e determinare difficoltà nella mobilità all’interno del contesto di
shopping, rendendo difficile la reperibilità dei prodotti o addirittura ostacolando l’esperienza di consumo. Gli
autori (Grossbart,Hampton,Lapidus, 1990) hanno poi fatto una distinzione tra affollamento reale e affollamento
percepito, dimostrando come quello percepito ha un’influenza particolarmente negativa soprattutto nei
consumatori task-oriented.
Inoltre, è risultato che quando il personale di vendita indossava una divisa e accoglieva la clientela cortesemente,
la qualità del servizio veniva giudicata nettamente superiore rispetto a quando il personale di vendita si confondeva
con il pubblico.
La maggior parte della ricerca empirica in questo ambito ha seguito il paradigma stimolo-risposta-organismo
osservando il verificarsi di effetti anziché proporre nuovi quadri interpretativi. Tra le eccezioni di ricorda un
tentativo di ampliamento del modello classico credo-atteggiamento-comportamento basato sulla teoria dell’azione
ragionata (Ajzen e Fishbein, 1980), con cui si dimostra che, al fine di aumentarne la capacità predittiva sul
comportamento di shopping, il modello dovrebbe includere le caratteristiche di negozio, design, assortimento,
caratteristiche demografiche e variabili riflettenti l’identità sociale e l’orientamento in termini di stile di vita dei
consumatori. Ci si allontana dalla concezione neo-comportamentista di un consumatore che elabora informazioni
e risponde agli stimoli esterni con una certa gamma di risposte comportamentali per abbracciare una concezione
di consumatore che interagisce con l’ambiente esterno anche ai fini dell’appartenenza sociale, dell’autoespressione
e della costruzione identitaria.
Berman e Evans (1995) hanno proposto uno schema dove si elencano le variabili intervenienti rispettivamente ai
livelli dello stimolo, dell’organismo e delle risposte. Lo schema è stato aggiornato e sono state aggiunte le
componenti culturali e motivazionali che consentono l’interpretazione di possibili risposte comportamentali,
relative allo sviluppo di fiducia, al bisogno di controllo, alla percezione di rischio o a processi identificativi e
comunicativi. Lo schema suggerito evoca il superamento del paradigma S-O-R, ma anche della prospettiva che
vorrebbe il consumatore come un decision maker sempre impegnato nell’elaborazione razionale di informazioni
in quanto orientato alla risoluzione di problemi. Al contrario, si aderisce a una interpretazione del consumo che
evidenzia il ruolo delle sue componenti edonistiche e simboliche.
Douglas e Isherwood (1979) hanno dato un contributo antropologico che vede il consumo come un momento
privilegiato per la costruzione identitaria che si attua attraverso la scelta fra diverse marche, ovvero attraverso
l’adesione a determinati simboli culturali che si accompagnano ai prodotti e agli ambienti in cui i prodotti vengono
rappresentati. In alcuni ambiti la funzione simbolico-rappresentativa è particolarmente saliente, ad esempio in
contesti di consumo artistico-ludico, come nei prodotti di moda.
Distinguere il consumo dall’acquisto consente di riconoscere il ruolo primario dell’esperienza e di evidenziare che
le variabili atmosferiche costituenti il luogo di consumo possono considerarsi fra le determinanti del significato
simbolico attribuibile ai prodotti.
Nel proporre la prospettiva esperienziale in contrapposizione a quella dell’information processing, Holbrook e
Hirschman (1982) oltre alla componente simbolica enfatizzano il ruolo dei processi di pensiero primari che
assecondano il principio del piacere derivante dalla stimolazione fisico-sensoriale.
L’enfasi sulla funzione esperienziale porta a esplorare variabili fisiche o simboliche soggettivamente. L’analisi di
tali elementi non osservabili necessita l’adozione di metodologie introspettive che consentono di rendere conto di
come il consumatore stesso interpreti l’esperienza di consumo. L’approccio di ricerca indicato è pertanto quello
fenomenologico, che attribuendo all’esperienza un ruolo fondante per l’analisi dell’universo psicologico eleva a
dato significativo tutti gli aspetti dell’esperienza di consumo, relativi a colori, emozioni, ricordi evocati, suoni.
I luoghi commerciali sono sempre più spazi relazioni, luoghi di svago, socializzazione etc. Le caratteristiche fisiche
del negozio assumono un ruolo cruciale, poiché diventano portatrici di un messaggio promozionale e
contribuiscono a chiarire l’identità del prodotto e dei suoi consumatori.
Mehrabian e Russel (1974) hanno proposto un modello teorico d’impianto Stimolo-Organismo-Risposta, ove i
comportamenti di avvicinamento o evitamento del consumatore di fronte allo stimolo del negozio sono mediati da
3 stati emozionali, (piacere, attivazione e controllo). Successivamente Bitner (1992) ha proposto un modello che
si riferisce all’ambiente di vendita nel suo insieme definito “servicescape”. Esso indica l’ambiente ove
l’esperienza di acquisto/consumo prende forma, viene assemblata, e l’interazione tra le parti ha luogo. Le
caratteristiche ambientali vengono percepite (servicescape percepito) dando origine a risposte cognitive, emotive
e fisiologiche nel personale e nel cliente, le quali determineranno i comportamenti di avvicinamento ed evitamento
nonché le interazioni sociali. La relazione tra servicescapee risposte interne può essere moderata da fattori
situazionali e personali.
Oltre alle caratteristiche ambientali connesse agli aspetti architettonici e spaziali, il servicescape è composto anche
da caratteristiche sociali e relazionali connesse al personale di vendita e gestione. Un esempio concreto può essere
quello di vedere come due Paesi molto diversi possono realizzare interventi finalizzati a creare servicescape
specifici ma che portano a vivere esperienza molto simili. È il caso degli interventi realizzati dall’architetto
Philippe Starck in 2 locali, uno a New York e l’altro a Pechino. A newyork ha progettato, un locale molto in voga
con lounge bar, caffetteria, biblioteca, tutto all’interno dell’hotel Hudson. A Pechino, il LAN è un locale notturno
di punta con ristorante, lounge bar e altri ambienti innovativi. I due locali differiscono sotto molti aspetti, ma il
cliente riesce a cogliere nella propria esperienza elementi positivi e piacevoli che rendono in qualche modo una
continuità d’esperienza tra i due servicescape. In altre parole, a un processo di globalizzazione impositivo e
fonologico, viene preferito uno dialogico, dove le diversità si fondono creativamente per innovare, dove identità
vicine e lontane si mescolano per dare origine a una nuova terza identità di prodotto, di servizio, di consumo e
culturale.
La maggior parte degli studi sulla relazione tra stimoli ambientali e comportamento di consumo si è concentrata
sull’effetto di una o due variabili osservate in condizioni sperimentali o attraverso l’uso di questionari auto
compilati. Parallelamente alla limitata validità dei dati raccolti, l’osservazione di solo alcune variabili non soddisfa
la necessità di rilevare l’effetto del contesto di shopping in una condizione di insieme o la rilevanza di ciascun
stimolo in presenza di altri.
Un’altra dimensione di ricerca che merita di essere esplorata riguarda la relazione fra variabili ambientali e diversi
target anche se l’importanza di questi risultati viene messa in forse dalla consapevolezza di una crescente
inadeguatezza delle tecniche di segmentazione classiche basate sulle caratteristiche demografiche ai fini della
predizione del comportamento. Queste ultime non sarebbero in grado di descrivere la mutevolezza e l’eterogeneità
dei modelli di consumo non riconducibili a gruppo socio-demografici.
La soluzione è quella di costruire una segmentazione che tenga conto del valore simbolico di determinati stimoli
ambientali e del loro ruolo a livello esperienziale attraverso l’uso di tecniche introspettive di ricerca per la
rilevazione di componenti emozionali, sentimenti di identificazione e più in generale, del vissuto che il soggetto
ha della situazione e del contesto.
Thompson et al. (1989) suggeriscono il ricorso al paradigma della fenomenologia esistenzialista per studiare
l’esperienza di consumo. Il paradigma giunge ad una psicologia olistica basata sul contesto che vede gli esseri
umani in modo non dualistico e che mira a descrivere l’esperienza così come viene vissuta dall’individuo.
Marketing non-convenzionale
Nella primavera del 2007 Lines lancia la campagna pubblicitaria per due suoi prodotti di punta Lines petalo blu e
lines velo. Il marketing theme (tema della comunicazione) è stato “la cura di sé”, la pulizia e la delicatezza sulla
pelle. Il target comprendeve ragazze tra i 15-35 anni.
Petal Veil è il testimone funzionale creato dalla Lines e collegato ai brand Petalo Blu e Velo. Petal Veil è lo
strumento usato per entrare in contatto diretto con le donne attraverso il linguaggio della cura.
Le fasi che hanno scandito l’azione di marketing:
- creazione del personaggio e della sua filosofia
- credibilità e popolarità del personaggio
- veicolazione del messaggio
- reveal
Petal Veil nasce come un personaggio positivo, importante e misterioso. Attraverso il web diffonde la sua filosofia
e viene creato un tour girando tutta l’Italia a bordo di un motorhome alla ricerca di una musa ispiratrice. La notizia
è stata riportata su tutti i media e il reveal è iniziato il 10 settembre 2007. L’approccio che questo guro ha avuto
nei confronti di queste ragazze ha consentito di comunicare il ruolo e soprattutto i valori dell’azienda rendendoli
una figura d’ascolto per le giovani clienti lines. Le ragazze contattate sono state oltre 5000 e a 200 è stato offerto
un trattamento di bellezza.
Passaparola
L’uso del testimonial funzionale da parte della Lines è un tipico caso ibrido in cui si sfrutta l’effetto buzz sia delle
comunicazioni on-line sia di quelle tradizionali, oltre ad intervenire sulla narrativa del marchio. Che si ricorra ad
un evento sorprendente, o che si diffonda un concept narrativo, l’obiettivo sarà sempre quello di coinvolgere il
numero più alto di persone e ottenere la maggiore risonanza mediatica.
Marsden e Kirbi (2006) usano il termine “ombrello” connected marketing per indicare il word of mouth, il buzz
e il viral marketing ovvero tutte quelle strategie basate sulla diffusione di informazioni che ricorrono al passaparola
come mezzo per la stimolazione della domanda. Si ricorda la distinzione tra word of mouth e word of mouse
(passaparola on line). Secondo alcuni quello on line è più efficace grazie alla velocità di trasmissione delle
informazioni e anche alla capacità di raggiungere più persone.
Le strategie buzz sono finalizzate esclusivamente a diffondere notizie, l’obiettivo primario è quello di creare
“rumore” stimolando l’interesse dei consumatori che normalmente ricorrono a forum e chat.
Un’altra tipologia di intervento è il viral marketing che, come suggerisce già il termine mira a favorire la
diffusione. Solitamente viene prodotto un video o altro materiale interessante e divertente, dove la marca passa in
secondo piano, in modo da superare l’eventuale atteggiamento di chiusura nei confronti del messaggio, che invogli
il soggetto a condividerlo con i suoi contatti, facilitando in questo modo la sua diffusione. La strategia virale per
essere efficace deve avvalersi degli strumenti della comunicazione digitale che favoriscono la diffusione in tempi
rapidi e a costi irrisori.
Fra le tecniche che si sono sviluppate e che sfruttano l’interattività per coinvolgere i giovani spicca la categoria
degli advergame, veri e propri giochi elettronici che consentono ai brand di raggiungere i consumatori attraverso
un’esperienza ludica.
Gli advergame propongono un’interessante combinazione tra una situazione di gioco interattivo e veicolazione di
un messaggio pubblicitario. Alla base di tale formato c’è l’obiettivo di creare e diffondere in rete una situazione
divertente.
Pensiamo a quello che ha fatto Nike qualche anno fa. Ha sfruttato una piattaforma di advergame per pubblicizzare
i propri prodotti destinati ad un pubblico di giovani interessati alla partica del basket. C’è una forte interattività tra
giocatore e situazione che vedono appunto i giovani utenti sempre più esperti e motivati a diventare protagonisti
del processo di costruzione di vere e proprie “comunità interattive”.
Il caso Kenwood inizia nel 2003 quando l’azienda si era resa conto che stava perdendo il suo appeal di marchio
tecnologico e all’avanguardia tra i consumatori che costituivano il core target. C’era quindi la necessità di
cambiare rotta, parlare ai giovani con un linguaggio diverso e con media adatti allo scopo per portare l’immagine
Kenwood ai giovani.
Kenwood lancia così il suo primo filmato virale, con l’obiettivo di far percepire ai websurfers un’immagine diversa
del marchio, meno seriosa e un po’ sopra le righe.
I canali di distribuzione usati sono stati le mailing agli appartenenti alla comunity Kenwood, gli upload sul sito
Kenwood.it, inseminazione su siti generici di intrattenimento e poi video su you tube. Infine realizza un product
placement.
Kenwood è quindi un vero esempio di consumer generated media in cui il mezzo di trasmissione sono gli utenti
stessi. Vanno quindi valutate sempre molto attentamente le potenzialità di circolazione del messaggio e bisogna
studiare una campagna ad hoc e non adattare spot nati per la tv ad un altro mezzo.
Accanto alla strategia virale, Kenwood ha poi realizzato un’azione di guerrilla “Can’t StopMe” in alcune delle
principali città italiani quali Roma, Milano, Palermo e Napoli le persone si sono trovate nel bel mezzo dei
marciapiedi un’automobile completamente bruciata e fumante con la musica dentro che suonava a tutto volume
grazie all’impianto Kenwood. Poi è stato avviato il “Girls washing Cars” in cui 20 coppie di modelle hanno
presidiato i semafori di alcune delle principali città per la gioia degli automobilisti in cui lavavano i vetri e
applicavano dei magneti.
Naturalmente il marketing non convenzionale non sostituisce quello tradizionale, ma deve essere affiancato ad
altre attività a sostegno della brand awareness e della conoscenza qualificata del marchio.
L’obiettivo della marca era quello di trasferire i valori della marca a un gruppo di persone che non acquistavano i
prodotti della marca stessa. Gli acquirenti infatti sono di solito le mamme.
Pensare a un progetto che stimolasse i giovani e che creasse un luogo di aggregazione.
Viene creato così “il bollino blu mettilo tu” in cui veniva chiesto ai giovani, secondo loro, meritava il 10 e lode, il
voto massimo. È stato fatto un tour sulle spiagge adriatiche nell’estate 2007 in cui si proponeva con allegria e
divertimento di interagire con il bollino blu. I bollini potevano essere posizionati su oggetti personali ritenuti da
10 e lode!
La campagna di coca cola è composta da 3 fasi: la prima è quella di “SEMINA” in cui lo scopo è quello di
stuzzicare la curiosità dei consumatori stimolando la domanda “ma cos’è?”. Questo viene raggiunto attraverso un
trailer di 32 secondi in tv. Contemporaneamente sulle bottiglie di coca cola appaiano i personaggi del trailer, così
come le facciate e gli interni degli uffici… tutto è pronto per un grande evento lancio!
La seconda fase è quella di AVVIO dove si annuncio che il film completo è uscito e si chiama Happiness Factory
visibile solo nelle sale cinematografiche o sul sito coca cola.
L’altra fase è quella di suscitare una maggiore richiesta di informazioni sull’evento.
La happiness factory proposta dal brand sul sito web colpisce sull’immaginazione dello spettatore, si crea un
dialogo in cui egli stesso diventa parte del team. Coca cola grazie a questa iniziativa ha permesso di vivere
emozioni positive cercando di vivere la vita con più ottimismo.
Introduzione
Il diffondersi delle mode, così come in generale la scelta di consumo come conseguenza di un’influenza sociale si
sono spiegati con il meccanismo dell’imitazione, per cui certi beni contraddistinti in termini di pregio ed esclusività
si diffondono gradualmente nella popolazione che intende per l’appunto imitare i gruppi più agiati e innovatori.
Alla base dell’imitazione, è possibile individuare il bisogno a differenziarsi unito all’influenza del modello ideale
rappresentato dalla classe superiore.
Implicita a questa concezione è la rappresentazione piramidale di una società stratificata dove l’accessibilità ai
consumi è primariamente una questione di status sociale oltre che costituire lo stimolo di base alla significazione
dei beni.
Questo principio spiega il fenomeno dell’ostentazione nella scelta di cibi rari e costosi e anche la frequentazione
di ristoranti di lusso al fine di distinguersi dalla massa attraverso l’esibizione di consumi alimentari raggiungibili
a pochi.
Il limite di una spiegazione esclusivamente “differenzialista” per la comprensione dei consumi alimentari emerge
chiaramente nello studio delle società contemporanee complesse. Ovvero, quando il valore simbolico dei beni si
esplicita non soltanto in qualità di status symbol, ma si gioca sul piano emozionale ed esperienziale e tutte le volte,
la riflessione di Bourdieu sulle differenze fra gusti alimentari borghesi e gusti alimentari popolari sembra essere
datata rispetto alle evoluzioni contemporanee, cha hanno dato luogo sia a fenomeni trickle down, per cui
ricercatezze gastronomiche si diffondono costantemente anche tra classi sociali inferiori.
Il comportamento di consumo alimentare si distingue in modo originale rispetto agli altri consumi in quanto il
valore simbolico del cibo e delle azioni legate al mangiare non si costituisce solo culturalmente in quanto fin dalla
nascita il cibo ha un ruolo centrale nella vita di ognuno. Il valore simbolico del cibo è insito nella sua natura non
si genera nel consumo. Esso si esplica in quanto oggetto primario nella relazione con la madre.
Non appena il bisogno di nutrirsi non è prontamente soddisfatto dalla madre, la mancanza di soddisfazione e
soprattutto l’indipendenza di essa dal controllo del bambino stimola lo sviluppo della consapevolezza di un oggetto
diverso, esterno, indipendente dal sé. La frustrazione del bisogno alimentare appare cruciale per la scoperta
dell’oggetto “latte-cibo” e per l’instaurarsi della prima relazione sociale, quella con la madre. Il cibo è al tempo
stesso un oggetto di piacere, di soddisfazione orale e anche, causa di possibili frustrazioni quando il desiderio dello
stesso non ottiene adeguata soddisfazione.
La forte ambivalenza provata nei confronti del cibo appare un’inevitabile conseguenza della difficoltà a regolare
la pulsione alimentare.
Il cibo può essere considerato l’oggetto relazionale per eccellenza, cruciale e primario anche rispetto alle relazioni
di amore e attaccamento. Il cibo è il primo oggetto di scambio relazionale, un oggetto altamente simbolico,
associato al piacere ma anche rappresentante primario dell’inevitabile dipendenza della relazione con l’altro,
dell’incapacità di bastare a se stessi, di essere veramente autonomi.
I significati simbolici costruiti culturalmente e attribuiti a determinati cibi, non solo si costituiscono
successivamente alle rappresentazioni primarie, ma è ipotizzabile che la loro origine sia per l’appunto favorita
dalla fondazione psicologica della simbologia alimentare. Si deve concludere che il cibo, in quanto oggetto di
consumo, si distingue da tutti gli altri prodotti per la sua maggiore valenza simbolica. Il consumo di cibo si
contraddistingue per la stretta relazione che ha con il corpo. È una relazione di tipo trasformativo in quanto il cibo
ha la facoltà di influire sul corpo e sul suo benessere, diventando parte di esso, modificandone le funzioni e le
sembianze.
L’assoluta specificità del modo in cui si consuma il prodotto cibo, che chiamiamo incorporazione, esprime in
maniera emblematica lo stretto rapporto simbolico tra cibo e identità. (il cibo è quindi funzionale alla costruzione
identitaria).
Eros e cibo
Il significato simbolico dell’alimentazione che abbiamo detto essere primariamente psicologico si contraddistingue
fin dalle sue origini in senso fortemente erotico. Il latte materno mediante il quale il bambino si relaziona con la
mamma e ottiene soddisfazione orale. Va a costituire il primo dono, la prima dimostrazione d’affetto.
Secondo Freud (1905), un neonato che succhia il latte dal capezzolo del seno della madre diventa il prototipo di
ogni relazione d’amore. Freud individua la prima fase dello sviluppo psicosessuale, detta fase orale, come
contraddistinta da una non differenziazione fra soddisfazione del bisogno sessuale e soddisfazione ottenibile
attraverso la nutrizione.
Con l’opera “I tre saggi sulla teoria sessuale”, Freud distingue 3 fasi di sviluppo psicosessuale: orale, anale e
genitale. La fase orale, come quella anale, è caratterizzata da un’organizzazione pregenitale della vita sessuale. In
questa fase la soddisfazione sessuale si realizza mediante sollecitazioni orali e viene a rappresentarsi
simbolicamente nell’atto di incorporazione dell’oggetto-cibo, verso cui vengono rivolte anche fantasie aggressive,
sadico-cannibaliche.
Abraham (1924) ritiene che il mordere rappresenti l’espressione originaria dell’impulso sadico, con cui il bambino
mette in atto la fantasia di annientare l’oggetto, di incorporarlo secondo una modalità aggressiva, inaugurando in
questo modo l’inizio del conflitto di ambivalenza verso l’oggetto di amore e odio.
La dipendenza dal cibo per la sopravvivenza, i fini della soddisfazione orale-erotica caricano di ambivalenza l’atto
del mangiare radicandone le dinamiche attorno alla contrapposizione fra soddisfazione-gratificazione-dipendenza
e astinenza-controllo-autonomia. (la gratificazione orale è di tipo multisensoriale)
La stimolazione orale, che otteniamo da bambini durante la suzione del latte, acquisisce nella vita adulta la
funzione simbolica di sedare il bisogno di amore, fornendo quel conforto necessario nelle situazioni in cui il sé si
sente debole e necessita di affidarsi all’altro.
Va detto che il piacere è fortemente condizionato dalla stimolazione multisensoriale, ed è così che il piacere di
assaporare un buon piatto non dipende solo dal gusto della pietanza, ma anche dal suo aspetto, dal suo odore e
dall’insieme delle stimolazioni che complessivamente contribuiscono a produrre un vissuto esperienziale unico.
L’esperienza multisensoriale dell’atto del mangiare concorre a caratterizzare i consumi alimentari in modo
originale.
BOX – La case history: come perugina continua a essere la marca italiana del cioccolato
Fin dagli anni ’70 il cioccolato era sempre stato considerato un peccato di gola, ma all’inizio degli anni 2000 il
consumatore ha iniziato a intraprendere un cammino di ricerca del piacere, anche attraverso il consumo di
cioccolato. Negli ultimi anni si è virati verso una ricerca del piacere che fosse sia personale, sia da condividere
con gli altri. L’approccio alla degustazione del vino; il rito del bere buon vino ha educato i consumatori a utilizzare
lo stesso approccio nei consumi food classici, e di conseguenza il cioccolato ne ha risentito in modo positivo.
Più in generale nonostante la situazione economica non favorevole, negli ultimi anni sono presenti due
macrotendenze che hanno favorito l’operazione di Nero Perugina; da una parte l’accentuarsi di prodotti a più basso
indice di prezzo, e, dall’altra l’aumento della penetrazione delle fasce premium anche nei redditi meno abbienti,
perché anche per queste fasce era molto forte il bisogno di gratificazione personale. Inoltre, diversi studi hanno
dimostrato come il consumo di cioccolato agisca in modo positivo sull’umore, e debba appartenere a una dieta
sana e equilibrata, dando grande enfasi all’aspetto di wellness del prodotto. Perugina propone ora un prodotto sano
e naturale senza sentirsi necessariamente in colpa. Il piacere che vuole veicolare l’azienda con il lancio di Nero
Perugina non è un piacere edonistico, tipico dell’adolescenza, ma un piacere adulto, che attraverso l’esaltazione
del fondente permette di vivere un’esperienza inebriante grazie a un percorso di conoscenza e di cultura su quello
che si sta mangiando. La proposizione di perugina attraverso Nero Perugina è proprio quella di coprire per la prima
volta con un nuovo marchio tutto il mondo del fondente e accompagnare i consumatori tramite la Neroterapia
suggerendo loro come e quando degustare il cioccolato, per arrivare a un piacere che coinvolge tutti i cinque sensi.
La Neroterapia vuole offrire il cioccolato della migliore qualità a un prezzo accessibile, parlando con calore al suo
target. Oltre alla comunicazione above the line, sono state promosse iniziative con eventi e attività di pr con lo
scopo di restare sempre in contatto con il consumatore.
Perugina conferma, così. Il suo ruolo di Azienda simbolo dell’arte cioccolatiera italiana e la sua duplice capacità
di essere allo stesso tempo custode di una lunga e ineguagliabile tradizione e simbolo di modernità.
Alcuni esempi tipici in cui il comportamento alimentare diventa palese rappresentazione della dinamica
dipendenza\autonomia dalla relazione affettiva sono le patologie alimentari, come anoressia e bulimia. Negli ultimi
anni le persone affette da disturbi alimentari, come l’anoressia e la bulimia, soprattutto giovani e femmine, sono
diventate sempre più numerose, tanto da rappresentare un disturbo psicologico tra i più comuni. L’aumento di
queste patologie evidenzia la significatività simbolica del cibo nei processi di costruzione identitaria.
Negli studi di Helga Dittmar sugli “acquirenti eccessivi” (prevalentemente femminili), si è evidenziato che le
donne che ricorrono allo shopping sfrenato per compensare carenze identitarie spesso presentano anche disturbi
alimentari interpretabili come aventi analoga funzione compensatoria.
Sia gli anoressici che i bulimici esprimono un rapporto ugualmente conflittuale nei confronti del cibo. Il quadro
bulimico è spesso accompagnato da dipendenze da altre sostanze e da depressione. Il quadro bulimico rispetto alla
trasgressione alimentare che potrebbe nuocere al corpo e che provoca senso di colpa.
L’atto di vomitare dopo un’abbuffata rappresenta un tentativo di riparazione rispetto alla trasgressione alimentare
che potrebbe nuocere al corpo e provoca senso di colpa. Per il bulimico vomitare è come un rito di purificazione
in quando il cibo è desiderato ma deve essere espulso dal corpo perché nocivo all’estetica del corpo.
In altre parole, se il controllo sul corpo ai fini estetici viene imposto dalla comunicazione di massa come modello
di comportamento da imitare, i mezzi per esercitare tale controllo non solo si diffondono con l’intento di perseguire
l’ideale di riferimento, ma alcuni casi, possono entrare nel repertorio comportamentale-comunicativo degli
adolescenti proprio perché si prestano in modo esemplare alla rivendicazione del bisogno di autonomia e del rifiuto
della dipendenza dal cibo-madre-mondo esterno.
Il comportamento alimentare può essere spiegato, almeno in parte, come esercizio di controllo su corpo e identità.
Questa tematica sembra colpire più le donne e soprattutto giovani che si rivelano più preoccupate per la linea
rispetto agli uomini.
Zajonc (1965) propone la Drive Theory, secondo la quale la presenza di altri avrebbe un effetto eccitante sul
comportamento del singolo, portando a risposte dominanti come l’intensificazione di azioni semplici o, al
contrario, l’inibizione rispetto ad azioni più complesse. L’atto del mangiare è un’azione semplice, suscettibile
pertanto di facilitazione quando condotta in presenza di altri.
Conner e Armitage (2002), come anche De Castro e Brewer (1992) sono tutti autori che hanno messo in luce
attraverso una serie di studi l’effetto della facilitazione sociale quando si mangia insieme agli altri; inoltre hanno
dimostrato che in presenza di altri il pasto durerebbe persino 15 minuti in più rispetto a quando mangiamo soli,
pertanto, le persone in compagnia, mangiano di più e più lentamente.
In sostanza possiamo dire che, se ci sono persone si mangia di più perché, grazie all’effetto di facilitazione sociale
si allenta il controllo cognitivo sul comportamento alimentare. Va detto però che, l’effetto di facilitazione sociale
dipende fortemente dal tipo di gruppo e quindi dal tipo di relazione tra le persone del gruppo, e anche dalla gestione
delle impressioni. Quando mangiamo insieme ad amici, le persone tenderebbero ad essere più rilassate, allentando
i freni inibitori e quindi ricevendo maggiori gratificazioni.
Per esempio, De Castro (2014) ha notato che l’effetto della facilitazione sociale si poteva osservare quando le
persone che mangiavano insieme erano fra di loro in relazione di parentela oppure buoni amici, mentre non si
registrava un aumento del consumo di cibo quando le persone mangiavano fra colleghi di lavoro.
Inoltre, l’idea che il modo in cui consumiamo il pasto possa essere oggetto di giudizio sociale ci porta a riflettere
sulla connotazione morale associata al controllo della pulsione orale. Il controllo della pulsione orale può essere
sottoposto a giudizi perché è rivelatrice del lato istintuale del nostro essere umani. La pulsione orale, se soddisfatta
senza alcun controllo può essere indice di scarso rigore morale, come d’altronde lo è l’assunzione di sostanze quali
fumo, alcol etc.
Crandall (1994) osservava l’esistenza di persone fortemente orientate al controllo dei grassi. Queste persone
tenderebbero a considerare gli obesi come responsabili della propria situazione e pertanto punibili attraverso
l’esclusione sociale.
Sempre secondo gli studi di quest’ultimo, coloro che considerano il controllo dell’alimentazione come un valore
morale sarebbero anche più tendenzialmente razzisti e predisposti ad affidare le proprie decisioni a schemi
cognitivi pregiudiziali.
L’aspettativa sociale vuole che le donne più attente alla propria linea appare spiegare la tendenza, considerata da
alcuni pressoché universale, ad associare il controllo dell’alimentazione e la scelta dei cibi leggeri alla femminilità
(acqua donna/bevande alcoliche uomo).
In linea con questi dati, i risultati di circa sei anni di ricerca durante i quali abbiamo intervistato 440 donne di et
compresa tra i 19-35 anni in Italia e Inghilterra hanno rilevato una consapevolezza generalizzata circa la necessità
di controllare l’assunzione di cibo per adempiere a “ciò che gli altri si aspettano”.
Il controllo della pulsione è una prerogativa femminile. Per le donne più colte, il controllo sull’alimentazione
veniva interpretato come “comportamento responsabile nei confronti della salute e della prevenzione”, mentre per
quelli più ricche veniva visto come “principali doveri della donna verso se stessa e il proprio partner”.
Differenze culturali riguardavano la relazione tra “controllo alimentare” e “senso di responsabilità nei confronti
della salute” che per le intervistate inglesi appare dipendere dal livello culturale molto più che per le italiane.
Come già suggerito in studi precedenti (Mooney et al, 1994), le donne che si percepiscono meno femminili o che
sentono di esprimere al meglio la propria femminilità esercitano più controllo sul cibo ingerito quando si trovano
insieme a persone il cui giudizio è considerato importante e mangiano di meno di fronte a uomini che considerano
attraenti (effetto di impression management).
Negli ultimi anni le donne riportano di esercitare poco o scarso controllo sul cibo in compagnia di un uomo
attraente, caso che riguarda le giovani inglesi, che affermano di lasciarsi andare e bere di più se a cena con un
potenziale partner.
Concludendo possiamo dire che il comportamento a tavola è l’espressione dell’adattamento alle norme sociali che
prescrivono il controllo e regolano la soddisfazione.
Es: anni 60 ricerca stati uniti su un preparato per torte che aveva fatto flop. Le donne volevano davvero comprare
il preparato, ma vivevano acquisto con un grande senso di colpa, perché non si dimostravano brave madri di
famiglia. La nuova versione richiedeva l’aggiunta di altri ingredienti o decorazioni successive alla cottura e
funzionò.
La cultura dell’alimentazione come espressione simbolica del bisogno di controllo nella società dei consumi
Secondo Codispoti e Golfarini (2006), alla base dei disturbi alimentari esiste un quadro psicologico di tipo
narcisistico, caratterizzato da un’eccesiva preoccupazione per il sé. Emozioni negative, difficilmente espresse, si
spostano sul corpo, che diventa in questi casi fulcro di identità e delle azioni.
Moltissimi nuovi trend di consumi sono da ricondursi alla visione del corpo come un mezzo per il controllo e la
comunicazione del self in un contesto sociale caratterizzato da incertezza, rischio e complessità. Alcuni
cambiamenti sociali, come l’aumentata percezione del rischio e il venir meno della sicurezza, tradizionalmente
garantite da istituzioni religiose e governative, sembrano mettere in crisi la relazione fra individuo e società, dove
quest’ultima appare sempre più caratterizzata da modelli di isolamento e scambio e sempre meno ispirata a quelli
di comunità e condivisione.
In questo contesto, il comportamento alimentare diviene espressione sintomatica di un ripiegamento narcisistico
di tipo difensivo rispetto all’aumentata incertezza, ma anche proattivo nel perseguimento di una costruzione
identitaria adeguata alle richieste di un ambiente sociale complesso.
Il trend emergente dell’acqua in bottiglia
L’emergenza del bisogno di controllo, come un fenomeno della società postmoderna è stato segnalato da diversi
autori tra cui i cosiddetti sociologi del rischio come Giddens e Beck. Nuovi trend di consumo indicano un crescente
focus sul corpo, salute e aspetto fisico. Inoltre, la culturalizzazione del cibo viene interpretata come conseguenza
di un maggiore interesse per gli oggetti che sono in relazione trasformativa con il corpo
Un’importante trend di consumo emergente riguarda l’acqua in bottiglia dove tra l’altro l’Italia si rivela il paese
in cima alla classifica per il suo consumo.
Curiosamente il consumo continua a crescere nei paesi in cui l’acqua è potabile, sana e a costo zero.
Come fa notare Wilk (2006), se in alcune città l’acqua potabile pare avere un gusto peggiore, in altre si può
obiettivamente dire il contrario, mentre il risultato di ricorrenti blind test dimostra che molto più spesso di quanto
non sembri la differenza fra acqua potabile e acque in bottiglia non viene percepita.
L’acqua viene trattata come un prodotto che può differenziarsi in modo considerevole, infatti, i produttori di acque
in bottiglia cercano di distinguersi tra loro attraverso marchi riconoscibili e caratteristiche peculiari. Le marche di
acqua si posizionano sul mercato con prezzi e promesse diverse in termini di contenuti e funzionalità.
L’ampia differenziazione delle acque presenti oggi sul mercato ha portato al nascere e al graduale diffondersi nelle
metropoli di locali per la sola degustazione dell’acqua, meglio noti come water bars. Wilk nota che, a differenza
di altri prodotti, per i quali il nome del produttore o un nome fantasia, che ne costituisce il brand è in grado di
conquistare la fiducia del consumatore andando a garantire qualità e sicurezza, per l’acqua il nome del produttore
non viene mai o quasi mai utilizzato alla fine.
Per l’acqua il nome del produttore non viene quasi mai menzionato in quanto la qualità dipende dalla fonte che la
origina. Il paradosso emerge quando si considera una sorta di riluttanza in certi consumatori quando pensano di
bere acqua proveniente direttamente dalla fonte, in quanto la considerano meno sicura e meno controllata.
Il consumatore di acqua in bottiglia, è quindi un cliente che ricerca il benessere e che rinuncia ad altre gratificazioni
orali in nome della salute. È proprio l’assenza di gusto che deprime l’acqua dal senso di colpa, la rende simbolo
di purezza e di non contaminazione.
La preoccupazione nei confronti dell’ambiente esterno (fonti come acqua\gas) che può essere fonte di rischi è
tipica dell’uomo nella società postmoderna.
Per dirla con Baudrillard, diventa iperreale un prodotto di consumo che risulta essere più convincente e accessibile
del suo corrispettivo naturale (acqua), grazie a una comunicazione di marca persuasiva nel rappresentare in modo
credibile sia i valori della natura sia la competenza umana nel dominio della stessa.
L’azienda Ferrarelle S.P.A è impegnata da più di 3 anni nella rivitalizzazione del suo marchio storico, Ferrarelle.
Mentre nel ventennio precedente il posizionamento era stato chiaro, forte e efficace, negli anni 1990-2004 si è
andati costantemente alla ricerca di un nuovo posizionamento competitivo scommettendo di volta in volta, sulla
gioia di vivere, sulle proprietà dissentanti etc. Questo continuo cambio di rotta ha disorientato i consumatori
portandoli a fare altre scelte di consumo.
L’obiettivo della nuova strategia di Ferrarelle è stato quelli di rinnovare le ragioni per essere la scelta preferita dei
consumatori. Il primo aspetto considerato è stato il target (giovani tra 14-24 anni). Il lancio di nuovi formati, e di
nuovi settori, e ancora di nuovi mercati geografici.
Ferrarelle diventa così sponsor della Maratona di Roma 2007, acqua ufficiale di Cinema Festa internazionale di
Roma, teatro della scala..
L’orientamento assunto riflette la scelta di un alto posizionamento che si giustifica con le seguenti:
puntare sulla creatività italiana per portare marchio
comunicare l’autentica effervescenza naturale mettendo in evidenza sul packaging il bollino che attesta
che sia l’unica l’acqua minerale in Italia.
sul fronte dell’advertising, agire in controtendenza rispetto alla concorrenza; se i principali player
decantano le acque perché povere di sostanze ed elementi. Ferrarelle punta sulla ricchezza della presenza
di sali minerali che ne determinano il gusto unico.
Ferrarelle ha riconquistato così quote di mercato e a tornare ad avere un trend positivo, nonostante i fortissimi
investimenti spesi che fanno capire quanta fatica si debba fare per rivitalizzare un brand storico gestito in passato
in maniera non ottimale.
Nella storia dell’industrializzazione alimentare cruciale per il superamento delle preoccupazioni dei consumatori
circa sicurezza e qualità dei prodotti industriali.
Con la produzione alimentare industriale il consumatore perde il controllo diretto sugli eventuali rischi provenienti
dalla natura oltre a essere ovviamente sottoposto a nuovi e inquietanti pericoli. Si diffondono così marchi
alimentari in grado di comunicare valori salutisti o più in generale, in grado di sedurre il consumatore grazie ad
una personalità accattivante.
Le resistenze dei consumatori nei confronti del rischio industriale hanno incentivato la promozione di marchi
alimentari in grado di comunicare valori salutisti, o più in generale, in grado di sedurre il consumatore grazie a
una personalità accattivante indipendentemente dalla comunicazione circa le qualità nutrizionali del prodotto. Un
esempio paradigmatico è quello del brand Mulino Bianco appartenente a Barilla.
La comunicazione a favore della naturalità del prodotto viene perseguita anche attraverso il packaging, attraverso
colori come il bianco che richiama purezza, il verde che si associa al concetto di natura e freschezza, e il giallo per
la luce del sole.
Montanari fa notare che il concetto stesso di naturale è frutto di un’elaborazione culturale: anche le scelte più
ecologiche non sono istintive, ma il risultato di apprendimenti e atteggiamenti basati su credenze e orientamenti
valoriali. Il naturale e quindi tradizionale a differenza del nuovo, rimanda a concetti conosciuti che quindi riducono
la dimensione di rischio percepito e incertezza.
Fishler (1988) nota che se una persona non sa cosa sta mangiando corre il rischio di perdere consapevolezza e
controllo su chi è. In questo senso, si spiega l’importanza di rassicurare il consumatore con una comunicazione
che gli consenta un rimando diretto a ciò che è tradizionale e genuino, ma anche attraverso il ricorso a informazioni
sulla provenienza del prodotto e a favore della rintracciabilità dei processi interni alla filiera produttiva.
La preoccupazione per il rischio alimentare è caratterizzata anche da un effetto di amplificazione sociale, per il
quale il solo fatto di essere al centro dell’attenzione mediatica rende un argomento “amplificato” riguardo la
percezione dei suoi effetti.
Esemplificativo è il caso della diffusione del morbo della mucca pazza o crisi BSE, che comportò una diminuzione
dell’acquisto di carne dei 17% nel 1996, e del 10% nel 1997. I consumatori, a partire dal 1997, tornarono a
consumare carne e derivati in quantità simile a quella registrata in precedenza allo scandalo. L’effetto di
amplificazione sociale da parte dei media sembra dipendere da alcune caratteristiche importanti:
1. un ampio volume di informazioni, indipendentemente dall’accuratezza e dal contenuto dell’informazione
stessa;
2. un disaccordo tra i vari attori coinvolti nel dibattito dell’azzardo;
3. una drammatizzazione dell’informazione sui rischi, per esempio attraverso la presentazione di scenari di
pericolo e l’uso di particolari terminologie che rimandano alla catastrofe o al dramma.
Gli effetti della drammatizzazione del rischio sembrano maggiori per un azzardo relativamente nuovo e non ancora
presentato al pubblico in un contesto di crisi (per esempio i cibi geneticamente modificati) rispetto a un pericolo
più conosciuto (energia nucleare), per il quale le persone sono già state esposte a un grande dibattito pubblico nel
passato.
Barilla (oggi primo gruppo alimentare italiano) nasce nel 1877 ma, a fronte di uno scenario economico
caratterizzato da inflazione crescente e controllo statale dei prezzi della pasta decide di entrare nel mercato dei
prodotti da forno. Nasce negli anni ’70 Mulino Bianco che si avvale di una strategia innovativa differenziandosi
da competitors a due livelli:
- Usa ingredienti semplici e genuini per biscotti da forma irregolare che ricorda preparazione artigianale;
- Sviluppa campagne promozionali con un richiamo esplicito ai valori della campagna e della vita semplice.
Mulino bianco diventa leadership perché ha saputo rispondere al bisogno dei consumatori di ristabilire un
contatto con valori della tradizione contadina.
Le indagini infatti evidenziavano crescente sfiducia nei prodotti alimentari industriali e Mulino Bianco ha saputo
proporre un modello di vita che si allontana dall’alienazione della città a favore del ritorno alla vita di campagna
e ai valori della condivisione dei pasti con la famiglia.
Il consumo critico nasce in Italia alla fine degli anni 80 e si fonda sulla riflessione intorno al rapporto tra imprese
e consumi e sull’idea che, dietro alla simulazione del consumatore sovrano e dei bisogni cui le imprese cercano di
rispondere, si nascondono comportamenti antiecologici, manipolatori e politicamente scorretti.
Il fine del consumo critico o responsabile è quello di condurre i consumatori a riappropriarsi dell’autonomia
decisionale e di prendere coscienza del potere che possiedono per condizionare le imprese.
La storia del consumo critico in Italia si articolo intorno ad alcune esperienze:
quella del commercio equo solidale
quella della finanza etica
quella dei bilanci di giustizia
quella dei gruppi di acquisto solidali
Il consumo critico e responsabile viene individuato come uno degli strumenti efficaci in grado di contribuire a
ridurre l’impatto ambientale e a salvaguardare l’ecosistema.
I consumatori critici prestano attenzione alla sfera politica rappresentata dai poteri locali, e la scelta di praticare il
consumo critico si inquadra all’interno di modelli di valore che coinvolgono l’organizzazione sociale e la cultura
nel loro complesso. La discussione sulla percezione del rischio rimanda al costrutto di fiducia come elemento
indispensabile per garantire la relazione fra consumatore e produttore.
Se da un lato la relazione con il consumatore appare divenire più difficile, dall’altra la stessa durata della relazione
è minata dall’aumentare costante della concorrenza.
Alle molteplici offerte dei produttori si assiste oggi al fenomeno progressivo delle private label a opera della
distribuzione.
Coop e Esselunga propongono ormai prodotti di qualità a diversi posizionamenti di prezzo e sembrano ormai
essere per molti preferiti rispetto alle grandi marche in quanto viste più sicure e affidabili. In particolare, al Nord
i consumatori sembrano preferire le private label, mentre al sud si preferiscono le grandi marche industriali.
Se per i prodotti alimentari in generale vengono preferite le private label, per i prodotti caratterizzati da un
maggiore contenuto di innovazione, come i prodotti funzionali, sembrano ancora essere preferite le marche
industriali.
Zuegg crea nuova linea di bevande Frull per rispondere a nuove esigenze alimentazione per l’infanzia. Rispetto ad
altri succhi di frutta, Frullì è l’unico a posizionarsi sul mercato come 100% naturale: solo frutta e acqua senza
zuccheri aggiunti e presentati in forma di polpa vellutata. È una nuova linea di bevande prodotta da Zuegg unico
a potersi configurare come 100% naturale.
Nasce perché sul mercato c’è poca differenziazione e perché le famiglie ricercano uno stile di consumo alimentare
più sano ed equilibrato e cercano di evitare il problema dell’obesità infantile.
Le caratteristiche di Frullì non sono solo il fatto di essere merenda dissetante, nutriente e piena di salute, ma
contribuiscono a diffondere nei bimbi l’attenzione nei confronti di un consumo alimentare più consapevole. Per
questo motivo, un ruolo importante per la comunicazione e promozione del nuovo prodotto sono stati eventi nelle
scuole dedicati a tema prevenzione obesità e alimentazione sana. L’altro target è costituito dalle mamme nel loro
ruolo di responsabili d’acquisto.
Nella fase di lancio si è puntato su una comunicazione comparativa rispetto a competitors dove si invitava il
consumatore a consultare le tabelle degli ingredienti (scatola succo diventa libro che invita a lettura ingredienti).
Per quanto riguarda il posizionamento distributivo, nei supermercati Frullì viene esposto insieme ai prodotti
ortofrutticoli, per sottolineare la naturalezza del prodotto. Anche nel packaging sono state proposte delle novità:
le classiche confezioni potevano risultare troppo comuni rispetto a novità decantate dal prodotto, quindi si è scelto
un formato esclusivo più sottile e slanciato e caratterizzato da disegno della fustella ondulata che percorre tutta
lunghezza del brick.
Infine, Zuegg lavora anche con logiche di tutela ambientale: il prodotto naturale riduce la produzione di rifiuti.
Il prodotto vuole collegarsi come il classico frullato di frutta, senza aggiunta di sostanza. Zuegg analizzando il
mercato ha visto che c’era una domanda insoddisfatta soprattutto per i bambini di età compresa tra i 3-8 anni per
la colazione e la merenda. Esso si dimostra anche come una risposta concreta al tema dell’obesità infantile, ma
promette anche alle mamme una qualità e un buon prezzo. La strategia del lancio è stata quella di tipo comparativo
in cui si focalizzava sugli ingredienti del prodotto. Gli espositori venivano messi vicino ai prodotti ortofrutticoli
per esaltare la naturalezza del prodotto e il packaging è stato ridefinito in quanto elemento fondamentale per
l’immagine. La nuova campagna vedrà esperti di nutrizione Zuegg promuovere tema alimentazione in molte scuole
elementari; poi ci sarà un tour in collaborazione con Disney e Mercedes Benz in occasione della presentazione del
film “Le cronache di Narnia”, dove verrà allestito un villaggio a tema dove saranno presenti giochi e animazioni
dove protagonista è Frullì e il tema della buona alimentazione.
L’importanza data ai consumi alimentari si evidenza anche dall’attenzione che viene data al disegno di nuovi
luoghi per il consumo e il commercio del cibo.
La progettazione è sempre più orientata a soddisfare esigenze emergenti che rimandano al bisogno di recuperare
il rapporto di vicinanza con la produzione, e che oltre a richiedere un’attenzione particolare ai valori della qualità
e del genuino, perseguono un coinvolgimento sensoriale ed esperienziale.
Nelle due box successive ci sono due esempi tale proposito.
BOX – Agriservice
È una società di Teramo costituita da 136 aziende agricole e allevatrici cha hanno sperimentato con successo una
nuova formula commerciale, ovverosia, una rete di vending machine di latte fresco e di un supermercato alimentare
ad assortimento completo collocato lungo la superstrada che conduce a Giulianova.
Conta su 4000 clienti che per cultura e mentalità sono alla ricerca di prodotti alimentari del territorio di qualità
superiore.
L’azienda può praticare prezzi contenuti avendo eliminato ogni intermediazione commerciale inoltre la relazione
diretta con la struttura di vendita permette la massima garanzia di genuinità. Inoltre, si possono assaggiare spuntini
e piatti rapidi.
In sostanza Agriservice ha risolto efficacemente il compito di declinare in modo originale ed efficace il concetto
di farmer maker che tanto successo sta riscuotendo negli Stati Uniti. Il bisogno di naturalità e di salubrità
rappresenta la tendenza principale.
Eately
Centro enogastronomico polifunzionale aperto a Torino nel 2007 con l’obiettivo di offrire al pubblico cibi di
qualità a prezzi ragionevoli e di comunicare, al tempo stesso, i metodi produttivi e la storia di tanti produttori che
costituiscono il meglio della gastronomia italiana. Il punto vendita si struttura in aree di vendita specifiche, in aree
di ristorazione e aree dedicate alla didattica. È un grande mercato dove è possibile fare esperienze sensoriali vere
e proprie come nei reali mercati rionali ai quali il progetto è ispirato.
La presenza di una biblioteca, le sale di degustazione, il percorso visivo etc., mettono in luce un grande mercato
di “alti” cibi dove comprare, mangiare e imparare.