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Il libero arbitrio.

Una introduzione – Mario De Caro


Introduzione
Per alcuni illustri autori quali Johnson e Cartesio il libero arbitrio è un’ovvietà. Per la maggior parte
dei filosofi però, le cose stanno diversamente. Da secoli una diatriba infuria attorno la possibilità
che la libertà umana, e i nostri comportamenti siano predeterminati. E in particolare a molti è parso
che l’idea di libertà sia messa a repentaglio dal determinismo delle leggi naturali. A conferma di
questa idea Kant nella terza antinomia della Critica Ragion pura (Tesi: La causalità secondo le leggi
della natura non è la sola da cui possono essere derivati tutti i fenomeni del mondo. È necessario
ammettere per la spiegazione di essi anche una causalità per la libertà. Antitesi: Nel mondo non c'è
nessuna libertà, ma tutto accade unicamente secondo leggi della natura) cerca di capire come e se
gli esseri umani possano sfuggire alle ferree leggi che regolano il mondo della natura. Da una parte,
quindi, abbiamo la nitida intuizione della nostra libertà, dall’altra, ciò che sappiamo del mondo
naturale ci porta a ritenere che la libertà non possa avervi posto alcuno: si tratta di un vero e proprio
mistero filosofico.

La libertà ha molte facce e può avere una connotazione positiva e negativa. In senso negativo come
mancanza di vincoli e costrizioni. In senso positivo la libertà è legata all’idea che ognuno di noi,
autodeterminadosi è arbitro del proprio destino e per questo porta la responsabilità delle proprie
scelte e delle proprie azioni.

Due sono le condizioni della libertà (libero arbitrio):


1. Possibilità di fare altrimenti: è essenziale che all’agente si presenti una molteplicità di possibili
corsi d’azione alternativi;
2. L’autodeterminazione: le azioni non devono essere il prodotto esclusivo del caso o di fattori del
tutto independenti dalla volontà dell’agente, è cioè necessario che l’agente controlli le azioni che
compie.
Tra queste due condizioni c’è un chiaro nesso: per agire liberamente l’agente deve poter esercitare
il proprio controllo sul corso d’azione che decide di intraprendere. Inoltre entrambe si presentano
come condizioni necessarie della libertà, e prese congiuntamente esse ne costituiscono le condizioni
sufficienti.
Determinismo&Indeterminismo
Secondo la tesi deterministica ogni evento è determinato dal verificarsi di condizioni sufficienti per
il suo accadere. Esistono diverse forme di determinismo (teologico, logico, fatalismo) ma quello
preso in considerazione in questo dibattito è il determinismo causale, secondo cui un evento è
casualmente determinato se e solo se, esso è causato da altri eventi che ne sono cause sifficienti.

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Detto diversamente ogni evento è determinato causalmente dagli eventi del passato e dalle leggi di
natura. Teoria opposta al determinismo è l’indeterminismo (meccanica quantistica) che ne
rappresenta la sua negazione: uno dei due è vero, l’altro è falso.
Dal punto di vista empirico il determinismo causale può essere falso ( e dunque può essere vero
l’indeterminismo) per due diverse ragioni: 1) esistono eventi che non sono causati 2)esistono eventi
che sono causati indeterministicamente.
Per il determinismo causale gli eventi che accadono non sono necessari ma solo necessitati, avvero
accadono in virtù del darsi delle loro cause e delle leggi di natura. Un fraintendimento che, però, è
bene prevenire è che la scienza non ha provato che il mondo sia indeterministico. E’ opinione oggi
assai diffusa che l’indeterminismo quantistico non abbia ricadute significative a livello
macroscopico: così secondo molto autori, è ragionevole ritenere che a livello macroscopico la tesi
deterministica sia approssimativamente vera, e che dunque gli eventi macroscopici, le nostre azioni
in particolare manifestino sostanzialmente comportamenti deterministici. Un altro argomento a
sostegno del determinismo è che l’indeterminismo fisico comporta la casualità degli eventi, e questo
renderebbe impossibile la libertà. L’idea è che se fosse vero l’indeterminismo le azioni umane
sarebbero indeterminate e dunque gli agenti non eserciterebbero alcun controllo sulle proprie azioni:
la libertà collasserebbe sul caso.
Il dibattito si svilupperà analizzando le diverse teorie contemporanee che si sono espresse in merito
alla questione del libero arbitrio. Non è quindi qui che si discuterà se è vero il determinismo o
l’indeterminismo, ma piuttosto se entrambi possano spiegare se siamo davvero liberi.

Ecco uno schema delle principali teorie che verranno analizzate:


DETERMINISMO INDETERMINISMO
SI LIBERO ARBITRIO Compatibilismo Libertarismo
NO LIBERO ARBITRIO Illusionismo o Scetticismo *
Determinismo hard

Altra corrente teorica è quella dei misteriani (es. Chomsky) secondo cui il libero arbitrio è uno dei
tanti misteri filosofici.
*Alcuni fautori dello scetticismo si mostrano tali indipendentemente dal fatto che il mondo sia
deterministico o indeterministico.

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1. Libertà e indeterminismo
L’incompatibilismo è la negazione del compatibilismo. Si tratta dunque di una posizione che nega
la compatibilità della libertà (intesa come libero artibitrio) con il determinismo. Gli incompatibilisti
si dividono in diverse fazioni:

 Incompatibilisti libertari, detti libertari: in quanto sono liberi, gli esseri umani non possono
essere determinati;
 Incompatibilisti antilibertari, detti deterministi hard: gli esseri umani non sono liberi in
quanto determinati;
 Scettici o illusionisti

Il libertarismo

La tesi cardine delle teorie libertarie è che la libertà è possibile in un contesto indeterministico e
soltanto in esso. All’interno di questa ‘famiglia’ vi sono altre teorie, che si possono dividere in tre
gruppi:

 Inderterminismo radicale (basato su una teoria non causale dell’azione)


 Indeterminismo causale (basato su una teoria causale dell’azione)
 Agent causation (postula l’esistenza speciali poteri causali di degli agenti)

Il valore del libertarismo è nella sua contiguità con l’idea di libertà offertaci dal senso comune.
L’indeterminismo causale viene pensato come il fondamento ontologico adeguato per una
concezione dell’agire che s’incentra sulla possibilità di fare altrimenti, intesa in senso categorico: è
qui e ora che l’agente in quanto è libero, potrebbe compiere una scelta o un’azione diversa da
quello che di fatto compirà. Il libertarismo incontra, comunque, non poche difficoltà teoriche. Vi
sono almeno quattro problemi fondamentali:

 L’apparente incapacità di spiegare come gli agenti possano controllare le azioni che
compiono (ovvero l’autodeterminazione, II condizione necessaria per i libero arbitrio),
 Il costante rischio di riformulare ipotesi metafisicamente oscure;
 Il pericolo di cadere in un regresso all’infinito nella definizione del momento in cui la
libertà si esplica;
 La difficoltà di localizzare il cruciale momento indeterministico nel processo che induce al
compimento di un’azione.

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L’apparente incapacità di spiegare come gli agenti possano controllare le azioni che compiono. Una
delle condizioni essenziali della libertà è che al soggetto siano accessibili corsi d’azione alternativi.
Questa possibilità è costitutivamente implicita nell’indeterminismo, ma le cose non sono affatto
semplici. In un ambiente indeterministico, per definizione, nulla è –e quindi nemmeno l’agente- può
determinare quale tra i corsi d’azione possibili si attualizzerà: in questo senso, la selezione appare
governata dal caso. E il caso è la negazione della libertà. Intuitivamente, è chiaro che, per dirsi
libera un’azione o una scelta non può essere meramente casuale, ma deve essere, in qualche misura
rilevante, sotto il controllo dell’agente.

Una tesi ulteriore: quella secondo la quale l’unica forma possibile di causalità è quella
deterministica. Questa tesi, fino a tempi recenti, è stata accettata quasi universalmente e su essa si
sono accordati autori diversi tra loro: Hobbes, Kant, Spinoza, Leibniz e Hume. Secondo Hume se
c’è causalità c’è determinismo, dove c’è indeterminismo c’è solo il caso. I libertari più consapevoli
si rendono conto del problema di combinare libertà e controllo. E in questa prospettiva
l’indeterminismo se è condizione necessaria per una soddisfacente spiegazione della libertà, non ne
può essere condizione sufficiente. Ma cosa c’è di intermedio tra caso e causalità deterministica?
Una promettente indicazione in questo senso è venuta da alcuni filosofi della scienza che hanno
lavorato sull’idea di causalità indeterministica. Ovvero una forma di causalità in cui le cause non
necessitano gli eventi, ma si limitano ad accrescere la possibilità che si verifichino. Se anche questi
autori avessero ragione che esistono processi causali indeterministici, il libertario dovrebbe ancora
provare in che modo quest’ultima possa aiutare a spiegare come gli agenti possano controllare le
azioni che compiono.

Il costante rischio di riformulare ipotesi metafisicamente oscure. Il secondo problema deve


affrontare è il rischio dell’oscurità metafisica. Spesso, infatti –nel tentativo di sfuggire all’accusa di
schiacciare la libertà sul caso- le concezioni libertarie ricorrono a spiegazioni metafisiche molto
ardite se non addirittura incoerenti. Il libertarismo contemporaneo deve dar conto della libertà nei
propri termini senza per questo entrare in conflitto con la visione scientifica del mondo.

Il problema del regresso all’inifinito. Nella prospettiva libertaria, la libertà di un agente non
riguarda solo la sua capacità di agire secondo i decreti della propria volontà (decisioni, scelte) ma si
estende anche a tali decreti. Da ciò segue che la decisione di agire in un certo modo deve essere
stata a sua volta preliminarmente vagliata e prescelta dall’agente: è necessario presupporre una
metascelta fondata su un criterio liberamente scelto dall’agente. Ma anche questa metascelta deve
essere stata operata liberamente, e così via ad infinitum. Secondo questo argomento

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l’autodeterminazione è impossibile perché essa presupporrebbe che un agente finito abbia compiuto
un numero infinito di scelte. ?

Il problema della localizzazione dell’inderterminismo. Secondo alcuni la maggiore difficoltà di ogni


teoria libertaria è quella di individuare l’esatta collocazione dell’elemento indeterministico. Non è
affatto chiaro, infatti, dove debba avvenire la rottura della catena causale deterministica che porta
all’azione, spiegando perché quella localizzazione è appropriata e importante. Tale compito non si
presenta agevole: è possibile il libero arbitrio libertario o incompatibilistico? Possiamo dare una
spiegazione in grado di dimostrare come tale libertà possa esistere nell’ordine naturale?

L’indeterminismo radicale

L’indeterminismo radicale, o semplice, s’incentra su una concezione non-causale dell’azione. Tra


l’agente e le sue azioni –almeno quando tali azioni sono libere- intercorrono nessi indeterministici,
ma non causali: le azioni dunque sono eventi senza cause. I fautori di questa teoria affermano che le
azioni hanno carattere intenzionale, ma irriducibilmente non causale. E quindi se consideriamo il
caso del signor Rossi che entra in un ristorante, secondo gli inderministi radicali, quest’azione può
essere spiegata dicendo che Rossi è entrato nel ristorante perché ha il desiderio e l’intenzione di
mangiare e la credenza che in quel luogo potrà farlo. Abbiamo spiegato quindi una determinata
azione in termini di stati intenzionali (e non-causale) che assumiamo rappresentino le ragioni per
cui quell’azione è stata compiuta. Secondo gli ind. Radicali un elemento indeterministico interviene
in qualche punto cruciale del processo che conduce al compimento dell’azione. E’ proprio in forza
di questo elemento indeterministico che l’azione che di fatto è compiuta avrebbe potuto non essere
compiuta. E si noti che in questo contesto “avrebbe potuto” va intesa in senso categorico: il signor
Rossi trovandosi esattamente nello stato mentale in cui si trovava al momento di entrare nel
ristorante, avrebbe potuto decidere di non farlo. Se le azioni sono incausate, nulla le necessita.
Tuttavia l’indeterminismo radicale incontra tre notevoli difficoltà:

1. Tale concezione vìola il principio di causalità secondo cui “tutti gli eventi hanno una
causa”, e a parere di molti filosofi tale concetto è irrinunciabile.
2. L’ind. Radicale deve rispondere ad un classico argomento posto da Davidson teso a
dimostrare che le ragioni delle azioni possono esserne anche causa. Davidson nota che per
ogni azione si può offrire un numero indefinito di ragioni potenzialmente idonee a
spiegarla.Tra le spiegazioni possibili vi sono quelle corrette e scorrette. Ma allora come
potremmo operare la distinzione tra spiegazioni corrette o scorrette, se non ammettendo

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che la spiegazione corretta è quella che individua tra tutte le ragioni potenzialmente
attribuibili all’agente, quelle a causa delle quali ha computi quell’azione?
3. Rimane il problema di spiegare come un agente possa esercitare un controllo adeguato
sulle proprie azioni. Il punto è che se un’azione è un evento incausato, anche se
accompagnato da un’intenzione che lo riguarda, essa è indipendente da tutti gli eventi
precedenti, inclusi quelli che riguardano l’agente. La nozione di controllo, al contario
richiede che l’agente scelga di compiera una specifica azione in forza dei suoi desideri,
intenzioni o credenza. Le azioni, per come vengono rappresentante dagli ind. radicali, si
presentano come eventi casuali, incontrollabili.

L’indeterminismo causale

L’indeterminismo causale è più sofisticato rispetto all’indeterminismo radicale. L’idea è che la


nozione di causazione indeterministica può rendere conto della possibilità di fare altrimenti.
Secondo la tesi fondamentale di questa concezione, lungo la catena causale ininterrotta che
conduce al compimento dell’azione, interviene in qualche punto rilevante (tra il processo di
formazione delle credenza, il prcesso deliberativo, e l’esecuzione dell’azione) un cruciale
elemento di indeterminismo. E’ tale elemento a garantire la possibilità di fare altrimenti: in questa
prospettiva, infatti, per definizione, le azioni non sono il prodotto di una causazione deterministica;
quindi potrebbero non accadere, anche in presenza dello stesso passato e delle stesse leggi di
natura.
Coniugare indeterminismo e causalità per spiegare la libertà a molti è sembrata un’idea audace:
molti, tra cui Hume, ritengono che la causalità non può non essere che deterministica.
L’idea, dei sostenitori del ind. causale, è quella di una forma di causalità indeterministica che non
necessiti l’effetto ma semplicemente aumenti la probabilità che esso accada: in questo modo
l’effetto non è determinato dalla propria causa. La causalità indeterministica non sembra quindi
impossibile. Resta da chiarire in quale modo essa possa contribuire a spiegare la libertà. Una delle
più chiare presentazioni è stata offerta da Robert Nozick. Secondo Nozick un cruciale momento
indeterministico si dà nel momento in cui l’agente valuta gli insiemi di ragioni che militano in
favore dei diversi corsi d’azione che gli si aprono davanti(ovvera la possibilità di fare altrimenti),
in particolare prima di questa valutazione le diverse ragioni non hanno un “peso” oggettivo,
ovvero non determinano già quale sarà il corso d’azione che l’agente sceglierà. E’ soltanto al
momento della “pesatura”, in cui l’agente compara le diverse ragioni, che esse assumono i pesi
relativi che fanno propendere l’agente in favore di una di esse a discapito delle altre. Il processo di
valutazione, che l’agente attua, ha nello stesso tempo carattere indeterministico e causale.

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 Il carattere indeterministico discende dal fatto che il peso relativo dei diversi insiemi di ragioni
non è predeterminato: è nel potere dell’agente, in senso categorico, privilegiare l’uno o l’altro
di questi insieme e quindi agire di conseguenza.
 Il carattere causale del processo descritto da Nozick dipende dal fatto che la particolare
valutazione operata dall’agente dà come “effetto” l’azione che questi compie.
Con questo processo viene garantita la possibilità di fare altrimenti(I condizione del libero arbitrio).
Tuttavia l’indeterminismo causale non è completamente convincente, tre difficoltà lo insidiano:
1. Occorre ancora chiarire esattamente cosa la causazione indeterministica sia, come funzioni
e in quali casi essa si dia.
2. Nella maggior parte dei casi agiamo d’istinto o comunque senza un processo deliberativo
definito, come quello a cui si riferisce Nozick. Intuitivamente, infatti, verrebbe da pensare
che di rado ponderiamo a fondo le nostre decisioni, valutando i pro e i contro delle diverse
azioni.
3. Persiste anche qui il problema del controllo delle azione da parte dell’agente. Se anche
fosse vero che l’agente causa indeterministicamente le proprie azioni, non ne seguirebbe
che egli le controlla e cioè che è in grado di determinare quale tra i possibili futuri si
attuerà.

L’agent causation
L’idea fondamentale dell’agent causation, o causalità creativa, è di postulare uno speciale fattore di
controllo causale che permetta di spiegare come gli agenti possano controllare le proprie azioni.
Tale fattore causale è rappresentato dallo stesso agente, al quale viene attribuita la capacità di
autodeterminare la propria volontà originando nuove catene causali. Questa concezione si fonda su
due tesi:
 La prima tesi afferma che la libertà non riguarda soltanto le azioni, ma si estende anche alla
volontà;
 La seconda tesi afferma che la libertà richiede una forma peculiare di causalità, irriducibile
alla normale causalità tra eventi.
Per giudicare questa teoria bisogna valutare la plausibilità di queste due tesi. Per farlo occorre
presentare le proposte dei due suoi principali rappresentanti: Thomas Reid e Roderick Chisholm.
Secondo T.Reid oltre alla forma di causazione che intercorre tra eventi ve ne sia un’altra del tutto
peculiare che entra in gioco quando si considerano gli agenti razionali. Gli agenti, infatti, possono
originare nuove catene causali e possono fare ciò in quanto sono sostanze. Le sostanze non possono
essere causate, al contrario degli eventi, ma possono iniziare nuove catene causali di eventi. Tale

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influsso non ha carattere deterministico: agenti nelle loro determinazioni sono inclinati, ma non
necessitati. Questo perché secondo Reid non è stato provato che gli esseri umani fanno parte del
meccanismo della natura e quindi alle leggi deterministiche della natura.
Secondo R.Cisholm quando procediamo a ritroso nelle analisi delle azioni, giungiamo ad un punto
in cui non si deve più dire che un evento ne ha causato un altro, ma piuttosto che un agente ha
inizato una nuova catena causale senza essere in ciò necessitato. In tale prospettiva un’azione è
libera in quanto deriva dalla creazione della volontà dell’agente, non dalla sua mera esplicazione.
Tuttavia entrambe le due proposte corrono un duplice rischio:
1. La teoria dell’agent causation sembra postulare la nozione di una mente che si
autodeterrmina così rappresentando un’accezione all’ordine di natura, che è invece
scandito dalle leggi della causazione tra eventi;
2. Vi è la sensazione che tale teoria si stata creata ad hoc proprio al fine di spiegare come la
libertà sia possibile, essa infatti postula speciali poteri causali negli agenti.
Riguardo quest’ultima obiezione Cisholm afferma che se Hume ha ragione nell’affermare che la
nozione di causalità non è fondata ontologicamente ma è inferita dalla mente umana a partire
dall’osservazione dei fenomeni, ci si deve domandare da dove noi deriviamo l’idea di causalità che
poi applichiamo ai fenomeni naturali. Secondo C. questa idea deriva dalla nostra consapevolezza di
poter far accadere eventi agendo nel mondo: ed è proprio da qui che deriviamo il concetto di
causalità (secondo il prof tale questione risulta interessante). Resta in piedi, tuttavia, la prima
obiezione: Che cos’è questa mente? Qual è il suo nesso con gli enti naturali? (non viene specificata
la seconda tesi)

2.Libertà e determinismo
Il compatibilismo si fonda sull’idea che il determinismo non impedisce affatto la libertà. Un pregio
di tale concezione è che essa si pone il compito di dar conto della libertà umana nel quadro della
visione scientifica del mondo. Non tutti però sono convinti del valore di questa concezione della
libertà. Negli ultimi anni il compatibilismo è stato oggetto di attacchi energici da parte degli
incompatibilisti tra cui Diderot, Kant, Reid e Branhall. Secondo questi autori dire che determinismo
e libertà sono compatibili, significa ammettere che le nostre scelte sono interamente determinate da
cause incontrollabili. Il compito dei compatibilisti è quindi quello di dimostrare che determinismo e
libertà non sono inconciliabili, come potrebbe invece sembrare ad un primo sguardo. Un primo
rischio per i compatibilisti è quello di snaturare la nozione di libertà, costruendone una versione ad
hoc. La definizione di libertà offerta dalla tradizione compatibilistica, secondo una proposta
sviluppata da autori come Hobbes, Hume e Locke, è quella secondo la quale la libertà equivale alla

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possibilità di agire senza impedimenti o costrizioni. La tesi allora è che quando non siamo impediti
o costretti, possiamo liberamente compiere le azioni che vogliamo. In questa prospettiva tutto
quello che ci serve per dirci liberi è che le nostre azioni discendano dalla nostra volontà, senza
impedimenti o costrizioni. Così definita la libertà non è affatto in contraddizione con il
determinismo: secondo questa definizione infatti un’azione è libera in quanto determinata dalla
volontà dell’agente. La volontà tuttavia, a sua volta, risulta essere completamente determinata da
fattori come le esperienze passate dell’agente, l’istruzione che ha avuto, l’ambiente in cui è
cresciuto o il suo assetto biologico. In questo modo non c’è alcuna rottura della catena
deterministica: la volontà dell’agente è determinata da cause su cui egli non può agire ed essa a sua
volta determina, causandole, le azioni che l’agente compie; nondimeno tali azioni, poiché
discendono dalla volontà dell’agente, sono libere.
A questa concezione della libertà i compatibilisti aggiungono:
 Il determinismo è condizione necessaria della libertà, in quanto la sua alternativa
(l’indeterminismo) renderebbe impossibile la libertà, facendola coincidere con il caso;
 Il determinismo è vero.
In questa prospettiva, non è tanto che siamo liberi anche se siamo determinati, siamo liberi grazie al
fatto che siamo determinati.
I compatibilisti contemporanei (ad esempio Quine) sposano questa concezione della libertà e del
determinismo, aggiungendo, alla luce di alcune scoperte recenti, che tale processo è deterministico
in quanto, essendo a livello macroscopico è sostanzialmente immune all’indeterminismo
quantistico.
Abbiamo visto che, secondo i compatibilisti, la volontà dell’agente è interamente determinata, la
libertà quindi può essere applicata alle nostre azioni. Lo stesso Voltaire, citando Locke, sostiene che
l’unica libertà possibile è quella relativa all’azione, mentre la presunta libertà della volontà è
soltanto un’illusione.
Una obiezione mossa dagli incompatibilisti è che, secondo loro, la libertà richiede che la volontà si
autodetermini, invece di essere eterodeterminata da condizioni ed eventi esterni. Secondo Popper il
determinismo fisico è un incubo perché asserisce che il mondo fisico con tutto ciò che contiene è un
enorme meccanismo e che noi nulla siamo se non piccoli ingranaggi. Secondo questo punto di vista,
la vera libertà, richiede oltre all’agire secondo le determinazioni della volontà anche la libertà del
volere. Ma ciò significa che la volontà deve poter sfuggire alla catena deterministica, e solo se
questo avviene allora possiamo parlare di libertà.

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Il Consequence argument
E’ un argomento il quale afferma che se è vero il determinismo noi non agiamo liberamente. Il
Consequence Argument ha forma condizionale: esso assume la verità del determinismo e da ciò
inferisce l’inevitabilità di tutte le azioni. Il nucleo della dimostrazione consiste nell’idea che per
agire liberamente dobbiamo poter controllare i fattori che eventualemte rendono le nostre azioni
inevitabili. Ma se è vero il determinismo, tali fattori includono l’insieme delle leggi della natura e
gli stati passati dell’universo: e questi sono due fattori che nessun agente può controllare. Dunque se
il determinismo è vero nessun agente agisce mai liberamente. La peculiarità di questo argomento sta
nel modo in cui rende la possibilità di “poter fare altrimenti” con l’espressione “poter falsificare la
proposizione P”, dove P è una proposizione che esprime un’azione.
VEDERE SCHEMA PAG 77
Analisi della dimostrazione
Lo schema che rappresenta il Consequence Argument si serve della logica e in particolare dell’
implicazione logica. Il principio è che se un agente in certo istante può falsicare una proposizione,
egli può rendere false anche le proposizioni che la implicano. In particolare:
1)Se il determinismo è vero L&Po implica P
2)Se Cesare nel momento in cui passo il Rubicone, avrebbe potuto agire diversamente, allora
Cesare avrebbe potuto falsificare P
3)Falsificare P significa, data la relazione di implicazione, falsificare anche L&Po
4)L però, non può essere falsificato perché non si possono falsificare le leggi di natura,
5)Po non può anch’esso essere falsificato perché non si può cambiare e tantomeno falsificare il
passato
6)Dunque L&Po non si può falsificare, e di conseguenza neanche P
La conclusione è che se è vero il determinismo, allora la libertà è impossibile

E’ ragionevole ritenere che l’argomento sia corretto. Chi volesse contestare la conclusione deve
rendere falsa qualcuna delle premesse (da 1 a 6). I tentativi più interessanti sono stati quelli volti a
falsificare la premessa 4, e in particolare Daniel Lewis ha presentato un ingegnoso argomento per
negarla. Secondo Lewis la proposizione “l’agente x avrebbe potuto falsificare una legge di natura”
può essere interpretate in due modi diversi:
1. Senso forte, cioè causale: un agente avrebbe potuto falsificare una legge di natura se e solo
se, fosse stato in grado di compiere un’azione tale che quella legge sarebbe stata violata a
causa di quell’azione;

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2. Senso debole, cioè non-causale: un agente avrebbe potuto falsificare una legge di natura se e
solo se, fosse stato in grado di compiere un’azione tale che, se l’avesse compiuta, allora la
legge sarebbe stata falsificata.
Secondo Lewis soltanto nel senso debole una legge di natura può essere falsificata, perché se avessi
agito diversamente da come di fatto ho agito, allora almeno una legge di natura sarebbe stata
diversa. Quindi se Cesare non avesse passato il Rubicone, L e Po sarebbe stati differenti. Poiché tale
interpretazione è legittima si dimostra che si può dare una lettura della premessa 4 tale che renda
l’argomento falso, per Lewis quindi, i compatibilisti non hanno nulla da temere.
Critica
Questa lettura però sembra escogitata del tutto ad hoc al solo scopo di salvare il progetto
compatibilistico. Lewis (secondo il prof) costruisce un perfetto esempio di “oscure sofisticherie”,
poiché rinuncia alla connessione tra la libertà e l’intuizione prefilosofica, in favore di un’intuizione
iperfilosofica basata sulla falsificabilità delle leggi di natura.

Metafisica e Filosofia della mente


D. Davidson per avallare il compatibilismo ha reso propria la teoria dell’identità delle occorrenze.
Secondo tale teoria ogni singola occorrenza mentale (ogni particolare credenza, desiderio,
intenzione) è identica a una corrispondente occorrenza di un evento fisico. Ciò significa che, in
linea di principio, un unico evento può essere descritto per mezzo del vocabolario delle scienze
naturali o del vocabolario mentalistico. Davidson ha ribattezzato tale teoria come “monismo
anomalo”. Tale nome deriva dall’unione di due tesi:
1. Monismo ontologico finalistico, secondo il quale in linea di principio tutte le entità e tutti gli
eventi possono eseere descritti nei termini della fisica e tutte le relazioni causali
esemplificano leggi fisiche;
2. L’irriducibilità del mentale: quando gli eventi sono descritti in termini mentalistici non c’è
modo di ricordurli a leggi fisiche.
Secondo Davidson quando descriviamo una sequenza di eventi in termini mentalistici (cioè quando
diciamo che un agente agisce a causa di determinati desideri) stiamo dando una spiegazione che è in
linea di principio irruducibile ai principi della scienza. In questa descrizione dunque le azioni
dell’agente sono in linea di principio irriconducibili a spiegazioni deterministiche (mentre vi sono
riconducibili quando vengono descritte in termini fisici). E in questo modo si comprende perché
siamo sia liberi, sia determinati. Questa teoria non sembra però convincente.

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Critica
Una critica che smonta questa teoria è stata elaborata da J.Kim che critica in particolare la prima
tesi di cui si serve Davidson. Secondo Kim è grazie alle proprietà fisiche, non a quelle mentali, che
gli eventi esemplificano le leggi della fisica. Inoltre in virtù delle sue sole proprietà mentali un
evento non può esemplificare alcuna legge causale rigorosa. È solo in virtù delle loro proprietà
fisiche che gli eventi possono avere efficacia causale. Dunque nulla può essere causato dagli eventi
mentali in quanto mentali.
Conclude il prof, che anche se Davidson avesse ragione, nessun evento mentale potrà mai figurare
in alcuna catena causale, e quindi non possono esistere azioni libere.

La conclusione di questa discussione è che come il libertarismo, anche il compatibilismo risulta


insoddisfacente per spiegare la libertà.
*In questo capitolo il prof ha fatto saltare un paragrafo, la cui conclusione è che il determinismo
non riesce a dar conto della seconda condizione della libertà: la possibilità di fare altrimenti.

3.Libertà e Scetticismo
Come abbiamo visto nei precedenti capitoli, i tentativi di elaborare una teoria filosofica del libero
arbitrio si dimostrano alquanto insoddisfacenti, e ineffetti un numero crescente di autori trae oggi
conclusioni apertamente scettiche rispetto alla libertà. Per fornire un quadro d’insieme dell’attuale
discussione sulla libertà si può utilimente ricorrere alla categoria di scienza straordinaria proposta
da Thomas Kuhn. Secondo Kuhn, i periodi di scienza straordinaria si verificano quando una teoria
scientifica dopo aver ricoperto per un lungo tempo il ruolo di paradigma dominante nel proprio
campo entra in crisi, allo stesso tempo però nessuna delle teorie alternative riesce a guadagnare
consensi significativi. Il risultato è che o 1)si ritorna alla restaurazione del vecchio paradigma,
2)all’emergere di uno nuovo oppure nell’ultimo caso 3)si conclude che nello stato attuale in cui
quel campo si trova non si intravede nessuna soluzione.
Questa descrizione si applica molto bene alla discussione contemporanea sulla libertà. Come
abbiamo visto, sono state offerte prove convincenti contro il compatibilismo, concezione dominante
per tutto il Novecento, alla stesso tempo però anche l’alternativa al compatibilismo, il libertarismo
non riesce ad attrarre su di sé un ampio consenso. Un numero crescente di filosofi, che studiano la
questione della libertà si dichiara estremamente scettico alla possibilità che i paradigmi tradizionali
recuperino plausibilità. Gli autori che più si dimostrano scettici sono: Thomas Nagel, Peter van
Inwagen e Colin Mc Ginn. Mc Ginn, in particolare, mette in luce come il suo scetticismo rispetto
alla libertà dipenda dall’idea che noi non abbiamo (né potremo mai avere) la benchè minima idea

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di come gli stati mentali possano causare cambiamenti nel mondo fisico: la libertà è un mistero
perché lo è la causazione mentale. Ad esempio quando un agente desidera mangiare, crede che sul
tavolo vi sia una mela, intende prendere quella mela per mangiarla ed effettivamente compie
l’azione di afferrarla e addentarla, questo è un esempio di causazione mentale. Mc Ginn si chiede se
noi siamo in grado di dar conto di questo processo causale preservando la libertà, Secondo l’autore
no! Perché la causazione mentale è in linea di pricipio irriducibile alla causalità fisica: quando
diciamo che un agente o i suoi stati mentali causano un’azione non alludiamo ad alcun contatto tra
corpi né a presunte leggi.
Molti scettici contemporanei impostano la questione della libertà in una forma antinomica: da una
parte essi pongono l’irrunciabile idea della libertà, dall’altra gli argomenti che ne dimostrano
l’impossibilità. Nota van Inwagen, che la questione del libero arbitrio è un mistero insondabile, il
libero arbitrio sembra essere impossibile, ma sembra anche che esista. Perciò l’impossibile sembra
esistere. Secondo gli autori non possiamo sfuggire al paradosso di dover credere a qualcosa la cui
esistenza sembra impossibile da provare.
Un numero crescente di altri autori ha assunto una posizione ancora più radicale: non è tanto che
noi non potremo mai provare di essere liberi, piuttosto semplicemente non siamo liberi. In questa
prospettiva la libertà è nulla più di un’illusione. Sarebbe errato pensare che lo scetticismo rispetto
alla libertà sia una posizione inedita, al contrario diversi illustri autori si sono espressi in tal senso:
Lorenzo Valla, Lutero, Calvino e Laplace. Tuttavia lo scetticismo contemporaneo ha oggi
caratteristiche peculiari rispetto al passato per tre ragioni:
1. Oggi il numero e la rilevanza degli autori che aderiscono a posizione scettiche è
particolarmente significativo;
2. Questi autori hanno a disposizione un impressionante numero di argomenti contro le varie
concezioni della libertà;
3. Lo scetticismo classico si componeva di due tesi, una empirica e una concettuale: da una
parte si assumeva che il mondo fosse deterministico (tesi empirica), dall’altro si predicava
l’imcompatibilità del determinismo con la libertà (tesi concettuale). Lo scetticismo
contemporaneo, invece, ricorre ad analisi concettuali tese a dimostrare l’impossibilità del
libero arbitrio, indipendentemente dal fatto che il mondo sia deterministico o
indeterministico.
Galen Strawson ha sviluppato una variante della concezione etica conosciuta come error theory. S.
sostiene che le credenze concernenti la nostra presunta libertà sebbene siano per noi insopprimibili,
sono semplicemente false; dunque la libertà è una mera illusione. L’esperienza soggettiva della
libertà è una componente essenziale della libertà, ma Strawson fa notare che, pur essendo

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condizione necessaria per il godimento della libertà, non ne è condizione sufficiente. Perché si
possa dire che noi siamo liberi, sarebbe anche necessario che la libertà fosse una proprietà reale del
mondo, ma certamente non è così, quindi la libertà non esiste.

Come abbiamo visto se è vero l’indeterminismo causale non sembrerebbe che gli agenti possano
autodeterminarsi; se invece è vero il determismo causale parrebbe che non ci sia spazio per la
possibilità di fare altrimenti. Dunque la libertà è impossibile. Aderire allo scettismo sembra quindi
la giusta risposta al problema, ma la domanda da porsi è se tale radicale scetticismo sia ineludibile o
se invece non si possono tentare nuove vie.

4.Libertà e responsabilità
Molti filosofi si interessano al concetto di libertà perché ritengono che esso sia essenziale per la
definizione di un altro concetto fondamentale in ambito etico, giuridico, politico e religioso: il
concetto di responsabilità. E’ intuitivo pensare che l’imputazione nei confronti di un agente sia
legata strettamente all’assunzione secondo la quale tale agente ha agito liberamente: sarebbe
ingiusto, in effetti, ritenere responsabile di una determinata azione una persona che non poteva fare
nulla per evitarla. Noi ci sentiamo responsabili per le scelte e le azioni che compiam, per i giudizi
che esprimiamo. Ciò non significa, naturalmente, che tutti gli esseri umani siano responsabili per le
proprie azioni, né che vi siano alcuni di noi che sono responsabili in tutte le occasioni. Quando
tuttavia da queste considerazioni, sostanzialmente non controverse, si passa a consoderare il
concetto di responsabilità più da vicino, si scopre che è molto più complesso di quanto non appaia a
prima vista. Le nostre attribuzioni di responsabilità presuppongono che l’agente avrebbe potuto
evitare di compiere l’azione che di fatto ha compiuto e che l’abbia compiuta deliberamente, e ciò
equivale a dire che per agire responsabilimente un agente debba essere libero nel compiere le
proprie azioni. Si può inferire quindi che la responsabilità presuppone la libertà. Ma se è così, per
spiegare la responsabilità occorre prima spiegare la libertà, e come abbiamo visto la possibilità
stessa della libertà costituisce un problema filosofico tra i più complessi, è ragionevole attendersi
che un’analoga problematicità si comunica anche al concetto di responsabilità. L’enigma della
responsabilità è dunque una conseguenza dell’enigma della libertà: se le nostre azioni sono
inevitabili (determinismo causale) non è ragionevole ritenere che noi ne siamo responsabili in
quanto non avremmo potuto fare altrimenti; se le nostre azioni, invece, sono casuali
(indetrminismo) non c’è ragione di pensare che noi avremmo potuto fare alcunchè per evitarle, e
anche in questo caso, non siamo responsabili di esse. Dar conto del concetto di responsabilità si
presenta un compito arduo.

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Su questa base, non sorprende che negli ultimi anno molti autori si siamo mostrati scettici sull’idea
di responsabilità. Autori come Weller, Double e Honderich sostengono che , al pari della libertà,
l’idea di responsabilità è meramente illusoria. Una via per sfuggire allo scetticismo potrebbe essere
quello di slegare il concetto di libertà da quello di responsabilità. Ma prima di analizzare nello
specifico questa alternativa e bene fare delle premesse preliminari sul concetto di responsabilità.
Forme della responsabilità
Una prima distinzione che occorre fare è quella tra:
1. Responsabilità causale: riguarda gli eventi e solo in maniera subordinata le entità (es. la
caduto di un fulmine su un ripetitore);
2. Responsabilità personale: concerne le persone considerate in quanto agenti. In particolare, in
questo caso, essere responsabili di qualcosa vuol dire avere un dovere o un abbligo verso
quel qualcosa;
3. Responsabilità collettiva: essa riguarda non gli individui in quanto tali, ma in quanto enti
collettivi (associazioni, corporazioni ecc.).
La nozione rilevante in questo contesto è la responsabilità personale, intesa in senso sia positivo
che negativo: si può essere responsabili tanto di azioni lodevoli quanto di azioni biasimevoli. Inoltre
un primo punto di vista riguarda le azioni effettivamente compiute da un agente e per questo ne
siamo responsabili. Un diverso punto di vista concerne eventi non ancora avvenuti, verso i quali
l’agente -a causa delle mansioni che svolge o occupa nella società- ha un certo dovere.
Esistono diverse forme di responsabilità personale, quelle in questo contesto più rilevanti sono: la
responsabilità morale e la responsabilità legale. Sebbene tra responsabilità morale e legale vi siano
delle sovrapposizioni, la responsabilità morale non è condizione né necessaria né sufficiente della
responsabilità penale.
Responsabilità e utilità sociale
Due sembrano essere le condizioni fondamentali per l’attribuzione di responsabilità: 1) che l’agente
abbia agito consapevolmente 2) che non sia stato costretto a compiere una certa azione. Nei casi in
cui almeno una di queste due condizione non si verifica l’agente può essere esonerato
dall’imputazione di responsabilità morale e quindi scusato. Quindi nel caso in cui un agente sia
oggetto di fattori coercitivi (patologie, suggestione) , in quanto fanno sì che l’agente non possa fare
altrimenti, sono considerati valide ragioni per esonerarlo dalla resp. morale. Se ciò è vero, allora il
determinismo -poiché implica che gli agenti possano essere sempre scusati per le loro azioni in
quanto non potevano non compierle- è incompatibile, oltre che con la libertà anche con la
responsabilità.

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Clarence Darrow, celebre avvocato, si servì di tale argomento per affermare che nessun criminale
può essere considerato veramente responsabile per i propri reati: poiché non siamo liberi di
scegliere e agire, non siamo nemmeno responsabili per le azioni che compiamo né meritiamo le
punizioni che ne derivano. Anche Schlick e Dennet si trovano in accordo con questa posizione.
Secondo loro, non ha senso dire che i criminali meritano le pene loro attribuite o che queste sono la
giusta retribuzione per il loro reati. Le pene, piuttosto, si giustificano per la loro utilità sociale, in
quanto misure rieducative per i criminali.
In tal modo la nozione di libertà viene definita esclusivamente in termini pragmatici, non vi è
dunque alcun nesso tra responsabilità e libertà.
La terza via di Peter F. Strawson
Peter F. Strawson in un celebre articolo, pubblicato nel 1962, Freedom and Resentment, propone
un’alternativa all’utilità sociale e al concetto tradizionale di responsabilità, il suo obiettivo è quello
di dimostrare che la nozione di responsabilità è compatibile con il determinismo.
Per farlo critica le due teorie sopracitate:
-Critica all’utilità sociale: non è in grado di cogliere la vera natura dei giudizi di responsabilità, in
quanto perde di vista i sentimenti e gli atteggiamenti che vengono espressi, giustificati mediante
l’attribuzione di responsabilità e le connesse pratiche comunicative. (?)
-Critica al concetto tradizionale di responsabilità: i libertari ritengono che la libertà sia prerequisito
essenziale della responsabilità e che in un mondo deterministico non vi sia spazio né per l’una né
per l’altra. Secondo S. questa concezione ricerca un’impossibile giustificazione esterna ai
sentimenti morali, laddove sono proprio questi sentimenti che esprimono la responsabilità (?)

Strawson, nell’elaborare la sua teoria, parte dal concetto secondo cui la responsabilità è inscindibile
dagli atteggiamenti reattivi e dai sentimenti morali mediante il quale rispondiamo ai
comportamenti degli altri individui: sono questi atteggiamenti che per così dire strutturano
socialmente la nozione di responsabilità. S. elabora una tassonomia (classificazione sistematica)
degli atteggiamenti e delle pratiche (morali, psicologiche e legali) con cui rispondiamo alle azioni
degli altri.
 Atteggiamenti reattivi non distaccati: quando tali atteggiamenti e pratiche si riscontrano in
azioni in cui siamo personalmente coinvolti. E’ questo il caso dei sentimenti di gratitudine e
di risentimento, dell’amore e dell’odio, che nascono in noi in risposta al modo in cui gli altri
si pongono nei nostri confronti.
 Atteggiamenti reattivi distaccati: quando reagiamo al modo in cui gli altri si pongono non
verso di noi, ma verso un terzo. In questo caso il nostro interesse o la nostrà dignità non

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sono in gioco e noi possiamo collocarci al di sopra delle parti, in quanto non siamo
emotivamente coinvolti.
 Atteggiamenti reattivi autoreferenti: sono associati al modo in cui noi reagiamo al nostro
stesso comportamento, come quando ci sentiamo in debito verso qualcuno, proviamo
rimorso o orgoglio per le nostre azioni.
Nota S. che questi tre diversi tipi di atteggiamenti sono strettamente interdipendenti tra loro.
Esistono situazioni, continua S., in cui gli individui sospendono i loro normali atteggiamenti reattivi
nei confronti di agenti ritenuti responsabili di azioni per cui, vengono scusati o giustificati (detto
diversamente ci sono situazioni in cui riteniamo che alcuni agenti non siano responsabili delle
proprie azioni).Tali situazioni appartengono a due categorie:
1) Sospensione limitata: quando un agente non aveva intenzione di compiere un’azione che di
per sé sarebbe biasimevole o non gli era possibile evitare di compierla o non conosceva gli
effetti che ne sarebbe seguiti. In tutti questi casi l’agente, pur venendo scusato, continua ad
essere considerato pienamente responsabile delle proprie azioni.
2) Sospensione temporanea o permanente: quando non riguarda solo una particolare azione
compiuta da un agente, ma è generale. E’ temporanea quando ad esempio scusiamo un
agente per le azioni che compie in situazioni di particolare stress emotivo o sotto effetto di
droghe. Permanente nel caso in cui alcuni agenti sono affetti da alcune patologie.

Il punto cruciale della discussione è che secondo i libertari (i quali che credono che la responsabilità
presupponga la libertà) un’ eventuale dimostrazione del determinismo varrebbe da scusante
universale e perpetua. Notano i libertari, che se accettiamo l’idea che alcuni individui non sono
responsabili, in quanto li riteniamo incapaci di controllare le proprie azioni, non si vede allora il
motivo per cui noi non dovremmo fare altrettanto con tutti gli individui. Quindi, secondo i libertari,
sarebbe per noi razionale rinunciare a tutti gli atteggiamenti reattivi e alle attribuzioni di
responsabilità che ne dipendono.
Per S., al contrario, ciò sarebbe errato, perché è illecito generalizzare a partire dal caso
dell’irresponsabilità di specifici individui patologici.

Strawson per dimostare che il determinismo è compatibile con la responsabilità sviluppa due
strategie:
Strategia razionalistica
Secondo i libertari se il determinismo fosse vero, sarebbe per noi razionale rinunciare a tutti gli
atteggiamenti reattivi e alle attribuzioni di responsabilità. Quindi in una tale situazione dovremmo

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assumere, sempre e per tutti, l’atteggiamento oggettivo che normalmente usiamo nei confronti
degli individui affetti da gravi disturbi psichici.
Secondo Strawson invece, al contrario, sarebbe razionale conservare l’intero sistema degli
atteggiamenti reattivi, anche nel caso in cui si dimostrasse vero il determinismo. Continua S. che
l’anormalità (riferito alla sospensione degli atteggiamenti reattivi nei confronti di soggetti
patologici) può essere percepita solo presupponendo la normalità.
Critica
S. sbaglia nel pensare che ciò rappresenti un problema per il libertario. Questi infatti non afferma
che se il determinismo fosse vero, siamo tutti anormali, ma piuttosto che siamo incapaci di agire
liberamente.

Un’altra obiezione mossa da S. nei confronti del libertarismo è che a suo giudizio la razionalità di
una decisione va valutata considerando i guadagni e le perdite che ne deriverebbero. Ma quale
potrebbe essere mai l’arricchimento che deriverebbe dall’abbandono delle nostre consuete modalità
d’interazione sociale e valutazione morale? Un tale abbandono comporterebbe una svalutazione
delle nostre vite.
Critica
Questo argomento si fonda su una concezione troppo utilitaristica della razionalità: tale concezione,
infatti, contraddice una nostra nitida intuizione secondo la quale il perseguimento della verità e
della conoscenza è una componente essenziale del nostro essere razionali.
Strategia naturalistica
Secondo la tesi di tale strategia è un fatto naturale che noi non potremo mai abbandonare il sistema
di sentimenti morali, gli atteggiamenti reattivi e le attribuzioni di responsabilità. In tal modo se
anche un giorno ci convinceremo del determinismo, abbandonare tale sistema sarebbe di fatto per
noi impossibile. Secondo Strawson la rete di sentimenti morali è un elemento costitutivo essenziale
della nostra vita sociale.
Critica
Tale argomento non risulta essere convincente, infatti, se un giorno il determinismo verrà accettato
universalmente, questo non potrebbe alterare il nostro naturale coinvolgimento, un coinvolgimento
che non sarebbe più razionale: insorgerebbe infatti un conflitto tra ciò che in tale situazione sarebbe
per noi razionale fare e ciò che invece ci verrebbe naturale fare. Laddove sarebbe razionale,
sostenere che gli agenti non sono responsabili delle proprie azioni, noi naturalmente tenderemmo a
riternerli tali. Inoltre la visione naturalistica proposta da S. non è universalmente condivisa :

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secondo alcuni infatti se il determinismo venisse accettato, il nostro mondo si trasformenrebbe
radicalmente, le nostre parole, i nostri modi di parlare di pensare cambierebbero.

La conclusione è che in questo ambito le nostre intuizioni non sono chiare a sufficienza, né in un
senso né nell’altro, dunque non possiamo fondarci su di esse per capire che cosa faremmo di fatto se
scoprissimo la verità del determinismo.
Harry Frankfurt contro il principio della possibilità di fare altrimenti
I libertari, in particolare Chisholm, sostengono che se una scelta ( da noi compiuta) è tale che non
avremmo potuto evitare di compierla, allora tale scelta è tale che noi non ne siamo moralmente
responsabili, dunque la possibilità di fare altrimenti è condizione necessaria della responsabilità
morale. Tuttavia in un saggio del 1969, Harry Frankfurt, sostiene che tale principio , da lui definito
“principio delle possibilità alternative”, è falso. Per dimostrarne la falsità ricorre ad un
esperimentale mentale. Esperimento pag. 120-121.
Il punto importante dell’esperimento è che sebbene Rossi sia responsabile della propria scelta e
della propria azione, non era in suo potere scegliere o agire altrimenti. Da una parte, infatti, Rossi
ha scelto e agito autonomamente e dunque è responsabile della propria condotta; dall’altra parte,
egli non avrebbe potuto compiere scelte o azioni diverse da quelle che ha effettivamente compiuto.
Egli pur essendo responsabile non avrebbe potuto fare altrimenti: dunque “principio delle possibilità
alternative” è confutato.
L’obiettivo di Frankfurt non è stabilire se gli esseri umani siano liberi, ma in quale senso essi siano
responsabili. Questo argomento intende proprio mostare che la questione della responsabilità
morale può essere discussa indipendentemente dalla questione della libertà. Un agente può essere
ritenuto responsabile di una scelta purchè tale scelta o azione dipenda da una sua autonoma
decisione. Se la tesi di Frankfurt è corretta, allora se il determinismo fosse incompatibile con la
libertà,come affermano i libertari, da ciò non seguirebbe affatto l’incompatibilità del determinismo
con la responsabilità morale.
Critica
Se Frankfurt fosse nel giusto, la nozione di responsabilità morale, in quanto concettualmente
indipendente dalla nozione di libertà, sarebbe al riparo dai problemi. L’unica condizione per il darsi
della responsabilità sarebbe l’autodeterminizaione da parte degli agenti: una condizione che sembra
essere compatibile con il determinismo. Secondo il prof però F. non è nel giusto. In primo luogo,
non è chiaro se Rossi sia effettivamente responsabile: potrebbe essere affetto da una particolare
patologia, e dunque egli a quel punto non sarebbe responsabile. In secondo luogo se consideriamo

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Rossi responsabile quando ruba il portafoglio- e quindi lo scienzato che vigila passivamente non ha
alcun effetto su di lui- la responsabilità di Rossi parrebbe essere presupposta ma non dimostrata.
Quindi F. prova: se Rossi è responsabile di quella sua specifica azione, egli rimane responsabile
anche quando gli manca la possibilità di fare altrimenti. Il punto cruciale allora è comprendere in
quali condizioni Rossi possa essere preliminarmente responsabile, a prescindere dal potenziale
intervento dello scienziato.
Dunque sia Strawson e Frankfurt, così come l’utilitarismo, falliscono nello sganciare la nozione di
responsabilità dalla nozione di libertà, quindi per salvare l’idea della responsabilità è necessario
risolvere l’enigma della libertà.

5.Libertà e pluralismo
Prima di rassegnarci ad uno scetticismo tanto radicale, è doveroso domandarci se è possibile trovare
un argomento che possa soddisfare le due condizioni essenziali per la libertà. Secondo il prof è
possibile trovarvi una soluzione, abbandonando il naturalismo scientifico (a cui fanno riferimento
gli scettici) per un naturalismo più moderato avvalendosi di una prospettiva agenziale. Questa
prospettiva considera gli esseri umani come agenti e che a tali agenti vada attribuita la
responsabilità di ciò che fanno. Tale prospettiva è irrinunciabile anche nel caso in cui scoprissimo
che tutti i comportamenti sono causalmente determinati. La soluzione proposta in questo capitolo
per risolvere l’enigma della libertà si chiama Argomento dell’abduzione, il quale si propone di
provare che noi siamo liberi. Esso consta di tre premesse:
Premessa I, detta tesi di von Wright. I concetti che usiamo nel descrivere gli esseri umani secondo
la prospettiva agenziale (ragioni, scelte, desideri, credenze ecc.) rimandano intrensecamente all’idea
di libertà . Essere agenti implica essere liberi.
Premessa II, detta tesi Davidson. La maggior parte delle spiegazioni delle scienze umane (cui ci
riferiamo per spiegare un gran numero di fenomeni riguardanti la vita umana) incorporano
costitutivamente e ineliminabilmente i concetti agenziali, e dunque, per loro tramite, rimandano
all’idea della libertà umana.
Premessa III. A partire da spiegazioni delle scienze umane si può costruire un’abduzione o
inferenza alla miglior spiegazione in favore della libertà.
Conclusione. E’ razionale accettare l’idea della libertà umana, in quanto essa è implicata nelle
spiegazioni delle scienze umane.
L’argomento sembra valido, quindi per accettare la conclusione occorre provare che le premesse
siano vere.

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Tesi di von Wright
Tesi: Tutti i concetti usati per descrivere e spiegare le azioni di un uomo –motivo, ragione,
intenzione ecc- sono legati all’idea di libertà.
Per provare che questa tesi è corretta, si può cercare di mostrare che una spiegazione dei
comportamenti di un agente, per mezzo dei concetti agenziali, implica che quell’agente da una parte
si autodetermini e dall’altra possa fare altrimenti. Analizziamole separatamente:
Azione / Autodeterminazione  Le azioni sono un tipo particolare di eventi: esse, si possono
spiegare e descrivere riconducendole alle ragioni per cui gli agenti le compiono, dunque le azioni
umane possono essere spiegate e descritte solo attraverso il vocabolario agenziale. Tuttavia il fatto
che azioni le possano essere spiegate in riferimento alle ragioni per cui sono state compiute, non
basta per provare che esse sono autodeterminate. Se si vuole concludere che le ragioni determinano
le azioni, bisogna provare che le ragioni sono anche cause determinanti delle azioni. Davidson nota
che per ogni azione si può offrire un numero indefinito di ragioni potenzialmente idonee a spiegarla.
Tra le spiegazioni possibili vi sono quelle corrette e scorrette. Ma allora come potremmo operare la
distinzione tra spiegazioni corrette o scorrette, se non ammettendo che la spiegazione corretta è
quella che individua tra tutte le ragioni potenzialmente attribuibili all’agente, quelle a causa delle
quali ha computi quell’azione? Si può quindi concludere che gli agenti determinano le proprie
azioni, ovvero si autodeterminano.
Azione / Possibilità di fare altrimenti  I concetti agenziali hanno carattere normativo, e in quanto
tali presuppongono che l’agente valuti i diversi corsi d’azione possibili e opti per uno di essi:
l’opzione scelta può essere giusta o sbagliata, ciò che conta è che essa, non sia l’unica scelta
possibile. Ogni qual volta attribuiamo razionalità ad un certo agente, noi presupponiamo che egli
possa scegliere e agire diversamente da come di fatto sceglie ed agisce, presupponiamo cioè che
egli scelga uno tra i possibili corsi d’azione che gli si aprono davanti, ma potrebbe anche scegliere
diversamente. Le attribuzioni di razionalità sono essenziali per ogni processo interpretativo
(comprendere il senso di ciò che un agente fa e dice). Se dunque l’interpretazione deve essere
possibile, devono esserlo anche le attribuzioni di razionalità; dunque deve avere senso l’idea che gli
agenti, nella misura in cui sono razionali, avrebbero potuto scegliere ed agire diversamente da come
di fatto hanno scelto e agito.
La I premessa è quindi provata.

La tesi di Davidson

Tesi: La maggior parte delle spiegazioni delle scienze umane (cui ci riferiamo per spiegare un gran
numero di fenomeni riguardanti la vita umana) incorporano costitutivamente e ineliminabilmente i
concetti agenziali.

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Le scienze umane si prefiggono l’obiettivo di connettere le azioni umane alle ragioni, alle
prospettive, alle determinazioni, alle scelte in virtù delle quali gli agenti compiono le proprie azioni.
Le spiegazioni naturalistiche, secondo Davidson, non possono svolgere questo compito.
Secondo Davidson quando descriviamo una sequenza di eventi in termini mentalistici (cioè quando
diciamo che un agente agisce a causa di determinati desideri) stiamo dando una spiegazione che è in
linea di principio irruducibile ai principi della scienza. Questo perché i concetti intenzionali che si
usano quando si adotta la prospettiva agenziale hanno carettere olistico (sono cioè necessariamente
interrelate) e normativo (sono sottoposti a vincoli di correttezza). Nel sistema concettuale delle
scienze fisiche non vi sono tali caratteristiche , dunque è impossibile ridurre la prospettiva agenziale
a quella oggettivistica delle scienze naturali.
Tale argomento è però controverso, ma poiché per quanto possiamo giudicare attualmente, la
spiegazione delle scienze umane fanno stabilmente riferimento alle categorie agenziali, allora la tesi
di Davidson può essere considerata corretta.
Inferenza alla miglior spiegazione
L’ inferenza alla miglior spiegazione o abduzione è una forma di ragionamento, grazie alla quale si
accetta un’ipotesi che spiega nel modo migliore un determinato fenomeno. Le conclusioni tratte
sulla base di un’inferenza alla miglior spigazione rimangono, però, sempre revocabili. Nulla può
escludere infatti, che in seguito la teoria su cui esse si basano venga screditata o falsisficata, che
essa cessi di fornire la migliore spiegazione nel proprio ambito.
Negli ultimi decenni i filosofi hanno spesso fatto uso di inferenze alla miglior spiegazione, e per
quanto vi siano criteri diversi per rispondere alla domanda “Qual è la migliore teoria per spiegare il
fenomeno x?”, scelti in base ad elementi anche arbitrari, si può concludere che sia più che lecito
trarre conclusioni per abduzione.
Un nuovo libertarismo
Le scienze umane incorporano necessariamente i concetti agenziali, che a loro volta rimandano
intrinsecamente all’idea di libertà. Poiché le spiegazioni delle scienze umane sono le uniche in
grado di dare conto di una parte di realtà per noi essenziale, quella abitata dagli agenti, non
possiamo non accettarle. Ma così facendo ne dobbiamo accettare tutte le implicazioni ontologiche e
in particolare il richiamo alla libertà. E ciò prova che vi è un argomento che suffraga la libertà.
Ma quale concezione di libertà è compatibile con un tale argomento?
Si va delinenado una nuova versione del libertarismo, in particolare di agent causation. Come
abbiamo visto secondo la prospettiva agenziale incorporata nelle scienze umane, gli agenti si
autodeterminano. D’altra parte, che questa concezione abbia carattere libertario è evidente anche dal
fatto che essa richieda che gli agenti possano fare altrimenti.

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Ma sappiamo che il libertarismo, è oggetto di non poche obiezioni come superarle?
Le obiezioni principali visti nel primo capitolo sono:
 Il costante rischio di riformulare ipotesi metafisicamente oscure;
 L’apparente incapacità di spiegare come gli agenti possano controllare le azioni che
compiono (ovvero l’autodeterminazione, II condizione necessaria per i libero arbitrio),
 Il pericolo di cadere in un regresso all’infinito nella definizione del momento in cui la
libertà si esplica;
 La difficoltà di localizzare il cruciale momento indeterministico nel processo che induce al
compimento di un’azione.

La prima obiezione è facilmente eludibile, perché la concezione qui presentata non ha fondamenti
esclusivamente metafisici, ma si radica saldamente nel piano delle scienze umane.
Per quanto riguarda le altre obiezioni, la concezione qui difesa risponde in modo drastico: invece di
modellare la concezione della libertà sulle teorie naturalistiche della causalità e dell’ontologia
occorre operare nella direzione opposta. Occorre cioè concepire la causalità e l’ontologia in modo
che esse incorporino ciò che le spiegazioni agenziali ci mostrano: ovvero che gli agenti operano per
mezzo di una forma peculiare di causalità –non riducibile alla causalità fisica- che garantisce
l’autodeterminazione e la possibilità di fare altrimenti. La sfida diviene allora quella di mostrare che
tale concezione ontologica e causale pluralistica non rimanda a obsolete forme metafisiche
incompatibili con la visione scientifica del mondo. (Hilary Putnam e John Duprè)

Vi sono altre possibili critiche, da parte dei sostenitori del naturalismo scientifico, verso
l’argomento dell’abduzione:
1. Non si possono trarre inferenze ontologiche dalle scienze umane.
2. La prospettiva agenziale incorporata nelle scienze umane riufita la visione naturalistica del
mondo.
3. Questa concezione della libertà vìola un principio fondamentale: la “chiusura causale del
mondo fisico”. Secondo questo principio tutte le relazioni causali devono esemplificare una
legge fisica.
4. Un pluralismo onotologico e causale è insostenibile perché comporta la violazione di leggi
fisiche fondamentali.
Come rispondere a queste critiche?
1)Un punto importante è che l’argomento dell’abduzione assume che si possano trarre inferenze
ontologiche dalle scienze umane, e questa è una affermazione per molti illecita. Più di un autore

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sostiene che le scienze vanno distinte: vi sono quelle di prima classe come la fisica e quelle di
seconda classe come le scienze umane e sociali. Secondo questo punto di vista soltanto le teoria di
prima classe possono dare indicazioni ontologiche, cioè possono veramente dare conto di come è
fatto il mondo. In realtà il presunto divario tra mondo umano e mondo della natura non è che una tra
le molte discontinuità di cui il nostro sistema scientifico ci dà testimonianza. Basti pensare alla
fisica, che al suo interno mostra una frattura tra il mondo macrofisico e quello microfisico.
2) L’idea del monismo ontologico è sostanzialmente un mito la cui plausibilità è basata su quella di
un altro mito: quello dell’unità della scienza ( il metodo della scienza) sia dal punto di vista
metodologico che di contenuto. Tale tesi si chiama fisicalismo. Secondo il prof. il fisicalismo oggi
non è provato e dunque si può adottare la prospettiva agenziale come punto di vista legittimo sulla
realtà del mondo, poiché il mondo naturale per quanto ne sappiamo appare tanto variegato quanto
poco unitario e così poco monistico.
3)? Pag 152/153
4)Quest’affermazione presuppone la correttezza del fisicalismo, che come abbiamo visto non risulta
essere corretto.

Conclusione
Il pluralismo ontologico e causale merita di essere preso in considerazione, perché tale concezione
ha il pregio di restituirci un’idea di libertà assai meno misterioso e illusoria di quanto oggi si creda.
E questa è una virtù che non dovrebbe essere sottovalutata.

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