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Il caso Cesare Battisti: quello che i media non dicono Pagina 1 di 14

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Cesare Battisti: quello che i


media non dicono

di Wu Ming 1

" Non posso nascondere la mia amarezza


vedendo riemergere certe accuse alla
magistratura italiana che, come disse
allora Pertini, tanto contribuì a fermare il
terrorismo, rispettando la costituzione e le
regole del processo."
Armando Spataro, La Repubblica, 8 marzo
2004

"Di fronte ad una situazione d'emergenza [...] Parlamento e

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Governo hanno non solo il diritto e potere, ma anche il preciso ed


indeclinabile dovere di provvedere, adottando una apposita
legislazione d'emergenza"
Sentenza 15/1982 della Corte costituzionale.

Dopo la messa in libertà vigilata di Cesare Battisti, in quel di


Parigi, i media italiani si sono scatenati, rovesciando sull'opinione
pubblica tutto il metallo fuso per anni negli altiforni del rancore,
della vendetta, dell'ossessione securitaria.
E' impossibile fare un resoconto di tutte le distorsioni e le falsità
scritte e trasmesse nell'ultima settimana. Non c'è articolo, per
quanto breve, che non ne contenga decine. Persino i dettagli
apparentemente insignificanti sono sbagliati. Episodi e personaggi
che nulla c'entrano col caso in oggetto vengono gettati nel
calderone per intorbidire la brodazza, scatenare il panico morale,
impedire a ogni costo l'uso della ragione.
Un killeraggio mediatico come non se ne vedevano da parecchio
tempo, al quale è faticosissimo opporre argomenti ed elementi
concreti, ricostruzioni storiche minimamente approfondite.
Eppure non si può rinunciare a esercitare la ragione, non ci si può
chinare e coprire la testa con le mani in attesa che passi la
burrasca. Fosse anche un'impresa disperata, occorre esercitare la
ragione contro il fanatismo.
Non va taciuto che, in questo Paese, chi continua a opporsi agli
scoppi di emergenze strumentali è destinato a sentirsi solo: è una
di quelle campagne in cui devi coprirti su entrambi i fianchi, il
destro (ça va sans dire) e il sinistro. Da entrambe le parti, gli
argomenti (anche se è difficile chiamarli così) sono i medesimi.
La cosa non deve sorprendere: parlare di emergenza-terrorismo
significa tornare su storture giuridiche, strappi costituzionali e
prassi inquisitorie che il PCI di fine anni Settanta (quello del
"compromesso storico" e della "solidarietà nazionale") sostenne
con entusiasmo e abnegazione. La stessa gente, oggi, dirige il
centrosinistra. O meglio, dirige quella parte di centrosinistra che, a
mo' di struzzo, ha da poco messo la testa sotto la sabbia irachena,
non votando contro la partecipazione dell'Italia all'occupazione
neo-coloniale della Mesopotamia.
La stessa gente ha da tempo delegato a una sezione di
magistratura inquirente le fatiche di un'opposizione al governo
B******** che in Parlamento non si è in grado di condurre
(quando proprio non ci si rifiuta di farlo per inseguire il "dialogo",
la "responsabilità di fronte alle istituzioni" e l'inciucio bipartisan del
momento).
Molte "toghe rosse" (come le chiama B********) sono le stesse
che istruirono e condussero i grandi processi contro il terrorismo
(vero e presunto: nel tritacarne ci finirono anche i movimenti di
quegli anni). A sinistra è tuttora egemone la visione della storia di
chi scrisse e approvò le leggi d'emergenza, e di chi rappresentava
l'accusa ai processi che ne derivarono.
Non è sorprendente che chi prese e difese posizioni tanto drastiche

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allora sia poco disposto a tornarci sopra oggi per darsi qualche
torto, o almeno rimettere in prospettiva le ragioni. Anche perché a
destra ci si dà impudicamente al grand guignol, si sparano le
frattaglie con l'obice per inzaccherare di sangue tutto il campo
della discussione, si strofinano con le cipolle gli occhi dei
telespettatori. Con l'arma dell'emozione incontrollata e del ricatto
morale, si richiama all'ordine la sinistra "riformista", la si spinge a
condannare la sinistra "radicale", a dividere il campo
dell'opposizione. Non che i "riformisti" abbiano bisogno di troppe
spinte...
In questo modo, però, si condanna il Paese all'eterna paura dei
fantasmi del passato, passato che in realtà non passa ed è evocato
per motivi di bassa cucina politico-elettorale.

1. Le leggi speciali 1974-82

"Questo libro l'ho scritto con rabbia. L'ho scritto tra il 1974 e il
1978 come contrappunto ideologico alla legislazione
sull'emergenza. Volevo documentare quanto fosse equivoco
fingere di salvare lo Stato di Diritto trasformandolo in Stato di
polizia."
Italo Mereu, Prefazione alla seconda edizione di Storia
dell'intolleranza in Europa, corsivo mio.

Chi dice che il terrorismo fu combattuto senza rinunciare alla


Costituzione e alle garanzie per l'imputato è disinformato oppure
mente. La Costituzione e la civiltà giuridica furono sbrindellate
decreto dopo decreto, istruttoria dopo istruttoria.
Il decreto-legge n.99 dell'11/4/1974 aumentò a otto anni la
carcerazione preventiva, vera e propria "pena anticipata" contraria
alla presunzione d'innocenza (art.27 comma 2 della Costituzione).
La legge n.497 del 14/10/1974 reintrodusse l'interrogatorio
del fermato da parte della polizia giudiziaria, abolito nel 1969.
La legge n.152 del 22/5/1975 ("Legge Reale") all'art.8 rese
possibile la perquisizione personale sul posto senza
l'autorizzazione di un magistrato, nonostante la Costituzione
(art.13, comma 2) non ammetta "alcuna forma di detenzione, di
ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione
della libertà personale, se non per atto motivato dell'autorità
giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge".
Da quel momento le forze dell'ordine poterono (e possono tuttora)
perquisire persone il cui "atteggiamento" o la cui presenza in un
dato posto non apparissero "giustificabili", anche se la Costituzione
(art.16) dice che il cittadino è libero di "circolare liberamente"
dove gli pare.
La "legge Reale" conteneva molti altre innovazioni liberticide, ma

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non è questa la sede per esaminarle.


Un decreto interministeriale del 4/5/1977 istituì le "carceri
speciali". Per chi ci finiva dentro non valeva la riforma carceraria di
due anni prima. Il trasferimento in una di quelle strutture era a
totale discrezione dell'amministrazione carceraria, non c'era
bisogno del parere del giudice di sorveglianza. Si trattava
addirittura di un peggioramento del regolamento carcerario
fascista del 1931: all'epoca, solo il giudice di sorveglianza poteva
mandare un detenuto alla "casa di rigore". La rete delle carceri
speciali divenne presto una zona franca, di arbitrio e negazione dei
diritti dei detenuti: lontananza dalla residenza delle famiglie; visite
e colloqui a discrezione della direzione; trasferimenti improvvisi
per impedire socializzazioni, divieto di possedere francobolli
(l'Asinara); isolamento totale in celle insonorizzate, ciascuna con
un cortiletto per l'ora d'aria separato dagli altri (Fossombrone);
quattro minuti per fare la doccia (l'Asinara), sorveglianza continua
e perquisizioni corporali quotidiane; privazione di ogni contatto
umano anche visivo tramite citofoni e completa automazione di
porte e cancelli etc.
Questi erano i posti in cui gli inquisiti, a norma di legge ancora
innocenti, scontavano la carcerazione preventiva. La Costituzione,
all'art. 27 comma 3, recita: "Le pene non possono consistere in
trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla
rieducazione del condannato". Verso quale rieducazione tendeva il
trattamento appena descritto?
La legge n.534 dell'8/8/1977, art.6, limitò le possibilità da
parte della difesa di dichiarare nullo un processo per violazione
delle garanzie dell'imputato, e rendendo più sbrigativo il sistema
delle notifiche facilitò l'avvio di processi in contumacia (in
contrasto con il diritto di difesa e contro la Convenzione europea
dei diritti dell'uomo, che è del 1954).
Il "decreto Moro" del 21/3/1978, oltre ad autorizzare il
fermo di polizia di ventiquattro ore a fini di identificazione, eliminò
il limite di durata delle intercettazioni telefoniche, rese le
intercettazioni legali anche senza permesso scritto del magistrato,
le ammise come prove anche in processi diversi da quello per cui
le si era autorizzate, infine rese autorizzabili intercettazioni
"preventive", anche in assenza di indizi di reato. Inutile ricordare
che la Costituzione (art.15) definisce inviolabile la corrispondenza
"e ogni altra forma di comunicazione" se non per "atto motivato"
dell'autorità giudiziaria "con le garanzie stabilite dalla legge".
Il 30/8/1978 il governo (violando l'art.77 della Costituzione)
emanò un decreto segreto, che non fu trasmesso al Parlamento, e
venne pubblicato sulla "Gazzetta ufficiale" soltanto un anno dopo.
Il decreto dava al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa - senza
togliergli l'incarico di garantire l'ordine nelle carceri - poteri
speciali per combattere il terrorismo.
Il decreto del 15/12/1979 (divenuto poi la "legge Cossiga",
n.15 del 6/2/1980), oltre a introdurre nel codice penale il
famoso art. 270bis [1], autorizzò, per i reati di "cospirazione

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politica mediante associazione" e di "associazione per delinquere",


il fermo di polizia preventivo della durata di 48 ore, più altre 48
ore a disposizione per giustificare il provvedimento. Per quattro
lunghi giorni un cittadino _sospettato di essere in procinto di
cospirare_, poteva rimanere in balìa della polizia giudiziaria senza
l'obbligo di informare il suo avvocato. Durante quel periodo poteva
essere interrogato e perquisito, e in molti casi si è parlato di
violenze fisiche e psicologiche (Amnesty International protestò
diverse volte). Tutto questo all'art.6, una norma straordinaria della
durata di un anno.
All'art.9 la legge rendeva possibili le perquisizione "per causa
d'urgenza" anche senza mandato. La Costituzione, art.14, recita:
"Il domicilio è inviolabile. Non vi si possono eseguire ispezioni o
perquisizioni o sequestri, se non nei casi e nei modi stabiliti dalla
legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà
personale" (corsivo mio). Che tutela della libertà c'è in un sistema
dove viene legalizzato l'arbitrio, il "tiramento di culo" del poliziotto,
la facoltà di decidere sul momento se per una perquisizione sia
necessario o meno un mandato?
All'art.10, i termini della carcerazione preventiva per reati di
terrorismo venivano estesi di un terzo per ogni grado di giudizio.
In quel modo, fino alla Cassazione, si poteva arrivare a dieci anni
e otto mesi di detenzione in attesa di giudizio! All'art.11, si
introduceva un grave elemento di retroattività della legge,
ordinando di applicare i nuovi termini della carcerazione preventiva
anche ai procedimenti già in corso. Il fine era chiaro: impedire che
decorressero i termini, e che centinaia di sepolti vivi attendessero
il giudizio a piede libero.
La "legge sui pentiti" (n.304 del 29/5/1982) coronò la
legislazione d'emergenza concedendo sconti di pena ai "pentiti". Il
testo parlava di "ravvedimento". In un libro che negli ultimi giorni
viene citato molto spesso (in Rete, non certo sui media
tradizionali), Giorgio Bocca si chiedeva chi fosse mai il "pentito":

"Uno che per convinzioni politiche si è unito al partito armato e


che poi, per ripensamenti politici, se ne è dissociato al punto di
combatterlo, o qualsiasi avventurista che prima si diverte a
uccidere il prossimo e poi, catturato, scampa alla punizione
denunciando tutto e tutti?"

Cito Elio e le storie tese: "Propenderei per la seconda ipotesi /


perchè emani un fetore nauseabondo" (dalla canzone Urna, del
1992).
Bocca proseguiva:

"Sono terroristi pentiti quei capetti del terrorismo diffuso che


prima hanno plagiato dei ragazzi delle scuole medie, li hanno
convinti ad arruolarsi e poi li hanno denunciati per godere delle
clemenze giuridiche? Sono ravveduti sinceri quelli che in mancanza
di serie delazioni se le inventano? [...] Lo stato di diritto non è la

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morale assoluta, l'osservanza rigorosa delle leggi in ogni


circostanza, ma è la distinzione e il reciproco controllo delle
funzioni. Nello stato di diritto la polizia può eccedere nei metodi
inquisitori, ma il cittadino può ragionevolmente contare sul
controllo del giudice sul poliziotto. Ma se si accetta con la legge sui
pentiti e simili che giudice e poliziotto siano la stessa cosa, quale
controllo sarà possibile? Ma, si dice, la legge sui pentiti è stata
efficace, ha ottenuto centinaia di arresti e la fine del terrorismo.
Questo è scambiare gli effetti per la causa: non sono i pentiti che
hanno sconfitto il terrorismo, ma è la sconfitta del terrorismo che
ha creato i pentiti. Ci si dovrebbe chiedere se la legge ha giovato o
meno a quel bene supremo di una società democratica che è il
sistema delle garanzie. La risposta è che i danni sono stati
superiori ai vantaggi, anche se un'opinione pubbica indifferente al
tema delle garanzie fino al giorno in cui non è direttamente,
personalmente colpita, finge di non accorgersene. Sta di fatto che
una notevole parte della magistratura inquirente si è lasciata
sedurre dai risultati facili e clamorosi del pentitismo, ha preso per
oro colato le dichiarazioni dei pentiti sino a capovolgere il
fondamento del diritto, le prove sono state sostituite con i sentito
dire. Grandi processi sono stati imbastiti sulle dichiarazioni dei
pentiti, centinaia di arresti fatti prima di raccogliere le prove. Un
magistrato italiano ha potuto dichiarare a una radio francese a
proposito del caso Hyperion... 'Non ho le prove ma le troverò'.
Uomini politici, insegnanti, moralisti non si sono preoccupati delle
conseguenze inquisitorie della legge, della infernale catena di
delazioni incontrollabili che essa metteva in moto. La reazione
delle vittime della delazione è stata, come si poteva prevedere,
feroce, una serie di cadaveri 'infami' è stata raccolta dalle guardie
carcerarie a cose fatte, secondo la legge barbara delle nostre
prigioni. Nella fossa dei serpenti tutto è possibile e niente
accertabile."

Chiedo scusa per la lunghezza della citazione, ma credo ne valesse


la pena.
La Corte Costituzionale non potè negare che tutte queste leggi
fossero da stato d'eccezione: semplicemente decise che, "vista
l'emergenza", andava bene così. Ponzio Pilato ha ancora le mani
nel catino.
Non c'è cattiva memoria pubblica che possa rimuovere questa
realtà, non c'è ex-PM che riesca a farmi accettare questa barbarie
in nome della "Ragion di Stato", nessuna sinistra legalitaria potrà
mai a convincermi della bontà di tutto questo.

2. Terrorismo, coscienza, "guerra preventiva"

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Il caso Cesare Battisti: quello che i media non dicono Pagina 7 di 14

"E' proprio lo stato d'animo, il pensiero nascosto e non espresso,


la interna disobbedienza che divengono oggetto di indagine, in
quanto è all'accertamento di essi che il giudice tende a risalire…
Ecco che in processi di questi ultimi anni sono sottoposti al vaglio
del giudice penale comportamenti quali la creazione di un
collettivo di lavoratori contrapposto al sindacato, l'organizzazione
dei seminari autogestiti, la collaborazione, mediante un articolo dal
contenuto lecito, a un periodico riconducibile ad una struttura
associativa ritenuta illecita; l'intervento in un'assemblea
universitaria, e, in genere, rapporti interpersonali manifestatisi
attraverso scambi di documenti politici, lettere, telefonate, ecc.,
tutti dal contenuto penalmente irrilevante."
Antonio Bevere, "Processo penale e delitto politico, ovvero della
moltiplicazione e dell'anticipazione delle pene", in Critica del diritto
n.29-30, Sapere 2000, aprile-settembre 1983

La Costituzione, all'art. 27, comma 1, dice che "la responsabilità


penale è personale".
Eppure il nostro codice penale (che risale al fascismo e nel periodo
delle leggi speciali fu peggiorato in più punti) pullula di reati come
il "concorso morale" nel reato o la "adesione psichica" allo stesso,
nonché di ogni forma di reato associativo che si possa immaginare
tra cielo e terra.
Gran parte delle istruttorie sul terrorismo lavorarono soprattutto
su questi elementi, oltreché sui sospetti e le intenzioni (il famoso
"essere in procinto di"), su un'idea oltremodo estesa del concorso,
del favoreggiamento, delle contiguità.
Si arrivò a teorizzare il "fine terroristico" come sussistente "al di là
dello scopo immediatamente perseguito dall'agente (omicidio,
danneggiamento ecc.)" e di definirlo "reato a forma libera" il cui
specifico dolo "offre l'elemento unificatore e l'essenza dei delitti
terroristici" (corsivo mio) [2]. In parole povere, terrorista è lo
scopo, il fine ultimo, anche a prescindere da fatti concreti. Non c'è
quindi da stupirsi se in molti casi si finirono per processare la
personalità degli imputati e la loro ideologia, quest'ultima
identificabile nel loro essere amici di Tizio e Caio, o nel loro avere
ospitato Sempronio.
Terroristi si è, anche a prescindere da ciò che si fa. Terrorista è
l'intenzione, contro la quale va combattuta una "guerra
preventiva" che è tipica della società del controllo. La
"cospirazione" c'è, anche se non ha portato a niente. Si può essere
processati per "insurrezione" anche se l'insurrezione non c'è stata:
come disse Pietro Calogero, si tratta di un "reato a consumazione
anticipata", cioè - in parole poverissime - il vero reato è volerla,
l'insurrezione. Tribunali della coscienza.
Non sono un giurista, eppure mi sembra di poter rinvenire il
nucleo ideologico, il "meme" di quest'idea contemporanea di
"prevenzione" oltreoceano, nell'Anti-Riot Act dell'11 aprile 1968,
ideato e usato contro i movimenti afro-americani e le mobilitazioni
per porre fine alla guerra in Vietnam. Tale legge punisce chi,

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Il caso Cesare Battisti: quello che i media non dicono Pagina 8 di 14

durante uno spostamento sulla rete viaria interstatale, o durante


l'uso di infrastrutture della rete viaria interstatale, commetta atti
finalizzati a "incitare, organizzare, promuovere, incoraggiare,
prendere parte e portare avanti una sommossa [riot]", o aiuti
qualcuno in tale incitazione. Secondo la legge americana, un riot è
un assembramento di cinque o più persone che, comportandosi in
modo violento o minacciando di farlo, mettano in grave pericolo le
persone e la proprietà.
Riassumendo, alcuni esponenti dei movimenti americani furono
inquisiti, processati e condannati per aver viaggiato su strade
interstatali con l'intenzione di aiutare qualcuno a incitare un
assembramento di cinque o più persone che minacciassero di
comportarsi in modo da arrecare danni alla proprietà. Spero sia
chiara la percezione della grande distanza che separa la persona
dal presunto reato.
Sia ben chiaro che non sto dicendo che tutti gli imputati di processi
per terrorismo erano estranei a fatti concreti, ci mancherebbe.
Tuttavia, molte persone furono processate e condannate non per
atti specifici bensì in nome di un'idea astratta di "fattispecie
terroristica". Il proverbiale "processo alle intenzioni" fu reso una
realtà dalla Ragion di Stato.
Gli effetti di quella distorsione sull'opinione pubblica perdurano a
tutt'oggi.
Non è un caso se quello che maggiormente si rimprovera a Cesare
Battisti è il fatto di "non essersi pentito".
Non è un caso se la crescente mostrificazione mediatica di Cesare
Battisti prescinde ormai dai reati per cui fu condannato, e
s'incentra sulla sua personalità e il suo stile di vita (di adesso, non
di allora): lo si accusa di essere un "vigliacco" perché è fuggito, di
essere "un furbo" perché lo protegge "la lobby degli scrittori di
sinistra", lo si aggredisce coi flash all'uscita di prigione per rubare
l'immagine "strana", congelare la smorfia fugace e sbatterla in
prima pagina per far vedere che è "brutto, sporco e cattivo".
Un giornalista de L'Unità si chiede: "Ma Cesare Battisti sarà ancora
convinto che sia stato un atto rivoluzionario ammazzare il
macellaio Lino Sabbadin o il gioielliere di periferia Pierluigi
Torreggiani?". In un Paese laico, dove realmente vigesse una
cultura del diritto e delle garanzie, la "convinzione" di Battisti, la
pseudo-indagine psichica sul suo "pentimento", sarebbe un non-
tema, sarebbe del tutto ininfluente.

3. Censure e rimozioni della stampa sul caso Battisti

Il mio scopo non è dimostrare che Cesare Battisti è innocente.


Giudicare non spetta a me né all'opinione pubblica. Ciò che mi
preme far capire è che il modo dominante di affrontare questa

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Il caso Cesare Battisti: quello che i media non dicono Pagina 9 di 14

vicenda soffre di tutte le storture, i vizi di procedura e i nodi


irrisolti del periodo dell'emergenza. Sono questi elementi, di cui
non si vuol fare piazza pulita, a impedire un confronto razionale,
laico e costruttivo.
Le frettolose ricostruzioni della vicenda giudiziaria di Cesare
Battisti apparse sulla stampa italiana sono molto lontane dalla
realtà dei fatti, e addirittura in contrasto con gli atti delle
istruttorie e dei processi. Se addirittura uno dei PM di allora infila
nella sua lettera aperta errori grossolani, scrivendo ad esempio
che il gioielliere Torregiani aveva ucciso un rapinatore nel proprio
negozio anziché al ristorante "Transatlantico" [3], figurarsi i
semplici commentatori di versioni di quarta mano.
Tutti, ma proprio tutti, ripetono che Cesare Battisti sparò a
Torregiani e a suo figlio tredicenne, costringendo quest'ultimo sulla
sedia a rotelle. Alberto Torregiani è stato anche intervistato dalle
televisioni, che lo hanno presentato come "vittima di Cesare
Battisti".
Eppure, a detta dello stesso ex-PM di cui sopra, Battisti non faceva
parte del commando che uccise Torregiani [4]. Battisti è stato
condannato per aver "ideato" e/o "organizzato" quel delitto,
conclusione molto difficile da dimostrare, interamente basata su
prove indiziarie e testimonianze di "pentiti". Questa è una delle
cose che fa storcere il naso Oltralpe, tanto alla giustizia quanto
all'opinione pubblica. Battisti viene indicato da "pentiti" come
ugualmente responsabile per due omicidi avvenuti lo stesso giorno
alla stessa ora. Di fronte all'evidente impossibilità logica, il quadro
si modifica sì da farlo risultare esecutore materiale di uno (delitto
Sabbadin) e "ideatore" dell'altro (delitto Torregiani). Inoltre è
ritenuto ugualmente responsabile di decine e decine di rapine, e in
generale di tutti i reati compiuti dall'organizzazione di cui faceva
parte, i Proletari Armati per il Comunismo (gruppo che ebbe vita
piuttosto breve).
Chi ignora quanto il nostro diritto (soprattutto quello
dell'emergenza- terrorismo) sia incistato di contiguità, complicità e
"compartecipazioni" di varia natura, si stupisce e non può che
trovare contraddittorio il quadro emerso dalla sentenza.
Ma non sto facendo una controinchiesta, quello che mi preme
chiedere è: perché, di fronte alle madornali idiozie dette dai media
sul ruolo di Battisti nel delitto Torregiani, il dottor Spataro non ha
agito nell'interesse di una corretta informazione e di una maggiore
comprensione di quelle vicende, prendendo carta e penna e
precisando: "Attenzione, questa cosa non è vera"? Perché, pur
sapendo benissimo che Battisti non ha mai sparato a un ragazzino
inerme, Spataro non ha smentito gli sciacalli dell'informazione
gridata? E' convinto di aver reso onore alla funzione pubblica che
esercita, comportandosi in modo tanto reticente?
Il direttore di un giornale razzista, in una trasmissione televisiva,
ha gridato che "Battisti sparò alla schiena all'orefice Torregiani",
premendo sul pedale dell'isteria, descrivendo l'agguato come ancor
più vile di quanto ci si potesse immaginare. Ma Battisti non c'era,

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ce lo conferma il dottor Spataro. Inoltre, Torregiani - che


indossava un giubbotto antiproiettile - affrontò il commando e
rispose al fuoco. A rendere la tragedia più amara, fu proprio un
suo proiettile a colpire il figlio Alberto. Qualche sera prima,
Torregiani e un suo cliente di nome Lo Cascio stavano cenando al
Transatlantico. Ad un certo punto entrarono due rapinatori armati,
che puntando le pistole contro gli avventori cominciarono a
derubarli di portafogli, gioielli etc. Comportandosi in modo che -
eufemisticamente - definirei "poco cauto", Torregiani e Lo Cascio
estrassero le loro pistole e scatenarono una sparatoria nella quale,
oltre a un rapinatore, morì un cliente, che sarebbe ancora vivo se
tutti avessero mantenuto i nervi saldi anziché cercare di farsi
giustizia da soli.
Questo episodio non giustifica in alcun modo la giustizia sommaria
dei PAC, tantopiù che se Torregiani era colpevole di giustizia
sommaria, somministrandogli la stessa medicina e facendo colpire
un innocente non si fece che replicare quanto lui aveva fatto al
ristorante.
Ma appunto, proprio perché non c'è rischio di giustificare
l'attentato, perché rimuovere l'episodio da tutte le ricostruzioni del
contesto? Perché nascondere il primo anello della catena di eventi?
Forse perché Pierluigi Torregiani non può essere descritto come un
essere umano, con le sue contraddizioni e i suoi tragici sbagli, ma
solo come un "eroe borghese", un santo difensore della proprietà,
un cavaliere immacolato, in modo da far apparire Battisti ancor più
sanguinario e mostruoso?
E ancora: perché omettere di citare le proteste di Amnesty
International per il modo in cui furono trattati i sospetti durante il
fermo di polizia nell'istruttoria Torregiani? Amnesty International
usò l'inequivoco termine "tortura". Aveva ragione? Aveva torto?
Rimuovendo, non lo scopriremo mai.

4. Il "mal francese"

"Ma come si permettono questi francesi? Pensano di poterci dare


delle lezioni?". Ecco uno dei leitmotiven di questi giorni.
Il rancore nei confronti dell'opinione pubblica francese che non ci
vuole restituire un "macellaio", un "mostro". Quanto sono boriosi, i
"cugini"! Sono Pazzi Questi Galli.
Anziché cercare di capire il punto di vista altrui, si dà per scontato
e indiscutibile che abbiamo ragione "noi". E non ci si rende conto
che, mentre li riteniamo colpevoli di farsi gli affari "nostri", in
realtà siamo "noi" che ci facciamo i cazzi loro. Non si capisce
perché mai i francesi dovrebbero rinunciare a una consuetudine
giuridica pluridecennale, la cosiddetta "Dottrina Mitterrand" (che in
realtà è stata rispettata anche dai governi di destra), solo perché il

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Il caso Cesare Battisti: quello che i media non dicono Pagina 11 di 14

loro ministro Perben ha fatto un accordo col nostro ministro


C*******.
Se il ministro della giustizia cinese, o birmano, in barba alla legge
italiana che vieta l'estradizione di persone condannate a morte nel
loro paese, ottenesse da C******* l'arresto e l'espatrio di un
rifugiato (chiamiamolo Chèsáré Xiliren), noi non reagiremmo con
forza?
E se venissimo a sapere che un tribunale italiano ha già esaminato
la situazione di Xiliren nel 1991, dando un parere contrario
all'estradizione, e che nessun nuovo elemento giustifica un
secondo arresto e un riesame a distanza di tredici anni?
E se, per soprannumero, nel nostro Paese Chèsaré Xiliren non
avesse mai e poi mai commesso un reato, tenendo anzi una
condotta impeccabile, dando anche un contributo alla cultura
nazionale?
Questo esempio ha un difetto: la Cina e la Birmania non sono
nell'Unione Europea. Infatti, molto rancore nei confronti dei
francesi si basa sull'idea che i "cugini" stiano ostacolando la
formazione dello "spazio giuridico europeo". Tale critica proviene
da un Paese, il nostro, più volte oggetto di critiche e condanne da
parte della Corte di Strasburgo, che per più di quarant'anni non ha
rispettato la Convenzione europea per quanto concerneva le
condanne in contumacia, e che durante e dopo il G8 ha trattenuto
in arresto cittadini europei sulla base di accuse inverosimili,
attirandosi anche la protesta ufficiale del governo austriaco.
Inoltre, al momento l'Italia detiene il primato del governo più
"anti-europeista", e si è fatta ridere dietro tutti i giorni da mane a
sera durante il Semestre di presidenza dell'UE. Davvero crediamo
noi di poter criticare chicchessìa su questi temi?
Poi c'è chi ha detto: "i francesi sono teneri solo coi terroristi degli
altri. I loro invece li trattano malissimo." Non c'è dubbio.
Nonostante le distorsioni dei media nostrani, la Francia non è un
paese dove se fai la lotta armata si congratulano dandoti pacche
sulle spalle. Ti mettono in galera, come accade in tutto il mondo.
La conclusione sarebbe dunque semplice da trarre: la sinistra
francese non sta difendendo Battisti perché è stato un terrorista,
ma nonostante lo sia stato. L'opposizione all'estradizione va ben
oltre Battisti e la sua vicenda umana (benché sia giusto far notare
che non delinque da trent'anni e non ha alcun collegamento coi
nuovi gruppi lottarmatisti).
La campagna va ben oltre, per i francesi si tratta di difendere un
principio, quello del diritto d'asilo, e un punto d'onore, quello della
parola data da Mitterrand ai nostri connazionali rifugiati
nell'Esagono.

https://www.wumingfoundation.com/italiano/outtakes/cesare_battisti_2.htm 14/01/2019
Il caso Cesare Battisti: quello che i media non dicono Pagina 12 di 14

5. "Soluzione politica" e amnistia

C'è voluto uno scrittore francese, Daniel Pennac, per riuscire a


parlare di amnistia sulle pagine di un quotidiano italiano.
Probabilmente un nostro connazionale non sarebbe mai riuscito a
superare certi "filtri".
Pennac, intervistato da un quidam, ha detto:

"Con la Repubblica l'amnistia è diventata qualcosa di necessario


alla concezione repubblicana della pace sociale. C'è l'esempio della
Comune, ma più vicino a noi c'è anche l'amnistia dei membri
dell'Oas, che si sono battuti con le bombe e con la violenza contro
l'indipendenza algerina. Ma quattro anni dopo la fine della guerra
sono stati amnistiati. Erano di estrema destra, hanno ucciso: non
ammetto che abbiano ammazzato, ma si dovevano amnistiare [...]
L'amnistia è il contrario dell'amnesia. Si tratta di chiudere una
porta per permettere agli storici di capire un periodo in maniera
meno passionale. Mi è difficile ammetterla sentimentalmente,
soprattutto se si immaginano le vittime. Il problema non deve
però essere considerato dal punto di vista affettivo".

E' un invito già caduto nel vuoto, in questo Paese certe cose non si
devono affrontare se non a colpi di emozioni e di psicologia delle
folle. Si produce ancora isteria sugli anni Quaranta, sulle foibe,
sulla "epurazione dal basso" dei fascisti gestita da Volante Rossa e
gruppi consimili, figurarsi se si può far partire un dibattito
sull'emergenza senza rimuovere tutto quanto esposto sopra.
Specialmente oggi, con l'opposizione a B******** dietro i sacchi
di sabbia delle trincee giudiziarie (un bel regalo, con tanto di
fiocchetto, di certa leadership girotondista).
Eppure bisogna fare il tentativo. Non credo di esagerare
affermando che questo Paese non potrà mai cambiare in meglio
senza ripensare quanto vi è successo negli anni Settanta. E solo
dopo un'amnistia per gli ultimi prigionieri e rifugiati di quelli che la
cultura dominante chiama gli "anni di piombo", solo dopo la
soluzione politica di un problema che fu ed è politico e non solo
criminale, si può sperare di capire cosa successe e come quegli
accadimenti hanno condizionato la vita pubblica italiana.

NOTE

1. "Chiunque promuove, costituisce, organizza e dirige associazioni che


si propongono il compimento di atti di violenza con fini di eversione
dell’ordine democratico è punito con la reclusione da 7 a 15 anni.
Chiunque partecipa a tali associazioni è punito con la reclusione da
quattro o otto anni."
Nel codice penale esisteva già l'art.270:

https://www.wumingfoundation.com/italiano/outtakes/cesare_battisti_2.htm 14/01/2019
Il caso Cesare Battisti: quello che i media non dicono Pagina 13 di 14

"Chiunque nel territorio dello Stato promuove, costituisce, organizza o


dirige associazioni dirette a stabilire violentemente la dittatura di una
classe sociale sulle altre, ovvero a sopprimere violentemente una classe
sociale o, comunque, a sovvertire violentemente gli ordinamenti
economici o sociali costituiti nello Stato, è punito con la reclusione da
cinque a dodici anni.
Alla stessa pena soggiace chiunque nel territorio dello Stato promuove,
costituisce, organizza o dirige associazioni aventi per fine la
soppressione violenta di ogni ordinamento politico e giuridico della
società.
Chiunque partecipa a tali associazioni è punito con la reclusione da uno
a tre anni."
Com'è evidente, si tratta del medesimo reato. Che bisogno c'era di
questo "sdoppiamento", se non quello di isolare e amplificare la
"fattispecie terroristica" (vedi sotto), e in base a questa aumentare le
pene?

2. Citazione dalla cosiddetta "Carta di Cadenabbia", documento


conclusivo di un convegno di magistrati titolari delle principali inchieste
sul terrorismo, cit. R. Canosa - A. Santosuosso, Il processo politico in
Italia, Critica del Diritto n. 23-24, Nuove Edizioni Operaie, Roma,
ottobre 1981 - marzo 1982, pag.17)

3. La ricostruzione dettagliata degli eventi che seguono è presa da:


Laura Grimaldi, Processo all'istruttoria. Storia di un'inquisizione
politica, Milano Libri, 1981

4. Da un testo di Armando Spataro, riportato integralmente in: Mario


Pirani, "Se a Parigi pari sono Battisti e Victor Hugo", La Repubblica, 8
marzo 2004, pag.14

Update gennaio 2009 Su Carmilla:


IL CASO BATTISTI: TUTTI I DUBBI SUI PROCESSI E LE
CONDANNE, ESPOSTI PUNTO PER PUNTO
ovvero: perché il Brasile ha accolto il "mostro"
Questa nuova versione delle nostre FAQ sul caso Battisti, già lette
da centinaia di migliaia di utenti e tradotte in molte lingue, cadono
in un momento di isteria collettiva mai visto in Italia dai tempi di
Piazza Fontana e della colpevolizzazione di Pietro Valpreda. Battisti
si trova da quasi due anni, mentre scriviamo, in un carcere
brasiliano. Ha ottenuto asilo politico in Brasile, concesso dal
ministro della giustizia Tarso Genro e ripetutamente avvallato dal
presidente Lula. La stampa italiana, a fronte di un’opinione
pubblica sostanzialmente indifferente, si è scatenata con toni da
linciaggio. Battisti è tornato a essere il mostro, l’assassino per
vocazione, il serial killer. Il Brasile è stato dipinto (per esempio da
Francesco Merlo, su La Repubblica del 15 gennaio) come una
democrazia da operetta, abitato da una popolazione quasi

https://www.wumingfoundation.com/italiano/outtakes/cesare_battisti_2.htm 14/01/2019
Il caso Cesare Battisti: quello che i media non dicono Pagina 14 di 14

scimmiesca.

Update gennaio 2011


LISTA DI PROSCRIZIONE
Per attività controinformativa come quella messa in campo o
segnalata in questa pagina, amministratori della Lega Nord
hanno intimato la messa al bando dei libri nostri e di molti
altri autori e filosofi (Scarpa, Carlotto, Evangelisti, Dazieri,
Agamben, Vauro etc.) da tutte le biblioteche del Veneto, ed
esponenti di sindacati di polizia hanno chiesto il boicottaggio da
parte di librai e lettori.

Sei sul sito ufficiale di Wu Ming, in una pagina della sezione


"Archivi tematici", sotto-sezione "Calzini spaiati".

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