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Capitolo Primo

I SOGGETTI

1. Premessa e Problemi definitori

Per azione amministrativa si intende la condotta di soggetti, riconducibili alla nozione di pubblico potere, che
si manifesta sia mediante le forme tipiche del diritto amministrativo, sia mediante strumenti che prevedono
il ricorso a forme consensuali con soggetti terzi.

2. La pluralità dei soggetti dell’azione: livello internazionale, comunitario e nazionale

Per poter affrontare tali tematiche è necessario muovere dall’identificazione dei principali soggetti
dell’azione.
È fondamentale, quindi, individuare una molteplicità di livelli, o meglio di ordinamenti, non sempre
esponenziali di una collettività. Infatti, occorre tener presente come sussistano, nell’ambito del diritto
internazionale, istituzioni di natura pattizia, quali ad esempio il sistema WTO (World Trade Organization)
oppure OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio), in relazione ai quali, gli accordi di libero scambio
conclusi in ambito WTO, sono alla base dell’ordinamento economico mondiale vigente.
A livello nazionale, invece, il potere esecutivo è stato visto tradizionalmente come il principale soggetto
titolare dei poteri di intervento nell’economia.

3. Il ruolo degli ordinamenti sovranazionali: la disciplina e la liberalizzazione del mercato internazionale e gli
accordi WTO

Gli ordinamenti sovranazionali cui l’Italia aderisce, sulla base di quanto previsto agli artt. 10 ed 11 Cost.,
incidono profondamente sulla capacità di intervento nell’economia da parte del nostro stato. Il WTO è
un’organizzazione internazionale istituita nel 1994 nell’ambito della conferenza di Marrakesh per regolare i
rapporti commerciali tra gli Stati aderenti.
Nello specifico il WTO ha il compito di disciplinare e liberalizzare il commercio mondiale. Tale finalità viene
perseguita mediante lo strumento della negoziazione di accordi commerciali tra governi dei Paesi membri. I
principi generali su cui si ispira il WTO riguardano la non discriminazione del trattamento concesso ai beni
provenienti dai diversi Paesi membri, l’uguale trattamento riservato ai beni importati rispetto ai beni
nazionali nonché la determinazione di regole commerciali prevedibili e stabili.
I principali obiettivi del WTO sono diretti al miglioramento del tenore di vita, alla piena occupazione, alla
crescita del reddito reale e della domanda effettiva, all’aumento di produzione ed espansione del commercio
di beni e servizi, allo sviluppo sostenibile ed alla tutela dell’ambiente.

4. L’Unione Europea e l’Unione economica e monetaria

L'Unione europea è un'organizzazione internazionale politica ed economica a carattere sovranazionale, che


comprende 28 paesi membri indipendenti e democratici. Nel 1952 sorse la Comunità europea del carbone e
dell'acciaio, il primo accordo dell'integrazione europea. Il trattato instaurò un mercato comune del carbone
e dell'acciaio, abolendo le barriere doganali e le restrizioni quantitative che frenavano la libera circolazione
di queste merci.
La prima unione doganale fra paesi europei, la cosiddetta Comunità economica europea, CEE, fu istituita
mediante il Trattato di Roma del 1957 ed implementata nel 1958. Parallelamente alla CEE, venne istituito
l'EURATOM, la comunità europea dell'energia atomica; le comunità europee, CEE, EURATOM e CECA,
andranno poi a costituire in futuro uno dei tre pilastri dell'Unione europea.
Negli anni la cooperazione si è evoluta e rafforzata con vari trattati comunitari e intese esterne alla comunità
che confluiranno nell'Unione europea.
Nel 1992 il trattato di Maastricht diede vita alla Comunità europea. Si concluse pure il trattato di TREVI,
aprendo la nuova cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale e la cooperazione politica europea
confluì nella politica estera e di sicurezza comune, rafforzando la sicurezza all'interno del territorio della
Comunità europea. Nel 1995, Svezia, Austria e Finlandia entrarono a far parte della Comunità europea.
Nel 2007 nacque ufficialmente l'Unione europea con il trattato di Lisbona, ratificato nel 2009, unificando i
tre pilastri che si erano solidificati negli ultimi 50 anni: la Comunità europea, la Cooperazione giudiziaria e di
polizia in materia penale e la PESC. Si creò per la prima volta una figura legale che rappresentasse l'Unione
europea, il presidente del Consiglio europeo e si rafforzò la posizione dell'alto rappresentante dell'Unione
per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Col trattato di Lisbona vennero aggiunte per la prima volta
procedure di recesso dall'Unione europea, conosciute come articolo 50, a cui si appellò solamente il Regno
Unito a seguito di un referendum popolare.
Le competenze dell'Unione europea spaziano dalle politiche economiche (agricoltura e commercio) agli affari
esteri, alla difesa e alla protezione ambientale, con una politica agraria comune, una politica estera comune
e la presenza di fondi strutturali per il raggiungimento degli obiettivi socio-economici preposti. In alcuni di
questi campi tali funzioni la rendono dunque simile a una federazione di stati (per es. per quanto riguarda gli
affari monetari o le politiche ambientali), mentre in altri settori l'Unione è più vicina a una confederazione
(mancando di una Costituzione, ordinamento giuridico, politica interna e politica industriale comuni) o a
un'organizzazione politica sovranazionale (come per la politica estera).
Le politiche di unione economica e monetaria dell'Unione europea hanno portato nel 2002 all'introduzione
di una moneta unica, l'euro, attualmente adottato da 19 stati dell'Unione, che formano la cosiddetta
eurozona, con una politica monetaria comune regolata dalla Banca centrale europea (BCE).

5. Il livello Nazionale

Nell’ambito delle competenze nazionali vi è, in primo luogo, lo Stato e, quindi, il Parlamento ed il Governo.

5.1. Lo Stato

Il Governo ha il compito di attuare il programma politico-economico presentato dal Parlamento. Il Governo


dell’economia ha assunto in questi anni il ruolo preponderante nell’ambito della determinazione degli
indirizzi politici e degli equilibri costituzionali. Il Governo, dunque, attua la sua politica economica o con la
presentazione di progetti di legge alle Camere o con atti amministrativi.

5.2 Gli organi del Governo

a) Il Presidente del Consiglio dei Ministri Italiano è il capo del governo, presiedendo il Consiglio dei ministri
della Repubblica italiana. La sua non è una carica elettiva ed è nominato dal presidente della Repubblica, ai
sensi dell'articolo 92 della Cost.
La Costituzione, all'articolo 95, stabilisce che il Presidente del Consiglio dei ministri promuove e coordina
l'attività dei ministri: questo potere di coordinamento dei ministri è stato di intensità molto variabile nella
storia dello Stato italiano, in quanto fortemente condizionato dal peso dei singoli ministri e quindi dei partiti
dei quali essi erano l'espressione. Il Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell’art. 95 Cost., “dirige la
politica generale del governo e ne è responsabile. Mantiene l'unità di indirizzo politico ed amministrativo,
promuovendo e coordinando l'attività dei ministri”.
La legge 23 agosto 1988, n. 400 esplicita le attribuzioni del Presidente del Consiglio.
Il Presidente fissa l'ordine del giorno del Consiglio e, in particolare, può avocare nel Consiglio decisioni di
competenza di singoli dicasteri.
Oltre a quelle attribuitegli in quanto membro del governo italiano, il Presidente del Consiglio indica al
Presidente della Repubblica la lista dei ministri per la nomina e controfirma tutti gli atti aventi valore di legge
dopo che sono stati firmati dal Presidente della Repubblica. Dirige e promuove l'attività dei ministri, dirige la
politica generale del governo e ne è responsabile. Funzione particolarmente delicata che la legge affida
direttamente al Presidente del Consiglio è la vigilanza e il controllo sul Sistema di informazione per la
sicurezza della Repubblica, ossia i Servizi segreti dello Stato.

b) Il Ministero dell'economia e delle finanze (MEF) è uno dei più importanti e influenti dicasteri del Governo
della Repubblica Italiana. Ha il compito di controllare le spese pubbliche, le entrate dello Stato, nonché
sovraintendere alla politica economica e finanziaria, nonché ai processi e agli adempimenti di politica di
bilancio sul bilancio pubblico.
Il Ministero dell'economia e delle finanze, ai sensi del D. Lgs. n. 300/1999, esercita le funzioni e i compiti
spettanti allo Stato in materia di politica economica, politica finanziaria e di bilancio, in relazione alla
programmazione degli investimenti pubblici, coordinamento della spesa pubblica e verifica dei suoi
andamenti, politiche fiscali e sistema tributario, demanio e patrimonio statale, catasto e dogane,
programmazione, coordinamento e verifica degli interventi per lo sviluppo economico, territoriale e
settoriale e politiche di coesione.
Ha il compito preciso di organizzare la formazione e gestione del bilancio dello Stato, compresi gli
adempimenti di tesoreria e la verifica dei relativi andamenti e flussi di cassa, assicurandone il raccordo
operativo con gli adempimenti in materia di copertura del fabbisogno finanziario nonché alla verifica della
quantificazione degli oneri derivanti dai provvedimenti e dalle innovazioni normative ed al monitoraggio della
spesa coordinandone e verificandone gli andamenti e svolgendo i controlli previsti dall'ordinamento.
Cura la programmazione economica e finanziaria, il coordinamento e la verifica degli interventi per lo
sviluppo economico territoriale e settoriale e delle politiche di coesione, anche avvalendosi delle Camere di
commercio, con particolare riferimento alle aree depresse, esercitando a tal fine le funzioni attribuite dalla
legge in materia di strumenti di programmazione negoziata e di programmazione dell'utilizzo dei fondi
strutturali comunitari. In materia finanziaria, ai sensi dell'art. 56 del D.lgs. 300/1999, cura l'analisi del sistema
fiscale e delle scelte inerenti alle entrate tributarie ed erariali in sede nazionale, comunitaria e internazionale,
nonché alle attività di coordinamento.
La sua attività va coordinata con le 4 Agenzie Fiscali, regolate da apposita convenzione, cui il Ministero, per
conto dello Stato, detta gli obiettivi da conseguire, e di cui nomina i vertici.
Infine, il Ministero svolge i compiti di vigilanza su enti e attività e le funzioni relative ai rapporti con le autorità
di vigilanza e controllo previsti dalla legge, ai sensi dell'art. 23, comma 2, D.lgs. 300/1999.

c) Il Ministero dello sviluppo economico (MiSE) è il dicastero del governo italiano che comprende politica
industriale, commercio internazionale, comunicazioni ed energia. È stato istituito nel 2006, a seguito della
riorganizzazione del Ministero delle attività produttive (fino al 2001 Ministero dell'industria, del commercio
e dell'artigianato), al quale nel 2008 sono stati accorpati il Ministero delle comunicazioni e il Ministero del
commercio internazionale.
Il Ministero ha competenze relative a quattro grandi ambiti dell'economia italiana.

• Politica industriale: competitività, ricerca e innovazione industriale, trasferimento tecnologico,


brevetti e marchi, lotta alla contraffazione, fondi e agevolazioni per le imprese, riconversione e
riorganizzazione produttiva, gestione delle crisi aziendali, sostegno alle piccole e medie imprese,
promozione della concorrenza, liberalizzazioni, tutela dei consumatori, semplificazione per le
imprese, monitoraggio dei prezzi (tramite l'Osservatorio per la sorveglianza dei prezzi e delle tariffe,
meglio conosciuto come Mister prezzi), metrologia legale e metalli preziosi, sicurezza dei prodotti e
degli impianti, registro delle imprese e camere di commercio, vigilanza sul sistema cooperativo, sui
consorzi agrari, sulle gestioni commissariali e sulle procedure di amministrazione straordinaria delle
grandi imprese, sulle società fiduciarie e di revisione.
• Politica per l'internazionalizzazione: esportazioni, facilitazione degli scambi con l'estero, strategie
commerciali nell'ambito dell'Unione europea, accordi commerciali multilaterali e bilaterali,
promozione degli investimenti italiani all'estero, attrazione di investimenti esteri in Italia, strumenti
di difesa commerciale, promozione del Made in Italy.
• Politica energetica: bilancio e strategia energetica nazionale, reti di trasporto, infrastrutture
energetiche, sicurezza degli approvvigionamenti, mercato unico dell'energia elettrica, promozione
delle energie rinnovabili e dell'efficienza energetica, riduzione delle emissione dei gas a effetto serra,
smantellamento di impianti nucleari dismessi, mercato del gas nazionale, mercato e impianti
petroliferi, minerali, estrazione degli idrocarburi in terraferma e nel mare, stoccaggio di gas naturale
e metanizzazione del Mezzogiorno.
• Politica per le comunicazioni: regolamentazione delle comunicazioni elettroniche, della
radiodiffusione sonora e televisiva e del settore postale, contratto di servizio con RAI e Poste Italiane,
ripartizione delle frequenze per i servizi di radiodiffusione sonora e televisiva, telefonia cellulare e
servizi di emergenza, monitoraggio e controllo dello spettro radioelettrico nazionale, programma
infrastrutturale per la banda larga.

Le funzioni svolte dal Ministero e gli organismi a cui sovraintende danno attuazione alle disposizioni del
Codice del consumo, del Codice delle assicurazioni private, del Codice della proprietà industriale, del Codice
delle comunicazioni elettroniche.
Il Ministro è componente del Consiglio supremo di difesa e nomina il segretario generale presso l'Autorità
garante della concorrenza e del mercato (la cosiddetta Antitrust).

d) I comitati interministeriali: Vi sono settori della pubblica amministrazione che rientrano nelle competenze
di più Ministri. In questi casi, per assicurare un sufficiente grado di coordinamento, possono essere istituiti
dei Comitati composti da tutti i Ministri interessati. Si tratta, in ogni caso, di organi non necessari, vale a dire
non previsti dalla Costituzione, ma che svolgono una consistente mole di lavoro.
I Comitati possono distinguersi in:

• Comitati di Ministri, istituiti con decreto dal Consiglio dei Ministri o dal Presidente del Consiglio, che
hanno compiti di studio e di preparazione in vista delle deliberazioni del Consiglio dei Ministri. Tali
Comitati, che hanno rilievo interno, sono organismi di lavoro spesso temporanei, svolgono attività di
carattere puramente istruttorio e non hanno alcuna competenza esterna. Le loro deliberazioni e le
loro responsabilità sono fatte proprie dal Consiglio dei Ministri o dai singoli Ministri interessati;
• Comitati interministeriali, istituiti con legge dal Parlamento, cui sono attribuite specifiche
competenze di indirizzo e di amministrazione. Tali Comitati si distinguono in:
o Comitati con funzioni istruttorie o consultive che, nonostante abbiano rilievo esterno e
forniscano pareri obbligatori (ma non vincolanti), non hanno competenza ad emanare atti
con rilievo esterno;
o Comitati con specifiche competenze di indirizzo e di amministrazione attiva, comprendenti
l’emanazione di atti amministrativi, autorizzazioni, approvazioni, regolamenti etc.

I Comitati interministeriali sarebbero organi collegiali intermedi fra i singoli Ministri ed il Consiglio dei
Ministri, investiti di responsabilità politica, e che quindi sfiorano l’incostituzionalità, perché usurpano
funzioni riservate dalla Costituzione al Consiglio dei Ministri che, invece, colloca tutti i Ministri sullo stesso
piano e con paritetici poteri collegiali (vedi art. 95 Cost.).
I Comitati interministeriali in attività nel nostro ordinamento sono:

1. il CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica), che svolge i seguenti


compiti:
o predispone gli indirizzi della politica economica nazionale;
o indica, su relazione del Ministro per il bilancio e la programmazione economica, le linee
generali per la elaborazione del programma economico nazionale e, su relazione del Ministro
per il tesoro, le linee generali per la impostazione dei progetti di bilancio annuali e pluriennali
di previsione dello Stato, nonché le direttive generali intese all’attuazione del programma
economico nazionale ed a promuovere e coordinare a tale scopo l’attività della pubblica
Amministrazione e degli enti pubblici;
o esamina la situazione economica generale ai fini della adozione di provvedimenti
congiunturali;
o approva, entro il 15 settembre, la relazione previsionale e programmatica, le relazioni
programmatiche di settore e le linee di impostazione dei progetti di bilancio annuale e
pluriennale;
o promuove l’azione necessaria per l’armonizzazione della politica economica nazionale con le
politiche economiche degli altri Paesi dell’Unione europea;
2. il CICR (Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio), che si occupa della vigilanza in
materia di credito e di tutela del risparmio. Per la validità delle sue sedute è necessaria la presenza
della maggioranza dei suoi membri, mentre le deliberazioni vanno assunte con il consenso della
maggioranza assoluta dei partecipanti;
3. il CISR (Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica), che svolge funzioni di
consulenza, proposta e deliberazione sugli indirizzi e sulle finalità generali della politica
dell’informazione per la sicurezza (comma 1); inoltre elabora gli indirizzi generali e gli obiettivi
fondamentali da perseguire nel quadro della politica dell’informazione per la sicurezza, delibera sulla
ripartizione delle risorse finanziarie tra il DIS e i servizi di informazione per la sicurezza e sui relativi
bilanci preventivi e consuntivi (comma 2). Il CISR ha ereditato le competenze prima esercitate dal CIS
(Comitato interministeriale per le informazioni e la sicurezza);
4. il CIAE (Comitato Interministeriale per gli affari europei), che opera presso la Presidenza del
Consiglio dei Ministri al fine di concordare le linee politiche del Governo nel processo di formazione
della posizione italiana nella fase di predisposizione degli atti dell’Unione europea e di consentire il
puntuale adempimento dei compiti assegnatigli, tenendo conto degli indirizzi espressi dal
Parlamento;
5. il CIPU (Comitato interministeriale per le politiche urbane), con il compito di coordinare le politiche
urbane attuate dalle amministrazioni centrali interessate e di concertarle con le regioni e con le
autonomie locali, nella prospettiva della crescita, dell’inclusione sociale e della coesione territoriale;
6. il CICS (Comitato interministeriale per la Cooperazione allo sviluppo), che si occupa in particolare
dell’approvazione di tutte le iniziative di cooperazione di valore superiore a due milioni di euro, di
deliberare le singole iniziative da finanziare, di definire la programmazione annuale con riferimento
a Paesi e aree di intervento;
7. il Comitato interministeriale per la revisione della spesa pubblica, che si occupa, in particolare, di
coordinare l’azione del Governo e le politiche volte all’analisi e al riordino della spesa pubblica.

5.3 Il Parlamento

Il Parlamento della Repubblica Italiana è l'organo costituzionale che, all'interno del sistema politico italiano,
è titolare del potere legislativo e del rapporto di fiducia col Governo. L'ordinamento italiano prevede un
bicameralismo perfetto: il Parlamento è formato da due camere, la Camera dei deputati e il Senato della
Repubblica, ciascuna delle quali gode dei medesimi poteri dell'altra.
Alle due Camere spettano la funzione legislativa, di revisione costituzionale, di indirizzo, di controllo e di
informazione nonché altre funzioni normalmente esercitate da altri poteri, quali, ad esempio, la funzione
giurisdizionale e la funzione amministrativa.

5.4 Le Agenzie

Si tratta di organismi che hanno una certa autonomia di organizzazione e di decisione, ma sono incardinati
presso gli apparati ministeriali.
Le agenzie specificatamente istituite con legge sono:
- L’Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT) è un'agenzia governativa nazionale
italiana costituita per svolgere compiti e attività tecnico scientifiche di protezione dell'ambiente, tutela delle
risorse idriche e difesa del suolo.
- L'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AGENAS) è un Ente pubblico non economico di rilievo
nazionale, istituito con decreto legislativo il 30 giugno 1993, n.266 e successive modificazioni, che svolge
funzioni di supporto al Ministero della Salute e alle Regioni per le strategie di sviluppo e innovazione del
Servizio sanitario nazionale. Obiettivo prioritario e qualificante dell'Agenzia è lo svolgimento di attività di
supporto tecnico-operativo alle politiche di governo dei sistemi sanitari di Stato e Regioni, all'organizzazione
dei servizi e all'erogazione delle prestazioni sanitarie, in base agli indirizzi della Conferenza Unificata (20
settembre 2007). L'Agenzia realizza tale obiettivo tramite attività di monitoraggio, di valutazione, di
formazione e di ricerca orientate allo sviluppo del sistema salute.
- L’Agenzia nazionale per la rappresentanza sindacale rappresenta legalmente le PP.AA., ai fini della
contrattazione collettiva nazionale e svolge le attività relative alla negoziazione e definizione dei contratti
collettivi del personale dei vari comparti del pubblico impiego.

6. I nuovi modelli organizzativi: le autorità amministrative indipendenti

Le autorità amministrative indipendenti, nell'ordinamento giuridico italiano, sono enti di diritto pubblico
dotati di personalità giuridica.
Il ruolo delle autorità è quello di tutelare gli interessi pubblici e della collettività in specifici settori economici
e di rilevanza sociale, in presenza di numerose categorie di interessi ed operatori. La nomina parlamentare o
governativa dei componenti è volta ad assicurare l'indipendenza e la terzietà dell'autorità nel suo complesso,
rispetto agli interessi degli operatori in gioco.

7. Gli enti locali territoriali

Ai sensi dell’art. 114 Cost., i soggetti della Repubblica, oltre allo Stato, sono i Comuni, le Provincie, le Citta
Metropolitane e le Regioni.

a) Il Comune
Il Comune, nell'ordinamento giuridico della Repubblica Italiana, è un ente locale territoriale autonomo ed è
l’ente locale più “vicino” alla comunità locale. In altri termini, il Comune rappresenta la propria comunità, ne
cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo. L’art. 118 Cost. afferma espressamente che le funzioni
amministrative sono attribuite prioritariamente ai comuni.

b) La Provincia
La Provincia viene considerata come ente locale intermedio tra comune e regione che cura gli interessi e
promuove lo sviluppo della comunità provinciale. Essa non è tuttavia gerarchicamente superiore a tale ente.
Le uniche Province italiane che si distinguono per il loro grado di autonomia sono quelle autonome di Trento
e Bolzano, che godono degli stessi poteri riconosciuti alle Regioni.
Le funzioni della Provincia sono elencate all'art. 19 del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti
locali (TUEL, d.lgs. n. 267/2000) e sono, in sintesi:

• difesa del suolo, tutela e valorizzazione dell'ambiente e prevenzione delle calamità;


• tutela e valorizzazione delle risorse idriche ed energetiche;
• gestione della viabilità e dei trasporti;
• valorizzazione dei beni culturali;
• protezione della flora e della fauna, parchi e riserve naturali, controllo su caccia e pesca;
• organizzazione dello smaltimento dei rifiuti, controllo delle acque, inquinamento acustico e atmosferico;
• servizi sanitari, su attribuzione statale e regionale;
• compiti connessi all'istruzione secondaria di secondo grado e artistica e alla formazione professionale,
compresa l'edilizia scolastica, su attribuzione statale e regionale;
• raccolta ed elaborazione dati e assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali;
• promozione, coordinamento e organizzazione delle attività economiche e produttive di interesse locale.

c) La Città Metropolitana

La città metropolitana è uno degli enti locali territoriali presenti nella Costituzione italiana, all'articolo 114,
dopo la riforma del 2001 (legge costituzionale n. 3/2001).
Spettano alle Città metropolitane tutte le funzioni e i compiti amministrativi che riguardano la popolazione
ed il territorio metropolitano, precisamente nei settori organici dei servizi alla persona ed alla comunità, della
pianificazione territoriale ed urbana e delle reti infrastrutturali, dell’assetto ed utilizzazione del territorio con
particolare riferimento alla localizzazione dei servizi e delle attività, della mobilità e viabilità, della
sostenibilità ambientale, ecologica ed energetica, della gestione e organizzazione dei servizi pubblici di
interesse generale e della programmazione e dello sviluppo economico e sociale, salvo quanto non sia
espressamente attribuito ad altri soggetti dalla legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.

d) La Regione

Le regioni sono, assieme ai comuni, alle province, alle città metropolitane e allo Stato, uno dei cinque
elementi costitutivi della Repubblica Italiana.
Ogni regione è un ente territoriale con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla
Costituzione, come stabilito dall'art. 114, secondo comma del testo.
Le Regioni sono chiamate a svolgere una pluralità di funzioni, che si possono indicare, principalmente, nelle
seguenti:
- politica, hanno il potere di scegliere i fini e gli obiettivi della propria azione, secondo un indirizzo anche
diverso da quello dello Stato;
- statutaria, hanno il potere di auto-organizzarsi dando vita a forme organizzative eventualmente difformi da
quelle che caratterizzano lo Stato;
- normativa, con i propri organi hanno il potere di porre in essere atti produttivi di norme giuridiche che
concorrono a formare l’ordinamento statale;
- amministrativa, hanno il potere di porre in essere atti dotati di esecutorietà per la cura concreta di interessi
considerati rilevanti per la collettività locale;
- finanziaria, hanno il potere di provvedersi dei mezzi finanziari per l’espletamento delle loro funzioni e di
orientarne l’impiego.
La principale delle funzioni regionali è quella legislativa.
Prima della riforma del 2001, si ricavava dalla Costituzione e dagli statuti speciali che le Regioni potevano
esercitare, esclusivamente nelle materie loro tassativamente attribuite, vari tipi di potestà legislativa, che si
differenziavano l’uno dall’altro in base ai limiti ai quali ciascuno era sottoposto.
L’innovazione più vistosa introdotta dalla riforma costituzionale del 2001 è rappresentata dall’inversione del
criterio finora utilizzato per individuare gli ambiti della potestà legislativa assegnati, rispettivamente, allo
Stato e alle Regioni.
Infatti, mentre in precedenza erano le materie di competenza delle Regioni ad essere elencate
tassativamente, la legge di revisione del Titolo V provvede invece ad indicare materie in cui è lo Stato ad
avere potestà legislativa “esclusiva”, affermando nel contempo il principio che “spetta alle Regioni la potestà
legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato”.
La riforma, tuttavia, non rompe completamente con il passato. Se, infatti, vengono cancellate le potestà
attuativa e integrativa-attuativa, viene peraltro mantenuta, ed è un elemento di (criticabile) continuità con
l’assetto precedente, la potestà legislativa concorrente, da svolgersi in un elenco di materie specificate dal
nuovo art. 117 Cost.
In tali materie la determinazione dei principi fondamentali rimane riservata alla legislazione dello Stato,
mentre alle Regioni è lasciata tutta la rimanente disciplina.
Sullo spinoso problema della definizione e della delimitazione delle singole materie, qui si può solo segnalare
che i principali criteri utilizzati allo scopo sono quello oggettivo, che tende ad identificare le materie in base
al loro contenuto, così come emerge dalle formule costituzionali assunte nel significato che hanno nel
corrente linguaggio legislativo, e quello teleologico, che ricomprende nell’ambito di una materia tutte le
attività il cui fine sia ad essa riconducibile, anche se non rientrano in senso stretto nei margini oggettivi della
materia stessa.
Appare evidente che, in tale contesto, gli orientamenti della Corte costituzionale risultano determinanti, oggi
ancor più che in passato.
Va tenuto presente, infatti, che, seppure a parti invertite fra Stato e Regioni, è ancora attraverso
l’interpretazione delle formule linguistiche che definiscono le materie che vanno identificate, in positivo, la
sfera di competenza dello Stato e, “per differenza”, quella delle Regioni.
L’importanza della giurisprudenza costituzionale in questo campo assume il massimo risalto in alcune recenti
decisioni, secondo le quali, a garanzia di esigenze unitarie ed al fine di rendere più flessibile il disegno
costituzionale, può essere giustificata qualche deroga alla normale ripartizione della funzione legislativa fra
lo Stato e le Regioni.
Secondo la Corte la competenza legislativa dello Stato non va dunque ricostruita esclusivamente sulla base
dell’art. 117 cost., ma si deve tenere conto anche del successivo art. 118 cost., il quale vincola al rispetto dei
principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza sia l’allocazione delle funzioni amministrative, sia
quella delle competenze legislative.
Ciò in virtù del principio di legalità, secondo il quale le funzioni amministrative vanno regolate per legge.

8. Gli enti pubblici non territoriali

Gli enti pubblici non territoriali sono enti dotati di personalità giuridica pubblica nei quali non sussiste quale
elemento costitutivo il territorio. Possono essere istituiti sia dallo Stato, sia da parte di Regioni, Province o
Comuni autonomamente.

Capitolo Secondo

LE FONTI DEL GOVERNO DELL’ECONOMIA

1. Gli strumenti dell’azione. Quadro Generale

Per completare il quadro generale di riferimento occorre analizzare le fonti attraverso le quali i soggetti
possono agire, unitamente alle ulteriori forme di interazione con il sistema economico nel quale i pubblici
poteri assumono un ruolo di rilevo. Gli strumenti di intervento nell’economia, dunque, sono superiori alle
sole fonti normative, tuttavia, non vi è dubbio che queste costituiscano il mezzo fondamentale di intervento
nell’economia. In questo senso, si può parlare di fonti normative espressione del pubblico potere che
risultano eterogenee sotto diversi profili.
Negli ordinamenti giuridici contemporanei, infatti, si assiste ad una crescente complessità delle forme e delle
fonti di produzione delle norme giuridiche. Un quadro di riferimento, comunque, a cui si chiede di garantire
l’efficacia del principio di certezza del diritto, in quanto, l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica
costituisce un elemento fondamentale dello stato di diritto. Tale esigenza si avverte in modo determinante
nei rapporti economici, dove i comportamenti assunti dagli operatori devono essere orientati a regole chiare.
La stessa Corte Costituzionale ha chiarito che la tutela dell’affidamento non è assoluta, in quanto il legislatore
può sempre adottare disposizioni che modifichino sfavorevolmente i rapporti di durata.
Anche il tradizionale sistema di gerarchia delle fonti di produzione risente della presenza di fonti del tutto
eterogenee rispetto a quelle tipiche degli ordinamenti giuridici incentrati sulla nozione di sovranità statale.
Nel Governo dell’economia vi è stata una notevole compressione per effetto della crescente autolimitazione
che formalmente e sostanzialmente gli ordinamenti nazionali accettano in funzione della sempre crescente
globalizzazione delle problematiche connesse alla sua disciplina. Autolimitazione che nell’ordinamento
italiano deriva dai principi costituzionali di cui agli artt. 10,11 e 117 Cost. ove si consente una sovrapposizione
di fonti eterogenee rispetto a quelle tradizionali.
Accanto ad una progressiva riduzione della sovranità statale nel governo dell’economia, a favore
dell’ordinamento internazionale e dell’ordinamento comunitario, si deve rilevare anche un progressivo
ampliamento dell’autonomia di altri soggetti della Repubblica, in particolare degli enti e delle autonomie
territoriali.

2. La Costituzione

La Carta Costituzionale italiana contiene le scelte fondamentali del nostro ordinamento, ne definisce la forma
e l’organizzazione fondamentale, riconosce e garantisce le libertà fondamentali, i diritti civili, sociali ed
economici. Oggi, per l’effetto dell’ordinamento comunitario, le norme contenute nei Trattati e nelle Carte
dei diritti possono orientare le scelte interpretative delle norme costituzionali soprattutto per ciò che
riguarda il governo dell’economia. La scelta costituzionale della forma di governo parlamentare incide sul
procedimento per la formazione della cd. manovra di bilancio, ovvero del più importante momento di
espressione dell’esercizio del potere di governo dell’economia. Nella Costituzione, infatti, particolari
disposizioni dettate per la legge di bilancio, che deve essere approvata dal Parlamento con legge ordinaria
(art. 75 Cost.). L’art. 81 Cost., poi, ridisciplina i contenuti della legge di bilancio perché è stato modificato con
legge cost. n. 1 del 2012, a seguito dell’esigenza di allineare anche l’ordinamento fondamentale agli impegni
assunti con il Fiscal Compact.
Il principio di equilibrio di bilancio è introdotto anche nell’art. 119 Cost., il quale prevede che i comuni, le
provincie, le città metropolitane e le regioni hanno autonomia di entrata e di spesa, nel rispetto dell’equilibrio
dei relativi bilanci e concorrono ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti
dall’ordinamento UE.
La Costituzione disciplina poi espressamente i rapporti economici e riconosce i diritti di cui sono titolari i
singoli anche nei confronti della Stato, prevedendo che questo effettui interventi positivi a garanzia della loro
piena attuazione.

3. il diritto dell’Unione

I Trattati UE costituiscono il diritto “pattizio” e contengono la disciplina fondamentale dell’UE in tema di


Governo dell’economia; essi individuano gli ambiti di competenza in cui interviene l’UE, gli organi e le
modalità di intervento.

4. Le fonti dell’Unione

Le fonti del diritto dell'Unione europea sono di tre tipi: le fonti primarie, le fonti derivate e le fonti
complementari.
Le fonti primarie, o diritto primario, comprendono essenzialmente i trattati istitutivi delle Comunità europee
e dell'Unione europea. Tali trattati contengono le norme formali e sostanziali che costituiscono il quadro in
cui le istituzioni attuano le varie politiche delle Comunità europee e dell'Unione europea. Fissano le norme
formali che sanciscono la ripartizione delle competenze tra l'Unione europea e gli Stati membri e che fondano
il potere delle istituzioni.
Il diritto dell'Unione europea derivato comprende un ventaglio di atti giuridici adottati dalle istituzioni
europee, nei limiti delle competenze e con gli effetti che il Trattato sancisce. Si tratta di atti che vengono
posti in essere attraverso procedimenti deliberativi che si svolgono e si esauriscono in modo del tutto
indipendente da quelli legislativi e amministrativi nazionali.
Nell'ambito di tale sistema va inquadrato l'art. 288 TFUE che definisce la tipologia degli atti a mezzo dei quali
le istituzioni dell'Unione europea esercitano le competenze loro attribuite:
• i regolamenti, hanno una portata generale, sono obbligatori in tutti i loro elementi e direttamente
applicabili;
• le direttive, sono indirizzate solo agli Stati membri e non sono obbligatorie in tutti i loro elementi, in
quanto vincolano i destinatari solo riguardo al risultato da raggiungere, lasciando alla loro discrezione
la scelta dei mezzi e della forma;
• le decisioni, sono obbligatorie in tutti i loro elementi e se designano i destinatari sono obbligatorie
soltanto nei confronti di questi.
Oltre agli atti dotati di forza vincolante, l’art. 288 TFUE prevede altri due tipi di atti: le raccomandazioni ed i
pareri.
In base a quanto previsto dall'art. 292 TFUE, il potere generale di adottare raccomandazioni è assegnato al
Consiglio. Anche la Commissione e la Banca centrale europea possono adottare raccomandazioni, ma
soltanto nei casi specifici previsti dai Trattati.
Il potere generale di emettere pareri è assegnato al Parlamento europeo; laddove altre istituzioni emanano
pareri viene previsto specificamente nei Trattati.
Una distinzione tra i due tipi di atti non vincolanti può essere operata in base alle loro diverse finalità. Mentre
la raccomandazione ha, infatti, il preciso scopo di sollecitare il destinatario a tenere un determinato
comportamento giudicato più rispondente agli interessi comuni, il parere tende piuttosto a fissare il punto
di vista dell'istituzione che lo emette, in ordine a una specifica questione.
Gli atti atipici sono quegli atti non vincolanti che pur essendo emanati dalle istituzioni, non rientrano fra quelli
elencati dall’art. 288 del TFUE.
Sono atti atipici:
• i regolamenti interni che ciascuna istituzione approva per disciplinare la propria organizzazione ed il
proprio funzionamento;
• i Programmi generali per la soppressione delle restrizioni relative alla libertà di stabilimento o di
prestazione dei servizi, che il Consiglio ha adottato e ha determinato le linee generali alle quali
avrebbe uniformato la sua attività futura in queste materie;
• gli accordi inter-istituzionali, firmati dai presidenti di più istituzioni con i quali queste istituzioni
stabiliscono delle regole volte a migliorare i loro rapporti ed evitare possibili conflitti;
• le comunicazioni che la Commissione emana per precisare i propri orientamenti in merito ad una
questione (cosiddette decisorie), per raccogliere le valutazioni della giurisprudenza relative ad un
determinato settore (cosiddette interpretative), per indicare le linee guida di future proposte
normative (cosiddette informative);
• i libri verdi e i libri bianchi, che sono, nel primo caso documenti pubblicati dalla Commissione allo
scopo di avviare il processo di consultazione su specifici argomenti nell'ambito dell'Unione e, nel
secondo caso, documenti che seguono spesso quella di un libro bianco in modo che le consultazioni
effettuate si traducano in concrete proposte d'azione.

4. Gli atti dello Stato e degli enti localo territoriali

a) Le fonti primarie (leggi statali e regionali, decreto-legge e decreti legislativi). La rilevanza della fonte
primaria nel governo dell’economia è di immediata percezione, quando si considera che la nostra
Costituzione fa ampio uso di riserve di legge in questo settore.
È con legge, poi, che lo Stato determina i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali
che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.
Con legge dello Stato, inoltre, vengono definiti i principi fondamentali cui le leggi regionali devono attenersi
nel legiferare in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del
sistema tributario della regione.
Al contrario, il decreto legislativo viene impiegato per disciplinare le materie che richiedono una particolare
specializzazione tecnica, tipiche dei settori a rilevanza economica fondamentale, ad esempio, l’energia o i
trasporti.
Infine, un'altra fonte rilevante sono i Testi Unici, che possono essere compilativi od innovativi e contenere
anche norme con forza regolamentare. Con i Testi Unici è stato possibile raccogliere e dare organicità a leggi
che negli anni si sono sovrapposte.
b) Le fonti secondarie: il riferimento è agli atti amministrativi di portata generale attraverso i quali si esplica
l’autonomia degli enti preposti all’esercizio della funzione oppure ai regolamenti di organizzazione o di
attuazione della normativa primaria.
c) Gli atti espressione di autarchia, propri di tutte le amministrazioni: tra questi atti acquistano un particolare
valore i decreti, a volte accompagnati da disciplinari contenenti gli obblighi dei privati che vengono ad
incidere direttamente sulle posizioni degli operatori economici oppure gli atti concessori, le autorizzazioni,
le sovvenzioni, gli incentivi, i provvedimenti di esecuzione e gli sgravi fiscali.

5. Gli atti delle autorità amministrative indipendenti

Un particolare accenno meritano gli atti delle autorità amministrative indipendenti perché essendo dotate
di funzioni fondamentali nei settori economici di loro interesse operano effettuando valutazioni tecniche,
che tengono conto delle condizioni dei diversi settori di mercato in cui operano, con atti a contenuto generale
e quindi sostanzialmente normativi, oppure con provvedimenti specifici, anche di natura sanzionatoria.
Ciascuna autorità indipendente ha uno statuto proprio, così come descritto dalla legge istitutiva. È la legge,
infatti, che ne descrive le caratteristiche, le funzioni ed i poteri. Proprio perché sono dotate di autonomia le
autorità amministrative indipendenti possono adottare anche regolamenti di organizzazione.
Hanno, invece, rilevanza esterna quegli atti generali ed astratti che le autorità indipendenti possono adottare
per regolare il determinato settore di loro competenza: ad esempio, gli atti adottati dalla Consob per fissare
in via generale e preventiva i criteri cui le società di intermediazione mobiliare dovranno attenersi nello
svolgimento delle loro attività.
Inoltre, l’attribuzione di poteri normativi alle autorità indipendenti, ha suscitato dubbi di compatibilità con il
principio di separazione dei poteri. Così, per assicurare la compatibilità con il modello costituzionale, gli atti
sono sottoposti ad un controllo di legalità e nel sistema delle fonti debbono essere collocati tra le fonti di
grado secondario e quindi subordinati alla legge.
Accanto a funzioni di natura regolamentare, le autorità indipendenti sono titolari di poteri amministrativi.
Adottano, infatti, “provvedimenti” rivolti a destinatari determinati o determinabili, diretti ad essere applicati
una sola volta od un numero di volte determinato.
Tali provvedimenti possono essere:
- preventivi ovvero autorizzatori o inibitori di una determinata azione;
- successivi ovvero diretti a modificare comportamenti già tenuti o atti già adottati.
L’atto con cui l’autorità indipendente decide ha natura amministrativa e quindi partecipa delle garanzie e del
regime giuridico di questi atti.
Parte Seconda

L’AZIONE AMMINISTRATIVA MEDIANTE IL MERCATO

Capitolo Primo

MERCATO E AMMINISTRAZIONE

1. La posizione del problema: il problema quale mezzo per l’amministrazione per lo Stato del benessere

La “Costituzione economica”, intesa come formula che comprende le disposizioni del nostro ordinamento
che disciplinano il regime della proprietà privata, dell’iniziativa economica e finanziaria non ha dato rilevanza
formale al concetto di mercato.
Oggi, le disposizioni comunitarie integrano il quadro di riferimento costituzionale. È nato così il concetto di
mercato unico europeo e nasce, di conseguenza, la disciplina a tutela di esso.
In questo contesto, nasce anche la nozione di Stato del benessere che mira ad offrire sempre maggiori e
qualificati servizi pubblici a favore della comunità nazionale, in quanto appartiene al singolo stato.
La concorrenza nel mercato e per il mercato viene a costituire il nuovo punto di attenzione per realizzare gli
interessi pubblici.

2. Mercato, deregolamentazione ed equità

Il complesso delle azioni di intervento dello Stato nell’economia è identificabile come strumenti propri del
potere pubblico al fine di intervenire sul comportamento dei soggetti economici.
Nei modelli di intervento dello Stato nell’economia, si è, almeno in parte sostituita ad un’impostazione
keynesiana un’impostazione liberista. L’idea posta alla base di questa impostazione è quella del mercato
come struttura perfettamente autoregolatrice ovvero non influenzata da interventi più o meno diretti dello
Stato. Questa impostazione, inoltre, ha costituito la base teorica del complesso di politiche di
deregolamentazione. Per deregolamentazione si intende una politica di intervento normativo volta a
semplificarne il funzionamento.
In tale complesso di ipotesi, a lungo però si è ritenuto indispensabile il ricorso alla regolamentazione ovvero
all’intervento diretto dello Stato nel mercato.
Dato certamente comune a molti ordinamenti attuali è la rivalutazione dei principi legali alla libera
concorrenza ed alla libertà di iniziativa economica. In particolare, il tentativo di un maggior ricorso a
condizioni di apertura dei mercati che ha caratterizzato la struttura stessa del Trattato istitutivo della CEE, si
è poi riflesso anche sul nostro ordinamento.
Dal mercato, all’equità del mercato potrebbe essere definito il passaggio ulteriore che oggi occorre effettuare
per giungere ad una visione unitaria degli intenti che l’amministrazione deve perseguire, concentrando
l’attenzione, nell’esercizio del potere, alla persona e alla comunità, piuttosto che al bene in sé.
Da ciò due conseguenze:
1) le profonde trasformazioni che le economie mondiali hanno avuto definiscono il mercato sempre più
in ragione degli spazi economici, piuttosto che delle legislazioni.
2) Una seconda conseguenza è che oggi sembra più corretto parlare di diritto al mercato e non di libertà
di mercato ovvero avere una libera competizione economica per ottenere il massimo reddito
disponibile della collettività.

3.2Le tappe della nascita dell'Unione Europea


il processo di integrazione europea inizia con la realizzazione di un programma comune di sviluppo industriale
tentato dall’OECE, prosegue con l’istituzione della CECA, che stimolò lo sviluppo della collaborazione anche
in altri settori (nacquero così EURATOM e CEE)—> gli accordi di cooperazione tra paesi membri hanno
attraversato varie fasi:
la prima caratterizzata dalla creazione di un'area di libero scambio,
la seconda dalla creazione di un'unione doganale, la terza dall'istituzione di un
mercato comune;
la fase successiva ha portato alla creazione di una politica monetaria

3.2 Gli strumenti per la realizzazione del mercato unico

L’ art. 3 TUE (trattato Unione Europea) dispone che l’UE instaura un mercato interno, con la conseguenza che
attraverso il graduale avvicinamento delle politiche economiche degli Stati membri si intendono
promuovere:
- lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata;
- la stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva;
- la piena occupazione;
- il progresso sociale.
Attraverso il mercato unico si vuole facilitare la libera circolazione di moneta, risorse lavorative, beni e servizi
tra i Paesi che aderiscono agli accordi del mercato unico.

4. Dall’invasione pubblica del mercato alle regole

Oggi i parametri di intervento del pubblico nell’economia sono radicalmente mutati. Con la privatizzazione si
abbandona il concetto dell’intervento mediante la proprietà, per giungere all’equità del mercato attraverso
le regole. Questi principi riflettono immediatamente sulle due tipologie di mercato: i mercati privati ed i
privati pubblici. La differenza tra questi due tipi di mercato è nelle modalità di regolamentazione della
concorrenza e di difesa del mercato delle possibili aggressioni esterne od interne, mentre le finalità sono
sempre le medesime unificate dall’ulteriore valore rappresentato dal diritto al mercato.

5. Dalla libertà di concorrenza al diritto al mercato

La costituzione sancisce la libertà di iniziativa privata all’art.41 ovvero la libertà di produrre, di organizzare
l’impresa e di decidere come, quando e se produrre. Affinché il mercato operi in condizioni di concorrenza è
necessario regolamentare in senso restrittivo la libertà di iniziativa economica dei singoli.
L’ordinamento dell’UE ha posto, un insieme di regole a stimolo e tutela della concorrenza che vietano quelle
azioni volte a falsare la concorrenza.

6. Diritto al mercato e diritto al benessere

Il concetto di Stato del benessere ovvero di Stato che vede come finalità necessaria della propria azione il
benessere dei privati, anche non cittadini, si è evoluto nel senso di privilegiare le effettive capacità anche
economiche dell’amministrazione.
L’introduzione del principio di equilibrio di bilancio a livello costituzionale ha modificato non solo l’azione
dell’amministrazione, ma anche la sua organizzazione che, negli ultimi venti anni, si è implementata da
soggetti non più pubblici, ma che svolgono funzioni pubbliche.

CAPITOLO 2: Mercato e strumenti a garanzia

1.Il mercato quale mezzo dell'azione amministrativa


Il riconoscimento del mercato come mezzo della azione amministrativa e quindi quale strumento funzionale
al perseguimento di interessi generali ha comportato nuove forme organizzative oltre tradizionali soggetti
pubblici (creazione ed istituzione di nuovi soggetti pubblici, quali le autorità indipendenti, operanti nel
mercato e per il mercato): da una concezione di mercato quale implicita espressione della libertà di iniziativa
economica privata, si è passati ad una concezione diversa, quale bene da tutelare in quanto mezzo per il
perseguimento delle finalità della Repubblica; inoltre si è vincolata la nozione di mercato come mezzo per il
perseguimento dell’interesse generale ad una condizione precisa, la libera concorrenza degli operatori e fra
gli operatori (si è ritenuto che solo in condizioni di libera concorrenza è possibile massimizzare il benessere
economico sociale prodotto dal mercato per la collettività)—> il riconoscimento del mercato quale mezzo
dell'azione amministrativa reso necessaria l'attribuzione al potere amministrativo della capacità di intervento
diretto, volto ad assicurare il funzionamento del mercato in condizioni di libera concorrenza; nella pratica ciò
ha portato all’istituzione dell’AGCM, autorità preposta alla garanzia della concorrenza del mercato.—> sono
poi nati strumenti sempre più specifici a tutela degli operatori dei consumatori, tra questi ricordiamo le
autorità settoriali, che distinguiamo in:
• Autorità indipendenti per il mercato, previste dall'ordinamento per regolamentare il mercato di
riferimento attraverso atti di regolazione a contenuto generale;
• Autorità indipendenti nel mercato, intervengono quali momenti di garanzia della regolazione in
mercati esistenti.

2.L'Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM)


Anche detta antitrust, fu istituita dalla legge della concorrenza, n.287/1990. AGCM è un organo collegiale
composto da cinque componenti, tra il quale un presidente scelto tra personalità di notoria indipendenza
che abbiano ricoperto incarichi istituzionali di grande rilievo, nominati d'intesa dal presidente della camera e
dal presidente del Senato, restano in carica per sette anni ed è previsto il divieto di doppio mandato.
Compiti: AGCM verifica che il comportamento delle imprese non determini violazioni alle norme disposte
dalla legge che provochino una restrizione o una alterazione della concorrenza, ipotesi sintetizzabili in tre
categorie di comportamenti:
1) “intese restrittive della libertà di concorrenza”, ossia accordi concordate tra imprese che vadano impedire,
restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all'interno del mercato nazionale;
2)” abuso di posizione dominante” da parte di una o più imprese che
intendano sfruttare la propria posizione di forza per alterare, a proprio vantaggio, le regole di mercato;
3)” operazione di concentrazione restrittive della libertà di concorrenza” che determinino la costituzione o
ampliamento di una posizione di mercato dominante.
Profilo procedurale: l'attività Dell’AGCM si articola in tre fasi:
A) preistruttoria, in cui si acquisiscono e controllano gli elementi a sostegno
della presunta infrazione;
B) istruttorio, volta alla valutazione della sussistenza o meno dei presupposti che giustificano il divieto
dell’operazione (AGCM in ogni fase dell'istruttoria può chiedere alle imprese, enti o persone che ne siano in
possesso, di fornire informazioni e di esibire documenti utili alla fine dell’istruttoria);
C) di intervento, in cui vengono definite le eventuali azioni di incidenza mediante un atto di diffida alle
imprese interessate a eliminare le infrazioni riscontrate. Potere sanzionatorio: l'applicazione delle sanzioni
costituisce l'eccezione rispetto all'intervento dell’AGCM diretto, in genere, ad imporre, tramite diffida, la mera
rimozione dell’infrazione; vi è un’ unica ipotesi di sanzione preventiva che l’AGCM può infliggere nel caso di
imprese che non abbiano adempiuto all’obbligo della preventiva informazione; quando si parla di abuso di
posizione dominante la sanzione è pecuniaria solo in caso di gravi infrazioni o di inottemperanza alla diffida
emessa dall'AGCM; contro le determinazioni sanzionatorie è ammesso ricorso al T.A.R. del Lazio e, in sede di
appello, al Consiglio di Stato.

3.La tutela del mercato attraverso la tutela del consumatore


Si vuole tutelare il consumatore da politiche commerciali ingannevoli e scorrette.
Competente è l'AGCM, la quale ha il potere di vigilare sulle discriminazioni verso i consumatori e delle
microimprese basate sulla nazionalità e il luogo di residenza (d.lgs. 21/2014).
Inizialmente doveva reprimere solo la pubblicità ingannevole, diffusa con qualsiasi mezzo. Dal 2000 può
valutare anche la pubblicità comparativa.
In questi casi può intervenire sia in via cautelare o imponendo sanzioni pecuniarie.
4.La nuova tutela in sede di giustizia amministrativa
Il catalogo delle azioni esperibili volte a garantire la tutela nei mercati si è notevolmente ampliato e accanto
all'azione di annullamento verso un atto illegittimo vi sono anche quelle di condanna e risarcimento in forma
specifica. Il cammino per giungere a questo percorso è stato lungo dato che il fondamento della pretesa
risarcitoria era riconducibile all’articolo 2043 cc, che si riferiva ai diritti; un impulso rilevante provenne
dall'ordinamento comunitario che, non conoscendo la categoria dell'interesse legittimo, ebbe ad imporre
procedure per garantire la tutela di situazioni giuridiche soggettiva lese dalla P.A. (Si vennero ad affermare
nuovi diritti, quali quello al mercato, all’informazione, alla pubblicità, al rispetto della libera concorrenza)
La tutela di tali diritti richiedeva sanzioni, così art.13 l.142/1992 introdusse:
1)diritto alla restitutio in integrum, ossia il diritto dell'imprenditore ad essere restituito nella posizione
giuridica antecedente il fatto illecito;
2)al risarcimento del danno subito ove, non potendosi più ricorrere alla restitutio in integrum perché la
procedura era esaurita con l'esecuzione dei lavori o per il completamento della fornitura, si poteva disporre
solo un equivalente in denaro al ristoro della lesione del diritto. La giurisdizione in materia fu affidata ai
tribunali amministrativi, così da quel momento a quei giudici fu attribuito il potere di condannare al
risarcimento del danno la P.A. che avesse violato i principi comunitari o nazionali in materia; con art.35 del
d.lgs. 80/1998, venne poi riconosciuto il potere del G.A. (giurisdizione amministrativa). Di disporre anche
attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto, in tutte le controversie
devolute alla sua giurisdizione esclusiva.
Le situazioni oggi tutelate sono le seguenti:
A) è prevista l'inefficacia del contratto ove il giudice annulli l’aggiudicazione, potendosi precisare se la
declaratoria di inefficacia è limitata alle prestazioni ancora da eseguire alla data della pubblicazione del
dispositivo o opera in via retroattiva (ad esempio ove l'aggiudicazione definitiva sia avvenuta senza previa
pubblicazione del bando, ove il contratto sia stato stipulato senza rispettare il termine di laboratorio stabilito
oggi dall’art.32 d.lgs.50/2016);
B) il contratto resta efficace qualora venga accertato che il rispetto di esigenze imperative connesse ad un
interesse generale imponga che i suoi effetti siano mantenuti;
C)il giudice che annulla l'aggiudicazione definitiva stabilisce se dichiarare inefficace il contratto.
Ove nonostante le violazioni il contratto sia considerato efficacia o l'inefficacia sia temporalmente limitata, si
applicano sanzioni alternative, che sono:
a) la sanzione pecuniaria nei confronti della stazione appaltante;
b) la riduzione della durata del contratto, da un minimo del 10% ad un massimo del 50% della durata residua
alla data di pubblicazione del dispositivo.
In alternativa se il giudice non dichiara l'inefficacia del contratto dispone il risarcimento del danno per
equivalente. Si apre così la possibilità per l'operatore economico di agire per un concreto ed effettivo
risarcimento dei danni subiti.

CAPITOLO 3
Mercato, deroghe, sovvenzioni, aiuti

1.Introduzione
Nell'ambito della politica economica, ruolo centrale spetta alle azioni di politica industriale; esistono vari
interventi che l'esecutivo può porre in essere, tra questi ricordiamo le erogazioni di sovvenzioni alle imprese:
in materia, combinando la disciplina dell’UE e quella nazionale sono rilevabili due sistemi di intervento, prima
alternativi, ora integrati:
1) il sistema dei fondi dell’UE, fondi volti al sostegno della produzione e degli investimenti strutturali;
2) il sistema delle erogazioni pubbliche nazionali: erogazioni ordinarie che rientrano nel concetto di
interventi per la crescita sostenibile, finanziate con un fondo istituito presso il MEF o con altre forme
normativamente previste.
Analizziamo ora quel complesso di azioni amministrative di intervento nell’economia, che denominiamo aiuti
o sovvenzioni.
2.Sovvenzioni: aspetti generali e limiti d'indagine
Nel nostro ordinamento non vi è una vera e propria definizione. Secondo una tradizionale configurazione, le
sovvenzioni sono una categoria di atti amministrativi di natura provvedimentale, il cui effetto giuridico
prevalente consiste nella attribuzione di una somma di denaro o di altro bene economicamente valutabile,
senza che ciò comporti un obbligo di restituzione; nel linguaggio comune la sovvenzione ha assunto un
significato più ampio, ricomprendendo anche le agevolazioni fiscali e quelle tributarie. Nel nostro
ordinamento il sistema dei mezzi di ausilio finanziario si configura come insieme complesso e disomogeneo
di istituti dalle caratteristiche anche profondamente diverse, ma accomunati dalla identità della funzione
economica svolta: il legislatore ha creato di volta in volta lo strumento giuridico ritenuto più opportuno in
rapporto alla situazione particolare di intervento, da ciò è derivato un quadro legislativo estremamente
disarticolato, cosa che rende difficile il tentativo di ricostruzione dell’istituto della sovvenzione. Nell'ambito
Dell’UE il problema non si pone in termini di inquadramento giuridico dell’Istituto, ma in termini di
compatibilità con il sistema di norme poste a tutela della concorrenza: per la disciplina UE, l'aiuto di Stato si
configura quale intervento agevolativo connotato da quattro caratteristiche:
1) concesso dallo Stato mediante impiego di risorse pubbliche;
2) determina un vantaggio a favore di talune imprese o produzioni;
3) produce un impatto sulla concorrenza;
4)È idoneo ad incidere sugli scambi tra gli Stati membri.
Sono soggetti alla normativa dell'amministrazione trasparente.

3.La disciplina dell'Unione


Art.107 co.1 TFUE dichiara incompatibili con il mercato comune gli aiuti concessi dagli Stati sotto qualsiasi
forma che falsino o minaccino di falsare la concorrenza (a ciò derogano aiuti a carattere sociale, aiuti per
riparare i danni di calamità naturali, aiuti destinati a compensare squilibri economici derivanti dalla divisione
della Germania, o ancora gli aiuti di Stato che perseguono l'obiettivo dello sviluppo di regioni arretrate o della
realizzazione dei progetti di comune interesse europeo)—> da ciò si desume come il concetto di “aiuto” sia
più ampio di quello di “sovvenzione”, dato che l'aiuto ricomprende non solo le erogazioni di denaro pubblico,
ma tutte le misure atte a modificare la posizione di determinate imprese, con la conseguente alterazione
delle condizioni di concorrenza all’interno di un mercato. Al contrario la sovvenzione altro non è che una
“prestazione in denaro o natura concessa per sostenere un'impresa indipendentemente da quanto i clienti di
questa pagano per i beni o servizi da essa prodotti.
Verifica della compatibilità degli aiuti da parte della UE: ogni progetto di norma che preveda la concessione
di un beneficio che abbia ripercussioni economiche, deve essere tempestivamente modificato dallo Stato
membro interessato alla Commissione UE che adotta in merito una decisione con la quale stabilisce se tale
agevolazione sia compatibile con le regole del TFUE. La procedura di esame dei” regimi di aiuto” È regolata
dall’art.108 TFUE, in base al quale lo Stato “non può dare esecuzione alle misure progettate prima che la
procedura di controllo abbia dato luogo ad una decisione finale da parte della commissione”—>Affinché sia
compatibile con il mercato comune occorre che la misura di aiuto adottata da uno stato sia necessaria,
proporzionata rispetto all'obiettivo prescelto, efficacia e trasparente. Vi sono atti generali di esenzione,
emanati dalla Commissione, in modo tale da esentare gli Stati membri dall’obbligo di notifica imposto dal
TFUE; le esenzioni riguardano gli aiuti di importanza minore, la pesca, I prodotti agricoli.

4.Le ipotesi di sovvenzione


Possiamo distinguere tra:
1) sovvenzioni dirette, volte a far sorgere nuove forme di iniziative imprenditoriali private;
2) sovvenzioni indirette, volte a consentire la sopravvivenza di un determinato servizio pubblico.
Nel linguaggio legislativo ed in dottrina il concetto di sovvenzione viene impiegato anche con denominazioni
diverse quali contributo, concorso, premio, sussidio, etc.
L'intervento legislativo è sempre necessario, in quanto anche la spesa pubblica deve rispettare il principio di
legalità.
L'intervento può:
• indicare solo sinteticamente i fondi e i settori di spesa.
• Prevedere nel dettaglio l'intera disciplina della procedura.
Qual è un intervento legittimo?

• Intervento da parte dello Stato a favore di un operatore economico che agisce nel libero mercato.
• Idoneità dell'intervento a concedere un vantaggio al suo beneficiario.
• Dimensione dell'intervento superiore alla soglia economica minima che determina la sua
configurabilità come aiuto "de minimis"ai sensi del Reg. 1407/2013
Le sovvenzioni sono oggi sempre più limitate perché la discrezionalità dello Stato nel decidere se e quando
erogarle viene ad essere limitata dall'esterno, dal TFUE e dall'interno.

5.Il procedimento di erogazione delle sovvenzioni


Tale procedimento rientra tra i procedimenti amministrativi, poiché l’atto con cui si eroga materialmente il
contributo è un provvedimento amministrativo. In materia va ricordato art.12 l.241/1990, in base al quale
tanto la concessione di sovvenzioni, quanto l'attribuzione di vantaggi economici di qualsiasi genere a persone,
sono subordinate alla predeterminazione, da parte delle amministrazioni precedenti, dei criteri e delle
modalità cui le stesse amministrazioni devono attenersi ai fini della loro attribuzione. Il rapporto alla base
dell’attività di sovvenzione nasce dall’istanza del privato che chiede di essere ammesso al beneficio; la P.A.
svolge un'istruttoria e, in base a questa, viene posto in essere l'atto di concessione del beneficio—> con
l'emanazione del provvedimento l'amministrazione assume l’obbligazione, dando luogo ad una normale
rapporto debitorio/creditorio fra il soggetto pubblico e quello privato.

6.I rapporti giuridici derivanti dalle sovvenzioni


1) l'aspettativa dell’attribuzione del beneficio: la posizione di aspettativa dei destinatari di tali provvedimenti
si configura solo in termini di interesse legittimo, la cui tutela spetta sempre al G.A.;
2) la posizione del privato conseguente all’attribuzione della sovvenzione: la giurisprudenza pressoché
unanime ritiene che per effetto del beneficio in cui si concreta la sovvenzione sorga un rapporto obbligatorio
tra P.A. e beneficiario, sostanzialmente retto dalle norme del c.c.;
3)il recupero dei benefici illegittimamente erogati: la difficoltà di tale procedimento consiste nel fatto che si
dovrà recuperare non solo quanto corrisposto, ma si dovrà anche provvedere in ordine al recupero dei
vantaggi illegittimamente acquisiti dal privato.

7.Le sovvenzioni dell'Unione


le azioni di aiuto dell’UE si caratterizzano in interventi volti a conferire provvidenze finanziarie mediante
l'utilizzo di strumenti istituzionali, nel quadro dei programmi pluriennali di finanziamento; tra questi possiamo
ricordare il programma 2014-2020, che prevede interventi a sostegno di ricerca e innovazione. Con il
regolamento n.1303/2013, recante disposizioni comuni sui fondi strutturali e di investimento europei, si è
dato luogo ad una classificazione dei cinque fondi SIE:
1) fondi strutturali: FESR, fondo europeo di sviluppo regionale, FSE, fondo sociale europeo;
2) fondi della politica di coesione: fondo di coesione, FEASR, fondo europeo agricolo per lo sviluppo
rurale, FEAMP, fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca.
In quest'ottica struttura di notevole importanza è la Banca europea per gli investimenti(BEI), proprietà
comune dei paesi Dell’UE, le cui risorse provengono dal capitale sottoscritto dagli stati membri; la BEI fornisce
prestiti, che costituiscono circa il 90% dei suoi impegni finanziari complessivi, E mentre i prestiti superiori ai
25 milioni di euro sono erogati direttamente, per quelli più esigui la BEI apre linee di credito per istituti
finanziari, che a loro volta concedono fondi ai richiedenti.

PARTE III:
Il mercato mobiliare ed immobiliare

CAPITOLO 1: L'azione amministrativa mediante la politica monetaria


La politica monetaria è il complesso di interventi che le autorità monetarie adottano per definire gli obiettivi
da raggiungere quindi realizzarli concretamente. La politica monetaria è parte della politica economica.
Come si definiscono gli obiettivi fondamentali della politica monetaria?
Le autorità competenti devono tener conto di molto obiettivi, quali la crescita dell'attività economica e il
contenimento delle sue fluttuazioni, la stabilità monetaria, l'equilibrio dei conti all'estero, lo sviluppo della
struttura creditizia....
Il TFUE prevede che la politica monetaria sia affidata a due istituzioni:
⁃ BANCA CENTRALE EUROPEA
⁃ SEBC (sistema europeo delle banche centrali)
L'art. 127 TFUE fa divieto assoluto di sollecitare o accettare istruzioni dagli organi comunitari, dai Governi
degli Stati membri, da qualsiasi altro organismo. (no influenze).
L'art. 131 TFUE fa obbligo agli stati membri di adeguare le proprie legislazioni nazionali e lo statuto di ciascuna
Banca centrale alle disposizioni del TFUE e dello statuto del SEBC.
Oggi con il TFUE è prevalso il modello ove si dispone come l'obiettivo primario della politica monetaria, sia
quello di assicurare il mantenimento della stabilità dei prezzi nell'area dell'euro, anche al fine di perseverare
il potere d'acquisto.
Il mantenimento della stabilità dei prezzi serve per garantire la realizzazione di un contesto economico
favorevole e di un elevato livello di occupazione costituisce bene comune e viene attribuito come compito
primario alla BCE la quale diventa responsabile unico del perseguimento delle finalità godendo di
un'autonomia.
Si attribuisce all'euro un ruolo in primo piano, in considerazione della sua incidenza sulla inflazione, in quanto
si ritiene che questa sia il risultato di un'eccessiva quantità di moneta rispetto a un'offerta limitata di beni e
servizi, da ciò una sua definizione quantitativa per la stabilità dei prezzi basata su una vasta gamma di
indicatori economici, quali salari, il tasso di cambio, i tassi d'interesse a lungo termine...

Il Sistema europeo delle Banche Centrali


Sec. L'art. 129 TFUE la BCE e le Banche centrali nazionali e quindi la Banca d'Italia (ha perso la sua autonomia)
compongono il SEBC che definisce e attua la politica monetaria dell'UE ed è retto dagli organi decisionali della
BCE.
Il SEBC è un'istituzione su base federale con un proprio statuto definito con protocollo, allegato al TFUE.
Art. 107 TFUE: riconosce al SEBC il diritto esclusivo di autorizzare l'emissione di banconote nell'area euro ed
è incaricato di tenere e gestire le riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri, oltreché il compito di
promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento dell'UE.
OBIETTIVO del SEBC è quello di mantenere la stabilità dei prezzi, e quindi sostenere le politiche generali
dell'UE.
L'azione del SEBC è orientata a principi di un'economia di mercato aperta ed in libera concorrenza, finalizzata
a conseguire una efficace allocazione delle risorse.
Deve adottare una politica economica, fondata sullo stretto coordinamento delle politiche degli Stati membri,
sul mercato interno e sulla definizione di obiettivi comuni. La sua azione è stata fondamentale per l'adozione
della moneta unica, infatti è stata diretta a fissare in modo irrevocabile i tassi di cambio finalizzati
all'introduzione della moneta unica.
La Banca Centrale Europea
La BCE prevista oggi dagli artt. 282 e ss. TFUE. Viene consultata in merito a qualsiasi proposta di atto
comunitario che rientri nelle sue competenze; dalle autorità nazionali, sui progetti di disposizioni legislative
che rientrino nelle sue competenze, ma entro i limiti e alle condizioni stabiliti dal Consiglio, può formulare
pareri da sottoporre alle istituzioni o agli organi comunitari o alle autorità nazionali su questioni che rientrano
nelle sue competenze.
Il suo obiettivo è mantenere la stabilità dei prezzi, nell'area euro; ha il diritto esclusivo di emettere o
autorizzare le banche centrali nazionali l'emissione delle banconote.
Strettamente connessa alla politica monetaria è la materia creditizia e degli investimenti finanziari che
contribuiscono a definire la stabilità del sistema e che devono essere considerate per capire come si deve
manifestare l'esercizio dei poteri pubblici in una materia complessa ed articolata quale è la politica monetaria.
La BCE svolge vigilanza sugli istituti di credito significativi, mentre gli altri enti creditizi rimangono sottoposti
alla vigilanza delle autorità nazionali competenti (Banca d'Italia).
Seppur è prevista la vigilanza indiretta della BCE.
La BCE assume anche competenza supplementare in quanto interviene quando si ravvisi la necessità di una
stretta cooperazione con le autorità nazionali; questa è titolare della competenza ad adottare provvedimenti
amministrativi per l'ingresso di nuovi soggetti nel mercato bancario dell'eurozona.
La BCE può adottare regolamenti che hanno portata generale soltanto per assolvere ai compiti specificamente
indicati dagli artt. 127 e 133 TFUE.
Prende le decisioni obbligatorie in tutti i loro elementi per i destinatari in essa designati, necessarie per
assolvere compiti attribuiti al SEBC, formula raccomandazioni o pareri, che sono non vincolanti, però può
infliggere alle imprese ammende o penalità di mora in caso di inosservanza degli obblighi imposti dai
regolamenti e dalle decisioni da essa adottati, nel rispetto della procedura disciplinata dall'art. 129 TFUE.

Alla BCE è garantita una posizione di indipendenza, dagli organi di governo dell'UE e da quelli degli Stati
membri, i quali non devono influenzare la BCE.

Organi BCE:
⁃ PRESIDENTE DELLA BCE: che rappresenta la banca nelle riunioni di alto livello dell'UE e internazionali
cui fanno capo il Consiglio direttivo e il Consiglio esecutivo.
Organi decisionali della BCE
⁃ Consiglio direttivo
⁃ Consiglio esecutivo
⁃ Consiglio generale.
Esiste anche un Comitato monetario a carattere consultivo che ha il compito di promuovere il coordinamento
delle politiche degli Stati membri, per il funzionamento del mercato interno, chiamato a seguire la situazione
monetaria e finanziaria ed il regime generali dei pagamenti degli Stati membri dell'UE, per riferire
regolarmente al Consiglio e alla Commissione.

FUNZIONI BCE
⁃ fissa i tassi d'interesse, concede prestiti alle banche commerciali.
⁃ Mantiene in equilibrio i tassi di cambio
⁃ controlla i mercati finanziari, e le istituzioni
⁃ garantisce la sicurezza e la solidità del sistema bancario europeo.
⁃ Monitoria le tendenze dei prezzi e valuti i rischi che ne derivano per la stabilità dei prezzi
La Banca d'Italia
L'art. 3 della legge bancaria definisce la Banca d'Italia come un Istituto di diritto pubblico. Tale è dal 1936. Ha
la forma della società per azioni.
ORGANI:
⁃ assemblea
⁃ consiglio superiore
⁃ comitato del consiglio superiore
⁃ governatore, nominato e revocato dal consiglio superiore (figura di maggior rilievo).
È membro del SEBC.

CAPITOLO 2

L’AZIONE AMMINISTRATIVA MEDIANTE LA FINANZA PUBBLICA FINANZA PUBBLICA: insieme di attività̀


attraverso le quali lo stato, servendosi di un’apposita organizzazione, raccoglie, amministra, ed eroga i mezzi
finanziari alla collettività̀.

Questo è il mezzo più̀ importante attraverso il quale lo Stato trae risorse per svolgere le funzioni e servizi ad
esse collegate. Le spese pubbliche dello stato sono finanziate attraverso:
Entrate tributarie, Intermediazione finanziaria pubblica e Denaro. L’attività̀ finanziaria è caratterizzata da 2
momenti:

1.ENTRATA
2. USCITA

Inoltre, l’ordinamento finanziario ha determinate fonti di rango costituzionale. L’ ART.81 Cost. afferma il
principio di equilibrio di bilancio che ha come obiettivo una progressiva diminuzione del debito pubblico
attraverso decisioni di breve/lungo termine. Inoltri per ogni onere maggiore devono essere individuate con
una legge le fonti di copertura finanziaria imponendo vincoli all’indebitamento che è ammesso SALVO
eccezioni e PREVIA autorizzazione delle camere. Sotto il profilo della responsabilità̀ soggettiva l’art.81
attribuisce in via ESCLUSIVA al GOVERNO il potere in materia di bilancio. Il parlamento ha il potere di controllo
sull’esecutivo e inoltre deve approvare la legge di bilancio. Solo l’organo legislativo può autorizzare una
gestione provvisoria per un periodo NON superiore a 4 mesi.

LEGGE DI BILANCIO

Entro il 20 OTTOBRE deve essere presentato il disegno di legge di bilancio. La legge di bilancio è riferita ad
un periodo di 3 ANNI ed è composta da 2 sezioni:

1°SEZIONE

Contiene le misure quantitative per raggiungere gli obiettivi prefissati. Inoltre, è previsto che le nuove o
maggiori spese disposte dalla prima sezione del disegno di legge non possono concorrere a determinare i
tassi di evoluzione delle spese sia correnti che in conto capitale incompatibili con gli obiettivi determinati dal
DEF.

2°SEZIONE

Contiene i contenuti del bilancio di previsione ed è formata sulla base della legislazione vigente, tenuto conto
dei parametri del DEF, dell’aggiornamento delle previsioni per le spese per oneri inderogabili e fabbisogno e
delle rimodulazioni proposte. Inoltre, l’equilibrio di bilancio è una regola generale imposta a tutte le P.A, ed
è associato ad un altro principio relativo alla sostenibilità̀ del debito pubblico. Entrambe devono essere
rispettate in coerenza con i principi comunitari. Ciascun ente pubblico deve assicurare il proprio equilibrio,
sia singolarmente che nel suo complesso. Il debito pubblico deve essere considerato non solo come
riferimento ad una dimensione finanziaria statica ma deve essere esteso ad una dimensione dinamica, cioè
in una prospettiva non limitata in un arco temporale limitato.

CONTENUTO DELLA LEGGE DI BILANCIO

La legge di bilancio è coerente con l’esigenza di assicurare l’equilibrio tra entrate e spese dei bilanci e la
sostenibilità̀ del debito del complesso delle Pubbliche Amministrazioni.

A partire dal 2017 la legge di stabilità e legge di bilancio si sarebbero unificate in un unico documento
costituito da: un articolato e una tabella di spesa, che rappresenta l’atto con cui la commissione verifica il
rispetto dei limiti dell’indebitamento da approvarsi entro ottobre di ogni anno.

DEF: Il DEF è uno strumento che rafforza il principio di copertura delle spese e cerca di contenere il disavanzo
pubblico. Il DEF deve essere presentato dal governo alle camere entro il 10 aprile di ciascun anno per indicare
quelle che saranno le scelte politiche da attuarsi nell’anno che andranno poi a concretizzarsi nella legge di
bilancio.
Prima di presentare il DEF, c’è la presentazione della relazione generale della situazione economica del
paese, presentata dal MEF al parlamento entro il 30 marzo in cui viene illustrato l’andamento dell’economia
sotto il profilo economico. Le camere appena hanno ricevuto il DEF possono esprimersi sugli obiettivi
programmatici cosi da inviare le valutazioni al consiglio e alla commissione UE entro il 30 aprile.

Il DEF è costituito da 3 sezioni:

1°SEZIONE La prima sezione contiene lo schema del programma di stabilità nel rispetto dei principi dell’UE.

2°SEZIONE La seconda sezione contiene l’analisi del conto economico e del conto di cassa della P.A, previsioni
tendenziali a legislazione vigente, con riferimento al pubblico impiego.

3°SEZIONE La terza consiste nello schema del programma nazionale di riforma che deve essere presentato al
consiglio e alla commissione dell’UE entro il 30 aprile.

DEBITO PUBBLICO NELL’ORDINAMENTO COMUNITARIO

Oggi le norme che prima erano indicate nel trattato di Maastricht sui criteri per la partecipazione alla moneta
unica sono contenute nel TFUE nell’esigenza di agire secondo il principio di un’economia di mercato sana e
aperta alla concorrenza per garantire la stabilità dell’euro quale moneta unica. Questo principio deve essere
rispettato sia nel breve che nel lungo periodo attraverso il mantenimento della stabilità dei prezzi.

Per l’effetto, l’indebitamento netto, inteso come la differenza tra entrate e spese del conto economico delle
pubbliche amministrazioni, deve essere pari al 3% DEL PIL, con la conseguenza che il superamento del
parametro autorizza gli organi dell’UE ad adottare procedure correttive. Una certa flessibilità̀ è ammessa
quando il rapporto sia diminuito in modo sostanziale e continuo abbia raggiunto un livello che si avvicina al
valore di riferimento, o quando il superamento del valore sia solo eccezionale e temporaneo e il rapporto
resti vicino al valore di riferimento.

Il principio cardine dell’intera costituzione è il DIVIETO DEI DISAVANZI ECCESSIVI, al fine di ricondurre il
debito pubblico in un quadro di stabilità economica e di efficiente allocazione delle risorse finanziarie
disponibili.
Oggi lo stato è condizionato e condiziona a sua volta i privati per le sue spese che si distinguono in:

• Spese per il proprio mantenimento

• Per oneri da interessi privati

• Per la dotazione di infrastrutture

• Vari servizi come le pensioni, disoccupazione, cassa integrazione ecc.

Da ciò due accezioni del debito pubblico:

1. 1) la somma del debito contratto dallo stato con soggetti terzi


2. 2) I debiti contratti dalla pubblica amministrazione

Il finanziamento oggi avviene principalmente sul mercato finanziario e con emissione di:
- BOT, BPT, CCT, RISPARMIO POSTALE. Il ricorso al mercato finanziario trova delle problematiche nel
riscuotere i debiti da parte dei debitori. Eccezionalmente lo stato può̀ recuperare i debiti imponendo ai
creditori una modifica unilaterale del rapporto contrattuale sorto ed è questa la principale caratteristica che
distingue il contratto di debito pubblico con quello di diritto privato in quanto consente al debitore,
sfruttando i suoi poteri di sovranità̀, di modificare i rapporti giuridici liberamente contratti ed accettati.

L’AUTONOMIA FINANZIARIA DELLE REGIONE E DEGLI ENTI LOCALI

L’ART.119 Cost. afferma che le regioni hanno autonomia finanziaria, ovvero la potestà̀ di stabilire e gestire
in modo autonomo le risorse finanziarie di cui necessitano per la realizzazione delle funzioni loro affidate e
detta i principi che riguardano l’autonomia di entrata e di spesa delle regioni e degli enti territoriali, nel
rispetto dell’equilibrio di bilancio, con l’obbligo di rispettare i vincoli economici e finanziari derivanti
dall’ordinamento dell’Ue. Inoltre, riconosce l’autonomia di governo delle politiche fiscali e riconosce agli enti
locali territoriali la capacità di determinare elementi strutturali del tributo come l’aliquota, la base imponibile
e l’imposta dovuta.

Gli enti locali hanno quindi un ruolo attivo nella gestione del tributo e quindi liquidazione, riscossione,
accertamento, contenzioso e rimborsi. Comma 3 Art.119 Cost. prevede l’istituzione di un “fondo
perequativo” ovvero un fondo che rende equa la distribuzione delle risorse sul territorio e l’obiettivo è quello
di garantire un livello di servizi equo su tutto il territorio nazionale a prescindere dalla ricchezza tra i diversi
territori regionali.

CASSA DEPOSITI E PRESTITI

La cassa depositi e prestiti è nata per favorire lo sviluppo degli investimenti pubblici, delle infrastrutture e
dei servizi pubblici a carattere locale attraverso l’erogazione di prestiti. È quindi un istituto che raccoglie
denaro perché́ venga erogato sotto forma di prestiti agli enti territoriali che sono chiamati a realizzare
interventi a favore della comunità̀. La principale fonte di raccolta è costituita dal risparmio postale a cui si
aggiunge la raccolta obbligazionaria da investitori istituzionali e risparmiatori.

Oggi la CDP è una S.p.a. il cui capitale è del MEF. Sotto il profilo organizzativo è divisa in 2 aree:
1) gestione ordinaria che ha il compito di finanziare la realizzazione delle opere destinate alla fornitura di
servizi pubblici.

2) Gestione separata che ha il compito di finanziare gli investimenti degli enti pubblici territoriali e non e
degli organismi di diritto pubblico. I prestiti possono avere durata tra 5 e 30 anni, possono essere a tasso
fisso determinato in relazione alla durata dell’ammortamento o, variabile.

Capitolo Terzo

LAZIONE AMMINISTRATIVA NEL MERCATO MOBILIARE

1. La proprietà mobiliare
Strettamente collegata all’azione amministrativa per il tramite della politica monetaria è la disciplina
dell’intervento del pubblico sulla proprietà mobiliare privata.
La proprietà mobiliare privata viene, dunque, ad avere una sua regolamentazione pubblicistica per ragioni
connesse non solo al corretto sviluppo economico-produttivo del Paese, ma anche per assicurare i cittadini,
gli operatori ed in genere tutti i soggetti, circa la professionalità e correttezza istituti, aziende, società che vi
sono addetti.
Si aprono così tre specifici settori di analisi:
a) il settore della proprietà azionaria e dei valori mobiliari in genere;
b) il settore del credito e assicurativo;
c) il settore connesso alla finanziaria pubblica.
2. La Consob

La Commissione nazionale per le società e la Borsa (meglio nota con l'acronimo CONSOB), istituita con la
legge 7 giugno 1974, n. 216, è un'autorità amministrativa indipendente, dotata di autonoma personalità
giuridica e piena autonomia la cui attività è rivolta alla tutela degli investitori, all'efficienza, alla trasparenza
e allo sviluppo del mercato mobiliare italiano.
La funzione di vigilanza si svolge di concerto con la Banca di Italia, per quanto riguarda l'attività degli istituti
di credito italiani o di diritto estero operante nel nostro Paese. Il suo operato si inserisce nella più ampia
cornice del Sistema europeo di vigilanza finanziaria, attivo dal 2011.
Prima dell'istituzione della Consob era il Ministero del Tesoro, ovvero un organo non indipendente, ma
facente parte integrante del potere esecutivo, ad avere le funzioni di vigilanza sul mercato borsistico e
mobiliare in genere. Ben presto ci si rese conto che era necessaria un'autorità che, per competenza tecnica,
prontezza nelle decisioni e alta specializzazione, prendesse le decisioni nel merito: qualità che la burocrazia
ministeriale difficilmente possedeva.
Fu pertanto istituita la Consob con la legge del 1974, quale organo di vigilanza sulle società quotate in borsa
e sui fondi mobiliari. Con la legge n. 77 del 1983 acquisiva invece pieno controllo su tutte le operazioni
riguardanti il risparmio pubblico. Con la legge n. 281 del 1985, viene aumentata la sua autonomia e
indipendenza. Ulteriori poteri di controllo venivano conferiti con la legge n.1 del 1991, in relazione alle Sim e
al contrasto del fenomeno dell'insider trading. Grazie a questi interventi legislativi, e ancora più a seguito
dell'emanazione del decreto legislativo n. 58/1998 (Testo unico delle disposizioni in materia di
intermediazione finanziaria, TUF), l'autorità acquista un più marcato peso istituzionale, esercitando un più
vasto controllo sull'intero mercato mobiliare.
In relazione alle attribuzioni stabilite dalla legge, la Consob:
- regolamenta la prestazione dei servizi di investimento, gli obblighi informativi delle società quotate e le
offerte al pubblico di prodotti finanziari;
- autorizza la pubblicazione dei prospetti informativi relativi ad offerte pubbliche di vendita e dei documenti
d'offerta concernenti offerte pubbliche di acquisto; l'esercizio dei mercati regolamentati; le iscrizioni agli albi
di settore;
- vigila sulle società di gestione dei mercati e sulla trasparenza e l'ordinato svolgimento delle negoziazioni,
nonché sulla trasparenza e correttezza dei comportamenti degli intermediari e dei promotori finanziari;
- sanziona i soggetti vigilati, direttamente o formulando una proposta al Ministero dell'Economia e delle
Finanze;
- controlla le informazioni fornite al mercato dalle società quotate e da chi promuove offerte al pubblico di
strumenti finanziari, nonché le informazioni contenute nei documenti contabili delle società quotate;
- accerta eventuali andamenti anomali delle contrattazioni su titoli quotati e compie ogni altro atto di
verifica di violazioni delle norme in materia di manipolazione del mercato (fattispecie oggi applicabile in caso
di società quotate), abuso di informazioni privilegiate (insider trading) e di aggiotaggio(speculazioni).
Al fine di svolgere i suoi compiti istituzionali, la Commissione si avvale di un apparato burocratico composto
da oltre seicento fra impiegati e funzionari, divisi fra la sede principale di Roma e la sede operativa secondaria
di Milano.
La Commissione Nazionale per le Società e la Borsa è composta di un presidente e di quattro membri, scelti
tra persone di specifica e comprovata competenza ed esperienza e di indiscussa moralità e indipendenza,
nominati con decreto del presidente della Repubblica su proposta del presidente del Consiglio dei Ministri,
previa deliberazione del Consiglio stesso. In precedenza, essi duravano in carica cinque anni e potevano
essere confermati una sola volta, mentre adesso la legge del 28 febbraio 2008, n. 31, ha stabilito in sette anni
(senza possibilità di riconferma) la durata in carica dei membri della Commissione.
2.1 Le borse valori

La borsa valori è un mercato finanziario regolamentato dove vengono scambiati valori mobiliari e valute
estere.
Si tratta di un mercato secondario perché vengono trattati strumenti finanziari che sono già stati emessi e
che sono quindi già in circolazione, ma è anche un mercato ufficiale (o regolamentato) poiché sono
disciplinate in modo specifico tutte le operazioni di negoziazione, le loro modalità e gli operatori e tipologie
contrattuali ammessi.
Compito della borsa è quello di ricevere gli ordini di compravendita dagli operatori ed eseguirne la
compravendita attenendosi alla legge della domanda e dell'offerta.
Il lavoro degli operatori (traders) viene chiamato trading ("scambio") dato che appunto viene scambiato uno
strumento finanziario per del denaro contante. L'attività in questione è fortemente regolamentata e sono
previste, pressoché in tutti gli ordinamenti, sanzioni penali e/o amministrative.
Dal 1998 in tutte le Nazioni che aderiscono all'UE e all'OCSE (organizzazione, cooperazione e sviluppo), i
mercati regolamentari possono avere regolamenti interni e statutari decisi dalla società di gestione; tale
mercato è definito "SSO (Sistema di Scambi Organizzati)". Il SSO è anche detto più comunemente "Borsa"
(Borsa Privata), che, distinguendosi da quella centrale in genere dello Stato (Borsa Italiana - Italian Stock
Exchange, per l'Italia) si suddivide in:
• indipendente
• istituzionale
Il secondo adotta nel suo registro e nella propria compagine societaria e/o tra le aziende quotate/quotabili
enti pubblici, società pubbliche, società miste ovvero accreditamenti istituzionali, ovvero aziende che siano
titolari di concessioni o che abbiano requisiti per partecipare a concordati o ad appalti pubblici.
Il primo SSO privato e indipendente italiano è TEMEX - Terzo Mercato Exchange. Di seguito molti istituti
bancari e SIM hanno adottato internamente un proprio SSO, in cui è possibile acquistare o vendere quote di
società ivi quotate, direttamente da sportelli bancari e\o presso promotori finanziari, ovvero agenzie di
intermediazione. L'unico SSO privato istituzionale (istituzionalizzato) fu il MAC - Mercato Alternativo del
Capitale, dal 2006 rilevato da Borsa Italiana. Il primo SSO in Europa Continentale fu SmallXChange, società
(Ltd) panamense con sede in Inghilterra.

2.2. Le società di intermediazione mobiliare


Le società di intermediazione mobiliare (in acronimo SIM), in Italia, sono società per azioni che svolgono
l'attività di intermediazione mobiliare (non svolgono, a differenza delle banche, intermediazione creditizia).
Con la riforma operata dal decreto legislativo 24 febbraio del 1998, n. 58 - Testo Unico della Finanza (TUF)
promosso dal Ministro del Tesoro Amato le SIM vengono autorizzate ad operare in Borsa per conto proprio
e per conto di terzi, vengono definite come un soggetto polifunzionale e ad esse è conferita un'ampia delega
per disciplinare il conflitto d'interessi. Viene così abolito il monopolio legale degli agenti di cambio che
operavano in Borsa dal 1913 esclusivamente per conto terzi.
In base all'articolo 4 TUF la vigilanza sulle Sim è esercitata dalla Consob per quanto riguarda l'osservanza degli
obblighi di informazione e correttezza nello svolgimento dell'attività, e dalla Banca d'Italia per quanto
riguarda i controlli di stabilità patrimoniale e di influssi finanziari.
La stessa legge istituiva la Borsa Telematica e, su istanza degli addetti di settore (della Consob (Aprile 1987)
e degli agenti di cambio. La legge prevedeva una concentrazione per soggetti, ma non per atti: viene disposto
l'obbligo per le Sim di eseguire gli ordini di acquisto e di vendita dei titoli quotati solo nei mercati di Borsa
(con sede legale e operative in Italia), ma continuavano ad essere eseguite fuori Borsa le operazioni compiute
fra le società e fra i gruppi anche quando negoziano pacchetti di maggioranza e qualunque altra operazione
su titoli quotati non eseguita dalle Sim o dalle banche.
Gli agenti di cambio proposero di qualificare come agenti di cambio gli amministratori delegati e i direttori
delle Sim, mentre la legge si limitava ad indicare per i responsabili delle società di intermediazione i requisiti
di onorabilità e professionalità contenuti nella legge 77 del 1983 (quella dei Fondi): la norma era riferita ai
conflitti di interessi che potrebbero nascere con l'entrata in via diretta o indiretta nel capitale delle Sim di
società con propri titoli quotati in Borsa.
L'istituto delle SIM è regolato dal d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58; devono essere autorizzate dalla CONSOB, e
l'autorizzazione deve indicare a quale specifica attività si riferisce. Devono inoltre essere organizzate sotto
forma di società per azioni, e devono avere sede e direzione nel territorio italiano. Il capitale sociale non può
essere inferiore a quello stabilito dalla Banca d'Italia, ed il management deve disporre sempre dei requisiti di
professionalità e onorabilità.
In seguito al recepimento della direttiva 2004/39/CE (direttiva MiFID), a partire dal 2007 tali società possono
svolgere attività anche di pura consulenza. Quando invece svolge una pluralità di servizi (tra quelli previsti
dalla legge) viene definita polifunzionale.
A differenza delle banche però, esse non possono effettuare intermediazione creditizia.
Il collocamento è l'attività di organizzazione di collocamento presso gli investitori di titoli con (underwriting)
o senza (selling) garanzie, attraverso la cura della pubblicità, della raccolta delle sottoscrizioni e di ogni altro
adempimento convenuto: esempio è quello relativo al collocamento di azioni o obbligazioni societarie.
Come nel caso dell'attività di negoziazione, si ha una differenza di rischio tra il primo tipo (che opera per
conto terzi) ed il secondo (che opera per conto proprio). Anche tali SIM gravitano in maggioranza nell'orbita
delle aziende di credito, in quanto rappresentano la rete di vendita alternativa o parallela agli sportelli
bancari, per spingere sull'offerta non solo dei prodotti bancari tradizionali (certificati di deposito, conti
correnti) ma anche, e soprattutto, di risparmio gestito (gestioni patrimoniali, SICAV, quote di fondi).
Possono anche collocare prodotti assicurativi, sia Vita che Danni, a seguito di iscrizione nella sez. D del
Registro Unico degli Intermediari Assicurativi.
Le SIM di collocamento aderiscono ad Assoreti, l'Associazione nazionale delle società di collocamento di
prodotti finanziari e di servizi di investimento.
Presupposto è una specifica autorizzazione rilasciata dalla Banca d’Italia e dalla CONSOB per il servizio di
consulenza in materia di investimenti. Tali SIM aderiscono ad Ascosim, l'associazione delle SIM di consulenza.
La consulenza in materia di investimenti consiste nel fornire indicazioni personalizzate di investimento in
strumenti finanziari, che tengano in considerazione le conoscenze e l'esperienza del cliente, la sua situazione
finanziaria ed i suoi obiettivi di investimento, con particolare riguardo all'orizzonte temporale e alla
propensione al rischio. La consulenza come servizio di investimento mette al centro il cliente e per questo
dovrebbe garantire l'indipendenza nell'erogazione del servizio ed escludere l'incidenza di conflitti d'interesse.
Gestione di portafogli
La gestione su base individuale di portafogli di investimenti consiste nella gestione di patrimoni mediante
operazioni aventi ad oggetto strumenti finanziari, si trova anche negli organismi di investimento collettivo.
La gestione è come quella dei Fondi comuni d'investimento o delle SICAV, e quindi i patrimoni gestiti possono
volta in volta cambiare composizione (monetaria, obbligazionaria, azionaria, mista).
Per garantire un servizio personalizzato, la SIM di gestione deve predisporre un conto individuale che
consenta in ogni momento l'individuazione dei beni finanziari di proprietà dell'intestatario, il quale è titolare
di un patrimonio ben distinto da quello della SIM e di tutti gli altri clienti della struttura.
La SIM di gestione non è l'unico soggetto abilitato a fare gestione di patrimoni individuali in Italia, perché
possono esercitare questa attività anche le banche, le fiduciarie, gli agenti di cambio e le Società di Gestione
del Risparmio. Le SIM di gestione aderiscono ad Assosim, l'Associazione italiana intermediari mobiliari,
associazione di categoria che raggruppa anche le SIM di collocamento, le società di gestione del risparmio e
le SICAV.
Le SIM svolgono sia negoziazione per conto terzi (cosiddetto brokerage) che per conto proprio (cosiddetto
dealing). La negoziazione per conto terzi comprende l'acquisto e la vendita di strumenti finanziari nei mercati
regolamentati.
Si ha una forte differenza tra le SIM che svolgono un'attività di dealing da quelle con attività di brokerage. Le
prime infatti hanno un portafoglio di titoli di proprietà e quindi sono soggette al rischio di mercato perché
proprietari dell'azione trattata. Le seconde invece, negoziando per conto terzi, vanno incontro soltanto ad
un rischio operativo e di reputazione.
Assimilabile a questa categoria è l'attività di "ricezione e trasmissione di ordini e mediazione". Per quanto
riguarda ciò, la legge ha consentito l'intermediazione delle SIM non solo per dare ordini di negoziazione
raccolti da altri soggetti, ma anche per la stessa raccolta degli ordini di negoziazione. La maggior parte delle
SIM di negoziazione sono di matrice bancaria ed assicurativa. Le principali SIM di negoziazione aderiscono ad
Assosim, l'Associazione italiana intermediari mobiliari.

2.3 La regolazione e vigilanza sulle OPA, OPS, OPV e la disciplina sull’insider trading

– OPV
Acronimo di Offerta Pubblica di Vendita, con questa scelta il Consiglio di Amministrazione della società che
ha deciso di quotarsi in Borsa mette in vendita una parte della proprietà mediante il rilascio sul mercato di
quote azionarie societarie già esistenti, ossia che non devono essere emesse per l’occasione. L’OPV è una
modalità piuttosto diffusa come ingresso sui mercati regolamentati dal momento che i ricavati dalla vendita
non vengono trasferiti nelle casse della società ma sono destinati agli azionisti venditori. Questa soluzione
trova applicazione soprattutto nella privatizzazione delle aziende pubbliche, con le risorse raccolte in fase di
quotazione della società che vengono destinate alle casse statali.

– OPS
Acronimo di Offerta Pubblica di Sottoscrizione, con questa modalità di quotazione in Borsa il Consiglio di
Amministrazione sceglie di collocare sul mercato azioni di nuova emissione. In questo modo a trarre beneficio
sono le casse societarie nelle quali arrivano nuovi capitali da usare per investimenti e/o esigenze patrimoniali
senza la necessità di pagare interessi sul capitale raccolto. Su quanto raccolto sul mercato i soci non hanno
nessun diritto di acquisizione prioritaria. Con l’OPS si vuole aumentare il capitale di rischio dell’impresa senza
chiedere sacrifici economici ai soci già in essere. A differenza dell’OPV, l’OPS porta a un effettivo aumento
del capitale sociale.

- OPA
Per Offerta Pubblica di Acquisto o OPA, in inglese tender offer, s'intende ogni offerta, invito a offrire o
messaggio promozionale finalizzato all'acquisto di prodotti finanziari: è quindi un'esortazione destinata agli
azionisti dell’azienda target a disinvestire, da parte di chi presenta l'offerta.
Nell'ordinamento italiano le OPA sono attualmente disciplinate dagli artt. 101bis - 112 del Testo Unico della
Finanza (TUF) contenuto nel D.lgs. 58/98, nonché dalle norme di attuazione in materia di emittenti contenute
nel regolamento della Consob.
La disciplina si divide in una parte generale, in cui sono contenute le norme di generale applicazione, e una
parte speciale, che disciplina le singole tipologie di OPA previste.

La disciplina generale
Soggetti coinvolti e tutele del legislatore
I soggetti coinvolti sono:
• l'emittente, società target dell'operazione;
• l'offerente, chi fa l'offerta (anche soggetti privati);
• eventuali intermediari.
Le tutele del legislatore sono di tipo:
• formale, a garanzia della trasparenza[2] per tutelare, sul piano informativo, le parti più deboli
(risparmiatori). È dunque una tutela strumentale alla parità di trattamento;
• sostanziale, a garanzia dei cosiddetti comportamenti corretti durante la negoziazione, intesi come di
buona fede, che non siano tali d'alterare le condizioni negoziali del mercato.
In quest’ottica occorre segnalare il fenomeno dell’insider trading, con il quale si intende la compravendita di
titoli (valori mobiliari: azioni, obbligazioni, derivati) di una determinata società da parte di soggetti che, per
la loro posizione all'interno della stessa o per la loro attività professionale, sono venuti in possesso di
informazioni riservate non di pubblico dominio (indicate come "informazioni privilegiate"). Simili
informazioni, per la loro natura, permettono ai soggetti che ne fanno utilizzo di posizionarsi su un piano
privilegiato rispetto ad altri investitori del medesimo mercato. In questo senso si parla anche di asimmetria
informativa. L'insider trading in senso stretto è quindi un reato.

3. Il controllo pubblicistico del credito


La recente crisi finanziaria ha imposto una profonda modifica al settore del controllo sugli istituti di credito.
In questo quadro, in attuazione della direttiva n. 59/2014/UE la Banca d’Italia assume poteri di verifica e di
risoluzione delle crisi bancarie, esaminando la situazione economico finanziaria di ogni banca e prepara il
cosiddetto “piano di risoluzione” per l’eventualità che questa cada in stato di dissesto ed affrontare la crisi
che ne dovesse derivare.
La normativa, inoltre, le attribuisce penetranti poteri in caso di peggioramento della situazione dei conti
dell’istituto bancario, consistenti nel potere di attribuire ai suoi organi l’ordine di attuare le misure del piano
di risanamento o di negoziare accordi con i suoi creditori o nel potere di rimuovere i suoi amministratori,
organi di controllo o dirigenti apicali.

4. Il controllo pubblicistico delle assicurazioni


Analogo campo di intervento pubblico avviene nel settore delle assicurazioni al fine di garantire l’adeguata
protezione degli aventi del diritto alle prestazioni assicurative attraverso il perseguimento della sana e
prudente gestione delle imprese di assicurazione. Le forme di regolazione e tutela sono affidate ad un
soggetto pubblico che persegue anche la stabilità del sistema e dei mercati finanziari coinvolti nelle attività
nel mondo assicurativo.
Nasce così l’IVASS, Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni, ente dotato di personalità giuridica di diritto
pubblico subentrato in tutte le funzioni, le competenze ed i poteri dell’ISVAP per realizzare la piena
integrazione della vigilanza assicurativa con quella bancaria, tanto è vero che il presidente dell’istituto è il
direttore generale della Banca d’Italia.

Capitolo quarto
L’AZIONE AMMINISTRATIVA MEDIANTE LA PROPRIETA’ IMMOBILIARE

1. Premessa

La proprietà è il mezzo più tradizionale per l’attuarsi dell’azione amministrativa. Attraverso le modifiche della
proprietà si realizzano le opere pubbliche e si attuano ai piani o ai programmi di sviluppo della società.

2. L’azione amministrativa mediante i beni immobiliari privati

In questo quadro emerge con assoluta chiarezza il ruolo della proprietà immobiliare che l’amministrazione
utilizza in maniera costante reindirizzandola o modificandola a seconda delle situazioni.
Le PP.AA hanno, infatti, la capacità di incidere unilateralmente sulle posizioni giuridiche dei proprietari di
immobili, conformando i loro diritti di proprietà. Attraverso i singoli strumenti urbanistici, l’amministrazione
gioca un ruolo notevole nella realtà economica delle comunità, perché essa può dare valore economico ad
un terreno ovvero privarlo di qualsiasi interesse economico commerciale.
3. Il governo del territorio; 3.1 Il riparto delle competenze legislative fra Stato e regioni nella successione delle
principali norme di riferimento

La legge 17 agosto 1942, n. 1150, rappresenta la disciplina fondamentale dell’assetto urbanistico, anche se
l’articolo 1 descrive il proprio oggetto nell’attività relativa “all’assetto e l’incremento edilizio dei centri
abitati”, senza tenere conto dell’assetto territoriale extraurbano.
Al di là dell’ambito di intervento, circoscritto al centro abitato, la legge urbanistica fornisce una disciplina
organica della pianificazione territoriale, generale e particolareggiata.
La legge 28 gennaio 1977, n. 10 (c.d. legge Bucalossi), afferma, all’art. 1, che “ogni attività comportante
trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale partecipa agli oneri ad essa relativi e la
esecuzione delle opere è subordinata a concessione da parte del Sindaco, ai sensi della legge”.
A distanza di poco tempo, nell’attribuire alle regioni le funzioni amministrative relative alla “materia
urbanistica”, il legislatore, con l’articolo 80 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616,
ne fornisce una nuova definizione, includendo nella materia, oltre alla disciplina dell’uso del territorio, la
protezione dell’ambiente.
Stesso discorso va fatto con riguardo alla legge 28 febbraio 1985, n. 47 che, nel delineare il nuovo assetto dei
poteri tra Stato e regioni, include l’edilizia nell’urbanistica.
L’articolo 34 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, definisce l’urbanistica come materia che “concerne
tutti gli usi del territorio”, rientrando nella “nozione di urbanistica” tutto ciò che concerne l’uso del territorio
(non solo gli aggregati urbani) ai fini della localizzazione e tipizzazione degli insediamenti di ogni genere, con
le relative infrastrutture.
In tale ottica, in alternativa all’urbanistica, si è fatta strada la locuzione governo del territorio.
La riforma del titolo V della Costituzione, infatti, inserisce fra le materie di legislazione concorrente, il
“governo del territorio”, eliminando la voce “urbanistica”, di cui al precedente testo dell’articolo 117.
A tale proposito la dottrina ha osservato che “con la nuova denominazione della materia si è voluto solo
chiarire che la stessa investe l’intero territorio e non solo la parte occupata da costruzioni, ma non si è affatto
inteso accogliere una nozione contenutisticamente più ampia, come pure la nuova espressione potrebbe far
pensare se isolatamente considerata”.
Dovrebbe, quindi, rilevarsi la piena coincidenza tra “urbanistica” e “governo del territorio”.
Altra dottrina, invece, sostiene che il legislatore costituzionale, con l’espressione “governo del territorio”,
abbia inserito una materia distinta dall’urbanistica ed edilizia, trasferendo quest’ultima alla competenza
esclusiva delle regioni.
Detta tesi troverebbe appiglio sul dato letterale, dato che l’urbanistica non è più nominata nel nuovo articolo
117; conseguentemente, la stessa, non potendo rientrare in altre materie, quali, ad esempio, la “tutela
dell’ambiente e dell’ecosistema”, dovrebbe ricondursi al governo del territorio.
A sua volta, la giurisprudenza costituzionale ha chiarito che il “governo del territorio” comprende tutto ciò
che attiene all’uso del territorio e alla localizzazione di impianti o attività, e rientra nella potestà legislativa
concorrente delle regioni a statuto ordinario, ai sensi dell’articolo 117, comma 3, della Costituzione. Secondo
la Corte costituzionale dalla modifica del Titolo V della Costituzione, con conseguente attribuzione allo Stato
della competenza esclusiva in materia di “tutela ambientale”, non discende il divieto per le regioni di
intervenire, con proprie norme, nella disciplina della materia. La Corte, infatti, individua una serie di materie
disciplinate dalle norme regionali (tutela della salute, ordinamento della comunicazione, produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, governo del territorio) che risultano trasversalmente
collegate alla materia della “tutela ambientale” e che rientrano nella competenza legislativa concorrente
delle Regioni. L’esclusività della competenza legislativa statale, invece, andrebbe limitata a quegli aspetti
della normativa di tutela ambientale che, per loro natura, richiedono un esercizio unitario.
Una successiva pronuncia del giudice delle leggi ha ritenuto che l’urbanistica e l’edilizia rientrino nell’ambito
più ampio del governo del territorio e, perciò, nella competenza concorrente di Stato e regioni “se si considera
che altre materie o funzioni di competenza concorrente – quali porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto
e di navigazione, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia – sono specificamente
individuate nello stesso terzo comma dell’art. 117 Cost. e non rientrano quindi nel “governo del territorio”,
appare del tutto implausibile che dalla competenza statale di principio su questa materia siano stati
estromessi aspetti così rilevanti, quali quelli connessi all’urbanistica, e che il “governo del territorio” sia stato
ridotto a poco più di un guscio vuoto. Nella medesima prospettiva, anche l’ambito di materia costituito
dall’edilizia va ricondotto al governo del territorio”.
Risolutivo sembra essere quanto affermato dalla Corte costituzionale secondo cui “La parola “urbanistica”
non compare nel nuovo testo dell’art. 117, ma ciò non autorizza a ritenere che la relativa materia non sia più
ricompresa nell’elenco del terzo comma: essa fa parte del “governo del territorio”. Se si considera che altre
materie o funzioni di competenza concorrente, quali porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e di
navigazione, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, sono specificamente individuati
nello stesso terzo comma dell’art. 117 Cost. e non rientrano quindi nel “governo del territorio”, appare del
tutto implausibile che dalla competenza statale di principio su questa materia siano stati estromessi aspetti
così rilevanti, quali quelli connessi all’urbanistica, e che il “governo del territorio” sia stato ridotto a poco più
di un guscio vuoto”.
La Corte, infine, ha ritenuto che “La materia edilizia rientra nel governo del territorio, come prima rientrava
nell’urbanistica, ed è quindi oggetto di legislazione concorrente, per la quale le regioni debbono osservare,
ora come allora, i principî fondamentali ricavabili dalla legislazione statale. […] Ne è sostenibile l’ascrivibilità
dell’art. 24 della legge n. 47 del 1985 alla normativa di dettaglio, che sarebbe preclusa al legislatore statale,
atteso che l’ampio ambito di operatività assicurato dal secondo comma dell’art. 24 alla legislazione regionale
è soggetto ad una delimitazione di ordine generale, preordinata alla tutela di interessi superiori”.
Al fine di rendere più chiaro il travaglio giurisprudenziale, va ricordato che con il termine edilizia si indica
l’insieme delle tecniche e delle conoscenze finalizzate alla realizzazione di una costruzione o più
specificatamente di un edificio, con la parola urbanistica, invece, si fa riferimento alla regolamentazione del
territorio urbano ed extraurbano.

3.2 L'urbanistica
L'urbanistica è una disciplina che studia il territorio antropizzato ed ha come scopo la progettazione dello
spazio urbano e la pianificazione organica delle modificazioni del territorio incluso nella città o collegato con
essa. Estensivamente l'urbanistica comprende anche tutti gli aspetti gestionali, di tutela, programmativi e
normativi dell'assetto territoriale ed in particolare delle infrastrutture e dell'attività edificatoria.
L'urbanistica nasce come disciplina autonoma nel XIX secolo con la funzione di organizzare l'impetuosa e
disordinata crescita urbana dovuta alla rivoluzione industriale. Nel suo successivo sviluppo diventerà lo
strumento di controllo del territorio per perseguire nelle sue trasformazioni il rispetto del bene comune nel
conflitto tra rendita ed interesse pubblico equilibrando le necessità delle comunità e degli individui. Lo studio
dei sistemi urbani e del loro funzionamento complessivo delle relative tensioni positive e negative permette
all'urbanista di agire sia attraverso la pianificazione degli spazi fisici urbani che nella programmazione di
strumenti urbanistici e normative costruite "ad hoc" al fine ultimo di migliorarne le condizioni di sviluppo
futuro, progettando uno spazio urbano "vivibile" nel tempo e nello spazio.
La pratica della pianificazione urbanistica si sostanzia nel delineare le grandi opzioni di organizzazione dello
spazio e indirizzare (avvalendosi di meccanismi analitici e partecipativi), localizzare e gestire le attività sul
territorio. Il più grande scopo e sfida" dell'urbanistica moderna è invece quello di trasferire tali obiettivi nella
progettazione del territorio e della città; una pratica che, anche grazie all'apporto di altre discipline parallele
(ingegneria, architettura, sociologia e altre a seconda del caso specifico), acquista così un disegno concreto
attraverso la produzione di piani (piani di riqualificazione urbana, per esempio) e progetti (edilizi, di recupero
ambientale, di accompagnamento sociale, ecc.).
Mentre in passato la disciplina urbanistica si è occupata essenzialmente di progettare e gestire le nuove
espansioni della città, oggi tale scienza abbraccia anche la sua programmazione e gestione nel tempo, perde
i convenzionali confini territoriali per guardare alla cosiddetta "città diffusa", dove il limite tra città e
campagna perde il suo senso; è in quest'ottica che tematiche come la sostenibilità (usare le risorse presenti
oggi sul territorio in modo da non pregiudicarne l'uso alle prossime generazioni), la pianificazione territoriale,
la progettazione ambientale e quella delle infrastrutture e dei trasporti sono oggi al centro dei nuovi progetti
urbani a tutte le scale.
Il modo e le fasi del progetto urbano sono oggi mutate rispetto al passato, oggi ogni oggetto architettonico
non è disegnato solo rispetto alla sua forma e alla sua intrinseca funzione, compito dell'urbanistica moderna
è inserire le singole parti che compongono la città all'interno di relazioni che appartengono al contesto più
ampio, a valutazioni di fattibilità e materialità, alla storia che ha determinato il territorio attuale, alle ricadute
nei processi di coesione e riproduzione sociale, alle regole costitutive della forma della città.
I modi di vivere nelle grandi città stanno cambiando ed evolvendo molto più velocemente rispetto al passato,
i movimenti non sono più legati solo a distanze spaziali ma anche e soprattutto temporali, nel senso che
luoghi spazialmente lontani tra loro, possono essere, grazie alla presenza ed efficienza di infrastrutture di
trasporto, raggiungibili più velocemente di luoghi più vicini. La vita delle popolazioni, oggi sempre più spesso,
si svolge in "reti di città".
È così che, grazie al miglioramento delle reti, ci spostiamo tra luoghi spazialmente distanti ma ormai vicini
(come distanza temporale). Attraverso il coordinamento dei diversi saperi derivanti da diverse ma correlate
discipline quali l'architettura, l'ingegneria, l'ecologia, la geografia, la sociologia, il diritto e l'economia.
L'urbanista studia, programma e progetta scenari passati, presenti e futuri della città, oltre che occuparsi
delle politiche, delle normative tecniche e legislative, allo scopo di migliorare la qualità urbana (nel senso più
ampio) e quindi la vita dei cittadini.
L'urbanistica si esprime alle amministrazioni e alla collettività attraverso la produzione di piani. In Italia ad
esempio sono il piano strategico (vedi pianificazione strategica territoriale) e il Piano Regolatore Generale (il
vecchio PRG prende oggi altre denominazioni a seconda delle diverse leggi regionali: Piano urbanistico
comunale, PAT in Veneto, Piano di governo del territorio in Lombardia, Piano strutturale in Toscana etc..),
sempre composto da una parte strutturale e una operativa. Il piano strutturale fornisce il quadro delle tutele
e delle strategie cui deve conformarsi ogni altra attività di pianificazione o di programmazione svolta dal
Comune. Per questo il PRG viene anche chiamato il "piano dei piani". In concreto, individua le condizioni per
difendere le risorse e gli equilibri del territorio comunale e indica gli obiettivi di lungo periodo per il suo
sviluppo e le regole essenziali per conseguirli. Sono strumenti di applicazione del Piano Strutturale
(modificabili nel tempo dalle amministrazioni) il Regolamento Urbanistico, i piani attuativi o particolareggiati,
il Regolamento edilizio e tutti i piani di settore (mobilità, traffico, commercio, sanità, rifiuti, energia, cave,
paesaggio, coste, ecc.).

3.3 Gli strumenti di pianificazione urbanistica: il piano regolatore generale


Il Piano Regolatore Generale è stato introdotto dalla legge urbanistica del 1942 ed è uno strumento che
disciplina la trasformazione del territorio comunale e quindi l’attività edilizia che in esso si può compiere.
Il compito di un piano regolatore è quello di prevedere lo sviluppo della popolazione di un territorio e il suo
sviluppo economico, ed in base a questi parametri dettare le linee guida per gli interventi che in esso si
possono realizzare sia dall’amministrazione per la collettività, quindi le opere pubbliche, che da parte del
privato cittadino. Quindi sia il singolo cittadino che l’amministrazione sono tenuti all’osservazione delle
prescrizioni contenute nel piano.
Il Piano Urbanistico Comunale (PUC)
Oggi si parla più frequentemente di Piano Urbanistico Comunale (PUC), lo strumento urbanistico che ha
sostituito il vecchio piano regolatore per la necessità di aggiornarlo ed integrarlo alla luce delle nuove
necessità del territorio.
L’iter di approvazione di un piano regolatore comunale
L’iter che porta all’adozione di un piano regolatore è lungo e complesso. L’incarico della sua redazione viene
affidato ad un team di professionisti composto da un tecnico del settore (architetto, ingegnere, pianificatore,
urbanista) oltre che da un geologo ed un avvocato, e una volta ultimati gli elaborati che lo compongono deve
essere approvato dal Consiglio Comunale.
Dopo l’approvazione, il Piano deve essere pubblicato per 30 giorni, in modo che tutti i cittadini possano
prenderne visione e formulare le proprie osservazioni.
Il Piano, eventualmente modificato a seguito delle osservazioni, viene trasmesso alla Giunta Regionale che
ha 180 giorni di tempo per esprimersi sulla sua conformità ed approvarlo o esprimere eventuali rilievi. Il
Comune può, a questo punto, approvare il Piano accettando i rilievi formulati dalla Regione, o presentare le
sue controdeduzioni entro 90 giorni. Nei successivi 90 giorni la giunta Regionale dovrà esprimere il parere
definitivo. Durante tutto questo arco temporale saranno in vigore entrambi gli strumenti urbanistici, quello
vigente e quello adottato, e si parla infatti di “periodo di salvaguardia”.
La suddivisione del territorio in zone
Il Piano Regolatore suddivide l’ambito urbano in zone territoriali omogene, cioè aventi le stesse
caratteristiche e quindi nelle quali restano valide le stesse prescrizioni.
Le zone (che prevedono a loro volta delle sottozone) sono essenzialmente le seguenti:
• Zona A, centro storico
• Zona B, aree completamente edificate
• Zona C, zona di espansione residenziale
• Zona D, destinata all’ambito industriale e terziario
• Zona E, aree agricole
• Zona F, attrezzature di interesse collettivo.
Gli elaborati del piano regolatore e i piani particolareggiati
Il Piano Regolatore si compone di una serie di elaborati, costituiti sia da tavole cartografiche che da relazioni
di carattere normativo e che comprendono, tra le altre, la tavola della Zonizzazione, le Norme Tecniche di
Attuazione e il Regolamento Edilizio. Per mettere in atto le prescrizioni del piano è previsto un secondo livello
di pianificazione, detto di dettaglio, costituito dai Piani Particolareggiati.
Esistono diverse tipologie di Piani Particolareggiati a seconda dell’ambito a cui sono destinati, ad esempio i
Piani di Recupero dettano le norme per gli interventi nelle zone A, quelli di edilizia economica e popolare
(Piani PEEP) per la realizzazione di edilizia pubblica, quelli per gli insediamenti produttivi (PIP) per le aree
dedicate alle attività industriali e artigianali, e così via.

3.4 Le misure di salvaguardia


Sono quelle operative che consentono di salvaguardare l’assetto territoriale vigente al momento
dell’adozione di qualsiasi piano per far sì che nelle more procedimentali non ne venga compromessa la
realizzazione. Pertanto, le misure di salvaguardia possono essere definite come quel potere-dovere del
dirigente comunale di sospendere ogni determinazione il cui esito possa risultare in contrasto con il paino
adottato.

3.5 I piani particolareggiati di attuazione


Il piano particolareggiato, secondo la legge urbanistica nazionale n° 1150 del 1942, è uno strumento di
pianificazione territoriale usato in materia di urbanistica. È uno strumento attuativo mediante il quale gli
strumenti direttori (piano territoriale di coordinamento per la L.U.N. - Legge Urbanistica Nazionale) trovano
attuazione. Tramite questi strumenti attuativi trovano attuazione anche i vari piani regolatori come il piano
regolatore generale, il piano regolatore generale intercomunale e il programma di fabbricazione.
La L.U.N. prevede solo questo ma, per ovviare alle sue carenze, dopo la L.U.N., si ha la proliferazione di piani
attuativi.
3.6 La Pianificazione di coordinamento
Il piano territoriale di coordinamento, in acronimo PTC, è un piano urbanistico che pianifica il territorio. Si
può definire come il primo livello di pianificazione territoriale. La pianificazione territoriale adoperata in
questo strumento urbanistico è quella delle grandi scelte, delle scelte strategiche riguardanti infrastrutture
viarie, aree di interesse ambientale da salvaguardare e le ipotesi di sviluppo urbano.
Esistono due tipi di P.T.C.:
- il piano territoriale di coordinamento regionale o PTCR
- il piano territoriale di coordinamento provinciale o PTCP
La legge 1150/42 prevedeva che il soggetto competente per i piani territoriali fosse lo Stato.
Con il DPR 8/72 tale competenza è passata alla Regione che ha provveduto a predisporre tali strumenti
ciascuna per il proprio ambito territoriale.
Il decreto legislativo 267/2000 "Testo Unico delle Leggi sull'Ordinamento degli Enti Locali" ha definito i ruoli
e le competenze degli enti locali, riservando competenze di pianificazione territoriale alle Province,
attraverso i piani di coordinamento provinciali.

3.7 I programmi pluriennali di attuazione


Il Programma Pluriennale di Attuazione (abbreviato in PPA), in Italia, è uno strumento urbanistico tramite il
quale il Comune individua le aree e i tempi nei quali interverrà stimolando la realizzazione di edifici (comparti
edificatori) in quelle aree o realizzandole in proprio o permettendo che i privati, possessori di quelle aree
medesime, possano unirsi in consorzio per realizzare le opere.
Esso è il principale strumento di attuazione del Piano Regolatore Generale e degli altri piani urbanistici. La
programmazione, cioè la parte economica e tempistica del progetto, può coprire un lasso di tempo che va
da 3 a 5 anni, una volta approvato non potrà essere modificato per almeno l'anno successivo.
Il contenuto dei P.P.A. dovrà essere coordinato rispetto alla legislazione statale e regionale vigente, dovrà
essere redatto tenendo conto del bilancio del comune, del piano annuale e del piano triennale che il comune
ha previsto per le opere pubbliche.
È lo strumento di collegamento tra la parte urbanistica ed economica, poiché nella sua documentazione è
previsto il bilancio dei finanziamenti e delle spese che saranno effettuate.
In base alla legge 25 marzo 1982 n. 94 non esiste più l'obbligo di redigere il PPA da parte della pubblica
amministrazione in alcuni casi:
- Per interventi previsti nei piani di zona
- Per interventi di recupero sull'esistente
- Per aree di completamento già dotate di urbanizzazione primaria
- Per comuni sotto i 10'000 abitanti, se le regioni non obblighino a redigerlo ugualmente
Per redigere il programma pluriennale di attuazione non serve da parte del comune il parere di altri enti,
nemmeno l'approvazione da parte della regione. Tuttavia, dovrà essere mandata una copia alle regioni. Il
programma pluriennale di attuazione dovrà essere composto da:
1. Bilancio economico delle opere pubbliche, in relazione al piano triennale delle opere pubbliche.
2. Se previsto dal comune il PEEP(piano di edilizia economica popolare), allora il programma dovrà
indicare gli immobili e le aree destinate
3. Rapporto con i piani attivi vigenti
4. Il rapporto tra la coordinazione del bilancio pluriennale e il programma triennale delle opere
pubbliche
5. La tutela dell’ambiente e lo sviluppo sostenibile: (i) la valutazione ambientale strategica (VAS); (ii) la
valutazione d’impatto ambientale (VIA); (iii) l’autorizzazione integrata ambientale (AIA)
Le procedure di preventiva valutazione delineate nell’attuale ordinamento sono: VAS (valutazione
ambientale strategica), VIA (valutazione di impatto ambientale) e AIA (autorizzazione integrata ambientale).
Sebbene differenti tra di loro, esse appaiono accomunate in quanto dirette a prefigurare gli impatti
ambientali di piani e programmi (VAS) e di alcune tipologie di opere (VIA), nonché le condizioni cui
determinati impianti industriali possono funzionare (AIA).
Il Codice ambiente, già nella sua formulazione originaria, aveva risistemato in maniera organica la procedura
di VIA, integrandola con i procedimenti a monte quale la VAS, e dedicando la sua Parte II all’attuazione della
normativa europea.
Tale Parte è stata poi sostituita dal D.lgs. 4/2008, allo scopo di riordinare la relativa disciplina e porre rimedio
alle procedure di infrazione rivolte contro il nostro Paese, e, successivamente, dal D.Lgs. 128/2010, che ha
trasposto al suo interno la disciplina dell’AIA (recata in precedenza dal D.lgs. 59/2005) e ha riordinato le
procedure di VIA e VAS, semplificandone l’iter di approvazione.
L’attuale Parte II del Codice, pertanto, appare così suddivisa:
- il Titolo I reca la disciplina unitaria della VIA, VAS e AIA:
- il Titolo II stabilisce una procedura specifica in tema di VAS;
- il Titolo III detta una disciplina unitaria per ogni tipologia di VIA (eccetto quelle interregionali e
transfrontaliere regolate dal Titolo IV);
- il Titolo III bis, introdotto dal D.lgs. 128/2010, che si occupa della procedura di rilascio dell’AIA;
- il Titolo V, che detta le norme transitorie e finali e le abrogazioni in materia.

Tra le procedure ambientali deve, infine, essere ricordata la VINCA, valutazione di incidenza, prevista dalla
Direttiva 92/43/CEE cd. «habitat», e ad oggi disciplinata dal D.P.R. 357/1997, modificato dopo procedura di
infrazione ex art. 6 D.P.R. 120/2003. Si tratta di una valutazione preventiva, riferita alla tutela degli habitat e
delle specie che li abitano.
Tutte le procedure, come anticipato, presentano dei tratti comuni. In particolare:
- la relativa disciplina procedimentale si pone come speciale rispetto al procedimento amministrativo
classico delineato dalla L. 241/1990, dalla quale non si discosta circa il rispetto delle regole ordinarie,
sebbene né dettagli, ne strutturi e in alcuni casi, ne irrigidisca le disposizioni.
Si fa riferimento, ad esempio, alle disposizioni che sottraggono le autorizzazioni ambientali all’istituto del
silenzio assenso, oppure alle particolari tempistiche endoprocedimentali.
Al contrario, a titolo esemplificativo, si fa un ampio richiamo alla disciplina della conferenza di servizi;
- l’affermazione dei diritti partecipativi del pubblico al procedimento che si estende agli studi, alla
discussione e all’esito dell’istruttoria. L’accesso in materia ambientale, in effetti, si presenta come
molto più ampio rispetto a quello delineato nella legge sul procedimento amministrativo.
Deve sottolinearsi, poi, che tra tutte le procedure, quella maggiormente difficoltosa da semplificare è stata
la VIA, sicuramente a causa del complicato bilanciamento tra le esigenze di rapida definizione del
procedimento e quelle di tutela ambientale, mentre l’iter procedurale più rispondente al canone della
semplificazione è l’AIA.

La valutazione di impatto ambientale


La valutazione ambientale dei progetti ovvero valutazione di impatto ambientale è il procedimento mediante
il quale vengono preventivamente individuati gli effetti sull’ambiente di un determinato progetto.
La finalità generale della VIA (come della VAS) è quella di assicurare che l’attività antropica sia compatibile
con le condizioni per uno sviluppo sostenibile, e quindi nel rispetto della capacità rigenerativa degli
ecosistemi e delle risorse, della salvaguardia della biodiversità e di un’equa distribuzione dei vantaggi
connessi all’attività economica. In particolare, la VIA ha la peculiare finalità di proteggere la salute umana,
contribuire con un migliore ambiente alla qualità della vita, provvedere al mantenimento della specie e
conservare la capacità di riproduzione dell’ecosistema in quanto risorsa essenziale per la vita. A questo scopo,
essa individua, descrive e valuta, in modo appropriato, per ciascun caso peculiare e secondo le disposizioni
del decreto, gli impatti diretti e indiretti di un progetto sui seguenti fattori:

1) l’uomo, la fauna e la flora;

2) il suolo, l’acqua, l’aria e il clima;


3) i beni materiali e il patrimonio culturale;

4) l’interazione tra i fattori di cui sopra.

La valutazione di impatto ambientale riguarda i progetti che possono avere impatti significativi e negativi
sull’ambiente e sul patrimonio culturale (art. 6, comma 5, Codice ambiente) indicando, ai successivi commi 6
e 7, gli ulteriori progetti assoggettati alla valutazione di impatto ambientale e al comma 11 quelli che, invece,
sono esclusi, in tutto o in parte dal campo di applicazione del decreto, quando non sia possibile in alcun modo
svolgere la VIA. Si tratta di singoli interventi disposti in via d’urgenza, ai sensi dell’art. 5, commi 2 e 5 della L.
24 febbraio 1992, n. 225, al solo scopo di salvaguardare l’incolumità delle persone e di mettere in sicurezza
gli immobili da un pericolo imminente o a seguito di calamità.
La competenza specifica alla valutazione spetta al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del
mare di concerto con il Ministero per i beni e le attività culturali, per i progetti sottoposti a VIA in sede statale
(ovvero quelli di cui all’allegato II del decreto) e con il supporto tecnico scientifico della Commissione tecnica
di verifica di impatto ambientale, istituita dall’art. 9 del D.P.R. 14 maggio 2007, n. 90. In sede regionale (per
i progetti di cui agli allegati III e IV al decreto) l’autorità competente è la Pubblica amministrazione, con
compiti di tutela protezione e valorizzazione ambientale, individuata secondo le disposizioni delle leggi
regionali o delle Province autonome (art. 7, dal D.lgs. 128/2010 nonché dal D.Lgs. 46/2014).
Il procedimento di VIA si articola, ai sensi del titolo III della parte II del Codice dell’ambiente (artt. 19-29), in
più fasi che possono (in maniera necessariamente sintetica vista la natura della trattazione) così riassumersi:
- verifica di assoggettabilità (cd. screening) (art. 20 D.lgs. 152/2006, come mod. dal D.Lgs. 28/2010,
nonché dai decreti legislativi nn. 46 e 116 del 2014): trattasi della verifica attivata allo scopo di valutare,
ove previsto, se i progetti possono avere un impatto significativo e negativo sull’ambiente e devono
essere sottoposti alla fase di VIA (art. 5, comma 1, lett. m).
Tale procedimento è limitato ai casi previsti dall’art. 6, comma 7 e, dunque, solo:
- ai progetti elencati nell’All. II, che servono esclusivamente o essenzialmente per lo sviluppo ed il
collaudo di nuovi metodi o prodotti e non sono utilizzati per più di due anni;
- alle modifiche o estensioni dei progetti elencati nell’All. II che possono avere impatti significativi e
negativi sull’ambiente;
- ai progetti elencati nell’All. IV, secondo le modalità stabilite dalle Regioni e dalle Province autonome.
La relativa documentazione viene digitalizzata;
- studio di impatto ambientale: trattasi di un elaborato che deve essere predisposto a cura e spese del
proponente. La definizione dei contenuti di tale documento piò avvenire attraverso la preventiva fase
di consultazione (cd. scoping) del proponente con l’Autorità competente (art. 21, come modif. dall’art.
2 del D.lgs. 128/2010).
Esso deve contenere almeno:

a) una descrizione del progetto con informazioni relative alle sue caratteristiche, alla sua localizzazione ed
alle sue dimensioni;

b) una descrizione delle misure previste per evitare, ridurre e possibilmente compensare gli impatti negativi
rilevanti;

c) i dati necessari per individuare e valutare i principali impatti sull’ambiente e sul patrimonio culturale che il
progetto può produrre, sia in fase di realizzazione che in fase di esercizio;

d) una descrizione sommaria delle principali alternative prese in esame dal proponente, ivi compresa la
cosiddetta “opzione zero”, con indicazione delle principali ragioni della scelta, sotto il profilo dell’impatto
ambientale;

e) una descrizione delle misure previste per il monitoraggio.


Allo studio di impatto ambientale deve essere allegata una sintesi non tecnica delle caratteristiche
dimensionali e funzionali del progetto e dei dati e delle informazioni contenuti nello studio stesso (art. 22);

- presentazione dell’istanza: è effettuata da parte del proponente l’opera o l’intervento all’Autorità


competente (art. 23, come modif. dall’art. 2 del D.lgs. 128/2010). Ad essa sono allegati il progetto
definitivo, lo studio di impatto ambientale e la sintesi non tecnica, nonché l’elenco delle intese, licenze,
autorizzazioni o altri provvedimenti già acquisiti o da acquisire. Dalla data di presentazione decorrono
i termini per l’informazione e la partecipazione, la valutazione e la decisione;
- consultazione: è la fase istruttoria (prevista dall’art. 24, come modif. dall’art. 2 del D.lgs. 128/2010
nonché dalla L. 116/2014) caratterizzata da ampie misure di pubblicità e di partecipazione.

In particolare, la pubblicità e la conoscibilità dei contenuti dell’opera da realizzare sono assicurati già al
momento della presentazione della domanda perché contestualmente il proponente deve provvedere al
deposito della documentazione di cui all’art. 23, nonché alla diffusione del progetto dandone notizia a mezzo
stampa e su sito web dell’Autorità competente, di modo che, entro 60 giorni dalla presentazione del
progetto, chiunque abbia interesse può prendere visione del progetto medesimo e del relativo studio
ambientale, presentare proprie osservazioni, anche fornendo nuovi o ulteriori elementi conoscitivi e
valutativi;

- valutazione dello studio di impatto ambientale e degli esiti della consultazione (art. 25, come modif.
dall’art. 2 del D.lgs. 128/2010): è la fase istruttoria caratterizzata da una verifica tecnica nella quale si
acquisisce e valuta la documentazione presentata. È prevista la facoltà per le amministrazioni
pubbliche interessate di stipulare accordi con l’Autorità competente per semplificare la procedura;
- decisione (art. 26, come modif. dall’art. 2 del D.lgs. 128/2010): è la fase conclusiva del procedimento
che prevede l’adozione di un provvedimento espresso e motivato da rendersi nei 150 giorni successivi
alla presentazione dell’istanza, salvo sospensioni o interruzioni per integrazioni.

In particolare, l’Autorità competente può sospendere il predetto termine per 45 giorni prorogabili, su istanza
del proponente solo per giustificati motivi, di ulteriori 45 giorni, per richiedere al proponente una
integrazione della documentazione. In tal caso l’Autorità competente esprime il provvedimento di VIA entro
90 giorni dalla presentazione degli elaborati modificati.
Il provvedimento di VIA sostituisce o coordina tutti i provvedimenti in materia ambientale necessari per la
realizzazione e l’esercizio dell’opera o dell’impianto (quali autorizzazioni, concessioni, intese, pareri, nulla
osta e assensi comunque denominati). Esso contiene le condizioni di realizzazione, esercizio e dismissione
dei progetti nonché quelle relative ad eventuali malfunzionamenti; costituisce, inoltre, condizione per l’inizio
dei lavori. Quanto all’efficacia temporale della VIA è previsto che i relativi progetti devono essere realizzati
entro 5 anni dalla pubblicazione del provvedimento, trascorso il quale la procedura deve essere reiterata;
- pubblicazione, monitoraggio, controllo e sanzioni: trattasi della fase integrativa dell’efficacia che
prevede la pubblicazione, per estratto, del provvedimento di VIA a cura del proponente nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica italiana o nel Bollettino Ufficiale della Regione per consentire eventuali
impugnazioni in sede giurisdizionale da parte dei soggetti interessati, nonché la pubblicazione, per
intero, sul sito web dell’Autorità competente (art. 27).
Oltre ai contenuti sopra riportati, il provvedimento di VIA contiene ogni opportuna indicazione per la
progettazione e lo svolgimento delle attività di controllo e monitoraggio degli impatti.

La valutazione ambientale strategica

La valutazione ambientale strategica è quell’iter procedimentale, la cui finalità è quella di garantire un elevato
livello di protezione dell’ambiente e contribuire all’integrazione di considerazioni ambientali all’atto
dell’elaborazione, dell’adozione e approvazione di piani e programmi, assicurando che questi siano coerenti
e contribuiscano alle condizioni per uno sviluppo sostenibile (art. 4). Si evidenzia, inoltre, che la VAS, come
precisato dall’art. 11 Codice ambiente, è effettuata anteriormente all’approvazione del piano o del
programma, ovvero all’avvio della relativa procedura legislativa, e comunque durante la fase di
predisposizione dello stesso. Essa è preordinata a garantire che gli impatti significativi sull’ambiente derivanti
dall’attuazione di detti piani e programmi siano presi in considerazione durante la loro elaborazione e prima
della loro approvazione. Essa viene a costituire parte integrante del procedimento di adozione ed
approvazione, la cui mancanza comporta l’annullabilità dei provvedimenti amministrativi di approvazione,
per violazione di legge.

I piani ed i programmi oggetto della VAS, in base allo stesso criterio adottato per la VIA, sono quelli che
possono avere impatti significativi sull’ambiente e sul patrimonio culturale (art. 6). In particolare, la VAS viene
effettuata per i piani ed i programmi elencati nel successivo comma 2 ed inoltre per quelli che, seppur diversi
da quelli elencati, producono impatti significativi sull’ambiente tenuto conto del diverso livello di sensibilità
ambientale dell’area oggetto di intervento, in base ad una valutazione effettuata dall’Autorità competente.
Il comma 4 indica invece, con precisione, le tipologie di piani e programmi esclusi. Si tratta, in particolare, di:
piani e programmi destinati esclusivamente a scopi di difesa nazionale caratterizzati da somma urgenza o
ricadenti nella disciplina di cui all’art.17 del D.lgs. 163/2006 (contratti segretati e che richiedono particolari
misure di sicurezza); piani e i programmi finanziari o di bilancio; piani di protezione civile in caso di pericolo
per l’incolumità pubblica; piani di gestione forestale o strumenti equivalenti, riferiti ad un ambito aziendale
o sovraziendale di livello locale, redatti secondo i criteri della gestione forestale sostenibile e approvati dalle
regioni o dagli organismi dalle stesse individuati.
L’art. 7 Codice ambiente stabilisce la competenza, al pari dei progetti sottoposti a VIA nel Ministero
dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare a livello statale e della pubblica amministrazione in sede
regionale.
Il Codice dell’ambiente del 2006 detta, al titolo II della Parte II, interamente sostituita dall’art. 1, comma 2del
decreto correttivo n. 4/2008, una disciplina unitaria in materia di VAS.
Le varie fasi sono elencate nell’art. 11 e sviluppate nei successivi articoli da 12 a 18. Esse consistono:

a) nello svolgimento di una verifica di assoggettabilità, ovvero di una verifica attivata allo scopo di valutare,
ove previsto, se piani, programmi o le loro modifiche, possano avere effetti significativi sull’ambiente e
devono essere sottoposti alla fase di valutazione secondo le disposizioni del Codice considerato il diverso
livello di sensibilità ambientale delle aree interessate (art. 12 Codice ambiente, mod. dal D.lgs. 128/2010);

b) nell’elaborazione del rapporto ambientale, che spetta al proponente o all’Autorità procedente, a seguito
di consultazioni tra questi ultimi e l’Autorità competente nonché gli altri soggetti competenti in materia
ambientale (art. 13 Codice ambiente).

Esso costituisce parte integrante del piano o del programma e ne accompagna l’intero processo di
elaborazione ed approvazione. Nel rapporto ambientale devono essere individuati, descritti e valutati gli
impatti significativi che l’attuazione del piano o del programma proposto potrebbe avere sull’ambiente e sul
patrimonio culturale nonché le ragionevoli alternative che possono adottarsi tenendo conto degli obiettivi e
dell’ambito territoriale del piano o del programma;

c) nello svolgimento di consultazioni con il pubblico a seguito di idonee forme di pubblicità a cura dell’Autorità
procedente ovvero della pubblicazione di un avviso in Gazzetta Ufficiale o nel Bollettino ufficiale della
Regione o Provincia autonoma, contenente il titolo della proposta di piano o di programma, il proponente,
l’Autorità procedente, l’indicazione delle sedi ove può essere presa visione di tale documentazione etc. (art.
14, come modif. dall’art. 2 del D.lgs. 128/2010);

d) nella valutazione del rapporto ambientale a cura dell’Autorità competente che, dopo aver svolto le attività
tecnico istruttorie con la collaborazione dell’Autorità procedente e sulla base delle consultazioni effettuate,
esprime il proprio parere motivato entro il termine di 90 giorni a decorrere dalla scadenza di tutti i termini di
cui all’art. 14.
Si tratta del provvedimento obbligatorio con eventuali osservazioni e condizioni che conclude la fase di
valutazione di VAS. La tutela avverso il silenzio dell’amministrazione è disciplinata dalle disposizioni generali
del processo amministrativo. L’Autorità procedente, in collaborazione con l’Autorità competente, provvede,
prima della presentazione del piano o programma per l’approvazione e tenendo conto delle risultanze del
parere motivato di cui al comma 1 e dei risultati delle consultazioni transfrontaliere, alle opportune revisioni
del piano o programma (art. 15, come modif. dall’art. 2 del D.lgs. 128/2010);

e) nella decisione finale, da parte dell’organo competente sulla base del piano o programma, del rapporto
ambientale, del parere motivato e della documentazione acquisita nell’ambito della consultazione, che viene
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale o nel Bollettino della Regione (artt. 16 e 17, come modif. dall’art. 2 del
D.Lgs. 128/2010);

f) nell’attività di monitoraggio, effettuata dall’Autorità procedente in collaborazione con l’Autorità


competente, delle cui modalità di svolgimento e delle eventuali misure correttive viene data adeguata
informazione (art. 18, come modif. dall’art. 2 del D.Lgs. 128/2010).

La VAS pone rimedio a quello che è il maggior limite della VIA: il riferimento, cioè, a progetti di opere
specifiche e non ad un quadro di scala vasta. La valutazione degli effetti ambientali non costituisce più un
limite rispetto all’attuazione di determinate opere (delle quali è già stata irrevocabilmente decisa la
localizzazione) e diviene, invece, un passaggio ordinario nell’ambito delle relative decisioni che si collocano
a monte nelle singole realizzazioni infrastrutturali.

L’autorizzazione integrata ambientale

L’AIA, nel contesto delle finalità perseguite da VIA e VAS, ha ad oggetto la prevenzione e la riduzione
dell’inquinamento proveniente dalle attività industriali e prevede misure volte ad evitare e, ove possibile
ridurre, le emissioni nell’acqua, nel suolo e nell’aria, comprese le misure relative ai rifiuti, per conseguire un
elevato livello di protezione ambientale.

L’autorizzazione integrata ambientale (AIA) è definita infatti — ai sensi dell’art. 5, comma 1, lett. o-bis, Codice
ambiente, sostituita dal D.Lgs. 128/2010 — come il provvedimento che autorizza l’esercizio di una
installazione, o di parte di essa a determinate condizioni che devono garantire che la stessa sia conforme ai
requisiti previsti dal Codice medesimo.
Un’autorizzazione integrata ambientale può infatti valere per una o più installazioni o parti di esse che siano
localizzate sullo stesso sito e gestite dal medesimo gestore. Nel caso in cui diverse parti di una installazione
siano gestite da gestori differenti, le relative autorizzazioni integrate ambientali sono opportunamente
coordinate a livello istruttorio.
Si anticipa che la disciplina dell’AIA (artt. 29bis e seguenti del Codice ambiente) è stata profondamente
novellata, nell’ottica della semplificazione procedurale e provvedimentale, dal D.Lgs. 46/2014.
In primo luogo, tenendo presenti le novità legislative, si legge nel Codice che essa è necessaria:
- per le installazioni che svolgono attività di cui all’Allegato VIII alla Parte Seconda (ossia attività
energetiche, produzione e trasformazione di metalli, industria mineraria, chimica e gestione dei rifiuti);
- per le modifiche sostanziali ai suddetti impianti;
- per le attività di smaltimento o di recupero di rifiuti, anche qualora costituiscano solo una parte delle
attività svolte nell’installazione, l’AIA, ai sensi di quanto disposto dall’art. 29quater, comma 11,
costituisce anche autorizzazione alla realizzazione o alla modifica;
- per le installazioni nonché per le loro modifiche sostanziali, l’AIA è rilasciata nel rispetto della disciplina
di cui al Codice medesimo e dei termini di cui all’art. 29quater, comma 10.
Il provvedimento di AIA viene rilasciato dal Ministro dell’ambiente, sentiti i Ministri dell’interno, del lavoro,
della salute, dello sviluppo economico e delle politiche agricole, alimentari e foresta.
Ai sensi di quanto previsto ex art. 6, comma 16, del Codice ambiente, come novellato dal cit. D.Lgs. 46/2014,
l’autorità competente, nel determinare le condizioni per l’autorizzazione integrata ambientale, fermo
restando il rispetto delle norme di qualità ambientale, tiene conto dei seguenti principi generali:

a) devono essere prese le opportune misure di prevenzione dell’inquinamento, applicando in particolare le


migliori tecniche disponibili;

b) non si devono verificare fenomeni di inquinamento significativi;

c) è prevenuta la produzione dei rifiuti, a norma della parte quarta del presente decreto; i rifiuti la cui
produzione non è prevenibile sono in ordine di priorità e conformemente alla parte quarta del presente
decreto, riutilizzati, riciclati, ricuperati o, ove ciò sia tecnicamente ed economicamente impossibile, sono
smaltiti evitando e riducendo ogni loro impatto sull’ambiente;

d) l’energia deve essere utilizzata in modo efficace ed efficiente;

e) devono essere prese le misure necessarie per prevenire gli incidenti e limitarne le conseguenze;

f) deve essere evitato qualsiasi rischio di inquinamento al momento della cessazione definitiva delle attività
e il sito stesso deve essere ripristinato.

Sul versante della semplificazione procedurale, in virtù del combinato disposto di cui agli artt. 29bis e quater
del Codice ambiente, si vede che:

- entro 30 giorni dal ricevimento della domanda l’autorità competente comunica al gestore la data di
avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 L. 241/1990;
- nello stesso termine, l’autorità può richiedere di completare la documentazione e, in caso di mancata
integrazione, la richiesta si intende ritirata;
- nei 15 giorni successivi all’avvio del procedimento, devono essere pubblicati sul sito web dell’autorità
competente diversi dati, tra cui il nominativo del gestore, la localizzazione della installazione e gli uffici
cui prendere visione e trasmettere la documentazione;
- per le installazioni di competenza statale la domanda è presentata all’autorità competente per mezzo
di procedure telematiche, con il formato e le modalità stabiliti con il decreto di cui all’art. 29duodecies,
comma 2;
- l’autorità competente individua gli uffici presso i quali sono depositati i documenti e gli atti inerenti al
procedimento, al fine della consultazione del pubblico. Tale consultazione è garantita anche mediante
pubblicazione sul sito internet dell’autorità competente almeno per quanto riguarda il contenuto della
decisione, compresa una copia dell’autorizzazione e degli eventuali successivi aggiornamenti;
- la conferenza di servizi viene convocata ai sensi degli artt. 14 e seguenti della legge sul procedimento
amministrativo entro 30 giorni dalla presentazione della domanda;
- l’autorità competente esprime le proprie determinazioni sulla domanda di autorizzazione integrata
ambientale entro 150 giorni dalla presentazione della domanda.

5. L’edilizia
Nel momento della concreta realizzazione della capacità edificatoria la P.A. interviene per difendere e
affermare il proprio specifico interesse. In tale contesto occorre inserire la problematica relativa al rilascio
del consenso alla edificazione.

5.1 Il consenso all’edificazione


Per poter utilizzare la proprietà sotto un profilo edilizio fin dalla l.u. fu previsto un titolo abilitativo che
consentisse alle amministrazioni comunali di esprimere il loro consenso alla edificazione.
5.2 Dalla licenza di costruzione agli interventi assoggettati al permesso di costruire
Nell’assetto originario della legge 17-8-1942, n. 1150 il controllo pubblico delle attività costruttive dei privati
era demandato alla licenza edilizia, strumento attraverso il quale l’amministrazione accertava la conformità
del progetto rispetto alla normativa edilizia. Tale istituto era gratuito e non riguardava tutto il territorio
comunale, ma essenzialmente il centro urbano, con riferimento alla mera disciplina edilizia ed al controllo
della sola attività edificatoria, in una prospettiva di corretta espansione dell’aggregato urbano medesimo.
Soltanto con la legge 6-8-1967, n. 765 venne imposto l’obbligo della pianificazione urbanistica di tutto il
territorio e la necessità della licenza edilizia venne estesa appunto a tutto il territorio comunale, in una nuova
ottica di correlazione della programmazione al coacervo dei complessi rapporti e delle interdipendenze che
si creano e si sviluppano fra tutte le attività suscettibili, in modo diretto o indiretto, di produrre modificazioni
territoriali, allo scopo di guidarne l’evoluzione verso gli obiettivi e gli equilibri voluti.
L’art. 1 della legge 28-1-1977, n. 10 introdusse nel nostro ordinamento l’istituto della concessione edilizia,
sostituendolo a quello della licenza edilizia, per tutte le attività comportanti la trasformazione urbanistica ed
edilizia del territorio comunale.
Venne prescritto, inoltre, che tali attività di trasformazione del territorio dovessero partecipare agli oneri ad
esse relativi, assoggettandole al pagamento di un contributo commisurato all’incidenza delle spese di
urbanizzazione ed al costo di costruzione dell’opera.
La prima lettura di questa norma condusse parte della dottrina ad affermare che il sistema introdotto dalla
legge n. 10/1977 aveva sancito la scissione definitiva dello «jus aedificandi» dal diritto di proprietà,
trasformando la licenza edilizia, da «autorizzazione» rilasciata come riconoscimento dell’esercizio di un
diritto del proprietario del suolo, in «concessione» del diritto (appartenente alla collettività) di operare le
trasformazioni richieste: l’Amministrazione, cioè, avrebbe conferito al privato qualcosa che esso prima non
aveva.
Altri Autori affermarono — al contrario — che la «concessione di costruire» costituiva una innovazione
soltanto nominalistica, una «etichetta» apposta ad una realtà giuridica immutata ed ancorata alla precedente
normativa.
Detto contrasto interpretativo venne, però, superato in seguito all’intervento della Corte Costituzionale, che
— con la sentenza n. 5 del 30 gennaio 1980 (che dichiarò l’illegittimità del sistema di determinazione degli
indennizzi di esproprio configurato dalle leggi nn. 865/1971 e 10/1977) — affermò che «il diritto di edificare
continua ad inerire alla proprietà» (o alle altre situazioni che comprendono la legittimazione a costruire).
Secondo la Corte, è vero che il sistema normativo che disciplina l’edificabilità dei suoli demanda alla pubblica
autorità ogni determinazione sul se, sul come e sul quando edificare, ma la concessione edilizia — non
essendo attributiva di diritti nuovi — presupponeva facoltà preesistenti e adempiva all’identica funzione
dell’antica licenza edilizia, avendo lo scopo di accertare l’esistenza delle condizioni previste dalla legge per
l’esercizio del diritto, nei limiti in cui l’ordinamento ne riconosce e tutela la sussistenza.
Risultavano, tuttavia, «compressi e limitati, portata e contenuto» del diritto di edificare, «nel senso che
l’avente diritto può solo costruire entro i limiti, anche temporali, stabiliti dagli strumenti urbanistici».
Venne ribadito e rafforzato, in tal modo, il principio che il provvedimento di legittimazione del privato a
costruire (come rilevato dalla stessa Corte Costituzionale) non era più limitato ad un controllo puramente
edilizio, e quasi morfologico, riferito ai singoli elementi dell’agglomerato urbano, ma si rapportava alle
previsioni degli strumenti urbanistici in una valutazione complessiva delle relazioni tra tutti gli elementi della
città e del territorio (cd. definizione dello statuto urbanistico dell’opera).
Difficile apparve subito una precisa classificazione giuridica del provvedimento definito «concessione
edilizia»:
— atipico come «concessione»: poiché riferito ad una attività privata, svolta utilizzando beni di proprietà
privata e non riguardante beni della pubblica amministrazione o servizi a questa riservati in via esclusiva;
— ma atipico anche come «autorizzazione»: poiché non rivolto soltanto a rimuovere un limite
all’esercizio dello jus aedificandi (di cui il privato viene ritenuto titolare), ma altresì ad imporre precisi doveri
riferiti all’attività di esecuzione.
Le maggiori perplessità derivavano dalla mancata attribuzione alla concessione edificatoria di alcune
caratteristiche tipiche delle fattispecie concessorie, quali la discrezionalità della pubblica amministrazione, la
revocabilità, la rilevanza dell’«intuitus personae». Tali caratteristiche, infatti, non era dato rinvenire nella
concessione edilizia: atto dovuto in conformità delle previsioni urbanistiche, irrevocabile e trasferibile
unitamente alla proprietà dell’area.
Il T.U. n. 380/2001 definisce permesso di costruire il provvedimento legittimante le trasformazioni
urbanistiche ed edilizie, superando (sotto il profilo lessicale) le questioni di classificazione dianzi accennate.
Il Consiglio di Stato, in proposito, aveva suggerito di «adottare un termine che per un verso non denoti una
recessione del diritto del proprietario e che per converso non disconosca la funzione sociale del diritto a
edificare, affermata dalla Costituzione. Un termine, cioè, che lasci intendere che lo ius aedificandi non
discende dall’autorità che lo concede, essendo connaturato alla proprietà (o diritto equipollente), ma che al
tempo stesso non revochi in dubbio che quel diritto è sottoposto, nell’interesse comune e per la salvaguardia
di valori superiori, a un regime di governo e controllo amministrativo, ancorché significativamente snellito e
semplificato dalle riforme introdotte».
La qualificazione giuridica dell’atto non si ricollega, comunque, alla mera definizione lessicale, dovendo
piuttosto correlarsi alla funzione che esso svolge ed alla natura degli interessi alla cui realizzazione è rivolto.
La «dovutezza» del titolo che abilita a costruire deve essere valutata nel contesto dell’intero procedimento
di pianificazione del territorio. Per cui il controllo sull’attività edilizia:
a) nei Comuni sprovvisti di piano generale, costituisce pur sempre espressione di un potere discrezionale, non
trovando limite alcuno in precedenti atti programmatori.
All’amministrazione, pertanto, è rimessa la valutazione dei progetti in relazione ai limiti imposti dalla
legislazione vigente;
b) nei Comuni dotati di piano, invece, non può implicare nuove valutazioni di carattere urbanistico, ma deve
limitarsi ad un apprezzamento (prevalentemente tecnico) delle relazioni fra i singoli insediamenti da
autorizzare ed il contesto territoriale in cui devono inserirsi (concreta idoneità del suolo alla edificazione).

5.4 La comunicazione inizio lavori asseverata (CILA)


La comunicazione di inizio lavori venne introdotta nel 2010 nel Testo Unico dell'edilizia D.P.R. 380/01 per
semplificare l'avvio di lavori edilizi da realizzare senza titolo abilitativo ma con una comunicazione inviata
anche in modo telematico all'ufficio tecnico del Comune
Per presentare una CILA è necessario l'ausilio di un tecnico abilitato che deve redigere i disegni di progetto e
l'asseverazione per dichiarare se gli interventi rientrano tra quelli ricadenti nella CILA e se rispettano le
normative antisismiche, energetiche, antincendio, igienico sanitarie, etc.
Gli interventi subordinati a Comunicazione di Inizio Lavori Asseverata sono quelli ricadenti nella
manutenzione straordinaria e nel restauro e risanamento conservativo senza interventi strutturali.

5.5 La segnalazione certificata di inizio attività (SCIA)


La segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) è stata introdotta in Italia dal D.L. 78/2010 convertito in L.
122/2010 che ha riformulato interamente l'art. 19 della legge 7 agosto 1990 n. 241. Sostituendo, nella
maggior parte dei casi, la DIA (denuncia di inizio attività).
Dopo l'entrata in vigore della legge 122/2010, aprire un'attività di impresa risulta più semplice: per tutte le
attività economiche soggette a verifica dei requisiti, bisogna presentare la SCIA, che sostituisce la DIA
(denuncia di inizio attività) e ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione, permesso o nulla osta,
comprese le domande per l'iscrizione in albi e ruoli.
L'attività economica può iniziare dalla stessa data di presentazione della SCIA all'amministrazione
competente, senza attendere i 30 giorni previsti in precedenza. Le amministrazioni avranno poi 60 giorni per
esercitare i controlli ed eventualmente chiedere all'impresa, in mancanza dei requisiti necessari, la rimozione
degli effetti dannosi.
Può presentare la SCIA (presso il registro delle imprese della Camera di Commercio di appartenenza) chi
intende iniziare un'attività di installazione impianti, autoriparazione, pulizia, facchinaggio, agente di
commercio, mediatore immobiliare, mediatore merceologico, mediatore marittimo, spedizioniere,
commercio all'ingrosso.
L’interessato deve depositare la SCIA con tutta la documentazione richiesta per lo svolgimento dell’attività
aperta al pubblico, quindi deve corredare l’istanza con le autocertificazioni (dichiarazioni sostitutive di
certificazioni e dell’atto di notorietà) per quanto riguarda gli stati, le qualità personali e i fatti previsti dagli
articoli 46-47 del d.P.R. 445/2000 e, se previsto espressamente dalla normativa, anche attestazioni e
asseverazioni di tecnici abilitati: tutti gli atti necessari sono elencati sul sito della pubblica amministrazione.

5.6 Il permesso di costruire


Il permesso di costruire è un'autorizzazione amministrativa prevista dalla legge italiana, concessa dal
comune, che autorizza l'attività di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, in conformità agli
strumenti di pianificazione urbanistica. Ha sostituito la licenza edilizia dal 2001.
In linea generale le nuove costruzioni e gli interventi di ristrutturazione edilizia o urbanistica di un certo rilievo
sono quasi sempre soggetti al rilascio del permesso di costruire.
Il permesso di costruire è disciplinato dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico dell'edilizia) che ha
sostituito il precedente istituto della concessione edilizia di cui alla legge 28 gennaio 1977, n. 10 (cosiddetta
Legge Bucalossi) e della licenza edilizia di cui all'art. 31 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 ("legge urbanistica
nazionale" detta anche L.U.N.).
La competenza concorrente in materia urbanistica ed edilizia tra stato e regioni ha poi spinto molte
amministrazioni regionali a legiferare sul tema con norme tendenti a regolarne l'ambito di applicazione.
Il permesso di costruire è richiesto dai soggetti che hanno titolarità a effettuare gli interventi che non sono
soggetti a procedure semplificate e, generalmente, è soggetto al pagamento di oneri concessori
(analogamente al precedente istituto della concessione edilizia).
Gli interventi la cui realizzazione è subordinata al preventivo rilascio del permesso di costruire sono indicati,
oltre che nel Testo unico dell'edilizia anche dalle leggi regionali, che possono integrare la materia.
Alla richiesta di permesso di costruire deve essere allegato un progetto - redatto da un professionista abilitato
all'esercizio della professione - che descriva compiutamente e dettagliatamente le opere che si intendono
eseguire e ne attesti la conformità urbanistico/edilizia e la rispondenza ai requisiti normativi tecnici (es.
antisismici, acustici, di isolamento termico, ecc.).
Qualora l'intervento interessi beni soggetti a particolari tutele (ambientali, architettoniche, artistiche, ecc.) il
rilascio del permesso di costruire è vincolato al preventivo nulla osta da parte dell'ente deputato alla tutela
del vincolo.
Introduzione del silenzio-assenso
Il decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito in legge 12 luglio 2011, n. 106, ha introdotto il principio
del "silenzio-assenso" per il rilascio del permesso di costruire.
La domanda per l'ottenimento del permesso va presentata allo sportello unico per l'edilizia (S.U.E.) corredata
dalla documentazione tecnica necessaria. Lo stesso decreto stabilisce che i Comuni che non si sono dotati di
sportello unico per l'edilizia possono essere commissariati.
Il S.U.E., ricevuta la richiesta di permesso, deve nominare entro 10 giorni il responsabile del procedimento il
quale, entro sessanta giorni dalla presentazione della domanda, deve concludere l'istruttoria (valutare, cioè,
la conformità del progetto alle varie normative vigenti e verificare la documentazione allegata) e formulare
una proposta di provvedimento, corredata da una dettagliata relazione. Il responsabile del procedimento,
qualora ritenga che ai fini del rilascio del permesso di costruire sia necessario apportare modifiche di modesta
entità rispetto al progetto originario, può richiedere tali modifiche, illustrandone le ragioni. L'interessato si
pronuncia sulla richiesta di modifica entro il termine fissato e, in caso di adesione, è tenuto a integrare la
documentazione nei successivi quindici giorni. Il provvedimento finale, che lo sportello unico provvede a
notificare all'interessato, è adottato dal dirigente o dal responsabile dell'ufficio, entro il termine di trenta
giorni dalla proposta del responsabile del procedimento. Decorso inutilmente il termine per l'adozione del
provvedimento conclusivo, ove il dirigente o il responsabile dell'ufficio non abbia opposto motivato diniego,
sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-assenso, fatti salvi i casi in cui sussistano
vincoli ambientali, paesaggistici o culturali.

5.7 Il certificato di agibilità


Il certificato di agibilità è un documento importantissimo per tutti i proprietari di casa. Il documento infatti
attesta la vivibilità dell’immobile che si è costruito o acquistato, ma contiene anche indicazioni su:

- le condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico dell’edificio dove si trova l’immobile
- le condizioni di sicurezza di tutti gli impianti installati nell’immobile
- la conformità dell’immobile al progetto di costruzione

Il certificato di agibilità è stato introdotto dal D.P.R. del 6 giugno 2001, n. 380 “Testo Unico Edilizia”. A
novembre del 2016 però il D.lgs. n. 222 – conosciuto anche come decreto SCIA 2 – è intervenuto a modificare
la disciplina di questo importantissimo certificato.
Come il Certificato di Agibilità è Cambiato
Tra le varie modifiche, vi è stato il superamento dei concetti di abitabilità ed agibilità, che in precedenza
erano distinti. Il decreto SCIA 2 ha quindi introdotto la segnalazione certificata di agibilità.
Si tratta di un’autocertificazione: a partire dal novembre 2016, i Comuni non rilasciano più il certificato di
agibilità. Piuttosto, i soggetti titolari del permesso di costruire sono tenuti a presentare una segnalazione
certificata di agibilità al Comune, corredata da altra documentazione.

6 L’espropriazione per pubblica utilità: l’istituto come mezzo tradizionale d’intervento dello Stato per
l’ablazione della proprietà privata; 6.1 Lo schema tipico del procedimento espropriativo; 6.2 L’indennità di
esproprio; 6.3 L’occupazione d’urgenza

L’espropriazione per pubblica utilità è un istituto giuridico italiano in virtù del quale la pubblica
amministrazione può, con un provvedimento, acquisire per sé o fare acquisire a un altro soggetto, per
esigenze di interesse pubblico, la proprietà o altro diritto reale su di un bene, indipendentemente dalla
volontà del suo proprietario, previo pagamento di un indennizzo. L’espropriazione è espressione del potere
ablatorio che, in varia misura, gli ordinamenti riconoscono alla pubblica amministrazione e che consente alla
stessa di sacrificare l’interesse privato in vista di un superiore interesse pubblico (che, nel caso
dell’espropriazione per pubblica utilità è di solito – ma non esclusivamente – quello di realizzare un’opera
pubblica).
Il concetto di esproprio nella normativa italiana viene varie volte affrontato e modificato. Anche nel Decreto
Legislativo n. 267/2000 si parla di occupazione d’urgenza di immobili per la realizzazione di opere e lavori
pubblici o di pubblico interesse (ex art. 121 abrogato). Sino agli inizi degli anni 2000 la normativa è stata
sempre di difficile lettura e comprensione, la creazione di un testo unico è stata fondamentale.
Il relativo Testo unico ha riunito in un atto normativo le disposizioni prima sparse su un centinaio di leggi e
regolamenti, abrogando la primigenia Legge che risale al 1865.
Sulla base della normativa in vigore, sono espropriabili i beni immobili e i diritti a loro relativi, al fine di
eseguire opere pubbliche o di pubblica utilità. I beni appartenenti al Demanio Pubblico sono espropriabili
esclusivamente previa sdemanializzazione. I beni dedicati al culto sono espropriabili previo accordo con le
autorità competenti.
L’articolo 42 comma 3 della Costituzione della Repubblica Italiana e l’articolo 834 del codice civile stabiliscono
che la proprietà privata può essere espropriata per pubblica utilità.
Il fondamento costituzionale dell’espropriabilità è ancora più chiaro se si legge l’articolo 42 comma 3 in
combinato disposto con l’articolo 2 della Costituzione, che sottopone i cittadini a “doveri inderogabili di
solidarietà politica, economica e sociale”.
In virtù di questi doveri, e della tutela e garanzia data alla proprietà privata si prevede che il privato che
subisce il provvedimento espropriativo debba ottenere un indennizzo e non un risarcimento, il bene
espropriato passa in capo alla pubblica amministrazione per ragioni di pubblica utilità, cioè nel
perseguimento di un interesse pubblico, vale a dire della collettività organizzata della quale anche
l’espropriato fa parte.
L’espropriazione è retta da due principi fondamentali.
- Legalità, i pubblici poteri possono espropriare i beni dei privati solo nei casi previsti dalla legge e nel
rispetto delle procedure determinate dalle leggi, a norma dell’articolo 23 della Costituzione.
- Indennizzo, (ex art. 42 c. 3 C.) lo Stato deve corrispondere al proprietario espropriato una somma di
danaro, determinata secondo criteri di legge, che compensi la perdita.
La somma non deve essere, per la Corte costituzionale, simbolica, anche se non si richiede che equivalga al
prezzo di mercato del bene espropriato.
Anche la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali tutela la
proprietà sotto il profilo del libero godimento dei beni, ai sensi dell’articolo 1 del primo Protocollo, la Corte
di Strasburgo ha più volte sanzionato l’Italia per violazione di questa norma pattizia.
Il decreto di esproprio può essere emanato se l’opera da realizzare sia prevista nello strumento urbanistico
generale, o in un atto di natura ed efficacia equivalente, e sul bene da espropriare sia stato apposto il vincolo
preordinato all’esproprio, se ci sia stata la dichiarazione di pubblica utilità, se sia stata determinata, anche se
in via provvisoria, l’indennità di esproprio.
La dichiarazione di pubblica utilità era il presupposto dell’espropriazione nella legge fondamentale del 1865.
Essa conteneva la scelta dell’area da utilizzare per l’opera pubblica, era perciò un atto a contenuto
discrezionale e siccome incideva sulla proprietà privata era assistito da particolari garanzie.
In primo luogo, doveva contenere, a pena di invalidità dell’intera procedura, i termini di inizio e di fine lavori,
nonché i termini di inizio e fine delle operazioni espropriative.
La legge del 1865 si basava sulla regola in base alla quale l’Amministrazione prima diventava proprietaria
dell’area, con l’esercizio del potere ablatorio, e poi realizzava l’opera pubblica. Tale regola, più volte derogata
nella legislazione successiva, è stata ripresa e ribadita dall’articolo 2 del relativo Testo Unico, che afferma
l’assoluta rilevanza del principio di legalità, perché è una antica, ma attuale, esigenza che l’Amministrazione
dapprima espropri e poi costruisca l’opera pubblica, al fine di semplificare il sistema, accelerare le misure e
ridurre il contenzioso.
Nella legge del 1865 non era prevista la cosiddetta occupazione d’urgenza, preordinata all’esproprio e creata
per la prima volta dalla legge sul risanamento di Napoli del 1885, dopo la conclusione del procedimento
ablatorio il privato perdeva il possesso del fondo, insieme alla proprietà, e sulla base di una dichiarazione di
pubblica utilità formalizzata in un atto espresso, frutto di particolari valutazioni concernenti l’idoneità
dell’area da espropriare.
Nel regime anteriore al decreto, il soggetto espropriante depositava il cosiddetto piano particolareggiato di
esecuzione, chiamato anche piano particellare di esproprio, con cui si individuavano i beni da espropriare.
Tale piano veniva pubblicato nell’albo pretorio comunale e nel F.A.L. per 15 giorni, termine entro cui i
proprietari potevano proporre ulteriori osservazioni al Prefetto.
Seguiva l’ordinanza prefettizia che disponeva l’esecuzione del piano particellare e indicava la somma offerta
quale indennità di esproprio.
A questo punto, gli espropriandi avevano tre possibilità di notificare al Prefetto l’accettazione della somma
indennitaria; in tal caso il Prefetto emanava il decreto di esproprio, chiedere di concordare la cessione
volontaria del bene, portando alla stipula di un accordo convenzionale di cessione con l’autorità espropriante
ed evitando l’emanazione del decreto di esproprio, opporsi alla stima, e il Prefetto emanava il decreto di
esproprio mentre il giudice ordinario decideva sulla congruità della somma offerta come indennità di
esproprio.
Si deve anche considerata la disposizione della Costituzione che consente di “riservare allo Stato o ad altri
enti pubblici determinate categorie di imprese che si riferiscono a servizi pubblici essenziali o a fonti di
energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse collettivo” (ex articolo 43).
Questa figura va sotto la denominazione di nazionalizzazione (la più famosa applicazione risale al 1962, con
la nazionalizzazione delle aziende elettriche e la fondazione dell’ENEL).
L’indennizzo, in questo caso è l’acquisto a carico dello Stato delle azioni, che rappresentano la proprietà
dell’impresa.
L’espropriazione completa, si verifica quando un proprietario viene privato integralmente di un suo fondo.
Indennità è pari al giusto prezzo che avrebbe avuto l’immobile in una libera compravendita. Il giusto prezzo
è il valore di mercato del bene secondo i prezzi correnti al momento dell’espropriazione senza trascurarne i
miglioramenti.
Se le due parti non si riescano a mettere d’accordo sul prezzo, interviene un collegio di periti che valuta il
giusto prezzo.
Nell’espropriazione parziale, l’indennità consiste nella differenza tra il giusto prezzo dell’immobile prima
dell’occupazione e il giusto prezzo dopo l’occupazione.
Si determina il valore complementare della parte espropriata.
È possibile che da tale espropriazione nasca un vantaggio per il fondo, tale vantaggio non deve essere
maggiore di un quarto dell’indennizzo.
Per l’esecuzione di un’opera di pubblica utilità possono essere occupati temporaneamente terreni per
l’estrazione, per il deposito di materiali e attrezzature, per l’installazione di magazzini e cantieri di lavoro, per
praticare passaggi provvisori, per aprire canali di diversione delle acque e per ogni altro uso necessario alla
realizzazione dell’opera.
L’occupazione temporanea non può avvenire per i terreni fabbricati né per quelli recintati da muri.
Per il calcolo dell’indennizzo si tiene conto di, frutti pendenti, valore soprassuolo, reddito annuo perduto
durante il periodo di occupazione, spese di ripristino, danno per diminuzione transitoria o permanente di
reddito dalla fine del periodo di occupazione, durata dell’occupazione
Diversa ipotesi è quella, utilizzata spesso, dell’occupazione d’urgenza, che in base a un “decreto di
occupazione d’urgenza” anticipa gli effetti dell’esproprio immettendo prima dell’esproprio l’ente pubblico
od il beneficiario privato (società autostradale, cooperativa edilizia, attività produttiva compresa in nuova
zona produttiva) nel possesso dei beni per eseguirvi le opere per cui la procedura espropriativa ha avuto
inizio.
All’atto della consegna dei beni al beneficiario del futuro esproprio si redige un “verbale di consistenza” nel
quale un tecnico descrive lo stato dei luoghi e le coltivazioni o gli immobili presenti per poterne tener conto
in futuro nel momento in cui verrà quantificata l’indennità di esproprio.
Di solito per questa occupazione l’indennizzo consiste nell’interesse legale calcolato sull’indennità di
esproprio per il periodo in cui l’esproprio è stato anticipato.
Se l’opera non è stata eseguita nei tempi stabiliti o il fondo non ha avuto la destinazione prevista,
l’espropriato può ottenere la retrocessione.
Gli immobili espropriati possono anche essere posti in vendita dall’espropriante e i vecchi proprietari hanno
diritto di prelazione.
L’imposizione del vincolo su un’area, pur non determinando il trasferimento coattivo della proprietà dal
privato cittadino alla pubblica amministrazione, restando la disponibilità dell’area, più teorica che pratica, al
proprietario, determinava, di fatto, un esproprio senza indennizzo. Questa modalità di esproprio è conosciuta
in giurisprudenza ed in dottrina con il termine espropriazione anomala o espropriazione di fatto.
A volte l’espropriazione è avvenuta senza alcun titolo, altre ci si trova di fronte ad opere pubbliche eseguite
in base ad un decreto di occupazione d’urgenza, poi non seguito da un regolare decreto d’esproprio, in
ambedue i casi il relativo decreto del Presidente della Repubblica sembra avere lasciato ampio spazio alla
discrezionalità amministrativa, assoggettandosi alle obiezioni esposte nel contenzioso CEDU sul regime
previgente.

PARTE QUARTA
La domanda pubblica
Capitolo 1: I mercati pubblici

1.L’azione amministrativa mediante contratti: i mercati pubblici


Lo Stato per procurarsi beni e servizi necessari ricorre alle imprese private e quindi al mercato. In questo
ambito agiscono secondo modalità diverse dall’usuale modello amministrativo, con strumenti propri del
diritto comune. La domanda espressa dai pubblici poteri trova soddisfazione solo quando vi è l’accordo di un
terzo. Poiché in tale rapporto una delle due parti è di natura pubblica, l’attività di questa deve rispondere
alle regole dell’azione amministrativa e ai principi di mercato, pertanto essa deve essere conforme sia ai
principi sanciti dall’art 97 Cost. (legalità, imparzialità e buon andamento) e anche al principio dell’evidenza
pubblica (facoltà di individuare liberamente il proprio contraente). La P.A è quindi libera di richiedere o meno
determinate prestazioni, ma non è libera di individuare il privato contraente, in quanto dovrà farlo a seguito
di una procedura di gara pubblica. Il corrispettivo del contratto determina una spendita di denaro pubblico.
1.2 I mercati pubblici nella prospettiva giuridica: dalla concorsualità alla concorrenzialità
La domanda pubblica trova soddisfazione mediante istituti di natura negoziale e si può affermare che essi
costituiscono gli strumenti grazie ai quali può avvenire l’incontro tra domanda pubblica e offerta privata. La
P.A può concludere contratti con privati operando secondo principi ben precisi. L’ordinamento giuridico pone
particolare attenzione in merito alle modalità di formazione e di manifestazione della volontà della P.A. In
primo luogo, sono previste diverse modalità tecnico-amministrative di individuazione del contraente le quali
assumono natura concorsuale. È necessaria la partecipazione a tali procedimenti di un numero sufficiente di
soggetti, tra loro concorrenti. L’amministrazione dovrà individuare il contraente, dopo aver fatto una
valutazione economica comparativa dei diversi concorrenti. Successivamente all’individuazione del
contraente secondo procedure di gara pubblica potrà essere concluso il contratto e sarà possibile adempiere
alle reciproche prestazioni. Il c.c. definisce appalto quel contratto con il quale un soggetto (appaltatore) si
impegna a realizzare un’opera oppure a compiere un servizio, dietro il corrispettivo di un prezzo da parte di
un altro soggetto (committente). La normativa in materia dei contratti pubblici, a differenza dei contratti
‘’normali’’, prende in esame tutto ciò che precede la stipulazione del contratto, dalla programmazione alle
modalità di incontro delle volontà dei contraenti. Questa minuziosa normativa consente di parlare di
‘’procedura di ‘’appalto’’, riferendosi all’iter tecnico-amministrativo per giungere alla stipulazione del
contratto. Mediante lo strumento offerto dagli appalti pubblici e dai contratti pubblici in generale, la P.A può
perseguire i propri fini. In particolare, è quel complesso sistema di norme volto a disciplinare le vicende
connesse all’acquisizione di beni e servizi da parte della P.A. Tali compiti potranno essere realizzati
direttamente (infrastruttura) o indirettamente (appalto pubblico di forniture di beni necessari ai propri
uffici). La regolamentazione degli appalti pubblici sono individuabile già in ordinamenti a noi lontani come
nel diritto romano. Successivamente riviste più volte, cambiate radicalmente con l’avvento del Unione
Europea, in particolare con la nascita della CEE (costituzione economica europea) e le difficolta derivate dalle
politiche economiche di deficit spending, comuni a tutti gli stati dell’area europea. Il processo di integrazione
europea (Parte, Cap. II), quindi è stato l’elemento che più ha contribuito a delineare l’attuale disciplina degli
appalti pubblici. Mediante questo corpus normativo comune incentrato sul principio di non discriminazione
delle imprese, hanno creato un mercato basato sulla concorrenzialità, in particolare con mercati più ampi in
cui operare ed un maggior numero di operatori con cui concorrere, senza la possibilità di ricevere aiuti in
forma di commesse pubbliche da parte del proprio Stato, riuscendo così ad allocare in maniera ottimale le
risorse.

1.3 I nuovi diritti


Consequenziale a questa nuova impostazione è la nascita di nuovi diritti che si sono imposti nel nostro
ordinamento. La CE ha imposto l’affermazione del diritto al mercato da parte delle imprese anche nel settore
della domanda pubblica. Il principio era innovativo e anche di sovvertimento al tradizionale approccio, questo
portò a una rivoluzione. La scelta del tipo di gara da indire veniva condizionata sia dalle mere esigenze interne
alla stazione appaltante, sia doveva essere contemperata e confrontata con i diritti del mercato quali
preinformazione, pubblicità in sede europea, l’urgenza ad avere il contraente con l’esigenza di rendere
possibile a tutti gli interessati di poter offrire, ecc. I nuovi diritti che si vennero ad affermare erano quelli
del diritto di mercato, non solo nel momento in cui si formava la domanda, ma anche in quello della
informazione, della pubblicità, del rispetto della libera concorrenza. Alla lesione del diritto al mercato della
domanda pubblica l’ordinamento comunitario (quindi nazionale) introdusse il diritto:
• alla restitutio in integrum, cioè al diritto dell’imprenditore ad essere restituito nella posizione
giuridica antecedente il fatto illecito.

• al risarcimento del danno subito quando non si poteva più ricorrere al restitutio in integrum (perché
oramai la procedura era esaurita con l’esecuzione dei lavori o per il completamento della fornitura),
e si poteva disporre solo un equivalente in denaro a ristoro della lesione del diritto.

I tribunali a cui venne affidata la giurisdizione furono quelli amministrativi, di modo che da quel momento a
questi giudici fu, per la prima volta, attribuito il potere di condannare al risarcimento del danno la P.A. che
avesse violato i principi comunitari o nazionali in materia, potendo essi non solo ordinare all’amministrazione
di eseguire sentenze di annullamento di atti, ma anche di condanna al pagamento di somme a favore
dell’imprenditore (legge n.205 del 2000).

Inoltre, l’UE ha istituito un sistema di giurisprudenza dove i diritti del mercato pubblico possono essere fatti
valere dal sistema imprenditoriale, prima di tutto la Corte di giustizia e, a volte, la stessa Commissione hanno
creato una giurisprudenza innovativa tale da condizionare istituti giuridici nazionali per renderli conformi al
diritto comunitario.

2.La disciplina europea dei mercati pubblici


Con le ultime direttive del 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE in tema di aggiudicazione di contratti di
concessione, appalti pubblici e procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia,
dei trasporti e dei servizi postali, il legislatore comunitario ha realizzato una semplificazione ed una maggiore
flessibilità delle procedure al fine di favorire il completamento del mercato unico; in particolare merita un
cenno: l’autocertificazione, con l’introduzione del documento di gara unico europeo (DGUE) contenente le
informazioni relative alle imprese e di rilievo, ai fini della partecipazione alle gare pubbliche, e l’obbligo di
stabilire la comunicazione integramente elettronica tra la P.A. e le imprese in tutte le fasi della procedura;
l’ampliamento delle possibilità di ricorso alla procedura negoziata senza bando da parte delle stazioni
appaltanti e l’incentivazione alla partecipazione alle gare per le piccole e medie imprese; la possibilità per gli
Stati membri di prevedere che l’amministrazione aggiudicatrice paghi direttamente i subappaltatori, che,
quindi, sono tutelati efficacemente dal rischio di mancato pagamento; l’introduzione di nuove procedure di
affidamento che aumentano le possibilità di negoziazione tra l’amministrazione e le imprese in corso di gara
(la procedura competitiva con negoziazione per mezzo della quale, in risposta ad un bando, le imprese
inviano un’offerta iniziale che viene negoziata e progressivamente ‘’limitata’’ con la P.A. fino ad arrivare ad
un offerta finale).

3.La disciplina nazionale dei mercati pubblici: principi generali e tipologie negoziali
Oggi l’ordinamento individue 3 tipi di discipline di appalto pubblico, differenziate in ragione dell’oggetto,
della prestazione:
• l’appalto pubblico di lavori, definito come un contratto oneroso concluso fra la P.A. ad un
imprenditore avente per oggetto l’esecuzione o la realizzazione, ed in determinate ipotesi la
progettazione, di attività connesse ad opere pubbliche (cioè a beni immobili di proprietà della P.A. o,
comunque, strumentali all’interesse pubblico);

• l’appalto pubblico di forniture, definito come un contratto oneroso concluso dalla P.A. ed un
imprenditore avente per oggetto ‘’ l’acquisto, la locazione finanziaria, la locazione o l’acquisto a
riscatto, con o senza opzione per l’acquisto di prodotti’’;

• l’appalto pubblico di servizi, definito come un contratto oneroso stipulato fra un terzo e la P.A. che
assume ad oggetto l’esecuzione di attività (di servizio) elencate dalla stessa normativa comunitaria.

PARTE QUINTA

CAPITOLO PRIMO

L’offerta pubblica come modalità di intervento dei pubblici poteri:


Fin dal testo originario del 1957 si dà esplicita evidenza giuridica al rapporto sussistente tra attività
economiche, svolte per il tramite di un mezzo definito: il mercato unico, aperto e concorrenziale e i fini del
benessere economico-sociale dei cittadini degli stati membri e nella crescita economica. Nei primi anni del
Novecento viene avviata una politica di realizzazione delle infrastrutture necessarie a soddisfare i bisogni
della collettività, cioè nell’azione amministrativa mediante l’offerta pubblica. Vengono istituite le aziende
municipalizzate per l’erogazione di beni di interesse della collettività locale e le aziende dello stato per quelle
attività che richiedono un centro di imputazione comune. I pubblici poteri assumono in prima persona lo
svolgimento di attività economiche, soprattutto dove le imprese private non sono nelle condizioni di
intervenire. Lo stato assume cosi l’obbligo di produrre dei beni e servizi e di offrirli alla collettività: è il caso
della ferrovia dello stato che si pongono come centro la realizzazione di progetti per la rete ferroviaria. Lo
stato si assume quindi l’onere di assicurare la produzione di beni o servizi anche dove non vi siano gli
investimenti dei privati, affiancandole o sostituendole completamente. Le forme di organizzazione assunte
dallo stato per svolgere tali attività sono di tipo indiretto e assumono forma di impresa laddove si tratta di
attività di natura economica, industriale o commerciale. A partire dagli anni Novanta si è registrato da un lato
un notevole arretramento del ruolo dello stato come produttore di beni e servizi o dall’altro un’espansione
del ruolo di regolatore anche mediante una nuova organizzazione amministrativa.
Lo stato ha fatto un passo indietro sotto l’aspetto dell’offerta di beni e servizi che potevano essere lasciati
all’azione del mercato trattandosi di beni non direttamente funzionali al soddisfacimento di esigenze di
interesse generale. Per quanto riguarda l’offerta di beni e servizi pubblici, direttamente funzionali al
soddisfacimento delle esigenze di interessi generali è di fondamentale importanza la presenza dello stato e
degli EE.PP.

L’azione amministrativa mediante l’offerta pubblica di beni e servizi:

Ciò che caratterizza l’offerta pubblica, è l’azione posta in essere dall’amministrazione che assume forme
diverse dal passato e configura una nozione dinamica di offerta pubblica il cui contenuto è mutevole nel
tempo. Tale azione assume ad oggetto beni e attività destinati alla collettività che presentano caratteri
propri:

• I beni rilevanti per l’azione amministrativa presentano natura e regime giuridico differenziati e
possono essere individuati nei beni pubblici e nei beni comuni mediante i quali, l’azione
amministrativa si esprime in forme tipiche, caratterizzate dall’esercizio di un potere autoritativo.
• Le attività offerte alla collettività individuano un ambito assai ampio che comprende i servizi pubblici
assicurati secondo criteri di tipo economico e sono maggiormente condizionate dal mercato, anche
i servizi offerti alla collettività che rispondono in via principale a criteri di merito politico. Accanto a
beni e servizi cosi caratterizzati bisogna ricordare che l’azione amministrativa si può esprimere anche
in forme ulteriori mediante l’apposizione dei vincoli dell’attività produttiva dei privati.

L’azione amministrativa può assumere ad oggetto anche:

• I beni e le attività di natura commerciale, non caratterizzate da un rapporto di funzionalità diretta


con l’interesse generale, direttamente o indirettamente da soggetti pubblici, che rappresentano
un’ipotesi del tutto residuale.
• I beni e le attività dei privati sottoposti ad un’azione amministrativa di verifica e controllo e assunti
dall’ordinamento come strumenti per il perseguimento di fini di interesse generale.

L’evoluzione dell’azione amministrativa mostra come l’offerta dei servizi sia sempre meno pubblica.

L’offerta di beni comuni e beni pubblici:


L’azione amministrativa può assumere quale mezzo i beni comuni e i beni pubblici. I beni comuni
comprendono l’etere, l’aria, il mare, l’acqua, l’ambiente, rispetto ai quali fino a tempi recenti non si poteva
neppure parlare di un regime di proprietà, né pubblica, né privata. La ragione di ciò poteva ravvivarsi nel
fatto che neppure erano considerati come beni. In primo luogo, venivano considerati illimitati e risorse non
sottoposte al vicolo economico della razionalità dell’uso. La progressiva evoluzione tecnologica e il loro
utilizzo crescente hanno fatto acquisire a molti di questi beni la natura di risorse scarse che necessitano di un
crescente intervento dei poteri, per assicurarne l’uso futuro. Non vi è dubbio che l’offerta pubblica possa
assumere ad oggetto beni di proprietà della PA. Non tutti questi beni possono costituire direttamente
oggetto di offerta al pubblico, visto che sono utilizzati dalla PA per lo svolgimento della propria attività
materiale. Sono diverse le forme mediante le quali tali beni possono essere offerti alla fruizione di terzi in
maniera diretta. Il dicrimen in tali ipotesi è dato dalla natura del rapporto intercorrente tra amministrazione
titolare del bene pubblico e il terzo:
• Se assume contenuto patrimoniale o meno.
• Se l’utilizzo del bene da parte del terzo sia caratterizzato da esclusività o da rivalità

Per i beni demaniali il titolo giuridico in base al quale il terzo potrà utilizzare il bene per attività a contenuto
patrimoniale è di norma un provvedimento di natura concessoria. Tale provvedimento accede ad un
contratto concluso con un terzo, ad esempio nell’ipotesi di gestione di reti strumentali ad un servizio
pubblico. Tra i beni demaniali meritano particolare attenzione le concessioni demaniali marittime che sono
concessioni amministrative aventi ad oggetto l’occupazione e l’uso di beni facenti parte del demanio
necessario dello stato, dietro la corresponsione di un canone. Tali concessioni tradizionalmente erano
attribuite al privato che ne faceva espressa richiesta, spesso usando il diritto di prelazione e che si proponeva
di utilizzare l’area nel perseguimento di un interesse pubblico valutato di volta in volta dall’amministrazione
senza gara.

Con la sentenza del 14 luglio 2016 la corte di giustizia ha precisato che le concessioni rilasciate e prorogate
senza procedura ad evidenza pubblica dopo l’adozione della direttiva n. 123/2006 contrasterebbero con
l’ordinamento comunitario e con i principi comunitari di libertà di stabilimento, di protezione della
concorrenza e di eguaglianza di trattamento tra operatori economici e di proporzionalità e di ragionevolezza.
I beni del patrimonio indisponibile possono costituire oggetto di diritti da parte di terzi. Si tratta di beni che
possono essere anche di proprietà di soggetti diversi dalla PA, ma che possono essere distolti dall’uso per il
quale sono preordinati. La presenza di questo vincolo incide sulla loro capacità di circolazione e assume un
significato non secondario in ordine al contenuto del diritto di proprietà che può essere riconosciuto ad un
terzo. I beni del patrimonio disponibile, si può qui solo segnalare la possibilità di assimilare a tale categoria
proprio il bene che costituisce il tipico mezzo dell’azione amministrativa secondo modelli non autoritativi,
cioè il denaro della PA.

L’offerta dei servizi pubblici:


L’ulteriore forma mediante la quale si esprime l’offerta pubblica riguarda l’erogazione di servizi pubblici. Con
questo modello organizzativo si intende assicurare l’offerta di una determinata attività che per le
caratteristiche proprie assume direttamente rilevanza di interesse generale. Si tratta di attività sottoposte
ad istituti di garanzia in quanto concorrono a dare concreta attuazione a principi costituzionalmente tutelati.
Si tratta di attività nelle quali la presenza di soggetti riconducibili alla PA si è notevolmente ridotta negli ultimi
anni. Non vi è stato un intervento comunitario almeno sotto il profilo ordinamentale, volto all’arretramento
delle forme di materiale svolgimento delle attività che nell’ordinamento nazionale erano direttamente
riconducibili al potere pubblico. L’aspetto più rilevante dell’offerta pubblica di servizi di natura economica
sotto il profilo organizzativo è la forma alla quale generalmente la PA ha fatto ricorso che è quella
dell’impresa. L’impresa pubblica è un mezzo essenziale mediante il quale si esprime l’azione diretta della PA
preordinata all’offerta dei servizi. Oggi anche l’impresa privata è qualificata dall’ordinamento dei servizi
pubblici per l’erogazione dei servizi.
CAPITOLO SECONDO

BENI PUBBLICI

I beni comuni:
Il crescente sviluppo tecnologico, l’aumento dei consumi in rapporto al maggior numero degli utilizzatori, il
rilevante interesse economico che questi settori hanno nel frattempo assunto, fanno sorgere problemi in
merito al mantenimento della fruibilità generale, tanto da connettere agli stessi enormi valori anche in senso
monetario. L’importanza dal punto di vista economico della formazione pubblicistica è enorme, giacché oggi
l’imprenditoria non è libera di agire, fruendo di siffatti beni. Il regime concessorio o autorizzatorio si è
sostituito al regime di piena libertà.

La disciplina dell’etere:
In Italia la prima legge è del 1910, già in quel periodo venne affermata l’esclusività statale dei servizi postali
telegrafici e telefonici e tale legge prospettava questo tipo di esclusività anche per il settore delle
radiodiffusioni. In particolare, l’art 1 del r.d. n. 645 del 1936 contenente il codice postale, riconosceva
l’appartenenza esclusiva allo stato dei servizi di telecomunicazioni, telegrafici, telefonici, radioelettrici ed
ottici. Oggi il sistema delle comunicazioni risulta completamente mutato e articolato in settori diversi, solo
alcuni dei quali operano mediante il supporto dell’etere(frequenze). Resta comunque ferma la qualificazione
pubblicistica del bene appartenente allo stato che distribuisce le frequenze per consentire l’utilizzo da parte
dei privati.

La disciplina del mare:


Viene definita in via generale nelle convenzioni internazionali ed è sottoposta alla sovranità dello stato
costiero. Alcuni stati fissano il limite della sovranità a 3 miglia altri a 6 e altri a 200. Per fini economici è
importante definire fino a dove lo stato è sovrano, la convenzione di Montego bay ha stabilito che ogni stato
è libero di stabilire l’ampiezza delle proprie acque territoriali fino ad un’ampiezza massima di 12 miglia
marine, che devono essere misurate a partire dalla linea di base, che corrisponde alla bassa marea lungo la
costa, come indicato dalle carte nautiche a grande scala ufficialmente riconosciute dallo stato costiero. Lo
stato non può impedire il passaggio inoffensivo di navi mercantili o da guerra straniere e non può esercitare
la propria legislazione penale in relazione a fatti commessi a bordo di navi straniere. Nella convenzione di
Montego Bay sono oggetto di regolamentazione anche la cd. Zona contigua, la piattaforma continentale, la
zona economica esclusiva e i fondi marini internazionali. La zona contigua è la zona adiacente il mare
territoriale nella quale lo stato costiero esercita i poteri di controllo anche sulle navi straniere al fine di
pervenire o reprimere infrazioni alla sua legislazione nazionale. La piattaforma continentale è la parte
sommersa dei continenti che si estende con una pendenza media di 0,1% dalla linea di costa fino a una
profondità stabilita per convenzione. Accanto ai poteri esercitabili nella piattaforma continentale, lo stato
può sfruttare anche tutte le risorse presenti nella zona economica esclusiva, la quale si estende per 200 miglia
marina a partire dalla linea di base del mare territoriale. Nel corso degli anni si è registrata una tendenza
smisurata ad ampliare il controllo degli stati sulle acque adiacenti le coste al fine di procedere ad un intensivo
sfruttamento delle risorse economiche del mare a scapito del principio della libertà dei mari, ciò ha fatto si
che in Europa si intervenisse normativamente per garantire nei rapporti tra gli stati membri requisiti minimali
di sicurezza nel mare.
Le funzioni amministrative connesse alla gestione del demanio marittimo e delle zone del mare territoriale
sono conferite agli EELL, secondo i principi di sussidiarietà e semplificazione dell’azione amministrativa,
completezza e omogeneità delle funzioni, unicità della responsabilità amministrativa, integrazione tra i
diversi livelli di governo, accessibilità e fruibilità dei beni del demanio marittimo del mare territoriale: in
particolare ai comuni possono essere attribuite le funzioni inerenti alle concessioni demaniali marittime, le
autorizzazioni sull’arenile, i nullaosta per l’esercizio del commercio sulle aree demaniali marittime e la pulizia
degli arenili mentre le regioni conservano funzioni di programmazione ed indirizzo generale salvi i poteri
sostitutivi in caso di inadempimento.

La disciplina dell’acqua:
L’acqua è un bene pubblico le cui problematiche rivestono un enorme importanza considerato che da questa
risorsa dipendono il benessere della comunità e molte attività produttive ed economiche. A partire dagli anni
Novanta le norme comunitarie si sono preoccupate di definire obiettivi di qualità ambientale e norme
qualitative essenziali cui devono soddisfare le acque destinate al consumo umano, la tutela dell’acqua come
risorsa esauribile. In ambito nazionale la legge n36 del 1994 ha modificato radicalmente il regime delle acque
affermando che l’acqua oggi è un bene comune di carattere globale e non locale, da ciò deriva il fatto che il
proprietario del suolo non può più estrarre l’acqua dal suo fondo senza concessione. Sotto il profilo giuridico
è utile inquadrare sia la questione del riparto di competenze sia pure delle forme di affidamento del servizio.
La corte cost. ha precisato che il servizio in quanto servizio pubblico di rilevanza economica, rientra nella
materia di competenza esclusiva statale della tutela della concorrenza, dal momento che forme di gestione
e relative procedure di affidamento costituiscono regole dirette ad assicurare la concorrenzialità nella
gestione del servizio idrico integrato. Da ciò deriva che le competenze regionali in materia di servizio idrico
integrato devono svolgersi nell’alveo della ricostruita disciplina statale e che sono ammissibili effetti pro-
concorrenziali degli interventi regionali nelle materie di competenza concorrente o residuale purché siano
indiretti e marginali e non si pongano in contrasto con gli obiettivi posti dalle norme statali che tutelano o
promuovono la concorrenza. La previsione contenuta nel d.lgs. n. 152 del 2006 e cioè che i proventi ricavati
del sistema tariffario del servizio idrico integrato devono finanziare anche l’adeguata remunerazione del
capitale investito dal gestore per la realizzazione e per la manutenzione straordinaria delle infrastrutture
funzionali al servizio stesso è venuta meno in esito alla consultazione referendaria svoltasi nel giugno del
2011. Riguardo all’affidamento vi è da dire che oggi vige il principio dell’unicità di gestione.

La disciplina dell’ambiente:
La costituzione Repubblicana, entrò in vigore nel 1948, ha fornito al legislatore gli spunti per occuparsi di
questa materia ed ha sancito alcuni principi fondamentali. Le esigenze di tutela de paesaggio costituiscono
un valore di straordinario rilievo, primario ed insuscettibile di essere subordinato a qualsiasi compito
demandato in primo luogo dallo stato. La tutela del paesaggio è tale da comprendere la tutela ecologica e la
conservazione dell’ambiente, poiché il paesaggio ha un rapporto di stretta connessione con la protezione
della natura.
Il trattato di Maastricht del 1993 ha fatto dell’ambiente un settore ufficiale della politica europea,
introducendo la procedura di codecisione e stabilendo come regola generale il voto a maggioranza,
qualificata in seno al consiglio.

Il trattato di Amsterdam del 1999 ha stabilito l’obbligo di integrare la tutela ambientale in tutte le politiche
settoriali dell’UE al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile.

Il trattato di Lisbona del 2009 afferma che è divenuto obiettivo primario il combattere i cambiamenti climatici
e perseguire lo sviluppo sostenibile nelle relazioni con i paesi terzi.

Sotto un profilo organizzativo occorre ricordare come già nella costituzione si stabilisce che la tutela
dell’ambiente spetta allo stato nell’esercizio della competenza legislativa esclusiva. Con l’art. 82 del d.P.R.
n.616 del 1977 sono state delegate alle regioni le funzioni amministrative esercitate dagli organi centrali e
periferici dello stato per la protezione delle bellezze naturali per quanto attiene alla loro individuazione, alla
loro tutela e alle relative sanzioni. Con la legge statale furono introdotte norme minimali di tutela, compatibili
con normative regionali di maggiore o pari efficienza a tutela dell’ambiente, anche se adottate nell’esercizio
della competenza legislativa concorrente attribuita in materia urbanistica. Con la legge del 3 luglio 1986
n.349 che fa dell’ambiente un bene immateriale unitario sebbene a varie componenti oggetto di cura e di
tutela, ma tutte sono riconducibili ad unità. L’ambiente si configura come valore costituzionalmente protetto
e costituisce una sorta di materia trasversale, in ordine del quale si manifestano competenza diverse,
spettando allo stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme
sull’intero territorio nazionale. Nasce cosi il ministero dell’ambiente della tutela del territorio e del mare, che
accorpa tutte le funzioni in materia di ambiente.

Le forme di tutela rilevanti per l’ambiente:


La tutela del diritto pubblico pone il singolo in posizione di soggezione rispetto alla PA, la quale è titolare del
potere di promuovere, di organizzare e di sviluppare le varie forme di tutela ambientale. Il concetto di
proprietà fondiaria attenua il concetto di proprietà privata inteso in senso ampio dal momento in cui la sua
regolamentazione negli articoli citati instaura una serie di vincoli in ragione delle esigenze di igiene e sanità
della proprietà edilizia e rurale. Nel campo del diritto pubblico la tutela si presenta ad origine in forma
indiretta. L’ordinamento non ha inquadrato il concetto di ambiente o di beni ambientali in quanto solo
successivamente si è data attenzione a singoli beni attraverso una legislazione speciale di tutela. Il D.lg. n.42
del 2004, contenente il codice dei beni culturali e del paesaggio, fornisce gli strumenti per difendere
ambiente e beni culturali e pone dei limiti all’alienazione dei beni demaniali di particolare pregio. La direttiva
definisce come danno ambientale sia quello alla specie e gli habitat naturali protetti, vale a dire qualsiasi
danno che produca significativi effetti negativi sul raggiungimento o il mantenimento di uno stato di
conservazione favorevole di tali specie e habitat, sia quello alle acque, vale a dire qualsiasi danno che incida
in modo significativamente negativo sullo stato ecologico, chimico e quantitativo e sul potenziale ecologico
delle acque interessate, sia quello al terreno, vale a dire qualsiasi contaminazione del terreno che crei un
rischio significativo di effetti negativi sulla salute umana dell’introduzione diretta o indiretta nel suolo, sul
suolo o nel sottosuolo di sostanze, organismi o microrganismi nel suolo. Secondo il codice dei beni culturali
e del paesaggio i danneggianti sono obbligati primariamente all’adozione di alcune misure di riparazione, in
caso di omissione o incompletezza o difformità dai termini e modalità prescritti, è il ministro dell’ambiente e
della tutela del territorio e del mare a determinare i costi delle attività necessarie a conseguirne la completa
e corretta attuazione. Il nuovo titolo della legge n. 68 del 2015 punisce:
• Per l’inquinamento ambientale chi provoca una compromissione o un deterioramento significativi e
misurabili.
• Per il disastro ambientale chi provoca l’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema,
l’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e
conseguibile solo con provvedimenti eccezionali, l’offesa alla pubblica incolumità in ragione della
rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi.
• Per inadempimento del controllo, chiunque negando l’accesso predisponendo ostacoli o mutando
artificiosamente lo stato dei luoghi, impedisce, intralcia o elude l’attività di vigilanza e controllo
ambientali.
• Per traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività.

Gli strumenti di tutela volontaria dell’ambiente: Ecolabel e Ecoaudit


Entrambi sono diretti a sviluppare la crescita dell’ambiente da parte di tutti i cittadini; inoltre sono costruiti
in modo da stimolare la crescita e lo sviluppo delle imprese, permettendo l’aumento della produttività delle
risorse. La valorizzazione della qualità in relazione ad esigenze di tutela ambientale valorizza l’impresa sul
mercato ed esprime la risposta del produttore alla accresciuta coscienza ecologica dei consumatori.
L’Ecolabel nello specifico è un marchio europeo che è usato per certificare il ridotto impatto ambientale dei
prodotti o dei servizi offerti dalle aziende che ne hanno ottenuto l’utilizzo. Il rispetto dell’ambiente viene
certificato attraverso una serie di criteri proposti dal Comitato dell’UE per il marchio di qualità ecologica,
costituito dagli Organismi nazionali competenti, da associazioni dei consumatori e dell’industria. L’Organismo
nazionale competente assegna l’Ecolabel dei fabbricanti o importatori che fanno richiesta quando questi
provino che i prodotti o i servizi in relazione ai quali è presentata la richiesta rispettano i criteri ecologici e
prestazionali. L’impegno ad una migliore prassi di gestione delle problematiche ambientali è invece
certificato dal marchio EMAS, la cui terza versione è stata pubblicata il 22 dicembre 2009 con il regolamento
UE. Il marchio EMAS viene rilasciato in caso di adesione al programma di Ecoaudit e può essere richiesto ed
ottenuto da siti produttivi industriali, ma anche da imprese di servizi, alberghi, supermercati, ospedali, servizi
pubblici, PPAA…. Le verifiche sulla compatibilità ambientale devono essere effettuate da parte di un
Verificatore ambientale accreditato. Con l’adesione ad EMAS è possibile realizzare una riorganizzazione e
razionalizzazione dell’attività interna e la riduzione delle probabilità di eventi che possono arrecare danno
all’ambiente mediante un fattivo miglioramento delle prestazioni ambientali in relazione al territorio ed in
un contesto di collaborazione tra pubblico e privato.

Le foreste e i parchi:
La normativa dettata a tutela delle foreste non considerava il bosco come bene ambientale tutelato. Nel 1985
con la legge n.431 fu riconosciuto come bene tutelato. In entrambi i settori, parchi e foreste resta un
complesso intrecci di competenze statali e regionali. La corte cost. ha affermato che la tutela del paesaggio
e delle bellezze naturali sia affidata ad un sistema caratterizzato dall’intervento pubblico realizzato mediante
un concorso di competenze statali e regionali, improntate alla logica di leale cooperazione e collaborazione.
Di fronte alla mancanza di un esplicito di riferimento alla categoria dei parchi e delle foreste. Mentre in capo
allo stato restavano le competenze e gli interventi di tutela della natura con facoltà per le ragioni di
intervenire dettando una disciplina non in contrasto con quella statale. Furono quindi emanate leggi regionali
intese ad individuare i parchi naturali nel rispetto di esigenza di collegamento con la pianificazione
territoriale. Soltanto con la legge quadro sulle aree protette l’obiettivo della tutela divenne più ampio, ma
puntando anche all’organizzazione di metodi di gestione e di restauro ambientale. La legislazione prevede
l’istituzione di un ente pubblico dotato di personalità giuridica sottoposto alla vigilanza del Ministero
dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare. Il piano pluriennale economico e sociale è comunque
subordinato al rispetto dei vincoli contenuti nel piano del parco e nel regolamento. Il primo è strumento
polifunzionale, in quanto deve contenere disposizioni relative all’organizzazione del territorio del parco,
all’apposizione dei vincoli e di destinazione di determinate aree.

L’inquinamento:
L’intervento pubblico in materia ambientale è rivolto ad assicurare la diminuzione dei fattori inquinanti che
provocano danni all’ambiente e che si sono progressivamente aggravati in considerazione delle emissioni
provenienti da fonti domestiche, trasporti e consumo di energie.

Inquinamento atmosferico:
È definito inquinamento l’immissione in atmosfera di fumi, polveri, gas, odori di qualsiasi tipo atti ad alterare
le normali condizioni di salubrità dell’aria e di costituire pertanto pregiudizio diretto o indiretto alla salute
dei cittadini e danno ai beni pubblici privati. Oggi in materia di controllo dell’inquinamento atmosferico
vigono le disposizioni del d.lgs. n.155 del 2010 che indicano l’elenco degli inquinanti, per i quali è obbligatorio
il monitoraggio e stabilisce le modalità della trasmissione e i contenuti delle informazioni sullo stato della
qualità dell’aria da inviare al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare. Pertanto, le
misure finalizzate alla tutela dell’ambiente atmosferico possono essere adottate in via ordinaria nell’ambito
della pianificazione regionale in via eccezionale ed urgente.

L’inquinamento da campi elettromagnetici:


L’elettrosmog è l’inquinamento dovuto ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici prodotti dalle
apparecchiature e dagli impianti elettrici a causa dell’emissione di radiazioni cosiddette non-ionizzanti da
parte dei beni quali antenne, radar, ripetitori, elettrodotti, computer, elettrodomestici, macchine industriali
e apparecchi di uso individuale come cellulari, … La legge si applica a tutti gli impianti, sistemi e le
apparecchiature per usi civili. La legge si applica a tutti gli impianti, sistemi e le apparecchiature per usi civili,
nonché gli elettrodotti, quelli per la telefonia mobile e apparecchiature per usi militari e delle forze di polizia
che possono comportare l’esposizione dei lavoratori, delle lavoratrici e della popolazione a campi elettrici,
magnetici ed elettromagnetici con frequenze comprese tra 0 Hz e 300 GHz.

Inquinamento acustico:
Si intende l’introduzione di rumore nell’ambiente abitativo o nell’ambiente esterno tale da provocare fastidio
e disturbo al riposo ed alle attività umane, deterioramento degli ecosistemi, dei beni materiali, dei
monumenti, all’ambiente abitativo o dell’ambiente esterno o tale da interferire con le legittime fruizioni degli
ambienti stessi.

Inquinamento delle acque e del suolo:


Per la prima volta si è affrontata una generale ed uniforme normativa delle acque, mediante l’imposizione di
una disciplina degli scarichi di qualsiasi tipo, in tutte le acque superficiali o sotterranee, nonché in fognatura,
sul suolo e nel sottosuolo, l’individuazione di criteri generali per l’utilizzazione e lo scarico delle acque
provenienti da insediamenti, la determinazione dell’organizzazione dei pubblici servizi di acquedotto,
fognatura o depurazione, la redazione di un piano generale di risanamento delle acque, nonché il rilevamento
sistematico delle caratteristiche qualitative e quantitative dei corpi idrici.

Lo smaltimento dei rifiuti:


Per una definizione del termine rifiuto, si deve aspettare il d.lgs. n.27 del 1997, nel cui art.6 si parla di qualsiasi
sostanza ad oggetto che rientra nelle categorie riportate nell’allegato A di cui il detentore si disfi o abbia
deciso o abbia obbligo di disfarsi. Inteso come qualsiasi comportamento avverso il quale in modo diretto o
indiretto una sostanza o un bene sono avviati o sottoposti ad attività di smaltimento o di recupero. Abbia
deciso di disfarsi, esprimere la volontà di destinare operazioni di smaltimento e di recupero. A seguito delle
modifiche operate dal d.lgs. n.205 del 2010, il codice prevede alcuni criteri di priorità nella gestione dei rifiuti
che sono, quello di prevenzione, preparazione per il riutilizzo, recupero di altro tipo, per esempio il recupero
di energia e smaltimento
Capitolo Terzo

I servizi pubblici

Il servizio pubblico è la complessa relazione che si instaura tra soggetto pubblico, che organizza una offerta
pubblica di prestazioni, rendendola doverosa ed utenti.
Tale relazione ha dunque ad oggetto le prestazioni di cui l’amministrazione, predefinendone i caratteri
attraverso la individuazione del programma di servizio, garantisce, direttamente o indirettamente,
l’erogazione, al fine di soddisfare in modo continuativo i bisogni della collettività di riferimento, in capo al
quale sorge di conseguenza una aspettativa giuridicamente rilevante.

Il servizio è dunque “pubblico” in quanto reso al pubblico e per la soddisfazione dei bisogni della collettività,
nonché in ragione del fatto che un soggetto pubblico lo assume come doveroso. Non è invece servizio
pubblico quello reso alla p.a., ovvero l’attività alla quale non corrisponda una specifica pretesa degli utenti
(è il caso della gestione dell’opera pubblica).

Il servizio pubblico è assunto dal soggetto pubblico con legge o con atto generale, rendendo doverosa la
conseguente attività. Questo momento non può che essere riservato all’autorità pubblica perché consegue
ad una valutazione dei bisogni riservata al soggetto pubblico. Ai sensi dell’art. 42 T.U.E.L., l’assunzione dei
pubblici servizi locali è di competenza del consiglio dell’ente locale; in ordine al servizio d’istruzione
scolastica, l’assunzione dello stesso trova il proprio fondamento nella cost. e nella legge ordinaria, mentre la
programmazione avviene anche mediante la definizione dei programmi scolastici.
Nel servizio pubblico sono dunque presenti anche momenti provvedimentali, sicché non è corretto ritenere
che esso consista semplicemente in un’attività materiale: nella predefinizione e attuazione del rapporto tra
utente ed ente vengono cioè in evidenza atti e fatti di varia natura: legislativi, amministrativi autoritativi,
operazioni materiali e pure contratti di diritto comune. (contratti di utenza).

Alla fase dell’assunzione del servizio segue quella della sua erogazione, e cioè, la concreta attività volta a
fornire prestazioni ai cittadini. In proposito l’ordinamento prevede forme tipizzate di gestione, contemplando
spesso anche l’intervento di soggetti privati. Tale intervento non elimina il carattere pubblico del servizio,
che è tale in quanto oggetto di un atto di assunzione da parte di un soggetto pubblico (lo stato mediante
legge o altro ente pubblico), anche se, in ipotesi, l’unica forma di gestione prevista fosse l’affidamento ad un
privato: d’altro canto il privato che eroga il servizio deve rispettare gli stessi limiti e gli stessi criteri predefiniti
in sede di assunzione del servizio.

Di recente si è introdotto l’impiego del “contratto di servizio” quale strumento per disciplinare i rapporti tra
amministrazione e soggetto esercente: il d.lgs. 422/97 dispone, ad es. che l’esercizio dei servizi di trasporto
pubblico regionale e locale, con qualsiasi modalità effettuati e in qualunque forma affidati, è regolato
“mediante contratti di servizio di durata non superiore a nove anni”; essi trovano applicazione pure nel
settore dei servizi pubblici locali di rilevanza economica.

Si è visto che le forme di gestione del servizio pubblico sono tipizzate dal legislatore: in alcuni casi
l’amministrazione si avvale della propria organizzazione, in altre si rivolge all’esterno.

Per quanto riguarda i servizi pubblici locali che rientrano nella titolarità di comuni e province, aventi per
oggetto la produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico
e civile delle comunità locali, gli art. 112 e ss. T.U.E.L., distinguono nettamente tra i servizi a rilevanza
economica e servizi privi di tale rilevanza (non è affatto semplice individuare un criterio distintivo). Tra i primi
saranno probabilmente da annoverare i servizi dell’energia elettrica, del trasporto, della raccolta rifiuti e del
ciclo delle acque.
L’erogazione del servizio avviene secondo la disciplina di settore e nel rispetto della normativa dell’Unione
europea, con “conferimento della titolarità del servizio”:

a) a società di capitali individuate attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica;

b) a società a capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato venga scelto attraverso
l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica;

c) a società a capitale interamente pubblico a condizione che l’ente o gli enti pubblici titolari del capitale
sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società
realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano.

Accanto all’affidamento mediante gara a società di capitali, la legge prevede l’affidamento a società
pubbliche, secondo il modello del in house providing, compatibile con il diritto comunitario, e secondo lo
schema della società mista ove l’assenza di concorrenza quanto alla scelta del gestore viene compensata con
la gara per la scelta del socio privato.
In vista della piena realizzazione del principio di concorrenza per il mercato, la legge, che fa comunque salve
le disposizioni previste per i singoli settori e quelle nazionali di attuazione delle direttive comunitarie,
prevede il principio generale della separazione tra proprietà della rete, gestione della stessa e erogazione del
servizio, garantendo in ogni caso l’accesso alla rete dei soggetti legittimati all’erogazione del servizio. La corte
cost. con sent. N. 272/04, inquadrando la disciplina statale in tema di servizi pubblici locali nell’ambito della
materia “tutela della concorrenza”, ha “salvato” le norme del T.U. che garantiscono la concorrenza in ordine
ai rapporti relativi al regime delle gare o delle modalità di gestione e conferimento dei servizi.

La Corte ha però censurato la legge per illegittima compressione dell’autonomia regionale, nella parte in cui
stabilisce, dettagliatamente e con tecnica auto applicativa, i vari criteri di base ai quali la gara viene
aggiudicata, introducendo prescrizioni “integrative della disciplina di settore”.

Per quanto invece attiene ai servizi pubblici privi di rilevanza economica, la sent. citata, sottolineando che in
questo ambito l’intervento della legge statale non può essere riferito ad esigenze di tutela della libertà di
concorrenza, ha individuato una ulteriore illegittima compressione dell’autonomia regionale e locale,
dichiarando incostituzionale l’intera normativa di cui all’art. 113 – bis del T.U.E.L. (che accanto ad affidamenti
diretti, contemplava la gestione in economia).

In sostanza, in questi ambiti, la disciplina è oggi rimessa alle fonti regionali e locali, anche se non pare
radicalmente escluso uno spazio di intervento del legislatore statale fondato sull’art. 117, 2 co. Lett. m) in
materia di “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni”. Una delle conseguenze di questo nuovo
quadro sarà quello della differenziazione e ampliamento delle forme di gestione, potendosi immaginare il
ricorso a consorzi, concessioni, fondazioni ecc.

Gli affidamenti diretti per i servizi privi di rilevanza economica, in passato (cioè prima della sent. n. 272/04)
potevano avvenire a favore dei seguenti soggetti:

- istituzione, organismo strumentale dell’ente locale per l’esercizio di servizi sociali, dotato di autonomia
gestionale;
- aziende speciali, ente pubblico strumentale dotato di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e
di proprio statuto.
- Società a capitale interamente pubblico.
Molteplici sono le classificazioni che possono essere operate dei servizi pubblici.

La Cost. parla di servizi pubblici essenziali: l’art. 43 Cost. si occupa della riserva operata con legge allo Stato,
ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti di determinate attività ed individua, quale oggetto della
riserva stessa, le imprese che si riferiscono a servizi pubblici essenziali.

Con riferimento agli enti locali la legge si riferisce ai servizi indispensabili e a quelli ritenuti necessari per lo
sviluppo della comunità (art. 149 T.U.E.L.). essi sono finanziati dalle entrate fiscali, le quali integrano
comunque la contribuzione erariale per l’erogazione dei servizi indispensabili. Allorché lo Stato e le regioni
prevedano per legge casi di gratuità nei servizi di competenza dei comuni e delle province, ovvero fissino
prezzi e tariffe inferiori al costo effettivo della prestazione, essi debbono garantire agli enti locali il costo
effettivo della prestazione, essi debbono garantire agli enti locali risorse finanziarie compensative.

I servizi sociali sono caratterizzati dai seguenti: finalizzazione alla tutela e alla promozione del benessere della
persona, doverosità della predisposizione degli apparati pubblici necessari per la loro gestione e assenza del
divieto per i privati di svolgere siffatta attività.

La l. 328/00, legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, pone ora
una disciplina completa della materia, considerando unitariamente i differenti servizi oggetto delle discipline
settoriali e precisando che per “interventi e servizi sociali “si intendono tutte le attività previste dall’art. 128
del d.lgs. 112/98.
Nella normativa più recente è comparsa la definizione di servizio universale, “insieme minimo definito di
servizi di qualità determinata, accessibili a tutti gli utenti a prescindere dalla loro ubicazione geografica, e a
un prezzo accessibile.

Sulla scorta dell’influenza esercitata dal diritto comunitario si è avviato nel nostro paese il processo di
liberalizzazione di alcuni mercati. Il fenomeno ha alcune connessioni con la tematica dei servizi pubblici, nel
senso che le attività liberalizzate in passato erano gestite in situazioni di monopolio da concessionari di
pubblico servizio, laddove la liberalizzazione comporta l’apertura alla concorrenza. Nel caso di servizi a rete
il completamento della liberalizzazione impone l’uso comune della infrastruttura, separando gestione della
rete da gestione del servizio.

Il tema della liberalizzazione si intreccia infine con la problematica della privatizzazione: la l. 474/94 stabilisce
che le dismissioni delle partecipazioni azionarie dello stato e degli enti pubblici nelle società in mano pubblica
operanti nel settore della difesa, trasporti, telecomunicazioni ecc. sono subordinate alla creazione di
organismi indipendenti per la regolarizzazione delle tariffe e il controllo della qualità dei servizi di rilevante
interesse pubblico.

La dottrina è impegnata nella individuazione dei principi giuridici applicabili ai settori dei servizi pubblici:
accanto a quelli della continuità, tipicità dei modelli di gestione e di eguaglianza sono stati indicati quello di
economicità e della qualità.

Quanto al principio di economicità si è notato che l’art. 114 tuel afferma che anche i servizi sociali debbono
essere erogati rispettando il criterio dell’economicità, principio che per i servizi organizzati in forma di
impresa deriva direttamente dall’art. 43 cost.
In ordine ai principi di qualità, tutela e partecipazione, occorre ricordare che il decreto 286/1999 che ha
introdotto il sistema dei controlli interni, impone l’erogazione di servizi pubblici secondo modalità che
promuovano il miglioramento della qualità e assicurino la tutela dei cittadini e degli utenti e la loro
partecipazione nelle forme, anche associative riconosciute dalla legge alle inerenti procedure di valutazione
e definizione degli standard qualitativi.
In conclusione, si ricorda che l’art. 35del d.lgs. 80/98, così come modificato dall’art. 7 della l. 205/00, (alla
luce della sent. Corte cost. n. 204/04) che devolve alla giurisdizione esclusiva del G. a. “ le controversie in
materia di pubblici servizi , escluse quelle concernenti indennità, canoni e altri corrispettivi , ovvero relative
a provvedimenti adottati dalla p.a. o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo
disciplinato dalla l. 241/90, ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e
controllo nei confronti del gestore , nonché afferenti alla vigilanza sul credito, assicurazione e del mercato
mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di cui alla l. 481/85”.

Tale nozione di pubblico servizio ricomprende anche attività (vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e
mercato mobiliare) che non rientrano in quella sopra fornita.

Rispetto alla formulazione originaria della norma, l’intervento della corte cost. ha determinato un notevole
ridimensionamento dell’ambito della sua applicazione.

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