Diritto Lavoro
DIRITTO DEL LAVORO- complesso di norme che disciplinano il rapporto di lavoro e che
tutelano oltre che l’interesse economico, anche la libertà, la dignità e la personalità del lavoratore.
Obiettivi:
da un lato, TUTELA DEL LAVORATORE (di chi vive del proprio lavoro), attenuando gli
effetti della subordinazione
dall’altro, REALIZZAZIONE DI UN EQUILIBRATO CONTEMPERAMENTO con le
esigenze di produttività ed efficienza dell’impresa.
FONTI COMUNITARIE su scala europea che ricomprendono sia i Trattati istitutivi della Unione
Europea (Trattato di Maastricht del 1992, e Trattato di Amsterdam del 1997), sia gli accordi della
Comunità con gli Stati terzi (diritto comunitario originario), sia gli atti che promanano dalle
istituzioni comunitarie (diritto comunitario derivato, e cioè direttive, regolamenti e decisioni)
ART. 42. La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati. La proprietà
privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di
assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla
legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale. La legge stabilisce le norme ed i limiti della
successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità.
ART. 43. A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo
indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese,
che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di
preminente interesse generale.
ART. 44. Alfine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, la legge impone
obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, fissa limiti alla sua estensione secondo le regioni e le zone agrarie,
promuove ed impone la bonifica delle terre, la trasformazione del latifondo e la ricostituzione delle unità produttive;
aiuta la piccola e la media proprietà. La legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane.
ART. 45. La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di
speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l’incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli
opportuni controlli, il carattere e le finalità.
ART. 46. Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la
Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle
aziende.
ART. 47. La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio
del credito.
CODICE CIVILE del 1942 Riconobbe, per la prima volta, in termini generali la nozione di
lavoratore subordinato (art. 2094 cc) che costituisce la porta d’ingresso del diritto del lavoro.
LA LEGISLAZIONE ORDINARIA, comprendente le leggi e gli altri atti aventi forza di legge,
nonché i regolamenti di attuazione e di esecuzione dei suddetti atti.
LE FONTI REGIONALI.
Con la modifica integrale del titolo V della parte seconda della Costituzione, ad opera della legge
costituzionale 3 del 2001, si è provveduto ad una nuova suddivisione della potestà legislativa tra
Stato e Regioni (art. 117, Cost.).
Con specifico riferimento alle competenze in materia di lavoro e previdenza sociale, attengono:
alla competenza esclusiva dello Stato, la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali la previdenza sociale e l’ordinamento civile.
alla competenza concorrente delle Regioni, la tutela e la sicurezza del lavoro, la tutela della
salute e la previdenza complementare ed integrativa.
alla competenza esclusiva delle Regioni, le materie non riservate alla legge statale e alla
legislazione regionale concorrente, compreso il potere di dare attuazione ed esecuzione agli
atti dell’Unione Europea.
USI E EQUITÀ.
Secondo una regola generale, le fonti del diritto comprendono anche gli usi e l’equità SOLO IN
ASSENZA di disposizioni di legge o contrattuali (collettive).
USI (art. 2078 c.c.), sono determinati dalla ripetizione, costante e protratta nel tempo, di
determinati comportamenti del datore di lavoro nei confronti di una generalità di destinatari.
EQUITÀ, criterio interpretativo e metodo di giudizio della giustizia del caso concreto, al quale il
giudice può far ricorso quando non sia possibile determinare l’oggetto dei diritti del lavoratore.
Nota Bene. Contrattazione collettiva e usi e equità, possono anche essere definiti FONTI
SOCIALI.
LA GIURISPRUDENZA.
La giurisprudenza è essenziale, essendo chiamata a decidere casi concreti, e a volte, ha precorso
l’intervento del legislatore che, poi, ha provveduto ispirandosi ad essa.
La giurisprudenza consolidata da una serie continua di sentenze uniformi e nella sua funzione
nomofilattica (garanzia di osservanza alla legge) PARTECIPA ALLA FORMAZIONE DEL
DIRITTO, appunto come DIRITTO VIVENTE.
IL DIRITTO SINDACALE
Il diritto sindacale è quel complesso di norme e istituti che regolano l'organizzazione e l'azione dei
sindacati a difesa degli interessi dei lavoratori. Nasce dall'esigenza di tutelare la parte debole nel
rapporto contrattuale di lavoro, ossia il lavoratore.
Antecedente storico sono le corporazioni, dove per la prima volta i lavoratori cominciano a darsi
un'organizzazione (corporazione è un insieme di persone che svolgono la stessa arte o mestiere, ma
con un ordine gerarchico che si tramandava da padre in figlio ed in maniera molto rigida, non
consentendo neanche il passaggio da un mestiere all'altro).
I primi veri movimenti di lotta sindacale cominciano con Marx che, con il suo Manifesto del Partito
Comunista e la Teoria del Plusvalore, fa acquistare ai lavoratori quella coscienza di classe, che li
farà riconoscere gruppo rispetto al datore di lavoro.
Il luddismo, dal nome dell'operaio inglese a cui se ne deve la nascita che, a seguito dell'ennesimo
infortunio accorso ad un collega, reagisce distruggendo quelli che sono i simboli del capitale, ossia
le macchine, anche se l'intervento della polizia simboleggerà la repressione da parte dello Stato.
Le prime vere forme di associazionismo sindacale saranno le Trade Union, una sorta di tutela
mutualistica, consistente nel mettere tutti insieme una somma da parte per far fronte ad eventuali
infortuni o malattie, o addirittura morte del lavoratore; è proprio quel vincolo di solidarietà che
porterà alle prime forme di sciopero.
In Italia, si alterna una prima visione repressiva di Crispi, ad una visione più moderata di Giolitti
che, nel Codice Zanardelli, modifica la visione dello sciopero in diritto di non lavoro (se lo sciopero
non è violento, la polizia non può intervenire).
Interviene anche il Papa Leone XIII, annullando il non expedit del 1870 (che vietava ai cattolici di
prendere parte alla vita politica), che auspicava una composizione del conflitto tra lavoratori e
datori di lavoro, partendo dal pagamento della giusta retribuzione.
Verrà, poi, il tempo dell'Ordine Nuovo di Gramsci e Togliatti e dell'aumento degli scioperi, a cui i
datori di lavoro rispondono anche con le serrate, raggiungendo livelli altissimi di scontro sociale,
fino al Regime fascista che opera una vasta repressione mediante la forza (con i c.d. fasci) e
facendosi portatore del corporativismo, reprimendo i liberi sindacati e favorendo la nascita di un
unico sindacato, quello fascista.
associazioni non riconosciute, laddove i loro atti vincolano solo gli iscritti alle categorie a cui si
riferisce il contratto. L'organizzazione dei sindacati può essere:
di tipo orizzontale, su base professionale, ossia tutti coloro che svolgono lo stesso mestiere;
di tipo verticale, su base dell'impresa, ossia tutti coloro che lavorano in imprese dello stesso
settore.
Il sindacato è un'associazione aperta, per la cui iscrizione necessitano solo il requisito dell'età e
l'appartenenza alla categoria professionale rappresentata. Una volta avvenuta l'iscrizione, il soggetto
diventa titolare di situazioni giuridiche attive e passive, sia nei rapporti interni che nei rapporti
esterni:
attive (rapporti interni) elettorato attivo e passivo + possibilità di aderire alle iniziative del
sindacato, (rapporti esterni) diritto di tutela da parte del sindacato;
passive (rapporti interni) obbligo di pagare il contributo, (rapporti esterni) rispettare le regole
previste dal contratto sottoscritto dal sindacato.
Le 3 massime confederazioni sindacali, dalla parte dei lavoratori, sono CGIL, CISL e UIL, mentre
dalla parte degli imprenditori ci sono Confcommercio, Confagricoltura, Coldiretti.
Per concertazione sociale si intende lo scambio politico tra Governo e parti sociali (sindacati e
aziende), al fine della determinazione degli obiettivi economico-sociali e la loro concreta
realizzazione, con le relative quote di assunzione di responsabilità e autorità. La rottura della
concertazione avviene nel 1980. (nel settore pubblico l'attività sindacale è regolata dal d.lgs. 165
del 2001).
R.S.U. E R.S.A.
Le RSU sono elette da tutti i lavoratori (anche non iscritti, a prescindere dalla tessera sindacale) e
hanno la rappresentanza generale dei lavoratori e partecipano alla contrattazione collettiva.
Le RSA sono elette solo dagli iscritti, tutela solo gli iscritti a quel sindacato e non partecipa alla
contrattazione sindacale
IL CONTRATTO COLLETTIVO
E’ lo strumento (insieme allo sciopero) di cui si avvale il sindacato per raggiungere i propri
obiettivi.
La contrattazione collettiva è la massima espressione di autonomia sindacale ed è il compito
principale dei sindacati. I contratti collettivi sono contratti, sottoscritti dalle organizzazioni
sindacali dei lavoratori e dalle corrispondenti associazioni degli imprenditori, con i quali essi
fissano le regole che sono tenuti a rispettare.
Il contratto si divide in una parte economica, che dura 2 anni, e riguarda gli aspetti retributivi, e
una parte normativa, che dura 4 anni, e riguarda la disciplina dei diritti dei lavoratori; contenuto
normativo che si divide in: contenuto normativo, il complesso di clausole, tipo orario, ferie, etc., e
un contenuto obbligatorio, che riguarda le c.d. clausole di tregua sindacale, che vincolano le
associazioni a determinati comportamenti.
Ricordiamo l’inderogabilità in pejus del contratto di lavoro individuale (del singolo rapporto di
lavoro) che non può disporre trattamenti economici e normativi peggiori rispetto a quelli previsti dal
contratto collettivo, pena il risarcimento del danno, nonché l’automatica sostituzione delle clausole
peggiori con quelle più favorevoli (è possibile solo la derogabilità in meius).
Circa l’efficacia soggettiva del contratto collettivo, ai soli iscritti alle associazioni che hanno
firmato il contratto, la normativa prevede l’estensione dell’efficacia soggettiva anche ai non
iscritti, per una funzione di regolazione del mercato del lavoro.
Il contratto collettivo è anche gestionale, nel senso che può stabilire qualifiche, licenziare, ridurre
orari di lavoro, soprattutto in casi di gestione di crisi o disporre sacrifici per tutti.
Il contratto collettivo è uno strumento flessibile, tant’è che stabilisce un’integrazione razionale
con le disposizioni di legge, che può essere di vario tipo:
la norma detta la regola che può essere derogata dal contratto collettivo;
la norma fissa una regola di massima e il contratto collettivo la integra;
la norma pone una regola suppletiva, e il contratto deve applicarla;
la norma affida al contratto l’intera regolamentazione, affidando anche ad un organo il controllo
circa il rispetto dei vincoli e l’eventuale potere di sostituzione.
Esistono 2 tipi di contratto:
unilateralmente sindacale, del singolo datore di lavoro vs/ le associazioni sindacali, e sono i
contratti aziendali;
bilateralmente sindacale, dell’associazioni dei datori di lavoro vs/ le associazioni dei
lavoratori, e sono i contratti nazionali di categoria.
Esistono anche 3 livelli di contrattazione collettiva:
1) livello interconfederale, tra confederazioni sindacali e associazioni delle imprese, e danno vita
ai protocolli d’intesa;
2) livello nazionale di categoria, categorie nazionali e associazioni di imprenditori, e sono i
contratti collettivi nazionali;
3) livello aziendale, tra lavoratori e datore di lavoro, ed è il contratto aziendale.
Le fasi di stipula del contratto sono:
1) preparazione ed elaborazione della proposta;
2) negoziazione e mediazione;
3) accordo.
Tra un contratto e l'altro si crea il c.d. vuoto normativo, che sarà colmato:
ultrattività del precedente contratto, per cui il precedente contratto continua a produrre i suoi
effetti, fino alla stipula del nuovo contratto;
indennità di vacanza contrattuale, al fine di scoraggiare eventuali comportamenti dilatori e
ritardi;
retroattività del nuovo contratto, con possibilità di modifica in peius.
LO SCIOPERO
Fino al 1889 lo sciopero è stato considerato un reato. Il regime fascista attua, poi, nuovamente una
repressione degli scioperi, fino alla nostra Costituzione che, nell'art. 40, dispone il diritto di
sciopero, che non è punibile con sanzione, ma solo con la mancata retribuzione.
Lo sciopero può essere:
sindacale, se attuato attraverso il sindacato;
spontaneo, se attuato dai lavoratori, senza l'intervento dei sindacati;
può essere effettuato solo dai lavoratori subordinati;
può essere solo in forma collettiva (non è auspicabile lo sciopero del singolo lavoratore).
Tra le forme di sciopero legittime abbiamo:
lo sciopero politico, quello attuato non per ragioni di carattere economico-professionale, a patto
che non siano diretti a sovvertire l'ordinamento costituzionale;
lo sciopero in bianco, con il rallentamento del lavoro e la riduzione del rendimento da parte del
lavoratore, pur essendo presenti sul luogo di lavoro;
lo sciopero di solidarietà, attuato per sostenere le rivendicazioni sindacali di altre categorie.
lo sciopero a scacchiera e a singhiozzo, attuato solo in singoli reparti o per brevi periodi di
tempo, ma ripetutamente.
Tutti questi scioperi sono leciti, fino a quando, oltre a pregiudicare la produzione vanno a
pregiudicare anche la produttività.
Infatti, danni alla produttività dell'impresa possono derivare da alcuni tipi di sciopero, quali:
sciopero a scacchiera e a singhiozzo;
sciopero dello straordinario;
sciopero a sorpresa, quello attuato senza preavviso;
sciopero parziale, ossia attuato solo in alcuni settori della fase produttiva, per cui diventa
difficile riprendere velocemente l'attività lavorativa.
Lo sciopero a scacchiera e quello parziale sono anche detti scioperi articolati, perché mirano a
comportare il maggior danno possibile con la minore perdita di retribuzione; trattasi, però, di
scioperi che richiedono una notevole compattezza fra i lavoratori e sono, comunque, ipotesi rare.
Alcune forme di protesta, invece, sono illegittime, quali:
PRECETTAZIONE
Ricorre quando, a causa dello sciopero, vi sia fondato pericolo di pregiudizio grave ed imminente
ai diritti della persona costituzionalmente garantiti. La procedura ha inizio su istanza della
Commissione di Garanzia, presentata al Presidente del Consiglio dei Ministri per gli scioperi di
rilevanza interregionale o nazionale o al Prefetto in tutti gli altri casi. Da costoro proviene l'invito a
desistere dal conflitto, attraverso un tentativo di conciliazione, e in caso di esito negativo, si
procederà alla precettazione, con ordinanza motivata, del numero di lavoratori necessario per
garantire le prestazioni indispensabili; in caso di inosservanza, ricorreranno sanzioni pecuniarie.
SERRATA
E' un mezzo di lotta del datore di lavoro che procede alla chiusura totale o parziale dell'impresa,
rifiutando di accettare la prestazione lavorativa e di pagare la retribuzione, al fine di impedire azioni
di protesta e indurre i lavoratori a recedere da determinati comportamenti.
Dalla lettera della norma codicistica (art. 2094 cc) due requisiti caratterizzano il lavoro subordinato
e che invece sono assenti nel lavoro autonomo: la eterodirezione e la dipendenza del prestatore
dal datore di lavoro.
Si ha, invece, un contratto d'opera, e quindi una prestazione di lavoro autonomo, quando ci si
obbliga a rendere in prima persona un'opera o un servizio "senza vincolo di subordinazione" (art.
2222 c.c.).
La retribuzione e la collaborazione, invece, risultano comuni a entrambe le tipologie di lavoro, e per
tale ragione non svolgono alcuna funzione distintiva.
Da tempo, si è orientati, a dare prevalenza più che a differenze formali a quelle sostanziali
(modalità attuative della prestazione lavorativa), perché è in questo ambito che permangono le
maggiori differenze tra lavoro autonomo e subordinato, con tutte le conseguenze del caso.
Ciò non significa che sia sempre agevole distinguere le due tipologie. A tal fine si è soliti ricorrere a
valutare tutta una serie di INDICI SUSSIDIARI, tipizzati sia dalla giurisprudenza sia dal
legislatore.
Indici tipizzati dalla giurisprudenza (individuati nel corso degli anni per evitare che dietro un
contratto autonomo o parasubordinato si nasconda l’intento fraudolento del datore di lavoro di
limitare i diritti retributivi e contributivi conseguenti alla subordinazione).
Tra i più significativi vanno senz’altro ricordati:
che l’attività lavorativa si svolga presso i locali aziendali;
costante presenza sul lavoro, specie se ad orario fisso e caratterizzata dall’obbligo di presenza;
concordare il periodo feriale;
utilizzare di strumenti di proprietà del datore di lavoro;
ricevere costantemente ordini e disposizioni;
mancanza, in capo al lavoratore, di una attività propria imprenditoriale e della relativa struttura,
sia pur minima.
Nomen iuris. Secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza, si ritiene che per stabilire la
natura del rapporto di lavoro sia di per sé irrilevante il nomen iuris (autonomo o subordinato)
ovvero la qualificazione formale attribuita al contratto dalle parti, ciò in ossequio al principio
generale in base al quale si deve privilegiare il comportamento (le modalità della prestazione e di
attuazione del rapporto), che esse hanno avuto durante lo svolgimento del rapporto rispetto alla
volontà che avevano manifestato al momento della stipulazione del contratto. In tali ipotesi, dunque, il
lavoratore ha diritto, nel corso o all’esito del rapporto di lavoro, di richiedere l’accertamento giudiziale
dell’effettiva natura del rapporto stesso.
LAVORO SUBORDINATO
Fonti legali: art. 2094 c.c. È prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante
retribuzione a prestare il proprio lavoro, manuale o intellettuale, nell'impresa alle dipendenze e
sotto la direzione dell'imprenditore.
Gli elementi della subordinazione:
Eterodirezione (cit. Barassi): l'assoggettamento del prestatore di lavoro al potere direttivo,
organizzativo e disciplinare del datore di lavoro: il lavoratore deve eseguire la mansione affidatagli
nei modi e nei tempi imposti dal datore di lavoro ovvero dai suoi collaboratori dai quali il lavoratore
dipende gerarchicamente (la cosiddetta «eterodeterminazione della prestazione»).
Dipendenza: L'elemento della dipendenza viene frequentemente considerato in giurisprudenza con
minore attenzione rispetto all'eterodirezione, assumendo quasi la consistenza di un sinonimo della
stessa ovvero di un termine funzionale a rafforzarne la consistenza. Al contrario, secondo una parte
della dottrina, la dipendenza si traduce in una condizione di “doppia alienità” del lavoratore che si
sostanzia nello svolgimento della prestazione lavorativa in un contesto organizzativo/produttivo
altrui (quello del datore di lavoro) ed in vista di un risultato di cui il titolare dell'organizzazione (e
dei mezzi di produzione) è immediatamente legittimato ad appropriarsi”.
Contratto a tempo indeterminato. Gli incentivi previsti dalla Legge di Stabilità 2015 e le
novità introdotte dal JOB ACTS con il decreto legislativo attuativo n. 23 del 2015 sono:
l’agevolazione fiscale durante i primi tre anni del rapporto di lavoro, per le assunzioni
effettuate tra il 1 gennaio e il 31 dicembre 2015;
la semplificazione nei casi di recesso, valevoli per i neoassunti a tempo indeterminato dopo il 7
marzo 2015 e per coloro che dal 7 marzo hanno trasformato il contratto di lavoro da tempo
determinato a tempo indeterminato [operai, impiegati e quadri].
La nuova disciplina troverà applicazione anche nei confronti dei lavoratori che, benché assunti a
tempo indeterminato prima dell’entrata in vigore del decreto, prestino la propria attività presso un
datore di lavoro che, dopo il 7 marzo 2015, attraverso successive assunzioni a tempo indeterminato,
superi i 15 dipendenti. In questo caso, il contratto a tutele crescenti sarà obbligatoriamente
applicabile a tutti i lavoratori presenti in azienda, indipendentemente dalla data di
assunzione.
JOB ACTS- una novità di primo piano è quella dell’eliminazione della causale, vale a dire la
motivazione che giustifica l’apposizione del termine: il datore di lavoro non deve più indicare le
<ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili
all’ordinaria attività del datore di lavoro> che lo hanno indotto ad utilizzare la forma contrattuale a
tempo determinato.
Si parla, quindi, di contratto a termine acausale.
Le medesime lavoratrici avranno diritto di precedenza anche nelle assunzioni a termine per le stesse
mansioni che avvengano nei dodici mesi successivi alla conclusione del loro contratto.
art. 19, comma 3, raggiunti i trentasei mesi cumulativi di tutti i periodi di lavoro a termine,
compresi eventuali periodi di lavoro svolti in somministrazione, il datore di lavoro ed il lavoratore
possono decidere di stipulare un ulteriore rapporto di lavoro a termine per una durata massima
di dodici mesi. Tale nuovo contratto di lavoro dovrà però essere sottoscritto in regime di "deroga
assistita" presso la Direzione territoriale competente. Se dopo la scadenza del termine originario o
validamente prorogato o dopo il periodo di durata massima complessiva di trentasei mesi, il lavoro
prosegue di fatto per un periodo “cuscinetto” di:
trenta giorni (se l’ultimo contratto ha durata inferiore a sei mesi)
cinquanta giorni (se l’ultimo contratto ha una durata maggiore a sei mesi)
il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione retributiva per ogni
giorno di continuazione del rapporto pari al 20 per cento fino al decimo giorno, al 40 per cento per
ciascun ulteriore giorno.
Se il rapporto oltrepassa anche questo breve periodo “cuscinetto” di trenta o cinquanta giorni, il
contratto si considera trasformato da determinato ad indeterminato a far data da tale
sconfinamento.
art. 21, commi 1 e 2, il contratto a termine di durata inferiore a trentasei mesi può essere prorogato,
previo consenso del lavoratore, per un massimo di cinque volte, purché la durata complessiva del
rapporto non superi il triennio.
La legge, quindi, ammette la stipulazione di successivi contratti a tempo determinato tra le stesse
parti ma, per non cadere nel regime sanzionatorio del contratto a termine, è necessario che
trascorra un lasso di tempo minimo tra un rapporto e l’altro pari a:
intervallo di 10 giorni, se la durata del precedente contratto sia inferiore ai sei mesi;
intervallo di 20 giorni, se la durata del precedente contratto sia superiore a sei mesi
Qualora il numero delle proroghe sia superiore, il contratto di trasforma in contratto a tempo
indeterminato dalla data di decorrenza della stessa proroga. Anche il mancato rispetto di queste
interruzioni temporali determina la conversione del contratto a tempo indeterminato.
art. 21, comma 2, secondo periodo, le limitazioni relative alla durata massima del contratto a
termine non si applicano:
nella fase di avvio di nuove attività;
per le start up innovative;
per la sostituzione di personale assente;
per le attività stagionali;
per spettacoli o programmi radiofonici;
nei confronti di lavoratori di età superiore a cinquanta anni.
nei confronti di lavoratori impiegati alla realizzazione di mostre, eventi di interesse culturale.
Tali limitazioni non si applicano nemmeno ai contratti di lavoro a tempo determinato stipulati tra
enti di ricerca e lavoratori chiamati a svolgere in via esclusiva attività di ricerca scientifica e
tecnologica, di assistenza tecnica e direzione della stessa.
art. 23, commi 1 e 2, il legislatore ha, inoltre, introdotto un limite quantitativo percentuale
nell’utilizzo dei contratti a termine, prevedendo espressamente che la percentuale dei lavoratori
assunti con tale tipologia contrattuale non può essere superiore al 20 per cento dei lavoratori a
tempo indeterminato (anche part-time), in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione
Per le ipotesi di violazione del limite percentuale, si stabilisce soltanto una sanzione
amministrativa e non la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo determinato a tempo
indeterminato a carico del datore di lavoro, nella misura pari:
al 20 per cento della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici
giorni di durata del rapporto di lavoro, qualora la violazione si riferisca ad un solo lavoratore
assunto in eccedenza;
al 50 per cento della retribuzione, qualora la violazione si riferisca a due o più lavoratori
assunti in eccedenza.
Per finanziare la Nuova Assicurazione sociale per l’impiego (NAspI) è prevista un’aliquota
contributiva aggiuntiva pari all’1,4 per cento che verrà restituita al datore di lavoro in caso di
trasformazione del contratto a tempo indeterminato.
art. 28, commi 1, e 2, l’impugnazione stragiudiziale con la quale si intenda far valere la nullità del
termine va presentata entro 120 giorni dalla cessazione del contratto, mentre il ricorso al Giudice
del lavoro va proposto entro i successivi 180 giorni.
Nell’ambito di questo particolare rapporto trilatero, gli obblighi sono così ripartiti alla luce del JOB
ACTS decreto legislativo n. 81/2015:
il somministratore (agenzia), in qualità di datore di lavoro, assume tutti gli obblighi
retributivi e contributivi ed esercita potere disciplinare nei confronti del dipendente
l’utilizzatore (impresa) assume tutti gli obblighi direttivi, di prevenzione e protezione nei
confronti del lavoratore
i dipendenti somministrati hanno il diritto <a parità di mansioni svolte, a condizioni
economiche e normative complessivamente non inferiori a quelle dei dipendenti di pari livello
dell’utilizzatore>
Somministrazione a tempo termine in base all’attuale disciplina, ricalca sostanzialmente le
condizioni del contratto a termine
L’inizio e la durata prevedibile della missione presso l’impresa devono essere comunicate per
iscritto al prestatore di lavoro da parte dell’agenzia somministratrice all’atto della stipulazione del
contratto di lavoro, ovvero all’atto dell’invio presso l’impresa utilizzatrice.
Lavoro intermittente (o lavoro a chiamata o job on call): rivisitato dal decreto legis n. 81/2015.
Trattasi di un contratto mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di
lavoro (iscrizione in una lista di mobilità), che può utilizzare la prestazione lavorativa in modo
discontinuo o intermittente chiamandolo all’occorrenza secondo proprie esigenze aziendali, anche
con riferimento alla possibilità di svolgere le prestazioni in periodi predeterminati nell’arco della
settimana, del mese o dell’anno.
È richiesta la forma scritta del contratto (anche se solo ai fini della prova della sussistenza del
contratto e non per la sua validità) indicando i contenuti previsti per legge e CCNL, tra cui la durata
a tempo determinato o indeterminato.
Il legislatore ha disciplinato due varianti di lavoro intermittente:
1. lavoro intermittente con obbligo di disponibilità del lavoratore alla chiamata del datore di
lavoro, nel qual caso sussiste un correlativo obbligo nei confronti di quest’ultimo di
corrispondere al dipendente un’indennità di disponibilità.
L’importo dell’indennità è determinato dal CCNL, non è inferiore tuttavia all’importo minimo
fissato con DM, sentite le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative.
Nell’ipotesi di lavoro intermittente con obbligo di disponibilità, la legge prevede espressamente che
in caso di malattia o altro evento che gli renda temporaneamente impossibile rispondere alla
chiamata, il lavoratore è tenuto ad informarne tempestivamente il datore di lavoro, specificando la
durata dell’impedimento, durante il quale non matura il diritto all’indennità di indisponibilità.
Sempre per espressa previsione normativa, il rifiuto ingiustificato di rispondere alla chiamata può
costituire motivo di licenziamento e comportare la restituzione della quota di indennità di
disponibilità riferita al periodo successivo al rifiuto.
2. lavoro intermittente senza obbligo di disponibilità , che invece non contempla alcun obbligo
del lavoratore di rispondere alla chiamata né del datore di lavoro di corrispondere la relativa
indennità.
Limitazioni all’uso del lavoro intermittente. Nell’ottica di evitare un uso distorto di tale tipologia
contrattuale, il legislatore ha introdotto il limite temporale di durata massima della prestazione
di lavoro intermittente, corrispondente complessivamente a 400 giornate di effettivo lavoro
nell’arco di tre anni solari.
Nota bene: Fanno eccezione i settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo.
Il lavoro ripartito (o a coppia o job-sharing): abrogato dal decreto legislativo n. 81/2015, artt.
41-45, sebbene, secondo l’opinione condivisa in dottrina, si tratta di un’abrogazione solo formale,
che non pregiudica, in futuro, il ricorso a tale forma contrattuale. Ciò perché il lavoro ripartito
risulta disciplinato dalla contrattazione collettiva che, come è noto, in particolar modo in alcuni
settori ha mostrato una certa intraprendenza nel dettare delle regole rispetto a fattispecie abrogate
dal legislatore.
I tratti caratterizzanti tale fattispecie contrattuale attengono alle modalità di svolgimento di una
unica obbligazione lavorativa da parte di due lavoratori che sono legati dal vincolo solidaristico.
In pratica due persone si dividono consensualmente lo stesso posto di lavoro. In questo modo, i
lavoratori possono gestire autonomamente e discrezionalmente la ripartizione dell'attività lavorativa
ed effettuare sostituzioni fra loro, che dovranno essere comunicate al datore di lavoro con cadenza
almeno settimanale per certificare le assenze. Entrambi sono però direttamente e personalmente
responsabili dell'intera obbligazione lavorativa.
Il contratto deve essere stipulato in forma scritta, non per la validità dello stesso, ma per la prova e
riporta i nominativi dei due lavoratori e tutti gli elementi che si inseriscono nei normali contratti di
lavoro di natura subordinata.
Può essere a tempo determinato o indeterminato. Per quanto riguarda il trattamento economico, vige
il principio della parità di trattamento rispetto ai lavoratori di pari livello e mansioni. Il trattamento
è comunque riproporzionato in base alla prestazione lavorativa effettivamente eseguita. In base al
vincolo solidaristico che caratterizza questa fattispecie, l’impossibilità sopravvenuta dell’uno
impone all’altro di adempiere per intero, mentre, nel caso in cui siano impossibilitati entrambi,
troverà applicazione il principio generale all’art. 1256 c.c. secondo cui l’impossibilità estingue
l’obbligazione qualora perduri tanto tempo da far venire meno l’interesse del creditore alla
prestazione.
In caso di dimissioni o licenziamento di uno dei due lavoratori, il rapporto si estingue anche nei
confronti dell'altra parte, ma il datore di lavoro può chiedere all'altro di trasformare il rapporto in un
contratto di lavoro subordinato a tempo pieno o parziale.
Apprendistato:
L’apprendistato rientra all’interno di un vero e proprio contratto di subordinazione, la cui causa è
lo scambio tra prestazione lavorativa e retribuzione a cui si aggiunge l’obbligo formativo a carico
del datore di lavoro necessario all’acquisizione delle competenze professionali (per i giovani
tra i 15 e i 29 anni) o alla riqualificazione di una professionalità (per i lavoratori in mobilità o
percettori di un trattamento di disoccupazione).
2. apprendistato per l'acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione (ha come
destinatari giovani tra i 18 e i 29 anni).
3. apprendistato professionalizzante che consente di ottenere una qualifica attraverso una
formazione sul lavoro e un apprendimento tecnico-professionale (rivolto sia a giovani tra i 18 e i
29 anni, sia a lavoratori in mobilità o percettori di un trattamento di disoccupazione).
Per non vanificare la funzione formativa, il legislatore individua una durata minima del contratto,
che non può essere inferiore a sei mesi, con la sola eccezione delle attività stagionali, e per un
massimo di sei anni.
I contratti di apprendistato possono essere stipulati in qualsiasi settore di attività, pubblico o privato;
è necessaria la forma scritta e va indicata la prestazione alla quale è adibito l’apprendista, il suo
piano formativo che può essere redatto anche in forma sintetica all’interno del contratto stesso e la
qualifica che conseguirà al termine del rapporto di lavoro.
Il datore di lavoro non può recedere dal contratto in assenza di una giusta causa o di un giustificato
motivo, però può chiudere il rapporto di lavoro al termine del periodo di apprendistato, rispettando
il termine contrattuale di preavviso.
Nota Bene: durante il periodo di apprendistato trovano applicazione le sanzioni previste dalla
normativa vigente per il licenziamento illegittimo.
Nel caso dell’apprendistato professionalizzante, non ci sono vincoli a una trasformazione “in
qualunque tempo” del rapporto di apprendistato in rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Sebbene anch’essi finalizzati a favorire l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, i tirocini
formativi e di orientamento o stages NON costituisce RAPPORTO di LAVORO SUBORDINATO,
si tratta di iniziative squisitamente formative e funzionali ESCLUSIVAMENTE
all’apprendimento.
Si procede con la stipulazione di una convenzione (e NON UN CONTRATTO!) che coinvolge tre
soggetti:
gli enti promotori;
i soggetti ospitanti, che possono essere datori di lavoro sia pubblici, sia privati;
i tirocinanti.
Alla convenzione deve essere allegato un progetto formativo in cui indicare gli obiettivi e le
modalità di svolgimento del tirocinio, la durata, i nominativi del tutor e il settore aziendale di
inserimento.
Gli obblighi assicurativi gravano sull’ente promotore, obbligato a stipulare con l’Inail una apposita
convenzione, oltre ad assicurare i tirocinanti per la responsabilità verso terzi.
Sottocategoria del lavoro autonomo (su cui è intervenuto fortemente il Job Acts), che però
presenta caratteristiche intermedie con il lavoro subordinato, è il LAVORO
PARASUBORDINATO NON È UN TERZO GENERE RISPETTO AL LAVORO AUTONOMO
E SUBORDINATO!
Sono collaboratori parasubordinati coloro che esercitano attività, non rientranti tra quelle del lavoro
dipendente, né tra quelle oggetto di arti e professioni, che presentano le seguenti caratteristiche:
autonomia del collaboratore.
assenza di vincoli di etero- direzione, anche relativi ai tempi e ai luoghi di lavoro.
natura prevalentemente propria della prestazione effettuata, ma non imprenditoriale;
retribuzione in forma periodica e prestabilita;
iscrizione da parte del collaboratore, ai fini previdenziali, alla Gestione Separata INPS
[versamento del contributo per due terzi a carico del committente e per un terzo a carico
del lavoratore].
applicazione del rito del lavoro nelle controversie (medesimo trattamento giuridico dei
subordinati)
Con il lavoro autonomo condivide, nello svolgimento dell'attività lavorativa, l'assenza di rigidi
vincoli di subordinazione nei confronti del soggetto committente
Con il lavoro subordinato condivide l'assenza di rischio economico e il carattere di collaborazione
continuata nel tempo e coordinata con il committente; gli viene estesa l’applicazione del rito del
lavoro nelle controversie; gode di una specifica tutela previdenziale, con un’apposita gestione
dell’INPS (cd. Gestione separata), nella quale far confluire, a partire dal 1996, la contribuzione
versata dai lavoratori parasubordinati.
Art. 52 del decreto legislativo n. 81 del 2015, ha abrogato tutti gli articoli della riforma Biagi
che trattavano di collaborazioni coordinate e continuative anche a progetto e le false partite
Iva della Riforma Fornero.
le collaborazioni occasionali cd mini co.co.co, della durata non superiore a 30 giorni in un anno
con lo stesso committente, compenso inferiore a 5.000 euro - ABOLITE con il decreto
legislativo 81/2015
il lavoro occasionale accessorio o lavoro autonomo occasionale, basato su un rapporto di
prestazione occasionale, a carattere saltuario non continuativo e senza necessità di
coordinazione con l’organizzazione del committente (non valgono più i 30 giorni come limite
massimo)- CONTINUA AD ESSERCI con il decreto legislativo 81/2015.
Tali tipologie di contratto. la legge non richiede che il rapporto occasionale sia formalizzato in un
atto scritto. In altre parole, il committente e il collaboratore possono accordarsi anche a voce sulle
condizioni che vanno a regolare il loro rapporto. In ogni caso, tuttavia, è sempre consigliabile che
gli accordi vengano messi per iscritto, per una maggiore tutela di entrambe le parti in caso
insorgano problemi trovano ragione d’essere nei seguenti ambiti:
lavori domestici a carattere straordinario e, appunto, occasionale, quali assistenza domiciliare
agli anziani, ai disabili o ai bambini;
insegnamento privato;
lavori di giardinaggio, pulizie e manutenzione;
organizzazione di manifestazioni sportive, caritatevoli, culturali e sociali;
collaborazioni con enti pubblici o associazioni volontarie per i lavori di emergenza (calamità) o
di solidarietà;
attività di vendemmia o attività agricole stagionali;
vendita ambulante o consegna porta a porta di stampa quotidiana o periodica.
Con il Jobs Act, se complessivamente nell’anno, per prestazioni occasionali, il prestatore incassa,
anche da più committenti [limite di 2.000 euro lordi da parte di ciascun committente- riforma
Fornero] un importo maggiore di 7.000 euro lordi [prima era di 5.000 euro lordi], allora le
prestazioni saranno soggette anche a contribuzione Inps in gestione separata. I primi 7.000 euro
annui costituiscono una soglia di esenzione dall’obbligo contributivo.
Per il pagamento, il Job Acts non lascia scelta: o voucher o partita IVA. Il lavoro accessorio viene
pagato attraverso i voucher del valore nominale di 10 euro (che il lavoratore può convertire in
denaro- il compenso è esente da imposizione fiscale e non incide sullo stato di disoccupazione del
lavoratore prestatore accessorio) o tramite ricevuta di prestazione occasionale con ritenuta
d’acconto pari al 20%.
Incidenza nel pubblico impiego: partendo dal presupposto che l’accesso alla Pubblica
Amministrazione è riservato esclusivamente ai vincitori di concorso pubblico ai sensi dell’art.
97 Cost. (disposto inderogabile, salvo riforma costituzionale), se ne deduce che una collaborazione
coordinata e continuativa in una PA, anche in assenza di un valido progetto, non può trasformarsi in
rapporto di lavoro a tempo determinato: un collaboratore, ad esempio, che sollevi una questione di
tale genere innanzi al Giudice del lavoro, infatti, finirebbe con ottenere solo una qualche forma di
risarcimento. Risarcimento che, eventualmente, potrebbe essere commisurato alle retribuzioni
spettanti sino alla data di scadenza effettiva del rapporto di collaborazione.
Lavoro familiare: la giurisprudenza ha sempre applicato il meccanismo della presunzione di onerosità, configurando
un obbligo retributivo in capo al beneficiario della prestazione anche quando le parti lo avessero espressamente escluso,
o anche solo non previsto. UNICA ECCEZIONE, l’ipotesi di prestazione resa in ambito familiare, i cui membri sono
legati al lavoratore da un vincolo di parentela, nel quale trova applicazione il meccanismo inverso di presunzione di
gratuità, sul presupposto che l’attività sia svolta solo in ragione dell’affectio parentale.
Associazione in partecipazione: disciplinata dagli artt. 2549-2554 c.c., è un contratto sociale che
lega un imprenditore (detto associante) con uno o più lavoratori (detti associati), con il quale questi
si impegnano a fornire il loro apporto all’interno dell’impresa, ottenendo come rendiconto (al posto
di uno stipendio, come avviene generalmente nei rapporti di lavoro) il diritto di ricevere una parte
degli utili della ditta o dell’affare. L’associato si assume anche una parte del c.d rischio
d’impresa, ovverosia il rischio che l’imprenditore affronta e che consiste nella possibilità che
l’attività non produca utili.
Il lavoro in cooperativa: disciplinate dagli artt. 2511 e ss. c.c., le cooperative di produzione e
lavoro sono costituite allo scopo non di produrre utili da ripartire tra i soci, ma di procurare ai
soci beni, servizi e occasioni di lavoro a condizioni complessivamente vantaggiose di quelle offerte
dal mercato.
Secondo la normativa in vigore, una società cooperativa è quella società che nasce con un fine
mutualistico, vale a dire con lo scopo di fornire, innanzi tutto, agli stessi soci, beni e servizi per il
conseguimento dei quali la cooperativa è sorta, e non il dividendo.
Differenza tra società in partecipazione e società cooperative. Le prime sono lucrative, le seconde mutualistiche,
differenziandosi sotto il profilo dello scopo: le prime tendono a ripartire tra gli associati un utile, le seconde offrono ai
soci un vantaggio patrimoniale, che a seconda dei casi è rappresentato da un risparmio di spesa o da un incremento
retributivo
Si deve, tuttavia, precisare che questo non significa che alla società cooperativa sia del tutto interdetta la possibilità di
distribuire utili, ma solamente che tale distribuzione deve avere un carattere secondario rispetto al fine mutualistico
della società.
Associazioni di rappresentanza Al fine di rappresentare gli interessi delle singole cooperative, nel
tempo sono state costituite associazioni di rappresentanza quali, ad esempio: Associazione generale
cooperative italiane, Confederazione cooperative italiane, Lega nazionale delle cooperative e
mutue, l'Unione Nazionale Cooperative Italiane. Le associazioni sono anche un punto di riferimento
utile per poter essere assistiti nella fase di avvio di una cooperativa.
Lavoro giornalistico: l’attività giornalistica, come ogni attività umana, può essere svolta sia in
forma autonoma, sia in base ad un rapporto di lavoro subordinato.
Il legislatore, però, non fornisce una definizione precisa della cd “attività giornalistica”, né in
ordine al suo contenuto né ai suoi limiti.
Secondo le indicazioni della giurisprudenza, deve essere ritenuta attività giornalistica la raccolta, la
selezione, la elaborazione e il commento delle notizie, diretta ad informare e formare l’opinione
pubblica, attraverso qualsiasi strumento idoneo a trasmettere il messaggio.
Nota bene: l’art. 32 del CCNL giornalistico riconosce al giornalista la possibilità di rassegnare le
proprie dimissioni per giusta causa oggettiva, nel caso in cui il giornale muti il proprio indirizzo
politico (uno dei casi previsti dalla clausola di coscienza), mantenendo, al contempo, la possibilità
di richiedere l’indennità di disoccupazione.
Stipula del CONTRATTO. Fonte del rapporto di lavoro che vede nel VINCOLO NEGOZIALE di
scambio tra prestazione lavorativa e retribuzione la MATRICE ESSENZIALE del rapporto di
lavoro. Incontro di volontà del soggetto che accetta di stringere con la controparte un vincolo di
natura negoziale che comporta obblighi e diritti sia al lavoratore, sia al datore di lavoro.
Costituisce eccezione il lavoro nello spettacolo o in attività culturali, artistiche, sportive, pubblicitarie, che
richiedono,oltre all’assenso scritto dei genitori, anche una specifica autorizzazione amministrativa .
Una disciplina speciale è poi prevista per i cittadini dei paesi non appartenenti all’Unione Europea,
il cui accesso al lavoro è legato alla legittima permanenza sul territorio nazionale.
DATORE di LAVORO può essere indistintamente una persona fisica o una persona giuridica
(pubblica amministrazione, società private), a cui siano riconosciute le regole generali in materia di
capacità giuridica e capacità di agire.
Ai sensi dell’art. 2086 cc. <è il capo dell’impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi
collaboratori>
Si intende generalmente colui che utilizza la forza lavoro del personale dipendente, dietro
pagamento di un corrispettivo.
La prevalente concezione del contratto di lavoro quale contratto di scambio oneroso sottolinea e
valorizza il conflitto di interessi fra lavoratore e datore di lavoro, che pur trovando composizione
sulla base dell’accordo pattuito sull’oggetto e sulle modalità dello scambio, resta una componente
focale del rapporto di lavoro, sancito ai massimi livelli dell’ordinamento con la garanzia della
libertà sindacale (art. 39 Cost.) e del diritto di sciopero (art. 40 Cost.) e certamente non scalfito dal
riconoscimento di un generico diritto alla collaborazione dei lavoratori alla gestione delle imprese
(art. 46 Cost.)
4. Luogo e regime temporale della prestazione lavorativa sono elementi integranti l’oggetto
stesso.
Patto di non concorrenza (art. 2125 cc.) ipotesi di accordo avente effetto per il periodo successivo
alla cessazione del rapporto ed avente ad oggetto l’impegno del lavoratore di astenersi dallo
svolgere attività in concorrenza con il proprio ex datore di lavoro.
deve contenere la previsione di un corrispettivo;
è per un tempo massimo di cinque anni per il dirigente, di tre per il lavoratore privo di qualifica
dirigenziale. L’assenza di determinazione del tempo definito è causa di nullità del patto stesso di
non concorrenza. In caso di previsione di una maggiore durata, essa si riduce nei limiti della
menzionata previsione di legge;
è in forma scritta ad substantiam.
Leggenda:
ad substantiam- quando la forma scritta è richiesta per la stessa validità dell’atto
Ad probationem, quando la forma scritta non influisce sulla validità del negozio ma costituisce
l’unico mezzo per provare l’esistenza di quel negozio.
1. POTERE DIRETTIVO
2. POTERE di VIGILANZA E CONTROLLO
3. POTERE DISCIPLINARE (art. 2106 cc)
La trasferta. La trasferta si caratterizza per la provvisorietà del mutamento del luogo di lavoro, che
il datore di lavoro può disporre per soddisfare esigenze di natura contingente, senza essere tenuto a
dare giustificazione. Il lavoratore, semmai, può contestarne la liceità, dovendo però provare che la
trasferta è stata richiesta per motivi illeciti, discriminatori o fraudolenti.
Al lavoratore spetta una indennità di trasferta a compenso delle spese che deve sostenere per lo
svolgimento della prestazione lontano dalla sua residenza abituale.
Il distacco si configura quando il datore di lavoro pone temporaneamente uno o più lavoratori a
disposizione di altro soggetto d’impresa, per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa. Il
datore di lavoro rimane responsabile del trattamento economico e normativo a favore del lavoratore
distaccato e, se il distacco implica il trasferimento a una unità produttiva distante più di 50 km, può
avvenire solo per ragioni tecniche e organizzative. Così come se il distacco comporta un mutamento
di mansioni, esso deve avvenire con il consenso del lavoratore.
I controlli a distanza
Con il decreto legislativo n. 151 del 2015, art. 23, contrariamente a quanto previsto nel passato,
viene ammessa, in capo al datore di lavoro, la possibilità di utilizzo di ogni informazione raccolta
attraverso gli strumenti di controllo a distanza per finalità connesse all’adempimento della
prestazione lavorativa. [si allude all’uso di dispositivi elettronici portatili quali smartphone, tablet o localizzatori
satellitari, dai quali sia possibile per il datore di lavoro tracciare l’attività lavorativa svolta e, eventualmente, anche gli
spostamenti del dipendente al quale tali strumenti sono stati assegnati].
Tale principio era già stato introdotto dalla prassi giurisprudenziale che aveva reso utilizzabili in
giudizio, come “controlli difensivi”, le informazioni raccolte attraverso strumenti di tele-controllo
laddove emergessero condotte del lavoratore lesive del rapporto di lavoro.
Un utilizzo da parte del datore di lavoro, che viene limitato da una serie di circostanze:
Il controllo a distanza deve essere connesso al rapporto di lavoro;
Grava sul datore di lavoro l’onere di dare adeguata informazione delle modalità d’uso degli
strumenti e di effettuazione dei controlli;
È fatto divieto al datore di lavoro di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, su dati idonei a
rilevare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le
opinioni politiche, l’adesione a partiti politici, sindacati, associazioni, nonché sui dati personali
idonei a rilevare lo stato di salute e la vita sessuale.
I diritti sindacali
Lo Statuto dei lavoratori disciplina anche la libertà sindacale nei luoghi di lavoro che incide sul
potere organizzativo del datore di lavoro. La eventuale limitazione di tali libertà da parte
datoriale viene definita dalla legge come “condotta antisindacale”, soggetta a repressione
mediante specifica procedura giudiziaria di urgenza, ad iniziativa sindacale.
3. Il potere disciplinare
Attribuito al datore di lavoro dall’art. 2106 cc. “sanzioni disciplinari” e ripreso dall’art. 7 della
legge 300 del 1970, il potere disciplinare consiste nella possibilità, data al datore di lavoro, di
adottare provvedimenti disciplinatori (appunto, sanzioni) nei confronti dei lavoratori in caso di
inosservanza del dovere di diligenza previsto dall’art. 2104 cc. e dell’obbligo di fedeltà di cui
all’art. 2105 cc.
Il potere disciplinare ha un carattere precipuamente AFFLITTIVO ma CONSERVATIVO del
rapporto di lavoro tra le parti, e, quindi, non immediatamente espulsivo, se non per gravi e
irrimediabili illeciti del lavoratore (per giustificato motivo o per giusta causa). Viene esercitato
liberamente dal datore di lavoro, come precisa l’art. 2106 cc., sotto il profilo della gradualità e
proporzionalità rispetto alla gravità dell’infrazione. La contrattazione collettiva ha, di norma,
individuato una gradualità di sanzioni riferite alle infrazioni:
richiamo verbale;
richiamo scritto
multa
sospensione
licenziamento disciplinare.
Il criterio di proporzionalità tra la mancanza e la sanzione comminata non comporta ovviamente il
diritto del dipendente di vedersi progressivamente comminare tutte le sanzioni, a partire da quella
più lieve; a fronte di fatti gravi, potrà essere legittimamente irrogata una sanzione “pesante” anche
nelle ipotesi in cui il dipendente non abbia mai avuto precedenti disciplinari.
Il codice disciplinare, quindi, reca le norme disciplinari e relative sanzioni, riconoscendo al datore
di lavoro il potere disciplinare accordato dalla legge e dalla contrattazione collettiva e i limiti entro i
quali tale potere va riconosciuto.
L’affissione del codice disciplinare- Il codice disciplinare deve essere portato a conoscenza dei
lavoratori mediante pubblica affissione in luogo accessibile a tutti.
È necessario che i locali in cui sono affisse le disposizioni siano accessibili liberamente a tutti i
lavoratori (non sussiste, invece, un obbligo di effettuare l’affissione in locali in cui i dipendenti
devono necessariamente passare).
La procedimentalizzazione del potere disciplinare, sulla base del codice disciplinare adottato
dall’azienda, si articola nelle seguenti fasi, di cui all’art. 7 della legge 300 del 1970, delle successive
elaborazioni giurisprudenziali e dottrinali, nonché della contrattazione collettiva. (Nota bene: con
l’irrogazione della sanzione terminano le fasi del procedimento disciplinare)
P.s. In gran parte dei casi, il mancato rispetto della procedura rende nulla la sanzione.
Da ricordare, che tutti gli atti della procedura disciplinare, esperiti sia dal datore di lavoro che dal
lavoratore, costituiscono ATTI UNILATERALI A CARATTERE RECETTIZIO- acquistano
valore quando giungono a conoscenza della controparte, anche per tramite del servizio postale.
8. Sospensione cautelare, specie quando la sanzione consiste nel licenziamento per giusta
causa: finalizzata a procrastinare la decisione di risolvere il rapporto di lavoro per giusta causa e
giustificato motivo, sino ad un più compiuto accertamento e ad una migliore valutazione dei
fatti. Nota Bene: la sospensione cautelare non è un provvedimento disciplinare, ma
costituisce una misura di carattere provvisorio e strumentale che esaurisce i suoi effetti con
l’adozione dei provvedimenti disciplinari definitivi, sia di punizione, sia di proscioglimento
dagli addebiti.
9. Il licenziamento disciplinare: il licenziamento, intimato per inadempimento del lavoratore (che
ricomprende sia il licenziamento per giustificato motivo soggettivo vale a dire il
licenziamento con preavviso, causato da notevole inadempimento del lavoratore ai suoi obblighi
contrattuali, sia il licenziamento per giusta causa e cioè il licenziamento senza preavviso,
determinato da un comportamento disciplinarmente rilevante del lavoratore talmente grave da
non consentire, nemmeno in via temporanea, la prosecuzione del rapporto di lavoro) viene
considerato provvedimento disciplinare e, come tale, soggetto alle norme procedimentali sopra
descritte per l’irrogazione della relativa sanzione.
1. Sedi e modalità di impugnazione della sanzione disciplinare: con l’irrogazione della sanzione
termina la fase del procedimento disciplinare.
Il lavoratore può impugnare la sanzione sotto il profilo sostanziale, essenzialmente quando il
dipendente contesti la veridicità dei fatti o, comunque, assuma la sua estraneità dai medesimi. Il
provvedimento può essere impugnato sotto il profilo formale, quando il datore di lavoro non abbia
seguito le procedure sopra indicate.
Il lavoratore può ricorrere:
- all’autorità giudiziaria, davanti al Giudice del lavoro;
- o, in via alternativa, in via amministrativa, promuovendo nei venti giorni dalla comunicazione,
la costituzione di un collegio di conciliazione ed arbitrato tramite la DPL, composto da un
rappresentante di ciascuna delle parti (lavoratore anche per mezzo dell’associazione sindacale, il
datore di lavoro e un terzo membro nominato di comune accordo o, in difetto di accordo, dal
direttore dell’Ufficio del lavoro). Il lodo emesso dal collegio non è impugnabile, se non nei casi
di violazione della legge e di vizio di volontà.
Qualora il datore di lavoro non intenda nominare un proprio rappresentante in seno al collegio di
conciliazione, ciascuna delle parti è libera di adire l’autorità giudiziaria.
Il diritto al lavoro
L’obbligazione lavorativa è per quanto riguarda il lavoratore, l’elemento essenziale del rapporto di
lavoro da cui discendono i diritti e doveri fondamentali.
Si tratta di una obbligazione strettamente personale che non ammette (salvo alcune specifiche
eccezioni, quali, ad esempio, il lavoro ripartito o job sharing) l’adempimento da parte di altra
persona, anche nel caso di mansioni elementari e ripetitive.
Tempi, forme e modi della retribuzione- il lavoratore ha diritto al pagamento della retribuzione
dal momento della assunzione.
Tempi- principio della postnumerazione, per cui il pagamento della retribuzione non è anticipato,
ma avviene dopo che la prestazione sia stata eseguita. La periodicità di gran lunga più diffusa è
quella mensile.
Forme- La retribuzione viene pagata in moneta- art. 1277 cc e contrattazione collettiva.
Il datore di lavoro ha l’obbligo, sanzionato in via amministrativa, di consegnare al lavoratore,
all’atto della corresponsione della retribuzione, un prospetto o busta paga, in cui devono essere
indicati i dati del datore di lavoro e del lavoratore, l’inquadramento professionale, il periodo di
riferimento, le voci e altri elementi retributivi, le trattenute e i conguagli, il netto a pagare. A questi
spesso si aggiunge anche l’indicazione del contratto collettivo applicato.
Modi- La retribuzione minima garantita nel rapporto di lavoro subordinato- elemento fisso-
viene stabilita, senza dubbio, a tempo, a cui si aggiunge- quale elemento variabile per incentivare la
produttività- il salario di produttività.
All’opposto, il sistema del cottimo è, invece, obbligatorio nel lavoro a domicilio, nella sua
formula piena, il cottimo integrale. Ciò perché, nel lavoro a domicilio non v’è alternativa, il datore
di lavoro non ha alcun controllo sulla collocazione oraria, né sui tempi della prestazione, quindi è
impraticabile una retribuzione a tempo o ad economia.
Altri modi per retribuire il lavoratore subordinato sono la provvigione e la partecipazione dei
lavoratori all’interno delle aziende.
La provvigione ha qualche attinenza con il cottimo. Si tratta, infatti, della forma di remunerazione
tradizionalmente in uso nel lavoro autonomo degli agenti e mediatori; nel caso del rapporto di
lavoro dipendente, consiste nel corrispondere al lavoratore una percentuale sul ricavato di ogni
singolo affare concluso, ovvero, a seconda degli accordi, andato a buon fine.
Più complessa è la partecipazione dei lavoratori all’interno dell’azienda, con l’istituzione di
diverse forme di retribuzione partecipativa:
agli utili, che consiste nella corresponsione al lavoratore di una quota degli utili dell’impresa
(non configura una forma di partecipazione del lavoratore all’impresa);
con la messa a disposizione di un pacchetto di azioni (stock options), che possono essere
acquistate dal personale dell’azienda ad un prezzo prefissato agevolato (fenomeno registrabile
specie nell’ambito delle multinazionali; in questo caso il lavoratore verrà coinvolto alla cd
partecipazione alla gestione ed alle scelte strategiche delle imprese).
Vengono definiti a livello di contrattazione negoziale nazionale o di primo livello- CCNL (volta
a garantire la certezza dei trattamenti economici e normativi comuni per tutti i lavoratori del settore
ovunque impiegati nel territorio nazionale). La retribuzione è articolata essenzialmente in:
trattamento economico fondamentale
- la retribuzione o paga base “retribuzione ad economia”, secondo il minimo tabellare,
riferito alla categoria, qualifica, oltre che all’inquadramento contrattuale del lavoratore nel
mansionario;
- gli automatismi retributivi e, tra questi, soprattutto gli scatti di anzianità o aumenti
periodici di anzianità, che consistono in un incremento della retribuzione disposto dalla
CCNL per effetto automatico del decorso del tempo (solitamente due o tre anni di anzianità
di servizio presso il medesimo datore di lavoro).
Per ragioni di contenimento di spesa, il legislatore ha imposto a partire dal 2010 un vero e proprio blocco
della contrattazione collettiva per il lavoro pubblico. Blocco della contrattazione che, essendo stato
prorogato, ha avuto l’effetto di ridimensionare fortemente le dinamiche retributive dei pubblici dipendenti, fino
a che da ultimo, nel 2015, è stato dichiarato incostituzionale dalla Corte costituzionale, sebbene con salvezza
dei pregressi effetti.
- le mensilità aggiuntive, e cioè tredicesima mensilità o gratifica natalizia e, ove prevista,
anche la quattordicesima mensilità.
trattamento economico accessorio
- ogni contratto, poi, istituisce e regola una ulteriore molteplicità di voci retributive che
incrementano la retribuzione base in relazione alle specificità del settore e della prestazione
richiesta e sono generalmente chiamate indennità. Impossibile censirle tutte. (le indennità di
trasferta, di rischio, le indennità di reperibilità, lavoro straordinario, domenicale, festivo,
notturno o quelle sostitutive del mancato godimento dei riposi e delle ferie, oppure indennità
di funzione, quali le indennità di cassa, maneggio denaro o altre variamente definite).
Per consentire un effettivo ristoro delle energie psicofisiche del lavoratore, ma anche per
consentirgli un congruo periodo di ricreazione e svago dal lavoro, vengono garantite a tutti i
lavoratori una serie di assenze a varie titolo disciplinate dalla legge e dalla contrattazione
collettiva: pause, riposi giornalieri e aggiuntivi, ferie.
Pause quando l’orario di lavoro che ecceda il limite di sei ore, il lavoratore deve beneficiare di
un intervallo per pausa, le cui modalità e la cui durata sono stabilite dai contratti collettivi di
lavoro. Comunque di durata non inferiore a dieci minuti.
Riposi giornalieri il prestatore di lavoro ha diritto ad un giorno di riposo ogni settimana, di
regola in coincidenza con la domenica.
Riposi aggiuntivi, come festività. La legge definisce le undici festività valide per tutti i
lavoratori subordinati in ossequio a ricorrenze di carattere civile o religioso: primo dell’anno,
Epifania, Lunedì dell’Agnello (28 marzo), Festa della Liberazione (25 aprile), Festa del lavoro,
Festa della Repubblica (2 giugno), Festa dell’Assunzione (15 agosto), Festa di Ognissanti (1
novembre), Festa dell’Immacolata (8dicembre), Natale e S. Stefano. La contrattazione
collettiva implementa il numero delle festività, riconoscendo come festività anche la ricorrenza
del Patrono.
Ferie. La Costituzione prevede, all’art. 36 comma 3, che il lavoratore ha diritto a ferie annuali
retribuite, e non può rinunziarvi. Al massimo nei 18 mesi successivi al termine dell’anno di
maturazione.
Le ferie previste dalla legge non possono essere monetizzate, neppure previo accordo collettivo o
su precisa richiesta del lavoratore. Con eccezione per il caso di cessazione del rapporto di lavoro
[anche per recesso durante il periodo di prova]. Né può essere computato nelle ferie il periodo di
preavviso.
Il monte ferie del lavoratore, che non è <inferiore a quattro settimane> è fissato in:
ferie collettive, decise dal datore (ad es. chiusura dello stabilimento, dal 1 al 31 agosto);
ferie individuali, scelte dal lavoratore con il consenso del datore di lavoro (piano ferie);
ferie solidali (a cui si sommano anche i riposi), novità introdotta dal decreto legislativo n. 151 del
2015, che possono essere cedute, a titolo gratuito, ai colleghi se ciò serve per assistere i <figli
minori che, per particolari condizioni di salute, necessitano di cure costanti>.
La tutela della salute del lavoratore (si applica a tutti i datori di lavoro, pubblici e privati).
Fonti normative:
art. 2087 cc- <l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che,
secondo le particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità
fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro>
art. 9 della legge 300 del 1970, che coinvolge anche le organizzazioni sindacali, nel diritto di
<controllare l’applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie
professionali> e nella promozione della <ricerca, elaborazione e attuazione> delle misure idonee a
tutelare la salute e la integrità fisica dei lavoratori.
decreto legislativo n. 81 del 2008, corretto dal decreto legislativo n. 106 del 2009, testo unico
sulle misure di prevenzione e sicurezza aziendali.
Questo sistema integrato di sicurezza sul lavoro ruota principalmente intorno ad un apposito
documento di valutazione rischi (DVR) valevole per l’azienda di cui tutti i soggetti coinvolti
devono avere una adeguata informazione e formazione. Di qui, la connessa attenzione che il
contenuto delle informazioni rese ai lavoratori sia facilmente comprensibile e, ove riguardi
lavoratori immigrati, venga trasmesso previa verifica della comprensione della lingua italiana.
Il documento di valutazione rischi deve riportare una data certa e la sottoscrizione del datore di
lavoro, oltre che dei RLS e RSPP e del medico competente. Soprattutto, per evitare sparizioni e
contraffazioni, deve essere custodito in luogo sicuro all’interno dell’azienda.
MOBBING (di derivazione anglofona, dal verbo to mob), che definisce una molteplicità di
comportamenti a carattere vessatorio, connotati dall’intento di persecuzione ed emarginazione del
lavoratore. Non c’è una definizione legale in italiano del termine mobbing, ma esiste una
consolidata elaborazione giurisprudenziale cui possiamo fare riferimento, che configura il mobbing
quando coesistono due elementi:
in senso oggettivo, dato dalla serialità, sistematicità ed abitualità del comportamento
vessatorio.
in senso soggettivo, consistente nella volontà di denigrare e vessare il lavoratore, per
comprometterne la salute, la professionalità o la dignità.
Alla voce “mobbing” vengono ricondotti una serie di comportamenti, ad es: assegnazione di
mansioni dequalificanti, degradanti, umilianti, la marginalizzazione dalla attività lavorativa e lo
svuotamento progressivo delle mansioni per mancata assegnazione di compiti lavorativi; ma anche
ripetuti trasferimenti ingiustificati o l’attribuzione di compiti esorbitanti in relazione alle oggettive
possibilità o alle eventuali condizioni di disabilità; l’esclusione reiterata del lavoratore rispetto ad
iniziative formative, di riqualificazione professionale e aggiornamento; l’esercizio eccessivo ed
esasperante dei poteri di controllo e disciplinare.
Nota bene: il Giudice sarà chiamato a valutare i singoli episodi o comportamenti denunciati nel
loro insieme, non limitandosi ad una valutazione atomistica.
Onere della prova al lavoratore- Resta, in ogni caso, che sia il lavoratore, che chiede la condanna
del datore di lavoro al risarcimento del danno, a dover FORNIRE la PROVA dell’esistenza della
lesione e del nesso di causalità con l’inadempimento datoriale di protezione sicurezza nei confronti
dei propri dipendenti. Ad ogni modo, attesa la evidente complessità dell’accertamento di casi di
danno non patrimoniale, data la loro proliferazione, il Giudice del lavoro si affida, sempre più
spesso, alla consulenza tecnica di medici e psicologi del lavoro esperti, che nomina d’ufficio.
Fonte normativa:
Costituzione, in particolare art. 3 <Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali
davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche,
di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il
pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese>.
CATEGORIE TUTELATE
Donne- pari opportunità tra uomo e donna (si pensi, ad es., al meccanismo delle quote rosa).
Minori- vige il divieto di adibizione al lavoro prima del raggiungimento dell’età minima (16
anni) e dell’assolvimento dell’obbligo scolastico. Tuttavia subisce adattamenti in alcuni rapporti
speciali (lavoro a domicilio, apprendistato, arruolamento di marittimi) o può essere derogato nel
caso di impiego in attività lavorative, non pericolose, né insalubri o pesanti, non pregiudicatrici
della frequenza scolastica, a carattere culturale, artistico, sportivo o nel settore dello spettacolo.
Attività che, in ogni caso, possono essere ammesse soltanto previo:
- assenso scritto dei titolari della potestà genitoriale;
- attestazione medica di idoneità;
- autorizzazione della direzione territoriale del lavoro.
Persone con disabilità
La tutela della privacy del lavoratore
Tra i limiti posti all’iniziativa economica dell’imprenditore per l’esigenza di tutelare la libertà e
dignità del lavoratore, rientra il diritto alla riservatezza o privacy dei dati personali e, tra questi,
quelli cd sensibili.
L’uso dei dati personali per le finalità di gestione del rapporto di lavoro:
per il datore di lavoro, obbligo di informativa nei confronti del lavoratore. Può raccogliere e
utilizzare i dati del lavoratore in possesso soltanto ove necessario per dare esecuzione al contratto di
lavoro, con la massima cautela e riservatezza.
per il lavoratore, oltre a dover essere informato sulle modalità del trattamento da parte di due
figure datoriali, ossia il responsabile e l’addetto al trattamento, ha anche diritto di opporsi al
trattamento, se lo ritiene illegittimo. Inoltre, deve potere accedere gratuitamente ed integralmente ai
propri dati personali, richiedendone l’aggiornamento o l’integrazione, nonché il blocco o la
cancellazione, se pensa che siano raccolti o trattati in violazione dei suoi diritti.
Secondo parte della dottrina, l’applicazione della normativa generale sulla privacy sul posto di
lavoro genera la necessità di contemperare ed adattare le innegabili esigenze di protezione della
sfera privata del lavoratore, con le comprensibili istanze del datore di lavoro di poter raccogliere ed
utilizzare le informazioni necessarie per l’organizzazione del lavoro con speditezza e senza
eccessivi oneri burocratici. Ciò avviene, ad es.:
in caso di ricezione di curricula spontaneamente trasmessi dagli interessati ai fini
dell’eventuale instaurazione del rapporto di lavoro, non si applica l’obbligo di informativa e i
dati sensibili posso essere oggetto di trattamento anche senza consenso. Il Legislatore, in questo
caso, impone soltanto l’obbligo di informativa breve, da adempiere anche oralmente, al
momento del primo contatto successivo all’invio del curriculum.
ai fini del corretto esercizio del potere di controllo a distanza diretto a rilevare condotte
illecite del lavoratore. (smartphone e tablet che consentono di ricostruire gli spostamenti del
dipendente, così come anche posta elettronica e internet), sono utilizzabili dal datore di
lavoro per tutti i fini connessi al rapporto di lavoro, sempre che il lavoratore sia stato
previamente informato sulle modalità d’uso degli strumenti in questione e sui conseguenti
controlli.
I diritti economici di sfruttamento di cui è titolare il lavoratore- al quale spetta sempre il diritto
morale, quindi non patrimoniale, di essere riconosciuto autore dell’invenzione- cambiano a
seconda del contesto in cui l’invenzione si realizza:
se l’attività inventiva è prevista come oggetto del contratto o del rapporto e, soprattutto, a tale
scopo retribuita (ad es., il lavoratore di un’azienda chimica viene assunto proprio per svolgere
attività di ricerca e retribuito proprio al fine di inventare processi nuovi), si configura la cd
invenzione di servizio; in tal caso, i diritti patrimoniali che ne discendono (tra cui l’equo
premio e il brevetto) appartengono al datore di lavoro, senza null’altro dovere al lavoratore.
se accade che nell’esecuzione delle proprie mansioni si inventi qualcosa di nuovo, si parla di
invenzioni di azienda; anche in questo caso i diritti patrimoniali derivanti dall’invenzione
appartengono al datore di lavoro, ma il lavoratore ha diritto a un equo premio che viene
determinato sulla base di molti fattori (le mansioni svolte, la retribuzione, l’importanza
dell’invenzione, ma anche l’apporto che l’organizzazione del datore di lavoro ha fornito al
lavoratore autore dell’invenzione).
infine, può accadere che al di fuori dell’orario di lavoro e dal luogo di lavoro, il dipendente
ponga in essere un’invenzione che riguardi, tuttavia, il campo di attività del datore di lavoro.
Si tratta delle cd. invenzioni occasionali. Qui è il lavoratore a essere titolare dei diritti
patrimoniali e di brevetto; tuttavia, se l’inventore non vuole sfruttare personalmente
l’invenzione (ad esempio, non sa come brevettarla) il datore di lavoro ha un diritto di opzione
sull’uso della stessa. Anche in questo caso, spetta al lavoratore una somma di denaro.
Aspetti processuali- La tutela giudiziaria dei diritti che discendono dall’invenzione non viene
offerta dal Giudice del lavoro, ma dal Tribunale ordinario. Questo spiega il perché le controversie
sulle invenzioni possano anche essere rimesse alla valutazione di un collegio di arbitrati.
riguarda la quasi totalità dei casi di risoluzione del rapporto di lavoro, con alcune limitate
eccezioni, riguardanti le ipotesi di:
giusta causa [cd licenziamento in tronco art. 2119] , cioè per un evento o comportamento che
non consente la prosecuzione, nemmeno provvisoria, del rapporto;
risoluzione consensuale, cioè quando le parti si siano accordate formalmente in maniera
diversa.
La sua durata è normalmente stabilita dalla contrattazione collettiva ovvero, in sua assenza,
determinata dagli usi o secondo equità: il preavviso varia normalmente in ragione dell’anzianità
di servizio e del livello di inquadramento. Indennità risarcitoria. La mancata effettuazione del
preavviso comporta il risarcimento di un danno, pagando una indennità risarcitoria quantificata
economicamente secondo la retribuzione che sarebbe spettata al lavoratore per il periodo di
preavviso.
Nel caso di rapporto a tempo determinato il recesso prima dello scadere del tempo è consentito solo
in presenza di una giusta causa: nel caso di recesso ante tempus in assenza di giusta causa, il datore
di lavoro è tenuto al pagamento delle residue mensilità di retribuzione pattuita.
Inoltre, non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto il fallimento dell’imprenditore o la
liquidazione coatta amministrativa dell’azienda.
IL LICENZIAMENTO INDIVIDUALE
Esistono diverse motivazioni che possono dare origine al licenziamento (l’onere di provare la
sussistenza della giustificazione è posto espressamente a carico del datore di lavoro e, dopo l’entrata
in vigore della legge 92 del 2012 deve essere comunicata per iscritto nella lettera di licenziamento).
Licenziamenti disciplinari (ai licenziamenti per giustificato motivo e giusta causa è riconosciuto
il carattere proprio della sanzione disciplinare- legge n. 92 del 2012, che ha riformato l’art. 18
della legge 300 del 1970. Viene seguito la procedura disciplinare di cui all’art. 7 stessa legge 300
del 1970 in tema di sanzioni):
giustificato motivo soggettivo, per notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del
prestatore di lavoro, di cui agli artt. 2104 e 2105 cc.
giusta causa, per causa che non consente la prosecuzione, anche temporanea, del rapporto, tale
da giustificare il venir meno, in capo al datore di lavoro, dell’obbligo di dare il preavviso.
Licenziamenti economici (introdotti dalla legge 92 del 2012, e adottati da medie-grandi imprese)
giustificato motivo oggettivo, per ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del
lavoro e al regolare funzionamento di essa, prescindendo completamente dalla sfera soggettiva
del lavoratore e dal suo aver correttamente adempiuto alle proprie obbligazioni.
La riforma del 2012 ha ricondotto all’area del licenziamento per giustificato motivo oggettivo anche
quelle condizioni inerenti alla “persona” del lavoratore, ovvero quelle ipotesi di impossibilità ad
adempiere che, non costituendo inadempimenti a lui imputabili, non integrano gli estremi del
giustificato motivo soggettivo, ma, d’altro canto però, fanno venire meno l’interesse datoriale
all’adempimento.
Ad es. sono giustificati motivi oggettivi:
la sopravvenuta inidoneità fisica o psichica del lavoratore, ma solo dopo la ricerca di una
ricollocazione dello stesso anche a mansioni inferiori.
l’impossibilità del lavoratore a rendere la prestazione perché soggetto a restrizione della personale
libertà per ragioni cautelari (ritiro della patente ad un autista, revoca del porto d’armi ad una
guardia giurata)
il superamento del cd “periodo di comporto”, ossia decorso il periodo nel corso del quale il
lavoratore ha diritto, in caso di malattia, alla conservazione del posto di lavoro entro un limite
temporale normalmente stabilito dai contratti collettivi, ovvero, in loro assenza, dagli usi e costumi
secondo equità.
Per parte del lavoratore per i provvedimenti disciplinari. Dal momento della conoscenza del
provvedimento disciplinare del licenziamento, si aprono a sequenza:
Fase I, di confronto tra datore di lavoro e lavoratore: il lavoratore contesta l’inadempimento e
comunica l’intenzione di impugnare il licenziamento. Procedure poste a tutela del lavoratore e che
costituiscono un delicato momento di confronto fra datore di lavoro e lavoratore.
Fase II, impugnazione del licenziamento, entro il termine di sessanta giorni dal momento della
conoscenza del provvedimento.
Per parte del datore di lavoro per i provvedimenti economici (ante riforma Job Acts del 1992) -
nel caso del licenziamento economico, prima della comunicazione scritta del licenziamento, il
datore di lavoro avvia la procedura preventiva di informazione/consultazione comunicando il
proprio intendimento alla Direzione Territoriale del Lavoro che convocherà la Commissione di
conciliazione per verificare: le ragioni poste a fondamento del licenziamento, l’assenza di intenti
discriminatori, l’avvenuto obbligo di repachage, da parte del datore di lavoro. La legge affida alla
Commissione di conciliazione un ruolo attivo anche nella successiva ricerca di soluzioni condivise,
anche alternative al licenziamento. La comunicazione viene inviata, per conoscenza, al lavoratore
interessato. La procedura potrà chiudersi con l’accordo che preveda la risoluzione consensuale del
rapporto, ovvero, qualora la ricerca fallisca, con il licenziamento comunicato per iscritto.
Per parte del lavoratore- già esperita, in via preventiva dal datore di lavoro, la fase di confronto
davanti alla Commissione di conciliazione, si apre direttamente la Fase II, di impugnazione del
licenziamento, entro il termine di sessanta giorni dal momento della conoscenza del
provvedimento.
Offerta di conciliazione a tutti i lavoratori (sia quelli licenziati per giustificato motivo, sia
quelli per motivo oggettivo- La risoluzione consensuale (NOVITÀ del Jobs Acts - art. 6 del
decreto legislativo n. 23 del 2015)
Entro i termini di impugnazione del licenziamento e fatti salvi comunque gli eventuali accordi
transattivi tra le parti, nelle sedi protette (conciliazione giudiziale, commissioni di conciliazione
sindacale, commissioni di certificazione) e mediante consegna di assegno circolare, il datore di
lavoro può offrire al lavoratore un importo, non soggetto al regime fiscale ordinario e non
assoggettato a contribuzione, di ammontare pari ad una mensilità per ogni anno di servizio ed in
misura comunque non inferiore a due e non superiore a diciotto mensilità. L’eventuale accettazione
dell’assegno da parte del lavoratore comporta l’estinzione del rapporto a far data dal giorno del
licenziamento ed implica una contestuale rinuncia all’impugnazione del licenziamento, anche nel
caso in cui essa sia stata già proposta.
Indennità di disoccupazione- Nota bene: in generale, laddove il rapporto di lavoro sia cessato per
volontà del lavoratore medesimo, questi non avrà diritto ad accedere ai trattamenti di
disoccupazione, cd ASiP (Assicurazione Sociale per l’impiego). Un’eccezione a tale regola è
tuttavia prevista nel caso di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, esperita a seguito della
comunicata intenzione del datore di lavoro di procedere al licenziamento.
Le novità della riforma riguardano esclusivamente le imprese medio-grandi. Per le aziende con meno di 15
dipendenti, la legge 92 del 2012 ha lasciato del tutto invariato il regime della cd tutela obbligatoria: continua a spettare
al datore di lavoro la scelta tra la riammissione in servizio del dipendente licenziato e il pagamento dell’indennità.
Mentre nel precedente sistema esistevano solo due regimi di tutela (reale e obbligatoria), la
Riforma Fornero ha riformato l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori prevedendo quattro differenti
tutele:
1. tutela reintegratoria “forte” prevista dai primi commi del nuovo testo dell’art. 18 - valevole
anche per le aziende di piccole dimensioni.
Fatti in causa per motivi discriminatori, ovvero intimati in violazione di specifici divieti posti a
tutela del matrimonio e della genitorialità, o per motivi illeciti (i cd licenziamenti “ritorsivi” o “per
rappresaglia”) o perché riconducibili a casi di nullità previsti dalla legge. Inoltre, si applica anche ai
licenziamenti dichiarati inefficaci perché intimati in forma orale.
Il licenziamento viene dichiarato illegittimo per gravi motivi discriminatori, illeciti e nulli
A cosa ha diritto il lavoratore licenziato? Alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro
e al risarcimento del danno commisurato sull’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del
TFR dal giorno del licenziamento fino a quello della reintegrazione (e comunque nel minimo di
cinque mensilità di retribuzione). Il datore di lavoro è, inoltre, condannato al versamento dei
contributi previdenziali ed assistenziali per il medesimo.
Viene data la facoltà al lavoratore di optare per l’indennità di quindici mensilità sostitutiva della
reintegrazione.
2. tutela reintegratoria “attenuata” prevista dal comma 4 al 7 dell’art. 18
Fatti in causa: Per i licenziamenti per ragioni soggettive cd disciplinari - per insussistenza della
situazione soggettiva e della giusta causa ovvero perché il fatto rientri tra le condotte punibili con
una sanzione conservativa secondo quanto previsto dai CCNL o dai codici disciplinari applicabili
(multa, ammonizione, sospensione ad es. si consideri il caso del lavoratore licenziato per essersi
presentato al lavoro con un’ora di ritardo, comportamento che, in base al CCNL applicato, avrebbe
dovuto essere, se mai, sanzionato con la multa o con la sospensione e non già con il licenziamento).
Per i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo cd economici- per insussistenza della
situazione oggettiva indicata dal datore di lavoro, la non verità o non effettività delle ragioni
economiche addotte o dell’operazione organizzativa che viene affermata alla fonte del recesso, la
non consistenza della stessa o l’insussistenza a giustificare, in termini di causalità (ovvero: il datore
di lavoro intende dimostrare che vi è un collegamento di causalità tra la ragione organizzativa
addotta e il licenziamento di quel lavoratore, in quella posizione e con quelle caratteristiche
professionali) le inidoneità fisica o psichica del lavoratore (il cui stato di salute abbia subito un
aggravamento), ovvero il superamento del periodo di comporto di malattia o infortunio (di
conservazione del posto di lavoro)
A cosa ha diritto il lavoratore licenziato? Alla reintegrazione del lavoratore nel proprio posto di
lavoro e al risarcimento del danno per il periodo già detto, ma senza limite minimo e con il limite
massimo non superiore a dodici mensilità. Anche in questi casi, peraltro, il datore di lavoro è
condannato al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.
Viene data la facoltà al lavoratore di optare per l’indennità sostitutiva della reintegrazione
Aspetti processuali della Riforma Fornero. Ha introdotto un rito speciale per le controversie in
tema di licenziamento con il dichiarato fine di accelerare i tempi di definizione delle controversie
in materia.
Dopo una prima fase semplificata di cognizione della questione che si conclude con un’ordinanza
di accoglimento o di rigetto dell’impugnazione del licenziamento, la parte soccombente ha la
possibilità di fare opposizione sempre avanti allo stesso Tribunale, con possibile ampliamento
dello specifico oggetto della cognizione di primo grado (ammissibilità di interventi di terzi, come
anche di nuovo materiale probatorio), che può indurre lo stesso giudicante ad una nuova e diversa
decisione senza inficiarne l’irrinunciabile garanzia di terzietà.
Nota bene: Con l’entrata in vigore del Job Acts, il rito speciale non è più utilizzato .
Per i nuovi contratti a tutele crescenti, è tornato ad applicarsi l’ordinario processo del lavoro per le
controversie relative all’impugnazione dei licenziamenti.
A cosa ha diritto il lavoratore interessato? Immutato l’obbligo alla reintegrazione nel posto di
lavoro e al risarcimento del danno commisurato all’ultima retribuzione di riferimento per il
calcolo del TFR dal giorno del licenziamento fino a quello della reintegrazione.
Così come resta inalterato,a seguito di un eventuale ordine di reintegrazione, il diritto del lavoratore
ad optare per l’ottenimento di un’indennità sostitutiva.
Premessa: nel nostro ordinamento il licenziamento per motivi economici è tipizzato in due
distinte fattispecie:
il licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo;
il licenziamento collettivo.
Quindi le ragioni di natura economica possono giustificare tanto il licenziamento individuale,
quanto il licenziamento collettivo. Le condizioni che giustificano l’applicazione del licenziamento
collettivo sono l’aspetto dimensionale (imprese con più di quindici dipendenti), quantitativo
(almeno cinque dipendenti programmati, nel medesimo ambito geografico) e temporale (i
licenziamenti devono avvenire nell’arco di 120 giorni).
Mentre nel licenziamento individuale la motivazione oggettiva deve essere direttamente riferita alla
soppressione di una ben individuata posizione di lavoro, quindi con la persona assegnata a tale
posizione, nel licenziamento collettivo il datore di lavoro è tenuto ad indicare preventivamente i soli
profili professionali in esubero all’interno della sua organizzazione, coinvolgendo sin da subito le
varie organizzazioni sindacali. L’individuazione delle persone da licenziare può avvenire in un
secondo momento, all’esito del confronto sindacale, ed esclusivamente sulla base dei criteri
oggettivi cui concorrono coloro che posseggono il profilo professionale dichiarato in esubero.
Causale: l’impresa deve procedere alla riduzione o trasformazione dell’attività o del lavoro oppure
alla cessazione dell’attività dell’azienda, anche senza necessità di ridimensionamento strutturale:
licenziamenti tecnologici;
affidamento di lavori all’estero
calo del fatturato.
Il controllo giudiziale si limita alla verifica: a) dell’esistenza della riduzione o trasformazione di
attività o di lavoro dichiarata dal datore di lavoro; b) dell’esistenza di un nesso di causalità tra la
riduzione o trasformazione e gli esuberi; c) del regolare svolgimento degli adempimenti formali e
sostanziali che il datore di lavoro deve porre in essere per l’attuazione del programma di
ridimensionamento dell’organico.
Fase amministrativa. L’impresa dà alla Direzione territoriale del lavoro comunicazione scritta sul
risultato della consultazione e sui motivi del suo eventuale esito negativo e, cioè, sulle ragioni del
mancato accordo.
Nota bene: La legge, poi, pur incentivandolo, non considera l’accordo tra le parti condizione di
procedibilità del licenziamento collettivo e quindi non affida formalmente alle organizzazioni
sindacali un potere di veto sulla decisione datoriale di ridimensionamento dell’organico.
Nel caso in cui non sia raggiunto un accordo sindacale, la DTL dovrà convocare le parti per un
ulteriore esame.
Criteri di scelta. Nella individuazione dei lavoratori da licenziare, devono essere rispettati i criteri
di scelta convenzionali previsti dai contratti collettivi o, in assenza, dalla legge
Le organizzazioni sindacali sono libere di optare per qualsiasi criterio di scelta, purché non
discriminatorio. Ciò avviene, ad es., prevedendo che la scelta ricada sulle persone prossime alla
maturazione dei requisiti di accesso al trattamento pensionistico, con ciò ribaltando il criterio legale
che, invece, tende a tutelare maggiormente i lavoratori con più anzianità di servizio.
Criteri di scelta legali: Occorre considerare, in concorso (perché ciascuno risponde ad un diverso
interesse da tutelare): carichi di famiglia, anzianità di servizio, esigenze tecniche, produttive ed
organizzative legate all’azienda (e non alla persona, come lo scarso rendimento, il numero di
assenze, la disponibilità a prestare lavoro straordinario, etc).
Limiti ai criteri. Limiti all’applicazione dei criteri di cui sopra sono incontrati dal datore di lavoro
nei seguenti casi:
manodopera femminile: i datori di lavoro non possono collocare in mobilità una percentuale di
manodopera femminile superiore a quella occupata, con riferimento alle mansioni considerate
disabili: fra i lavoratori in esubero, possono essere inseriti i disabili, purché vengano rispettate le
quote occupazionali riservate dal collocamento obbligatorio.
Per il lavoratore
I lavoratori in mobilitàIl lavoratori licenziati, ad eccezione dei dirigenti, vengono inseriti in una
lista di mobilità regionale che vede interessati, a vario titolo, la Direzione Regionale e i Centri per
l’impiego del luogo di residenza dei lavoratori.
Gli stessi percepiscono una indennità di mobilità, che rientra tra i trattamenti di sostegno al
reddito, prestazione di sicurezza sociale (che dal 1° gennaio 2017 verrà sostituita da un nuovo
ammortizzatore sociale, la NASPI, che secondo il decreto legislativo 22/2015 diventerà l’unica
prestazione di disoccupazione assicurata dal sistema pubblico di welfare, con totale eliminazione
delle tutele differenziate per categorie di soggetti, ad eccezione per i lavoratori agricoli).
Durata: la durata del trattamento varia a seconda dell’età anagrafica del lavoratore e del territorio
nel quale si trova l’unità produttiva di provenienza (12 mesi- meno di 40 anni; 24 mesi dai 40 ai 49
anni; 36 mesi dai 50 anni in su). Nelle aree del mezzogiorno, tali periodi sono aumentati di ulteriori
12 mesi, fermo restando che si fa riferimento al luogo in cui l’impresa ha deciso di organizzare
stabilmente il lavoro del soggetto interessato.
In ogni caso, l’indennità non può avere una durata superiore all’anzianità maturata presso
l’impresa licenziataria.
Il lavoratore perde il diritto all’indennità di mobilità successivamente alla data di compimento
dell’età pensionabile.
Si tratta di una procedura: volontaria, consensuale ed eventuale, attivabile esclusivamente con una
istanza scritta comune- datore di lavoro e del lavoratore- davanti ad una commissione di
certificazione; e che, in caso di esito positivo, origina un ATTO AMMINISTRATIVO
MOTIVATO che accerta la corretta qualificazione del contratto di lavoro. Atto che, poi, produce
effetti nei confronti anche di terzi eventualmente interessati (INPS, INAIL, Ministero del lavoro,
etc).
I tempi per la DECADENZA (per legge ma clausole di decadenza possono essere stabilite anche
dalle parti, cd decadenza negoziale):
in diritto del lavoro, la più importante decadenza è quella relativa al licenziamento, che deve essere
impugnato, appunto a pena di decadenza, entro SESSANTA GIORNI dalla ricezione della sua
comunicazione formale.
Nel riparto dei crediti, l’ordinamento riconosce a quelli del lavoro un privilegio rispetto agli altri
crediti pecuniari.
Per il recupero dei crediti di lavoro, per i danni conseguenti alla mancata corresponsione, da
parte del datore di lavoro, dei contributi previdenziali ed assicurativi obbligatori, ed il credito
per il risarcimento del danno subito per effetto d’un licenziamento inefficace, nullo, annullabile:
esecuzione forzosa sui beni mobili e immobili del datore di lavoro.
fondo di garanzia presso INPS: una speciale garanzia del credito retributivo, sia pure limitata alle
ultime tre mensilità di retribuzione e al TFR.
priorità nel recupero accordata ai crediti dei lavoratori subordinati, e soltanto dopo possono essere
pagati i crediti, anch’essi privilegiati, degli autonomi (compresi i co.co.co.)
Per il pignoramento, il sequestro o cessione, degli stipendi, dei salari, delle indennità (così
come anche della pensione), laddove il lavoratore sia debitore, la misura massima consentita è
del quinto del loro ammontare, al netto delle ritenute fiscali e previdenziali. Ciò al fine di
preservare il cd minimo vitale di sussistenza del lavoratore debitore.
Per individuare la soglia relativa al minimo vitale impignorabile, si fa riferimento alla parte
eccedente la misura massima mensile dell’assegno sociale aumentato della metà.
Nota bene: anche il TFR può essere oggetto di sequestro, pignoramento o cessione, senza però
applicazione del limite del quinto.
TFR – Trattamento di fine rapporto
Il Trattamento di Fine Rapporto (TFR), che dal 1° giugno 1982 ha sostituito l’indennità di anzianità,
è un elemento della retribuzione il cui pagamento viene differito al momento della cessazione del
rapporto di lavoro. Esso matura durante lo svolgimento del rapporto ed è costituito dalla somma di
accantonamenti annui di una quota di retribuzione rivalutata periodicamente. La legge prevede
alcune ipotesi tassative nelle quali parte del TFR accantonato può essere anticipato nel corso del
rapporto. I Contratti Collettivi hanno la facoltà di fissare condizioni di miglior favore per
l’erogazione di anticipazioni del TFR, nonché stabilire criteri di priorità per l’accoglimento delle
relative richieste. Fino al 31 dicembre 2006, il TFR non destinato alla previdenza complementare
restava in azienda fino alla cessazione del rapporto, salvo le eventuali anticipazioni richieste dal
dipendente; inoltre la gestione del trattamento era completamente demandata al datore di lavoro. A
decorrere dal 1° gennaio 2007, il TFR ha assunto la finalità prevalente di strumento di
finanziamento previdenziale: è cambiata la disciplina del conferimento del trattamento alle forme
pensionistiche complementari, con l’obbligo per i lavoratori di decidere al momento dell’assunzione
la destinazione del TFR maturando. Il TFR che i lavoratori di aziende con almeno 50 dipendenti
decidono di mantenere presso il datore di lavoro e di non destinare a forme di previdenza
complementare viene gestito da un apposito fondo istituito presso l’Inps.
Possono anche essere previsti dei meccanismi di rotazione tra i lavoratori per la CIG, in accordo
con i sindacati.
La CIG è ORDINARIA quando ha una disciplina semplificata, minor costi, per la quale bisogna
addurre alla domanda gli eventi transitori (situazioni temporanee del mercato), non imputabili
all'imprenditore, per cui, con i benefici, richiesti, si presume poter superare tali difficoltà, tant è che
viene richiesto anche un programma di risanamento. Se, poi, l'azienda non riesce a riprendersi,
allora ricorrerà ai licenziamenti collettivi. A questo proposito, spesso, la CIG è stata proprio un
surrogato dei licenziamenti collettivi, ma ciò ha finito col creare delle storture, perchè i lavoratori in
CIG finivano con l'andare a lavorare in nero, togliendo posti di lavoro e provocando ammanchi
nelle casse dell'Inps; ecco perchè si è prevista la possibilità per i lavoratori in CIG di andare a
svolgere lavori socialmente utili.
Si tratta di provvedimenti che hanno introdotto nuovi tipi di contratti di lavoro e che hanno innovato la disciplina di
alcuni contratti già esistenti, andando ad incidere in particolar modo nell’area del cosiddetto lavoro parasubordinato, di
cui sono precisati meglio i limiti e i caratteri distintivi rispetto al lavoro dipendente.
LAVORO INTERMITTENTE
È quello in cui il lavoratore si mette a disposizione del datore di lavoro per prestazioni di carattere discontinuo o
intermittente. Può essere a tempo determinato o indeterminato.
Il datore può obbligare il lavoratore a rispondere alla chiamata per tutta la durata del contratto, dandogli in cambio una
indennità di disponibilità (20% delle retribuzioni previste dal Contratto Collettivo Nazionale).
I contributi sono legati al compenso effettivamente corrisposto, anche se questo è inferiore al minimale previsto dalla
legge. É stabilita una retribuzione convenzionale per il lavoro intermittente ed il lavoratore può versare la differenza
contributiva nel caso in cui abbia avuto una paga inferiore a quella convenzionale o per i periodi in cui ha percepito la
sola indennità di disponibilità.
APPRENDISTATO
La nuova disciplina prevede 3 tipologie di apprendistato:
apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione;
apprendistato professionalizzante per il conseguimento di una qualificazione attraverso una formazione sul lavoro e
un apprendimento tecnico-professionale;
apprendistato per l’acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione.
Il primo tipo, che riguarda giovani ed adolescenti di età superiore a 15 anni, ha durata non superiore a 3 anni ed è
finalizzato al conseguimento di una qualifica professionale.
Il contratto di apprendistato professionalizzante è finalizzato al conseguimento di una qualificazione attraverso la
formazione sul lavoro e l’acquisizione di competenze di base, trasversali e tecnico-professionali. È riservato ai giovani
fra i 18 e i 29 anni.
L’ultimo tipo di apprendistato è finalizzato al conseguimento di titoli di studio universitari e dell’alta formazione, oltre
che per la specializzazione tecnica superiore. È prevista per giovani di età compresa fra i 18 e i 29 anni, e la relativa
disciplina è demandata alle Regioni, in accordo con le associazioni territoriali dei datori, le università e le altre
istituzioni formative.
CONTRATTO DI INSERIMENTO
Il contratto di inserimento sostituisce quello di formazione e lavoro, che sopravvive solo per le pubbliche
amministrazioni. È un contratto a termine, di durata non inferiore a 9 mesi e non superiore a 18 (solo nel caso di
soggetti portatori di handicap può arrivare fino a 36 mesi).
È finalizzato a favorire l’integrazione o la reintegrazione dei lavoratori mediante un percorso di adattamento delle
competenze professionali, definito in un progetto individuale di inserimento, redatto con il consenso del lavoratore.
Riguarda i seguenti soggetti:
giovani di età compresa fra i 18 e i 29 anni;
disoccupati di lunga durata (cioè coloro che dopo aver perso il posto di lavoro o cessato un’attività autonoma, siano
alla ricerca di un lavoro da più di 12 mesi, o di 6 mesi se hanno 29 anni e sono laureati) di età compresa fra i 29 e i
32 anni;
ultracinquantenni che siano privi di un posto di lavoro o che stiano per perderlo;
lavoratori che desiderino riprendere un’attività lavorativa e che non abbiano lavorato per almeno 2 anni;
donne residenti in un’area geografica in cui il tasso di occupazione sia inferiore almeno del 20% di quello maschile
o in cui il tasso di disoccupazione superi del 10% quello maschile;
persone affette da grave handicap fisico, mentale o psichico.
Sono previste agevolazioni contributive, determinate in misura differente a seconda del settore produttivo e
dell’ubicazione territoriale (sono esclusi i contratti che riguardano i giovani di età compresa fra i 18 e i 29 anni).
LAVORO ACCESSORIO
Per lavoro accessorio si intende un’attività che non supera i 30 giorni nel corso dell’anno e non dà luogo a compensi
superiori a 3.000 euro complessivi.
L’attività deve essere svolta nei seguenti ambiti:
1. piccoli lavori domestici a carattere straordinario, compresa l’assistenza a bambini, anziani, ammalati e portatori di
handicap;
2. insegnamento privato supplementare;
3. piccoli lavori di giardinaggio, pulizia e manutenzione di edifici e monumenti;
4. realizzazione di manifestazioni culturali, sociali, sportive o caritatevoli;
5. collaborazione con enti pubblici e di volontariato per lavori di emergenza in caso di calamità o eventi naturali
improvvisi o di solidarietà.
Possono svolgere tale lavoro i soggetti a rischio di esclusione sociale o non ancora entrati nel mercato del lavoro, o che
stanno per esserne esclusi, ed in particolare:
1) disoccupati da oltre un anno;
2) casalinghe, studenti e pensionati;
3) disabili e soggetti in comunità di recupero;
4) lavoratori extracomunitari, con permesso di soggiorno, entro 6 mesi dalla perdita del lavoro.
La retribuzione avviene attraverso l’acquisto da parte del datore di buoni, al costo di 7,5 euro ciascuno, che vengono
consegnati al lavoratore, il quale ne ricava un compenso di 5,8 euro netti, mentre il restante valore viene diviso nel
seguente modo:
1 euro all’Inps a fini previdenziali;
0,5 euro all’INAIL ai fini assicurativi contro gli infortuni sul lavoro;
0,2 euro alla società concessionaria per la distribuzione dei buoni.
Le modalità relative all’acquisto dei buoni e alla loro trasformazione in compensi e contributi saranno stabilite da un
apposito decreto attuativo.
ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE
Dal 1° gennaio 2004 coloro che, concludendo contratti di associazione in partecipazione, si impegnano per l’apporto di
solo lavoro, devono iscriversi ad una apposita gestione separata istituita presso l’Inps. L’obbligo non riguarda gli
associati già iscritti ad albi professionali. La tutela previdenziale per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti è garantita
per mezzo di un versamento pari a quello dei commercianti, ripartito in misura pari al 55% per l’associante e al 45% per
il lavoratore associato.
LEGGE FORNERO
La Legge 28 giugno 2012, n. 92, intitolata “Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva
di crescita”, in vigore dal 18 luglio 2012, si prefigge l’obiettivo di “realizzare un mercato del lavoro inclusivo e
dinamico, in grado di contribuire alla creazione di occupazione, in quantità e qualità, alla crescita sociale ed economica
e alla riduzione permanente del tasso di disoccupazione”.
In particolare, la Riforma, è intesa a:
• favorire l’instaurazione di rapporti di lavoro più stabili, confermando il rapporto di lavoro subordinato a tempo
indeterminato quale “contratto dominante”;
• redistribuire in modo più equo le tutele dell’impiego, contrastando l’uso improprio e strumentale dei contratti di
lavoro flessibili e adeguando contestualmente la disciplina del licenziamento alle mutate esigenze del contesto di
riferimento;
• rendere più equo ed efficiente il sistema degli ammortizzatori sociali;
• promuovere una maggiore inclusione nel mondo del lavoro delle donne e valorizzare l’apprendistato come modalità
prevalente di ingresso dei giovani nel mondo del lavoro.
In sintesi, il progetto di Riforma si pone l’obiettivo di perseguire una maggiore equità sociale attraverso una riduzione
della flessibilità in entrata nel mondo del lavoro, controbilanciata da una maggiore flessibilità in uscita, realizzando una
più equilibrata distribuzione delle tutele fra i lavoratori assunti a tempo indeterminato (beneficiari di una legislazione
molto garantista) e i lavoratori precari, i disoccupati e gli inoccupati, titolari di tutele assai ridotte o nulle.
La concreta traduzione normativa delle finalità dichiarate è stata oggetto di giudizi opposti ma ugualmente negativi: le
imprese ritengono che a fronte della minore flessibilità in entrata non si sia realizzata alcuna significativa riduzione
della rigidità in uscita, mentre alcuni sindacati considerano le modifiche alle norme sui licenziamenti un vero e proprio
attacco ai diritti dei lavoratori. Inoltre le misure di incentivazione all’occupazione e le politiche attive del lavoro
appaiono ai più insufficienti.
Un primo pacchetto di 11 modifiche alla Riforma, frutto di un’intesa fra il Governo e i partiti che lo sostengono, è stato
approvato con un emendamento alla legge di conversione del d.l. 83/2012 (“decreto sviluppo”).
Il testo normativo della Riforma – composto da 4 articoli e 270 commi – interviene sulle seguenti aree tematiche:
• flessibilità in entrata;
• flessibilità in uscita;
• ammortizzatori sociali;
• formazione e politiche attive del lavoro.
Di seguito vengono illustrati i contenuti più significativi delle nuove disposizioni.
AMMORTIZZATORI SOCIALI
La Riforma ha innovato il sistema degli ammortizzatori sociali attraverso il nuovo istituto dell’Assicurazione sociale per
l’impiego (ASpI), che entrerà in vigore a decorrere dal 1° gennaio 2013 attraverso un regime transitorio che si
concluderà solo nel 2017.
L’ASpI, istituita presso la “Gestione prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti” facente capo all’INPS, ha la
funzione di fornire ai lavoratori che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione un’indennità mensile di
disoccupazione, che sostituirà le precedenti indennità di mobilità e di disoccupazione.
Beneficiari del nuovo istituto sono tutti i lavoratori dipendenti (a tempo determinato e indeterminato), compresi gli
apprendisti. Restano esclusi i pubblici dipendenti a tempo indeterminato e i lavoratori agricoli, cui sono applicabili
diversi istituti. L’indennità non spetta se il rapporto di lavoro è cessato per dimissioni o per risoluzione consensuale del
contratto.
Per accedere al beneficio, il soggetto in stato di disoccupazione deve avere i seguenti requisiti:
• status di “disoccupato”;
• almeno un’anzianità assicurativa di due anni e un anno di contribuzione nel biennio precedente l’inizio del periodo
di disoccupazione.
La misura dell’indennità è rapportata alla retribuzione imponibile ai fini previdenziali degli ultimi due anni, in base a
una percentuale variabile in funzione dell’ammontare della retribuzione mensile, nei limiti di un massimale (attualmente
fissato in 1.119,32 euro). È prevista una riduzione dell’indennità del 15% dopo i primi sei mesi di fruizione e
un’ulteriore decurtazione del 15% dopo il dodicesimo mese.
La durata del trattamento, a decorrere dal 1° gennaio 2016, sarà pari a un massimo di:
• 12 mesi per i lavoratori di età inferiore a 55 anni;
• 18 mesi per i lavoratori di età pari o superiore ai 55 anni.
Per il triennio 2013-2015 è previsto un regime transitorio, in cui la durata dell’indennità sarà variabile fra un minimo di
8 e un massimo di 16 mesi.
La fruizione dell’indennità è condizionata alla permanenza dello stato di disoccupazione.
In via sperimentale negli anni 2013, 2014 e 2015 il lavoratore può richiedere la liquidazione in unica soluzione degli
importi del trattamento spettante per le mensilità non ancora percepite, al fine di intraprendere un’attività di lavoro
autonomo o di impresa o per associarsi in cooperativa.
A decorrere dal 1° gennaio 2013 l’ASpI verrà estesa ai collaboratori coordinati e continuativi che soddisfino
congiuntamente i seguenti requisiti:
• avere operato, nel corso dell’anno precedente, in regime di monocommittenza;
• avere conseguito, nell’anno precedente, un reddito lordo complessivo non superiore al limite di 20.000 euro,
annualmente rivalutato sulla base dell’indice ISTAT di variazione dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e
impiegati intervenuta nell’anno precedente;
• poter fare valere almeno una mensilità di contribuzione alla Gestione separata INPS nell’anno di riferimento e 4
mensilità nell’anno precedente;
• avere avuto un periodo di disoccupazione ininterrotto di almeno 2 mesi nell’anno precedente.
L’indennità è pari al 5% dell’imponibile contributivo minimo previsto per la gestione previdenziale INPS degli artigiani
e dei commercianti (14.930 euro per il 2012) moltiplicato per il minor numero tra le mensilità accreditate l’anno prima e
quelle non coperte da contribuzione.
In sostituzione dell’indennità di disoccupazione con requisiti ridotti, viene poi introdotta la Mini-ASpI, destinata ai
lavoratori che possano far valere almeno 13 settimane di contribuzione per l’assicurazione obbligatoria negli ultimi 12
mesi. L’indennità è corrisposta mensilmente per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione
nell’ultimo anno.
Restano sostanzialmente invariati gli istituti della Cassa Integrazione Ordinaria e Straordinaria.
Viene però imposto alle organizzazioni sindacali e imprenditoriali comparativamente più rappresentative a livello
nazionale di stipulare intese, anche intersettoriali, per la costituzione di Fondi di solidarietà bilaterali, per i settori non
coperti dalla Cassa integrazione Guadagni. I Fondi hanno la finalità di assicurare ai lavoratori interventi di sostegno al
reddito in costanza di rapporto di lavoro, nei casi di riduzione o sospensione dell’attività lavorativa, analogamente a
quanto previsto dalla normativa in materia di CIG ordinaria e straordinaria.
I Fondi verranno istituiti presso l’INPS e diverranno obbligatori per tutti i settori non coperti dalla CIG, limitatamente
alle imprese che occupino mediamente oltre 15 dipendenti.
• la certificazione degli apprendimenti acquisiti, attraverso la creazione di un sistema nazionale di certificazione delle
competenze; • il riconoscimento di crediti formativi;
• la fruizione di servizi di orientamento lungo tutto il corso della vita lavorativa.
Inoltre viene rinnovata al Governo la delega (già contenuta nel Protocollo Welfare del 2007) ad adottare, entro sei mesi
dall’entrata in vigore della Riforma e in armonia con i principi in essa contenuti, uno o più decreti legislativi volti a
riordinare la normativa in materia di:
• servizi per l’impiego e politiche attive per il lavoro,
• incentivi all’occupazione, • formazione continua, qualificazione e riqualificazione professionale,
• collocamento di soggetti svantaggiati.
Per garantire l’efficacia delle politiche di sostegno all’occupazione, la Riforma ha infine rivisitato l’impianto che regola
le cause di decadenza dai sussidi, attraverso la previsione della decadenza:
• dai trattamenti di sostegno del reddito in costanza di rapporto di lavoro, in caso di rifiuto ingiustificato di
frequentare regolarmente corsi di formazione o riqualificazione professionale;
• dalla indennità di mobilità e dai sussidi di disoccupazione o inoccupazione, in caso di rifiuto ingiustificato di
partecipare a iniziative di politiche attive o di mancata accettazione di un’offerta di lavoro inquadrato in un livello
retributivo non inferiore al 20% rispetto all’importo lordo dell’indennità spettante.
JOBS ACT
si indica una riforma del diritto del lavoro in Italia, promossa ed attuata in Italia dal governo Renzi, attraverso diversi
provvedimenti legislativi varati tra il 2014 ed il 2015. La riforma ha delegato il governo italiano ad emanare diversi
provvedimenti legislativi; essi sono:
Legge 10 dicembre 2014, n. 183; Decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22; Decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23;
Decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 80; Decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81; Decreto legislativo 14
settembre 2015, n. 148; Decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 149; Decreto legislativo 14 settembre 2015, n.
150; Decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 151.
Legge 183/2014. La principale novità prevista dalla legge delega riguarda il contratto a tutele crescenti, un nuovo tipo
di contratto per i nuovi assunti a tempo indeterminato che prevede una serie di garanzie destinate ad aumentare man
mano che passa il tempo, finalizzato a contrastare il precariato.
Decreto legislativo 22/2015. Il d.lgs 4 marzo 2015, n. 22 (Disposizioni per il riordino della normativa in materia di
ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati, in
attuazione della legge 183/2014") è stato emanato il 24 dicembre 2014.
ASPI. Il Decreto legislativo abolisce l'Assicurazione Sociale Per l'Impiego (ASPI). Al suo posto è costituita la Nuova
prestazione di Assicurazione Sociale per l'Impiego (NASPI) che prevede un sussidio decrescente della durata massima
di 24 mesi .
DIS-COLL. Il Decreto legislativo costituisce per l'anno 2015 uno speciale sussidio di disoccupazione
chiamato Disoccupazione per i Collaboratori (DIS-COLL) che varrà per i lavoratori con contratti co.co.co., i quali
potranno disporre di un assegno di disoccupazione della durata massima di sei mesi, nel caso perdano il lavoro e
abbiano versato più di tre mesi di contributi nell'anno solare ed almeno un mese nell'anno precedente al momento in cui
hanno perso il proprio impiego. La ratio del nuovo sussidio è quella di allargare la platea dei beneficiari, estendendola
anche ai lavoratori parasubordinati. La natura sperimentale è dovuta al fatto che, a partire dal 1º gennaio 2016, non sarà
più possibile di regola stipulare contratti di lavoro di tipo co.co.co.
ASDI. Per l'anno 2015 è inoltre introdotta in via sperimentale l'Assegno di Disoccupazione (ASDI), un ulteriore
assegno di disoccupazione a cui avrà diritto chi, scaduta la NASPI, non ha trovato impiego e si trovi in condizioni di
particolare necessità. L'importo dell'ASDI è pari al 75% dell'importo della NASPI.
Decreto legislativo 23/2015. Il d.lgs 4 marzo 2015, n. 23 ("Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo
indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 183/2014"') è stato emanato il 24 dicembre 2014. Le nuove
disposizioni si applicano per i lavoratori assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere
dalla data di entrata in vigore del decreto (cioè dal 7 marzo 2015), nonché ai casi di conversione, successiva all'entrata
in vigore del decreto, di contratti a tempo determinato o di apprendistato in contratti a tempo indeterminato. Per gli altri
contratti, invece, continua ad applicarsi l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Il decreto dispone che, in caso
di licenziamento senza giustificato motivo oggettivo, il datore di lavoro dovrà versare al lavoratore dipendente un
indennizzo pari a due mesi di stipendio per ogni anno di lavoro nell'azienda, da un minimo di 4 a un massimo di 6 mesi
di indennizzo per le aziende con meno di 15 dipendenti e da 12 mesi a 24 mesi di indennizzo per le aziende con più di
15 dipendenti. Le nuove regole prevedono anche la possibilità di ricorrere alla conciliazione veloce, nella quale il datore
di lavoro offre una mensilità per ogni anno di anzianità fino a un massimo di 18 mensilità. La norma modifica anche
l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, che nella attuale formulazione prevede per i licenziamenti senza giustificato
motivo oggettivo un risarcimento che andava da un minimo di 12 a un massimo di 24 mensilità o la reintegra sul posto
di lavoro, ma si applica solo alle imprese con più di 15 dipendenti. Sono poi predisposte analoghe tutele per i
licenziamenti discriminatori e per quelli disciplinari per i quali venga provata l'insussistenza del fatto contestato (per i
quali viene imposto il reintegro del dipendente).
Decreto legislativo 81/2015. L' art. 3 del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81 ha modificato la disciplina del mutamento delle
mansioni, riducendo i limiti preesistenti, sia mediante l'estensione dello ius variandi del datore di lavoro, sia
prevedendo ipotesi di derogabilità dei nuovi limiti ad opera tanto dell'autonomia individuale, quanto di quella collettiva.
Il decreto ha inoltre abolito la tipologia del contratto di co.co.pro., tranne che per i contratti ancora in corso all'entrata in
vigore della norma.
Decreto legislativo 151/2015. Emanato in attuazione della delega conferita dalla legge 10 dicembre 2014, n. 183, il
decreto modifica radicalmente il disposto dell'articolo 4 dello Statuto dei lavoratori: confermando sostanzialmente le
previgenti disposizioni in tema di impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo “fissi”, prevede invece una
disciplina semplificata per l’utilizzo degli strumenti necessari al lavoratore per svolgere la propria prestazione
lavorativa, come pure per le apparecchiature di rilevazione e di registrazione degli accessi e delle presenze.
Con una nota di data 18 giugno 2015, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali è intervenuto per fornire
chiarimenti sulla questione dei c.d. “controlli a distanza”, a seguito della riforma dell’articolo 4 dello Legge n°300/70,
chiarendo che la riforma non “liberalizza” in maniera indiscriminata i controlli ma si limita a fare chiarezza circa il
concetto di “strumenti di controllo a distanza” ed i limiti di utilizzabilità dei dati raccolti attraverso questi strumenti,
in linea con le indicazioni che il Garante Privacy ha fornito negli ultimi anni e, in particolare, con le linee guida del
2007 sull’utilizzo della posta elettronica e di internet. Sempre in tema di controlli a distanza, l’Ispettorato Nazionale
del Lavoro nella circolare n. 2 del 7/11/2016 ha fornito indicazioni operative volte a chiarire entro quali limiti
l’istallazione su autovetture aziendali di apparecchiature di localizzazione satellitare GPS sia soggetta alle condizioni e
procedure previste dal nuovo art. 4, comma 1, della legge n. 300/1970.