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Quaderni

di diritto ecclesiale
17 (2004) 117-145

La «vacatio» di un ufficio ecclesiastico:


annotazioni circa un istituto
giuridico canonistico
di Gianluca Marchetti

In questo articolo si segnaleranno alcuni elementi costitutivi di


quell’istituto giuridico che, nel diritto canonico, prende il nome di va-
catio [= «vacanza»] dell’ufficio.
In primo luogo si delineerà, partendo proprio dall’uso del ter-
mine vacatio e affini nel CIC 1917 e nella vigente codificazione, che
cosa sia l’istituto giuridico della vacanza di un ufficio e soprattutto
quale peculiarità rivesta nel diritto ecclesiale. In un secondo mo-
mento, commentando i cann. 153 e 154, si evidenzieranno alcuni ele-
menti costitutivi della vacatio di un ufficio. Infine si vedranno alcune
fattispecie giuridiche che possono originare la vacanza di un ufficio
ecclesiastico.

L’ambito semantico-canonistico del termine «vacatio»


Il termine vacatio, nel latino classico, assume un duplice signifi-
cato: 1) «esenzione, esonero, dispensa da un servizio» e, sempre in
questa accezione, il significato più specifico di «essere libero da» e di
«assenza»; 2) in una seconda accezione (con il termine specifico va-
cationes), «il denaro per l’esenzione da determinati servizi».
Vacans, il participio aggettivo, può essere tradotto con «vuoto;
libero; sgombro; privo; esente; vacante»; il sostantivo neutro plurale
vacantia può indicare «i beni (l’eredità) vacanti» o «le cose inutili e
superflue». Il verbo vaco, -are, invece, indica «l’essere vuoto, sgom-
bro, non occupato, vacante, libero»; «essere vacante, non essere oc-
cupato» riferito a possedimenti o beni; «essere libero da, essere
esente, essere privo di, mancare di, tenersi lontano da»; in una se-
conda accezione può significare «l’essere libero da, l’aver tempo li-
bero per, il dedicarsi a, l’occuparsi di»; in una terza accezione, nella
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forma impersonale, può essere tradotto con «c’è tempo libero, è per-
messo»1.
Per quanto riguarda l’uso propriamente canonistico del termine
vacatio possiamo osservare come, nel CIC 1917, questo compariva:
1) in riferimento a un ufficio o beneficio ecclesiastico: cf, per
esempio, i cann. 150 e 151;
2) con il termine vacationes, riferito ai periodi di assenza dalla
propria parrocchia o dalla diocesi o dal capitolo da parte dei vescovi,
dei parroci o dei canonici: cf i cann. 418; 338 § 2; 354 e 4652;
3) in riferimento alla vacatio legis: cf can. 9.
Nel CIC 1983 i termini in oggetto vengono usati in tre diversi am-
biti o significati:
1) in riferimento alla vacatio di un ufficio o una sede: cf, per
esempio, i cann. 153 §§ 1-2 ; 154; 158 § 1; 162; 165; 191 § 1; 272; 335;
340; 347 § 2; 352 § 2; 359; 367; 409 §§ 1-2; 416; 418 § 1; 419-421; 425 §§
1 e 3; 426; 428 § 1; 440 § 2; 468 § 2; 481 § 1; 490 § 2; 501 § 2; 502 § 2;
513 § 2; 524; 525; 527 § 3; 539; 541; 544; 1420 § 5; 14673; 1751 § 1;
2) in riferimento alla vacatio di una legge: cann. 8 § 1; 31 § 2;
3) nel senso di «occuparsi di, dedicarsi a»: cann. 246 § 5; 533 § 2;
663 § 3; 719 § 1; 937; 1039; 1248 § 2 e 12494.
Sono due, dunque, le accezioni nelle quali il termine vacatio in-
dica un vero e proprio istituto giuridico: la vacanza della legge e la va-
canza di un ufficio. Vacatio legis è una locuzione giuridica usata per in-
dicare un ben preciso momento dell’istituzione di una legge ossia il
periodo che generalmente, ma non necessariamente, intercorre tra la
promulgazione della legge e la sua effettiva applicazione. Con la pro-
mulgazione della legge questa viene intimata alla comunità come un
comando che obbliga giuridicamente, ma alla promulgazione della
legge e alla sua istituzione segue un periodo «nel quale la legge nuo-
va, pur esistendo, non ha efficacia, continuando ad essere in vigore la
legge precedente. Tale periodo è richiesto perché la comunità possa
conoscere la legge e approntare quanto necessario per la sua esecu-

1
Cf le voci in IL. Vocabolario della lingua latina, a cura di L. Castiglioni - S. Mariotti, Milano 1997, pp.
1113-1114 e in Totius Latinitatis Lexicon, ed. E. Forcellini, IV, Patavii 1771, pp. 448ss.
2
Nel CIC 1983 questi periodi di assenza, entro i quali computare le vacanze, vengono denominati feriae
(cf cann. 283 § 2 e 533 § 2).
3
La vacatio del tribunale, in questo canone, indica il fatto che nel tribunale non vi sono state le normali
attività, perché, per esempio, si trattava di un giorno festivo.
4
Anche l’utilizzazione nel senso di «dedicarsi a, occuparsi di» è da ricondursi al latino vacare inteso come
«essere libero da, aver tempo libero per» e quindi «dedicarsi a». Cf le voci in X. OCHOA, Index verborum
ac locutionum Codicis iuris canonici, Città del Vaticano 19842.
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zione»5. In riferimento invece alla vacanza di un ufficio, «vacare dici-


tur ecclesia vel praebenda, cum proprietario aut possessore caret»6.
Per ora, in modo molto generale, possiamo dire che la vacatio è il pe-
riodo nel quale un ufficio, beneficio o una sede è privo del suo titola-
re. «Vacante» è l’ufficio, beneficio o sede, considerato in se stesso, co-
me privo del proprio titolare.
In entrambi i casi esiste una «vacanza» o mancanza: di efficacia,
nel caso della legge; del titolare, nel caso dell’ufficio ecclesiastico. Vi
è anche un’altra interessante continuità nell’utilizzazione del termine
di vacatio: sia nella vacatio legis che nella vacatio di un ufficio, la leg-
ge o l’ufficio esistono, ma non esplicano completamente la loro effica-
cia e le proprie funzioni; la nuova legge esiste, ma non si applica;
l’ufficio, pure vacante del proprio titolare, non viene meno, ma conti-
nua a esistere.

La natura della «vacatio» di un ufficio nel diritto della Chiesa


Se l’istituto giuridico della vacatio legis è presente in maniera
chiara, anche a livello terminologico, sia nel diritto civile che in quel-
lo canonico, diverso è il caso della vacanza di un ufficio o di una sede.
Certo, anche il diritto civile prevede la possibilità che uno specifico uf-
ficio come, per esempio, una carica pubblica, quale quella di monarca7
o di capo dello Stato8, possa mancare del suo titolare, per morte o per

5
Cf V. DE PAOLIS, Il libro primo del Codice: norme generali (cann. 1-203), in AA.VV., Il diritto nel mistero
della Chiesa, I, Roma 19953, p. 277.
6
Cf F. X. WERNZ, Ius Decretalium, II/II, Prati 19153, p. 77, n. 313.
7
Nell’ordinamento monarchico è presente un istituto straordinario di supplenza denominato «reggen-
za», per impedire la vacanza della corona qualora il re non fosse in grado di assumere o esercitare le pro-
prie funzioni. Diversa dalla reggenza è la «luogotenenza», presupponendo quest’ultima l’esistenza e la
capacità del sovrano a esercitare le proprie funzioni. Nel Regno d’Italia la reggenza era regolata dagli
artt. 12-17 e 23 dello Statuto. Durante la minore età del re la reggenza era affidata al principe più prossi-
mo nell’ordine di successione al trono e in mancanza di parenti alla regina madre. Se anche quest’ultima
fosse mancata allora erano le camere convocate dal Consiglio dei ministri a eleggere il reggente (cf E.
BALOCCHI, «Reggenza», in AA.VV., Grande Dizionario Enciclopedico, vol. 15, Torino 1977, pp. 698-699). Può
essere interessante osservare come il reggente eserciti le funzioni regali a nome e per conto del futuro
re, il quale, per esempio per motivi di età, non può ancora governare personalmente. Si tratta dunque
dell’esercizio di un potere in nome di un altro e non dell’istituto monarchico in quanto tale. Nel diritto ec-
clesiale, nel caso dell’amministratore diocesano, questi non esercita le proprie funzioni in nome e per
conto del futuro vescovo, ma in forza del proprio ufficio. «Nel concetto canonistico dell’ufficio […] quan-
do il titolare dell’ufficio viene a mancare, l’ufficio stesso resta vacante: per esempio, mentre nel diritto
statale non esisteva alcuna soluzione di continuità nella corona fra il momento della morte del re e
l’elezione del successore, la Sede Apostolica rimane vacante» (cf la voce «Vacanza» in AA.VV., Lessico
Universale Italiano di Lingua Lettere Arti Scienze e Tecnica, vol. 24, Roma 1981, p. 3).
8
In Italia, per esempio, per quanto riguarda il presidente della Repubblica, si può osservare come questi
«[…] esercita sempre in modo diretto e personale i suoi compiti e non può farsi sostituire, né delegare al
compimento di essi o di parte di essi altri organi o funzionari. […] Solo cause obiettive di impedimento
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altra causa, e dunque regolare i comportamenti da tenersi in tali fatti-


specie; tuttavia è significativo il fatto che il diritto canonico non solo
specifica quali comportamenti sono da tenere nel caso in cui alcuni
specifici uffici sono vacanti, ma ha sviluppato e tematizzato un vero e
proprio istituto giuridico, quello della vacanza, per l’appunto, applica-
bile a ogni ufficio ecclesiastico in quanto tale9. Un’analisi di diritto
comparato potrebbe rivelarsi interessante, ma richiederebbe anche
uno studio approfondito e una ricerca attenta tra sistemi e ordina-
menti giuridici assai diversi tra loro: non si possono infatti dimentica-
re le differenze radicali tra la figura di un capo di Stato, sia essa in re-
gimi monarchici che presidenziali o parlamentari, e una figura come
quella del Romano Pontefice. Certo è che il diritto canonico, se non in
modo esclusivo, comunque in maniera propria e singolare, ha confi-
gurato l’istituto giuridico della vacanza di un ufficio ecclesiastico e
che tale istituto non può essere compreso se non all’interno
dell’ordinamento giuridico e della natura propria della Chiesa.
È abbastanza intuibile come le ragioni per le quali il Codice ha
sviluppato una normativa sulla vacanza vadano cercate nella volontà
del Legislatore di proteggere le situazioni giuridiche soggettive dei ti-
tolari degli uffici ecclesiastici, nel buon ordine del governo per cui la
provvisione canonica deve sempre essere legata a una previa situazio-
ne che risolva alla radice la titolarità dell’ufficio e anche nel garantire
la certezza nell’identificazione del titolare dell’ufficio ecclesiastico10.
Proprio al concetto di ufficio ecclesiastico, alla sua natura e alla
sua evoluzione nel diritto ecclesiale si lega necessariamente l’istituto
giuridico canonistico della vacanza. In primo luogo perché, tenendo
presenti i cann. 153-154, si ha la vacanza non in presenza di qualsiasi
ufficio, ma solamente di uffici ecclesiastici costituiti a norma del can.

temporaneo alle funzioni (“in ogni caso in cui egli non possa adempierle”, recita l’art. 86 cost.) consento-
no, anzi determinano la sostituzione temporanea del presidente della Repubblica con il presidente del se-
nato, scelto dalla costituzione a tale funzione vicaria in virtù della neutralità di principio della sua carica.
In tali circostanze, il presidente del senato sospende l’esercizio della funzione propria e si insedia auto-
maticamente in luogo del presidente. In caso di impedimento permanente o di morte o di dimissioni del
presidente della repubblica, il presidente della camera indice l’elezione del nuovo presidente entro quin-
dici giorni, e se le camere sono sciolte o manca meno di tre mesi dalla loro cessazione, l’elezione ha luo-
go entro quindici giorni dalla riunione delle nuove camere» (G. BERTI, Manuale di interpretazione costi-
tuzionale, Padova 19943, p. 595).
9
Anche se non si tratta di un argomento decisivo può essere interessante notare come un’indagine som-
maria nelle enciclopedie del diritto civile mostri che, mentre è facile trovare la locuzione tecnica vacatio
legis o «vacanza della legge» e il corrispettivo istituto giuridico, non si trova invece un istituto giuridico
specifico e autonomo che prenda il nome di «vacanza dell’ufficio o della sede»: cf AA.VV., Enciclopedia del
diritto, Milano 1958 ss; AA.VV., Enciclopedia giuridica, Roma 1988 ss.
10
Cf J.I. ARRIETA, Can. 153, in Comentario exegético al Código de Derecho Canónico, I, Pamplona 19972,
p. 943.
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145. La vacanza si colloca, come si vedrà, all’interno della dinamica


della provvisione canonica, ossia di quell’atto necessario con il quale
l’autorità competente affida a un titolare un ufficio ecclesiastico (can.
146). Una dinamica, quella di titolare e ufficio ecclesiastico, di cui la
vacanza segnala una peculiare caratteristica: la non identità.
Infatti la vacanza sta proprio a segnalare che l’ufficio continua a
esistere nonostante la mancanza del suo titolare. La ragione di questa
mancata identità non può che essere ricercata nel servizio di ogni uf-
ficio ecclesiastico alla comunità ecclesiale: il bene della comunità esi-
ge che questa non sia mai privata del tutto di quelle funzioni che le so-
no necessarie e che sono annesse a uffici ecclesiastici, soprattutto se
questi si posizionano, all’interno della struttura gerarchica della Chie-
sa, in ruoli di peculiare responsabilità.
Tenuta presente la nota definizione del can. 145 § 1, secondo cui
«l’ufficio ecclesiastico è qualunque incarico, costituito stabilmente per
disposizione sia divina sia ecclesiastica, da esercitarsi per un fine spi-
rituale», ne consegue che nel «concetto di ufficio ecclesiastico come
espresso dal Codice, l’attività sostanziante l’ufficio ha una sua perma-
nenza anche al di là della scomparsa del titolare. Resta in essere e de-
ve pertanto venir assegnata a un nuovo soggetto»11. Alla categoria di
ufficio ecclesiastico appartiene dunque una sorta di equilibrio tra la
dimensione soggettiva e quella oggettiva12, ovvero tra la dimensione
personale e quella istituzionale del potere, equilibrio che l’istituto giu-
ridico della vacanza rileva in modo chiaro. Non si tratta comunque di
un equilibrio frutto di una qualche alchimia giuridica, quanto piuttosto
di un’espressione propria e caratteristica degli uffici ecclesiastici.
D’altra parte non si tratta neppure di una forma giuridica cristallizzata
e immutabile, quanto piuttosto di una formulazione capace di diverse
accentuazioni e declinazioni, lungo il corso della storia del diritto, in
corrispondenza dell’evoluzione storica e delle diverse percezioni ec-
clesiologiche che sono andate formulandosi. Si tratta di materia assai
ampia: basta, comunque, per i fini del nostro studio, accennare come
la vigente codificazione sull’ufficio ecclesiastico e, conseguentemente

11
Cf F. COCCOPALMERIO, Note sul concetto di ufficio ecclesiastico, in «La Scuola Cattolica» 115 (1988) 64.
12
«L’ufficio può essere considerato sotto due aspetti: oggettivo, come l’insieme delle funzioni che lo com-
pletano, cioè i diritti e doveri che gli sono inerenti […]. Soggettivo: che si riferisce propriamente
all’esercizio delle funzioni da parte dello stesso titolare che può essere una persona fisica o giuridica. I due
aspetti si completano a vicenda giacché il primo definisce il tipo o la figura dell’ufficio che si distingue dal-
le altre figure; il secondo consiste nella realizzazione pratica di dette funzioni o attribuzioni» (A. ALVAREZ,
«Ufficio ecclesiastico», in Nuovo Dizionario di diritto Canonico, Cinisello Balsamo 1993, p. 1074).
122 Gianluca Marchetti

sulla vacanza, si distanzi dalla precedente, fortemente influenzata dal


regime beneficiale, nella quale si aveva una forte visione personale,
per cui si parlava del parroco come del chierico che era parroco, piut-
tosto che dell’ufficio del parroco13. Alla mutata visione ecclesiologica
consegue, nella percezione del luogo proprio di un ufficio ecclesiasti-
co, che questi abbia una sua autonomia che gli permette di distin-
guersi meglio dai suoi titolari e questo perché l’ufficio è in vista di un
servizio alla comunità. In fondo, anche la scelta del Codice di definire
l’ufficio come «stabiliter constitutum», piuttosto che di «stabiliter col-
latum», mostra il prevalere di una nozione più oggettiva di ufficio ec-
clesiastico14.
Il fatto che il diritto si preoccupi che gli uffici ecclesiastici di pe-
culiare responsabilità nei confronti della comunità credente, pure pri-
vi del loro titolare, non solo continuino a esistere, ma che in qualche
modo continuino a esplicare alcune funzioni, mostra certamente la
natura stabile degli uffici ecclesiastici una volta che questi sono stati
costituiti15. Allo stesso tempo però viene evidenziata l’incidenza del

13
«Rispetto al Codice pio-benedettino, se non è mutato il numero dei canoni, è però mutato il posto che
l’argomento riceve nella sistematica di tutto il codice; il vecchio codice, infatti, trattava il problema con
una prospettiva del tutto diversa: della vacanza della sede si parlava per accidens, trattando dei vicari ca-
pitolari, autorità costituita per l’occasione e incaricata della reggenza fino alla nomina del nuovo vescovo.
Non era insomma la Chiesa particolare il soggetto principale della trattazione quanto piuttosto la perso-
na chiamata a reggerla in quella particolare situazione. Era questa d’altronde la prospettiva di tutto il co-
dice e che potremmo chiamare inadeguatamente una “prospettiva personalistica” nel senso che il sog-
getto non era la Chiesa ed i suoi raggruppamenti, bensì le persone che ne esercitavano l’autorità» (P.
AMENTA, Appunti sulla vacanza della sede episcopale, in «Apollinaris» 74 [2001] 358-359). «Ciascun ufficio
deve essere giuridicamente eretto in astratto (can. 148 CIC) per essere conferito successivamente ad un
titolare mediante uno dei tipi di provvista canonica […]. Riconfermando la stabilità giuridica dell’ufficio,
il codice ha anche rilevato che la mancanza di titolare non ne fa venir meno l’esistenza giuridica. […]
Benché non manchino ancora alcuni elementi del vecchio impianto, tale cambiamento pare aver segna-
to il passaggio da una considerazione dell’ufficio ecclesiastico fino ad un certo punto gius-privatista – in
quanto la trattazione tecnica dell’ufficio seguiva quella del beneficio, e la gestione della massa beneficia-
le da parte del titolare dell’ufficio rispondeva sostanzialmente ai criteri di dominio personale –, ad un in-
quadramento di stampo gius-pubblicista, legato all’esercizio di una funzione o di un ruolo pubblico in col-
legamento gerarchico» (J.I. ARRIETA, Diritto dell’organizzazione ecclesiastica, Milano 1997, pp. 144-146).
14
Nota è la diversità nella definizione di ufficio ecclesiastico tra il can. 145 («munus stabiliter constitu-
tum») e Presbyterorum Ordinis 20 («munus stabiliter collatum»). «“Stabiliter”: indica per entrambi che
l’attività dev’essere permanente. “Collatum”: significa che tale permanenza deve verificarsi nel titolare
dell’attività. In altre parole: una certa persona svolge permanentemente una certa attività. Scomparsa,
però, la suddetta persona oppure esauritosi, dopo un tempo, l’incarico in questione, l’attività medesima
non permane, non dev’essere assegnata a un nuovo titolare, deve, quindi, ritenersi estinta. “Constitu-
tum”: significa invece che nel concetto di ufficio ecclesiastico come espresso dal Codice, l’attività so-
stanziante l’ufficio ha una permanenza anche al di là della scomparsa del titolare. Resta in essere e deve
pertanto venir assegnata a un nuovo soggetto» (F. COCCOPALMERIO, Note sul concetto, cit., pp. 63-64).
15
L’ufficio ecclesiastico è costituito «stabiliter»: «[…] “in modo continuativo”, “in modo permanente”, nel
senso di “a termine indefinito”, “senza durata prestabilita”. L’attività che sostanzia l’ufficio non avrà ter-
mine, almeno nella previsione attuale dell’autorità che l’ha statuito. […] Nel caso dell’ordinazione divina,
“stabiliter” viene a significare “in modo definitivo e imprescindibile”; nel caso dell’ordinazione umana,
“stabiliter” significa “in modo permanente, anche se non necessitante”» (ibid., pp. 61-62). Interessante il
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«finem spiritualem exercendum», ossia che l’attività svolta da un uffi-


cio ecclesiastico «ha una finalità ecclesiale (“spirituale” = “ecclesia-
le”); ha, quindi, lo scopo di attuare un “bonum Ecclesiae” […]
l’attività in oggetto è un’attività della Chiesa»16. Infatti proprio perché
si tratta di attività di Chiesa e dunque del bene della comunità cre-
dente, certe funzioni annesse a determinati uffici continuano a essere
esercitate anche quando l’ufficio è vacante, oppure, per esempio, è va-
cante l’ufficio principale a cui quello in oggetto fa riferimento: basti
qui pensare al caso del vicario giudiziale vacante la sede episcopale
(cf can. 1420 § 5).
La vacanza non è un istituto permanente, quanto piuttosto transi-
torio. In altre parole il diritto non configura la situazione di vacanza di
un ufficio ecclesiastico come una situazione stabile e normale, quanto
piuttosto come una situazione eccezionale, che deve essere risolta al
più presto, da parte della competente autorità, con la nomina di un ti-
tolare legittimo, che possa occupare in maniera piena l’ufficio eccle-
siastico17. La preoccupazione del Codice affinché la vacanza di un uffi-
cio non si prolunghi nel tempo, con conseguenti danni per la comu-
nità (si pensi, per esempio, agli uffici che comportano cura d’anime e
per i quali il can. 151 richiede di provvedere senza differire la nomina
del titolare senza grave causa), può essere ravvisata anche nella nor-

caso di funzioni non continuative, saltuarie, come quello della «celebrazione di un Sinodo diocesano, che
ricorre solo a determinati periodi. Le funzioni esercitate nel caso del Sinodo cessano al cessare del Si-
nodo stesso. Non vi è dubbio, però, che tali attività, posto che ci sia un regolamento del Sinodo, siano da
ritenersi “stabiliter constitutae”, anche se da esercitarsi saltuariamente, solo, cioè, in occasione della ce-
lebrazione del Sinodo stesso. Nessun dubbio, poi, sulla necessità di una nomina» (ibid., p. 68). Eviden-
temente, stando ai cann. 153-154, non si può dire che il Sinodo, in quanto tale, sia vacante quando non è
convocato. Una volta convocato, nominati i suoi membri, stabilite mediante disposizione normativa le
funzioni da esercitarsi, sarà possibile applicare l’istituto della vacanza a quelle funzioni che, all’interno
del sinodo, a norma del can. 145, si configurano come un vero e proprio ufficio ecclesiastico.
16
Ibid., p. 61.
17
Nel caso della sede episcopale si dovrà procedere quanto prima alla nomina dell’amministratore dioce-
sano (cann. 419-421) e comunque la Santa Sede deve essere informata quanto prima della morte del ve-
scovo e dell’elezione dell’amministratore, evidentemente perché possa procedere alla provvisione della
sede rimasta vacante (can. 422). Nel caso della Sede Apostolica (cf can. 335) vige la legge speciale ovve-
ro la costituzione apostolica Universi dominici gregis [= UDG], AAS 78 (1996) 305-343, del 22 febbraio
1996. In tale costituzione è previsto che, nel tempo in cui la Sede Apostolica è vacante, al Collegio dei Car-
dinali sia affidata, oltre il disbrigo di pratiche ordinarie o indilazionabili, in modo particolare la prepara-
zione di quanto necessario all’elezione del nuovo Pontefice (cf UDG 2). Interessante pure notare come il
diritto, in situazioni dove la cura pastorale della comunità esige particolare attenzione, configuri veri e
propri uffici ecclesiastici, che intervengono nel caso di vacanza di un altro ufficio: basterebbe pensare
all’amministratore diocesano in caso di vacanza della sede episcopale e all’amministratore parrocchiale
in caso di vacanza della parrocchia. In quest’ultima fattispecie è bene ricordare che la vacanza è una del-
le ragioni previste perché il vescovo nomini un amministratore parrocchiale; questi, infatti, potrebbe es-
sere nominato anche in caso di assenza del parroco o impedimento all’esercizio dell’ufficio pastorale per
prigionia e altre cause ovvero in caso di pendenza del ricorso del parroco contro il decreto che lo rimuo-
ve dall’ufficio (cf cann. 539-541, 549, 1747 § 3).
124 Gianluca Marchetti

mativa di cui al § 3 del can. 184, che invita a rendere nota quanto pri-
ma a tutti quelli, a cui compete un qualche diritto nella provvisione, la
perdita dell’ufficio che ha sortito effetto18.

La «vacatio» nel CIC 1983: cann. 153-154


Il caso di sede vacante o vacanza della sede, nella generale con-
figurazione di tale istituto giuridico secondo i cann. 153 e 154, non
deve essere confuso con quello di «sede impedita», per quanto le
conseguenze di tali situazioni potrebbero essere coincidenti. Talvol-
ta il Codice distingue espressamente le due fattispecie dedicando
appositi capitoli, come nel caso della sede episcopale (sede impedi-
ta: cann. 412-415; sede vacante: cann. 416-430). Nel caso della Sede
Apostolica il can. 335 tratta di «sede vacante o totalmente impedita»,
mentre il can. 539, per quanto riguarda la parrocchia, parla di par-
rocchia vacante «oppure quando il parroco è impedito nell’esercizio
dell’ufficio pastorale nella parrocchia per prigionia, esilio, confino,
per inabilità o malferma salute oppure per altre cause». In breve si
può affermare che la sede è impedita quando, pur avendo il suo le-
gittimo titolare, questi non può esercitare il suo ministero pastorale,
ovvero (nel caso dei vescovi) «è totalmente impedito di esercitare
l’ufficio pastorale nella diocesi a motivo di prigionia, confino, esilio e
inabilità, non essendo in grado di comunicare nemmeno per lettera
con i suoi diocesani» (can. 412). Ben diverso è il caso di sede vacan-
te: in tale fattispecie, infatti, l’ufficio o la sede è privo di legittimo ti-
tolare.

«La provvisione di un ufficio non vacante di diritto è nulla»:


can. 153 § 1
Il Codice pone la questione della vacanza dell’ufficio ecclesiasti-
co all’interno della normativa circa la provvisione canonica. Premesso
che un ufficio ecclesiastico non può essere validamente ottenuto sen-
za provvisione canonica (can. 146), tra le norme generali al riguardo
il can. 153 § 1 afferma: «La provvisione di un ufficio non vacante di di-

18
«La tempestiva notificazione ha lo scopo di provvedere sollecitamente alla vacanza dell’ufficio e di ren-
dere più certa la decorrenza dei termini prescritti (cann. 158 § 1 e 165). Ma la sua mancanza non ha alcun
effetto giuridico» (L. CHIAPPETTA, Il Codice di Diritto Canonico. Commento giuridico-pastorale, I, Roma
19962, p. 273).
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ritto è nulla per lo stesso fatto, né diventa valida per la susseguente va-
canza». Lo stato di vacanza dell’ufficio è dunque una condizione ne-
cessaria per la validità della provvisione canonica. D’altra parte è evi-
dente che un’invalida provvisione non risolverebbe lo stato di vacanza
di un ufficio. Se l’ufficio fosse conferito a persona che non gode di
quelle condizioni richieste per la validità oppure fosse stato acquisito
per simonia (cf can. 149 §§ 1-2), la provvisione sarebbe invalida e
l’ufficio resterebbe vacante.
La norma del can. 153 § 1 rispecchia una lunga tradizione giuri-
dica riaffermata anche nella precedente codificazione la quale, al can.
150, stabiliva l’invalidità ipso facto della provvisione canonica di un uf-
ficio non vacante. Invalidità non sanata dall’eventuale susseguente va-
canza dell’ufficio. Al tempo stesso era dichiarata priva di effetto giuri-
dico qualsiasi promessa di un ufficio non vacante di diritto, da chiun-
que questa fosse stata fatta. Il can. 2395, inoltre, sanzionava chi avesse
scientemente accettato la collazione di un ufficio, beneficio o dignità
ecclesiastica non vacante di diritto e vi fosse stato immesso nel pos-
sesso, dichiarandolo ipso facto inabile all’ufficio stesso, oltre che pu-
nibile con altre pene in rapporto alla colpa.
Circa la nozione di ufficio vacante, coerentemente con la dottri-
na tradizionale, un ufficio è vacante quando non ha un titolare o un
possessore che sia stato legittimamente investito in forza della prov-
visione canonica di cui ai cann. 146 e seguenti.
Tradizionalmente si danno tre fattispecie in merito alla vacanza
di un ufficio ecclesiastico:
1. un ufficio vacante di diritto e di fatto: non ha titolare né pos-
sessore attuale (de iure et de facto);
2. un ufficio non ha il legittimo titolare, cioè colui al quale è stato
legittimamente conferito dall’autorità competente l’ufficio, ma è
ugualmente occupato, certo in modo abusivo e illegittimo, da qualcu-
no che non voglia andarsene (de iure tantum, non de facto). Si tratte-
rebbe di un’occupazione abusiva perché, per esempio, l’ufficio è stato
conferito da un’autorità incompetente, quindi il titolo per cui l’ufficio
è occupato è invalido; oppure, colui che occupa l’ufficio è sprovvisto
di qualsiasi titolo, perché non vi è mai stato un titolo legittimo oppure
perché è venuto meno;
3. infine, potrebbe darsi il caso che sia avvenuta la provvisione
canonica; vi è, dunque, un titolare dell’ufficio con un vero e proprio
ius in rem, ma questi non può prendere possesso dell’ufficio o è impe-
dito a farlo. L’ufficio, dunque, ha di per sé un titolare legittimo, ma di
126 Gianluca Marchetti

fatto questi non ha il possesso dell’ufficio e non vi esercita concreta-


mente le funzioni annesse (de facto tantum, non de iure)19.
Riprendendo le distinzioni operate dalla dottrina possiamo dire
che la vacanza oggetto dell’attenzione del Codice è quella di diritto o
di diritto e di fatto, non quella solo di fatto. Questo è comprensibile:
l’ufficio vacante di fatto e non di diritto, non è propriamente un ufficio
vacante; ha, infatti, il suo legittimo titolare. Negli altri due casi, inve-
ce, l’ufficio è vacante: vuoi perché non ha nessun titolare o possesso-
re, vuoi perché il possessore non lo possiede legittimamente e dun-
que non ne è legittimamente titolare.
Il Codice stabilisce dunque un principio generale: non può esse-
re fatta la provvisione canonica di un ufficio che non sia vacante di di-
ritto e di fatto o, almeno, di diritto. Rigorosamente parlando il testo
del Codice non parla di vacanza di diritto e di fatto, ma solo di vacan-
za di diritto: evidentemente è sottintesa la situazione di vacanza «pie-
na», quella appunto di diritto e di fatto. Prescrivere che un ufficio deb-
ba essere vacante di diritto quale condizione di validità della provvi-
sione canonica sotto pena dell’invalidità, significa che, se l’ufficio non
fosse vacante di diritto, sarebbe invalida, riprendendo la dottrina tra-
dizionale in merito alla provvisione canonica, sia la designazione del-
la persona sia la concessione del titolo sia, infine, la presa di possesso
dell’ufficio. Altrettanto chiaro è che, senza la vacanza di diritto
dell’ufficio, non può neppure essere esercitato validamente il diritto
di presentazione o di elezione canonica (cf cann. 158 § 1 e 165)20.
L’invalidità della provvisione canonica di un ufficio non vacante di di-
ritto non può essere sanata neppure nell’eventualità che, dopo aver
fatto la provvisione, l’ufficio si rendesse vacante21.

L’ufficio conferito a tempo determinato: can. 153 § 2


Al principio generale per cui non può essere fatta valida provvi-
sione di un ufficio che non sia vacante di diritto, il can. 153 § 2 stabili-
sce un’eccezione: il caso di un ufficio conferito a tempo determinato.
In questo caso la provvisione può essere fatta fino a sei mesi prima;
questa, comunque, avrà effetto solo dal giorno in cui l’ufficio in ogget-

19
Cf J. GARCÍA MARTÍN, Le norme generali del Codex Iuris Canonici, Roma 19962, p. 551.
20
Cf J.I. ARRIETA, Can. 153, cit., p. 943.
21
«Gli atti nulli infatti non si convalidano con il solo trascorrere del tempo o con la cessazione della causa
di nullità. Il motivo poi per cui il legislatore dispone tale nullità è per evitare patteggiamenti ed abusi» (V.
DE PAOLIS, Il libro primo del Codice, cit., p. 458).
La «vacatio» di un ufficio ecclesiastico: annotazioni circa un istituto giuridico canonistico 127

to diventerà vacante22. La norma del can. 153 § 2, dal momento che ri-
guarda la natura temporale dell’ufficio e non il sistema di provvisione
che deve essere seguito nel conferimento, può essere applicata non
solo agli uffici ai quali l’autorità competente provvede per libera colla-
zione, ma anche a quelli che comportano l’esercizio del diritto di pre-
sentazione o di elezione23.
Chiaramente il can. 153 § 2 è riferito a un ufficio conferito a tem-
po determinato e non a quegli uffici per i quali è eventualmente pre-
vista una scadenza legata all’età del titolare. Inoltre si può osservare
come l’effetto di questa provvisione anticipata scatta non con il com-
pimento del tempo, ma con la vacanza dell’ufficio. Si deve allora tener
presente il dettato del can. 186: «Allo scadere del tempo prestabilito o
raggiunti i limiti di età, la perdita dell’ufficio ha effetto soltanto dal
momento in cui è intimata per scritto dalla competente autorità». Poi-
ché l’intimazione è per la validità, ne consegue che se non c’è intima-
zione non vi è perdita dell’ufficio e dunque neppure vacanza, per cui
la nomina fatta in forza del can. 153 § 2 non avrebbe effetto24.
Una nota a parte merita la figura del vescovo coadiutore. Questi,
a norma del can. 403 § 3, può essere costituito d’ufficio dalla Santa Se-
de se ciò risultasse opportuno per aiutare il vescovo diocesano. Il ve-
scovo coadiutore, oltre a essere fornito di speciali facoltà, gode del di-
ritto di successione, ciò significa che, una volta costituito, ha uno ius
ad rem rispetto alla sede di cui è coadiutore, anche se questa non è an-
cora vacante: non appena la sede diventerà vacante, il vescovo coadiu-
tore potrà automaticamente succedere alla titolarità della sede stessa.

22
«La finalità della norma è duplice: che si possa provvedere alla provvisione prima della vacanza e che il
futuro titolare abbia la possibilità di prepararsi adeguatamente» (J. GARCÍA MARTÍN, Le norme generali,
cit., p. 552).
23
Cf J.I. ARRIETA, Can. 153, cit., p. 943.
24
La disposizione codiciale non solo vuole garantire la certezza del diritto che potrebbe essere messa in
discussione da dimenticanze o ritardi, ma riflette anche la preoccupazione di evitare automatismi legati,
per esempio, a fatti temporali, come il raggiungimento di una certa età; ecco perché si rende necessario
comunque un vero e proprio intervento dell’autorità, un atto formale, che dichiari o notifichi la perdita
dell’ufficio. «In assenza dell’intimazione, che sola produce la perdita dell’ufficio (non esige accettazione,
anche se bisogna poter dimostrare che è effettivamente avvenuta), l’interessato ha diritto a sollecitare
l’autorità a provvedere o può presentare rinuncia […]. La nomina del nuovo titolare può avvenire solo do-
po regolare intimazione della perdita dell’ufficio, altrimenti è invalida. Qualora l’autorità competente, uti-
lizzando la possibilità prevista nel can. 153 § 2, provveda alla nomina nei sei mesi precedenti la scadenza,
affinché essa abbia effetto, dovrà procedere all’intimazione entro il tempo stabilito per il decorso della no-
mina del nuovo titolare (che può essere successivo a quello della scadenza naturale): un’intimazione in
data successiva rende la nomina invalida. Non occorre intimazione se il titolare dell’ufficio viene ricon-
fermato per un altro mandato» (C. REDAELLI, Can. 186, in Codice di diritto canonico commentato, a cura
della Redazione di «Quaderni di diritto ecclesiale», Milano 2001, p. 208). Cf anche G.P. MONTINI, Il mo-
mento della vacanza di un ufficio conferito per un tempo determinato o fino a una determinata età (can.
186), in «Quaderni di diritto ecclesiale» 9 (1996) 195-208.
128 Gianluca Marchetti

L’ufficio vacante di diritto, ma non di fatto: can. 154


Il can. 154 si sofferma sul caso in cui l’ufficio sia vacante di dirit-
to, ma non di fatto e dunque posseduto in modo illegittimo da qualcu-
no25, che evidentemente non intende lasciare il possesso dell’ufficio.
In questa fattispecie l’autorità competente potrebbe comunque proce-
dere alla provvisione canonica a patto che dichiari che il possesso è il-
legittimo e tale dichiarazione venga menzionata nel documento in cui
l’ufficio viene conferito.
Deve dunque essere provata l’illegittimità del possesso
dell’ufficio affidata dal Codice a una dichiarazione dell’autorità com-
petente, circa le modalità della quale il can. 154 prevede semplice-
mente che questa venga fatta rite, il che può significare, a seconda
dei casi, mediante una sentenza giudiziaria oppure un decreto ese-
cutivo e cioè per via amministrativa. Tale dichiarazione dovrà poi es-
sere menzionata nel decreto di conferimento dell’ufficio. Per quanto
non sembri che tale dichiarazione debba considerarsi necessaria per
la validità (perlomeno non in forza della particella dummodo, che è
richiesta per la validità negli atti amministrativi singolari)26, tuttavia
non si può negare l’opportunità che questa venga fatta, per rispetto
all’ufficio stesso, ma anche nei confronti di colui al quale questo vie-
ne legittimamente conferito. Comunque, se l’autorità competente
conferisse un ufficio posseduto illegittimamente, ma vacante di di-
ritto, senza dichiararne il possesso illegittimo e farne menzione
nell’atto di provvisione, tale provvisione non sarebbe per ciò stesso
nulla. Utile pure osservare che la dichiarazione di illegittimo pos-
sesso e la sua menzione nel documento di conferimento dell’ufficio
ovvero di provvisione canonica, sono due atti giuridici separati e au-
tonomi, per quanto possano concretamente trovarsi nel medesimo
scritto. Ciò significa che ciascuno di essi, autonomamente, è sog-

25
Si parla qui di possesso illegittimo dell’ufficio; qualcuno, infatti, potrebbe possedere l’ufficio legittima-
mente, pur non essendone il legittimo titolare, perché, per esempio, agisce a titolo di sostituto (cf J.I. AR-
RIETA, Can. 154, in Comentario exegético al Código de Derecho Canónico, cit., p. 945).
26
Così V. DE PAOLIS, Il libro primo del Codice, cit., p. 459, nota 4 e la maggior parte dei commentatori. In-
terpreta diversamente, richiamando il can. 39, in favore della necessità ad validitatem della dichiarazione
e della menzione L. CHIAPPETTA, Il Codice di diritto canonico, cit., p. 240. La posizione non è condivisibile,
perché «la particella del canone non riguarda nessuna condizione essenziale apposta nell’atto ammini-
strativo, che ancora non esiste, ma la stessa legge» (J. GARCÍA MARTÍN, Le norme generali, cit., pp. 553-
554). Quest’ultimo aggiunge: «Tuttavia queste condizioni (cioè la dichiarazione e la menzione) possono
essere richieste per la validità del nuovo conferimento qualora il possesso dell’ufficio sia fondato sulla
buona fede (can. 198). In tal caso l’ufficio non può essere conferito senza aver prima dichiarato che tale
possesso è illegittimo, cioè che l’ufficio è vacante, perché fino a quel momento l’ufficio non è considerato
tale».
La «vacatio» di un ufficio ecclesiastico: annotazioni circa un istituto giuridico canonistico 129

getto alle normali procedure per gli atti giuridici, come la nullità, i ri-
corsi ecc.27
La dottrina precedente considerava inutile, nei casi di notoria il-
legittimità del possesso di un ufficio ecclesiastico, l’atto dichiarativo
previo alla provvisione; si deve, tuttavia, attenersi alla norma del ca-
none visto che l’attuale possessore probabilmente potrebbe resistere
al tentativo dell’autorità competente di provvedere con un legittimo ti-
tolare, ricercando ogni possibilità di ricorso, soprattutto sulle norme
procedurali28.
La dichiarazione di illegittimo possesso è anche funzionale
all’interruzione della prescrizione acquisitiva. Infatti, il can. 199, 6° sta-
bilisce che non sono sottoposti a prescrizione acquisitiva i soli uffici ec-
clesiastici che a norma del diritto richiedono l’Ordine sacro. Pertanto
un ufficio posseduto illegittimamente, ma con buona fede (can. 198),
che non implichi l’esercizio dell’Ordine sacro, potrebbe vedere conso-
lidata la posizione del suo possessore29. Non a caso, nella precedente
codificazione, il can. 1446 consolidava la posizione di chi, in buona fe-
de, ma sulla base di un titolo invalido, possedeva alcuni tipi di benefici
ecclesiastici, stabilendo che, dopo tre anni, potesse ottenerli a pieno di-
ritto, per legittima prescrizione, purché non vi fosse stata simonia.
Un caso particolare di applicazione del canone in oggetto è, co-
me si vedrà più oltre, quello della rimozione ipso iure da un ufficio ec-
clesiastico di coloro che incorrono nella previsione del can. 194: la di-
chiarazione ivi richiesta al § 2 per poter urgere la rimozione
dall’ufficio deve essere intesa come utile a conseguire gli effetti della
dichiarazione di illegittimità del can. 15430.
Sempre in merito ai cann. 153-154 si possono fare alcune osser-
vazioni generali che troveranno poi interessanti riscontri quando si
affronteranno le fattispecie che possono comportare la vacanza di un
ufficio.
Questi canoni pongono chiaramente la loro attenzione soprattut-
to sulla legittima titolarità di un ufficio ecclesiastico, per cui il can. 153
dichiara invalida la provvisione di un ufficio non vacante di diritto e il
can. 154 ritiene vacante un ufficio posseduto illegittimamente, che, in-
fatti, osservate le debite prescrizioni, può essere validamente conferi-
to: l’accento cade sulla certezza del diritto per cui un ufficio ecclesia-
27
Cf J.I. ARRIETA, Can. 154, cit., p. 946.
28
Cf l. cit.
29
Cf F.J. URRUTIA, De normis generalibus. Adnotationes in codicem: liber I, Romae 1983, p. 103.
30
Cf J.I. ARRIETA, Can. 154, cit., p. 946.
130 Gianluca Marchetti

stico deve avere il suo legittimo titolare. Con la valida provvisione ca-
nonica un ufficio vacante di diritto o di diritto e di fatto cessa di esse-
re vacante, così come, d’altra parte, se l’ufficio non fosse vacante di di-
ritto o di diritto e di fatto, la provvisione sarebbe invalida. In altre par-
ti del Codice, quando cioè l’istituto della vacanza viene concretamente
applicato, si trova un’attenzione maggiore al fatto che l’ufficio eccle-
siastico non solo abbia un legittimo titolare, ma che questi ne eserciti
anche effettivamente le funzioni annesse; infatti viene sottolineata, co-
me si avrà occasione di segnalare, nella fattispecie, per esempio, del
trasferimento tra sedi episcopali, non solo la nomina del titolare di un
ufficio, ma anche la presa di possesso dell’ufficio stesso, sempre da
parte del legittimo titolare (cf cann. 382; 404 §§ 1-2; 527). I cann. 153-
154 fissano dunque gli elementi costitutivi generali ed essenziali della
vacanza, quasi, si potrebbe dire, intesa in modo statico, per cui se non
si tenesse conto di come il Codice stesso, in modo dinamico, applica
l’istituto della vacanza alla vita concreta degli uffici ecclesiastici, si po-
trebbe correre il rischio di pensare gli uffici ecclesiastici come fun-
zioni astratte, per quanto costituite legittimamente per un fine eccle-
siale. Se con la valida provvisione cessa la vacanza di diritto, con tutte
le conseguenze che questo comporta in merito alle vicende giuridi-
che dell’ufficio stesso, la natura dell’ufficio ecclesiastico richiede non
solo che il munus exercendum31 venga a costituire un vero e proprio uf-
ficio ecclesiastico a norma del can. 145 e non solo che ci sia un legitti-
mo titolare e dunque l’ufficio sia legittimamente esercitabile, ma an-
che che sia esercitato concretamente, da parte del legittimo titolare,
per il bene della comunità.

L’intervento di supplenza del can. 155


Se l’ufficio fosse vacante e l’autorità competente non provvedes-
se al conferimento, potrebbe intervenire un’altra autorità a conferire
l’ufficio stesso. Si tratta di un intervento di supplenza, per cui se colui
al quale spetta ordinariamente di fare la provvisione non fa quanto gli
compete, gli subentra allora un’altra autorità, con un ruolo suppletivo.
I motivi per cui l’autorità competente non interviene possono essere
molteplici, legati, per esempio, a un’impossibilità o a un impedimento

31
«Alcune di queste attività ecclesiali sono qualificabili come “officia”: quelle, cioè, “stabiliter constitu-
tae”, statuite in qualche normativa e quindi conferite con nomina a molteplici e successivi titolari» (F.
COCCOPALMERIO, Note sul concetto, cit., p. 73).
La «vacatio» di un ufficio ecclesiastico: annotazioni circa un istituto giuridico canonistico 131

fisico, come la malattia, l’esilio ecc. Può trattarsi anche di motivi mo-
rali, come negligenza, dissapori e conflitti; oppure giuridici, come la
proibizione a esercitare l’ufficio, di cui al can. 41532. Tale intervento di
supplenza non muta comunque la posizione giuridica di colui al quale
l’ufficio viene affidato rispetto all’autorità da cui dipende33. Il Codice
prevede esplicitamente un solo caso di supplenza, nel can. 421 § 2: se,
entro otto giorni dal momento in cui si è ricevuta notizia che la sede
episcopale è vacante, il collegio dei consultori non avesse provveduto
alla nomina dell’amministratore diocesano, allora la sua nomina pas-
serebbe al Metropolita e, nel caso di vacanza della sede metropolita-
na, passerebbe al vescovo suffraganeo più anziano per promozione.

Le cause della vacanza: alcune fattispecie


Dopo aver delineato alcuni elementi costitutivi dell’istituto giuridi-
co della vacanza secondo il dettato codiciale dei cann. 153-154, si consi-
derano alcune fattispecie che possono originare la vacanza degli uffici
ecclesiastici. Può essere di aiuto il can. 184, che indica i modi attraver-
so i quali si può perdere un ufficio e, dunque, di conseguenza, questo
potrebbe diventare vacante34. Certo è bene ricordare che perdita
dell’ufficio e vacanza dello stesso non coincidono; per questo, proprio
nel can. 184, tra le cause della perdita dell’ufficio, non viene annoverata
la morte del titolare35. Sulla scorta delle indicazioni codiciali si possono
individuare almeno otto fattispecie causa della vacanza di un ufficio.

32
Cf J. GARCÍA MARTÍN, Le norme generali, cit., p. 554.
33
Colui che supplisce «non acquista nessuna potestà sulla persona che ha ricevuto l’ufficio perché la sua
potestà era delegata solo per quel caso concreto e si è esaurita con il conferimento dell’ufficio. La condi-
zione della persona, di conseguenza, non cambia e rimane sottoposta all’autorità che era competente per
il conferimento» (J. GARCÍA MARTÍN, Le norme generali, cit., pp. 554-555).
34
Tradizionalmente si distingue tra la perdita piena dell’ufficio, la perdita dell’ufficio di fatto e quella di di-
ritto. La perdita piena si ha quando dell’ufficio si ha la perdita della titolarità e del possesso. La perdita di
fatto si ha quando il titolare, pur mantenendo il diritto all’ufficio, ne ha perso il possesso, perché, per
esempio, ha rinunciato invalidamente allo stesso per timore. La perdita solo di diritto si ha quando qual-
cuno ha perso la titolarità dell’ufficio, ma ne mantiene il possesso. Interessante notare come le fattispecie
di perdita dell’ufficio possono essere lette in parallelo con quelle della vacanza. Al tempo stesso è impor-
tante osservare come la perdita di un ufficio e la conseguente vacanza siano cosa ben diversa dalla so-
spensione dall’ufficio, alla quale, infatti, non consegue la vacanza dello stesso. La sospensione non tocca
la titolarità di un ufficio, ma comporta solo l’impedimento o la proibizione all’esercizio di alcune funzioni
proprie dell’ufficio (cf, per esempio, cann. 1331 § 1, 3°; 1333 § 1). Cf P. GEFAELL, Can.184, in Comentario
exegético al Código de Derecho Canónico, cit., pp. 1035-1036. Evidentemente si potrebbe avere la perdita
dell’ufficio anche in forza della soppressione dell’ufficio stesso da parte della competente autorità (cf can.
148). Tale fattispecie non tocca però la nostra ricerca visto che, una volta soppresso, l’ufficio non esiste-
rebbe più e dunque non potrebbe essere vacante.
35
Cf «Communicationes» 14 (1982) 153.
132 Gianluca Marchetti

Morte del titolare


In caso di morte del titolare la vacanza dell’ufficio sarà ipso facto.
Così avviene, per esempio, per la Sede Apostolica e per quella episco-
pale (cf can. 416).
Il fatto che il can. 417 precisi che tutto ciò che viene compiuto dal
vicario generale o dal vicario episcopale ha valore finché essi non han-
no ricevuto notizia certa della morte del vescovo diocesano, potrebbe
far sorgere il dubbio che la vacanza vera e propria di un ufficio si rea-
lizzi non quando il titolare muore, ma quando si ha notizia certa della
sua morte.
Evidentemente, però, il can. 417, per ragioni pratiche legate alla
continuità di governo e al bene della comunità, proroga ex iure la po-
testà vicaria che, invece, la vacanza della sede episcopale farebbe ve-
nir meno se, appunto, non vi fosse tale intervento del diritto stesso. La
vacanza della sede si ha dunque ex tunc, dal momento della morte del
vescovo, anche se il diritto può prevedere che alcuni effetti di quella
abbiano a svilupparsi dal momento in cui si ha notizia certa della mor-
te del titolare.
Se dunque lo stato giuridico di sede vacante si ha nel momento in
cui muore il titolare, con tutte le conseguenze che questo comporta
(per esempio, nel computo del tempo), senza bisogno di dichiarazioni
pubbliche o constatazioni di decesso, tuttavia alcuni problemi molto
concreti potrebbero sorgere nel caso in cui si ignori se il vescovo è real-
mente morto, oppure quando questi è scomparso e non dà più notizia
di sé. Tali situazioni, che potrebbero determinare una grave incertezza,
per esempio, nella guida di una comunità, richiedono opportunamente
un intervento dell’autorità competente. Questa potrebbe dichiarare la
sede vacante o, perlomeno, impedita, in forza del fatto che il legittimo ti-
tolare non può comunicare neppure per lettera con la sua comunità (cf
can. 412) e quindi attivare le procedure previste per tali casi.

Scadenza del tempo prestabilito


Un ufficio ecclesiastico potrebbe essere perso con lo scadere del
tempo prestabilito se, appunto, conferito a tempo determinato secon-
do il diritto universale, le leggi particolari, gli statuti o le leggi di fon-
dazione. Quanto al diritto universale si pensi, per esempio, agli uffici
del vicario generale ed episcopale, che possono essere a tempo deter-
minato (can. 481 § 1); al vicario episcopale, che, se non è vescovo au-
La «vacatio» di un ufficio ecclesiastico: annotazioni circa un istituto giuridico canonistico 133

siliare, deve essere nominato a tempo determinato (can. 477 § 1); ai


membri del consiglio per gli affari economici diocesano, che devono
essere nominati per un quinquennio, anche se rinnovabili (can. 492 §
2); all’economo diocesano, che deve essere nominato per un mandato
di cinque anni rinnovabile (can. 494 § 2); ai membri del consiglio pre-
sbiterale, che sono da nominare per un tempo determinato, in modo
che in cinque anni si rinnovi tutto il consiglio o parte di esso (can. 501
§ 1); ai membri del collegio dei consultori, che sono da nominare per
un quinquennio a norma del can. 502 § 1; al consiglio pastorale dioce-
sano, che deve essere costituito per un tempo determinato (can. 513 §
1); al vicario foraneo, che deve essere nominato per un tempo stabili-
to dal diritto particolare (can. 554 § 2); ai superiori degli istituti reli-
giosi e delle società di vita apostolica, che devono essere costituiti per
un tempo determinato, salvo che le costituzioni dispongano diversa-
mente (cann. 624 e 734); al vicario giudiziale, ai vicari aggiunti e ai giu-
dici diocesani, che sono da nominare a tempo determinato (can.
1422). Il can. 522 prevede che i vescovi possano, se ciò è ammesso con
un decreto della conferenza episcopale, conferire per un tempo deter-
minato l’ufficio di parroco36. Nella curia romana i Prefetti, i Presidenti,
i membri, i Segretari e gli altri Officiali maggiori, oltre che i consulto-
ri vengano nominati per un quinquennio37.
A norma del can. 186, tuttavia, la perdita dell’ufficio e la vacanza
si ha solo nel momento in cui vi è l’intimazione scritta da parte
dell’autorità competente38. Non è mai il fatto oggettivo del trascorrere
del tempo o il raggiungimento del termine stabilito a determinare la
perdita dell’ufficio, ma l’intervento dell’autorità. Se questo intervento
non ha luogo, non è illegittimo ritenere che l’autorità abbia inteso pro-

36
In Italia la conferenza episcopale ha deliberato che i vescovi possano nominare i parroci «ad certum
tempus» e che tale nomina a tempo determinato, se fatta, abbia la durata di nove anni (cf delibera n. 5, 23
dicembre 1983, in «Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana» 1983, 209 e delibera n. 17, 6 settem-
bre 1984, ibid., 1984, 204).
37
GIOVANNI PAOLO II, costituzione apostolica Pastor bonus [= PB], 28 giugno 1988, art. 5 § 1.
38
A proposito dell’intimazione si può notare come «nel caso in cui il limite di tempo per l’ufficio sia de-
terminato (legislativamente o amministrativamente) dalla stessa autorità che è competente a provvede-
re, non si può avanzare da parte del titolare alcun diritto all’intimazione e non si può affermare che esi-
sta alcun dovere dell’autorità alla medesima intimazione […]. Nel caso invece in cui il termine di tempo
sia definito dal diritto universale o dal diritto particolare promulgato dall’autorità superiore, esiste nel ti-
tolare dell’ufficio un diritto tutelato all’intimazione che ponga fine a uno stato in cui egli possiede l’ufficio,
ma non nella forma stabile in cui lo richiede l’ordinamento (cf almeno can. 193 § 2), ma ad nutum […].
L’eventuale ricorso presentato all’autorità competente secondo la normativa propria del sistema canoni-
co di giustizia amministrativa potrà sortire una dichiarazione di illegittimità della mancata intimazione,
fino a un’intimazione direttamente posta o dall’autorità superiore a quella competente o dallo stesso Su-
premo Tribunale della Segnatura Apostolica, adito nelle forme dovute» (G.P. MONTINI, Il momento della
vacanza di un ufficio, cit., p. 205).
134 Gianluca Marchetti

rogare tacitamente il titolare nel possesso dell’ufficio, che dunque


questi mantiene con pieno titolo.

Raggiungimento dei limiti di età definiti dal diritto


Il Codice non prevede esplicitamente singoli casi in cui, raggiunta
una certa età, si abbia una cessazione automatica dall’ufficio e dunque
la vacanza dello stesso. Nei canoni 354, 401 § 1, 411 e 538 § 3 si trova
semplicemente l’invito fatto ai Cardinali preposti ai dicasteri e agli altri
organismi permanenti della curia romana o della Città del Vaticano, ai
vescovi diocesani, coadiutori e ausiliari, e ai parroci, a presentare, al
compimento del settantacinquesimo anno di età, la rinuncia all’ufficio39.
L’invito, dunque, a presentare la rinuncia all’ufficio, compiuti i settanta-
cinque anni, non solo non costituisce, di per sé, un obbligo giuridica-
mente sanzionato, ma neppure deve essere letto nel senso che il com-
pimento dell’età costituisca una causa di cessazione dall’ufficio: si trat-
ta comunque di un caso di rinuncia e alle norme sulla rinuncia bisogna
fare riferimento. Al limite, se sarà il caso, l’autorità competente potrà va-
lutare se contestualmente al rifiuto di presentare rinuncia si manifesti-
no cause che possano rientrare tra le cause legittime per la rimozione
dall’ufficio e quindi procedere a norma del diritto (cf, per esempio,
cann. 1740-1747). Nel caso che l’ufficio sia conferito a condizione che
raggiunta una certa età il titolare lo perda, sarà necessaria l’intimazione
da parte dell’autorità competente perché avvenga effettivamente la per-
dita dell’ufficio e questo sia dunque vacante di diritto, così come stabi-
lito dal can. 186. La perdita dell’ufficio e dunque la sua vacanza non sa-
rebbero comunque da legarsi direttamente al raggiungimento di una
certa età, quanto piuttosto a un atto dell’autorità competente.

Rinuncia del titolare


A norma del can. 189 § 1, la rinuncia, perché abbia valore, deve
essere fatta all’autorità cui compete la provvisione dell’ufficio di cui si
tratta, per iscritto oppure oralmente di fronte a due testimoni40. Si pre-
39
Cf G.P. MONTINI, «Il vescovo diocesano a settantacinque anni è pregato di presentare rinuncia». Conside-
razioni sul canone 401 § 1, in AA.VV., Il Vescovo e la sua Chiesa, Brescia 1996, pp. 215-253. L’art. 5 § 2 PB,
per esempio, dispone che i Cardinali capi dicastero sono pregati di presentare rinuncia al compimento
del settantacinquesimo anno di età; gli arcivescovi presidenti, i segretari, invece, cessano dal loro incari-
co a settantacinque anni; i membri dei vari organismi di curia cessano raggiunti gli ottant’anni.
40
Il can. 189, diversamente dal can. 186 del CIC 1917, non prevede più la possibilità della rinuncia tramite
procuratore munito di mandato speciale. Alcuni Autori (cf L. CHIAPPETTA, Il Codice di Diritto Canonico,
La «vacatio» di un ufficio ecclesiastico: annotazioni circa un istituto giuridico canonistico 135

suppone sempre, evidentemente, che si tratti di una valida rinuncia,


ossia che sia conforme ai requisiti sostanziali e formali di cui ai cann.
187-189. A norma del can. 187 la rinuncia potrà essere fatta per giusta
causa e da persona capace di un atto umano, mentre il can. 189 § 2 ri-
corda che potrà essere accettata per causa giusta e proporzionata, la
cui valutazione, evidentemente, spetterà all’autorità competente a ri-
cevere la rinuncia. La rinuncia per timore grave ingiustamente incus-
so, per dolo o per errore sostanziale o per simonia, è nulla in forza del
diritto (can. 188) con tutte le conseguenze che questo comporterà in
sede di un ricorso gerarchico o di una causa amministrativa41. Ora,
senza entrare nel merito delle norme circa l’istituto della rinuncia e la
sua validità, ciò che più interessa il nostro studio è l’accettazione ed ef-
ficacia della rinuncia: solo infatti quando la rinuncia viene accettata ed
esplica la sua efficacia si ha perdita dell’ufficio e dunque vacanza del-
lo stesso. Si deve distinguere preliminarmente la rinuncia che ha bi-
sogno di essere accettata per conseguire i suoi effetti e quella che non
ha bisogno di essere accettata42. Infatti, se la rinuncia non ha bisogno
di accettazione, nel momento in cui questa è comunicata a chi di do-
vere l’ufficio sarà vacante di diritto; se, invece, la rinuncia ha bisogno
di accettazione, la rinuncia avrà effetto e l’ufficio sarà vacante nel mo-
mento in cui l’autorità competente avrà accettato la rinuncia. Il Codice
prevede due casi di rinuncia che non abbisognano di accettazione:
quella del Romano Pontefice e quella dell’amministratore diocesano.
Se il Romano Pontefice rinuncia al suo ufficio, perché tale rinuncia
sia valida e consegua i suoi effetti, si richiede semplicemente che sia

cit., p. 277, n. 1229 e F.J. URRUTIA, De normis generalibus, cit., p. 121) in forza della regula iuris 68 («Pote-
st quis facere per alium quod potest facere per seipsum») ritengono che tale possibilità non sia stata sop-
pressa. Ovviamente la forma scritta od orale davanti a due testimoni è da ritenersi per la validità e non so-
lo per la liceità (cf L. CHIAPPETTA, Il Codice di Diritto Canonico, cit., p. 277; P. GEFAELL, Can.189, cit., p.
1055).
41
Cf P. GEFAELL, Can.188, in Comentario exegético al Código de Derecho Canónico, cit., pp. 1051-1053.
42
Scompare nel Codice vigente la distinzione tra rinuncia espressa e quella tacita del can. 188 del CIC
1917, per la scelta di considerare alcuni atteggiamenti non più come rinuncia tacita all’ufficio, ma causa
di rimozione ipso iure; infatti, diverse delle fattispecie del can. 188 del CIC 1917 rientrano attualmente nel
can. 194 (cf «Communicationes» 21 [1989] 229). Circa la rinuncia sotto condizione, il can. 1743, relativa-
mente alla rinuncia all’ufficio di parroco, ricorda che: «La rinuncia può essere fatta dal parroco non sol-
tanto in maniera pura e semplice, ma anche sotto condizione, purché questa possa essere legittimamen-
te accettata dal vescovo e di fatto egli la accetti». Avendo l’attuale codificazione soppresso il sistema be-
neficiale (cf can. 1272) si possono ritenere del tutto superate le prassi in uso, soprattutto nel diritto
precodiciale, secondo le quali era possibile rinunciare a un ufficio e all’annesso beneficio a favore di una
terza persona oppure riservandosene i frutti. In ogni caso chi rinuncia può sempre esprimere alcuni de-
siderata insieme con la sua rinuncia, da sottoporre alla discrezionalità dell’autorità competente, senza co-
munque che l’accettazione della rinuncia debba obbligatoriamente implicare anche l’accettazione delle
indicazioni o dei desiderata espressi nella rinuncia stessa (cf P. GEFAELL, Can.187, in Comentario exegéti-
co al Código de Derecho Canónico, cit., pp. 1048-1049).
136 Gianluca Marchetti

fatta liberamente e dunque priva di difetti e vizi di volontà che rendo-


no invalido un atto giuridico (cf cann. 124-128; 187-189), e che, inoltre,
venga debitamente manifestata (can. 332 § 2), ossia che consti chiara-
mente della stessa. Non si richiede una forma determinata e tanto me-
no un interlocutore specifico al quale venga comunicata, come, per
esempio, il collegio cardinalizio43.
Per l’amministratore diocesano, il can. 430 § 2 prevede che
l’eventuale rinuncia dell’ufficio debba essere presentata in forma au-
tentica al collegio competente per l’elezione e non abbia bisogno di
accettazione. Dunque, nei casi in cui la rinuncia non ha bisogno di
essere accettata, la sola comunicazione della valida rinuncia a nor-
ma del diritto (can. 189 § 3), ne determina l’efficacia e comporta la
sua irrevocabilità (cf can. 189 § 4) e la vacanza dell’ufficio. In altri ca-
si l’ufficio sarà vacante solo nel momento in cui la valida rinuncia
verrà accettata dall’autorità competente, ossia quella competente
per la provvisione dell’ufficio. Per esempio, per quanto riguarda il
vescovo diocesano, la sede sarà vacante quando la sua valida rinun-
cia sarà stata accettata dal Romano Pontefice (can. 416); per il par-
roco, quando la sua rinuncia sarà accettata dal vescovo diocesano.
Proprio per la norma di cui al can. 187 non pare possibile la rinuncia
da parte del curatore di un titolare di un ufficio divenuto incapace di
intendere e di volere: per provocare la vacanza dell’ufficio si potrà
usare la sola via della rimozione44. L’autorità competente a ricevere
la rinuncia ha tre mesi di tempo per accettarla (can. 189 § 3). Se al
termine dei tre mesi non si fosse pronunciata, la rinuncia deve esse-
re considerata come respinta (can. 57 § 2) e dunque l’ufficio non è
vacante di diritto, anche se il rinunciatario, per esempio, se ne fosse

43
Cf E. MOLANO, Can. 332, in Comentario exegético al Código de Derecho Canónico, II/1, Pamplona 19972,
p. 577. Il che non toglie l’opportunità che l’eventuale rinuncia del Romano Pontefice sia manifestata di
fronte proprio a quel collegio al quale spetta l’elezione e il compito di collaborare nella cura della Chiesa
universale.
44
Cf C. REDAELLI, Cann. 187-189, in Codice di diritto canonico commentato, cit., p. 210.
45
Evidentemente, una volta scaduti i tre mesi, non solo la rinuncia «omni vi caret» per chi l’ha presenta-
ta, ma anche per l’autorità competente, la quale, dunque, non potrà accoglierla posteriormente senza una
nuova presentazione della stessa (cf P. GEFAELL, Can. 189, in Comentario exegético al Código de Derecho
Canónico, cit., p. 1056). Si può chiedere se sia possibile una rinuncia sottoscritta dal titolare dell’ufficio,
ma senza una data definita (rinuncia «in bianco»), dando così all’autorità competente la possibilità di con-
cretizzarla a suo arbitrio: per qualche Autore si tratta di una procedura non corretta, ma non proibita dal
codice (cf l. cit.). Più coerentemente con il dato codiciale tale prassi, dove fosse in uso, dovrebbe essere
soppressa perché foriera di ambiguità e di contestazioni vista proprio l’impossibilità di stabilire la data di
presentazione. Non è da escludersi, invece, la presentazione di una rinuncia «nunc pro tunc» ossia una
rinuncia presentata e accolta ora per una data definita: se l’autorità ritiene, può accogliere la rinuncia e
accettare che gli effetti di questa si dispieghino dopo la data scelta. «Si tenga conto che niente impedisce
di accettare la rinuncia, rimandando a una data successiva la sua efficacia. […] Non è invece pensabile
La «vacatio» di un ufficio ecclesiastico: annotazioni circa un istituto giuridico canonistico 137

andato45. La rinuncia, finché non abbia sortito l’effetto, può essere ri-
tirata (can. 189 § 4)46: dunque, se nel caso in cui la rinuncia non ha bi-
sogno di accettazione basta la legittima notifica della valida rinuncia
perché questa consegua i suoi effetti e dunque non possa più essere
ritirata, nel caso che questa necessiti di accettazione, in attesa della
sua accettazione, potrebbe essere ritirata. Una volta accettata non
potrà più essere revocata47. Una volta che la rinuncia ha raggiunto il
suo effetto, ovvero è stata comunicata o è stata accettata, allora non
potrà più essere revocata: l’ufficio sarà vacante di diritto e il rinun-
ciatario potrà conseguirlo nuovamente solo per altro titolo (can. 189
§ 4). Il can. 189 non stabilisce quando la rinuncia, che deve essere
accettata, consegue il proprio effetto. Il can. 190 del CIC 1917 stabi-
liva che la rinuncia era efficace e l’ufficio era vacante dopo la comu-
nicazione dell’accettazione da parte dell’autorità competente, e che
il rinunciante rimaneva nel suo ufficio fino alla ricezione della notizia
certa dell’accettazione. Nell’attuale codificazione, il can. 417, sulla
vacanza della sede episcopale, si pone nella medesima linea; si può,
dunque, ritenere che la rinuncia consegua i suoi effetti quando
l’autorità competente notifica al rinunciatario di averla accettata.
D’altro canto, se così non fosse, si finirebbe per ingenerare situazio-
ni di grave incertezza, dove risulterebbe assai difficile definire se e
quando la rinuncia è stata accettata, basandosi, per esempio, su voci
incontrollabili.

che il vescovo diocesano, una volta presentata la rinuncia, sia destinato ad attendere indefinitamente
l’accettazione della medesima. Ciò significherebbe che il vescovo diocesano dopo la presentazione della
rinuncia diviene amovibilis ad nutum […] e questo sarebbe certo disdicevole per il vescovo diocesano,
in quanto avrebbe, nei confronti del Sommo Pontefice, una stabilità simile a quella di un vicario genera-
le nei confronti del suo vescovo diocesano. Se i dati testuali possono soccorrere per escludere tale di-
sdicevole situazione si potrebbe richiamarsi sia al canone 538 § 3, che prevede esplicitamente tale diffe-
rimento di accettazione nel caso dell’analoga presentazione di rinuncia per età dei parroci, mentre il ca-
none 401 § 1 tace riguardo ai vescovi; sia il fatto che tale differimento della accettazione della rinuncia,
previsto nel I Schema (cfr. AD II/II, 3, 645), fu poi abbandonato in seguito» (G.P. MONTINI, Il vescovo dio-
cesano, cit., p. 230, nota 43).
46
Il can. 191 § 1 del CIC 1917 stabiliva che, una volta fatta legittimamente, la rinuncia non poteva più es-
sere ritirata.
47
«Nel caso che la rinuncia necessiti di accettazione e l’autorità taccia per tre mesi la rinuncia è respinta:
l’interessato non ha diritto a presentare ricorso, perché non ha diritto a ottenere l’accettazione, ma può
presentare una nuova rinuncia» (C. REDAELLI, Cann. 187-189, cit., pp. 209-210). La natura degli uffici ec-
clesiastici, il fine ecclesiale che essi promuovono, il concreto esercizio delle funzioni a loro annesse per
il bene della comunità, oltre che la persona del titolare, esigono comunque di essere tutelati qualora la
rinuncia respinta trovi origini da motivazioni che possono o di fatto nuociono gravemente all’ufficio ec-
clesiastico stesso e al suo esercizio, rendendo, per esempio, il titolare non più idoneo all’ufficio affidato-
gli. In ogni caso il principio «ad impossibilia nemo tenetur» può certamente essere applicato a quel tito-
lare che fosse impossibilitato a esercitare le funzioni annesse all’ufficio, per esempio per grave malattia,
e non si vedesse accolta la rinuncia dall’autorità competente.
138 Gianluca Marchetti

Trasferimento del titolare


Si dà la fattispecie del trasferimento quando si ha contemporanea-
mente la perdita di un ufficio e il conferimento di un altro (cf can. 190).
Il trasferimento potrebbe avvenire su istanza dell’interessato o con il
suo consenso; se però fosse fatto contro la volontà dell’interessato,
l’autorità competente sarà tenuta a procedere secondo le norme stabi-
lite dal diritto e per una causa grave (cf can. 190 § 2), mentre
l’interessato avrà sempre il diritto di esprimere le sue ragioni di con-
trarietà al trasferimento48. Il trasferimento potrebbe essere anche pe-
nale: si veda in proposito il can. 1336 § 1, n° 449. Evidentemente chi ha
il diritto di elezione, postulazione o presentazione a un dato ufficio non
ha il potere di trasferire il titolare a un altro ufficio50.
Competente nel trasferimento sarà l’autorità che ha il diritto del-
la provvisione canonica di tutti e due gli uffici (can. 190 § 1). Il can.
191 § 1 stabilisce il principio generale per cui l’ufficio da cui si è tra-
sferiti diviene vacante solo quando colui che viene trasferito prende
possesso del secondo ufficio. Lo stesso can. 191 § 1 tuttavia prevede
una duplice eccezione al principio generale:
1) che il diritto preveda altrimenti. In altre parole, lo stesso dirit-
to, universale o particolare, potrebbe prevedere, nel caso di un tra-
sferimento, che l’ufficio a quo sia vacante prima della presa di posses-
so dell’ufficio ad quem. Evidentemente non si darà l’ipotesi contraria:
ossia che uno diventi titolare del secondo ufficio mantenendo anche
la titolarità del primo; infatti, in tale caso, non avremmo la fattispecie
del trasferimento, ma il conferimento a un unico titolare di due uffici.
2) Che non sia disposto altrimenti dall’autorità competente. Visto
che l’intimazione del trasferimento, che deve essere fatta per la vali-
dità e per di più, sempre per la validità, nella forma scritta (cf can. 190
§ 3)51, non implica ipso facto la vacanza dell’ufficio, potrebbe darsi il ca-
48
Per i parroci si vedano i cann. 1748-1752: la procedura ivi stabilita dovrà essere applicata dal vescovo
ogni qualvolta che vi sia opposizione da parte del parroco al trasferimento.
49
Cf P. GEFAELL, Can. 190, in Comentario exegético al Código de Derecho Canónico, cit., p. 1062.
50
Cf ibid., p. 1061.
51
«La norma contenuta nel can. 190 § 3 non prevede per la validità la forma scritta del decreto di trasferi-
mento, ma la forma scritta dell’intimazione, cioè dell’atto con cui si porta il provvedimento a conoscenza
dell’interessato (cann. 54-56)» (C. REDAELLI, Cann. 190-191, in Codice di diritto canonico commentato, cit.,
p. 211). La mera notizia orale del trasferimento non ha alcuna forza giuridica. Il can. 418, parlando, nel ca-
so di trasferimento del vescovo diocesano, di «notizia certa», potrebbe dare l’impressione che basti la
semplice voce di autorevole provenienza per dare efficacia al trasferimento, ma tale canone, se viene ri-
letto con il can. 382 § 2, che parla di ricezione di lettere apostoliche, e con il can. 223 CCEO, che parla
esplicitamente di «intimazione» nel caso analogo a quello del can. 418, non può certo essere argomento
per avvalorare la tesi che sia sufficiente la notizia orale del trasferimento perché questo possa ritenersi
intimato.
La «vacatio» di un ufficio ecclesiastico: annotazioni circa un istituto giuridico canonistico 139

so in cui, l’autorità competente, per garantire la certezza di certe si-


tuazioni o consentire un più rapido avvicendamento tra i titolari di di-
versi uffici – per esempio perché colui che è trasferito rimanda la pre-
sa di possesso del nuovo ufficio oltre il tempo fissato dal decreto di tra-
sferimento – stabilisca una data in cui, a prescindere dal fatto che
l’interessato abbia preso possesso oppure no del nuovo ufficio, il pri-
mo ufficio sia comunque vacante (cf can. 527 § 3) 52. Prassi questa che
potrebbe rivelarsi assai utile quando si hanno trasferimenti simulta-
nei. Per esempio, nel trasferimento dei parroci, il can. 1751 stabilisce
che, una volta seguita la procedura di diritto, se il vescovo ritiene che
il trasferimento debba essere fatto, ma il titolare si rifiuta di adeguar-
visi, allora il vescovo può emanare il decreto di trasferimento, deci-
dendo che, trascorso il tempo stabilito, la parrocchia sia vacante. Con-
tro il decreto di trasferimento è ammesso il diritto a interporre ricorso
(cf cann. 1734 § 1; 1736 § 1; 1747 § 3; 1752). Si ricordi tuttavia che il ri-
corso contro un atto amministrativo non ha generalmente un effetto
sospensivo, ma semplicemente quello di sottoporre l’atto amministra-
tivo a revisione; questo non toglie, evidentemente, che la sospensione
dell’atto amministrativo possa essere chiesta dal ricorrente e conces-
sa dall’autorità a propria discrezione53. Nel caso di trasferimento pena-
le si deve ricordare che l’appello sospende l’esecuzione della decisio-
ne (cf can. 1353) e dunque, se è sospeso il trasferimento, ne consegue
che l’ufficio non è vacante. Se il ricorso non ha un vero e proprio ef-
fetto sospensivo in relazione con il parroco trasferito, tuttavia non si
può negare che, in relazione alla parrocchia, questo abbia una conse-
guenza importante: in pendenza di ricorso la parrocchia non potrà es-
sere considerata giuridicamente vacante (cf cann. 1747 § 3 e 1752),
pertanto il vescovo non potrà nominarvi un nuovo parroco, sotto pena
di invalidità dell’eventuale nomina (can. 153 § 1); potrà semplicemen-
te provvedervi con un amministratore parrocchiale.
Cogliendo l’occasione della fattispecie dei trasferimenti vi sono
due questioni che devono essere accennate, in merito alla sede epi-
scopale, perché riguardano la vacanza della sede stessa. La prima è se
la presa di possesso della diocesi è necessaria perché il vescovo, de-
signato e istituito, possa esercitare validamente il proprio ufficio nella
diocesi che gli è stata affidata. La questione può interessare per stabi-
lire se, per esempio, in un trasferimento la vacanza della diocesi ad

52
Cf l. cit.; P. GEFAELL, Can. 191, in Comentario exegético al Código de Derecho Canónico, cit., p. 1066.
53
Cf G. MONTINI, Can. 1736, in Codice di diritto canonico commentato, cit., pp. 1324-1326.
140 Gianluca Marchetti

quam cessi con l’istituzione del vescovo o con la sua presa di posses-
so. Per alcuni Autori «la presa di possesso è necessaria per la validità
degli atti […] essa si può considerare come la condizione senza la
quale la stessa provisio canonica sarebbe inefficace, in quanto lo stes-
so ufficio episcopale richiede una reale relazione tra il vescovo e la
diocesi affidatagli»54. Per altri «la realtà […] è che il conferimento o
concessione formale dell’ufficio si realizza attraverso la lettera apo-
stolica, normalmente redatta in forma di Bolla. Una volta accettato
l’ufficio, si costituisce la relazione tra il vescovo e il popolo di Dio»55.
Per quanto la presa di possesso non sia necessaria per ottenere vali-
damente un ufficio ecclesiastico (cf can. 146), bastando la designazio-
ne e il conferimento, e per quanto il can. 382 § 1 sembri solo proibire
al vescovo promosso di intromettersi nel governo della diocesi, senza
però invalidarne gli atti eventualmente compiuti in violazione della
proibizione di intromissione nel governo prima della presa di posses-
so della diocesi, tuttavia il tenore del can. 382 e la tradizione canonica
recepita dal can. 334 § 2 del CIC 1917 fanno decisamente propendere
per la tesi che la vacanza della sede episcopale cessi con la presa di
possesso della diocesi, secondo le modalità stabilite dal diritto, da par-
te del vescovo designato e istituito56.
Una seconda questione è quella che riguarda il disposto dei
cann. 416, 417, 418 § 2, 1° e 481 § 157. Il problema concerne l’incoeren-
za tra i cann. 418 § 1 e 416, che sembrano fissare due criteri diversi
54
Cf G. GHIRLANDA, La diocesi: canoni di difficile o dubbia interpretazione, in «Periodica de re canonica»
88 (1999) 7.
55
Cf F.J. RAMOS, Le chiese particolari e i loro raggruppamenti, Roma 2001, pp. 197-198.
56
Cf J.I. ARRIETA, Diritto dell’organizzazione ecclesiastica, cit., p. 380, nota 18; A. DE LA HERA, Can. 382, in
Comentario exegético al Código de Derecho Canónico, II/1, cit., pp. 740-742; G. GHIRLANDA, La diocesi, cit.,
pp. 3-8; G. SARZI SARTORI, Can. 382, in Codice di diritto canonico commentato, cit., pp. 367-368. Significati-
vo, su questa linea, il fatto che l’ufficio dell’amministratore diocesano, che regge la diocesi sede vacante,
cessi con la presa di possesso della diocesi da parte del nuovo vescovo e non con la sua nomina (cf can.
430 § 1).
57
«Secondo il can. 418 § 2, 1°, durante il tempo in cui il vescovo diocesano trasferito ad altra diocesi fa da
amministratore diocesano nella diocesi a qua, cessa ogni potestà del vicario generale e del vicario epi-
scopale, salvo quanto dispone il can. 409 § 2, nonostante che a norma del can. 418 § 1 la sede sia vacante
soltanto dal momento della presa di possesso della nuova diocesi. Al contrario, secondo il can. 481 § 1 la
potestà del vicario generale e del vicario episcopale cessa dal momento della vacanza della sede, cioè, se-
condo il can. 418 § 1, dal momento della presa di possesso della nuova diocesi, mentre, secondo il can.
418 § 2, 1°, dal momento in cui il vescovo trasferito amministra la diocesi a qua, quindi prima della presa
di possesso della diocesi ad quam, e di conseguenza prima della vacanza della sede. Sarebbe da deter-
minare con certezza da quale momento cessa la potestà del vicario generale e del vicario episcopale in
relazione all’inizio della vacanza della sede: se, come stabiliscono i cann. 417 e 418 § 2, 1° dal momento
della certa notizia del trasferimento del vescovo diocesano, che secondo il can. 416 segna la vacanza del-
la sede, anche prima della presa di possesso della nuova diocesi; oppure se, come determina il can. 418
§ 1, dal momento della presa di possesso della nuova diocesi, che segna l’inizio della vacanza della sede.
La questione è importante, perché ne va della validità degli atti che fossero compiuti» (G. GHIRLANDA, La
diocesi, cit., p 21).
La «vacatio» di un ufficio ecclesiastico: annotazioni circa un istituto giuridico canonistico 141

per stabilire quando abbia inizio la vacanza della sede: la presa di pos-
sesso della diocesi ad quam oppure l’intimazione del trasferimento. Al
di là del fatto che l’incoerenza dei canoni possa essere risolta median-
te un atto chiarificatore del Legislatore58, oppure interpretando il can.
418 § 1 come un’eccezione al can. 416, «nel senso che, nel solo caso
della translatio la vacanza della sede si produce dal momento della
presa di possesso, da parte del vescovo trasferito, della diocesi ad
quam»59, nella fattispecie in oggetto, ossia quella del trasferimento dei
vescovi diocesani, coerentemente con quanto sopra esposto, si può ri-
tenere che la vacanza della sede a qua abbia inizio con la presa di pos-
sesso della nuova sede da parte del vescovo trasferito, così come la fi-
ne della vacanza della diocesi ad quam si abbia con la presa di posses-
so da parte del nuovo vescovo.

Rimozione del titolare


La rimozione dall’ufficio si differenzia dal trasferimento perché
in essa si ha la perdita dell’ufficio di cui si è titolari senza che ne venga
attribuito un altro. Essa non è tuttavia penale, cioè in punizione per un
delitto, e in questo si differenzia dalla privazione. La rimozione può av-
venire in due modi: per decreto legittimo dell’autorità competente o in
forza del diritto stesso60. Il can 193 stabilisce che, se un ufficio è stato
conferito a tempo indeterminato, il titolare non può essere rimosso se
non per gravi cause e seguendo le procedure stabilite dal diritto; lo
stesso avviene nel caso in cui l’ufficio fosse conferito per un tempo de-
terminato, ma si volesse rimuovere il titolare prima che il tempo sia
trascorso. Per i parroci è prevista una speciale procedura nei cann.
1740-1747, che non si applica ai parroci religiosi o ai membri di una so-
cietà di vita apostolica, i quali, in forza del can. 538 § 2, possono essere
rimossi liberamente a norma dei cann. 682 § 2 e 738 § 2; per l’economo
diocesano si veda il can. 494 § 2; per i superiori religiosi il can. 624 § 3;
per la rimozione dell’amministratore diocesano il can. 430 § 2. Se in-
vece l’ufficio è concesso ad beneplacitum o ad nutum superioris61,
58
Cf ibid., p. 22.
59
Cf P. AMENTA, Appunti sulla vacanza della sede episcopale, cit., p. 367, nota 18.
60
Evidentemente, una delle differenze pratiche starà nel fatto che la rimozione ex iure agirà ex tunc a parti-
re dall’attuarsi della situazione prevista dal diritto per la rimozione, mentre quella imposta dall’autorità
agirà ex nunc (cf P. GEFAELL, Can.192, in Comentario exegético al Código de Derecho Canónico, cit., p. 1069).
61
«[…] Si tratta di ufficio che il diritto stesso identifica con quella qualificazione (non è quindi l’autorità
a decidere quali essi siano), in particolare ricordando la libertà di nomina e di rimozione motivata dal le-
game fiduciario con l’autorità: cf cann. 477 §1 e 485» (C. REDAELLI, Cann. 192-196, in Codice di diritto ca-
nonico commentato, cit., p. 212).
142 Gianluca Marchetti

basta una giusta causa a discrezione del superiore, che evidentemen-


te non significa arbitrarietà, ma dovranno essere osservate le norme
di equità naturale e i principi generali procedurali stabiliti dal diritto62.
Se il titolare è rimosso dall’ufficio per decreto, l’autorità competente,
che corrisponde a quella che ha il diritto alla provvisione63, dovrà ema-
nare il relativo decreto amministrativo di rimozione nel rispetto delle
procedure stabilite dalla legge e dei diritti acquisiti, curando, tra
l’altro, a norma del can. 195, il sostentamento economico del titolare ri-
mosso, per un congruo periodo di tempo, salvo che si sia provveduto
diversamente. Per la validità, il decreto di rimozione deve essere inti-
mato, ossia portato a conoscenza dell’interessato, in forma scritta
(can. 193 § 4)64. Il decreto di rimozione conseguirà i propri effetti solo
quando verrà intimato: prima esso è inefficace. Evidentemente se la ri-
mozione non sortisse nessun effetto, non si avrebbe neppure la va-
canza dell’ufficio.
La rimozione potrebbe però avvenire anche ipso iure nei casi tas-
sativi di cui al can. 194 e in tal caso non si avrebbero più gli obblighi
di cui al can. 195.
Si danno tre fattispecie.
1) Perdita dello stato clericale a norma dei cann. 290-293. Non si
parla qui di dimissione dallo stato clericale, che ha carattere e proce-
dura penale, per quanto a tutt’e due consegua la perdita dell’ufficio.
2) Abbandono pubblico della fede cattolica o della comunione
con la Chiesa. Si tratta dei casi di eresia, apostasia o scisma.
L’abbandono deve essere pubblico, cioè noto alla comunità, non si ri-
chiede che avvenga mediante un atto formale, ma non basta un atto
occulto, per quanto esterno.
3) Attentato matrimonio, anche solo civile, da parte di un chieri-
co. Si tratta di un chierico, dunque almeno diacono. Non basta il fatto
che si tratti di un religioso, benché anche per questi esista un impedi-
mento dirimente per il matrimonio. Resta esclusa la convivenza o
l’unione di fatto65.

62
Si pensi, per esempio, alla ricerca delle notizie e delle prove necessarie oltre che all’ascolto di colui che
potrebbe vedere lesi i suoi diritti (cf can. 50); oppure all’esposizione, almeno sommaria, delle motivazio-
ni della decisione (cf can. 51).
63
La potestà di rimozione da parte di chi ha diritto alla provvisione non si esercita liberamente solo nei
casi di uffici affidati mediante libero conferimento, ma anche nei casi di uffici conferiti dietro presenta-
zione o elezione (P. GEFAELL, Can.192, cit., p. 1070).
64
La forma scritta è qui per la validità, anche se i decreti, in casi eccezionali, potrebbero essere intimati
in forma orale a norma del can. 55.
65
Cf V. DE PAOLIS, Il libro primo del Codice, cit., pp. 479-480.
La «vacatio» di un ufficio ecclesiastico: annotazioni circa un istituto giuridico canonistico 143

Nelle fattispecie sopra elencate il titolare rimane senza ufficio e


questo diviene automaticamente vacante di diritto. Il can. 194 § 2 sta-
bilisce che la rimozione, nei casi di chi ha abbandonato pubblicamen-
te la fede cattolica o la comunione ecclesiastica e nel caso del chierico
che ha attentato al matrimonio civile, ma non in quello di chi ha perso
lo stato clericale, possa essere sollecitata solo se della medesima ri-
mozione consti da una dichiarazione dell’autorità competente66. Non
solo contro la dichiarazione dell’autorità potrà esservi ricorso da par-
te dell’interessato, ma se tale dichiarazione non ci fosse, non si po-
trebbe urgere la rimozione. L’intervento dell’autorità è importante
per evitare il rischio di confusioni e incertezze. Nel caso specifico non
si tratta evidentemente di un decreto di rimozione, ma di dichiarare
che si è verificato il presupposto di fatto al quale consegue la rimozio-
ne ipso iure.

Privazione penale
La privazione dell’ufficio è la perdita di un ufficio, senza il confe-
rimento di un altro, e si differenzia dalla rimozione, perché ha sempre
carattere penale. Tale carattere penale significa che essa si applica so-
lo a punizione di un delitto e secondo la procedura stabilita dalle leggi
penali. Il can. 1336 § 1, 2°, per esempio, prevede la pena espiatoria del-
la privazione di un ufficio (cf anche i cann. 1389 § 1; 1396 e 1457 § 1).
In caso di privazione penale la sede sarà vacante dal momento della ri-
cezione dell’intimazione della pena, come espressamente previsto,
per esempio, al can. 416, per i vescovi diocesani. Il can. 1353 ricorda
che l’appello o il ricorso contro le sentenze giudiziali o i decreti che in-
fliggono o dichiarano una pena hanno un effetto sospensivo; fino al
pronunciamento definitivo dell’autorità competente, pertanto, la pri-
vazione resta sospesa e l’ufficio non è vacante di diritto, per quanto la
potestà ordinaria annessa all’ufficio resti sospesa (can. 143 § 2). L’uf-
ficio dunque sarà vacante nel momento in cui viene applicata la sen-
tenza ovvero «quando si ha notizia certa della prima sentenza o della
sentenza definitiva, nel caso di ricorso»67.
66
«La finalità di questo decreto non è dichiarare vacante l’ufficio, ma che il possesso del medesimo, da
parte di persona inabile, è illegittimo. Una tale dichiarazione di illegittimità è necessaria per poter nomi-
nare un altro titolare del medesimo (can. 154)» (J. GARCÍA MARTÍN, Le norme generali, cit., p. 634).
67
Cf J. GARCÍA MARTÍN, Le norme generali, cit., p. 637. Ovviamente un conto è la privazione dell’ufficio, al-
tro è l’allontanamento dall’ufficio di cui al can. 1722: in quest’ultima fattispecie non è intaccata la titolarità
dell’ufficio e dunque esso non diviene vacante, salvo che la perdita e la conseguente vacanza derivino da
altra fonte.
144 Gianluca Marchetti

Perdita del diritto dell’autorità che ha conferito l’ufficio


Il can. 184 § 2 ricorda che «venuto meno in qualsiasi modo il di-
ritto dell’autorità dalla quale fu conferito, l’ufficio ecclesiastico non si
perde, a meno che non sia disposto altrimenti dal diritto»68. È questo,
per esempio, il caso del can. 481, secondo il quale, vacante la sede epi-
scopale, la potestà del vicario generale e dei vicari episcopali viene
meno, fatto salvo si tratti di vescovi ausiliari. Così, alla morte del Som-
mo Pontefice, decadono dall’incarico tutti i capi e i membri dei dica-
steri, fatta eccezione per il Camerlengo della Chiesa romana e il Peni-
tenziere maggiore (art. 6 PB). Nelle fattispecie esemplificate si può
osservare come si tratti di uffici fortemente legati all’ufficio principa-
le cui fanno riferimento: dunque si può dire che la loro perdita, e con-
seguentemente la loro condizione giuridica di uffici vacanti, sia lega-
ta direttamente alla perdita e alla vacanza dell’ufficio principale. Si
tratta tuttavia di fattispecie che devono essere chiaramente ed espres-
samente previste dal diritto, vista appunto la norma generale stabilita
nel can. 184 § 2. D’altra parte, in altri casi, il diritto stabilisce espres-
samente che, vacante la sede, un determinato ufficio non cessi: per
esempio, nel caso del Legato pontificio, il can. 367 stabilisce che que-
sti, pur cessando per scadenza del mandato, per revoca o per rinunzia
accettata dal Romano Pontefice, non cessi invece nel caso di vacanza
della Santa Sede, a meno che questa eventualità sia prevista nella let-
tera di nomina. Lo stesso dicasi, nelle diocesi, per l’ufficio del vicario
giudiziale, a norma del can. 1420 § 5.

Conclusione
Il nostro lavoro intendeva semplicemente annotare un istituto
giuridico tipico del diritto ecclesiale: ecco perché alcune piste aperte,
che meriterebbero di essere percorse più lungamente, sono state so-
lo accennate. In ogni caso, tra i punti nodali che sono venuti eviden-
ziandosi, deve essere sottolineato in modo particolare il rapporto tra
il titolare dell’ufficio e l’ufficio stesso. La vacanza, così come segnala
con chiarezza che non esiste identità tra un ufficio e il suo titolare, ri-

68
Oltre al diritto universale, anche il diritto particolare potrebbe stabilire fattispecie nelle quali, venuto
meno il diritto dell’autorità che ha conferito l’ufficio ecclesiastico, si perda l’ufficio stesso. Il CIC 1917, al
can. 183 § 2, prevedeva che un ufficio ecclesiastico non si perdeva venuto meno il diritto di chi lo aveva
concesso, salvo che la legge avesse stabilito altrimenti oppure se l’ufficio fosse stato conferito con clau-
sole quali «ad beneplacitum nostrum» o similari.
La «vacatio» di un ufficio ecclesiastico: annotazioni circa un istituto giuridico canonistico 145

leva una certa continuità e stabilità dell’ufficio, una volta costituito,


anche in assenza del suo titolare. Continuità e stabilità sono in ogni
caso funzionali al bene della Chiesa, ovvero a quei fini spirituali che si
configurano come elementi costitutivi degli uffici ecclesiastici stessi.
Un altro aspetto da tener presente in merito all’istituto canonisti-
co della vacanza è il suo carattere transitorio. A conferma di ciò ba-
sterebbe anche solo prendere in considerazione i limiti che il Codice
stesso pone all’azione di quelle figure che reggono determinati uffici
durante la loro vacanza. È proprio la natura degli uffici ecclesiastici ad
esigere non solo che la vacanza non si prolunghi nel tempo, con ine-
vitabili danni alla vita della comunità, ma soprattutto che l’autorità
competente provveda quanto prima all’ufficio con un titolare legitti-
mo, che possa esercitare e che di fatto eserciti le funzioni annesse
all’ufficio stesso.
Se la vacanza ha assunto nel diritto canonico una sua struttura-
zione, certamente del tutto peculiare rispetto al diritto civile, questo
lo si deve proprio allo stretto nesso tra la vacanza stessa e un altro isti-
tuto canonistico: l’ufficio ecclesiastico. Solo all’interno della natura
degli uffici ecclesiastici, della loro configurazione e della loro colloca-
zione nella vita della Chiesa si possono comprendere le ragioni
dell’esistenza, gli sviluppi e le articolazioni dell’istituto canonistico
della vacanza.

GIANLUCA MARCHETTI
Piazza Duomo, 5
24129 Bergamo

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