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di diritto ecclesiale
17 (2004) 117-145
forma impersonale, può essere tradotto con «c’è tempo libero, è per-
messo»1.
Per quanto riguarda l’uso propriamente canonistico del termine
vacatio possiamo osservare come, nel CIC 1917, questo compariva:
1) in riferimento a un ufficio o beneficio ecclesiastico: cf, per
esempio, i cann. 150 e 151;
2) con il termine vacationes, riferito ai periodi di assenza dalla
propria parrocchia o dalla diocesi o dal capitolo da parte dei vescovi,
dei parroci o dei canonici: cf i cann. 418; 338 § 2; 354 e 4652;
3) in riferimento alla vacatio legis: cf can. 9.
Nel CIC 1983 i termini in oggetto vengono usati in tre diversi am-
biti o significati:
1) in riferimento alla vacatio di un ufficio o una sede: cf, per
esempio, i cann. 153 §§ 1-2 ; 154; 158 § 1; 162; 165; 191 § 1; 272; 335;
340; 347 § 2; 352 § 2; 359; 367; 409 §§ 1-2; 416; 418 § 1; 419-421; 425 §§
1 e 3; 426; 428 § 1; 440 § 2; 468 § 2; 481 § 1; 490 § 2; 501 § 2; 502 § 2;
513 § 2; 524; 525; 527 § 3; 539; 541; 544; 1420 § 5; 14673; 1751 § 1;
2) in riferimento alla vacatio di una legge: cann. 8 § 1; 31 § 2;
3) nel senso di «occuparsi di, dedicarsi a»: cann. 246 § 5; 533 § 2;
663 § 3; 719 § 1; 937; 1039; 1248 § 2 e 12494.
Sono due, dunque, le accezioni nelle quali il termine vacatio in-
dica un vero e proprio istituto giuridico: la vacanza della legge e la va-
canza di un ufficio. Vacatio legis è una locuzione giuridica usata per in-
dicare un ben preciso momento dell’istituzione di una legge ossia il
periodo che generalmente, ma non necessariamente, intercorre tra la
promulgazione della legge e la sua effettiva applicazione. Con la pro-
mulgazione della legge questa viene intimata alla comunità come un
comando che obbliga giuridicamente, ma alla promulgazione della
legge e alla sua istituzione segue un periodo «nel quale la legge nuo-
va, pur esistendo, non ha efficacia, continuando ad essere in vigore la
legge precedente. Tale periodo è richiesto perché la comunità possa
conoscere la legge e approntare quanto necessario per la sua esecu-
1
Cf le voci in IL. Vocabolario della lingua latina, a cura di L. Castiglioni - S. Mariotti, Milano 1997, pp.
1113-1114 e in Totius Latinitatis Lexicon, ed. E. Forcellini, IV, Patavii 1771, pp. 448ss.
2
Nel CIC 1983 questi periodi di assenza, entro i quali computare le vacanze, vengono denominati feriae
(cf cann. 283 § 2 e 533 § 2).
3
La vacatio del tribunale, in questo canone, indica il fatto che nel tribunale non vi sono state le normali
attività, perché, per esempio, si trattava di un giorno festivo.
4
Anche l’utilizzazione nel senso di «dedicarsi a, occuparsi di» è da ricondursi al latino vacare inteso come
«essere libero da, aver tempo libero per» e quindi «dedicarsi a». Cf le voci in X. OCHOA, Index verborum
ac locutionum Codicis iuris canonici, Città del Vaticano 19842.
La «vacatio» di un ufficio ecclesiastico: annotazioni circa un istituto giuridico canonistico 119
5
Cf V. DE PAOLIS, Il libro primo del Codice: norme generali (cann. 1-203), in AA.VV., Il diritto nel mistero
della Chiesa, I, Roma 19953, p. 277.
6
Cf F. X. WERNZ, Ius Decretalium, II/II, Prati 19153, p. 77, n. 313.
7
Nell’ordinamento monarchico è presente un istituto straordinario di supplenza denominato «reggen-
za», per impedire la vacanza della corona qualora il re non fosse in grado di assumere o esercitare le pro-
prie funzioni. Diversa dalla reggenza è la «luogotenenza», presupponendo quest’ultima l’esistenza e la
capacità del sovrano a esercitare le proprie funzioni. Nel Regno d’Italia la reggenza era regolata dagli
artt. 12-17 e 23 dello Statuto. Durante la minore età del re la reggenza era affidata al principe più prossi-
mo nell’ordine di successione al trono e in mancanza di parenti alla regina madre. Se anche quest’ultima
fosse mancata allora erano le camere convocate dal Consiglio dei ministri a eleggere il reggente (cf E.
BALOCCHI, «Reggenza», in AA.VV., Grande Dizionario Enciclopedico, vol. 15, Torino 1977, pp. 698-699). Può
essere interessante osservare come il reggente eserciti le funzioni regali a nome e per conto del futuro
re, il quale, per esempio per motivi di età, non può ancora governare personalmente. Si tratta dunque
dell’esercizio di un potere in nome di un altro e non dell’istituto monarchico in quanto tale. Nel diritto ec-
clesiale, nel caso dell’amministratore diocesano, questi non esercita le proprie funzioni in nome e per
conto del futuro vescovo, ma in forza del proprio ufficio. «Nel concetto canonistico dell’ufficio […] quan-
do il titolare dell’ufficio viene a mancare, l’ufficio stesso resta vacante: per esempio, mentre nel diritto
statale non esisteva alcuna soluzione di continuità nella corona fra il momento della morte del re e
l’elezione del successore, la Sede Apostolica rimane vacante» (cf la voce «Vacanza» in AA.VV., Lessico
Universale Italiano di Lingua Lettere Arti Scienze e Tecnica, vol. 24, Roma 1981, p. 3).
8
In Italia, per esempio, per quanto riguarda il presidente della Repubblica, si può osservare come questi
«[…] esercita sempre in modo diretto e personale i suoi compiti e non può farsi sostituire, né delegare al
compimento di essi o di parte di essi altri organi o funzionari. […] Solo cause obiettive di impedimento
120 Gianluca Marchetti
temporaneo alle funzioni (“in ogni caso in cui egli non possa adempierle”, recita l’art. 86 cost.) consento-
no, anzi determinano la sostituzione temporanea del presidente della Repubblica con il presidente del se-
nato, scelto dalla costituzione a tale funzione vicaria in virtù della neutralità di principio della sua carica.
In tali circostanze, il presidente del senato sospende l’esercizio della funzione propria e si insedia auto-
maticamente in luogo del presidente. In caso di impedimento permanente o di morte o di dimissioni del
presidente della repubblica, il presidente della camera indice l’elezione del nuovo presidente entro quin-
dici giorni, e se le camere sono sciolte o manca meno di tre mesi dalla loro cessazione, l’elezione ha luo-
go entro quindici giorni dalla riunione delle nuove camere» (G. BERTI, Manuale di interpretazione costi-
tuzionale, Padova 19943, p. 595).
9
Anche se non si tratta di un argomento decisivo può essere interessante notare come un’indagine som-
maria nelle enciclopedie del diritto civile mostri che, mentre è facile trovare la locuzione tecnica vacatio
legis o «vacanza della legge» e il corrispettivo istituto giuridico, non si trova invece un istituto giuridico
specifico e autonomo che prenda il nome di «vacanza dell’ufficio o della sede»: cf AA.VV., Enciclopedia del
diritto, Milano 1958 ss; AA.VV., Enciclopedia giuridica, Roma 1988 ss.
10
Cf J.I. ARRIETA, Can. 153, in Comentario exegético al Código de Derecho Canónico, I, Pamplona 19972,
p. 943.
La «vacatio» di un ufficio ecclesiastico: annotazioni circa un istituto giuridico canonistico 121
11
Cf F. COCCOPALMERIO, Note sul concetto di ufficio ecclesiastico, in «La Scuola Cattolica» 115 (1988) 64.
12
«L’ufficio può essere considerato sotto due aspetti: oggettivo, come l’insieme delle funzioni che lo com-
pletano, cioè i diritti e doveri che gli sono inerenti […]. Soggettivo: che si riferisce propriamente
all’esercizio delle funzioni da parte dello stesso titolare che può essere una persona fisica o giuridica. I due
aspetti si completano a vicenda giacché il primo definisce il tipo o la figura dell’ufficio che si distingue dal-
le altre figure; il secondo consiste nella realizzazione pratica di dette funzioni o attribuzioni» (A. ALVAREZ,
«Ufficio ecclesiastico», in Nuovo Dizionario di diritto Canonico, Cinisello Balsamo 1993, p. 1074).
122 Gianluca Marchetti
13
«Rispetto al Codice pio-benedettino, se non è mutato il numero dei canoni, è però mutato il posto che
l’argomento riceve nella sistematica di tutto il codice; il vecchio codice, infatti, trattava il problema con
una prospettiva del tutto diversa: della vacanza della sede si parlava per accidens, trattando dei vicari ca-
pitolari, autorità costituita per l’occasione e incaricata della reggenza fino alla nomina del nuovo vescovo.
Non era insomma la Chiesa particolare il soggetto principale della trattazione quanto piuttosto la perso-
na chiamata a reggerla in quella particolare situazione. Era questa d’altronde la prospettiva di tutto il co-
dice e che potremmo chiamare inadeguatamente una “prospettiva personalistica” nel senso che il sog-
getto non era la Chiesa ed i suoi raggruppamenti, bensì le persone che ne esercitavano l’autorità» (P.
AMENTA, Appunti sulla vacanza della sede episcopale, in «Apollinaris» 74 [2001] 358-359). «Ciascun ufficio
deve essere giuridicamente eretto in astratto (can. 148 CIC) per essere conferito successivamente ad un
titolare mediante uno dei tipi di provvista canonica […]. Riconfermando la stabilità giuridica dell’ufficio,
il codice ha anche rilevato che la mancanza di titolare non ne fa venir meno l’esistenza giuridica. […]
Benché non manchino ancora alcuni elementi del vecchio impianto, tale cambiamento pare aver segna-
to il passaggio da una considerazione dell’ufficio ecclesiastico fino ad un certo punto gius-privatista – in
quanto la trattazione tecnica dell’ufficio seguiva quella del beneficio, e la gestione della massa beneficia-
le da parte del titolare dell’ufficio rispondeva sostanzialmente ai criteri di dominio personale –, ad un in-
quadramento di stampo gius-pubblicista, legato all’esercizio di una funzione o di un ruolo pubblico in col-
legamento gerarchico» (J.I. ARRIETA, Diritto dell’organizzazione ecclesiastica, Milano 1997, pp. 144-146).
14
Nota è la diversità nella definizione di ufficio ecclesiastico tra il can. 145 («munus stabiliter constitu-
tum») e Presbyterorum Ordinis 20 («munus stabiliter collatum»). «“Stabiliter”: indica per entrambi che
l’attività dev’essere permanente. “Collatum”: significa che tale permanenza deve verificarsi nel titolare
dell’attività. In altre parole: una certa persona svolge permanentemente una certa attività. Scomparsa,
però, la suddetta persona oppure esauritosi, dopo un tempo, l’incarico in questione, l’attività medesima
non permane, non dev’essere assegnata a un nuovo titolare, deve, quindi, ritenersi estinta. “Constitu-
tum”: significa invece che nel concetto di ufficio ecclesiastico come espresso dal Codice, l’attività so-
stanziante l’ufficio ha una permanenza anche al di là della scomparsa del titolare. Resta in essere e deve
pertanto venir assegnata a un nuovo soggetto» (F. COCCOPALMERIO, Note sul concetto, cit., pp. 63-64).
15
L’ufficio ecclesiastico è costituito «stabiliter»: «[…] “in modo continuativo”, “in modo permanente”, nel
senso di “a termine indefinito”, “senza durata prestabilita”. L’attività che sostanzia l’ufficio non avrà ter-
mine, almeno nella previsione attuale dell’autorità che l’ha statuito. […] Nel caso dell’ordinazione divina,
“stabiliter” viene a significare “in modo definitivo e imprescindibile”; nel caso dell’ordinazione umana,
“stabiliter” significa “in modo permanente, anche se non necessitante”» (ibid., pp. 61-62). Interessante il
La «vacatio» di un ufficio ecclesiastico: annotazioni circa un istituto giuridico canonistico 123
caso di funzioni non continuative, saltuarie, come quello della «celebrazione di un Sinodo diocesano, che
ricorre solo a determinati periodi. Le funzioni esercitate nel caso del Sinodo cessano al cessare del Si-
nodo stesso. Non vi è dubbio, però, che tali attività, posto che ci sia un regolamento del Sinodo, siano da
ritenersi “stabiliter constitutae”, anche se da esercitarsi saltuariamente, solo, cioè, in occasione della ce-
lebrazione del Sinodo stesso. Nessun dubbio, poi, sulla necessità di una nomina» (ibid., p. 68). Eviden-
temente, stando ai cann. 153-154, non si può dire che il Sinodo, in quanto tale, sia vacante quando non è
convocato. Una volta convocato, nominati i suoi membri, stabilite mediante disposizione normativa le
funzioni da esercitarsi, sarà possibile applicare l’istituto della vacanza a quelle funzioni che, all’interno
del sinodo, a norma del can. 145, si configurano come un vero e proprio ufficio ecclesiastico.
16
Ibid., p. 61.
17
Nel caso della sede episcopale si dovrà procedere quanto prima alla nomina dell’amministratore dioce-
sano (cann. 419-421) e comunque la Santa Sede deve essere informata quanto prima della morte del ve-
scovo e dell’elezione dell’amministratore, evidentemente perché possa procedere alla provvisione della
sede rimasta vacante (can. 422). Nel caso della Sede Apostolica (cf can. 335) vige la legge speciale ovve-
ro la costituzione apostolica Universi dominici gregis [= UDG], AAS 78 (1996) 305-343, del 22 febbraio
1996. In tale costituzione è previsto che, nel tempo in cui la Sede Apostolica è vacante, al Collegio dei Car-
dinali sia affidata, oltre il disbrigo di pratiche ordinarie o indilazionabili, in modo particolare la prepara-
zione di quanto necessario all’elezione del nuovo Pontefice (cf UDG 2). Interessante pure notare come il
diritto, in situazioni dove la cura pastorale della comunità esige particolare attenzione, configuri veri e
propri uffici ecclesiastici, che intervengono nel caso di vacanza di un altro ufficio: basterebbe pensare
all’amministratore diocesano in caso di vacanza della sede episcopale e all’amministratore parrocchiale
in caso di vacanza della parrocchia. In quest’ultima fattispecie è bene ricordare che la vacanza è una del-
le ragioni previste perché il vescovo nomini un amministratore parrocchiale; questi, infatti, potrebbe es-
sere nominato anche in caso di assenza del parroco o impedimento all’esercizio dell’ufficio pastorale per
prigionia e altre cause ovvero in caso di pendenza del ricorso del parroco contro il decreto che lo rimuo-
ve dall’ufficio (cf cann. 539-541, 549, 1747 § 3).
124 Gianluca Marchetti
mativa di cui al § 3 del can. 184, che invita a rendere nota quanto pri-
ma a tutti quelli, a cui compete un qualche diritto nella provvisione, la
perdita dell’ufficio che ha sortito effetto18.
18
«La tempestiva notificazione ha lo scopo di provvedere sollecitamente alla vacanza dell’ufficio e di ren-
dere più certa la decorrenza dei termini prescritti (cann. 158 § 1 e 165). Ma la sua mancanza non ha alcun
effetto giuridico» (L. CHIAPPETTA, Il Codice di Diritto Canonico. Commento giuridico-pastorale, I, Roma
19962, p. 273).
La «vacatio» di un ufficio ecclesiastico: annotazioni circa un istituto giuridico canonistico 125
ritto è nulla per lo stesso fatto, né diventa valida per la susseguente va-
canza». Lo stato di vacanza dell’ufficio è dunque una condizione ne-
cessaria per la validità della provvisione canonica. D’altra parte è evi-
dente che un’invalida provvisione non risolverebbe lo stato di vacanza
di un ufficio. Se l’ufficio fosse conferito a persona che non gode di
quelle condizioni richieste per la validità oppure fosse stato acquisito
per simonia (cf can. 149 §§ 1-2), la provvisione sarebbe invalida e
l’ufficio resterebbe vacante.
La norma del can. 153 § 1 rispecchia una lunga tradizione giuri-
dica riaffermata anche nella precedente codificazione la quale, al can.
150, stabiliva l’invalidità ipso facto della provvisione canonica di un uf-
ficio non vacante. Invalidità non sanata dall’eventuale susseguente va-
canza dell’ufficio. Al tempo stesso era dichiarata priva di effetto giuri-
dico qualsiasi promessa di un ufficio non vacante di diritto, da chiun-
que questa fosse stata fatta. Il can. 2395, inoltre, sanzionava chi avesse
scientemente accettato la collazione di un ufficio, beneficio o dignità
ecclesiastica non vacante di diritto e vi fosse stato immesso nel pos-
sesso, dichiarandolo ipso facto inabile all’ufficio stesso, oltre che pu-
nibile con altre pene in rapporto alla colpa.
Circa la nozione di ufficio vacante, coerentemente con la dottri-
na tradizionale, un ufficio è vacante quando non ha un titolare o un
possessore che sia stato legittimamente investito in forza della prov-
visione canonica di cui ai cann. 146 e seguenti.
Tradizionalmente si danno tre fattispecie in merito alla vacanza
di un ufficio ecclesiastico:
1. un ufficio vacante di diritto e di fatto: non ha titolare né pos-
sessore attuale (de iure et de facto);
2. un ufficio non ha il legittimo titolare, cioè colui al quale è stato
legittimamente conferito dall’autorità competente l’ufficio, ma è
ugualmente occupato, certo in modo abusivo e illegittimo, da qualcu-
no che non voglia andarsene (de iure tantum, non de facto). Si tratte-
rebbe di un’occupazione abusiva perché, per esempio, l’ufficio è stato
conferito da un’autorità incompetente, quindi il titolo per cui l’ufficio
è occupato è invalido; oppure, colui che occupa l’ufficio è sprovvisto
di qualsiasi titolo, perché non vi è mai stato un titolo legittimo oppure
perché è venuto meno;
3. infine, potrebbe darsi il caso che sia avvenuta la provvisione
canonica; vi è, dunque, un titolare dell’ufficio con un vero e proprio
ius in rem, ma questi non può prendere possesso dell’ufficio o è impe-
dito a farlo. L’ufficio, dunque, ha di per sé un titolare legittimo, ma di
126 Gianluca Marchetti
19
Cf J. GARCÍA MARTÍN, Le norme generali del Codex Iuris Canonici, Roma 19962, p. 551.
20
Cf J.I. ARRIETA, Can. 153, cit., p. 943.
21
«Gli atti nulli infatti non si convalidano con il solo trascorrere del tempo o con la cessazione della causa
di nullità. Il motivo poi per cui il legislatore dispone tale nullità è per evitare patteggiamenti ed abusi» (V.
DE PAOLIS, Il libro primo del Codice, cit., p. 458).
La «vacatio» di un ufficio ecclesiastico: annotazioni circa un istituto giuridico canonistico 127
to diventerà vacante22. La norma del can. 153 § 2, dal momento che ri-
guarda la natura temporale dell’ufficio e non il sistema di provvisione
che deve essere seguito nel conferimento, può essere applicata non
solo agli uffici ai quali l’autorità competente provvede per libera colla-
zione, ma anche a quelli che comportano l’esercizio del diritto di pre-
sentazione o di elezione23.
Chiaramente il can. 153 § 2 è riferito a un ufficio conferito a tem-
po determinato e non a quegli uffici per i quali è eventualmente pre-
vista una scadenza legata all’età del titolare. Inoltre si può osservare
come l’effetto di questa provvisione anticipata scatta non con il com-
pimento del tempo, ma con la vacanza dell’ufficio. Si deve allora tener
presente il dettato del can. 186: «Allo scadere del tempo prestabilito o
raggiunti i limiti di età, la perdita dell’ufficio ha effetto soltanto dal
momento in cui è intimata per scritto dalla competente autorità». Poi-
ché l’intimazione è per la validità, ne consegue che se non c’è intima-
zione non vi è perdita dell’ufficio e dunque neppure vacanza, per cui
la nomina fatta in forza del can. 153 § 2 non avrebbe effetto24.
Una nota a parte merita la figura del vescovo coadiutore. Questi,
a norma del can. 403 § 3, può essere costituito d’ufficio dalla Santa Se-
de se ciò risultasse opportuno per aiutare il vescovo diocesano. Il ve-
scovo coadiutore, oltre a essere fornito di speciali facoltà, gode del di-
ritto di successione, ciò significa che, una volta costituito, ha uno ius
ad rem rispetto alla sede di cui è coadiutore, anche se questa non è an-
cora vacante: non appena la sede diventerà vacante, il vescovo coadiu-
tore potrà automaticamente succedere alla titolarità della sede stessa.
22
«La finalità della norma è duplice: che si possa provvedere alla provvisione prima della vacanza e che il
futuro titolare abbia la possibilità di prepararsi adeguatamente» (J. GARCÍA MARTÍN, Le norme generali,
cit., p. 552).
23
Cf J.I. ARRIETA, Can. 153, cit., p. 943.
24
La disposizione codiciale non solo vuole garantire la certezza del diritto che potrebbe essere messa in
discussione da dimenticanze o ritardi, ma riflette anche la preoccupazione di evitare automatismi legati,
per esempio, a fatti temporali, come il raggiungimento di una certa età; ecco perché si rende necessario
comunque un vero e proprio intervento dell’autorità, un atto formale, che dichiari o notifichi la perdita
dell’ufficio. «In assenza dell’intimazione, che sola produce la perdita dell’ufficio (non esige accettazione,
anche se bisogna poter dimostrare che è effettivamente avvenuta), l’interessato ha diritto a sollecitare
l’autorità a provvedere o può presentare rinuncia […]. La nomina del nuovo titolare può avvenire solo do-
po regolare intimazione della perdita dell’ufficio, altrimenti è invalida. Qualora l’autorità competente, uti-
lizzando la possibilità prevista nel can. 153 § 2, provveda alla nomina nei sei mesi precedenti la scadenza,
affinché essa abbia effetto, dovrà procedere all’intimazione entro il tempo stabilito per il decorso della no-
mina del nuovo titolare (che può essere successivo a quello della scadenza naturale): un’intimazione in
data successiva rende la nomina invalida. Non occorre intimazione se il titolare dell’ufficio viene ricon-
fermato per un altro mandato» (C. REDAELLI, Can. 186, in Codice di diritto canonico commentato, a cura
della Redazione di «Quaderni di diritto ecclesiale», Milano 2001, p. 208). Cf anche G.P. MONTINI, Il mo-
mento della vacanza di un ufficio conferito per un tempo determinato o fino a una determinata età (can.
186), in «Quaderni di diritto ecclesiale» 9 (1996) 195-208.
128 Gianluca Marchetti
25
Si parla qui di possesso illegittimo dell’ufficio; qualcuno, infatti, potrebbe possedere l’ufficio legittima-
mente, pur non essendone il legittimo titolare, perché, per esempio, agisce a titolo di sostituto (cf J.I. AR-
RIETA, Can. 154, in Comentario exegético al Código de Derecho Canónico, cit., p. 945).
26
Così V. DE PAOLIS, Il libro primo del Codice, cit., p. 459, nota 4 e la maggior parte dei commentatori. In-
terpreta diversamente, richiamando il can. 39, in favore della necessità ad validitatem della dichiarazione
e della menzione L. CHIAPPETTA, Il Codice di diritto canonico, cit., p. 240. La posizione non è condivisibile,
perché «la particella del canone non riguarda nessuna condizione essenziale apposta nell’atto ammini-
strativo, che ancora non esiste, ma la stessa legge» (J. GARCÍA MARTÍN, Le norme generali, cit., pp. 553-
554). Quest’ultimo aggiunge: «Tuttavia queste condizioni (cioè la dichiarazione e la menzione) possono
essere richieste per la validità del nuovo conferimento qualora il possesso dell’ufficio sia fondato sulla
buona fede (can. 198). In tal caso l’ufficio non può essere conferito senza aver prima dichiarato che tale
possesso è illegittimo, cioè che l’ufficio è vacante, perché fino a quel momento l’ufficio non è considerato
tale».
La «vacatio» di un ufficio ecclesiastico: annotazioni circa un istituto giuridico canonistico 129
getto alle normali procedure per gli atti giuridici, come la nullità, i ri-
corsi ecc.27
La dottrina precedente considerava inutile, nei casi di notoria il-
legittimità del possesso di un ufficio ecclesiastico, l’atto dichiarativo
previo alla provvisione; si deve, tuttavia, attenersi alla norma del ca-
none visto che l’attuale possessore probabilmente potrebbe resistere
al tentativo dell’autorità competente di provvedere con un legittimo ti-
tolare, ricercando ogni possibilità di ricorso, soprattutto sulle norme
procedurali28.
La dichiarazione di illegittimo possesso è anche funzionale
all’interruzione della prescrizione acquisitiva. Infatti, il can. 199, 6° sta-
bilisce che non sono sottoposti a prescrizione acquisitiva i soli uffici ec-
clesiastici che a norma del diritto richiedono l’Ordine sacro. Pertanto
un ufficio posseduto illegittimamente, ma con buona fede (can. 198),
che non implichi l’esercizio dell’Ordine sacro, potrebbe vedere conso-
lidata la posizione del suo possessore29. Non a caso, nella precedente
codificazione, il can. 1446 consolidava la posizione di chi, in buona fe-
de, ma sulla base di un titolo invalido, possedeva alcuni tipi di benefici
ecclesiastici, stabilendo che, dopo tre anni, potesse ottenerli a pieno di-
ritto, per legittima prescrizione, purché non vi fosse stata simonia.
Un caso particolare di applicazione del canone in oggetto è, co-
me si vedrà più oltre, quello della rimozione ipso iure da un ufficio ec-
clesiastico di coloro che incorrono nella previsione del can. 194: la di-
chiarazione ivi richiesta al § 2 per poter urgere la rimozione
dall’ufficio deve essere intesa come utile a conseguire gli effetti della
dichiarazione di illegittimità del can. 15430.
Sempre in merito ai cann. 153-154 si possono fare alcune osser-
vazioni generali che troveranno poi interessanti riscontri quando si
affronteranno le fattispecie che possono comportare la vacanza di un
ufficio.
Questi canoni pongono chiaramente la loro attenzione soprattut-
to sulla legittima titolarità di un ufficio ecclesiastico, per cui il can. 153
dichiara invalida la provvisione di un ufficio non vacante di diritto e il
can. 154 ritiene vacante un ufficio posseduto illegittimamente, che, in-
fatti, osservate le debite prescrizioni, può essere validamente conferi-
to: l’accento cade sulla certezza del diritto per cui un ufficio ecclesia-
27
Cf J.I. ARRIETA, Can. 154, cit., p. 946.
28
Cf l. cit.
29
Cf F.J. URRUTIA, De normis generalibus. Adnotationes in codicem: liber I, Romae 1983, p. 103.
30
Cf J.I. ARRIETA, Can. 154, cit., p. 946.
130 Gianluca Marchetti
stico deve avere il suo legittimo titolare. Con la valida provvisione ca-
nonica un ufficio vacante di diritto o di diritto e di fatto cessa di esse-
re vacante, così come, d’altra parte, se l’ufficio non fosse vacante di di-
ritto o di diritto e di fatto, la provvisione sarebbe invalida. In altre par-
ti del Codice, quando cioè l’istituto della vacanza viene concretamente
applicato, si trova un’attenzione maggiore al fatto che l’ufficio eccle-
siastico non solo abbia un legittimo titolare, ma che questi ne eserciti
anche effettivamente le funzioni annesse; infatti viene sottolineata, co-
me si avrà occasione di segnalare, nella fattispecie, per esempio, del
trasferimento tra sedi episcopali, non solo la nomina del titolare di un
ufficio, ma anche la presa di possesso dell’ufficio stesso, sempre da
parte del legittimo titolare (cf cann. 382; 404 §§ 1-2; 527). I cann. 153-
154 fissano dunque gli elementi costitutivi generali ed essenziali della
vacanza, quasi, si potrebbe dire, intesa in modo statico, per cui se non
si tenesse conto di come il Codice stesso, in modo dinamico, applica
l’istituto della vacanza alla vita concreta degli uffici ecclesiastici, si po-
trebbe correre il rischio di pensare gli uffici ecclesiastici come fun-
zioni astratte, per quanto costituite legittimamente per un fine eccle-
siale. Se con la valida provvisione cessa la vacanza di diritto, con tutte
le conseguenze che questo comporta in merito alle vicende giuridi-
che dell’ufficio stesso, la natura dell’ufficio ecclesiastico richiede non
solo che il munus exercendum31 venga a costituire un vero e proprio uf-
ficio ecclesiastico a norma del can. 145 e non solo che ci sia un legitti-
mo titolare e dunque l’ufficio sia legittimamente esercitabile, ma an-
che che sia esercitato concretamente, da parte del legittimo titolare,
per il bene della comunità.
31
«Alcune di queste attività ecclesiali sono qualificabili come “officia”: quelle, cioè, “stabiliter constitu-
tae”, statuite in qualche normativa e quindi conferite con nomina a molteplici e successivi titolari» (F.
COCCOPALMERIO, Note sul concetto, cit., p. 73).
La «vacatio» di un ufficio ecclesiastico: annotazioni circa un istituto giuridico canonistico 131
fisico, come la malattia, l’esilio ecc. Può trattarsi anche di motivi mo-
rali, come negligenza, dissapori e conflitti; oppure giuridici, come la
proibizione a esercitare l’ufficio, di cui al can. 41532. Tale intervento di
supplenza non muta comunque la posizione giuridica di colui al quale
l’ufficio viene affidato rispetto all’autorità da cui dipende33. Il Codice
prevede esplicitamente un solo caso di supplenza, nel can. 421 § 2: se,
entro otto giorni dal momento in cui si è ricevuta notizia che la sede
episcopale è vacante, il collegio dei consultori non avesse provveduto
alla nomina dell’amministratore diocesano, allora la sua nomina pas-
serebbe al Metropolita e, nel caso di vacanza della sede metropolita-
na, passerebbe al vescovo suffraganeo più anziano per promozione.
32
Cf J. GARCÍA MARTÍN, Le norme generali, cit., p. 554.
33
Colui che supplisce «non acquista nessuna potestà sulla persona che ha ricevuto l’ufficio perché la sua
potestà era delegata solo per quel caso concreto e si è esaurita con il conferimento dell’ufficio. La condi-
zione della persona, di conseguenza, non cambia e rimane sottoposta all’autorità che era competente per
il conferimento» (J. GARCÍA MARTÍN, Le norme generali, cit., pp. 554-555).
34
Tradizionalmente si distingue tra la perdita piena dell’ufficio, la perdita dell’ufficio di fatto e quella di di-
ritto. La perdita piena si ha quando dell’ufficio si ha la perdita della titolarità e del possesso. La perdita di
fatto si ha quando il titolare, pur mantenendo il diritto all’ufficio, ne ha perso il possesso, perché, per
esempio, ha rinunciato invalidamente allo stesso per timore. La perdita solo di diritto si ha quando qual-
cuno ha perso la titolarità dell’ufficio, ma ne mantiene il possesso. Interessante notare come le fattispecie
di perdita dell’ufficio possono essere lette in parallelo con quelle della vacanza. Al tempo stesso è impor-
tante osservare come la perdita di un ufficio e la conseguente vacanza siano cosa ben diversa dalla so-
spensione dall’ufficio, alla quale, infatti, non consegue la vacanza dello stesso. La sospensione non tocca
la titolarità di un ufficio, ma comporta solo l’impedimento o la proibizione all’esercizio di alcune funzioni
proprie dell’ufficio (cf, per esempio, cann. 1331 § 1, 3°; 1333 § 1). Cf P. GEFAELL, Can.184, in Comentario
exegético al Código de Derecho Canónico, cit., pp. 1035-1036. Evidentemente si potrebbe avere la perdita
dell’ufficio anche in forza della soppressione dell’ufficio stesso da parte della competente autorità (cf can.
148). Tale fattispecie non tocca però la nostra ricerca visto che, una volta soppresso, l’ufficio non esiste-
rebbe più e dunque non potrebbe essere vacante.
35
Cf «Communicationes» 14 (1982) 153.
132 Gianluca Marchetti
36
In Italia la conferenza episcopale ha deliberato che i vescovi possano nominare i parroci «ad certum
tempus» e che tale nomina a tempo determinato, se fatta, abbia la durata di nove anni (cf delibera n. 5, 23
dicembre 1983, in «Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana» 1983, 209 e delibera n. 17, 6 settem-
bre 1984, ibid., 1984, 204).
37
GIOVANNI PAOLO II, costituzione apostolica Pastor bonus [= PB], 28 giugno 1988, art. 5 § 1.
38
A proposito dell’intimazione si può notare come «nel caso in cui il limite di tempo per l’ufficio sia de-
terminato (legislativamente o amministrativamente) dalla stessa autorità che è competente a provvede-
re, non si può avanzare da parte del titolare alcun diritto all’intimazione e non si può affermare che esi-
sta alcun dovere dell’autorità alla medesima intimazione […]. Nel caso invece in cui il termine di tempo
sia definito dal diritto universale o dal diritto particolare promulgato dall’autorità superiore, esiste nel ti-
tolare dell’ufficio un diritto tutelato all’intimazione che ponga fine a uno stato in cui egli possiede l’ufficio,
ma non nella forma stabile in cui lo richiede l’ordinamento (cf almeno can. 193 § 2), ma ad nutum […].
L’eventuale ricorso presentato all’autorità competente secondo la normativa propria del sistema canoni-
co di giustizia amministrativa potrà sortire una dichiarazione di illegittimità della mancata intimazione,
fino a un’intimazione direttamente posta o dall’autorità superiore a quella competente o dallo stesso Su-
premo Tribunale della Segnatura Apostolica, adito nelle forme dovute» (G.P. MONTINI, Il momento della
vacanza di un ufficio, cit., p. 205).
134 Gianluca Marchetti
cit., p. 277, n. 1229 e F.J. URRUTIA, De normis generalibus, cit., p. 121) in forza della regula iuris 68 («Pote-
st quis facere per alium quod potest facere per seipsum») ritengono che tale possibilità non sia stata sop-
pressa. Ovviamente la forma scritta od orale davanti a due testimoni è da ritenersi per la validità e non so-
lo per la liceità (cf L. CHIAPPETTA, Il Codice di Diritto Canonico, cit., p. 277; P. GEFAELL, Can.189, cit., p.
1055).
41
Cf P. GEFAELL, Can.188, in Comentario exegético al Código de Derecho Canónico, cit., pp. 1051-1053.
42
Scompare nel Codice vigente la distinzione tra rinuncia espressa e quella tacita del can. 188 del CIC
1917, per la scelta di considerare alcuni atteggiamenti non più come rinuncia tacita all’ufficio, ma causa
di rimozione ipso iure; infatti, diverse delle fattispecie del can. 188 del CIC 1917 rientrano attualmente nel
can. 194 (cf «Communicationes» 21 [1989] 229). Circa la rinuncia sotto condizione, il can. 1743, relativa-
mente alla rinuncia all’ufficio di parroco, ricorda che: «La rinuncia può essere fatta dal parroco non sol-
tanto in maniera pura e semplice, ma anche sotto condizione, purché questa possa essere legittimamen-
te accettata dal vescovo e di fatto egli la accetti». Avendo l’attuale codificazione soppresso il sistema be-
neficiale (cf can. 1272) si possono ritenere del tutto superate le prassi in uso, soprattutto nel diritto
precodiciale, secondo le quali era possibile rinunciare a un ufficio e all’annesso beneficio a favore di una
terza persona oppure riservandosene i frutti. In ogni caso chi rinuncia può sempre esprimere alcuni de-
siderata insieme con la sua rinuncia, da sottoporre alla discrezionalità dell’autorità competente, senza co-
munque che l’accettazione della rinuncia debba obbligatoriamente implicare anche l’accettazione delle
indicazioni o dei desiderata espressi nella rinuncia stessa (cf P. GEFAELL, Can.187, in Comentario exegéti-
co al Código de Derecho Canónico, cit., pp. 1048-1049).
136 Gianluca Marchetti
43
Cf E. MOLANO, Can. 332, in Comentario exegético al Código de Derecho Canónico, II/1, Pamplona 19972,
p. 577. Il che non toglie l’opportunità che l’eventuale rinuncia del Romano Pontefice sia manifestata di
fronte proprio a quel collegio al quale spetta l’elezione e il compito di collaborare nella cura della Chiesa
universale.
44
Cf C. REDAELLI, Cann. 187-189, in Codice di diritto canonico commentato, cit., p. 210.
45
Evidentemente, una volta scaduti i tre mesi, non solo la rinuncia «omni vi caret» per chi l’ha presenta-
ta, ma anche per l’autorità competente, la quale, dunque, non potrà accoglierla posteriormente senza una
nuova presentazione della stessa (cf P. GEFAELL, Can. 189, in Comentario exegético al Código de Derecho
Canónico, cit., p. 1056). Si può chiedere se sia possibile una rinuncia sottoscritta dal titolare dell’ufficio,
ma senza una data definita (rinuncia «in bianco»), dando così all’autorità competente la possibilità di con-
cretizzarla a suo arbitrio: per qualche Autore si tratta di una procedura non corretta, ma non proibita dal
codice (cf l. cit.). Più coerentemente con il dato codiciale tale prassi, dove fosse in uso, dovrebbe essere
soppressa perché foriera di ambiguità e di contestazioni vista proprio l’impossibilità di stabilire la data di
presentazione. Non è da escludersi, invece, la presentazione di una rinuncia «nunc pro tunc» ossia una
rinuncia presentata e accolta ora per una data definita: se l’autorità ritiene, può accogliere la rinuncia e
accettare che gli effetti di questa si dispieghino dopo la data scelta. «Si tenga conto che niente impedisce
di accettare la rinuncia, rimandando a una data successiva la sua efficacia. […] Non è invece pensabile
La «vacatio» di un ufficio ecclesiastico: annotazioni circa un istituto giuridico canonistico 137
andato45. La rinuncia, finché non abbia sortito l’effetto, può essere ri-
tirata (can. 189 § 4)46: dunque, se nel caso in cui la rinuncia non ha bi-
sogno di accettazione basta la legittima notifica della valida rinuncia
perché questa consegua i suoi effetti e dunque non possa più essere
ritirata, nel caso che questa necessiti di accettazione, in attesa della
sua accettazione, potrebbe essere ritirata. Una volta accettata non
potrà più essere revocata47. Una volta che la rinuncia ha raggiunto il
suo effetto, ovvero è stata comunicata o è stata accettata, allora non
potrà più essere revocata: l’ufficio sarà vacante di diritto e il rinun-
ciatario potrà conseguirlo nuovamente solo per altro titolo (can. 189
§ 4). Il can. 189 non stabilisce quando la rinuncia, che deve essere
accettata, consegue il proprio effetto. Il can. 190 del CIC 1917 stabi-
liva che la rinuncia era efficace e l’ufficio era vacante dopo la comu-
nicazione dell’accettazione da parte dell’autorità competente, e che
il rinunciante rimaneva nel suo ufficio fino alla ricezione della notizia
certa dell’accettazione. Nell’attuale codificazione, il can. 417, sulla
vacanza della sede episcopale, si pone nella medesima linea; si può,
dunque, ritenere che la rinuncia consegua i suoi effetti quando
l’autorità competente notifica al rinunciatario di averla accettata.
D’altro canto, se così non fosse, si finirebbe per ingenerare situazio-
ni di grave incertezza, dove risulterebbe assai difficile definire se e
quando la rinuncia è stata accettata, basandosi, per esempio, su voci
incontrollabili.
che il vescovo diocesano, una volta presentata la rinuncia, sia destinato ad attendere indefinitamente
l’accettazione della medesima. Ciò significherebbe che il vescovo diocesano dopo la presentazione della
rinuncia diviene amovibilis ad nutum […] e questo sarebbe certo disdicevole per il vescovo diocesano,
in quanto avrebbe, nei confronti del Sommo Pontefice, una stabilità simile a quella di un vicario genera-
le nei confronti del suo vescovo diocesano. Se i dati testuali possono soccorrere per escludere tale di-
sdicevole situazione si potrebbe richiamarsi sia al canone 538 § 3, che prevede esplicitamente tale diffe-
rimento di accettazione nel caso dell’analoga presentazione di rinuncia per età dei parroci, mentre il ca-
none 401 § 1 tace riguardo ai vescovi; sia il fatto che tale differimento della accettazione della rinuncia,
previsto nel I Schema (cfr. AD II/II, 3, 645), fu poi abbandonato in seguito» (G.P. MONTINI, Il vescovo dio-
cesano, cit., p. 230, nota 43).
46
Il can. 191 § 1 del CIC 1917 stabiliva che, una volta fatta legittimamente, la rinuncia non poteva più es-
sere ritirata.
47
«Nel caso che la rinuncia necessiti di accettazione e l’autorità taccia per tre mesi la rinuncia è respinta:
l’interessato non ha diritto a presentare ricorso, perché non ha diritto a ottenere l’accettazione, ma può
presentare una nuova rinuncia» (C. REDAELLI, Cann. 187-189, cit., pp. 209-210). La natura degli uffici ec-
clesiastici, il fine ecclesiale che essi promuovono, il concreto esercizio delle funzioni a loro annesse per
il bene della comunità, oltre che la persona del titolare, esigono comunque di essere tutelati qualora la
rinuncia respinta trovi origini da motivazioni che possono o di fatto nuociono gravemente all’ufficio ec-
clesiastico stesso e al suo esercizio, rendendo, per esempio, il titolare non più idoneo all’ufficio affidato-
gli. In ogni caso il principio «ad impossibilia nemo tenetur» può certamente essere applicato a quel tito-
lare che fosse impossibilitato a esercitare le funzioni annesse all’ufficio, per esempio per grave malattia,
e non si vedesse accolta la rinuncia dall’autorità competente.
138 Gianluca Marchetti
52
Cf l. cit.; P. GEFAELL, Can. 191, in Comentario exegético al Código de Derecho Canónico, cit., p. 1066.
53
Cf G. MONTINI, Can. 1736, in Codice di diritto canonico commentato, cit., pp. 1324-1326.
140 Gianluca Marchetti
quam cessi con l’istituzione del vescovo o con la sua presa di posses-
so. Per alcuni Autori «la presa di possesso è necessaria per la validità
degli atti […] essa si può considerare come la condizione senza la
quale la stessa provisio canonica sarebbe inefficace, in quanto lo stes-
so ufficio episcopale richiede una reale relazione tra il vescovo e la
diocesi affidatagli»54. Per altri «la realtà […] è che il conferimento o
concessione formale dell’ufficio si realizza attraverso la lettera apo-
stolica, normalmente redatta in forma di Bolla. Una volta accettato
l’ufficio, si costituisce la relazione tra il vescovo e il popolo di Dio»55.
Per quanto la presa di possesso non sia necessaria per ottenere vali-
damente un ufficio ecclesiastico (cf can. 146), bastando la designazio-
ne e il conferimento, e per quanto il can. 382 § 1 sembri solo proibire
al vescovo promosso di intromettersi nel governo della diocesi, senza
però invalidarne gli atti eventualmente compiuti in violazione della
proibizione di intromissione nel governo prima della presa di posses-
so della diocesi, tuttavia il tenore del can. 382 e la tradizione canonica
recepita dal can. 334 § 2 del CIC 1917 fanno decisamente propendere
per la tesi che la vacanza della sede episcopale cessi con la presa di
possesso della diocesi, secondo le modalità stabilite dal diritto, da par-
te del vescovo designato e istituito56.
Una seconda questione è quella che riguarda il disposto dei
cann. 416, 417, 418 § 2, 1° e 481 § 157. Il problema concerne l’incoeren-
za tra i cann. 418 § 1 e 416, che sembrano fissare due criteri diversi
54
Cf G. GHIRLANDA, La diocesi: canoni di difficile o dubbia interpretazione, in «Periodica de re canonica»
88 (1999) 7.
55
Cf F.J. RAMOS, Le chiese particolari e i loro raggruppamenti, Roma 2001, pp. 197-198.
56
Cf J.I. ARRIETA, Diritto dell’organizzazione ecclesiastica, cit., p. 380, nota 18; A. DE LA HERA, Can. 382, in
Comentario exegético al Código de Derecho Canónico, II/1, cit., pp. 740-742; G. GHIRLANDA, La diocesi, cit.,
pp. 3-8; G. SARZI SARTORI, Can. 382, in Codice di diritto canonico commentato, cit., pp. 367-368. Significati-
vo, su questa linea, il fatto che l’ufficio dell’amministratore diocesano, che regge la diocesi sede vacante,
cessi con la presa di possesso della diocesi da parte del nuovo vescovo e non con la sua nomina (cf can.
430 § 1).
57
«Secondo il can. 418 § 2, 1°, durante il tempo in cui il vescovo diocesano trasferito ad altra diocesi fa da
amministratore diocesano nella diocesi a qua, cessa ogni potestà del vicario generale e del vicario epi-
scopale, salvo quanto dispone il can. 409 § 2, nonostante che a norma del can. 418 § 1 la sede sia vacante
soltanto dal momento della presa di possesso della nuova diocesi. Al contrario, secondo il can. 481 § 1 la
potestà del vicario generale e del vicario episcopale cessa dal momento della vacanza della sede, cioè, se-
condo il can. 418 § 1, dal momento della presa di possesso della nuova diocesi, mentre, secondo il can.
418 § 2, 1°, dal momento in cui il vescovo trasferito amministra la diocesi a qua, quindi prima della presa
di possesso della diocesi ad quam, e di conseguenza prima della vacanza della sede. Sarebbe da deter-
minare con certezza da quale momento cessa la potestà del vicario generale e del vicario episcopale in
relazione all’inizio della vacanza della sede: se, come stabiliscono i cann. 417 e 418 § 2, 1° dal momento
della certa notizia del trasferimento del vescovo diocesano, che secondo il can. 416 segna la vacanza del-
la sede, anche prima della presa di possesso della nuova diocesi; oppure se, come determina il can. 418
§ 1, dal momento della presa di possesso della nuova diocesi, che segna l’inizio della vacanza della sede.
La questione è importante, perché ne va della validità degli atti che fossero compiuti» (G. GHIRLANDA, La
diocesi, cit., p 21).
La «vacatio» di un ufficio ecclesiastico: annotazioni circa un istituto giuridico canonistico 141
per stabilire quando abbia inizio la vacanza della sede: la presa di pos-
sesso della diocesi ad quam oppure l’intimazione del trasferimento. Al
di là del fatto che l’incoerenza dei canoni possa essere risolta median-
te un atto chiarificatore del Legislatore58, oppure interpretando il can.
418 § 1 come un’eccezione al can. 416, «nel senso che, nel solo caso
della translatio la vacanza della sede si produce dal momento della
presa di possesso, da parte del vescovo trasferito, della diocesi ad
quam»59, nella fattispecie in oggetto, ossia quella del trasferimento dei
vescovi diocesani, coerentemente con quanto sopra esposto, si può ri-
tenere che la vacanza della sede a qua abbia inizio con la presa di pos-
sesso della nuova sede da parte del vescovo trasferito, così come la fi-
ne della vacanza della diocesi ad quam si abbia con la presa di posses-
so da parte del nuovo vescovo.
62
Si pensi, per esempio, alla ricerca delle notizie e delle prove necessarie oltre che all’ascolto di colui che
potrebbe vedere lesi i suoi diritti (cf can. 50); oppure all’esposizione, almeno sommaria, delle motivazio-
ni della decisione (cf can. 51).
63
La potestà di rimozione da parte di chi ha diritto alla provvisione non si esercita liberamente solo nei
casi di uffici affidati mediante libero conferimento, ma anche nei casi di uffici conferiti dietro presenta-
zione o elezione (P. GEFAELL, Can.192, cit., p. 1070).
64
La forma scritta è qui per la validità, anche se i decreti, in casi eccezionali, potrebbero essere intimati
in forma orale a norma del can. 55.
65
Cf V. DE PAOLIS, Il libro primo del Codice, cit., pp. 479-480.
La «vacatio» di un ufficio ecclesiastico: annotazioni circa un istituto giuridico canonistico 143
Privazione penale
La privazione dell’ufficio è la perdita di un ufficio, senza il confe-
rimento di un altro, e si differenzia dalla rimozione, perché ha sempre
carattere penale. Tale carattere penale significa che essa si applica so-
lo a punizione di un delitto e secondo la procedura stabilita dalle leggi
penali. Il can. 1336 § 1, 2°, per esempio, prevede la pena espiatoria del-
la privazione di un ufficio (cf anche i cann. 1389 § 1; 1396 e 1457 § 1).
In caso di privazione penale la sede sarà vacante dal momento della ri-
cezione dell’intimazione della pena, come espressamente previsto,
per esempio, al can. 416, per i vescovi diocesani. Il can. 1353 ricorda
che l’appello o il ricorso contro le sentenze giudiziali o i decreti che in-
fliggono o dichiarano una pena hanno un effetto sospensivo; fino al
pronunciamento definitivo dell’autorità competente, pertanto, la pri-
vazione resta sospesa e l’ufficio non è vacante di diritto, per quanto la
potestà ordinaria annessa all’ufficio resti sospesa (can. 143 § 2). L’uf-
ficio dunque sarà vacante nel momento in cui viene applicata la sen-
tenza ovvero «quando si ha notizia certa della prima sentenza o della
sentenza definitiva, nel caso di ricorso»67.
66
«La finalità di questo decreto non è dichiarare vacante l’ufficio, ma che il possesso del medesimo, da
parte di persona inabile, è illegittimo. Una tale dichiarazione di illegittimità è necessaria per poter nomi-
nare un altro titolare del medesimo (can. 154)» (J. GARCÍA MARTÍN, Le norme generali, cit., p. 634).
67
Cf J. GARCÍA MARTÍN, Le norme generali, cit., p. 637. Ovviamente un conto è la privazione dell’ufficio, al-
tro è l’allontanamento dall’ufficio di cui al can. 1722: in quest’ultima fattispecie non è intaccata la titolarità
dell’ufficio e dunque esso non diviene vacante, salvo che la perdita e la conseguente vacanza derivino da
altra fonte.
144 Gianluca Marchetti
Conclusione
Il nostro lavoro intendeva semplicemente annotare un istituto
giuridico tipico del diritto ecclesiale: ecco perché alcune piste aperte,
che meriterebbero di essere percorse più lungamente, sono state so-
lo accennate. In ogni caso, tra i punti nodali che sono venuti eviden-
ziandosi, deve essere sottolineato in modo particolare il rapporto tra
il titolare dell’ufficio e l’ufficio stesso. La vacanza, così come segnala
con chiarezza che non esiste identità tra un ufficio e il suo titolare, ri-
68
Oltre al diritto universale, anche il diritto particolare potrebbe stabilire fattispecie nelle quali, venuto
meno il diritto dell’autorità che ha conferito l’ufficio ecclesiastico, si perda l’ufficio stesso. Il CIC 1917, al
can. 183 § 2, prevedeva che un ufficio ecclesiastico non si perdeva venuto meno il diritto di chi lo aveva
concesso, salvo che la legge avesse stabilito altrimenti oppure se l’ufficio fosse stato conferito con clau-
sole quali «ad beneplacitum nostrum» o similari.
La «vacatio» di un ufficio ecclesiastico: annotazioni circa un istituto giuridico canonistico 145
GIANLUCA MARCHETTI
Piazza Duomo, 5
24129 Bergamo