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DISCUSSIONI

La Chiesa e le donne:
l’ora dell’eguaglianza
Anne-Marie
 Pelletier e Lucetta Scaraffia
La priorità è rompere con le discriminazioni e le ingiustizie del passato,
come voleva Gesù. Vanno riscoperte la generosità e la libertà della
prima comunità cristiana e recuperata l’equa condivisione delle re-
sponsabilità e dei doveri tra uomini e donne. Avremo donne cardinale?

Non parliamo di genio o complementarità di Anne-Marie Pelletier


L’identità fondante della Chiesa, insieme Anne-Marie Pelletier è docente
di Sacra Scrittura ed Ermeneutica
alla sua vocazione e missione, è l’unità. biblica alla Facoltà Notre Dame del
Questa qualità distintiva era l’essenza del- Collège des Bernardins di Parigi.
È autrice di numerosi saggi fra cui
le prime generazioni di cristiani, per cui è L’Eglise, des femmes avec des hommes
naturale per noi dover ripercorrere il giusto (Cerf, 2019). È stata la prima donna
a ricevere il premio Ratzinger per
modo di vivere e di stare insieme in “un uni- lascritto
Teologia nel 2014 e nel 2017 ha
la Via Crucis per la preghiera
co accordo”. Una serena armonia di cuori è del Venerdì Santo di papa Francesco
il modo in cui il libro degli Atti (2,44-47) altificia
Colosseo. È membro della Pon-
Accademia per la Vita e della
descrive lo stile di vita della prima comuni- nuova commissione vaticana di stu-
dio sul diaconato femminile. Que-
tà credente. Ed è anche ciò che deve tenere sto testo è stato pubblicato per la
occupati tutti i cristiani durante il cammino prima volta sul sito www.magdala-
colloquy.org (Un unico accordo: vivere
verso la fine della vita, quando tutte le loro la dimensione femminile come Chiesa,
Vita e Pensiero 62021

relazioni verranno trasfigurate. La relazione estate 2021).


tra uomini e donne richiede conversione, ci
chiama a incontrarci, ad approfondire la conoscenza gli uni degli al-
tri in modo da arrivare pacificamente alla comprensione reciproca. A
questo proposito, non c’è dubbio che quello che stiamo vivendo è un
momento kairos (critico). Ci invita a fare uno sforzo reale per esse-
re lungimiranti, non solo per quanto riguarda ciò che sta accadendo
nelle nostre società, ma anche per il modo in cui noi stessi viviamo la
dimensione maschile e femminile all’interno del corpo ecclesiale.

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Sappiamo che la questione dell’identità di genere è attualmente og-


getto di un acceso dibattito sociale. La differenza tra i sessi, un fatto
che ha certamente scosso la coscienza umana fin dall’alba dei tempi,
non può più essere dimostrata solamente attraverso la biologia. Bi-
sogna invece prestare attenzione al modo in cui uomini e donne si
relazionano tra loro. Ciò che è essenziale fare adesso è identificare
la parte che i costrutti sociali giocano nel modo in cui gli uomini e le
donne vivono. È a questi costrutti sociali che mirano le teorie di gene-
re e, se ben comprese e applicate, queste teorie aiutano a denunciare i
pregiudizi antropologici e le pratiche che perpetuano la violenza sulle
donne. Ma non c’è dubbio che, nelle loro forme radicali, i problemi
sono carichi di insidie, soprattutto quando si presenta la complessità
di un’identità sessuale che può essere scelta individualmente o quan-
do non se ne riesce a identificare facilmente l’origine.
La Chiesa cattolica naturalmente è preoccupata per tutto questo.
Il problema è che non affronta le sue preoccupazioni in modo credi-
bile. Ci sono ovviamente tensioni – accentuate dal sospetto – su come
il discorso del Magistero sul tema delle differenze tra uomini e donne
sia veramente libero da pregiudizi e altri secondi fini. Perché è chia-
ro che l’istituzione ecclesiastica di oggi rimane una roccaforte della
discriminazione tra uomini e donne che supera di gran lunga quella
del resto della società. Basta aprire la porta di una chiesa per speri-
mentare questa impressionante realtà nella liturgia stessa. Anche con
l’inclusione delle donne, lo spazio per la celebrazione rimane ancora
prevalentemente maschile.
E il Motu proprio di gennaio 2021 sui lettori e gli accoliti non fa che
accentuare l’anomalia piuttosto scandalosa di un testo del 1972 che
specificava che questi due ministeri – anche se non richiedevano l’or-
dinazione – dovevano essere riservati solo agli uomini. L’ossessione se-
condo la quale le donne non dovrebbero superare il confine simbolico
che le separa dal sacerdozio ministeriale sembra incomprensibile. Da
qui la continua allerta per tenere le donne a distanza dall’altare, conser-
vando un ordine di sacralità clericale che è fondamentalmente estraneo
DISCUSSIONI

al Vangelo. La dimensione femminile sembra così aver raggiunto lo


status di una necessità teologica, avendo quasi lo stesso impatto degli
adempimenti profetici che leggiamo nei nostri testi evangelici.
È vero che non abbiamo più l’abitudine di considerare sistematica-
mente la differenza sessuale come deleteria per il femminile. Le donne

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oggi vengono viste sotto una luce positiva, vengono celebrate, glori-
ficate, persino esaltate rispetto agli uomini. Nell’ultima parte del XX
secolo, abbiamo assistito alle dichiarazioni del Magistero sulla “digni-
tà della donna”, arrivando persino a definirla «pedagoga (maestra)
dell’umanità» (cfr. l’inventario dei testi di papa Giovanni Paolo II re-
datto nel 1999 da Patrick Snyder, La femme selon Jean-Paul II, Fides).
In ogni caso, la complementarità dei sessi è ormai diventata una pa-
rola di moda. Il fatto è che la complementarità non fa che riproporre
la tradizionale disuguaglianza gerarchica. Le donne vengono celebra-
te per la loro interiorità, per la loro capacità di umiltà considerata
mariana, per la loro volontà di servire (il “genio” del loro sesso, si
dice), e così facendo vengono tenute a distanza di sicurezza dall’eser-
citare qualsiasi autorità attraverso la parola, l’insegnamento, la predi-
cazione e la santificazione. Questo è soprattutto il caso della teologia
moderna, che attesta le due dimensioni principali all’interno della
Chiesa istituzionale: la prima è quella petrina, portatrice dell’autorità
maschile fondamentale, e l’altra è quella mariana, le cui connotazioni
mistiche si crede possano sovrastare la prima, ma dalla quale invece è
tenuta ben separata.
Questo problema – che manda in crisi gli uomini che non sono
Anne-Marie Pelletier e Lucetta Scaraffia

sacerdoti – dichiara che «l’elemento mariano nella Chiesa abbraccia


l’elemento petrino senza pretese proprie». Maria funge da esempio
e stimolo, lei che non ha mai «preteso di partecipare personalmente
al potere apostolico» (per una presentazione e valutazione di questa
teologia, vedi L. Castiglioni, Filles et fils de Dieu. Égalité baptismale
et différence sexuelle, Éditions du Cerf, 2020). La formula che attesta
che lei «possiede qualcosa di diverso e di più grande» può essere piut-
tosto fuorviante perché, se estesa a tutte le donne, dà il permesso alla
Chiesa di eludere la realtà primaria e fondamentale della loro grazia
battesimale che permette loro la piena partecipazione e comunione.
Pertanto, è chiaro che qualsiasi avventatezza con cui venga promos-
so un ruolo femminile specifico ha l’effetto perverso di consolidare la
disuguaglianza tra uomini e donne nell’istituzione ecclesiastica. Can-
cella la vera realtà dell’“uguaglianza dei sessi” per usare un’espressione
contemporanea, o, più precisamente, cancella il “tutti voi” delle Scrit-
ture, così evidente nella predicazione di san Paolo. Ignora il fatto che
“tutti” si sono rivestiti di Cristo e hanno ricevuto una parte nella vita
filiale (Gal 3,27), o che la famosa “sottomissione” associata alle donne

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nella lettera agli Efesini è prima di tutto una sottomissione reciproca


tra tutti (Ef 5,21). Elude la verità scritta nella lettera ai Galati: «D’ora
in poi, in Cristo Gesù… non c’è maschio e femmina» (Gal 3,28).
Tuttavia, è solo dopo aver onorato pienamente un’identità batte-
simale comune a tutti che il discorso cristiano può finalmente pro-
porre in modo convincente che gli uomini e le donne possono vivere
la stessa realtà spirituale in modo diverso. Per attuare concretamen-
te questa identità condivisa, la prima e urgente priorità è quella di
rompere con le discriminazioni e le ingiustizie del passato che Cristo
condannò con le sue parole e le sue azioni. Dobbiamo riscoprire la
generosità e la libertà della prima comunità cristiana annotata nel-
le lettere di san Paolo. E, come abbiamo scoperto in recenti studi,
dobbiamo recuperare l’equa condivisione delle responsabilità e dei
doveri tra uomini e donne (vedi C. Reynier, Les femmes de saint Paul,
Éditions du Cerf, 2020).
Questo fornisce una base per sostenere che l’alterità (la diversi-
tà) sia non solo possibile ma venga anche compresa chiaramente. Il
discorso della Chiesa può essere rilevante solo se prende le distanze
dal discutere la quintessenza dell’assegnazione ontologica di alcuni a
ruoli prestabiliti costruiti sulla base di pregiudizi che hanno soggio-
gato la condizione femminile. Dobbiamo tornare a ciò che ha di per
sé un vero valore ontologico (la natura dell’essere). In questo caso, si
tratta di un rinnovamento evangelico che si fonda sull’appartenenza
di tutti all’unico Corpo di Cristo. Questo ribalta il presupposto che
le donne, prima di tutto, abbiano “qualcosa in più” rispetto agli uo-
mini; invece partecipano al tutto e vengono messe sullo stesso piano
degli uomini.
Solo ripartendo da qui è possibile onorare la ricchezza della vita,
con tutte le sue sfaccettature e i suoi doni. Solo da questo punto è
possibile dare un volto differente alla costituzione e al modus ope-
randi della Chiesa, incarnando finalmente la «multiforme sapienza»
(polypoikilos) a cui si riferisce la lettera agli Efesini (Ef 3,10). In poche
parole, come Origene invitava a «consacrare la carità» per darle la sua
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verità, così noi dobbiamo consacrare il nostro discorso sui sessi par-
lando della loro portata solo dopo aver stabilito, e affermato risoluta-
mente, un’unica identità battesimale fondata sull’insuperabile dignità.

(Traduzione di Diana Isacchi)

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La questione non è il sacerdozio femminile di Lucetta Scaraffia

Per affrontare il tema del sacerdozio femmi- Lucetta Scaraffia, storica e gior-
nalista, ha insegnato Storia con-
nile, o per meglio dire il tema della sua im- temporanea presso l’Università La
possibilità all’interno della Chiesa cattolica, è Sapienza di Roma. Ha fondato e
diretto l’inserto mensile «Donne
necessario porsi due questioni fondamentali. chiesa mondo» de «L’Osservato-
In base a quali criteri giudichiamo il rappor- re Romano» dal 2012 al 2019. La
sua più recente pubblicazione è il
to della Chiesa stessa con la sua componente romanzo La donna cardinale (2020).
Con Vita e Pensiero ha pubblicato
femminile? E se lo facciamo in base ai mo- La santa degli impossibili (2014), Don-
derni standard di eguaglianza e di pari op- ne, chiesa, teologia (2015, a cura di),
Pregare. Un’esperienza umana (2015,
portunità tra donne e uomini, non rischiamo con Franco La Cecla), Francesco. Il
papa americano (2017, con Silvina
forse di dare troppa importanza al condizio- Pérez).
namento sociale? Una religione, e in parti-
colare quella cristiana, non è una morale, ma nasce da una rivelazione
e obbedisce a una tradizione, e di questo noi dobbiamo tenere conto.
Come cristiani, non ci mancano certo gli argomenti interni alla tra-
dizione evangelica per rintracciare indicazioni sicure e chiare a que-
sto riguardo. Alle donne Gesù riconosce eguale – e talvolta persino
superiore – capacità di comprensione spirituale, e affida loro missio-
ni complesse e difficili. Se non affida loro il sacerdozio non è certo
Anne-Marie Pelletier e Lucetta Scaraffia

perché le considera inferiori, né per l’influsso degli usi sociali del suo
tempo, perché più di una volta, e proprio a proposito delle donne, è
capace di sovvertire questi stessi usi con coraggio. Possiamo dedurne
che Gesù voglia indicare per donne e uomini missioni di tipo diverso,
ma di eguale valore.
La storia della Chiesa, purtroppo, ci mette di fronte a un’altra re-
altà. L’esclusione delle donne dal sacerdozio è stata considerata prova
per sancire una loro inferiorità anche spirituale, e questo ha avuto
conseguenze nella vita della Chiesa stessa, dove le donne hanno svolto
per quasi due millenni compiti secondari, se non addirittura servili,
e dove la loro voce non è mai stata ascoltata. In altre parole, la loro
esclusione sta alla base della concezione di sacerdozio che ha prevalso.
Così il sacerdozio si è trasformato in ruolo di potere e in occasione di
carriera istituzionale, invece di essere servizio nei confronti dei fedeli.
Una mia amica monaca, a chi le chiede se vuole il sacerdozio fem-
minile, taglia corto e risponde: «No, voglio che non ci siano più sacer-
doti»; intendendo ovviamente il termine “sacerdote” come equivalen-
te di “uomo di potere”.

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Per questo motivo, il dibattito sul sacerdozio femminile deve avere


come primo obiettivo quello di un riesame della figura sacerdotale alla
luce della sua realtà storica, che non è certo coerente con il messaggio
evangelico. Come del resto non è coerente con il messaggio evangelico
il progetto di ottenere l’ordinazione sacerdotale femminile per arriva-
re al potere, anche se questo progetto ha l’intento nobile e condivisi-
bile di porre fine alla subordinazione delle donne. Nella storia umana
la giustizia non è mai stata ristabilita attraverso una sostituzione delle
classi al potere.
Sappiamo bene che il rifiuto di ammettere il sacerdozio femminile
sarebbe più facilmente compreso e accettato se fosse accompagna-
to dal rispetto e da un’apertura di collaborazione nei confronti delle
donne. L’attuale condizione di subordinazione e la mancanza di ri-
spetto e di ascolto dimostrate dall’istituzione ecclesiastica non aiutano
certo a capire le ragioni di questa esclusione, che pertanto sembra
più che altro un modo per continuare a detenere il potere. Si citano
spesso i timidi accenni di un cambiamento in proposito da parte di
Giovanni XXIII e con la Mulieris dignitatem di Giovanni Paolo II. A
parte il fatto che, in entrambi i casi, sono affermazioni che non hanno
avuto seguito nella vita della Chiesa, si tratta di testi – in particolare la
Mulieris dignitatem – discutibili e discussi. Ma soprattutto sono paro-
le, soltanto parole. Non viene presa in considerazione la realtà, dalla
quale emerge una situazione molto diversa.
In primo luogo, la reale vita della Chiesa rivela una totale assen-
za di considerazione della vita religiosa femminile che, almeno fino a
poco tempo fa, costituiva, per numero di persone, ben più della metà
della vita religiosa nel suo complesso. Si può affermare, senza alcuna
esagerazione, che le suore hanno mantenuto, con il loro lavoro inde-
fesso e appassionato, la presenza della Chiesa nel mondo e che hanno
sostenuto la Chiesa stessa senza ricevere nulla in cambio. La loro voce
non è stata mai ascoltata, le loro opinioni non sono quasi mai richieste,
neppure in occasione delle procedure previste per la scelta dei nuovi
vescovi. E questo è un tema sul quale invece avrebbero molto da dire,
DISCUSSIONI

perché conoscono bene i sacerdoti delle diverse diocesi, e per di più


sono prive di qualsiasi interesse di tipo concorrenziale. In sostanza,
sono trattate come serve obbedienti e silenziose, e accettate solo se
si comportano come tali. Solo di recente papa Francesco, nel corso
dell’udienza periodica alle superiore generali del mondo, ha permesso

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– su loro esplicita e precisa richiesta – di tenere con lui un vero dialo-


go, com’era sempre avvenuto con i loro corrispettivi maschi, e questo
le religiose hanno fatto, invece di limitarsi ad ascoltare un generico
predicozzo.
Se la Chiesa non è cambiata nei loro confronti, sono però cam-
biate le religiose. La loro associazione di punta – l’Uisg, Unione in-
ternazionale superiore generali, che riunisce quelle di quasi tutte le
congregazioni di vita attiva del mondo – ha dato vita a importanti
progetti internazionali. Per questi progetti, l’Uisg ha ricevuto anche
prestigiosi riconoscimenti, beninteso mai da istituzioni cattoliche, e ha
cominciato a far conoscere le sue attività con affollate e vivaci confe-
renze stampa. Al di fuori della Chiesa, insomma, l’Uisg sta diventando
un’associazione ascoltata e stimata, mentre all’interno è quasi come se
non esistesse. Soprattutto dopo che, per bocca della sua presidente,
ha invitato le religiose a denunciare gli abusi sessuali subiti e ha of-
ferto assistenza legale alle vittime. Né la presidente né le religiose che
fanno parte del consiglio – elette dalle suore di tutto il mondo, donne
capaci e profonde conoscitrici della situazione della Chiesa nei diversi
Paesi – sono mai state consultate da alcun organismo vaticano, tanto
meno dal consiglio consultivo istituito da papa Francesco e formato
Anne-Marie Pelletier e Lucetta Scaraffia

solo da cardinali.
E non parliamo poi dell’assoluta subordinazione a cui sono costret-
te le collaboratrici laiche delle parrocchie, le insegnanti di catechismo
e nel complesso perfino le donne che – dall’esterno – s’interessano
della vita della Chiesa, come le giornaliste specialiste, in genere con-
siderate sempre meno importanti e interessanti degli uomini. Del re-
sto, una gerarchia totalmente maschile, e che non è abituata ad avere
rapporti con le donne, ovviamente preferisce, anche nei confronti dei
media, avere contatti con uomini.
In queste condizioni è difficile rendere credibile un discorso teolo-
gico e simbolico che riesca a giustificare il rifiuto del sacerdozio fem-
minile. Sembrano tutte ragioni inventate per giustificare una decisione
presa per altri motivi, e cioè per motivi di potere.
Penso invece che una reale apertura di ascolto e di collaborazio-
ne nei confronti delle donne renderebbe meno difficile da accettare
questa proibizione, e soprattutto avrebbe la funzione di attenuare,
se non proprio di azzerare, l’altissimo tasso di clericalismo che oggi
avvelena la vita dell’istituzione ecclesiastica. Le donne – le laiche per

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eccellenza – offrirebbero il loro punto di vista, la loro particolare


esperienza, la loro libertà di persone che non perseguono obiettivi di
carriera, portando alla Chiesa quella ventata di novità e di vita di cui
ha un bisogno estremo. Questo significherebbe riaprire veramente
la discussione sul ruolo dei laici nella vita della Chiesa, con la con-
seguenza di ridimensionare quello del clero. Una vera apertura alle
donne sarebbe come spalancare le finestre e far entrare aria fresca in
una istituzione sclerotizzata, cioè farla vivere.
Per questo non c’è bisogno di cancellare la tradizione, né di di-
struggere il significato simbolico di una consacrazione, in nome di una
eguaglianza di accesso alle professioni imposta dal contesto sociale
contemporaneo. Il sacerdozio non è una professione, è una missione.
E non tutti hanno la stessa missione. Questo è il messaggio profetico
che lancia la Chiesa, invitando a guardare il mondo con occhi meno
ideologici e più attenti alle diversità, più rispettosi delle esigenze spi-
rituali, che non coincidono necessariamente con quelle sociali.
Ma c’è anche un’altra possibilità, che permetterebbe alle donne di
acquisire nella Chiesa ruoli autorevoli senza alterare sostanzialmente
la tradizione: creare delle donne, che si siano specialmente distinte,
cardinali diaconi, cioè cardinali che non hanno bisogno di essere or-
dinati sacerdoti per ricevere questa carica. Me lo ha suggerito, ormai
molti anni fa, Mary Douglas, la grande antropologa inglese di religio-
ne cattolica, studiosa attenta del ruolo esercitato dai simboli nelle tra-
dizioni religiose. Perfettamente consapevole della portata simbolica
della scelta maschile per il sacerdozio, Douglas sapeva anche che nella
tradizione della Chiesa era presente una figura – quella del cardinale
non ordinato sacerdote – che poteva essere considerata un precedente
da valorizzare per lo sviluppo del ruolo femminile.
I cardinali, come si sa, sono di esclusiva nomina pontificia e, secon-
do i criteri confermati dal Concilio di Trento, potevano prevedere an-
che persone non ordinate. Oggi però, a norma del Codex iuris canonici
del 1917 (confermato da quello del 1983), non è ammesso neppure
all’ordine dei cardinali diaconi (peraltro, dal pontificato di Giovanni
DISCUSSIONI

XXIII, quasi sempre vescovi) chi non sia stato ordinato sacerdote.
Si tratta però di una norma del diritto canonico, non di un dogma,
e neppure di un’antica tradizione, dal momento che non pochi sono
stati nella storia della Chiesa i cardinali che non erano stati ordinati sa-
cerdoti, come il celebre caso di Rodrigo Borgia, papa Alessandro VI,

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che venne ordinato sacerdote solo una quindicina d’anni dopo essere
stato creato cardinale e aver ricoperto cariche importanti.
I cardinali costituiscono un collegio, una volta denominato “sacro”
e definito “senato del romano pontefice”, il cui principale compito è
quello di eleggere il papa, diritto di voto attivo riservato dal 1970 ai
cardinali che non abbiano compiuto ottant’anni. La presenza di figure
femminili in questo collegio garantirebbe una voce nuova nell’affron-
tare i problemi della Chiesa, e darebbe finalmente alle donne il ruolo
autorevole che meritano nella vita della comunità cattolica.
In passato si è detto che uno dei cardinali in pectore (quelli cioè
creati da un papa ma per motivi diversi non resi pubblici) nominati da
Giovanni Paolo II fosse una donna, e si è parlato di Chiara Lubich e
di madre Teresa di Calcutta. Non si è mai saputo se questa voce fosse
fondata, ma senza dubbio il fatto stesso che abbia circolato e che sia
stata ritenuta possibile – e soprattutto il fatto stesso che vi fossero can-
didate così autorevoli – fa capire come questa possibilità possa essere
praticata e accettata.
Percorrere questa via nuova, cioè aprire alle donne pur mantenen-
do l’idea della diversità di missione, deve essere una proposta che
nasce all’interno dell’istituzione ecclesiale, che trae origine dalle sue
Anne-Marie Pelletier e Lucetta Scaraffia

tradizioni e dall’attento ascolto del messaggio evangelico, e non da


condizionamenti sociali che arrivano dall’esterno. Questa via però
prevede una seria autocritica e molto coraggio. Speriamo che nel fu-
turo la nostra Chiesa, quasi bimillenaria, ci sorprenda in questo modo,
e ci regali di nuovo uno sguardo profetico.

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