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Hugo van der Goes, Trittico dell’adorazione dei pastori, olio su tavola, Galleria degli Uffizi, Firenze
Jan van Eyck
• Jan van Eyck è considerato il pittore più rappresentativo della pittura nordica
del Quattrocento. Le notizie sulle sue origini sono ancora incerte. Si formò
probabilmente come miniatore, apprendendo la cura per il dettaglio e l’uso
brillante del colore. Sappiamo che ha operato all’Aja per Giovanni di Baviera;
questo soggiorno è testimoniato da pochi fogli superstiti delle Ore Torino-
Milano, in cui appare evidente l’influsso dei fratelli Limbourg. Tuttavia, già in
queste opere, ancora inserite nel clima del Gotico Internazionale, emerge
un’attenzione particolare per la resa della verità spaziale, come confermano
l’applicazione della prospettiva e l’uso della luce come elemento unificante.
• Dal 1425 Jan ricopre il prestigioso incarico di pittore di corte di Filippo il
Buono, Duca di Borgogna; impegno che manterrà per tutta la vita. La prima
opera datata e firmata è il Polittico dell’Agnello Mistico, del 1432. Grandiosa
e complessa, era stata iniziata dal fratello Hubert van Eyck. Alla sua morte,
nel 1426, molte parti del Polittico restavano ancora incompiute. Le cinque
tavole inferiori che riguardano il mistero del sacrificio di Cristo e della
Salvezza, corrispondono alle tre superiori al centro, con l’Eterno affiancato
dalla Vergine e da San Giovanni, alle quali vennero aggiunte le due tavole
laterali con angeli musicanti e le due con Adamo ed Eva. Le tavole del
registro inferiore sono occupate da un grande episodio, in uno spazio
dominato da una natura paradisiaca vista dall’alto. La stessa caratteristica
definisce l’ambiente prospettico che ospita le tre figure dell’Eterno, della
Vergine e di San Giovanni, collocati in una ristretta superficie, quasi uno
spazio angusto. L’artista è poco interessato all’organizzazione dello spazio,
ma si concentra sulla resa dei personaggi, nel farli apparire più realistici
possibili.
Jan Van Eyck,
Polittico dell’Agnello
Mistico, 1432. Olio
su tavola. Gand,
Cattedrale di Saint
Bavon.
L’Eterno in trono, è in atto di benedire, indossa un abito rosso
fuoco ed è avvolto in un mantello dello stesso colore orlato
d’oro, di perle e di pietre preziose. Sulla testa è posta una
tiara ornata di tre corone risplendenti e tiene nella sinistra
uno scettro di cristallo di rocca, d’oro e di gemme. Ai suoi
piedi è appoggiata una preziosa corona imperiale. Nella sua
figura si fondono le caratteristiche del Padre, del Figlio e dello
Spirito Santo, interpretando nella sua figura, l’immagine della
Trinità.
Nel 1434 Jan van Eyck firma la tavola che raffigura i coniugi Arnolfini nella
loro camera da letto. L’ambiente che accoglie i due benestanti mercanti
lucchesi è molto accogliente ricolmo di oggetti di gran prestigio: si notano
un vistoso letto a baldacchino con drappi rossi, nel fondo si colloca un
mobile intarsiato e una panca rivestita con tessuto rosso, sormontati da
uno specchio circolare convesso; a sinistra un mobile basso su cui sono
appoggiate delle arance poste al di sotto di una grande finestra che
rischiara tutto l’ambiente. I due giovani sposi vengono ritratti senza
calzature: infatti le ciabatte rosse sono poste ai piedi della panca e gli
zoccoli di legno sono mostrati in primo piano a sinistra. L’Arnolfini, dalla
grande testa, ha lievi sopracciglia biondo – rossastre e indossa un enorme
cappello scuro di velluto e un pesante vestito di pelliccia. La moglie, lo
guarda con tenerezza, ha sull’abito azzurro una lunga sopraveste verde
dalle larghe maniche orlate di ermellino. Giovanni tiene il palmo della
propria mano contro il dorso di quella della giovane consorte. Ai piedi dei
due giovani, un cagnolino, simbolo di fedeltà coniugale.
La presenza divina nella casa è simboleggiata dall’unica candela accesa del
lampadario. La fede e la pietà dei coniugi sono rivelate anche dal rosario
appeso nel muro e dalle scene della Passione di Cristo raffigurate nei tondi
che ornano la cornice dello specchio.
Nello specchio concavo si riflettono, con la porzione della
camera non vista, anche due personaggi che stanno
entrando, ai quali Giovanni Arnolfini rivolge un gesto di
saluto.
Rogier van der Weyden
• Rogier van dei Weyden nacque a Tournai, nel 1399 - 1400, e lì
iniziò l’attività di pittore. Dal 1427 fu allievo di Robert Campin,
considerato il padre del realismo fiammingo; questi aveva
unito le delicatezze del Gotico Internazionale alla qualità
plastica dell’arte affermatasi alla corte di Borgogna. Rogier
acquisisce dal maestro il senso del volume e la componente
intensamente umana, che fonde con la luminosità e il realismo
analitico di Jan van Eyck.. Egli privilegia l’uomo agli sfondi
paesaggistici, e agli esseri umani affida il compito di esprimere
un intenso sentimento religioso. Notevole importanza ha avuto
il suo viaggio a Roma, tra il 1449 e il 1450, come pellegrino al
Giubileo. In quest’occasione Rogier fu anche a Milano,
Mantova, Ferrara, Firenze e Napoli, lavorando per i signori
delle corti e segnando l’avvio dei rapporti tra cultura italiana e
fiamminga.
• Nella Deposizione dalla croce, precedente al viaggio in Italia,
emerge la potenza espressiva del suo linguaggio. L’artista
utilizza una linea fortemente incisa e colori intensi, accentuati
da una luce fredda e tagliente.
• Rogier sembra mettere in scena una sacra rappresentazione: le
figure hanno dimensioni quasi naturali e sbalzano con
accentuato plasticismo dal fondo oro, quasi fossero delle
sculture policrome. Il fedele osserva l’ampia gamma degli stati
emotivi, i volti tutti in primo piano, tratti da un repertorio di
umanità quattrocentesca, quasi fossero borghesi prestati alla
rappresentazione del dramma.
Un giovane vestito di damasco azzurro, salito su una
scala, ha liberato dai chiodi Gesù che, adagiato, viene
sostenuto da un uomo barbuto vestito di rosso e di
porpora, Nicodemo (dottore della Legge, fariseo e
membro del Sinedrio, fu, in base al racconto del Vangelo
secondo Giovanni, uno dei discepoli di Gesù), e da
Giuseppe d’Arimatea, che indossa un vistoso abito
intessuto d’oro. A destra un vecchio servitore tiene in
mano un vasetto di profumi, simbolo della Maddalena,
la donna che chiude la narrazione a destra.
A sinistra la Vergine, che riempie dell’azzurro del suo
vestito e del suo mantello che per il grande dolore è
svenuta, sorretta da San Giovanni e Maria di Salomè. Il
rosso del primo e il verde del secondo fungono da
contrasto cromatico all’azzurro della Vergine.