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Quaderni della
Scuola di Alta Formazione di Arte e Teologia

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Le immagini che corredano questo volume sono state prelevate da fonti di
pubblico dominio e comunque il loro impiego non è di carattere esornativo, ma
assimilabile a quello della citazione di testi utile per confronti e testimonianza
documentativa. In ogni caso il testo è edito per fine didattico, indirizzato agli
allievi della Facoltà ed è fuori commercio.

In copertina: Imago pietatis, olio su tela, 1532, Museum voor Schone Kunsten
di Ghent

coordinazione editoriale Mary Attento

Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale Sez. S. Luigi,


Via Petrarca, 115 Napoli.
Scuola di Alta Formazione di Arte e Teologia.
Novembre 2014

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GIULIANA ALBANO

ECCE REX VESTER


M 1532 H

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6
E te ne vai, Maria, fra l’altra gente
che si raccoglie intorno al tuo passare,
siepe di sguardi che non fanno male
nella stagione di essere madre.

Sai che fra un’ora forse piangerai


poi la tua mano nasconderà un sorriso:
gioia e dolore hanno il confine incerto
nella stagione che illumina il viso.

Ave Maria, adesso che sei donna,


ave alle donne come te, Maria,
femmine un giorno per un nuovo amore
povero o ricco, umile o Messia.

Femmine un giorno e poi madri per sempre


nella stagione che stagioni non sente.

Ave Maria di Fabrizio De Andrè


da “La buona novella” (1970)

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INDICE

Prefazione 13

Stato dell’arte 15

Alla scuola di Jan Scorel 19

Quale uomo? 29

“Risanamento” artistico 43

Commistione di stili – l’ultimo periodo 53

Bibliografia essenziale 63

Indice delle immagini 68

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10
Ecce Rex Vester M 1532 H

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12
Maarten Van Heemskerck, artista del Cinquecento fiammingo, allie-
vo di Jan Scorel e spesso confuso con lui, può dirsi cerniera degli svi-
luppi dell’arte fiamminga del sedicesimo secolo, grazie alla sua speciale
sensibilità e alla sua apertura oltre gli schemi coevi, ad una integrazione
linguistica con l’arte mediterranea. Egli non fu artista popolare e nep-
pure gli studiosi hanno approfondito seriamente la vera statura della sua
opera e tuttavia il ruolo che egli svolse nel rinnovamento di un’arte che
si assestava su modelli stereotipati per quanto vividi e gloriosi, soprat-
tutto nell’arte sacra e non solo, fu notevole. Si pensi per citare ai suoi
ritratti familiari in cui fu tra i primi a capovolgere il luogo comune di
porre a sinistra la donna e a destra l’uomo, in ossequio ad una rispetta-
bilità che certo a quel tempo non conosceva la parità di genere.
Ma è nell’arte sacra che si focalizza questo pregevole lavoro di Giu-
liana Albano, giovane e valente studiosa, centrato su di un dipinto ri-
levante ma anch’esso poco noto dell’artista dal titolo Imago pietatis:
titolo del resto discusso e forse discutibile, sebbene si innesti in una
temperie riconoscibile della stagione rinascimentale italiana agli albori
del Cinquecento (l’opera fu infatti realizzata probabilmente a Roma,
durante il soggiorno romano del maestro) e rimandi ad una consoli-
data iconografia, quella dell’Ecce Homo raffigurato a mezzo busto o
coricato, spesso sorretto da angeli, che assunse nella cultura religiosa e
devozionale del tempo un ruolo di primo piano, legando in qualche mi-
sura la suggestione dell’uomo vivo e sofferente a quella del Dio morto.
È proprio tale commistione non solo tematica ma anche semantica ed
evocativa che fa del soggetto un riferimento complesso, rappresentato
non sempre e non solo in ambito ecclesiale.
Giuliana Albano ne analizza con puntualità i termini iconografici,
dopo aver contestualizzato sul piano storico autore e dipinto ed estende
il suo studio ad una disamina inerente alle tipologie devozionali del-
l’Ecce Homo, analizzando ad esempio le differenze e le contaminazio-
ni tra compianto e trasporto e deposizione.

13
Il tema diventa per l’autrice l’occasione per fare anche un sintetico
excursus iconografico sul nudo di Cristo, sviluppato sul piano storico,
senza peraltro entrare in una dissertazione di tipo teologico, ma sfioran-
dola in modo calibrato. È questo l’aspetto più suggestivo del lavoro, an-
che perché è approfondito su di una analisi iconografica dell’opera sul
piano stilistico ed espressivo partendo da alcune incongruenze formali,
inerenti al suo attuale aspetto, deducendo con fine intuizione che essa
fu ritoccata da mano sconosciuta, dopo la morte del maestro, essendo
stata inizialmente rifiutata dal clero a ragione della sua integrale nudità,
subendo la sorte come è noto di tanti capolavori, a cominciare dalla
michelangiolesca Cappella.
Lo studio è condotto con serietà e con dovizia di riscontri storici e
con cura documentaria e narrativa nel momento in cui si pone a descri-
vere il soggetto con evidente e significativa capacità di lettura.

Giorgio Agnisola

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Stato dell’arte
La letteratura sulla pittura fiamminga conta pochi interventi su Ma-
arten van Heemskerck presenti in dizionari e manuali che, per man-
canza d’informazione, ne ripetono notizie scarne, approssimate, spesso
inesatte e contraddittorie.
È del Vasari il primo accenno all’artista del quale cita il nome nel
suo capitolo sui Diversi artefici fiamminghi italianizzandolo in Martino
Emskerk1. Nella vita di Marcantonio Raimondi - nominato dal Vasari
Marcantonio Bolognese – è, invece, indicato come Martino Ems Kycr2.
Poche sono le notizie sulla sua attività ed è soprattutto ricordato come
incisore di notevole bravura per le “cose di chiaro scuro”3. Nel 1532
studiò a Roma; buon maestro di figure e paesaggi che aveva fatto in
Fiandra molte pitture e molte incisioni in rame intagliate da «Ieronimo
Cocca»”4.
Nel 1733 l’Abbecedario Pittorico5 rende concreto un primo profilo
dell’artista del quale sono richiamati in linea generale i momenti essen-
ziali della vita: lo nomina come Martino Emskerken figlio di un povero
agricoltore nelle parti dell’Olanda. Desideroso di apprendere l’arte del
disegno, che ricercò prima da Cornelio Arlemese poi da Gio Shorel, si
narra che arrivò ad equiparare in bravura il maestro il quale, per timore,
lo cacciò dalla Scuola.
Il Wurzbach completa la sua biografia: nato ad Heemskerck pres-
so Haarlem nel 1498, là muore nel 1574, il padre agricoltore lo fece
studiare presso Cornelis Willemsz, padre di Lucas e Floris. Poco dopo
si reca a Delft, dove si dedica all’arte nella bottega di Jan Lucas, lì si

1
Cf G. VASARI, Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti, Roma, 2002,
1334.
2
ID., in Vita di Marcantonio Bolognese, 838.
3
ID., in Vita di Battista Franco, 1112.
4
Hieronymus Cock (Anversa 1510-1570 ca.).
5
Cf L’Abbecedario Pittorico dall’autore, ristampato, corretto, ed accresciuto di molti
professioni e di altre spettanti alla pittura, ed in quest’ultima impressione con nuova,
e copiosa aggiunta di alcuni altri professioni all’illustrissimo Signore il Signor Cava-
liere D. Francesco Solimena a spese di Nicolò e Vincenzo Rispoli in Napoli 1733 con
Licenza de’ Superiori, 317.

15
esercita con massima diligenza nel disegno e nella pittura. Ben presto
volle entrare nella bottega di Jan Scorel, ad Haarlem, famoso per essere
stato in Italia (1524-1525) dove aveva appreso una nuova maniera del
dipingere. La tradizione riporta che i progressi del giovane Maarten
furono tali che provocarono la gelosia del suo maestro tanto che fu co-
stretto a lasciare l’atelier. Tra le primissime opere dipinge il Sole e la
Luna in una stanza sull’anta di un letto ad armadio a grandezza naturale
e soprattutto è da collocarsi in questo periodo il prodigioso altare di San
Luca mentre dipinge la Vergine con il bambino da lui offerto come dono
prima della partenza per Roma.6
Lo Hoogewerff7, nella voce che si riferisce all’artista redatta per
il Thieme-Becker nel 1911, riprende in sostanza le informazioni del
Wurzbach che integra con poche notizie: l’arrivo dell’artista a Roma
nell’estate del 1532 e segnala la data precisa dell’opera Il San Luca che
dipinge il ritratto della Vergine, cioè il 23 maggio 1532 come si evince
anche dall’iscrizione presente; sempre dello stesso anno un Ecce Homo
di Ghent, cui si aggiunge un Ritratto di famiglia.
A Roma resta per circa tre anni, Michelangelo e le sue opere fio-
rentine lo influenzano profondamente. Ritorna ad Haarlem dove dal
1538 al 1541 lavora per una Crocifissione per la Chiesa di San Lorenzo;
una Pala, le cui ante interne rappresentano la Passione, mentre quelle
esterne la storia di San Lorenzo. Alle opere citate dal Wurzbach ag-
giunge l’elenco di alcune opere monumentali per le chiese: nella chie-
sa di Sant’Aechte produce una pala d’altare con i Tre re magi mentre
per l’altare di San Bavone ad Haarlem, datata 1546, una Adorazione
dei Re e una Adorazione dei Pastori; infine due trittici sul tema della
Passione, tra il 1559 - 1560, rispettivamente ad Haarlem e a Bruxelles.
Van Heemskerck inoltre fece alcuni ritratti tra cui un Autoritratto con il
Colosseo, 1553, ora al Museo Fitzwilliams a Cambridge.
Il Bénézit nelle sue note su Maarten non aggiunge nulla di nuovo ma
pone l’accento ed esalta la sua attività di incisore; egli produce un certo

6
Cf WURZBACH, Niederlandisches, Künstler-Lexikon, Leipzig, Wien 1904-1911, 243-
244.
7
Cf G.J. HOOGEWERFF, van Heemsker Maarten, in U. THIEME-F. BECKER, Allgemeines
Lexicon der Bildenden Künstler, Leipzig, V, 1911, 227-229.

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numero di stampe di soggetto religioso come: La Storia di Tobia, il
Bambino prodigioso, l’Annunciazione e la Donna adultera, Le Vergini
sagge e folli e la serie dei Trionfi8.
Nel 1933 sempre Hoogewerff, ormai direttore dell’Istituto Storico
Olandese di Roma, nel compilare la voce concernente l’artista per l’En-
ciclopedia Italiana Treccani9 ci informa esclusivamente sull’attività di
Heemskerck a Roma contraddicendo quanto affermato in precedenza
e spostando la data di rientro da Roma al 1538. Rileva soprattutto con
quanto zelo e precisione esegue con disegno a penna delle antichità ro-
mane in quell’epoca visibili, ruderi e statue. I disegni in gran parte sono
uniti in due album conservati nel Gabinetto delle Stampe di Berlino.
Sono però conosciuti altri duecento fogli sparsi. Molti dei suoi quadri
furono distrutti nel 1566 dagli iconoclasti protestanti.
È interessante notare come fino agli anni sessanta non ci siano com-
menti e studi sull’attività artistica di van Heemskerck se dobbiamo
aspettare il 1965 per sentir parlare di lui, quando l’artista è ricordato per
i suoi primissimi lavori da D. Kg10 nella voce che si riferisce all’artista
compilata per l’Enciclopedia Britannica la quale propone date diverse
per quanto riguarda i primissimi lavori di Heemskerck e per il suo viag-
gio in Italia: un Ritratto del Padre (New York), Ecce Homo (Ghent),
Judah and Thamar (già Postdam) e San Luca che dipinge il ritratto
della Vergine (Haarlem) tutti datati al 1532. Il pittore, mentre aderisce
scrupolosamente allo stile romanico di Scorel, cerca di superarlo attra-
verso luci drammatiche ed effetti illusionisti di plasticità che, infatti,
raggiungono lo scopo di sorprendere ma falliscono nel conciliarli con
una certa vaghezza spirituale che sarebbe rimasta caratteristica della
pittura di Heemskerck. Inoltre il suo viaggio a Roma è segnalato tra il
1532 e il 1535 durante il quale pose attenzione particolare soprattutto
sugli affreschi di Michelangelo nella Cappella Sistina e quelli di Raffa-

8
Cf E. BÉNÉZIT, Dictionnaire critique et documentaire des peintres, sculpteurs, des-
sinateurs et graveurs, Paris 1902, 1911 e l’ed. 1999, 633.
9
Cf G. I. HOOGEWERFF, Heemskerck Marten Van, in Enciclopedia Italiana di scienze
lettere e belle arti, pubblicata sotto l’alto patronato di S. M. il Re d’Italia, Treves – Trec-
cani Tumminelli, 1933, 426.
10 L’identità del compilatore non è ancora riconosciuta.

17
ello nella Villa Farnesina. Dopo il viaggio a Roma trascorse la sua vita
quasi esclusivamente ad Haarlem, disegnò abbondantemente partendo
dalla sua raccolta di motivi romani. Tra i dipinti religiosi più notevoli
della sua maturità ci sono: un grande altare con una Crocifissione (1538
- 1543 Cattedrale Linkoping, Svezia), un’altra Crocifissione (1543,
Ghent) e la Storia di Momus (1561, Berlino).
È possibile considerarlo a pieno titolo uno dei maggiori pittori olan-
desi del suo tempo ed un pittore di indubbia abilità. Tuttavia sembra
difficile evitare la conclusione che la sua forza originaria fu soppressa
dalla sua pratica manieristica di imitare e riprodurre i modelli più am-
mirati.
“Fondando su questi, e rinnegando la natura, creò uno stile che, pur
con originalità, rimane inespressivo e di seconda mano. La tendenza a
ridurre le forme, le trame, i colori della natura ad aride, astratte formule
si estende fino ai suoi ritratti, sebbene questi siano forse i suoi lavori
più interessanti.”11
Il Philippot, infine, sottolinea un aspetto che non bisogna trascurare,
ossia quanto sia stretto e ambiguo il rapporto con van Scorel. Ancora
una volta abbiamo un’incongruenza nelle date del viaggio a Roma che
sarebbe durato quattro anni dal 1532 al 1536. Inoltre è rilevato quanto
l’arte di van Scorel, erede del Maestro di Alkmaar, è non solo piena-
mente assimilata ma superata. Il problema per Heemskerck non è l’ela-
borazione di una visione antropocentrica ma la conquista del volume
corporeo che il maestro aveva ristretto nel rigore dei piani12.
Questi sopra riportati sono i contributi più rilevanti per la definizio-
ne di un breve profilo dell’artista, necessari per chiarire il ruolo assunto
da Maarten van Heemskerck spesso confuso con il suo maestro Jan van
Scorel.

11
Cf D. KG., A New Survey of Universal Knowledge Encyclopaedia Britannica, XI,
1965, 298.
12
Cf P. PHILIPPOT, Pittura fiamminga e Rinascimento italiano, 1970, 206-210.

18
Alla scuola di van Scorel
L’inizio del discorso su Maarten van Heemskerck si identifica
nell’evidente influenza che ebbe su di lui il pittore Jan van Scorel, auto-
re di dipinti di gusto raffinato e concordemente indicato come maestro
dell’artista.
A lui si deve la prima assimilazione della cultura figurativa italiana
nella tradizione olandese13 che ha perciò nello sviluppo della pittura
nelle province settentrionali un’importanza che nel Sud ebbero artisti
come Jan Gossaert, van Orley e Frans Floris.
Senz’altro il viaggio di Scorel in Austria, a Gerusalemme e in Italia,
prima a Venezia e soprattutto il periodo trascorso a Roma, sarà stato
decisivo per il suo orientamento artistico. La lezione di Roma, Raf-
faello e la sua cerchia, Michelangelo, consisterà soprattutto nella cre-
azione di una struttura plastica della figura in movimento ma questa
esperienza romana è decisamente meno profonda di quella veneziana,
il classicismo romano è mediato dall’influenza veneziana. Solo dopo il
rientro in Olanda, dal 1524 al 1535, si ha una vera maturazione della
sua esperienza italiana. I corpi umani si liberano dall’impaccio delle
vesti sovrabbondanti che l’avvolgevano, appaiono mostrati nudi oppure
rivestiti di quei drappeggi che si modellano sulle forme del corpo. Le
forme sono messe in risalto anziché nascoste. Anche le pitture religiose
acquistano con la raffigurazione dei personaggi e del territorio nuovi
aspetti e dignità.
L’arte di Scorel ebbe un’influenza ed un peso fortissimi in Olanda
tanto che possiamo individuare tre correnti14: ad Amsterdam la ritrattisti-
ca di Dirk Jacobsz, figlio di Jacob Cornelisz, ad Haarlem le innovazioni
di Maarten van Heemskerck e ad Anversa la ritrattistica di Antonis Mor
sempre volto alla ricerca di una perfezione basata sui punti di raffigu-
razione di più numerosi dettagli. Nei lavori giovanili questi ultimi due
sono così vicini al maestro che l’attribuzione di alcuni dipinti oscilla
tra l’uno e l’altro, come ad esempio il Gruppo familiare di Kassel per

13
ib., 202-204.
14
Cf M. J. FRIEDLÄNDER La pittura dei Paesi Bassi. Da van Eyck a Bruegel, Berlino,
1916, 145.

19
la sua arditezza nella rappresentazione intima delle gioie familiari e il
ritratto di Pieter Bicker e di sua moglie (f. 1-2) datato al 1529 che sono
stati attribuiti al van Heemskerck solo recentemente.

Figura 1 Figura 2

L’ipotesi, infatti, di un Maestro di ritratti Bicker proposta da Hooge-


werff è stata ben presto superata, pertanto i ritratti sono stati ricollegati
ed attribuiti all’opera e allo stile giovanile di Maarten15.
I due dipinti, oggi presenti al Rijksmuseum di Amsterdam, furo-
no eseguiti prima del suo soggiorno in Italia dove, come abbiamo in
precedenza affermato, giunse nel 1532. Le due tavole esemplificano la
fortuna della ritrattistica privata olandese; infatti la classe sociale bor-
ghese preferiva farsi ritrarre fino a quel momento o come committenti
nelle pale d’altare accanto al santo di cui potavano il nome oppure per
tramandare la propria memoria in caso di morte. I coniugi solitamente
non erano effigiati insieme ma su pannelli separati, proprio come in
questo caso. Nell’iscrizione sulla cornice, oltre alla data, si legge l’età

15
Cf J. HOOGEWERFF De Noord-Nederlandsche Schildercunst, IV, 230-239.

20
della donna ventisei anni, mentre quella dell’uomo è di trentaquattro.
La donna appare completamente assorta nella filatura, occupazione per
eccellenza della padrona di casa virtuosa. La raffigurazione dell’atti-
vità domestica, la posizione frontale del busto e delle mani, la forma
plastica del volto costituiscono audaci elementi innovativi nella ritrat-
tistica del tempo. La testa della giovane fu rimpicciolita dall’artista in
un secondo momento probabilmente perché non apparisse più grande
di quella del marito. Questi ritratti stupiscono soprattutto per l’anno di
esecuzione: il 1529, tre anni prima del suo viaggio in Italia. Il pannello
corrispondente è il marito. Queste due figure sono state identificate da
molti studiosi come Pieter Bicker e sua moglie Anna Codde, membri di
due famiglie eminenti di Amsterdam. I pannelli hanno la stessa confi-
gurazione, le stesse cornici e le stesse composizioni. L’uomo è dipinto
sulla destra questa non è una posa consueta giacché gli uomini erano
sempre raffigurati sul lato sinistro e solo se la donna proveniva da una
famiglia molto più distinta poteva essere lì rappresentata, forse è pos-
sibile ipotizzare questo caso. Un altro aspetto intrigante è la luce. Non
è costante: nel ritratto dell’uomo entra dalla sinistra, nel ritratto della
donna dalla destra. Il commerciante e sua moglie sono mostrati in un
modo completamente nuovo rispetto alla ritrattistica olandese del nord
allora di moda. Questi ritratti intensi e soprattutto ricchi di particolari
presentano uno sfondo neutro come si denota in tanti ritratti dei suoi
contemporanei e dello stesso Jan Scorel.
Van Heemskerck fece però ulteriormente un passo in avanti: lui mo-
strò i protagonisti nel proprio ambiente; il commerciante è ritratto nel
suo studio, il libro dei conti aperto e i soldi in bella mostra, con il sigillo
per la cera lacca e altri strumenti pertinenti alla sua professione. Il dop-
pio ritratto di coniugi è conosciuto fin dall’antichità; dal Rinascimento
si diffonde l’uso di ritrarre moglie e marito in due dipinti autonomi che
potevano comporre un dittico e sviluppare, parallelamente, la rappre-
sentazione della coppia, come tale, in un unico quadro. A prescindere
dalla discussione sui valori estetici, è da evidenziare che un quadro del
genere sarebbe stato impensabile nell’Italia del 1529. L’immediatezza,
la naturalezza, l’espressione dei sentimenti, la verità di questa famiglia
olandese non può non far pensare a quanto sarebbe successo di lì a poco

21
dopo il regno di Carlo V all’Olanda: la coraggiosa indipendenza dalla
Spagna. La storia dell’arte fa parte della storia in senso pieno e la rende
evidente nei moventi e nelle conclusioni.
Molto simile è un Ritratto di un uomo di Jan Scorel (f. 3-4) a quello
di Jacob Cornelisz van Oostsanen: il primo dipinto nel 1529, il secondo
nel 1533 entrambi al Rijksmuseum di Amsterdam. Nel primo la fac-
cia è girata lateralmente ma gli occhi si rivolgono all’osservatore. Uno
sguardo fisso distinto da sottili dettagli, come le linee delicate attorno
agli occhi e la barba non fatta. Scorel era il primo nei Paesi Bassi del
settentrione a dipingere questo tipo di ritratto, evidentemente, assimila-
to dalla pittura italiana e di conseguenza è evidente quanto Maarten van
Heemskerck abbia compreso la pittura del maestro riuscendo a sorpas-
sarlo nella resa stilistica, formale e coloristica.

Figura 3 Figura 4

A tale proposito è interessante fare un confronto proprio nella pittura


italiana, con i dipinti di Piero di Cosimo: Ritratto di Giuliano Sangallo
e di Francesco Giamberti (f. 5-6) entrambi datati 1505 ca. sempre con-
servati al Rijksmuseum di Amsterdam. Alla attività del primo allude,
visibile in primo piano, il compasso cui si aggiunge una penna con la
punta bruna di inchiostro.

22
Figura 5 Figura 6

Nel corso del XVII secolo le tavole passarono ai principi d’Olan-


da, essendo variamente attribuite ora a Dürer ora a Lucas van Leyden
e ciò appare comprensibile se si considera la propensione di Piero di
Cosimo per una pittura di grande precisione, di estrema rifinitura nei
dettagli che di certo gli derivava da un attento studio degli esemplari
nordici. Tanta ricerca del dettaglio comune ad altri artisti fiorentini di
quegli anni come Filippino Lippi e Lorenzo de Credi, si unisce però e si
oppone, con grande efficacia stilistica, al gusto tipico della ritrattistica
rinascimentale italiana che tende invece alla raffigurazione dominan-
te nello spazio. La limpida luminosità del paesaggio che si apre alle
spalle dei personaggi è una caratteristica italiana. La seconda tavola
raffigura il padre di Giuliano, l’ebanista mediceo Francesco Giamberti
il quale si dilettava anche di musica come si evince dal foglio di mu-
sica poggiato sul ripiano. Anche in quest’opera l’artista dà prova della
propria singolare capacità a descrivere il vero non lasciandosi sfuggire
i segni dell’età: descrive bene la vena in risalto sulla tempia, il piegarsi
dell’orecchio sotto la stretta del berretto, l’incanutirsi dei capelli che
spuntano dall’orlo del copricapo. Si potrebbe suppore in questa imma-
gine di vecchio un’analogia con la curiosità che spingeva Leonardo a

23
schizzare sui suoi taccuini volti di uomini anziani. Nella porzione di
sfondo entro cui invece si intravedono chiese, campanili, costruzioni
rustiche, di gusto vagamente nordico e si possono scorgere le tavole di
artisti coevi come Hans Memling.
Maarten van Heemskerck negli stessi anni, precisamente nel 1530,
ha dipinto Il Ritratto di famiglia oggi conservato a Kassel (f. 7).

Figura 7

Il ritratto di famiglia è stato a lungo attribuito a Scorel. È una fa-


miglia rispettabilmente vestita, raggruppata attorno ad una tavola sulla
cui stoffa di damasco bianco vi è del cibo. Il padre guarda al di fuo-
ri del dipinto, sorregge con la mano destra un bicchiere di vino in un
gesto quasi invitante mentre la mano sinistra con l’anello - sigillo è
appoggiato sulla spalla della figlia. Il bambino più piccolo sul grembo
della madre guarda anche lui oltre il quadro mentre gioca con il rosso
rosario con gesti e corpo più simile ad un Gesù Bambino che ad un
bambino olandese. Gesti che coinvolgono lo spettatore quasi a voler
far partecipare chi osserva al banchetto. L’anello – sigillo ha permesso
l’identificazione dell’uomo: Peter Jan Foppeszoon, un ricco consigliere
della città e responsabile della chiesa di St. Bavo ad Haarlem. Intorno
al 1530 sua moglie Alijdt Mathijsdr aveva già tre bambini: Jan, circa

24
cinque anni, Cornelia, approssimativamente tre e Pieter nato proprio il
1530. La nascita o forse più precisamente il battesimo del più piccolo
può essere l’occasione per la realizzazione di questo ritratto di gruppo.
La struttura compositiva è chiara: negli angoli il padre e la madre non
rigidi; appare evidente l’influenza, percepita da Heemskerck, del tutto
“italiana” di Scorel, non solo nella raffigurazione dei volti ma anche
quella prettamente “olandese” nella riproduzione plastica dei personag-
gi e degli oggetti. La tavola riccamente adornata di stoviglie con il cibo
minuziosamente eseguito recupera l’amore del dettaglio della prima
pittura olandese. Le diverse età dei tre bambini sono caratterizzate ma
le figure rimangono in un certo senso distanziate dallo spettatore. Il
mondo interno del dipinto è un paesaggio di nuvole e cielo rinforzato
dalla tecnica assunta per lo sfondo; la vernice infatti è applicata in strati
sottili, lisci in forme chiare.
Nel 1532 Maarten prima di partire per Roma si dedica al S. Luca che
dipinge la Madonna (f. 8). L’argomento tratta l’incarnazione attraverso
la quale Dio si era reso visibile; la raffigurazione rende legittima e pos-
sibile, da un punto di vista teologico, la rappresentazione della divinità.
Rimaneva però il problema di come garantire l’autenticità e la venera-
bilità delle immagini. Due gruppi di leggende vennero in aiuto: da un
lato quella di San Luca ritrattista della Vergine col bambino, dall’altro
le diverse leggende che si riferiscono al ritratto di Cristo prodotto per
intervento divino come per l’icona del Laterano nel Sancta Santorum o
tramite il contatto diretto del volto con la tela.

Figura 8

25
È questo il caso del Mangdylion che, secondo la leggenda più antica,
fu trovato in un pozzo da una pagana la quale si convertì in seguito a
ciò. Secondo un’altra tradizione fu mandato da Cristo al re Abgar ma-
lato che, vedendolo, guarì e secondo una terza leggenda il velo della
Veronica si produsse quando Cristo si asciugò il volto durante la sa-
lita al calvario16. Questi prototipi leggendari non garantivano soltan-
to l’autenticità storica dell’immagine della Vergine e di Cristo poiché
Cristo stesso aveva dato alla cristianità il proprio autoritratto e persino
la Vergine si era fatta ritrarre. Tali immagini costituivano anche la più
alta prova della legittimità della rappresentazione. È da rilevare che,
secondo un’antica leggenda, Luca17 era pittore e che alcuni artisti ne
avevano tenuto conto sia nel nome delle loro corporazioni (ad esempio,
l’Accademia di San Luca) sia dal punto di vista iconografico. Il tema
della Madonna e di Luca si prestava alla propaganda in campo cattolico
riconducendo l’immagine religiosa alla sua origine poiché, secondo la
leggenda, l’evangelista Luca era stato il primo pittore del cristianesimo
e la Madonna aveva posato personalmente per lui facendogli da modella
ma questa notizia non è documentata nei Vangeli. Il tema iconografico
di Luca che ritrae la Madonna ed il Bambino era molto appassionante
sia perché era un’affermazione della categoria dei pittori sia di per sé, in
quanto era esemplificativo di come un pittore possa ritrarre una donna.
Durante la prima metà del ‘500 questo motivo rappresentativo era coin-
volto nelle dispute religiose nelle quali poi mantenne il ruolo solo per la
parte cattolica18. Un’opera con un titolo del genere poteva quindi essere
accolto in chiesa mentre oggi è al Museo Hals di Haarlem.

La differenza però è evidente; rispetto allo stile nordico e dei con-


temporanei di Maarten la scena non è calata in un ambiente realistico
e domestico, non vi è la presenza del solito camino, scenario predilet-
to dai pittori proprio per la rappresentazione delle Madonne che nella

16
Cf Synaxarium Ecclesiae Constantinupoleos, Mens. Augusti, 16 e Giorgio Cedreno,
Compendium Historiarum, I, 309.
17
Cf R. GIORGI, Santi, col. “Dizionari dell’Arte”, Mondadori Electa Editore, Milano
2002, pp. 224 – 225.
18
ib., pp. 224 - 225.

26
pittura fiammingo-olandese era per lo più separata da una soglia quasi
a voler studiare l’effetto della prospettiva. In van Heemskerck la tradi-
zione pittorica è superata. In questo dipinto è interessante notare come
San Luca si trovi nella stessa stanza della Madonna mentre un uomo sta
in piedi dietro l’evangelista e secondo una concezione contemporanea
rappresenta la propria ispirazione poetica19. Gli strumenti e la tecnica
del pittore sono raffigurati con estrema cura, il lavoro con ogni proba-
bilità fu eseguito poco prima che Heemskerck partisse per Roma pro-
babilmente realizzato per la cappella nella Chiesa di St Bavo nel Grote
Markt. Solo dopo il suo ritorno da Roma però il pittore fu ammesso
alla gilda anversese di San Luca. Il punto di vista notevolmente ribas-
sato dimostra che l’opera dovesse avere una posizione alta forse sopra
un altare. Se si confronta questo dipinto con quelli della generazione
precedente, ad esempio la Madonna di Luca di Jan Gossaert del 1521-
1522 Vienna Kunsthistoriches Museum (f. 9), è palese quanto l’utilizzo
della leggenda e della rappresentazione pittorica del tema diventa una
propaganda dell’attività artistica dei pittori.
.

Figura 9

19 Cf H. BELTING, La vera immagine di Cristo, Torino, 2007, 229 et seg.

27
La controriforma avrebbe nuovamente annullato questa svolta ma
al tempo di Heemskerck un pittore di Anversa va oltre la sua idea di
immagine escludendo semplicemente la Madonna dalla raffigurazione;
si tratta della grande tavola che Frans Floris realizzò nel 1556 per il
Gabinetto dei pittori di Anversa (f. 10). In quest’opera si vede Luca che
dipinge ma non vediamo che cosa sta dipingendo, il suo volto forma il
centro del campo d’immagine20. È palesemente diversa la rappresenta-
zione di questo tema che il nostro artista fa negli anni cinquanta (f. 11)
ormai non può far a meno dell’influenza della pittura italiana ma anche
dei pittori fiammingo-olandesi suoi contemporanei.

Figura 10

Figura 11

20
Ib., 230.

28
Quale uomo?
È del 1532 la composizione che fa da centro a questo studio. È al-
quanto complesso come intitolare l’opera e che tipo di rappresentazione
sia quella esposta al Museum voor Schone Kunsten di Ghent: il titolo
presente sul cartellino del Museo è Imago pietatis (f. 12).
Nelle varie biografie riguardanti l’artista si fa sempre riferimento ad
un Ecce Homo datato 1532 o, secondo studi recenti,21 ad un Uomo dei
Dolori; questa ambiguità di titoli è dovuta a mio avviso soprattutto alla
raffigurazione che ne dà Maarten.

Figura 12

È un dipinto del 1532 come lo conferma in alto un cartiglio con

21
Cf L. STEINBERG, The sexuality of Christ in Renaissance art and in Modern Oblivion,
London, 1996, 88-89.

29
scritto “Ecce Rex Vester M 1532 H” e forse proprio a questa iscrizione
è dovuta l’erronea attribuzione e intitolazione di Ecce Homo.
L’uso del termine nella storia dell’arte è più vasto e generico rispetto
al preciso momento riportato con attenzione solo nel Vangelo di Gio-
vanni: «Gesù dunque uscì, portando la corona di spine e il manto di porpora. Pilato
disse loro: “Ecco l’uomo!”, Giov. 19:5».
L’Ecce Homo propriamente interpretato è una scena in un certo sen-
so plateale con Pilato che fa uscire dal Sinedrio Gesù dolorosamente e
caricaturalmente mascherato da re (corona di spine, canna in mano a si-
mulare uno scettro, mantello rosso sulle spalle). Pilato ribadisce di non
trovare alcuna colpa tale da motivare la condanna a morte. A quel punto
esplode incontenibile il grido «Crucifige! Crucifige!» da parte dei sacerdoti,
delle guardie e della folla. La presenza di Pilato è dunque indispensa-
bile ma non è raro che il titolo di Ecce Homo sia adottato anche per
opere che narrano piuttosto Cristo deriso o anche l’Uomo dei Dolori. In
questi casi però s’intende sottolineare la completa solitudine umana di
Cristo abbandonato da tutti in balia di una sorte terribile. Questo tipo di
immagine è ricavata dai racconti della Passione nei Vangeli canonici di
cui può essere considerata un riepilogo visivo e anzi presuppone forse
un intento didattico e mnemonico; si tratta in prevalenza di un’inter-
pretazione iconografica non legata ad un testo. In questo caso la figura
patetica di Cristo ferito è la trasposizione visiva delle preghiere medio-
evali, dove Gesù enumera tutti i supplizi subiti e le ferite ricevute.
Nell’arte il soggetto propone alcune fondamentali varianti. Prima
di tutto non va confuso con le versioni solitarie dell’Ecce Homo. Nelle
opere che raffigurano l’Uomo dei Dolori invece compaiono le ferite del-
le mani, dei piedi e del costato. In alcuni casi, specie nell’arte italiana,
Cristo è raffigurato in piedi all’interno del sepolcro con gli occhi chiusi
talvolta accostato a Giovanni e alla Madonna come nella versione del
Compianto di Cristo. Nell’arte tedesca si preferisce raffigurare Cristo
con un’espressione malinconica quasi un’accusa per chi l’ha abbando-
nato. Al contrario Gesù è raffigurato morto nelle versioni nordiche del
Trono di Grazia o della Trinità.
Il nome tradizionale del ritratto della passione accenna alla comples-
sità dei suoi significati; legato al concetto di pietas esso voleva indicare

30
tanto la pietà di Dio Padre che sacrifica il figlio e del figlio di Dio che si
sacrifica, quanto la “pietà” dell’uomo – Dio per il quale è compiuto il
sacrificio verso il Dio Padre che lo accetta per la redenzione del genere
umano.
Iniziamo ad esaminare il dipinto al centro di questo studio: si tratta
del busto maschile dunque di un ritratto, secondo le convenzioni, di un
morto. Il ritratto sembra invitare al dialogo con la persona raffigurata.
Qui abbiamo un evidente paradosso legato al ritratto di chi è conside-
rato il più grande paradosso della fede: il Dio morto come uomo. L’im-
magine mostra dunque un uomo segnato dal destino umano ma che, in
quanto Dio, non poteva morire.
La dottrina cristiana limita alla morte di Cristo e alla sua natura uma-
na un episodio che dura fino al giorno di Pasqua. Al fedele si presentano
come “misteri” non penetrabili con l’intelletto giacché attuati dalla gra-
zia divina nella limitata natura umana che da quest’ultima possono solo
essere accettati per mezzo della fede.22
Il dialogo religioso fra il Cristo raffigurato ed il fedele di fronte al
dipinto si fonda sulla cosiddetta devotio; se nella devozione l’immagi-
ne entrava come strumento e simbolo del dialogo si può parlare di tipo
particolare di devozione, in altre parole di devozione dell’immagine
legata tanto alle pratiche religiose storiche quanto all’esistenza stessa
delle immagini dedicate appositamente a questa pratica.
L’Imago pietatis può essere considerata un ritratto solo applicando
un diverso concetto di somiglianza quale apparenza di una vita reale e
vera23.
Non è però sufficiente parlare del passaggio dall’historia all’imago,
per usare una terminologia tradizionale24. L’Imago pietatis è una “ima-
go” modificata che mostra una figura in uno stato ben preciso, forma di
pietatis che è diversa dalla Crocifissione, Deposizione o Compianto. Il
ritratto, nell’accezione comune del termine, è il tema proprio del dipin-

22
Cf H. BELTING, L’arte e il suo pubblico funzione e forme delle antiche immagini della
passione, Bologna, Nuova Alfa Editoriale, 1986, 7-9.
23
Ib., 9.
24
Cf. PANOFSKY, in “Imago Pietatis” e altri scritti del periodo amburghese (1921-
1933), 1998, 261 et seg.

31
to nel nostro caso usato come forma espressiva dunque tanto un nuovo
contenuto quanto una nuova forma figurativa. L’espressione “ritratto
della passione”25 esplicita il messaggio figurativo che il pittore vuole
esprimere.
L’immagine, che andremo ad analizzare e a meglio tracciare nella
sua lettura critico-analitico, mostra sul corpo – ritratto - visto da vicino,
le stigmate della sofferenza fisica che la rendono effettivamente somi-
gliante a quella di un uomo vero. La vista di un morto che normalmente
provoca distacco più che vicinanza è resa sopportabile dalla coscienza
che Egli in realtà è vivo. Non si tratta di un semplice ritratto ma di
un’immagine che permette un’esperienza mistica per i credenti. Lo si
chiama ritratto in quanto con esso ha in comune la sola raffigurazione
quasi a mezzo busto e da esso inoltre certamente deriva. È semantica-
mente più complesso del crocifisso e della crocifissione perché la figura
è ritratta solitaria, isolata da qualsiasi contesto storico con la sola pre-
senza degli angeli.
Il tema del Cristo Morto sorretto dagli angeli ha conosciuto una
vasta diffusione nella pittura del primo Rinascimento. Pur cogliendo
elementi da altre iconografie non si tratta propriamente né di un Com-
pianto né di una Deposizione né di un Cristo come Uomo dei Dolori
e nemmeno di una Resurrezione bensì di un soggetto che rivela una
propria autonomia.
Ci sono tre dipinti dello stesso tema di Maarten van Heemskerck che
presentano una simile raffigurazione: uno del 1525 (f. 10), quello del
1532 oggetto del presente trattato e quello datato 1550 (f. 11) l’unico
nella cui predella è inserita l’iscrizione Ecce Homo. Un’altra versione
presente al Rijkmususeum di Amsterdam non è autografa26. Infine una
variante anonima senza data è presente su un vetro e in qualità grezza
con i simboli degli evangelisti, così palesemente ripresa dalla tela di
Heemskerck del 1525 (f. 12) tanto da rendere il Cristo seduto adattabile
ad una elaborata Resurrezione completa di Trinità, angeli e simboli de-
gli evangelisti. Il Cristo nella copia senza cambiare postura si alza dalla
propria tomba mentre un toro, simbolo di S. Luca, irrompe tra le cosce

25
Cf H. BELTING, cit. 1986, 9.
26
Cf L. StEINBERG, cit. 1996, in nota 83.

32
rialzate del Cristo.
Esaminiamo il primo quadro in ordine cronologico: l’Uomo dei Do-
lori del 1525 (f. 13) fu dipinto su tela e sull’angolo destro in alto c’è
un testo latino di otto righe insieme alla firma ed alla data: “Martinus
Heemskeric, Invent/Anno M.D.XXV”.

Figura 13

La figura di Cristo porta una straordinaria somiglianza con i fabbri


del dipinto Venere e Marte nella fucina di Vulcano (f.14) nella Galleria
Nazionale di Praga 1536, specialmente in certi dettagli anatomici come:
i muscoli del collo e delle spalle accentuati o le protuberanze sotto i
pettorali, le doppie pieghe attorno ai fianchi, la rotondità delle spalle ed
il contorno delle braccia.

33
Figura 14

L’iscrizione27 ha anche uno stile simile a quella del lavoro di Praga


proprio come lo è la grafia del nome dell’artista “Heemskeric” nell’Uo-
mo dei Dolori e “Hemskeric” nel Venere e Cupido nella forgia di Vul-
cano. Quest’ultima forma si trova anche in altri due punti nei primi
lavori di Heemskerck: su un disegno del Foro a Roma datato 1535 e
su una stampa Prudenza e Giustizia incisa da Cornelis Bos e datata
1537. Se l’Uomo dei Dolori non fosse stato datato M.D.XXV sarebbe
seducente suggerire una datazione successiva basandosi sugli elementi
in comune con la tela di Praga.
Sebbene sia vero che sin dalla pubblicazione della monografia di
Preibisz - ed al suo tempo il 1532 era ancora considerato il punto di par-
tenza del lavoro di Heemskerck – un certo numero di dipinti quasi cer-
tamente eseguiti prima di quella data sono stati aggiunti ai lavori attri-
buiti all’artista; così che noi non abbiamo ancora una percezione chiara
del suo periodo iniziale, quando studiava presso Cornelis Willemsz ad

27
Cf I. M. VELDMAN, Maarten van Heemskerck and dutch humanism in the sixteen
century, 1995, 126-127.
34
Haarlem e Jan Lucasz a Delft e con Jan van Scorel nel successivo pe-
riodo di Haarlem.28 Questo dipinto potrebbe quindi proiettare una luce
completamente nuova su quel periodo. C’è comunque un fattore che la-
scia dubbi sulla datazione definitiva del 1525, ma che appare autentico
in tutti gli altri aspetti. Un esame effettuato della iscrizione latina rivela
che le parole finali nella maggior parte sono incomplete. Alcune come
LAPS ed HIAN semplicemente non esistono mentre altre - O, A, APER
e MOVE – non hanno senso nel contesto. L’assenza inoltre di un punto
dopo tutte le parole finali eccetto VULNUS indica che il lavoro quasi
sicuramente non è sopravvissuto senza danni poiché Heemskerck piaz-
zava coerentemente un punto dopo tutte le altre parole proprio come
nel dipinto di Praga. L’aggiunta di lettere, tra una e tre, completerebbe
l’iscrizione in modo da rendere il Latino comprensibile. Se questa sup-
posizione è corretta comunque significa anche che la firma e la data
sono incomplete e questo ancora una volta nasce dall’assenza di un
punto. “Invent” dovrebbe chiaramente essere espanso perché si legga
“Inventor” - un uso abituale di Heemskerck - ed è anche possibile che
la data M.D.XXV sia incompleta. A parte il punto ci sarebbero potute
essere fino a quattro “I”, unità romane dopo il “V”. Questo darebbe
un’ultima possibile data del 1529 che, dal punto di vista stilistico, è
molto più accettabile. Il dipinto perfino così sarebbe ancora uno dei
primi lavori di Heemskerck e mostra i suoi progressi nel trattamento
del nudo anche prima di soggiornare in Italia. L’Uomo dei Dolori è
notevolmente simile alla tela di Praga nel sistema di rappresentazione
usato29, invece, l’opera del 1532 si distingue per la presenza degli an-
geli ed è in parte ispirata alla devozione nei confronti delle piaghe di
Cristo come si può vedere anche nella Pietà con tre angeli di Antonello
da Messina del 1475 (f. 15).

28
Ib., 126.
29
Ib., 126-127.

35
Figura 15

Figura 16

36
A differenza di questa opera o ancora della Pietà londinese di Gio-
vanni Bellini (f. 16) van Heemskerck ci presenta Cristo come se fosse
vivo, gli occhi aperti esprimono strazio e dolore mentre l’angelo alla
sua sinistra cerca di togliere o mettere la corona di spine.

Figura 12 – Particolare

La grande corona di spine è tipica della pittura nordica. La scena (f.


12 - part.) drammatica sembra svolgersi in un non-luogo; può sembrare
sia sospesa fra le nuvole sia nel sepolcro e ciò è dettato dall’angelo che
sorregge una fiaccola che però non risulta come punto di illuminazione
della scena. Uno straordinario alone di luce e di colore si diffonde intor-
no a Gesù per la prossima Resurrezione. Gli angeli non sono disperati o
aggrappati alle braccia di Cristo, ma comunque enfatizzano la tragicità
della scena e costituiscono una notevole variazione su un tema frequen-
te non tanto nella pittura nordica ma in quella italiana.
«Dopo queste cose, Giuseppe d’Arimatea, che era discepolo di Gesù, ma in segreto
per timore dei Giudei, chiese a Pilato di poter prendere il corpo di Gesù, e Pilato glielo
permise. Egli dunque venne e prese il corpo di Gesù. 39 Nicodemo, che in precedenza
era andato da Gesù di notte, venne anch’egli, portando una mistura di mirra e d’aloe di
circa cento libbre. Giov. 19:38-39».

37
La distinzione tra Compianto e Deposizione nel sepolcro è sottile:
il primo è una situazione emozionale statica, mentre la seconda pre-
suppone invece un’azione dinamica, una storia. «1 Ma il primo giorno del-
la settimana, la mattina prestissimo, esse si recarono al sepolcro, portando gli aromi
che avevano preparati. 2 E trovarono che la pietra era stata rotolata dal sepolcro. 3 Ma
quando entrarono non trovarono il corpo del Signore Gesù. 4 Mentre se ne ostavano
perplesse di questo fatto, ecco che apparvero davanti a loro due uomini in vesti risplen-
denti; 5 tutte impaurite, chinarono il viso a terra; ma quelli dissero loro: «Perché cercate
il vivente tra i morti? 6 Egli non è qui, ma è risuscitato; ricordate come egli vi parlò
quand’era ancora in Galilea, 7 dicendo che il Figlio dell’uomo doveva essere dato nelle
mani di uomini peccatori ed essere crocifisso, e il terzo giorno risuscitare». 8 Esse si
ricordarono delle sue parole. Luca 24:1-8».
Nelle prime immagini della deposizione sono presenti solo Giusep-
pe d’Arimatea e Nicodemo. In seguito vi fu tra i due una separazione
dei ruoli: Giuseppe sorreggeva il corpo di Cristo, Nicodemo staccava
materialmente il corpo dalla croce. Dall’XI secolo la rappresentazione
nell’arte occidentale segue le fonti bizantine. All’evento sono presenti
anche Maria e Giovanni. La prima spesso tiene la mano già libera del
Salvatore. Giovanni è in disparte pensieroso. Iniziano in quel perio-
do anche rappresentazioni più complesse: vere e proprie scenografie
e compaiono vari personaggi che nei brani evangelici o nelle parallele
raffigurazioni simboliche sono associati alla crocifissione. Con i princi-
pi del XIV sec. troviamo raffigurazioni che riflettono un’attenzione ai
sentimenti del personaggi raffigurati. I libri di riferimento sono le Medi-
tationes vitae Christi che ebbero grande influenza nelle pratiche di pietà
medievali. Tra XVI e XVII secolo compare in primo piano Maria Mad-
dalena. Era talora presente in precedenza, ma ora assume una posizione
centrale come esempio di perfetto pentimento. Già a partire dal XV
secolo la presenza sul luogo della deposizione di più figure determinò
la necessità di inserire nella rappresentazione una seconda scala. Artisti
come Andrea Mantegna e Jean Fouquet sfruttarono tale circostanza per
realizzare immagini di grande equilibrio visivo. Le composizioni sem-
brano ravvicinate e cresce l’impatto emotivo.
Appare evidente quindi che questa non possa essere indicata né co-
me deposizione né come un compianto.
A questo punto sorge spontanea la domanda a cosa l’artista volesse
rappresentare e quale momento della Passione di Cristo possa essere la

38
chiave di lettura del dipinto.
Sembra a questo punto ammissibile che l’artista volesse descrivere
una scena slegata dalla narrazione evangelica canonica; infatti l’opera
sembra quasi rivolgersi specificamente alla pietà personale configuran-
dosi quasi come intimo colloquio con il Cristo sofferente. Un impulso
notevole in questa direzione è fornito dalla diffusione dell’Imitatio di
Cristo, scritto devozionale attribuito al monaco agostiniano Tommaso
da Kempis.
Come nell’episodio dell’Ecce Homo si può fare un confronto grafico
con l’opera del 1550 (f. 17). Anche in questo caso è il corpo di Cristo a
essere “offerto” alla meditazione del fedele. L’atteggiamento patetico è
accentuato dalla comparsa delle ferite: quella del costato e quella della
mano destra che si offre allo spettatore oltre a quelle del capo assenti
nell’altro soggetto.

Figura 17

39
Le raffigurazioni di Cristo in piedi all’interno del sepolcro abbon-
dano nella pittura e nell’arte sacra, generalmente nudo sopra la cintola,
dotato di una forza che sembra indipendente dalla sua effettiva assenza
di vita. Non può mancare l’esibizione della ferita del costato spesso ac-
centuata dallo stesso sofferente e di quelle inferte dai chiodi delle mani.
La gamma dei volti può variare da un dolore straziante a un’assenza di
espressione passando attraverso una tristezza meditabonda.
Van Heemskerck raffigura un tema autonomo caratteristico del Ri-
nascimento italiano cioè quello che comunemente è intitolata Pietà con
gli angeli il cui corpo è cinto solo dal perizoma e generalmente seduto,
sorretto e pianto dalle creature celesti. Nell’immagine il volto mortale
contrasta fortemente con la compostezza del corpo appena inciso dalle
ferite e con le vene rilevate e pulsanti. La posa seduta innaturale per
qualunque uomo morto riprende in modo del tutto personale gli ignudi
michelangioleschi ed è tipica del gruppo della Pietà.
La data dell’opera è 1532 anno in cui l’artista era in Italia, e questo
spiegherebbe anche la scelta del tema e dell’iconografia adottata.
Analizzando l’opera nell’insieme, per quanto precedentemente af-
fermato, il pittore fiammingo sembrerebbe voler raffigurare un momen-
to intermedio, i giorni tra la deposizione e la resurrezione ossia quanto
è avvenuto nel sepolcro e perché no, la preparazione della discesa agli
inferi.
Una dottrina cristiana a cui fa riferimento il Credo apostolico ed
il Credo atanasiano afferma come Cristo dopo la sua morte sia “disceso
nel mondo dei morti”.
Secondo il Vangelo apocrifo di Nicodemo la discesa di Cristo agli
inferi era stata prefigurata dalla risurrezione di Lazzaro dai morti prima
della Sua crocifissione. Negli Atti di Pilato, di solito incorporati nel
Vangelo di Nicodemo durante il Medioevo (III secolo a. D.), i capitoli
17 e 27 sono chiamati “La discesa di Cristo agli inferi” e includono
un drammatico dialogo fra Hades ed il principe Satana è l’ingresso di
Cristo immaginato nel Tartaro. Come supporto dell’idea che Cristo, do-
po la sua morte, sarebbe disceso nel regno dell’oltretomba si possono
citare diversi testi biblici: «Poiché, come Giona stette nel ventre del pesce tre
giorni e tre notti, così il Figlio dell’uomo starà nel cuore della terra tre giorni e tre not-
ti». Il Vangelo di Matteo racconta che immediatamente dopo la morte di

40
Cristo: «...la cortina del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò, le
rocce si schiantarono, 52 le tombe s’aprirono e molti corpi dei santi, che dormivano, ri-
suscitarono; e, usciti dai sepolcri, dopo la risurrezione di lui, entrarono nella città santa
e apparvero a molti. Matteo 27:51-53».
Il Catechismo della Chiesa Cattolica sintetizza la dottrina cattolica
sulla discesa di Gesù agli inferi: Gesù «era disceso nelle regioni inferiori della
terra. Colui che discese è lo stesso che anche ascese Efesini 4:10». Il Simbolo degli
Apostoli professa in uno stesso articolo di fede la discesa di Cristo agli
inferi e la sua risurrezione dai morti il terzo giorno. Le frequenti affer-
mazioni del Nuovo Testamento secondo le quali Gesù «è risuscitato dai
morti Corinzi 15:20» presuppongono che prima del momento della risur-
rezione Egli sia passato nel luogo dei morti. Nel Credo degli Apostoli
si dice che Gesù è “disceso agli inferi”. Nell’affermazione del Credo
“discese agli inferi” è così preservata la vera umanità di Gesù30.
Secondo la tradizione gli inferi nelle icone sono rappresentati con
una simbolica spaccatura nella terra dietro di cui si aprono misteriose e
invisibili profondità. Cristo è passato attraverso un’autentica esperienza
della morte e la deposizione nel sepolcro ne è la conferma: la Sua fu
una reale uscita dalla vita. Nella morte l’anima di Cristo staccata dal
corpo era già magnificata in Dio ma il corpo giaceva nel sepolcro, nello
stato di cadavere. Nel tempo tra la sua morte e la sua risurrezione Gesù
sperimentò lo “stato di morte” cioè la separazione dell’anima dal corpo
così come lo sperimentano tutti gli uomini.
Joseph Ratzinger31 esamina proprio la discesa di Cristo agli inferi
legandola alla presa in giro del profeta Elia ai profeti di Baal: «Gridate
con voce più alta, perché egli è un dio! Forse è soprappensiero oppure indaffarato o in
viaggio; caso mai fosse addormentato, si sveglierà. 1Re 18,27». Il teologo fa notare
come di questa presa in giro sono vittima oggi i credenti, nessun grido
dei quali sembra capace di risvegliare Dio. L’espressione “Discese agli
inferi” sembra proprio designare la situazione odierna: lo sprofonda-
mento di Dio nel mutismo, nel cupo silenzio dell’assente. “Solo allor-
ché l’abbiamo sperimentato come solenne Silenzio, possiamo sperare di

30
Cf Catechismo della Chiesa Cattolica, paragrafo 631-637.
31
Cf J. RATZINGER, Introduzione al Cristianesimo, Queriniana, Brescia 1969, 238-245.

41
percepire anche la sua Parola, che sgorga avvolta nel tacito mistero”32.
L’opera del 1532 potrebbe essere una rappresentazione della prepa-
razione alla discesa agli inferi come pieno compimento dell’annunzio
evangelico della salvezza.
Questa interpretazione potrebbe essere avvalorata da alcuni momen-
ti caratteristici dell’opera: lo zelo degli angeli, il sollevamento della co-
rona di spine, la caduta libera del sudario, l’impostazione alta e l’angolo
acuto di visione apparentemente dal basso, l’ambiente caldo e colorato
di rosso che simboleggia il regno degli inferi o dei cieli con le nuvole
azzurre, quasi uno sfondo che riconduce ad un’immagine pacata e sere-
na molto diversa rispetto alle patetiche e spesso drammatiche interpre-
tazioni. Infine l’apparente rotazione della corona di spine effettuata con
i movimenti avanti ed indietro attorno all’asse rappresentato da Cristo.
Le generazioni precedenti di pittori si erano accontentate di ripro-
porre i segni tradizionali della Resurrezione: occhi aperti, postura in
piedi, libertà di movimento ed essi bastavano a mostrare il corpo rial-
zato e vivo. L’unico tratto distintivo di una eventuale attribuzione ad
un’iconografia simile a quella dell’Uomo dei Dolori è la mano destra
protratta verso lo spettatore; Gesù mostra la ferita ancora sanguinante
come è quella del costato. Questi segni evidentemente per Heemskerck
non erano abbastanza33.
Ancora un dettaglio colpisce nell’opera di van Heemskerck: è il pe-
rizoma di Cristo, un velo trasparente. Da questo particolare si è poi
iniziata una dibattuta discussione sulle nudità di Cristo.

32
Ib., 240-241.
33
Cf L. StEINBERG, cit. 1996, 24-241.

42
“Risanamento” artistico
Non bisogna neanche sottovalutare l’idea di quanto la rappresen-
tazione del nudo abbia dovuto affrontare, più di qualunque altro tema
iconografico, le variazioni periodiche della morale del tempo. Tra le più
antiche testimonianze di censura artistica troviamo l’episodio narrato da
Gregorio di Tours a proposito del Crocifisso di Narbonne: per tre volte
di notte a un prete comparve il Cristo dipinto nella cattedrale, chieden-
dogli di essere coperto; quindi il vescovo ordinò che l’immagine fosse
rivestita facendo così cessare le apparizioni notturne. È tra Medioevo e
ottocento che si registrano molteplici ondate censorie ai danni del nudo.
La modalità più drastica è quella della distruzione di cui fanno le spese
innumerevoli sculture antiche ritenute idoli pagani. Così anche durante
la furia iconoclastica i roghi savonaroliani e quelli dell’Inquisizione.
L’espediente più immediato consisteva nel relegare l’opera in luoghi
poco accessibili ai fedeli. Sparirono così le statue di Adamo ed Eva di
Baccio Bandinelli dalla cattedrale fiorentina e a Venezia quelle di Tullio
Lombardo da Santa Maria dei Servi, una sorte simile toccò anche al
polittico di Ghent di van Eyck34.
Il “risanamento” delle pitture e delle sculture iniziò specialmente
dopo l’emanazione delle disposizioni contro-riformistiche dell’epoca,
il Giudizio Universale nella Cappella Sistina resta l’esempio più ecla-
tante. I restauri hanno riportato alla luce in molti casi l’integrità delle
opere, ma innumerevoli sculture subirono la sorte della castrazione o
l’applicazione di perizomi o di pudiche foglie di fico.
«Fratelli Accademici… siavi girato questo avvertimento… di non far mai opera
vostra in alcun luogo disonesta o lasciva…, né cosa altra che possa muovere…a cattivi
pensieri». Il consiglio dell’Ammannati riepiloga l’atteggiamento assunto
da numerosi artisti di fronte alle mutate necessità della produzione arti-
stica scaturite dai dettami del Concilio di Trento conclusosi nel 1563. In
quella occasione si emanò il divieto dell’esposizione di opere non con-
formi al dogma cristiano, poco comprensibili e quindi ingannevoli per
le anime semplici e di opere impure o provocanti. Gli scritti teorici del

34
Cf. W. DELLO RUSSO, Nudo, col. “Dizionari dell’Arte”, Mondadori Electa Editore,
Milano, 2010.

43
periodo – Molanus, Dolce, Borghini, Gilio – brulicano di ammonimenti
da rispettare riguardo ad esempio il ceto dei personaggi da rappresen-
tare e il luogo destinato ad ospitarli e invitano a metter da parte l’imita-
zione degli antichi e i virtuosismi anatomici in favore dell’“onestà e del
convenevol decoro”.
Il principale teorico della riproduzione in età controriformistica, il
cardinale bolognese Gabriele Paleotti nel suo Discorso intorno alle im-
magini sacre e profane (1582) esemplifica lo spirito dell’epoca già nel
titolo dei capitoli del terzo libro (mai realizzato): “Delle figure ignude,
e quanto dagli occhi casti debbono essere schifate”.
La disapprovazione si ferma come già accennato prevalentemente
sul michelangiolesco “Giudizio universale”. Tanto che come è ben noto
Daniele da Volterra ricevette l’incarico di ricoprire le nudità nel 1564;
il grande capolavoro rischia perfino la cancellazione con Clemente VIII
sotto il quale si registra un’ondata censoria senza precedenti.
Gli esiti sono sconcertanti: il nudo scompare dai luoghi sacri ed è
ammesso soltanto nelle dimore degli aristocratici spesso mascherato
dai contenuti simbolici e moraleggianti.
La Chiesa, pur non ostacolando il profondo rinnovamento artistico
che si verifica nel corso del Quattrocento inizia ad avanzare istanze di
controllo e a mostrare preoccupazione per le rappresentazioni false, im-
morali ed erronee come la Trinità raffigurata nel ventre di Maria, Gesù
con la tavola dell’alfabeto, le Ostetriche che secondo i racconti apocrifi
assistono al parto della Vergine.
Nel XVI secolo, soprattutto nell’Europa settentrionale, avviene una
profonda trasformazione del sistema iconografico. Le immagini, fino ad
allora ritenute “importanti” e considerate segni concreti della presenza
del sacro, diventano principalmente oggetto di contemplazione esteti-
ca. Le storie bibliche hanno un posto relativamente modesto accanto ai
soggetti profani e di solito sono trattate come scene di genere. I temi
preferiti sono invece quelli tratti dalla vita quotidiana: il quadro di co-
stume, il ritratto, il paesaggio, la natura morta, la scena d’interno, lo stu-
dio d’architettura. Proprio nei Paesi Bassi e in Francia, nel clima delle
controversie e delle lotte religiose che seguono la Riforma protestante,
si verificano anche distruzioni di quadri e statue. Per rendere al culto la
sua validità e alla Parola il suo primato le immagini sono nascoste, im-

44
biancate, eliminate, decapitate, in alcuni casi condannate e arse, anche
se i riformatori cercano di opporsi alle rivolte iconoclastiche.
Pur condannando apertamente il culto idolatrico delle immagini il
riformatore Lutero non giustifica l’iconoclasmo e lascia la questione al-
la libertà dei cristiani. Egli dichiara che l’arte infatti svolge una funzio-
ne pedagogica e le raffigurazioni sono subordinate alla Scrittura. Lutero
stesso si rivolge a Lucas Cranach il Vecchio per illustrare temi biblici
o aspetti teologici della Riforma in chiave antiromana e la riflessione
luterana influenza artisti come Dürer autore di alcuni grandi dipinti di
carattere religioso e Hans Holbein il Giovane che realizza, tra l’altro,
una serie di incisioni per la traduzione tedesca della Bibbia.
La Riforma protestante e la Controriforma cattolica coincidono sulla
necessità di purificare il cristianesimo medievale eliminando residui e
sedimenti con l’esito di inibire la fantasia.
“Nuovi temi e nuove rappresentazioni in campo cattolico sono su-
scitati dal Concilio di Trento (1545-63) che dà all’arte religiosa un ca-
rattere severo e rigido per lottare contro l’eresia e l’eterodossia nella
convinzione che niente di inutile debba distrarre il cristiano che medita
sul desiderio di salvezza anche se la sua spiritualità è invitata a scoprire
il ruolo dell’immaginario nell’esercizio della fede”35. Il concilio vieta
«in modo da non dipingere o adornare le immagini con procace bellez-
za» e non è consentito «porre o far porre un’immagine inconsueta in
un luogo o in una chiesa» senza l’approvazione del vescovo. La nuova
sensibilità suggerisce maggiori cautele e le figure che ora sono giudica-
te licenziose, come le esaltazioni della fertilità che avevano preso forma
nelle sculture delle cattedrali medievali, sono rimosse o sepolte.36
Rappresentativo è l’episodio che coinvolse Michelangelo Merisi da
Caravaggio e la Congregazione di san Luigi dé Francesi che gli com-
missiona un ritratto dell’evangelista Matteo per l’altare della Cappella
Contarelli, ma poi rifiuta il dipinto perché l’evangelista è ritratto con le
«gambe incavalcate» quindi senza «decoro né aspetto di Santo»; un ge-
sto improprio che già Dürer aveva adottato nel 1511 raffigurando Cristo
con le gambe accavallate nella commovente silografia del frontespizio

35
Cf R. ALESSANDRINI, Bibbia e arte, Claudiana, Torino 2012, 20.
36
Ib., 20.

45
della Grande Passione37. Bisognerà aspettare il 1745 quando Benedetto
XIV detterà, nell’enciclica Sollicitudini Nostra, la corretta iconogra-
fia di Dio e della Trinità secondo la descrizione biblica rifiutando ad
esempio la raffigurazione antropomorfica dello Spirito Santo talvolta
rappresentato come un giovanetto.
Tanto premesso ci riporta all’opera oggetto di questo studio. Nel te-
sto di Leo Steinberg Sexuality of Christ38 sono riprese varie teorie. Egli
conserva sul quadro di Ghent il titolo di Man of Sorrows e non di Ima-
go Pietatis mentre però, come in precedenza detto, Uomo dei Dolori è
corretto, forse per la raffigurazione del 1525 e per la versione del 1550
ca., la figura di Ghent invece è più complessa in quanto combina il tema
iconografico dell’Uomo dei Dolori con il simbolismo resurrezionale.
Lo storico dell’arte, come dichiara già nel titolo del suo libro, vuo-
le sottrarre “la sessualità di Cristo nell’arte del Rinascimento all’oblio
moderno”. Il testo sembra voler dimostrare ciò che non è comunque in
dubbio, ovvero che il figlio di Dio è in possesso di un corpo maschile
a cui appartengono anche i genitali senza perciò suggerire l’esercizio
della sessualità. Come asserisce anche Hans Belting viene, ancora una
volta, eretta una barriera fra il corpus Christi e il corpo dell’uomo della
quale però Steinberg non fa parola.
Nel suo tema della sessualità fa un excursus completo che coinvolge
tutte le fasi della vita di Cristo da bambino fino alla sua morte e anche
nelle fasi della passione.
Ad esempio per quanto riguarda la rappresentazione del Bambin
Gesù i pittori mostrano i genitali e ciò accade non solo perché il bam-
bino è lecito rappresentarlo nudo, ma anche perché l’organo sessuale
in quest’età non è ancora sviluppato. È esposta e soprattutto raffigurata
l’innocenza di una sessualità che non è ancora minacciata da alcuna
tentazione e proprio nel bambino si può far vedere ciò che non doveva
essere incerto e cioè che Gesù era in possesso di un corpo completo.
Allo stesso modo priva di rischi era la raffigurazione dell’organo ses-
suale, appena velato, nel cadavere e, ancora, non solo perché si offriva
una nuova occasione per la rappresentazione della nudità ma perché la

37
Cf A. CHASTEL, Il gesto nell’arte, Laterza, Roma-Bari 2003, 5.
38
Cf L. StEINBERG, cit. 1996, 315.

46
morte separa l’organo sessuale da ogni pratica39.
Nel dipinto in esame leggendo il perizoma di Cristo ci si accorge che
il materiale di cui è composto procede tortuosamente attraverso almeno
una dozzina di cambi di direzione. Si comincia, per seguirne il corso,
dall’angolo in basso a destra della figura dove il panno compare, da die-
tro, alla vista in una sorta di affossamento nel banco di nuvole che sono
scenografia del ritratto. Certamente non si mostra in modo completo,
il lenzuolo, dal marginale punto di entrata, fugge via verso il centro,
torna indietro bruscamente per sovrapporsi al piede di un angelo e solo
allora, dopo tre finte e deviazioni, finalmente prende contatto col corpo
avvolgendosi attorno alle dita della mano sinistra40.
Questi cambi di direzione potrebbero anche far pensare ad un’ag-
giunta successiva proprio per celare la pubenda di Cristo, stratagemma
ben noto agli artisti41.
Ma ovviamente sorgono dei dubbi: primo com’era possibile che una
rappresentazione di Cristo da altare fosse arrivata fino a noi senza es-
sere censurata?
La risposta a mio avviso è che la tela era stata sicuramente cen-
surata e quindi epurata. Non bisogna dimenticare che molti quadri di
van Heemskerck furono distrutti nel 1566 dagli iconoclasti protestanti
e quindi è pensabile che il dipinto fosse stato corretto con l’aggiunta del
perizoma velato. Un leggerissimo perizoma tutt’oggi presente avvolge
i fianchi di Cristo, la redenzione dalla timida nudità di Adamo passa
attraverso la nudità del sacrificio.
Il drappeggio, creato in una data incerta ma sicuramente prima del
1800, largamente esteso verso l’alto e verso destra camuffa l’effetto di
una erezione. La cavità che si crea all’interno della coscia sinistra di
Cristo dà al ginocchio quella innaturale protuberanza che risulta proba-

39
Cf H BELTING, cit. 2007, 121 et seg.
40
Traduzione da L. STEINBERG, cit. 1996, 310-317. Due temi, frattanto, colpiscono di
quelle dita: il motivo ricorrente dei membri avviluppati e le fasi delle due mani di
Cristo: la sinistra, prona, ancora parzialmente nascosta, l’altra con il palmo esposto a
mostrare la ferita. Cosa accade dopo? Il lenzuolo si eclissa sotto la seduta della figura
per riaffiorare da dietro al fianco destro. Il proprio velo, sottile e venato di bianco, mo-
della la curvatura della coscia. Insinuandosi verso l’interno della coscia, osservate un
impedimento che fa star su miracolosamente il tessuto e ne ritarda la caduta libera.
41
Cf I. M. VELDMAN, cit. 1995, 126.

47
bilmente attuata durante il periodo della censura. Questa cavità fu im-
posta dalla realizzazione e dall’aggiunta del tessuto ed evidente che non
è una caratteristica anatomica. Heemskerck aveva reso la coscia sinistra
in primo piano in misura completa fino all’inguine non meno robusta
dell’altra ed aveva pianificato che il perizoma, in arrivo dalla destra di
Cristo, eseguisse una ripida curva in discesa. Distinguibile ad occhio
nudo, questa originaria enfasi è confermata nel rapporto di restauro del
1992 che include un’ammissione della erezione nascosta ed un esitan-
te tributo al senso carnale della ostentatio genitalium. L’artista voleva
confermare la vera appartenenza di Gesù al genere umano definito dopo
la caduta dalla morte e dal sesso42.
Steinberg si pone domande se queste opere siano sacrileghe o accet-
tabili nell’arte cristiana e se noi le ammettiamo, allora, quale sia la base
razionale che le giustifichi43.

42
Cf L. SCARAFFIA, Il Corpo umano nel pensiero cristiano, in T. Verdon (a cura di) Gesù
il corpo, il volto nell’arte, Silvana Editoriale, Milano 2010, 73-75.
43
Traduzione da L. STEINBERG, cit. 1996, 323-325, Il problema, per loro, era l’annul-
lamento del peccato e della morte. Peccato e morte: forse le due spiegazioni ora of-
ferte per il motivo dell’erezione - simbolismo resurrezionale e ricostituzione dell’uomo
dell’Eden - dovrebbero essere viste come complementari. Le immagini in discussione,
allora, starebbero mostrando il membro eretto come segno di carne che risorge e come
un simbolo della sua ribellione revocata. Poiché il lavoro dalla Incarnazione alla Re-
surrezione è predicato come un “ritorno”, una restaurazione della natura originaria;
in cui la volontaria erezione, nella conoscenza di quei pittori, è un segno manifesto.
La “involontarietà dell’erezione” agostiniana è infatti irrilevante alla visione di He-
emskerck, ma per inversione: ciò che il Peccato Originale aveva posto fuori controllo
ritorna ora alla volontà e la punizione divina incorsa all’uomo nel suo corpo viene
abrogata. La necessaria volontarietà, in questo senso, dell’erezione nell’Uomo dei Do-
lori di Ghent trionfa sia sulla morte che sul peccato. È il modo del pittore di inscrivere
il Paradiso Riconquistato sul corpo di Cristo. “Un simbolo mal diffuso” è ciò che
chiamò il motivo dell’erezione nelle immagini del Cristo post-mortem. Il tema era, e
certamente resta, in un senso sociale, un affronto terrificante. Esso fallì per gran parte
dei colleghi artisti, alcuni dei quali seguirono l’esempio di Heemskerck. La sfronta-
ta genitalità dell’Uomo dei Dolori di Ghent, sebbene iniziato come pezzo d’altare, fu
subito modificata, quanto subito è sconosciuto. Non sapremo mai quante immagini di
questo tipo furono distrutte o disinfettate al di là del ripristino. Ciò che effettivamente
sappiamo è che il tema dell’erezione su un Cristo risorto fu disapprovato, che soprav-
vive per caso e che ancora infastidisce. Il motivo, in questo senso, sicuramente, ottiene
il rango di fallimento comunitario, offensivo verso i patroni, ai proprietari successivi

48
Probabilmente bisogna pensare alla natura stessa di Dio; il corpo
trasformato e trasfigurato del risorto autorizzava i pittori e anche gli
scultori, si pensi ad esempio a Michelangelo e al Cristo risorto (1519-
1521) a Roma in Santa Maria sopra Minerva, ad esibire questa nudità
tenendo a freno lo sguardo dell’osservatore e incoraggiandolo a vedere,
in ciò che vedeva, una metafora.
I dipinti di Heemskerck, sempre secondo Steinberg, invertirebbe-
ro la metafora attraverso la rappresentazione della carne. L’equazione
erezione-resurrezione, come simbolo di vita dopo la morte, ha le radici
nell’antichità pre-Cristiana; le immagini dell’ Uomo dei Dolori44 di He-
emskerck sembrano concepite con un intento Cristiano e de profundis.
Non si tratta, quindi di opere sacrileghe, ma della rappresentazione sim-
bolica della rinascita della carne, cioè della resurrezione, che ricorda
che il Cristo è risorto con il suo vero corpo45.
Ma è da sottolineare come questo tessuto di lino è una invenzione
ispirata come artificio composizionale. Risolve ad esempio il problema
figurativo posto dalle normali Crocifissioni - il problema dei fianchi
mancanti nel campo visivo di mezzo tra la croce e l’orizzonte. Attra-
verso una meravigliosa ondeggiatura ostentata in avanti e che partono
dal centro, le lenzuola sono animate e piene; e la soluzione è così ben
scelta che la sua idoneità non fu mai messa in discussione se non in
termini formali. Nessuno ha messo in discussione la saggezza di rea-
lizzare e riprodurre il perizoma in tali rappresentazioni; oppure la sua
turbolenza come un indicatore di vento laddove nessun altro tessuto è
mosso; né la sua verosimiglianza in un contesto narrativo che invoca la
minima copertura di una vittima i cui vestiti erano stati bottino dei suoi
carnefici. Il completo spiegamento di questa invenzione, così come di
molte altre, appare dovuta a Rogier van der Weyden. Le sopravvesti in
alcune Crocifissioni di Rogier si dispiegano in svolazzanti stendardi so-
stenuti da una brezza permanente laddove tutto il resto è fermo. Questi
festoni ventosi, ormai nel 1500, glorificano i sacri fianchi della maggior
parte dei crocifissi tedeschi spesso più che abbondantemente come se si

ed al vasto pubblico.
44
Cf Le Musée d’art ancien Bruxelles, Ministry of Education and Culture the Royal
Museums of Fine Arts, Belgium 1988.
45
Cf L. SCARAFFIA cit. 2010, 73-75.

49
trattasse di lesa maestà. Panni smisurati, annodati e fluttuanti non fanno
che enfatizzare lo stratagemma simbolico del perizoma atto a celare le
nudità di Cristo. Apparentemente, però, è sempre un perizoma. L’ingui-
ne del Cristo crocifisso viene direttamente toccato dall’indistinta forma
della ostentatio. Tale azione capita in alcune distinte situazioni. La pri-
ma di esse, sebbene esageratamente rara, è esemplificata in un capola-
voro italiano di metà XVI secolo di Moretto da Brescia. La tela monu-
mentale di Moretto tratta il momento storico dell’Ecce Homo come una
immagine devozionale a-storica più simile ad un Uomo dei Dolori. Una
scalinata conduce ad una loggia; ai suoi piedi giace la croce più piccola
della grandezza naturale, ma larga abbastanza per un’attribuzione. Un
angelo piangente alato esibisce l’abito sciolto di Cristo e lo stesso con-
dannato sotto la sua corona di spine siede basso con le mani legate, la
canna tra le dita della mano sinistra mentre la mano destra preme con-
tro l’inguine. Sembra infatti innegabile che la mano poggiata in questi
esempi sia un “gesto” poiché nessun movimento degli arti di Cristo, sia
facendo qualcosa che soffrendo, può essere altro che voluto46.
Gli artisti Medievali e Rinascimentali capivano che le mani di Cristo
morto non sarebbero affondate laddove la divinità vivente si sarebbe
trattenuta. Nelle immagini della Passione la mano di Cristo cade sempre
sui genitali: nei vetri colorati a scala ridotta, nei pezzi d’altare dipinti
e nei gruppi monumentali di sculture. Il motivo può essere rintracciato
sin da prima del 1320. Il gesto, in una delle sue prime istanze può essere
interpretato come una modesta precauzione, invece nel nostro caso il
pittore scelse di lasciare trasparente l’ampio perizoma di Cristo. Espres-
sioni di modestia potrebbero ancora essere intese nei vetri colorati del
tardo XIV secolo laddove o la madre o un addetto passa un lenzuolo
sulle parti intime. Diciamo piuttosto che un gesto ostentato e funzionale
è ora ristabilito simbolicamente. Questo è un caso manifesto nei gruppi
scultorei, nei vetri colorati di Fouquet ed altri manoscritti dello stesso
periodo. La mano di Cristo morto sul perizoma, da lì in avanti si trova
ripetutamente sia nei lavori italiani che settentrionali.
Il movimento della mano sinistra di Cristo nella Inumazione di Ri-
bera al Louvre non può essere inteso solo come una stabilizzazione del

46
Cf STEINBERG. cit 1996, 323-325.

50
nodo del perizoma; l’atto è dimostrativo e doloroso, come il mostrare
le stimmate del Cristo stesso morto. La mano in cerca dell’inguine in
precedenti rappresentazioni Rinascimentali del corpo deposto occorre
anche su scala monumentale. Ci è mostrato una volta di più che la Paro-
la incarnata morì da uomo completo trionfando sia sul peccato che sulla
morte; la sua sessualità sconfitta dalla castità, la sua mortalità dalla Re-
surrezione. Esiste qualcosa d’inquietante in queste rappresentazioni. Se
spinte personali o inconsce motivarono questo o quell’artista nell’ap-
proccio al tema di Cristo, queste spinte furono in ultima analisi subordi-
nate alla comprensione conscia del soggetto poiché il trattamento della
materia doveva servire, spesso come pezzo d’altare commissionato in
un posto pubblico di adorazione, con la funzione liturgica.
Infine non si può escludere la conoscenza di Heemskerck dell’opera
di Rosso Fiorentino, Cristo Morto 1524-1527 ca., oggi al Boston Mu-
seum of Fine Arts: la presenza di Cristo e degli angeli con fiaccole, la
sottile, spossata sensualità che caratterizza il corpo di Gesù mantenu-
tosi, nonostante il martirio subito, di una perfezione apollinea. Il volto
mortale che contrasta fortemente con la compostezza virile del corpo
appena inciso dalle ferite e con le vene ancora pulsanti. La posa seduta,
innaturale per qualunque uomo morto, riprende gli ignudi michelangio-
leschi della Sistina e del gruppo della Pietà con cui come Rosso così il
nostro Maarten ebbe sicuramente a confrontarsi. A questo punto, la da-
ta, il tema, le tante similitudini possono far pensare ad una realizzazione
dell’opera proprio durante il suo soggiorno italiano.
Dopo le critiche dei riformati queste immagini saranno ritenute im-
barazzanti e il gesto diventa solo impudico perché non viene più ri-
conosciuto il suo significato teologico. Se la cultura del rinascimento
ha professato la teologia dell’incarnazione con schiettezza e coraggio
– scrive Steinberg – le epoche successive hanno perso il senso dell’ec-
cezionalità del corpo di Cristo, il suo valore simbolico: la sua nudità
diventa indecente come quella di tutti gli altri. E dice Scruton: «Siccome
la bellezza ci ricorda del sacro - e anzi di una forma speciale di esso anche la bellezza
deve divenire dissacrata».47

47
Cf L. SCARAFFIA cit. 2010, 73-75 e L. STEINBERG, cit. 1996, 323-325.

51
52
Commistione di stili – l’ultimo periodo

Se si confronta il drappeggio attorno ai fianchi di Venere in Venere


ed Amore (f. 18) del 1545, a Colonia Wallraf-Richartz Museum, con
quello presente sul corpo di Cristo nell’opera del 1532 è facilmente
ipotizzabile che l’uso articolato del panneggio possa essere visto anche
come una caratteristica di stile più che meramente descrittiva. Però a
questo punto dovremmo non tener conto dello studio e della relazione
dei lavori di restauro del 1992; l’uso del drappeggio diventerà una ca-
ratteristica dell’artista solo al suo rientro in patria
Il dipinto Venere ed Amore fu realizzato tredici anni dopo, nel 1545.
Una comparazione stilistica con il Venere e Marte, del 1536, mostra
punti di somiglianza con la tela di Praga: tra cui l’uso di molti colori
scuri dal marrone al nero, con dettagli solamente dipinti in giallo, az-
zurro e turchese. I contorni non sono definiti nettamente né il contrasto
tra luce ed ombra è così evidente come in altri lavori di Heemskerck.
Lo strato di pittura è così sottile che a volte affiorano tracce del fondo
rosso-marrone.

Figura 18

53
Alla destra del gruppo principale c’è la grotta con la fucina di Vulcano,
lo stesso fabbro è pressoché nella stessa posa di quello di Praga stavolta
rovesciata. La figura di Cupido è anch’essa simile al lavoro di Praga ma
anche a quella dell’opera Il rapimento di Elena; i colori predominanti
sono nuovamente: l’azzurro, turchese, marrone chiaro e scuro con l’ag-
giunta di un rosso roseo. La diversità di soggetto e dimensioni comun-
que preclude una comparazione stilistica dettagliata tra questo dipinto
ed il Venere e Cupido nella forgia di Vulcano.
L’esperienza romana di Heemskerck, di durata incerta da quattro
a sei anni, ricade in questo periodo, durante il quale l’artista disegnò
instancabilmente monumenti antichi e dell’alto Rinascimento, incontrò
Vasari, Salviati ed altri esponenti della scuola romana. Queste influenze
modificano il suo stile e focalizzano le due immagini come pre e post
scuola romana.
L’immagine antecedente (pre-scuola romana) ha luci diffuse mirate
sugli arti superiori ed inferiori accorciati per dare un’illusione prospetti-
ca ed un drappeggio circolare dentro e fuori traccia; la Venere del 1545,
classicista è impiantata su coordinate costanti, un modello di stabilità
acquisito evidentemente dalla scuola romana. Il drappeggio è costante
ed a corpo si muove con un ritmo più moderato, scivola su arti patinati e
laddove si gonfia sull’inguine si muove quasi a creare una spirale che si
arrotola, ma con un’eleganza sostenuta dalla sua stessa onda, più rigida
ed alla fine rimbalzante al fianco.
A differenza di Gossaert o Lombard, l’artista non era partito al se-
guito di un protettore umanista quando si recò in Italia ma probabil-
mente subì il fascino dell’arte italiana durante l’apprendistato presso
van Scorel.
Al pari degli altri artisti nordici van Heemskerck rimase ammaliato
dalla città dei papi e in particolare dalle vestigia delle antichità, come
testimoniano i suoi oltre cento schizzi e disegni di rovine e di paesaggi
o di sculture antiche.
Maarten van Heemskerck acquisisce tanto dagli artisti che hanno
operato ed operano nella città di Roma, ma al contempo si denotano
forti influenze provenienti dalla città di Mantova e in particolare dagli
artisti Giulio Romano e Mantegna.

54
Nel Bacco (f. 19) 1536-37 ca., sito presso il Kunsthistorisches Mu-
seum Vienna, il dio greco ritorna in Grecia con una parata vittoriosa
dall’India rappresentata qui dai personaggi dalla pelle scura. La compo-
sizione e il disegno, sono chiaramente influenzati dai lavori del Mante-
gna nonché dalle antichità romane. In questo Bacco la parata umoristica
è caratterizzata con una nudità classica ricca di fantasia.

Figura 19

L’influenza italiana in particolar modo è palesata nelle opere di ar-


gomento religioso come nella Crocifissione (f. 20) del 1543, Museum
voor Schone Kunsten Ghent, ed in quella conservata all’Ermitage di
San Pietroburgo (f. 21).

55
Figura 20 Particolare

Figura 22 Particolare

56
Per alcuni studiosi le due opere risultano molto simili soprattutto
perché sono una evidente commistione di tradizione fiamminga e di
novità apprese in Italia.
Il dinamismo dei corpi ed in particolare i nudi possenti e contorti
dei due ladroni o del soldato semidisteso che lottano per aggiudicarsi
la tunica di Gesù, è uguale, nella posizione e rivelano ancora una volta
la familiarità con Michelangelo. La minuzia descrittiva, invece, e la
disposizione della scena, di ascendenza fiamminga, rappresenta l’in-
segnamento che gli artisti nordici seppero, a loro volta, trasmettere a
quelli italiani (f. 21). Il cielo si fa scuro, completamente nero nel trit-
tico, nell’istante della morte di Gesù per un’improvvisa eclissi di sole.
Sono raffigurati vari momenti della narrazione evangelica tra i quali
per esempio: il gesto del soldato che trafigge con la lancia il costato del
Cristo facendone scaturire acqua e sangue. Nella Crocifissione di Ghent
la scena già è avvenuta ed in basso vi è la firma M. Heemskerck – fecit
– 1543. Invece nel trittico ampio spazio è dato ai due ladroni mentre le
lance disposte a raggiera mettono in risalto la figura centrale di Gesù col
capo, reclinato, eppure non sconfitto dalla morte. Maarten ha derivato
il trattamento eroico del corpo del Redentore dalla lezione dei grandi
maestri. La scena nonostante il brulichio di persone e di animali ha una
composizione semplice e strutturata, soprattutto ricca di elementi che
caratterizzano questo tipo di rappresentazioni. Il teschio alla base della
croce o dietro, come nel dipinto di Ghent è identificato con il cranio di
Adamo per mettere in relazione il peccato e la redenzione operata da
Gesù. Questo elemento caratterizza iconograficamente il Calvario co-
me il luogo delle esecuzioni capitali e rimanda all’etimologia del nome
ebraico del “Golgota” che significa appunto teschio. Invece il secchio
rovesciato si riferisce alla miscela di aceto e fiele fatta accostare alle
labbra di Cristo; questa è una simbologia tradizionale fiamminga, il re-
cipiente è vuoto e rinvia all’entrata agli inferi.
In entrambe le Crocifissioni il pittore si ispira alla tradizione fiam-
minga e raffigura ai piedi della croce il gruppo compatto formato da
Maria svenuta, da Giovanni che si asciuga le lacrime con un fazzoletto
e da Maria Maddalena.
Negli anni tra il 1559 e 1560 Maarten produsse due trittici imponenti

57
di cui uno con la Deposizione nel sepolcro (f. 22) per una chiesa a Delft,
conservato oggi al Museo di Belle Arti di Bruxelles. È un lavoro maturo
ed uno dei dipinti dell’artista più compiuti.

Figura 23

Il pannello centrale rappresenta il seppellimento secondo un model-


lo tradizionale col corpo di Cristo adagiato su una stoffa bianca e bril-
lante occupando da solo pressoché il primo piano. Il bianco lenzuolo di
lino, sufficientemente lungo da poter essere ripiegato sopra il corpo di
Cristo, è la Sacra Sindone. È sostenuto da Giuseppe di Arimatea alla de-
stra e da Nicodemo e Maria Maddalena a sinistra. Il Salvatore è livido
e porta i segni della corona di spine che ora giace ai piedi del sepolcro.
Tutti i personaggi partecipano attivamente e dinamicamente al dolore.
Le pie donne aggiungono una nota umanamente dolorosa alla scena.
Un senso simile di tristezza è dato da Pietro e dalla Maddalena, che ac-
compagnano i donatori in preghiera sui pannelli laterali decorati con le
figure maestose dei profeti Isaia e Jeremia. La Maddalena - nella parte

58
centrale dell’opera - esprime il proprio dolore con un’insolita, elegante
posa, vestita con un abito fine e raffinato. In Giuseppe di Arimathea è
raccolta l’espressione del Laocoonte che l’artista ci ha lasciato in uno
dei suoi schizzi, così come il sarcofago ispirato direttamente ai modelli
romani. La figura monumentale di Cristo coi suoi muscoli potenti tradi-
sce le influenze chiare di Michelangelo e del manierismo italiano.
Il Frans Hals Museum in Haarlem conserva l’altro trittico sempre
degli stessi anni dell’Ecce Homo (f. 23). Effettivamente il lavoro porta
la stessa data ed è di forma e taglia identica. Nei pannelli laterali esterni
ci sono i profeti Ezekiel e Daniele che con Isaiah e Jeremiah, presenti
nell’altro trittico, prefigurano i quattro evangelisti. Gesù sta in piedi tra
il governatore della Giudea, Pilato, e due carnefici. Pilato mostra Gesù
con le parole “Ecce Homo” al popolo, ma gli ebrei sono nascosti dalla
scena in tal modo il fruitore è completamente coinvolto nel dolore e
nelle sofferenze di Cristo.

Figura 24

59
I due trittici originariamente dovevano essere esposti in una chiesa
di Delft o in un convento, dono di alcuni scampati all’epidemia di peste
che devastò la città nel 1557-58. Un recente restauro ha rivelato che vi
era inizialmente molto più sangue sul corpo di Gesù.48
Nel 1572 con lo scoppio della guerra civile Maarten van Heem-
skerck è obbligato a fuggire da Haarlem assediata dagli spagnoli, in
compagnia dei suoi allievi e dell’amico Jacob Rauwerts. L’artista sog-
giornò due anni ad Amsterdam per poi ritornare ad Haarlem dove morì
nel 1574.
Heemskerck sicuramente può essere considerato un grande artista
molto prolifico al quale spetta di diritto un posto tra le generazioni degli
artisti “moderni”; non solo guardò Raffaello e la sua cerchia, ma intro-
dusse il modello michelangiolesco nella pittura italianizzante dei Paesi
Bassi. Nelle sue opere forza ed espressività hanno il sopravvento sulla
piacevolezza.
Ancora una volta è importante sottolineare l’avvenimento centra-
le della sua vita: il viaggio a Roma (f. 24), che dovrebbe sicuramente
essere studiato ed esaminato per approfondire, anche sulla base delle
incisioni e disegni conservati a Berlino, quanto questo periodo abbia
influito sui dipinti successivi.
Anche se le storie dell’arte sono state, almeno dal Romanticismo
in poi ed ancora oggi, storie nazionali e che quindi il viaggio a Roma
ampliava la prospettiva culturale degli artisti di Olanda, Belgio, Spa-
gna, Portogallo, Francia, Austria, Germania, a contatto con l’antico ma
anche con la rivoluzione di Raffaello, di Michelangiolo e della «Manie-
ra», l’artista così entra nella grande integrazione dell’arte in occidente
nel secolo XVI, e non come parte della corruzione delle diverse mitiz-
zate identità nazionali.
Perché si veniva a Roma? Per vedere l’antico, il Foro, gli archi di
trionfo, il Colosseo, ma più ancora le sculture, alcune delle quali di-
ventano modelli, dall’Ercole Farnese al Torso del Belvedere, al Gallo
morente, fino al Laocoonte, scoperto nel 1506; ma il viaggio si faceva
anche per vedere i grandi cicli dei contemporanei, di Raffaello e Miche-

48
Cf Le Musée d’art ancien Bruxelles, Ministry of Education and Culture the Royal
Museums of Fine Arts, Belgium, 1988.

60
langelo e la schiera di collaboratori attivi nelle Stanze e nelle Logge.
Diverso il caso di Maarten van Heemskerck che nel 1532 giunge a
Roma per rimanere quattro anni: di lui ci restano due album con decine
di fogli che mostrano il Foro e i monumenti di Roma come allora si
vedevano, in parte sepolti: da quegli album Maarten reinventa paesaggi
fantastici come nel Ratto di Elena di Baltimora (1535-36) che unisce il
«vero» di monumenti esistenti ad altri immaginati.
La conoscenza dell’Antichità e del Rinascimento ne fece il vero
“ambasciatore del manierismo italiano” nelle province dell’Europa del
Nord. Per tre anni alloggia dal Cardinale Willem van Enckenvoirt, uo-
mo di fiducia del Papa olandese Adriano VI, il pittore non smetterà di
schizzare, disegnare e dipingere monumenti in rovina, sculture antiche
e paesaggi romani. Al suo ritorno otterrà un posto significativo tra i
pittori fiamminghi e olandesi di quel periodo; saranno decorati con i
suoi affreschi edifici pubblici e chiese, come le Dogane della Gilda dei
pittori di Utrecht. A partire del 1540, si farà conoscere per i suoi grandi
dipinti storici come per le sue composizioni di vetrate. La Guerra d’In-
dipendenza e le guerre di religione hanno diviso i Paesi Bassi e distrutto
gran parte delle sue creazioni. Quelle rimaste (conservate presso i mu-
sei di Amsterdam, Berlino o Utrecht) sono una testimonianza notevole
dell’influenza italiana nella pittura dei Paesi Bassi della prima metà del
Cinquecento.

Figura 25

61
Maarten van Heemskerck fu, se così si può dire, protagonista della
fertile dialettica fra due tradizioni così lontane, ma stilisticamente e for-
tunatamente, da sempre, vicine.

62
Bibliografia Essenziale
1733 L’Abbecedario Pittorico dall’autore, ristampato, corretto, ed
accresciuto di molti professioni e di altre spettanti alla pittura, ed in
quest’ultima impressione con nuova, e copiosa aggiunta di alcuni altri
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l’Eduvation Nationale et de la Culture, Bruxelles.

Davies M., Rogier van der Weyden, [traduzione Michele Lo Buono]


Venezia.

67
Indice delle immagini

Figura 1 - Maarten van Heemskerck


Ritratto di Anna Codde e
Pieter Bicker Gerritsz (1520)
Rijksmuseum, Amsterdam.
Figura 2 - Maarten van Heemskerck
Ritratto di Pieter Bicker Gerritsz (1520)
Rijksmuseum, Amsterdam.
Figura 3 - Jan Scorel
Ritratto di uomo ( 1529)
Rijksmuseum, Amsterdam.
Figura 4 - Jacob Cornelisz van Oostsanen
Ritratto di uomo (1533)
Rijksmuseum, Amsterdam.
Figura 5 - Piero di Cosimo
Ritratto di Giuliano Sangallo (1505)
Rijksmuseum, Amsterdam.
Figura 6 - Piero di Cosimo
Ritratto di Giuliano Sangallo
e di Francesco Giamberti (1505)
Rijksmuseum, Amsterdam.
Figura 7 - Maarten van Heemskerck
Ritratto di Famiglia (1530)
Staatliche Museen, Kassel.
Figura 8 - Maarten van Heemskerck
San Luca che dipinge la Madonna (1532)
Frans Halsmuseum, Haarlem.
Figura 9 - Jan Gossaert
Madonna di San Luca (1521-1522)
Kunsthistoriches Museum, Vienna.
Figura 10 - Frans Floris
Madonna di Luca (1556)
Königliches Museum, Anversa.
Figura 11 - Maarten van Heemskerck

68
Madonna di Luca (1550- 1553)
Musée des Beaux-Arts, Rennes.
Figura 12 - Maarten van Heemskerck
Imago pietatis (1532)
Museum voor Schone Kunsten, Ghent.
Figura 13 - Maarten van Heemskerck
Uomo dei Dolori (1525)
Kreuzlingen, H. Kisters Collection.
Figura 14 - Maarten van Heemskerck
Venere e Marte nella fucina di Vulcano (1536)
Galleria Nazionale di Praga.
Figura 15 - Antonello da Messina
Pietà con tre Angel ( 1475)
Museo Correr, Venezia.
Figura 16 - Giovanni Bellini
Pietà (1465-1470)
National Gallery, Londra.
Figura 17 - Maarten van Heemskerck
Ecce Homo (1550)
Greenville, South Carolina,
Bob Jones University, Collection.
Figura 18 - Maarten van Heemskerck
Venere ed Amore (1545)
Wallraf-Richartz Museum, Colonia.
Figura 19 - Maarten van Heemslerck
Tronfale processione di Bacco (1537-1538)
Kunsthistorisches Museum, Vienna.
Figura 20 - Maarten van Heemskerck
La Crocifissione (1543)
Museum voor Schone Kunsten, Ghent.
Figura 21 - Maarten van Heemskerck
La Crocifissione (1543 ca.)
The Hermitage, St. Petersburg.
Figura 22 - Maarten van Heemskerck
Deposizione nel sepolcro (1559-1560)

69
Musées Royaux des Beaux-Arts, Brussels.
Figura 23 - Maarten van Heemskerck
Ecce Homo (1559-1560)
Frans Halsmuseum, Haarlem.
Figura 24 - Maarten van Heemskerck
Autoritratto con Colosseo (1553)
Fitzwilliam Museum, Cambridge.

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