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2020/2021
La pittura su tela: dalle origini agli sviluppi del XVI secolo pag.20
Bibliografia pag. 39
Sitografia pag. 40
1
Introduzione all’opera
Dal 1532 ci è noto come le commissioni di Tiziano fossero divenute sempre più prestigiose,
lavorando infatti per Francesco I, re di Francia, e divenendo pittore dell’Imperatore Carlo V:
possedere un ritratto eseguito Tiziano era simbolo di potere e ricchezza e perciò, nel 1542, i Farnese
1
Non esistono tuttavia documenti formali che attestino con certezza la data di commissione e realizzazione dell’opera;
Vasari tuttavia, essendo contemporaneo a Tiziano e soggiornando a Roma nel suo stesso periodo, risulta qui una fonte
sufficientemente affidabile.
2
iniziarono ad adoperarsi per far venire l’artista a Roma. Già
nel 1543 gli proposero infatti l’Ufficio della Piombatura – da
lui rifiutato - insieme a diversi benefici ecclesiastici per il figlio
Pomponio, mentre a luglio di quell’anno Tiziano era a
servizio della potente famiglia pontificia per realizzare
l’ennesimo ritratto di uno dei suoi membri, in questo caso
proprio Papa Paolo III. Nell’ottobre del 1545 quindi, dopo
una breve permanenza nelle Marche presso il duca di
Urbino, Tiziano giunse a Roma, accolto e accompagnato da
Paolo III da Michelangelo, Sebastiano del Piombo e Vasari:
un’accoglienza trionfale, ma con amaro retrogusto dato
dalle critiche, riportate dal Vasari, che Michelangelo mosse al
Ritratto di Pier Luigi Farnese (Tiziano, 1546)
colorismo del più giovane artista e dalla messa in guardia di
Pietro Aretino nei confronti dei Farnese.
2
Oltre alla tela analizzata, Tiziano complessivamente dipinse per i Farnese il Ritratto di Ranuccio Farnese (1542), il Ritratto
di Paolo III (1543), la Danae (1545), il Ritratto del cardinale Alessandro Farnese (1545), il Ritratto di Paolo III con il camauro
(1545-1546) e il Ritratto di Pier Luigi Farnese (1546).
3
Forse anche a causa della presenza di Ottavio, poco stimato
all’interno della famiglia3, il dipinto non riscosse
immediatamente successo negli ambienti romani, sebbene
Antoon Van Dyck ebbe modo vederlo e farne un disegno
negli anni ’20 del XVII secolo e Vasari ne Le Vite ne parli in
termini entusiastici.
3
Ottavio nel 1538 aveva infatti sposato la figlia dell’odiato Carlo V, Margherita d’Austria, e nel 1547 collaborò all’omicidio
del padre Pier Luigi.
4
L’autore: Tiziano Vecellio
Sembra che comunque Tiziano manifestasse il proprio talento già solo a dieci anni, motivo
per cui, ancora bambino, con il fratello si trasferì a Venezia, dove lo zio ricopriva una carica
pubblica. In questa città il mosaicista Sebastiano Zuccato insegnò ai due i primi rudimenti
tecnici: Tiziano, dimostrandosi particolarmente capace ed interessato all’arte della pittura,
venne quindi messo a bottega da Gentile Bellini, pittore ufficiale della Serenissima. Nel 1507,
alla morte di quest’ultimo, il giovane Tiziano passò a collaborare con Giovanni Bellini, che era
subentrato al fratello anche nel ruolo di pittore ufficiale.
Venezia era all’epoca una delle città più popolose e, grazie ai commerci e a fortunate
campagne militari, ricche d’Europa: anche la vita culturale era particolarmente vivace, in
quanto la tradizionale indipendenza dalla Santa Sede la rendeva meta ideale per tutti gli
artisti e gli intellettuali che desideravano esprimere liberamente le proprie idee.
4
La data di nascita 1473 è supportata dall’atto di morte, che registra un’età di Tiziano di 103 anni; tuttavia l’artista in una
lettera del 1571 afferma di avere 95 anni: è comunque probabile che Tiziano avesse falsificato la propria età. L’ipotesi
che vuole la nascita dell’artista tra il 1488 e il 1490 si basa sul testo di Ludovico Dolce e sulla conferma del Vasari, mentre
una data tra il 1480 e il 1485 si fonda sullo studio delle prime opere del Maestro e sul fatto che non si conoscerebbero
suoi lavori databili prima del 1506. 5
La cultura umanistica e neoplatonica che si respirava
in quegli anni a Venezia influenzò profondamente
Tiziano, così come fecero anche gli altri artisti attivi
nella città, tra cui Vittore Carpaccio, Cima da
Conegliano, i giovani Lorenzo Lotto e Sebastiano
del Piombo e, soprattutto, Giorgione. L’incontro con
quest’ultimo risale forse alla prima commissione
pubblica di Tiziano, nel 1508, quando i due
collaborarono alla decorazione esterna, oggi Concerto Campestre (1509)
I ritratti di Tiziano in questo periodo, come Il ritratto di Ariosto (1510), la Schiavona (1510), e il
Ritratto d’uomo (1510), furono in effetti eseguiti con uno stile molto vicino a quello di
Giorgione, sebbene sia evidente lo sforzo del giovane pittore di ricercare un contatto più
6
diretto con lo spettatore e un maggiore dettaglio psicologico nei personaggi. È inoltre certo
che Tiziano portò a termine la Venere di Dresda (1511-1512), realizzata da Giorgione per le
nozze di Gerolamo Marcello con Morosina Pisani, inserendo particolari che – come il morbido
panneggio su cui posa il corpo nudo di Venere – accentuano l'erotismo della
rappresentazione.
Venezia.
Fondata la sua bottega, iniziarono anni d’attività intensa, segnata soprattutto da commissioni
private: tra le opere prodotte in quel periodo si ricordano Violante (1515), Nascita di Adone,
Selva di Polidoro, Orfeo e Euridice (serie del 1508), Noili me tangere (1511), Tre età dell’uomo
7
(1512), Salomè con la testa del Battista, Donna allo
specchio, Flora (tutte del 1515), la Sacra conversazione
Balbi (1512-1514), Madonna delle Ciliegie (1516-1518)
e Madonna tra i santi Giorgio e Dorotea (1516).
5
Le fonti narrano di come essa non avesse affatto l’intenzione di essere una scuola: Tiziano infatti scelse collaboratori
abili tecnicamente ma senza un proprio stile, così da affidargli ruoli subalterni ed evitare che influenzassero le opere.
8
dell’ Amor Sacro e Amor
Profano (1514), lontana dallo
stile di Giorgione e
caratterizzate da un cromatismo
brillante e corposo, carico di
forza espressiva. Amor Sacro e Amor Profano (1514)
Nel 1516 Venezia viveva un periodo di grande splendore e Tiziano ricevette la commissione
per la pala dell’altare maggiore della basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari: si tratta
dell’Assunta, consegnata il 18 maggio 1518 e che, con le sue innovazioni, rappresentò un
confronto a distanza con il Rinascimento romano di Michelangelo e Raffaello. Nel dipinto
coesistevano infatti diversi strati di lettura: teologico, artistico, di celebrazione della
committenza e politico, in quanto la Vergine era considerata simbolo di Venezia.
9
soggiornando a Ferrara a più riprese e dilatando intanto
sempre più i tempi di consegna delle proprie opere:
accettava infatti diversi incarichi contemporaneamente,
accentuando il carattere imprenditoriale della propria
attività ed esportando anche all’estero le proprie tele.
10
per trasmettere efficacemente l’immagine del
sovrano al suo impero, composto da popoli, nuclei
culturali e linguistici tra loro assai differenti: ritrasse
così Carlo e l'Imperatrice in pose ufficiali, ma al
tempo stesso domestiche, come nel Ritratto di
Carlo V con il cane (1533), nel Ritratto di Isabella del
Portogallo (1548) e nel famoso Ritratto di Carlo V a
cavallo (1548). Carlo V nominò
Tiziano conte del Palazzo del Laterano, del
Consiglio Aulico e del Concistoro, Conte
palatino e Cavaliere dello Sperone d'Oro,
divenendo inoltre il maggior committente
dell'artista. Ritratto di Carlo V a cavallo (1548)
Alla fine degli anni Quaranta il vento a Venezia stava cambiando, portando con sé, tramite
l’arrivo di Francesco Salviati e Giorgio Vasari, il nuovo gusto manierista per il disegno e per
11
una natura vista in chiave artificiosa.
Tiziano si adattò parzialmente al nuovo
gusto, mantenendo inalterati i propri tratti
distintivi ma accogliendo con flessibilità le
innovazioni, operando una sintesi tra il
suo ricco cromatismo e la ricerca
accademica. Opere emblematiche di
questo periodo sono San Giovanni
Battista (1540), Allocuzione di Alfonso
Venere di Urbino (1538)
d'Avalos (1540) e Incoronazione di spine
(1542-1543).
Per le nozze nel 1554 di Filippo II di Spagna con Maria Tudor, Tiziano ad esempio inviò al
sovrano una seconda versione della Danae, leggermente differente dall’altra e ricavata
usando il cartone preparatorio del primo dipinto. Nello stesso anno Tiziano inviò alla corte
anche Venere e Adone (1553), scrivendo al re in merito alla propria opera che “perché la
12
Danae, che io mandai già a vostra Maestà, si vedeva tutta dalla parte dinanzi, ho voluto in
quest'altra poesia variare, e farle mostrare la contraria parte, acciocché riesca il camerino6,
dove hanno da stare, più grazioso alla vista”.
6
Filippo II aveva infatti l’intenzione di allestire un camerino con opere di contenuto erotico.
13
colore più che mai materico e dall’inedita forza comunicativa. È
una pittura vibrante, viva e in continua trasformazione sotto gli
occhi dello spettatore come dell’artista, che infatti realizza le sue
opere sovrapponendo tra loro strati di pittura anche a grande
distanza di tempo7.
Crocifissione (1576)
Andrea Schiavone e Jacopo Palma il Vecchio.
In alternativa al michelangiolesco “primato del disegno”, è infatti il colore ad essere al centro della
sua ricerca e della sua innovazione pittorica: usato matericamente e oculatamente, in modo
personale, diventa il mezzo attraverso cui conferire unità e identità psicologica alle
rappresentazioni, segnando così un precedente che sarà poi il punto di partenza di movimenti
quali l’impressionismo e l’espressionismo.
7
Per approfondire vedi La tecnica di Tiziano nella maturità, pagina 28.
8
Il figlio prediletto Orazio lavorò nella bottega del padre, ma morì di peste nel 1576, un mese prima del genitore.
14
Analisi stilistica
ripreso e accentuato dal tendaggio rosso alle sue spalle - sottolinea il riconoscimento della
superiorità feudale del papato rispetto a quella dell’Imperatore, che, oltre ad essere in
rapporti tesi con il Papa, non riconosceva la legittimità del ducato di Parma e Piacenza,
affidato al figlio di Paolo III Pier Luigi Farnese.
Nel dipinto, di formato rettangolare tendente al quadrato, non sono presenti indicatori di
spazio geometrico quali arredi o fughe prospettiche: lo spazio in profondità è limitato da un
muro di fondo a ridosso delle tre figure, dato che acuisce il senso d’oppressione trasmesso
dal quadro.
Dividendo la composizione in schemi geometrici risulta come i personaggi siano equilibrati
secondo l’asse di simmetria, con Paolo III al centro, inscritto in una struttura compositiva
triangolare, e i due nipoti ai lati. La tenda sulla destra crea infine un’ampia curva che
accompagna lo sguardo dell’osservatore sul volto di Ottavio e bilancia le masse cromatiche
presenti nel dipinto, tra cui netta prevalenza ha il rosso. Questo colore è infatti presente,
variandolo, in ben quattordici zone: nella mantellina, nella pelliccia, nella pantofola, nel
camauro e nell’anello episcopale del Papa; nella mantelletta cardinalizia e nella berretta di
15
Alessandro; nel corpetto e nella pelliccia di Ottavio; nella tenda, nella tovaglia, nello scranno
e infine nello sfondo. Amaranto, carminio, geranio, lacca, porpora, rubino, scarlatto: il rosso
pervade l’intera scena e la sua stesura pastosa, data con pennellate poco definite, rapide ed
abbozzate, sottolinea, trasmettendo tensione ed inquietudine, la lettura negativa che Tiziano
dà dei personaggi e delle relazioni tra loro presenti.
9
L’atteggiamento di Tiziano nei confronti dei marmi classici viene esemplificato in una lettera da lui inviata a Carlo V, in
cui li definisce “meravigliosissimi sassi antichi”.
16
Manierismo la propria sottile e critica capacità d’analisi psicologica, il carattere di “presa dal
vero” delle sue opere e la creazione delle forme attraverso stesure cromatiche dense, assai
differenti da quelle levigate e quasi metalliche dei suoi contemporanei romani.
17
dimensioni, ma assai espressiva e di grande impatto,
sebbene il Papa appaia qui molto più anziano che
nell’altro ritratto eseguito solo due anni prima sempre
da Tiziano.
Lo sguardo non è però quello di un vecchio: risulta
infatti energico e presente ed è incorniciato dal bianco
della pelliccia che lista il camauro di panno rosso
portato dal pontefice e dalla sua candida barba, che
ricade sulla mozzetta, anch’essa rossa. Questa presenta
larghe maniche ed è abbottonata al centro, sopra ad
Dettaglio del volto del Papa
una veste bianca e foderata d’ermellino dal cui orlo
emerge una preziosa scarpa di velluto ricamato con una
croce d’oro.
In contrasto con la pregevolezza delle vesti, il rosso
delle tinte appare stinto, violaceo, rimarcando l’età del
vecchio e le sue precarie condizioni di salute: a
sottolineare ciò sul tavolo, coperto da un panno rosso
acceso e su cui è posata la mano destra del Papa, solo
abbozzata, è posta inoltre una clessidra, ad indicare il
tempo che passa.
Paolo III morirà in effetti solo quattro anni più tardi, a
causa di una grave infermità che l’aveva ironicamente Dettaglio del volto del Papa nel ritratto che
Tiziano realizzò nel 1543
colpito in seguito ad un alterco con i nipoti Ottavio ed
Alessandro in merito al ducato di Parma e Piacenza.
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una prima stesura vi si fosse fortemente ispirato10, salvo
poi scardinarne la rigida costruzione dando alla scena
movimento ed un ulteriore livello narrativo. Lo schema
del ritratto di Stato viene infatti qui modificato,
introducendo un altro personaggio e dunque una tesa
triangolazione psicologica tra le figure, creando così un
ritratto che assume carattere quasi narrativo. Nasce nei
fatti un nuovo genere della ritrattistica, quello a gruppo
di figure: un gruppo che qui sembra condurre, come in
una messinscena shakespeariana, un ipocrita dialogo
ricco in realtà di machiavellismo latente e svelata
diffidenza. Il carattere dei tre Farnese e la pesante
atmosfera di corte vengono infatti colti con tale Papa Leone X con i cardinali Giulio de' Medici e Luigi
de' Rossi (1518, Raffaello)
puntualità che gli effigiati preferirono a questo ritratto
gli altri, individuali, eseguiti da Tiziano, di tenore più
ufficiale e di non pari schiettezza psicologica.
L’opera si impone quindi, con sottile cinismo, come un crudo ritratto della scaltra politica
nepotista attuata da Papa Paolo III e degli oscuri intrighi che caratterizzavano la corte Farnese
a Roma: rivela dunque non solo il carattere dei personaggi, ma anche un preciso programma
politico volto a consolidare a qualunque prezzo il potere terreno della famiglia.
10
Per approfondire vedi Analisi tecnica, pagina 32-37
19
La pittura su tela: dalle origini agli sviluppi del XVI secolo
Se prime fonti riguardo all’utilizzo dei supporti tessili per la pittura risalgono ad autori latini,
come ad esempio Plinio il Vecchio e la sua testimonianza di un ritratto monumentale
dell’imperatore Nerone, è all’età medioevale che è possibile ricondurre i primi manufatti
dipinti su tela tutt’oggi osservabili, rappresentati da gonfaloni, vessilli ed apparati effimeri.
Questi venivano realizzati per feste civili e religiose e, poiché venivano portati in processione,
erano dipinti su ambo le facce unendo alla simbologia araldica delle varie comunità e
confraternite le immagini devozionali. Testimonianze relative a quest’epoca sono quelle del
monaco Teofilo, nel De diversis artibus del XII secolo, e di Cennino Cennini nel Libro dell’Arte.
Dal XIV secolo è inoltre testimoniato l’uso di dotare tavole e polittici con cortine in tela
colorate e dipinte la cui funzione era servire da ante apribili e proteggere l’opera dalla polvere
e dalla luce12; la maggior parte delle opere realizzate direttamente su supporto tessile nel
Trecento sono comunque, come visto, riferibili all’esigenza di produrre una pittura più
11
Prima infatti le stoffe in seta giungevano in Occidente già tessute; la produzione della preziosa fibra animale in Europa
iniziò nel corso del Seicento, quando i missionari gesuiti vi portarono i bachi da seta e la coltivazione del gelso.
12
Vedi Cennino Cennini, capitolo CLXIII del Libro dell’Arte.
20
economica e di rapida esecuzione rispetto a quella su tavola, e dedicata quindi agli apparati
effimeri.
tipo tela fu caratteristica delle tele Rinascimentali, sempre sbiancate e tra cui particolarmente
pregiate tra XIV e XVI secolo erano quelle “di renso”, nome che deriva dalla città di Reims in
cui venivano prodotte con un complicato procedimento che ne rendeva le fibre
completamente bianche; altra particolare tipologia era la tela batista, un supporto sottile in
lino adatto per dipingere su preparazioni poco spesse. Oltre all’armatura, la tessitura di una
tela viene caratterizzata anche dalla sua densità, ovvero il numero di fili di trama intrecciati
con quelli di ordito per centimetro quadrato: una
tela serrata è caratterizzata da 20 fili di trama per
20 d’ordito, una normale da 10-12 x 12 e a trama
rada da 9 x 9 a 6 x 6. Ovviamente, una tela con
armatura complessa, oltre a necessitare di una
elaborata tessitura, garantiva anche superiore
resistenza all’usura rispetto ad una normale,
motivo per cui venivano di norma adottate per
commissioni di prestigio o tele di grande formato,
realizzate solitamente cucendo tra loro diverse Esempio di tüchlein: Trionfi di Cesare - Nona tela: Giulio
Cesare sul carro trionfale (Andrea Mantegna, 1485-1505)
pezze di tessuto.
Nel corso del XV secolo in Italia le stoffe dipinte, dette all’epoca “panni fiandreschi” e
conosciute anche come tüchlein, divengono molto apprezzate ed utilizzate come arazzi,
21
spalliere, soprausci e cortine: esse erano
generalmente solo impregnate di colla animale e
non presentavano strati preparatori, venendo
dipinte direttamente sopra ad un disegno a
carboncino con pigmenti misti a colla. La tecnica
del tüchlein incontra, in Italia, particolare favore:
Andrea Mantegna, ad esempio, eseguì diverse
tele secondo questa tecnica, sebbene poche oggi
conservino l’originaria e caratteristica superficie
opaca. Questo tipo di produzione si diffuse con Esempio di tüchlein: Trionfi di Cesare - Prima tela:
Trombettieri e portatori di insegne (Andrea Mantegna,
particolare fortuna specie in Veneto nell’uso 1485-1505)
come decorazione parietale di grandi dimensioni, a causa del clima lagunare che rendeva
assai difficoltosa la conservazione dei dipinti murari: si parla di teleri e i primi di cui si ha
notizia furono commissionati nel 1466 dalla Scuola Grande di S. Marco a Jacopo Bellini.
A fine XV secolo la realizzazione degli strati preparatori su tela era analoga a quella della
pittura su tavola e come primo passaggio prevedeva, dopo l’inchiodatura del supporto tessile
al telaio, la stesura di una mano di colla animale, detta prettatura, col fine di non far penetrare
eccessivamente il gesso negli spazi presenti tra trama e ordito e donare alla tela sufficiente
rigidità, tenendo inoltre in posizione trama ed ordito. A questo strato seguiva la stesura di
gesso e colla e quindi uno di olio: solo nel XVI secolo, parallelamente alla maggiore diffusione
della tipologia, superiore a quella dei supporti lignei, le preparazioni vengono
progressivamente adattate all’elasticità del supporto tessile, diminuendo quindi di spessore
e modificando i propri componenti. Ad esempio Vasari suggerisce di utilizzare al posto del
consueto gesso farina, olio di noce e biacca, così da aumentare l’elasticità della preparazione
e rendere più adatte le tele al trasporto. Armenini invece, nel 1586, consiglia sopra al gesso
una preparazione ad olio e biacca con aggiunta una piccola quantità di terre per ottenere
una base colorata, detta mestica, che tonalizzi la pittura sovrastante, sia più elastica e
compatibile del gesso con gli strati successivi e svolga contemporaneamente una funzione
isolante. La stesura di bianco di piombo e olio si diffuse nel tempo al posto del consueto
gesso e colla, poiché facilitava l’arrotolamento delle tele per poterle poi inviare ad una
committenza ormai sparsa in tutta Europa; fino a Cinquecento inoltrato l’ingessatura delle
22
tele rimarrà però frequente come sottile strato intermedio tra la tela e i successivi ed è
presente, al di sotto della mestica, ad esempio nelle opere di Tiziano e Giorgione.
Sempre nella seconda metà del Cinquecento la maggiore diffusione della pittura su tela,
dovuta anche alla fortunata introduzione della tecnica ad olio, porta ad avere supporti in lino
più grezzi e non sbiancati, simili ai canovacci. Le armature divengono inoltre più complesse
e vedono come maggiormente diffuse quella diagonale e a lisca di pesce, più robuste e
adatte ad accogliere preparazioni grasse e spesse.
I cambiamenti nei supporti e nei materiali vanno quindi di pari passo con
l’evoluzione del gusto artistico e della ricerca pittorica, particolarmente
segnata nel XVI secolo dallo studio tonale, caratteristico del cromatismo
veneziano, condotto da Giorgione e Tiziano: i loro dipinti presentano
infatti una materia pittorica fluida, pastosa e dai contorni indefiniti. È
Armatura tela
d’altronde la tecnica ad olio ad aprire la possibilità, magistralmente colta
specie da Tiziano, di caricare il colore di una particolare luminosità e di
donare alle opere una tale morbidezza di fusione cromatica attraverso
stratificazioni di colore a corpo e velature. Sempre nel Cinquecento si
diffonde una nuova tecnica di progettazione grafica che ricopre al
contempo una modalità pittorica: si tratta dell’abbozzo compositivo, una Esempio d’armatura
diagonale
sorta di disegno dipinto in cui il colore viene impastato con quantità
variabili di bianco e nero e applicato sulla mestica, ovvero su di un fondo
preparatorio colorato; date anche le caratteristiche di quest’ultimo il
disegno poteva essere realizzato con gesso, rendendo rapide eventuali
modifiche. Questa nuova metodologia è indice di una diversa concezione
del modellato pittorico, che viene realizzato più affidandosi alla Armatura a lisca di
pesce
modulazione e fusione delle pennellate cromatiche che alla funzione
costruttiva dell’impostazione grafica sottostante.
Rispetto all’introduzione della pittura ad olio Vasari narra che il su inventore fu Jan van
Eyck, che lui chiama, italianizzandone il nome, Giovanni da Bruggia: la leggenda non è da
prendere alla lettera, ma è vero che furono i pittori fiamminghi a perfezionare questa
tecnica, già conosciuta e riportata, ad esempio nei testi del monaco Teofilo e di Cennino
23
Cennini, nel XV secolo, nella cui seconda metà iniziò ad
imporsi anche in Italia, inizialmente su supporto ligneo.
L’olio presenta diverse qualità che lo resero particolarmente e rapidamente apprezzato: dona
brillantezza alle tinte ed essicca lentamente, per polimerizzazione, permettendo di creare
finissime velature di differenti colori e di lavorare a lungo la materia, ottenendo così effetti di
luce, profondità e modellato all’epoca inediti. Uno dei primi artisti che meglio seppe
padroneggiare questa tecnica è Leonardo da Vinci, celebre per l’uso dello “sfumato”, reso
possibile proprio dalla pittura ad olio; anche Tiziano Vecellio fu uno degli artisti che meglio
seppero padroneggiare ed innovare questa tecnica.
I tipi di oli siccativi utilizzabili erano diversi: olio di noce, di papavero, di lino cotto e di lino
crudo. Nella seconda metà del XVI secolo e in opere di Tiziano e Tintoretto si trova inoltre un
misto di olio e oleoresine il cui fine era diluire maggiormente il colore, rendendolo più adatto
a realizzare velature e meno soggetto al naturale ingiallimento dell’olio.
L’olio di lino è da sempre il legante oleoso più utilizzato a causa della sua elevata siccatività,
con il cotto che asciuga più rapidamente del crudo; tuttavia ingiallisce rapidamente ed in
modo marcato. L’olio di noci presenta un livello intermedio di siccatività e d’ingiallimento,
mentre l’olio di papavero ha un’essiccazione particolarmente lenta ma un basso grado
d’ingiallimento. Dall’antichità venivano spesso aggiunti additivi e siccativi per modificare le
caratteristiche di siccatività, miscelazione e lavorazione dei colori; inoltre per eseguire
differenti tipi di velature i pittori variavano anche il tipo di olio utilizzato.
24
Come nella tecnica a tempera, nella pittura ad olio
il pigmento o colorante dev’essere miscelato con
il legante: fondamentale è il rispetto della corretta
proporzione tra i due componenti, che varia
inoltre da pigmento a pigmento secondo la sua
capacità di ritenzione del medium. Un rapporto
errato tra la sostanza colorante e l’olio influenzerà
infatti anche le tipologie di degrado della pellicola
pittorica e, in particolare, sui tipi di crettatura che
Tabella con riportato il CPVC, ovvero il rapporto
si verificheranno. quantitativo fra il pigmento e il legante che
garantisce la stabilità al colore12
La diluizione del colore veniva realizzata principalmente con trementine naturali e il pittore
osservava sempre la regola del "grasso su magro", secondo cui gli strati devono
progressivamente essere più ricchi d’olio via via che ci si avvicina a quelli finali; prima di
stendere lo strato successivo era inoltre necessario attendere che quello sottostante fosse
asciutto, dilatando i tempi d’esecuzione.
12
Immagine tratta dalle slide fornite dalla professoressa C. Fasser durante il corso di tecniche e materiali dell’arte
contemporanea
25
Ovviamente la tela prima di essere dipinta e preparata doveva
venire assicurata al telaio con chiodi, facendo sì che fosse ben tesa
e che i fili della trama, così come quelli dell’ordito, fossero tra loro
paralleli: la loro posizione veniva poi fissata attraverso la stesura
dell’appretto.
Al di sopra della pellicola pittorica poteva essere stesa una vernice, che ricopriva funzione
estetica, saturando i colori, e di protezione dalla polvere, dalla luce del sole e dall’abrasione.
La vernice, utilizzabile anche come medium pittorico, era realizzata con resina mastice o
sandracca polverizzata e quindi fusa o disciolta in un olio siccativo, generalmente olio di lino
cotto. Dalla seconda metà del XVI secolo si diffusero anche le vernici a spirito, realizzate
sciogliendo la resina in alcool, mentre sempre utilizzata, sebbene come vernice temporanea,
è stata la vernice ad albume.
26
La tecnica di Tiziano nella maturità
La tecnica di Tiziano, parallelamente al suo sviluppo stilistico ed artistico, conosce una grande
evoluzione nel corso della lunga carriera del pittore: nonostante si tratti ovviamente di
cambiamenti graduali, è possibile tracciare una linea di demarcazione tra la prima e la
seconda fase del Maestro intorno agli anni ’40 del secolo.
13
“Abbassava i suoi quadri con una tal massa di colori, che servivano (come dire) per far letto o base alle espressioni, che
sopra poi li doveva fabbricare. Dopo questi preziosi fondamenti, rivolgeva i quadri alla muraglia, et ivi gli lasciava alle volte
27
evidente l’estrema semplificazione tecnica, con pennellate
di colore applicate al massimo in due strati al di sopra di un
disegno abbozzato direttamente eseguito su tela che non
costituisce una definita traccia disegnativa, ma solo una
guida da cui il pittore spesso si discosta. Fino agli anni ‘40
inoltre nelle opere è stata rilevata la presenza di uno strato
di olio siccativo che separa tra loro due strati di colore:
questa stesura, detta priming, aveva la funzione d’isolare lo
strato ad olio ed indica un’interruzione del lavoro; è quindi
presumibile che Tiziano la applicasse al momento di
ritornare a dipingere e non in quello di sospendere
l’esecuzione dell’opera. L’esecuzione differita nel tempo è
d’altronde una caratteristica della produzione di Tiziano Macrofotografie del Ritratto di Pier Luigi
Farnese (1546)
negli anni giovanili, presente però come visto anche nei
lavori più maturi.
Su un sottilissimo strato di gesso fino - volto più a colmare gli interstizi tra trama ed ordito
che a costituire una vera e propria base- nelle opere degli anni giovanili è presente una
leggera e chiara imprimitura, solitamente biancastra, beige o di un grigio chiaro, mentre in
quelle della maturità quest’elemento scompare. Sopra al gesso o all’imprimitura sono state
comunque sempre rilevate tracce di disegno preparatorio, scuro, realizzato a mano libera e
senza ombreggiature, sebbene più libero e schematico negli ultimi anni che nei primi.
Rispetto ai pigmenti preferiti dal pittore le analisi hanno rivelato che egli, piuttosto che
sperimentarne di nuovi, si adeguò piuttosto alle modifiche portate dal tempo, utilizzando
quindi essenzialmente i materiali più diffusi del periodo. Nella fase iniziale della sua carriera
si nota l’estensivo uso del prezioso oltremare, dell’azzurrite e della lacca rossa di Kermes,
mentre l’elemento distintivo degli ultimi lavori è la presenza dello smaltino. Quest’ultimo è
uno dei pigmenti più instabili della tavolozza dell’artista e, oltre ad accelerare l’essiccamento
dell’olio, ne aumenta l’ingiallimento: l’impatto di questa alterazione nei dipinti di Tiziano è
stato forse sottovalutato, in quanto influenza in realtà pesantemente la percezione dei colori.
qualche mese, senza vederli: e quando poi da nuovo li esaminava, come se fossero capitali nemici, per vedere se in loro
poteva trovar difetto” – Marco Boschini, La Carta del navegar pitoresco, 1660.
28
Per quanto riguarda i leganti utilizzati è emerso che Tiziano
utilizzava sia olio di semi di lino che di noce, preferendo
negli ultimi anni però il primo al secondo; come anche
Tintoretto in diverse tele adoperò inoltre un legante misto
ottenuto addizionando all’olio un’oleoresina - come la
trementina veneta, identificabile tramite analisi FTIR -
ottenendo in tal modo un film maggiormente elastico. La
stesura di uno strato finale di vernice resta un’incognita: vi
è infatti una testimonianza di Vasari14 che supporta la tesi di
una stesura finale di vernice, avvalorata dal fatto che, nel
corso d’indagini scientifiche, nei dipinti di Tiziano siano stati
talvolta individuati strati oleoresinosi sicuramente originali. Dettaglio de La Consacrazione di San Nicola
di Paolo Veronese (1552) in cui è ben
Tuttavia non vi è modo di stabilire con assoluta certezza evidente l’alterazione dello smaltino.
l’originaria presenza di una vernice ed esistano opere che antiche testimonianze15 ricordano
come non verniciate.
14
L’autore nelle Vite in merito al Ritratto di Paolo III ricorda infatti che “Abbiamo visto ingannare molti occhi a' di nostri,
come nel ritratto di Papa Paolo III messo per inverniciarsi su un terrazzo al sole, il quale da molti che passavano veduto,
credendolo vivo, gli facevano di capo”
15
Da John Pope-Hennessy, Tiziano, Electa editore, Martellago, pag.18 29
Analisi tecnica16
La tecnica adottata da Tiziano per la realizzazione del Ritratto di Papa Paolo III con i nipoti è
stata indagata nel corso delle molteplici campagne di restauro condotte sui quadri della
collezione farnesiana oggi esposti al Museo e Real Bosco di Capodimonte, nel cui inventario
l’opera presenta il numero identificativo Q 129.
Dopo l’Unità d’Italia una ricognizione effettuata nel 1875 rileva però condizioni d’esposizione
e conservazione inadeguate e testimonia lo stato non ottimale di alcuni dei dipinti più
importanti, tra cui la celebre tela, annotata però ancora come Paolo III insieme al Cardinale
Alessandro e Pier Luigi Farnese. A seguito di queste osservazioni verrà sollecitato un
intervento: le richieste non avranno tuttavia riscontro, in quanto fra la fine del XIX e i primi
anni del XX secolo non mancarono denunce sullo stato di disordine e di rischio conservativo
in cui versavano le opere, ospitate al Museo Nazionale in spazi ristretti e inadeguati.
Al 1930 risale il primo significativo lavoro di ricognizione ed inventario della Pinacoteca, volto
all’ordinamento e al recupero dei dipinti sotto il profilo conservativo e critico: vennero perciò
16
Tutte le indagini diagnostiche presentate nel capitolo sono state tratte dall’articolo di Angela Cerasuolo “Le vicende
conservative dei Tiziano di Capodimonte nella storia dei laboratori napoletani” pubblicato su Kermes, numero 114-115,
2019
30
coinvolte figure pioneristiche e specializzate, come quella di Fernando Perez, scienziato che
sin dal 1929 aveva contribuito in modo significativo alla messa a punto delle tecniche di
ripresa a luce radente. Egli collaborò in questa occasione con il fotografo Primo Cascianelli,
con il restauratore Stanislao Troiano e con il chimico Selim Augusti, iniziando per la prima
volta ad esaminare la tecnica di Tiziano anche attraverso fotografie diagnostiche, le cui prime
sono datate 1932.
materiali da lui usati per condurre l’intervento di rimozione della vernice: oltre all’allora
consueta mista di alcool e acqua ragia e all’ammonio idrato, nella relazione del restauro viene
infatti riportato anche l’uso della n-butilaminae e della dimetilformammide, solvente all’epoca
di recente introduzione e che rappresentava un’importante innovazione, consentendo di
rimuovere con una certa gradualità vernici e ritocchi invecchiati, su cui si interveniva di norma
con reagenti basici più difficili da controllare. Oltre a ciò, tutti gli interventi furono corredati
da una ricca documentazione fotografica e radiografica, realizzata da Selim Augusti.
In particolare, gli esiti delle indagini condotte sulla tela Paolo III con i nipoti in previsione di
un “imminente restauro” vennero esposti in un articolo del 1964, in cui i risultati dell’esame
radiografico e fotografico erano coniugati al fine di condurre una rilettura critica del dipinto.
Le lastre eseguite riguardavano l’area delle teste del Papa e dei due nipoti, la mano sinistra
del Pontefice e la clessidra sul tavolo, mentre tra le indagini fotografiche particolarmente
31
importante è la fotografia in transilluminazione, realizzata “puntando una lampada a
nitraphot sul retro della tela”. Questa infatti registra, grazie alla trasparenza dello strato
pittorico, “il ductus stesso della pennellata” e mostra inoltre le linee del disegno preparatorio,
che descrivono la figura del Pontefice con pochi, sintetici segni dati a pennello sulla tela
preparata con un sottile strato di gesso.
17
Per approfondire vedi pagina 37-38.
32
trasparente”, e l’altro macinato grossolanamente e come sabbioso e perciò ritenuto frutto di una
ridipintura. I primi sospetti circa un’estesa ridipintura sul fondo erano nati già analizzando la foto
in transilluminazione e notando come questo apparisse caratterizzato da una superficie assai più
spessa di quella presente nelle figure, impedendo il passaggio della luce; ipotesi che si era
rafforzata proprio a fronte della condizione d’incompiutezza del dipinto e delle sue caratteristiche
materiche inconsuete, dovute alla peculiare modalità esecutiva di Tiziano. Nel corso dell’ultimo
intervento sulla tela18, eseguito nel 2005 da Angela Cerasuolo, direttrice del Dipartimento di
restauro del museo, la tesi è stata però confutata, chiarendo l’autenticità di tutti gli strati pittorici
presenti.
Non vi sono documenti che testimonino un intervento di Tintori, sebbene si abbia notizia di
una relazione con la richiesta di ulteriori indagini preliminari, quasi certamente mai eseguite,
a conferma dell’estrema cautela con cui intendeva intraprendere una pulitura, data la
complessa e fragile matericità dell’opera. Il dipinto all’epoca si trovava inoltre in prima tela e
la foto che ne documenta il retro lascia intravedere tracce dell’abbozzo, in particolare nel
volto di Alessandro; l’eccezionalità di questa condizione, resa di ancor maggior interesse per
il particolare supporto dell’opera, una tela di damasco di lino19 con armatura a losanghe, gli
aveva fatto considerare sconsigliabile la foderatura.
18
L’intervento in questione, oltre a comprendere una vasta campagna d’indagini diagnostiche, realizzata da Marco
Cardinali e Beatrice De Ruggieri, ha contemplato la revisione della verniciatura e degli interventi integrativi. (Angela
Cerasuolo, Le vicende conservative…, op. cit., pag.56)
19
Comunemente nota come tela di Fiandra ed utilizzata per il confezionamento di tovaglie, questo tipo di tela è stata
usata dagli artisti fino dalla metà del XIV secolo. 33
e la riduzione delle deformazioni superficiali più deturpanti senza però pregiudicare la
conservazione delle caratteristiche di superficie legate all’esecuzione, quali variazioni di
spessore e rilievo delle pennellate. Il metodo, messo a punto attraverso personali
sperimentazioni e il recupero di un bagaglio di conoscenze che a Napoli vantavano una
lunghissima tradizione, prevedeva l’uso di un particolare telaio interinale espandibile e si
articolava in una sequenza di operazioni, così sinteticamente descrivibili:
I tempi erano cambiati e così ugualmente l’approccio utilizzato nel restauro: anche il telaio
definitivo, tutt’oggi presente e funzionante, venne infatti appositamente studiato dal
restauratore, che ideò un sistema a tiranti per applicarvi il dipinto e mantenerne costante il
tensionamento.
L’intervento di pulitura della superficie pittorica non venne infine eseguito: l’unica nota
presente a riguardo afferma che “sono stati effettuati saggi di pulitura di cm 2x2 in tre parti
del dipinto, con microscopio e bisturi, il restauratore prof. De Mata d’accordo con il
34
Soprintendente prof. Causa hanno
ritenuto non necessaria una eventuale
pulitura del quadro dopo aver
effettuato i saggi”. Se l’esecuzione dei
tre saggi di pulitura - individuati sul
dipinto nel corso dell’intervento del
2005 – testimoniano che De Mata aveva
Particolare scattato durante il restauro del 2005 che mostra, a destra, il
accolto la tesi del Tintori, la mancata tassello di pulitura del 1975
esecuzione dell’operazione si spiega con la notevole delicatezza della pellicola pittorica e con
l’impossibilità di rimuovere quelle stesure che erano state erroneamente interpretate come
antiche ridipinture, ma che le attuali conoscenze portano invece a ritenere autografe. Il
tassello di pulitura eseguito sul fondo bruno rossiccio, lungo il margine destro del dipinto e
all’altezza della spalla di Ottavio, mostra infatti come l’intervento di De Mata abbia
completamente rimosso l’intero strato pittorico, rendendo visibile null’altro che la tela,
appena intrisa dell’imprimitura. Sotto la presunta ridipintura infatti non era presente altro, in
quanto quella stesura è originale: si spiega, in questo modo, la scelta di rinunciare a condurre
la pulitura.
35
dei ritratti tizianeschi di Capodimonte,
considerati per la prima volta anche dal
punto di vista tecnico-esecutivo come nucleo
omogeneo e rappresentativo di uno dei
momenti più alti della produzione del
Maestro. A tal fine, oltre al restauro di quattro
opere di Tiziano20, sono state condotte
indagini scientifiche anche sugli altri ritratti
presenti, così da poter realizzare sull’intero
corpus un esame comparato.
20
Oltre al Ritratto di Paolo III con i nipoti sono stati sottoposti a restauro i ritratti del Cardinale Alessandro, di Carlo V e di
Filippo II.
36
alcuni punti stesure più brillanti e trasparenti, realizzate con lacca rossa pura per la mozzetta
e il camauro, con bruno intenso per il fondo e con rosso cinabro per il tavolo. Come appare
evidente dagli indumenti del pontefice, che attendevano l’applicazione di un’ulteriore strato
di lacca, questi erano destinati ad essere coperti, così come il fondo, in cui la prima versione
della testa di Alessandro e forse anche altri pentimenti necessitavano di un ulteriore strato di
colore spesso e coprente oltre a quello già applicato da Tiziano e creduto da Tintori una
ridipintura.
Nella foto in transilluminazione, oltre al
maggiore spessore di questa porzione di
dipinto rispetto alle parti in cui vi sono
raffigurati i personaggi, appare di minor
trasparenza, e dunque più spessa, anche
un’altra area, corrispondente a una fascia
orizzontale che attraversa da parte a parte il
dipinto all’altezza delle gambe del pontefice.
Nella relazione di De Mata questa parte
veniva interpretata come una “lunga
stuccatura rasata” risalente ad un restauro
molto antico, forse settecentesco, ma la sua
origine è ancora una volta da ricondurre alle Fotografia dell’opera nel 1990
21
Questa caratteristica è stata riscontrata anche nella parte bassa del Ritratto di Filippo II attraverso l’esame radiografico,
in cui la fascia di sovrapposizione è risultata più opaca. Il dato è poi stato confermato dai prelievi stratigrafici, che hanno
rilevato differenze di spessore e composizione nella preparazione nella parte inferiore del dipinto.
37
d’opera. Queste modifiche di formato provano come
Tiziano abbia definito il taglio della composizione,
portandolo alle dimensioni attuali, nel mentre stesso
della realizzazione dell’opera; ciò, insieme alla prova
fornita dalle radiografie sull’originale collocazione della
figura di Alessandro, avvalora infine l’ipotesi circa una
maggior aderenza iniziale dell’opera al Leone X di
Raffaello. Come nel dipinto più antico, infatti, anche nel
Paolo III con i nipoti i personaggi erano inizialmente
rappresentati a tre quarti e solo in fase esecutiva resi a
figura intera: ciò è esemplificativo dell’estrema libertà
espressiva di Tiziano, che, ormai artista affermato e
consapevole delle proprie capacità, mantiene fino
Fotografia dell’opera nel 1992
all’ultimo ampi margini di cambiamento anche per
quanto concerne le dimensioni e l’impostazione
compositiva delle sue opere.
38
Sitografia
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https://caffetteriadellemore.forumcommunity.net/?t=56726368
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https://www.alinari.it/it/
https://fondazionezeri.unibo.it/it
39
Bibliografia
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(secc.V-XIX), Carocci editore, Vignate, 2018
Natalia Bevilaqua, Leonardo Borgioli, Imma Adrover Garcia, I pigmenti nell’arte: dalla
preistoria alla rivoluzione industriale, il prato editore, Saonara, 2010
Jill Dunkerton, Marika Spring, National Gallery Technical Bulletin, volume 34: Titian’s Painting
Technique before 1540, National Gallery Company London, 2013
Jill Dunkerton e Marika Spring, National Gallery Technical Bulletin, volume 36: Titian’s Painting
Technique from 1540, National Gallery Company London, 2017
Paul Joannides and Jill Dunkerton, National Gallery Technical Bulletin volume 28, National
Gallery Company London, 2007
Angela Cerasuolo, Le vicende conservative dei Tiziano di Capodimonte nella storia dei
laboratori napoletani, da Kermes, numero 114-115, 2019
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