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Dal 1410 non c pi nessuno scultore tedesco nella Fabbrica del Duomo. Da quel momento si era costituita una maestranza disciplinata e prettamente italiana. Di maestri oltremontani non c pi bisogno. Ora attendono alle sculture del Duomo artisti di fama:
accanto ai pochi veneziani, Matteo de Raverti, Antonio Briosco e il grande Jacopino da
Tradate. Da questo momento anche nella scultura il Duomo parla la sua lingua.1
Cos Herbert Siebenhner concludeva nel 1945 il testo de Il Duomo di Milano e gli artisti tedeschi, trascrizione di una conferenza ispirata al pi corposo
saggio Deutsche Knstler am Mailnder Dom, da lui stesso pubblicato un anno
prima a Monaco.
Senza dubbio lo storico dellarte lipsiano coglieva con questa affermazione
una verit importante nella storia dei rapporti artistici tra Lombardia e Germania:
il momento di maggior intensit di questi rapporti si era in effetti registrato nel
cantiere del duomo prima del 1410.
Nel suo studio lautore si era giustamente soffermato a sottolineare limportanza e il prestigio degli architetti doltralpe, chiamati appositamente a intervenire
nella controversa vicenda della fabbrica del duomo. Molto pi sbrigativo era invece
il suo giudizio sugli scultori, ai quali decideva di riservare solo poche pagine in
chiusura: a parte un paio di eccezioni questi sono per lui in massima parte artisti
mediocri di passaggio, attratti dal miraggio di guadagnarsi la vita. In particolare
Walter Monich, scultore monacense attivo a Milano nel primo decennio del Quattrocento, ispira allo storico dellarte quasi un moto di compassione: la sua esperienza gli sembra incarnare in qualche modo il destino (inglorioso) di molti suoi
colleghi scesi da oltralpe. Anche se viene ripetutamente indicato nei documenti
come bonus et optimus magister, egli in realt una figura mediocre:
Questa incoerenza illumina il problema degli scultori germanici alla decorazione del
Duomo milanese in genere: essi non sono molto sicuri di s, non sono personalit ar-
* Ringrazio per la lettura, le critiche e i consigli: Giovanni Agosti, Roberto Cara, Marco Collare-
ta, Massimo Ferretti, Mauro Natale, Orso Piavento, Alessandro Pisoni, Stefano Rinaldi, Daniele
Rivoletti, Giovanni Santucci, Mauro Spina, Michele Tomasi, Luca Tosi, Patrizia Zambrano. La
responsabilit di quanto pubblicato resta integralmente mia.
1.Herbert Siebenhner, Il Duomo di Milano e gli artisti tedeschi, Milano 1945, p.23.
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tistiche come gli architetti oltremontani, ma artigiani; sono pi scalpellini intagliatori che scultori, di cui si stima labilit manuale pi che le loro possibilit artistiche.2
Secondo Siebenhner il fatto che il suo stile ipergotico e in certi casi anche la
sua firma siano stati rinvenuti a Orvieto, Sulmona e lAquila, non prova che lartista abbia goduto ripetutamente di un certo successo, ma piuttosto il contrario:
Lartista recita un vocabolario stilistico gi da tempo fuori uso. A lui, sperduto negli
Abruzzi, manca ogni contatto con le forze creative di artisti tedeschi o italiani. Quante volte sar stato questo il destino degli scalpellini germanici in Italia!3
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sciamo in lui lautore di una SantAgata posta su uno dei finestroni del transetto,
ma anche molto suggestiva lipotesi che vede una sua firma nel monogramma r
inciso sulla spada di una Santa Pelagia, collocata in posizione speculare allaltra
scultura.7 Egualmente considerate opere francesi sono le sculture che decorano
la guglia Carelli: sia gli angeli dalle lunghe ali possenti, chiaramente imparentati
con quelli sulla sommit del pilone XVII allinterno del duomo (tutti attribuiti
dalla Cavazzini allo stesso Roland de Banille);8 sia le statuette di profeti, che
a detta del Toesca, ricordano, per la loro intensa espressione, quelle di Claus
Sluter nel Pozzo di Mos.9
Senza dubbio vero che il momento pi internazionale del duomo di Milano
stato proprio questo, cio il periodo che va dalla dominazione di Gian Galeazzo
Visconti (un duca particolarmente esterofilo) al decennio immediatamente successivo alla sua morte nel 1402. In questo periodo il processo di acculturazione
tra maestranze di diversa origine stato talmente forte che gli storici dellarte
hanno incontrato pi di una difficolt quando hanno cercato di divinare la nazionalit di ogni autore solo sulla base dello stile.10 Ci detto, va in ogni caso
riconosciuto che la fortuna della scultura transalpina in Lombardia durata ben
pi a lungo di quel limitato momento storico: se vero che per quanto riguarda
lOpera del duomo i documenti non attestano pi la presenza di scultori tedeschi,
abbiamo in ogni caso la certezza che nel resto della citt i modelli nordeuropei
hanno continuato ad essere largamente imitati ed apprezzati.
Nel II e III decennio uno scultore lombardo come Jacopino da Tradate non si
dimostra certo insensibile al fascino dei panneggi ipergotici cari ai suoi colleghi
transalpini: lo dimostrano lunica sua scultura sicuramente documentata (il Martino
V benedicente nel duomo), e ancor di pi la Madonna del Castello Sforzesco, di
incerta provenienza ma a lui attribuita sulla base dellopera precedente.11 Ancor pi
significativa la presenza nel Tesoro di SantAmbrogio di una serie di cinque Pleurants incappucciati che si ispirano inequivocabilmente a un modello ampiamente
diffuso nel nord Europa, soprattutto a partire dalla tomba del duca Filippo lArdito
a Champmol: per quanto ne sappiamo si tratta dellunico esempio italiano di questa
tipologia iconografica. La storiografia non concorde sulla provenienza dellopera, n sullidentit dellartista: segnalati sin dal Toesca come monumenti dellarte
borgognona in Milano,12 sono oggi discussi dalla critica come opera di un lombar7.Si tratterebbe quindi di una sigla curiosamente allusiva alle consuetudini degli armaioli, che
cos si firmavano. Cfr. Cavazzini, Il crepuscolo [n.4], p.40.
8.Ibidem, p.42, n.13.
9.Pietro Toesca, La pittura e la miniatura nella Lombardia dai pi antichi monumenti alla
met del Quattrocento, [Milano 1912], Torino 1966, p.183, nota 2.
10.Una prova ne sono le schede del catalogo del Museo del duomo (e di molte altre pubblicazioni) dove una cautela piuttosto comprensibile ha spinto gli autori a non lesinare i punti
interrogativi e ad usare espressioni molto generiche come scultore franco-tedesco. Vedi Rossana
Bossaglia, Mia Cinotti, Tesoro e Museo del Duomo, 2 voll., Milano 1978.
11.Su Jacopino si veda il profilo delineato in Cavazzini, Il crepuscolo [n. 4], pp. 55-102.
12.Toesca, La pittura [n.9], p.183, nota 2.
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tramontata. Ma una questione anche pi affascinante quella che riguarda lidentificazione del tipo di opera descritta dal vescovo. Non sono molti gli studiosi che
si sono confrontati con questo problema, e per quanto ne sappiamo tutti si rifanno
al filologo Tino Foffano, che nel 1960 ha edito il testo corredandolo di una buona
introduzione storica.23 Nel suo contributo questi non ha provato ad accostare la
fonte scritta ad alcuna opera esistente, ma si limitato, forse per prudenza, a tradurne ad sensum certi punti per descrivere un piccolo blocco piramidale di pietra
preziosa [] una specie di piedistallo dal colore scuro e vermiglio [] un cammeo
con due bassorilievi.24 Innanzitutto bisogna sottolineare che il termine mineralis,
dal significato oggi abbastanza pacifico, non era cos chiaro ed univoco allepoca:
inesistente in latino classico, viene forgiato dagli umanisti sul modello del volgare
per indicare tutto ci che viene estratto in una miniera, metalli compresi (da qui la
sua etimologia). In ogni caso lesperienza insegna che i materiali citati nelle descrizioni antiche non sono da considerare sempre affidabili e, se dovessimo provare a
collegare il monticulus a una tipologia di opere conosciute, preferiremmo affidarci
ad altri indizi. Lintaglio dei cammei non unarte cos prettamente tedesca, mentre
conosciamo un altro genere dominato incontestabilmente dagli scultori di Germania e Fiandre per molti secoli: si tratta dellintaglio in bosso, un legno particolarmente duro e resistente che si presenta di solito in un colore bruno-rossastro molto
intenso. Aspetto e consistenza di questo materiale tendono talvolta ad assomigliare
a quelli di una pietra scura (o anche di un metallo brunito, quando la superficie
lucidata): forse possibile che Piccolpasso non abbia riconosciuto questo tipo
di legno, raramente utilizzato dagli artisti italiani? Sar un caso, ma la specificit
dellintaglio in bosso (un po come succede per lavorio) proprio quella di permettere solo la realizzazione di figure molto minute, limite che gli scultori nordici
hanno saputo invece piegare a proprio vantaggio. Soprattutto nei Paesi Bassi di fine
Quattro e inizio Cinquecento si assister ad una specie di boom della realizzazione
di altaroli, oggetti preziosi e Betnsse in questo materiale (fig.1-3),25 apprezzati
23.Foffano, La costruzione di Castiglione [n.15]. Qualche rapida nota sul monticulus si trova
anche in Bertelli, Masolino [n.17], p. 32 e nota 169; e in Carl Brandon Strehlke, Li magistri con li
discepoli. Thinking about art in Lombardy, in Quattro pezzi lombardi (per Maria Teresa Binaghi), a
cura di Barbara Agosti, Brescia 1998, pp. 9-38: p. 28. Nelle stesse pagine Strehlke fa anche riferimento ad altri due casi di cui parleremo pi avanti (il Maestro di Rimini, Johannes Teutonicus).
24.Foffano, La costruzione di Castiglione [n.15], p.165. Seguendo la lettura del filologo
anche noi abbiamo reso con litaliano vermiglio laggettivo vermiculatus (vermilatus, prima che
il copista si correggesse): un significato attestato nel latino medievale. Una possibile alternativa
sarebbe stata tradurlo screziato, variegato.
25.Abbiamo deciso di riprodurre in fotografia ben tre di questi oggetti, proprio per testimoniare
la variet di tipologie possibili. Segnaliamo il numero di inventario di ognuno di essi per rendere pi
semplice la loro identificazione, anche sul catalogo on-line dei tre musei (la cui scheda risulta molto
pi dettagliata rispetto alle informazioni pubblicate a stampa): Londra, Victoria & Albert Museum
(inv. A.41-1954); New York, Metropolitan Museum of Art (inv. 17.190.475); Londra, British Museum
(inv. WB.232). Betnuss (noce per la preghiera) il nome tedesco con cui, dallOttocento in poi, la
storiografia indica una piccola scultura sferica apribile in due, contenente uno o pi microrilievi dedicati a una scena religiosa, il pi delle volte cristologica. Solitamente non superano i 6 cm di diametro
e sono in legno di bosso, o anche in avorio: venivano attaccate alla sommit di un rosario o a una
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proprio per lo straordinario virtuosismo con cui gli intagliatori ricavavano scene microscopiche e affollatissime nello spazio di pochi centimetri. Sono proprio le stesse
caratteristiche sulle quali insiste ripetutamente il vescovo nel descrivere i rilievi del
monticulus (e anche laccostamento in unopera minuscola di Nativit e Passione,
ricorda da vicino liconografia di molte di queste opere: fig. 2-3).26 Quanto alla provenienza geografica, se la fioritura pi impressionante si registrata nei Paesi Bassi,
di certo esistono regioni tedesche a questi molto prossime, in cui si commerciavano
(o si lavoravano) opere alla fiamminga: non un caso che i confini tra le due
identit fossero molto labili, tanto che questi venivano spesso considerati una parte
della Germania.27 Il problema pi grosso da affrontare piuttosto un altro: siamo,
infatti, consapevoli che questo tipo di opere sono generalmente datate ben pi tardi
del 1431. Resta per il fatto che su molte di esse, in realt, non vi alcuna certezza
assoluta;28 inoltre nulla vieta di pensare ad una sorta di incunabolo di questo tipo di
realizzazioni, a maggior ragione visto che esistono anche rilievi del genere il cui stile
sembra tradire una datazione decisamente pi alta.29 In ogni caso, anche se si lascia
cadere tale ipotesi, bisogna comunque immaginare un microrilievo simile a questi,
sempre realizzato nel nord Europa, ma in un altro materiale rosso scuro (cosa che
tutto sommato sembrerebbe ancor pi rara e singolare).
Date le varie vicissitudini subite in seguito dal sito di Castiglione Olona probabile che del monticulus non sia sopravvissuto alcunch,30 e per quanto ne sappiamo la
lettera di Piccolpasso resta lunica testimonianza della sua esistenza in Lombardia.
collana, ma conosciamo dei casi in cui aperte e provviste di una montatura vennero utilizzate come
altaroli privati, facilmente trasportabili. Si veda ad esempio quella del Victoria & Albert Museum (inv.
225-1866) in cui il supporto, pi tardo, argenteo: una testimonianza che legno di bosso e metallo
potevano essere abbinati senza problemi. Il tabernacolo apribile del British Museum (inv. WB.233)
testimonia infine la grande complessit che questi oggetti preziosi potevano raggiungere. Sulla microscultura in bosso e sulle sue tipologie: Susan Romanelli, South Netherlandish Boxwood Devotional
Sculpture, 1475-1530, diss., Ann Arbor 1992; Evelin Wetter, Zwei sptmittelalterliche Betnsse aus
den sdlichen Niederlanden, Bern 2011; e soprattutto i vari contributi di Frits Scholten, tutti abbastanza recenti; rimandiamo allultimo in ordine cronologico (che pemette di recuperare la bibliografia
precedente): Joost van Cranevelts prayer nut, Simiolus, 36 (2012), 3/4, pp. 123-141.
26.Nel caso del microaltare alla fig. 3 la Crocifissione accompagnata da unOrazione nellorto;
Crocifissione e Nativit sono invece presenti in un altarolo molto simile al Louvre (inv.OA 5612).
27.Basti pensare al titolo del famoso libro di Lodovico Guicciardini, Descrittione di tutti i
Paesi Bassi altrimenti detti Germania inferiore, Antwerpen 1567. Sulla sfuggente identit dei Paesi
Bassi borgognoni (e sulluso di Alemania inferior e Nederlanden) si veda Alastair Duke, The
elusive Netherlands. The question of national identity in the early modern Low Countries on the eve
of the Revolt, BMGN, 9 (2004), pp. 10-38.
28.Non varrebbe forse la pena di chiedersi se alcune di queste opere vadano in qualche modo
retrodatate? Lo stile di alcune di esse sembra in realt compatibile anche con il XV secolo. Un
esempio fra i tanti questo del Metropolitan Museum di New York: inv. 17.190.458.
29.Si prenda ad esempio lAdorazione della Trinit del Metropolitan Museum di New York
(inv. 17.190.486). Un primo catalogo delle sculture quattrocentesche in bosso (ancora esistenti o
solo documentate) offerto da Antje Middeldorf Kosegarten, Inkunabeln der gotischen Kleinplastik in Hartholz, Pantheon, 22 (1964), pp. 302-321.
30.Nel 1513 Castiglione Olona venne saccheggiata dalle truppe di Massimiliano Sforza,
mentre nel 1780 la sagrestia venne distrutta da un incendio.
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Meno sfortunato invece il caso del cosiddetto Altare dellUmilt, opera senza
dubbio pi imponente del monticulus, ma composta sempre da figure abbastanza
minute (fig. 4): conservato quasi integralmente, si trova oggi nella collezione Borromeo dellIsola Bella (Stresa).31 Probabilmente ci troviamo di fronte a un altro caso di
importazione: lancona composta da ventotto nicchie che ospitano altrettante sculture alabastrine, verosimilmente scolpite in Germania o nelle Fiandre nel V decennio
del secolo. Sin dalla prima pubblicazione scientifica dedicata a questo polittico,32 esso
stato collegato ai resti di un altro altare, acquistato nel 1913 dal Liebieghaus di Francoforte e proveniente dal Santuario delle Grazie presso Rimini: entrambi sono formati da piccole statue di alabastro di dimensioni comparabili (anche se non identiche)33 e
molte delle figure presenti allIsola Bella sfoggiano un panneggio ipergotico del tutto
simile a quello che si riscontra in tutte le sculture di Francoforte (tra di loro molto
pi omogenee). Lidentit del Maestro dellAltare di Rimini rimasto il punto pi
controverso su cui si cimentata la storiografia successiva: in un primo tempo lo si
creduto un renano attivo negli anni attorno al 1420 e 30, emigrato in Italia verso il
1440 (Swarzenski, contraddetto poi da Krautheimer, proponeva di identificarlo con
il maestro Gusmin di Colonia tanto elogiato da Ghiberti).34 I principali contributi apparsi nel secondo dopoguerra sembrano invece accantonare entrambe queste ipotesi,
pur lasciando la cronologia grosso modo invariata:35 la vicinanza formale a molte
creazioni del gruppo Campin-Weyden ha, invece, fatto supporre unorigine fiamminga del maestro. Inoltre, laggregazione allo stesso corpus di altre sculture simili per
dimensioni e stile, ma sparse un po in tutta Europa, ha spinto gli studiosi a dubitare
della necessit di un viaggio dello scultore al di l delle Alpi: le dimensioni sempre
molte contenute e la (quasi) serialit di queste opere sembrano suggerire che buona
parte di esse siano state concepite per il mercato o per lesportazione. Il fatto che i due
cicli pi importanti del gruppo, ancora conservati, si trovassero entrambi in Italia sarebbe quindi pi che altro una casualit, o il fortunato esito di una differente vicenda
31.Il pi recente contributo specificamente dedicato a questopera la scheda di Mauro Natale in
El Renacimiento mediterrneo. Viajes de artistas e itinerarios de obras entre Italia, Francia y Espaa
en el siglo XV, catalogo della mostra (Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza; Valencia, Museu de Belles
Arts, 2001), a cura di Mauro Natale, Madrid 2001, pp. 240-245 (con bibliografia precedente); da integrare con un nuovo apporto documentario (e una nuova proposta) di Stefania Buganza, Palazzo Borromeo.
La decorazione di una dimora signorile milanese al tramonto del gotico, Milano 2008, p. 42.
32.Georg Swarzenski, Der Klner Meister bei Ghiberti, Vortrge der Bibliothek Warburg,
1926/27 (1930), pp.22-42.
33.Le dimensioni variano tra i 30 e i 50 cm. Ovviamente si intendono le dimensioni delle
figure pi piccole dellaltare di Francoforte (44-46 cm), perch allIsola Bella mancano le scene di
gruppo con i tre crocifissi.
34.Swarzenski, Der Klner Meister [n.32]; Richard Krautheimer, Ghiberti and Master
Gusmin, The Art Bulletin, 29 (1947), pp.25-35.
35.Il pi importante (e completo) resta quello di Anton Legner, Der Alabasteraltar aus Rimini, Stdel Jahrbuch, 2 (1969), pp.101-168. Il pi recente invece quello di Kim Woods, The
Master of Rimini and the tradition of alabaster carving in the early fifteenth-century Netherlands,
Nederlands kunsthistorisch jaarboek, 62 (2012 [2013]), pp. 56-83 (con bibliografia precedente).
Nella pagine conclusive lautrice propone anche una possibile identificazione del Maestro con lo
scultore Gilles De Backere, documentato al servizio del duca Filippo il Buono (pp. 73-77).
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Battista e SantAndrea sono ripetuti due volte). Tutti questi elementi inducono a
credere che laltare abbia subito delle modifiche sostanziali nel corso della sua
storia: sappiamo per certo che esso proviene dalla cappella dellUmilt o della
Nativit in Santa Maria Podone, cio la chiesa dei Borromeo a Milano, di fronte
al loro palazzo cittadino; prima di approdare allIsola Bella nel 1889 lopera sub
varie vicissitudini, non tutte documentate, ma certo che gi nel 1627 avesse la
forma che conosciamo, perch Fabio Mangone la descrive dettagliatamente in
una sua lettera.41 La storia precedente invece pi lacunosa, ricca di indizi ma
povera di certezze. Pur in assenza di documenti specifici, la totalit della critica
accetta come data pi plausibile per larrivo delle sculture in chiesa il V decennio del Quattrocento, quando Vitaliano Borromeo commission grandi lavori di
abbellimento soprattutto per la cappella maggiore e per quella dellUmilt, da
lui fondata.42 Vale anche la pena notare che, curiosamente, in tutta la storia della
chiesa e dellaltare non esiste alcuna testimonianza che riconosca queste sculture come opere provenienti doltralpe (a differenza di quanto avevamo visto nel
caso del monticulus, per il quale disponiamo di una fonte coeva che lo definisce
apud Germaniam elaboratus);43 in effetti abbiamo ben poche informazioni sui
meccanismi di mercato o di committenza che hanno portato a Milano le opere di
questa bottega tedesco/fiamminga, gi apprezzata qualche anno prima a Rimini.
Se i viaggi, le amicizie e i contatti diplomatici del cardinal Branda lasciavano
limbarazzo della scelta nellimmaginare le modalit di arrivo a Castiglione delle
sue opere oltremontane, nel caso di Vitaliano Borromeo i contatti sembrano invece
meno numerosi, e limitati alla fondazione, negli anni trenta del Quattrocento, di
diverse filiali estere del Banco Borromeo (Bruges, Londra, Barcellona).44
41.Lornamento dellaltare detto icona di legno finto di marmo con profili doro parimente
di detta architettura [si intende: tedesca], compartito con vintiotto nicchiette, nella quali posto
per ciascuna una figurina dalabastro, nel cui piedistallo sono tocche doro diverse imprese di detta
casa. Pubblicato in Costantino Baroni, Documenti per la storia dellarchitettura a Milano nel
Rinascimento e nel Barocco, 2 voll., Roma 1968, II, p. 87. Allepoca architetto del duomo, Fabio
Mangone era stato incaricato da Federico Borromeo di visitare la cappella per misurarla e studiarla:
lo scopo era costruire una cappella speculare sulla navata opposta, quella sinistra (progetto che risaliva alle disposizioni testamentarie di Vitaliano Borromeo, ma continuamente rimandato). Su Fabio
Mangone vedi Isabella Balestreri, Dizionario Biografico degli Italiani, 69, Roma 2007, pp. 22-25.
42.Questa in effetti la cosa pi probabile, ma come si vedr pi avanti nel testo sembra
da escludere che esse siano arrivate tutte nello stesso momento. comunque verisimile che almeno
una parte di esse (quelle che si trovavano sullaltar maggiore) fossero gi installate nel marzo 1445:
in questa data vengono infatti pagati i lavori per la doratura della maest allaltare grande. Cfr.
Buganza, Palazzo Borromeo [n.31], p.42.
43. forse possibile che la cornice alla veneta, documentata almeno dal 1627, la rendesse
in qualche modo pi familiare, non troppo differente da molti altri polittici scolpiti medievali che in
Lombardia si potevano e si possono ancora vedere: Fabio Mangone afferma che larchitettura della
cappella e dellicona sono simili alla tedesca, ma semplicemente un modo per definirle gotiche.
Bisogna riconoscere che per un osservatore del Cinque e Seicento era probabilmente pi difficile
distinguere tra una declinazione italiana e una tedesca del gotico.
44.Su Vitaliano Borromeo si veda lottimo profilo delineato da Buganza, Palazzo Borromeo [n.
31], pp. 33-76, con bibliografia precedente. Non disponiamo di alcun dato sicuro nemmeno sul com-
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Bisogner aspettare due visite pastorali ben pi tarde per vedere finalmente
citate le nostre sculture, ma anche qui i problemi non mancano: Carlo Borromeo
nel 1567 nomina una ancona lapidea cum pluribus figuris, ma curiosamente essa
si trova sullaltar maggiore, mentre nessun polittico viene segnalato nellaccurata
descrizione della cappella dellUmilt.45 Negli atti della visita pastorale del 1605
le icone in marmo sono invece due, una per cappella.46 Nel II e III decennio del
Seicento i pagamenti attestano vari lavori di restauro/rifacimento, che coinvolgono
anche il nostro polittico, anche se non chiaro esattamente in quale misura: il pittore
Bartolomeo Roverio detto il Genovesino (sotto la direzione del quale lavoravano
anche stuccatori e incorniciatori) viene ricompensato in vari momenti per rinnovare
le pitture gi esistenti, depingere tutta la chiesa [] con stelle dorate e stucchi
finti, formar in pietra di pogevera li cornici dei quadri nelle nize, ma soprattutto,
nel maggio 1626, per la renovatione de le pitture della cappella dei signori Borromei [cio dellUmilt] et ancona di detto altare.47 Nel febbraio 1627 abbiamo poi
il minuzioso rapporto del Mangone dedicato esclusivamente a questa cappella, nel
quale viene descritto inequivocabilmente il polittico alla veneta oggi allIsola Bella. Come naturale, in questa lettera non troviamo informazioni sullo stato dellaltar
maggiore: in ogni caso certo che questultimo o era gi stato smontato/spostato, o
stava per esserlo, perch nellaprile 1628 quello nuovo era gi stato installato.48
Riassumendo: abbiamo la certezza che in Santa Maria Podone si trovarono due
altari scolpiti (pi problematico sapere quando esattamente vennero installati e perch uno sembra arrivarvi molto pi tardi dellaltro). Dato che in meno di tre anni il
primo fu smontato mentre il secondo, che ancora esiste allIsola Bella, venne rinnovato, sembra in effetti plausibile spiegare le ripetizioni iconografiche di questultimo ipotizzando la fusione dei due cicli, o perlomeno la sostituzione di alcune statuette con quelle dellaltro altare.49 Ancor meno certezze abbiamo su quanto sia antico
mittente dellaltare ora a Francoforte, per cui difficile riuscire a stabilire un collegamento preciso tra
i due casi (lipotesi pi accreditata, comunque, che si tratti di una commissione di Galeotto Roberto
Malatesta, signore di Rimini). Una proposta recente, per, vede nel cardinale Niccol Albergati e nei
suoi viaggi un possibile tramite per la diffusione di opere del Maestro di Rimini a sud delle Alpi: Antoine
de La Taverne ci testimonia che il cardinale, recatosi ad Arras per la pace del 1435, aveva apprezzato un
altare (oggi distrutto), che alcuni documenti permettono di riconoscere come unopera del nostro artista;
un ulteriore indizio fornito dallaggiunta al suo corpus di due pezzi di area bolognese (la diocesi di cui
Albergati era arcivescovo). Cfr. Massimo Medica, Una deposizione alabastrina a Bologna nellambito
del Maestro di Rimini, in Il pi dolce lavorare che sia. Mlanges en lhonneur de Mauro Natale, a cura
di Frdric Elsig, Nomie Etienne, Grgoire Extermann, Cinisello Balsamo 2009, pp.83-87.
45.Buganza, Palazzo Borromeo [n.31], p.41.
46.Barbara Agosti, Collezionismo e archeologia cristiana nel Seicento: Federico Borromeo
e il Medioevo artistico tra Roma e Milano, Milano 1996, p.130.
47.Baroni, Documenti [n.41], pp.86-89, doc. 487 e nota, doc. 489.
48.Cfr. Luigi Demolli, Santa Maria Pedone e i Borromeo (IV), Archivio storico lombardo,
3-4 (dicembre 1939), pp. 367-407: p. 393. Conserviamo anche i pagamenti che risalgono, invece,
allanno successivo: A maestri Francesco Orello et Vigna per lopere in far laltare di marmoro a
d 7 marzo 1629. Baroni, Documenti [n. 41], pp. 86-87, doc. 487.
49.Natale, El Renacimiento [n. 31], pp.240, 242 e nota 5 a p.245. Sembra abbastanza significativo che, pur non conoscendo le visite pastorali pubblicate successivamente sia Swarzenski
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dictus Strigel ex Memingen innperiali [sic]67 infatti uno dei pochi che ha firmato e datato le sue opere con una certa continuit, ma non solo: nel 1495 a Villa
di Chiavenna egli stesso sottoscrive di suo pugno un documento, rilasciando in
tedesco la quietanza del conto. curioso trovare confermata la sua presenza in
loco proprio per lunica commissione di modeste dimensioni (un San Sebastiano e
una Madonna),68 quando invece per tutti gli altri altari si considera plausibile una
spedizione dalla sua bottega di Memmingen, cio da 300 km pi a Nord: anche
quello di Calanca, che il pi grande attualmente in Svizzera dopo lHochaltar di
Coira, infatti costituito dallassemblaggio di pezzi che non superano il metro e
mezzo di dimensione, di modo da facilitarne il trasporto.69
La cosa in realt non desta stupore, se pensiamo ad altri casi contemporanei,
molto ben documentati: anche il tirolese Michael Pacher lavora a Brunico la grande
macchina daltare destinata a Sankt-Wolfgang, come ci testimoniano le minuziose
clausole sul trasporto presenti nel contratto (lo scultore avrebbe infatti dovuto accompagnare lopera, smontata e imballata, per oltre 400 km); mentre le lettere di alcuni
suoi mecenati ci testimoniano che, per iniziare a lavorare laltare di Salisburgo, gli
aiuti e lorefice avevano bisogno non solo del suo progetto, ma anche della sua presenza (e infatti, pi tardi, egli sar costretto a passare molto tempo in questa citt).70
in Canton Ticino: Chiggiogna; Mairengo; Giornico; Brione Verzasca, firmato da Matheis
Miller nel 1502 (ora Zurigo, Schweizerisches Landesmuseum);
sul confine occidentale: Baceno, Frua, Formazza (Alta Val dOssola); Pian di Misura, Alagna
(Alta Valsesia, comunit Walser).
Sui primi si veda Sandra Sicoli, Scultura lignea dOltralpe nella provincia di Sondrio: una
prima ricognizione, in La scultura lignea nellarco alpino [n. 39], pp. 55-69; da integrare con i
materiali di Legni Sacri e Preziosi, catalogo della mostra (Sondrio, Museo Valtellinese di storia
ed arte 2005), a cura di Angela DellOca, Cinisello Balsamo 2005. Dedicato soprattutto alla storia
della tutela e alla ricezione di queste opere nella storiografia del primo Novecento larticolo di
Gianpaolo Angelini, Altari lignei in Valtellina di evidente influenza tedesca: Guglielmo Aurini e
la riscoperta della scultura lignea dOltralpe in provincia di Sondrio, in Pulchrum. Studi in onore
di Laura Meli Bassi, a cura di Augusta Corbellini, Sondrio 2009, pp. 237-252.
Sui secondi la documentazione fotografica pi ampia resta quella di Walter Hugelshofer, Altari ad
intaglio dorigine tedesca nel Cantone Ticino e altari della Madonna del Sasso e di Ascona, Milano 1927.
Il materiale da questi raccolto va ora integrato grazie ai recenti studi di Claudia Gaggetta, che affrontano
finalmente in modo sistematico le numerose problematiche legate a queste presenze forestiere in
Ticino (morfologia, iconografia, attribuzione, committenza e ricezione): Altari a sportelli di origine
tedesca in Ticino, in La nube dei testimoni. Santi in Ticino: arte, fede e iconografia, catalogo della
mostra (Mendrisio, Museo darte 2014), a cura di Angelo Crivelli, Lugano 2014, pp. 120-134.
Quanto agli ultimi il contributo pi specifico Angela Guglielmetti, Alcune sculture lignee svizzero-tedesche in alta Valle Ossola e nellarco alpino occidentale, in La scultura lignea
nellarco alpino [n. 39]; mentre la migliore documentazione fotografica si trova in Angela Guglielmetti, Scultura lignea nella diocesi di Novara tra 400 e 500, Novara 2000, soprattutto pp. 51-56.
67.Cos si firma sullaltare di Santa Croce in Piuro. Cfr. Guido Scaramellini, scheda in Legni
Sacri e Preziosi [n.66], p.60.
68.Il primo perduto, la seconda ora al Museo del Tesoro di Chiavenna.
69.Vedi Susanne Buder, Kunstwissenschaft und Technologie, Uni Nova, 88 (2001), pp.56-57.
70.Erika Kustatscher, Michael Pacher nei documenti, in Michael Pacher e la sua cerchia,
catalogo della mostra (Novacella, Abbazia agostiniana 1998), a cura di Artur Rosenauer, Bolzano
1998, pp. 306-314: p. 307, doc. 7; p. 310, docc. 34-35.
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Non bisogna quindi essere troppo manichei nella distinzione tra artisti itineranti
e artisti stanziali: come si appena visto, anche gli scultori che avevano una bottega e una cittadinanza stabili potevano muoversi per periodi pi o meno lunghi,
con lo scopo di curare i propri interessi commerciali o di accompagnare unopera
da installare personalmente.
Inoltre, certo che gli artisti potevano anche muoversi nella speranza di
trovare nuovi committenti, soprattutto quando cera bonaccia nel loro paese di
residenza. Ad esempio, sempre ricollegandoci al medesimo scultore, nel 1481 vediamo il vescovo di Bressanone scrivere al giudice della citt per preannunciargli
che Pacher lo verr a visitare in cerca di commesse.71 Forse, questo importante
pittore e intagliatore non ha limitato il suo campo dazione al Tirolo e al Salisburghese: oltre agli echi italiani ravvisabili in alcune sue opere, esistono vari indizi
che hanno suggerito agli storici dellarte di supporre un suo viaggio nella Pianura
Padana (di solito per immaginato nel decennio precedente).
Quali sono le evidenze documentarie che lasciano spazio a unipotesi milanese?
Sappiamo che nel 1473 Bartolomeo Gadio, in una lettera a Galeazzo Maria Sforza, si lamenta della scarsa presenza di validi intagliatori nella Milano
dellepoca: si tratta di una situazione che ostacola i lavori nella grandiosa cappella delle reliquie del castello di Pavia ( lui stesso a sottolineare il problema);72
quindi certo che in quegli anni la corte era alla ricerca di nuovi maestri da
impiegare nel cantiere, poco importa se stranieri. Al contrario, lo stesso duca
a dimostrarsi particolarmente ben disposto verso gli artisti transalpini in almeno
tre occasioni, due delle quali datate: nel 1472 quando ordina a Giovanni Simonetta di andare a trovare un todesco (ospite di Sforza Secondo, suo fratellastro)
che possiede una Maestate molto bella, per convincerlo a portargli di persona
questopera a Pavia; e nel 1475/6 quando accoglie il ginevrino Zohanni de Savii
depintore (probabilmente Hans Witz), dal quale ottiene unaltra Maest.73 Un documento recentemente scoperto e valorizzato da Carlo Cairati ci mostra poi un
Michele dAllamania, maestro dintaglio, intento a presentare una supplica al
duca per farsi pagare le spese di un viaggio alla volta di Roma: come opportunamente segnalato dallo studioso possibile che si tratti dello stesso tedesco del
1472, a maggior ragione visto che lartista afferma di avergli donato proprio una
Maest.74 Il documento non datato, ma non pu essere successivo al 1476 (anno
71.Ibidem, p.308, doc. 16.
72.Casciaro, Scultura lignea lombarda [n. 61], p.12.
73.Il duca lo accoglie solo momentaneamente, perch a ospitarlo in Lombardia Branda Castiglione minor (pronipote dellomonimo gi citato): lui che lha conosciuto a Ginevra durante un
viaggio diplomatico. Il nome riportato dai documenti probabilmente la traduzione etimologica del
tedesco Witz. Cfr. Evelyn Welch. Un artista di Ginevra nella casa di Branda Castiglioni, vescovo di
Como, Arte Lombarda, 70/71 (1984), 3/4, pp.156-158. Sulla controversa identificazione con Hans
Witz e sul Cristo di Chiaravalle si veda il contributo di Stefania Buganza nel presente volume.
74.Rimandiamo al suo contributo in questo volume anche per la bibliografia precedente sul
problema dei rapporti tra Pacher e la Lombardia.
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Marco Rossati
dellassassinio del duca): non sono molti i mecenati romani che in questi anni
sembrano essersi interessati alla scultura doltralpe e, anche per questo, verrebbe
spontaneo chiedersi se il viaggio romano dellartista non sia forse da mettere in
relazione con il Giubileo del 1475 (ad esempio, anche Van der Weyden aveva
visitato lUrbe per lo stesso motivo un quarto di secolo prima).
Infine, nel 1476, attestato a Genova un Michael de Alemania intaliator
figurarum, che Piero Donati propone di identificare con il Pacher.75
Che cosa possiamo concludere da questa serie di documenti? Se vero che non
ci nota alcuna traccia materiale di unattivit pacheriana a Milano, Pavia o Genova, anche certo che gli indizi attorno a questa possibilit sembrano diversi.76
A questo proposito bisogna in effetti riconoscere che, quando si scende al di
sotto di una certa quota, le testimonianze di scultura florida tedesca si fanno abbastanza rare: ovviamente molto deve essere andato perduto, ma resta comunque
limpressione che queste fiorenti botteghe del Tirolo o del Sud della Germania
siano riuscite ad esportare i loro manufatti soprattutto verso il resto del deutschsprachiger Raum, i paesi slavi e larco alpino, mentre abbiano riscosso meno successo nella Pianura Padana (oltre che ad ovest, verso la Francia). Se provassimo
a confrontare la situazione vista nel ducato di Milano con quella delle cosiddette
Venezie potremmo scorgere dei paralleli abbastanza significativi: ad esempio,
alla stessa latitudine di Canton Ticino, Valtellina e Valchiavenna troviamo nel
Nord Est Trento e Belluno; nella loro area (per quanto indipendente dal Tirolo,
italofona e non lontana da quel poderoso centro desportazione che fu Venezia)
il modello deutsch sembra in questo periodo quasi sempre prevalere su quello
welsch, o almeno tenergli testa, soprattutto per quanto riguarda la scultura.77 Man
75.Piero Donati, Per un atlante dellantica scultura lignea in Liguria, in La sacra selva
[n.60], pp.25-42: p.34.
76.Lunica eccezione, con cui ci possiamo in parte consolare evocando la sua lezione, la
pi tarda cappella di Lovere sul Lago dIseo, dipinta nel 1494 da un artista di chiara cultura tirolesepacheriana (fig. 8). Di recente stata proposta, dubitativamente, unidentificazione con Simone da
Tesido; cfr. Silvia Spada Pintarelli, Quattro- e Cinquecento e la sfortuna di chiamarsi Pacher, in
Domenicani a Bolzano, a cura di Silvia Spada Pintarelli, Bolzano 2010, pp. 192-211: pp. 201-205
77.Sulla contrapposizione welsch vs. deutsch si rimanda naturalmente a Baxandall, Scultori
in legno [n. 63], pp. 175-184, e al pi specifico e recente contributo di Thomas Weser, Knstlich
auf welsch und deutschen Sitten: Italianismus als Stilkriterium fr die deutsche Skulptur zwischen
1500 und 1550, in Deutschland und Italien in ihren wechselseitigen Beziehungen whrend der
Renaissance, atti del convegno (Wolfenbttel 1998), a cura di Bodo Guthmller, Wiesbaden 2000,
pp. 319-361. Sullidea di frontiera nella storia dellarte e sulle Alpi come crocevia si rimanda naturalmente agli imprescindibili studi di Enrico Castelnuovo: La cattedrale tascabile, Livorno 2000,
pp. 15-66; Lautunno del Medioevo nelle Alpi, in Il Gotico nelle Alpi [n. 40], pp. 16-33 (con
bibliografia precedente). Nello stesso catalogo risulta particolarmente utile per il nostro tema il saggio di Laura Cavazzini, Tra Fiandra, Francia e Valle Padana, pp. 186-199 (insieme alla sezione
Viaggi di opere, viaggi di artisti, pp. 555-581).
Sulla scultura lignea nellarco alpino si rimanda al gi citato La scultura lignea nellarco alpino
[n.39]; in particolare la situazione del Trentino e del Veneto settentrionale stata indagata approfonditamente nei volumi: Imago lignea. Sculture lignee nel Trentino dal XIII al XVI secolo, a cura di Enrico
Castelnuovo, Trento 1989; A nord di Venezia. Scultura e pittura nelle vallate dolomitiche tra Gotico e
149
mano che si scende a valle alla latitudine di Treviso, Vicenza e Verona i rapporti
invece si ribaltano e le presenze tedesche si fanno pi sporadiche, come del resto
succede anche al livello di citt quali Milano, Brescia o Bergamo.78
Rinascimento, catalogo della mostra (Belluno, Palazzo Crepadona 2004), a cura di Anna Maria Spiazzi,
Cinisello Balsamo 2004.
78.Naturalmente lo stesso discorso vale anche per la pittura. Questi sono i casi pi eclatanti
conservati nel nord Italia: lAnnunciazione di Santa Maria di Castello a Genova, firmata nel 1451
da Giusto di Ravensburg (insieme agli altri affreschi oltremontani dello stesso complesso); il Cristo
davanti a Pilato dellabbazia di Chiaravalle, probabilmente frutto del gi citato soggiorno milanese di
Hans Witz (vedi nota 73); la cappella di Lovere (1494, vedi nota 66). Si noti che in tutti e tre i casi si
tratta di affreschi: il loro stile prettamente nordico dimostra quindi la presenza di un maestro oltremontano in loco. Conosciamo anche alcuni pittori tedeschi/austriaci che, trasferitisi in Italia, si adeguano
al linguaggio locale, conservando ben poche tracce delle loro origini: si pensi a Giovanni dAlemagna
a Venezia (collaboratore e cognato di Antonio Vivarini) o Pietro Alamanno nelle Marche. appena il
caso di ricordare che tra fine Quattro e primo Cinquecento varcheranno le Alpi due grandissimi pittori
come Drer e Holbein, ma rispetto ai casi precedenti la loro esperienza italiana si porr soprattutto
come un viaggio di studio. Un discorso a parte, poi, meriterebbero le vetrate (vedi il contributo di
Stefania Buganza in questo volume). Invece, per quanto riguarda la scultura della seconda met del
XV secolo, a sud dellarco alpino vanno citati almeno questi casi di opere indiscutibilmente tedesche,
ancora conservate (un elenco di sicuro destinato a crescere): i crocifissi teutonici e i Vesperbilder,
la cui fortuna continuer soprattutto sul versante orientale della penisola (la linea patetica cui abbiamo gi accennato); la Madonna dei burattini di Bologna (San Giovanni Battista dei Celestini), ante
1452; lo Straburger Frari-Meister che nel 1468 lavora al coro della basilica veneziana, cui forse va
ricollegata anche la Madonna dellaltarolo ora al Wadsworth Atheneum di Hartford (Connecticut); lo
Johannes biomen theatonicus delubec (di Lubecca?) che nel 1476 firma lIncoronazione nella
lunetta di Santa Maria Maggiore a Caramanico (Pescara); le sculture di area napoletana raccolte attorno al Presepe proveniente da San Giovanni a Carbonara, terminato nel 1484 da Pietro e Giovanni
Alamanno (ora al Museo della Certosa di San Martino); il Corrado Teutonico, abitante di Cingoli, che
realizza la cornice e gli stalli della collegiata di Arcevia (1490); il portale del chiostro nellabbazia
di Santa Scolastica a Subiaco e le edicole a forma di Halbciborium ora nella chiesa di San Rocco a
Guardiagrele (entrambi di datazione incerta); scollinando nel nuovo secolo abbiamo la SantAnna
Metterza e il Crocifisso del Campo Santo Teutonico in Vaticano, e il celebre San Rocco di Veit Stoss
allAnnunziata di Firenze, ammirato da Vasari con il nome di Janni Franzese (cui forse va collegato
anche il Crocifisso di Ognissanti). Come gi osservato per lambito lombardo, anche nel resto dItalia
si incontrano soprattutto opere di scultura lignea, diversamente da quanto era successo nella prima met
del secolo. Sui crocifissi il riferimento pi ovvio Margrit Lisner, Deutsche Holzkruzifixe des 15. Jahrhunderts in Italien, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, 9 (1959/60 [1960]),
3/4, pp.159-206. Sulla diffusione del Vesperbild in Italia il saggio pi completo resta quello di Werner
Krte, Deutsche Vesperbilder in Italien, in Rmisches Jahrbuch fr Kunstgeschichte, 1 (1937), pp.
1-138. Il gruppo di opere collegabili al Frari-Meister discusso, insieme a molti altri casi, in Ulrich
Sding, Austria iam genuit qui sic opus edidit: Bildhauer und Bildschnitzer der Sptgotik als Wanderknstler in Italien, in Docta Manus. Studien zur italienischen Skulptur fr Joachim Poeschke, a
cura di Johannes Myssok, Jrgen Wiener, Mnster 2007. Pur essendo incentrato soprattutto sugli artisti tedeschi tardogotici, si tratta di uno dei pochi contributi che provano a raccogliere casi diversi e non
sempre vicini tra loro, per valutarli in una prospettiva geografica pi ampia. La splendida Madonna
dei burattini stata invece pubblicata da Massimo Ferretti, Dalla cartella Geografia della scultura lignea nel Quattrocento, in Conosco un ottimo storico dellarte. Per Enrico Castelnuovo.
Scritti di allievi e amici pisani, a cura di Maria Monica Donato, Pisa 2012, pp. 197-206. Su Stoss e
le sue opere collegate a Firenze il contributo pi recente Ingrid Ciulisov, Stoss, Callimachus and
Florence, Ars, 42 (2009), 1, pp. 34-46 (con bibliografia precedente). Per larea adriatica, tra Marche
ed Abruzzo, si veda Paolo Sanvito, Artisti transalpini itineranti nellarea adriatica: alcune questioni
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e San Giovanni la fisicit del corpo umano scompare dietro una cascata di panneggi
accartocciati e dorati, per riaffiorare solo nel calligrafico effetto dei boccoli del santo
o nei volti lacrimosi, corrucciati da una smorfia patetica.
molto probabile che il ritorno di Sisto Frei in una citt pi vicina alle sue origini non sia stato casuale. Per quanto in un contesto italofono, a Trento gli sarebbe
senza dubbio riuscito pi facile soddisfare i desideri della committenza: dato che
nella maggior parte delle opere darte locali risuonava un evidente accento tedesco, questo milieu risultava sicuramente pi congeniale alla sua formazione.
La maggioranza dei casi che abbiamo trattato sino ad ora riguarda artisti tedeschi, attivi soprattutto sullarco alpino o nel sud della Germania. Nella
seconda met del secolo, invece, vediamo farsi strada anche un altro modello
nordico, affine, ma assolutamente non identico al precedente: quello dei Paesi Bassi, che di certo non si limitarono a spedire solo arazzi, cio la tipologia
artistica di cui rimasero a lungo il principale produttore ed esportatore europeo.
Gi da qualche decennio limpressionante rivoluzione della pittura eyckiana
aveva progressivamente conquistato larghe porzioni dEuropa e lItalia non era
rimasta affatto ai margini di questo processo; anzi, i mecenati delle nostre corti si erano rivelati tra i migliori clienti dei grandi maestri attivi tra Bruges e
Bruxelles.82 A livello di committenza ducale innegabile che una simile fascinazione per lars nova abbia attraversato anche Milano: sono celebri le lettere
con cui Bianca Maria Visconti raccomanda a Van der Weyden il suo pittore di
corte Zanetto Bugatto, trasferitosi a Bruxelles dal 1460 al 1463 per una sorta
di soggiorno di studio.83 Inoltre possediamo menzioni di pitture fiamminghe
suoi capolavori, il nostro scultore abbia ripreso e portato al parossismo una tradizione schiettamente
tedesca, che con il tempo aveva assunto forme sempre pi miti: non sono tantissimi i casi in cui
entrambe le punte sporgono in una maniera cos pronunciata come a Trento, e se guardiamo ai crocifissi di Johannes Teutonicus, noteremo che i piedi si sovrappongono in modo molto pi composto,
e si conferisce raramente alle dita quellimpressione cos ossuta ed urtante.
82.Per un inquadramento generale sulla fortuna della pittura fiamminga nelle varie corti della
penisola ancora utile il volume di Liana Castelfranchi Vegas, Italia e Fiandra nella pittura del
Quattrocento, Milano 1983. Un catalogo delle attuali sopravvivenze offerto da Licia Collobi
Ragghianti, Dipinti fiamminghi in Italia 1420-1570, Bologna 1990. Per studi pi aggiornati si deve
guardare alla bibliografia dei singoli contesti regionali; ci limitiamo a segnalare per Firenze: Firenze e gli antichi Paesi Bassi. 1430-1530, catalogo della mostra (Firenze, Palazzo Pitti 2008), a
cura di Bert Meijer, Livorno 2008; e per il Veneto: Maddalena Bellavitis, Telle depente forestiere.
Quadri nordici nel Veneto, Padova 2010 (entrambi con bibliografia precedente).
83.Pi precisamente si conoscono due lettere della duchessa Bianca Maria, la prima rivolta
al duca Filippo (1460) e la seconda direttamente a Van der Weyden, come ringraziamento (1463).
Il testo originale stato pubblicato, insieme ad altre lettere che dimostrano laffezione nutrita per
Zanetto dai suoi signori, in Francesco Malaguzzi Valeri, Pittori lombardi del 400, Milano 1902,
pp. 126-127. Sappiamo anche dellesistenza di altre tre lettere di raccomandazione inviate al delfino
di Francia, al duca di Borgogna e al duca di Clves da Sforza Secondo Sforza (figlio illegittimo
del duca Francesco): di queste non possediamo il testo, ma lo stesso mittente a citarle in unaltra
lettera scritta al padre per discolparsi dallaccusa di tradimento (1461). Cfr. Maria Grazia Albertini
Ottolenghi, Zanetto Bugatto nel 1461 e Sforza Secondo Sforza, in Itinerari darte in Lombardia
dal XIII al XX secolo. Scritti offerti a Maria Teresa Binaghi Olivari, a cura di Matteo Ceriana,
Fernando Mazzocca, Milano 1998, pp. 67-71. Per la bibliografia relativa a Zanetto Bugatto si veda
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nelle descrizioni di chiese e collezioni milanesi84 ed esistono alcune opere, probabilmente lombarde, che riecheggiano modelli dellars nova (una di queste
la trascrizione a colori della grisaille sinistra che chiude il trittico realizzato
dalla bottega di Van der Weyden per gli Sforza di Pesaro).85 Ciononostante resta
comunque la sensazione che larrivo di pittura fiamminga a Milano sia stato
pi elitario e meno massiccio che in altre citt della penisola, quali ad esempio
Firenze (a meno di non pensare che in Lombardia la sfortuna si sia accanita su
queste opere con maggior successo che altrove).86
Se malauguratamente non si conserva alcun (ipotetico) Trittico Portinari in
Lombardia, possiamo dirci un po pi fortunati per quanto riguarda la scultura.
Nel Quattrocento e soprattutto a inizio Cinquecento Bruxelles, Malines e Anversa
vedono un boom dellintaglio in legno: un po come era avvenuto per gli arazzi, i
fastosissimi altari gotici brabantini ottengono tanto successo da diventare presto
un tipico prodotto da esportazione. Molto spesso essi sono pi piccoli della media
di quelli tedeschi, e anche molto pi seriali (non per niente conosciamo ben di
rado i nomi degli artisti, e il pi delle volte la critica abdica al tentativo di raccoglierli per corpora sotto nomi convenzionali); ma quel che pi conta che questi
polittici sono molto pi facili da modulare, perch suddivisi in tanti pannelli
pi piccoli, quasi sempre sovraccarichi di figurine molto minute, e quasi mai
composti da sculture di grandi dimensioni, come succede invece nelle opere dei
loro concorrenti pi meridionali. Proprio per queste ragioni vengono talvolta lavorati on spec87 e acquistati da mercanti o venduti in occasione delle fiere, per poi
essere esportati un po in tutta Europa, senza obbligare lintagliatore brabantino a
seguire la propria opera fino a destinazione (mentre, per la ragione opposta, artisti
e altari tedeschi sembrano spostarsi pi difficilmente oltre una certa distanza).88
il contributo di Federico Cavalieri nel presente volume. Lutilizzo dellespressione ars nova per
definire la pittura fiamminga del XV secolo risale a Erwin Panofksy, Early Netherlandish Painting:
Its Origins and Character, Cambridge (Mass.) 1953.
84.Ad esempio vedi Rossana Sacchi, Il disegno incompiuto. La politica artistica di Francesco II Sforza, 2 voll., Milano 2005, I, p.314. Una serie di altri casi raccolta da Carlo Cairati nel
presente volume.
85. il San Girolamo dellAccademia Carrara, presente nella collezione Lochis a Bergamo
dal 1850 circa (non per sicura lorigine del pittore e tantomeno la presenza dellopera ab antiquo
in area lombarda). Il Trittico Sforza della bottega di Van der Weyden invece tornato nella sua terra
di origine: si trova infatti a Bruxelles, MRBA. Per un altro caso di possibile presenza weydeniana
in Lombardia vedi Federico Zeri, La probabile origine lombarda di un dipinto della cerchia di Van
der Weyden, Paragone, XXXVII, 435 (maggio 1986), pp.13-16.
86.Non siamo naturalmente i primi a notare che poco numerose sono le presenze documentate ab
antiquo di opere fiamminghe nel capoluogo lombardo. Albertini Ottolenghi, Zanetto Bugatto [n.83],
p.70. Anche leco dei modelli ponentini sulla pittura locale sembra essere meno precoce e folgorante che
altrove, e non si pu non riconoscere che questa ricaduta si presenti quasi sempre in forme meno dirette,
spesso visibilmente filtrata attraverso la mediazione via Pavia di Genova e dellarte ligure.
87.Quindi senza avere la garanzia di un committente, ma confidando di riuscire comunque a
venderli, dato il loro duraturo successo sul mercato.
88.Sulla commercializzazione ed esportazione degli altari brabantini e sul sistema delle fiere
(dette panden) vedi Lynn Jacobs, Early Netherlandish carved altarpieces (1380-1550), Medieval
Tastes and Mass Marketing, Cambridge 1998, pp.192-208 e Roland Op de Beeck, Aspects co-
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In Italia questo tipo di opere sembra conoscere un certo successo quasi esclusivamente nel Nord-Ovest: tra Liguria e Piemonte si trovavano almeno quattro
esemplari (ancora esistenti), tutti di grande qualit.89 Per quanto riguarda lattuale
Lombardia si conservano invece due pale importanti: quella di San Nazaro in
Brolo a Milano (originariamente in un sacello della vecchia chiesa di Santa Caterina) e quella proveniente dalla parrocchiale di San Giorgio ad Annone Brianza,
ora al Museo Diocesano di Milano.
La prima (fig. 12; tav. VIII) va collegata al lascito testamentario di Protasio
Bonsignori Busti, un mercante milanese attivo soprattutto in Germania, particolarmente bibliofilo e sensibile al mondo dellarte: come ci informa una lapide non
lontana dallaltare questi mor nel 1510. Si tratta di unopera straordinaria sotto
molti punti di vista, ma nonostante questo stata trascurata dalla critica italiana
per quasi un secolo: in assenza di uno studio specifico si sedimentata lopinione
(risalente a fine 800) che si trattasse di una realizzazione tedesca, se non addirittura tirolese.90 Si dovuto aspettare il convegno ginevrino del 2013 perch lopera
venisse riportata allattenzione degli studiosi, e perch Carlo Cairati, acutamente,
proponesse un giusto confronto con lepitaffio Croy, realizzato in Brabante nel
II decennio del secolo (Schatzkammer del duomo di Colonia).91 Per motivi di
spazio preferiamo destinare ad unaltra sede la discussione di questopera e delle sue numerose peculiarit, molto rilevanti dal punto di vista della morfologia,
delle dimensioni, dello stile e della cronologia. Sono tutti elementi che rendono
questo altare particolarmente eccezionale e prezioso per la storia della scultura
nei Paesi Bassi; forse sono anche gli stessi che hanno ostacolato per lungo tempo
nomiques de la production des retables du gothique tardif, in Marjan Buyle, Christine Vanthillo,
Retables flamands et brabanons dans les monuments belges, Bruxelles 2000, pp.63-78.
89.Polittico Villa-Solaro per San Domenico a Chieri (ca. 1470, ora Bruxelles, MRAH);
polittico Pensa di Mondov (inizi XVI, ora Bruxelles, Muse de la Ville de Bruxelles); Testana
dAvegno, chiesa di Santa Caterina (1515-1520 ca.); polittico di Giovanni Ludovico di Saluzzo per
labbazia di Staffarda (ca. 1530, ora Torino, Museo Civico), che lunico realizzato ad Anversa, e
non a Bruxelles. Forse era pi difficile conquistare il mercato del versante adriatico, visto che era
gi dominato dalla produzione/esportazione di altari alla veneta? Sui primi due casi si vedano le
schede di Ria De Boodt, in Miroirs du sacr. Les retables sculpts Bruxelles XVe - XVIe sicles, a
cura di Brigitte DHainaut-Zveny, Bruxelles 2005, pp. 165-9, che rimane il catalogo scientifico pi
completo sui polittici di Bruxelles, conservati sia in Belgio che allestero (da integrare con Ria De
Boodt, Ulrich Schfer, Vlaamse retabels. Een internationale reis langs laatmiddeleeuws beeldsnij
werk, Leuven 2007). Su quello di Testana si veda la scheda di Gianluca Zanelli in La sacra selva
[n.60], pp. 222-225. Per quello di Staffarda si legga la scheda di Guido Gentile, Gotico sulle vie di
Francia. Opere dal Museo Civico di Torino, catalogo della mostra (Siena, Santa Maria della Scala
2002), a cura di Enrica Pagella, Siena 2002, pp. 154-5. Lopera curiosamente ignota agli studi pi
specifici sui polittici dAnversa: per questi si vedano i due volumi Antwerpse retabels. 15de -16de
eeuw, catalogo della mostra (Anversa, Cattedrale 1993), a cura di Hans Nieuwdorp, Antwerpen
1993 (il primo volume, Catalogue, esiste anche in francese; il secondo, Essays, solo trilingue).
90.Giuseppe Mongeri, Larte in Milano, Milano 1872, p.258.
91.La sua ipotesi stata prontamente presentata gi in sede di convegno: allepoca non ci
era ancora stato possibile studiare lopera, n direttamente, n su buone riproduzioni; ora, invece,
possiamo affermare di condividere in pieno questidea. Per i dettagli della sua proposta (e per la
bibliografia relativa) si veda il contributo da lui scritto in questo volume.
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spese del suo nuovo signore era un ottimo modo per sfuggire alle guerre che
funestavano il suo paese ( lo stesso committente a raccontarci ex post i dettagli della storia, non senza lamentarsi dei fastidi che questa ospitalit gli ha
poi causato). davvero un caso particolarmente prezioso, perch lunico in
cui sappiamo precisamente come il mecenate italiano ha conosciuto lo scultore
nordico, e contemporaneamente veniamo anche a sapere come questultimo
ha preso la strada della Lombardia.
Sulla provenienza del tedesco documentato nel 1472 (probabilmente identico
a Michele dAllamania, e forse da identificare con Michael Pacher) non sappiamo
quasi nulla, ma la prima volta che lo incontriamo gi ospite di Sforza Secondo
Sforza, un mecenate che aveva intrecciato rapporti diplomatici con mezza Europa.100
A questo proposito ci pare comunque giusto sottolineare che i documenti noti non
hanno ancora mai restituito nitidamente limmagine di uno scultore oltremontano
che varca le Alpi su raccomandazione di una corte straniera: resta comunque possibile che questa dinamica, in effetti pi frequente tra gli stati italiani, venga provata
da nuove scoperte darchivio. Viceversa ben nota la vicenda, speculare, del pluriraccomandato Zanetto Bugatto: il suo soggiorno nei Paesi Bassi venne appoggiato
da almeno cinque lettere (due della duchessa Bianca Maria e tre di Sforza Secondo).
vero, per, che la sua esperienza sembra pi che altro una lunga vacanza-studio,
ed quindi ben diversa da quella degli artisti che si spostano per essere assunti da un
nuovo signore (spesso partiti con la speranza di elevare il proprio status).101
Sul confine orientale e su quello meridionale il ducato sembra abbastanza permeabile allarrivo (con o senza raccomandazione) di artisti forestieri, soprattutto
quando si dimostrano particolarmente talentuosi: Filarete, Bramante, Leonardo si
trasferiscono tutti a Milano (o in Lombardia) per un periodo pi o meno lungo, e
si portano dietro la loro cultura. Inoltre fuor di dubbio che il ducato vive un rapporto osmotico con le province pi occidentali della Repubblica Veneta: molti dei
pi grandi artisti milanesi di questepoca sono nati a Bergamo o Brescia, ma nel
100.Albertini Ottolenghi, Zanetto Bugatto [n.83], p.68.
101.Per un futuro studio sui Wanderknstler di questepoca sarebbe in effetti utile raccogliere e
confrontare i numerosi casi di raccomandazioni e lettere di presentazione, noti in contesti anche
molto distanti tra loro e scritti con intenzioni diverse. Tra i molti possibili ricordiamo: lo Johannes Enrici de Alamania, scultore specializzato in crocifissi, raccomandato nel 1453 dalla Signoria di Firenze
al cardinal Colonna; la lettera di Leonardo a Ludovico il Moro (generalmente datata 1482-1483); la
lettera di Jacopo de Barbari a Federico il Saggio di Sassonia (1501); o ancora Alonso Berruguete a Firenze raccomandato da Michelangelo (1508). Per Johannes Henrici (e per una proposta didentificazione con Johannes Teutonicus) si veda Donati, Per un atlante [n. 75], p. 33. La lettera a Ludovico il
Moro si pu leggere in Leonardo da Vinci, Scritti letterari, a cura di Augusto Marinoni, 2 voll., Milano
1952, I, pp. 198-201. La lettera a Federico il Saggio si trova in Simone Ferrari, Jacopo de Barbari. Un
protagonista del Rinascimento tra Venezia e Drer, Milano 2006, pp.175-176. La lettera con la quale
Michelangelo, da Roma, raccomanda a suo fratello di lasciar accedere lo spagnolo al cartone della
Battaglia di Cascina, discussa in Tommaso Mozzati, Alonso Berruguete in Italia: nuovi itinerari,
in Norma e capriccio. Spagnoli in Italia agli esordi della maniera moderna, catalogo della mostra
(Firenze, Galleria degli Uffizi 2013), a cura di Antonio Natali, Firenze 2013, pp. 16-47: p.17. Per
una storia (e una storiogafia) degli artisti in viaggio si pu vedere ora la pubblicazione della tesi di
dottorato di Claudia Caesar, Der Wanderknstler. Ein kunsthistorischer Mythos, Berlin 2012.
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103.Possiamo qui solo accennare a un tema importante che speriamo di trattare in altra sede,
e cio la ricaduta sulla scultura lombarda di queste presenze forestiere (e pi in generale dei modelli
oltremontani, soprattutto quelli in pittura o incisione): forse pi verisimile spiegare in questo modo
laccento particolarmente nordico di quattro tavolette brianzole, gi pubblicate con la proposta di
unorigine fiamminga da Sergio Gatti, Unipotesi sullancona lignea fiamminga gi nella chiesa
di San Vittore a Seregno, Arte lombarda, 92/9 (1990), 1/2, pp. 91-94. Dal punto di vista tipologico
e stilistico queste si confrontano difficilmente con levoluzione della scultura nei Paesi Bassi di
Quattro e Cinquecento; in ogni caso resta aperta la questione dellidentit (artistica e geografica)
del loro artefice. Il documento scoperto dallo studioso resta comunque interessante per il nostro discorso: prova infatti che almeno dal 1568 la chiesa di San Vittore a Seregno ospitava una Icona
aurata cum sculptis figuris auratis, acquistata altrove presso alcuni uomini che lavevano portata
dalle Fiandre (come recita il testo della relazione). Non facilissimo immaginare la morfologia di
questopera, che curiosamente si trovava sovrapposta ad una Iconam ex lateribus et calce cum
imgine Crucifixi: probabilmente una pala costruita in muratura e affrescata, simile a quella che
si vede ancoroggi nella pieve di Vespolate (come mi suggerisce Orso Piavento). Non credo siano
noti altri casi in cui una scultura fiamminga stata posizionata in un punto del genere. In ogni caso
non sembra davvero necessario collegare questa descrizione alle quattro tavolette superstiti, la cui
collocazione originaria resta dubbia.
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1. Anonimo nederlandese, Scene della storia di San Giorgio, ca 1520 (?), legno di bosso, h 34 cm.
Londra, Victoria & Albert Museum (inv. A.41-1954).
2. Anonimo nederlandese, Betnuss con miniature della Nativit e della Crocifissione (e altri scene),
1500-1510 (?), legno di bosso, 5,2 cm. New York, Metropolitan Museum of Art (inv. 17.190.475).
3. Anonimo nederlandese, Microaltare con Crocifissione (e altre scene), 1511, legno di bosso, h 25,1
cm. Londra, British Museum (inv. WB.232).
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4. Maestro dellaltare di Rimini, Altare dellUmilt (Sculture), 1440-50, alabastro. Isola Bella
(Stresa), Palazzo Borromeo (dalla chiesa di Santa Maria Podone a Milano). Per la datazione della
struttura lignea vedere il testo.
5. Johannes Teutonicus, Crocifisso, 1449-50, legno di melo. Sal, duomo.
6. Johannes Teutonicus, Crocifisso (particolare), 1449-50, legno di melo. Sal, duomo.
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7. Ivo Strigel, Ancona, firmata e datata 1449. Santa Croce di Piuro (Sondrio), chiesa della Santa
Croce.
8. Pittore tirolese di cultura pacheriana, Incoronazione della Vergine, datata 1494, affresco. Lovere
(Bergamo), cappella di S. Pietro.
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9. Sisto Frei, Ritratto equestre di Bartolomeo Colleoni, 1498-1500, legno dorato. Bergamo, cappella
Colleoni. Il monumento funebre di Giovanni Antonio Amadeo (1472-1476).
10. Sisto Frei (attr.), Crocifissione con Maria e San Giovanni evangelista: particolare del Cristo,
I-II decennio del XVI secolo, legno di salice. Trento, Cattedrale di San Vigilio.
11. Sisto Frei (attr.), Gruppo della Crocifissione: Maria e San Giovanni evangelista, I-II decennio
del XVI secolo, legno di pioppo. Trento, Cattedrale di San Vigilio.
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12. Ambito del Maestro di Lombeek, Adorazione dei Magi, sicuramente commissionata entro il
1510. Milano, Basilica di San Nazaro in Brolo.
13. Maestro di Lombeek, Polittico con storie della Vergine, 1515-30. Onze-Lieve-Vrouw-Lombeek
presso Roosdaal (Belgio), Onze-Lieve-Vrouwekerk.
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14. Bottega anversese, Ancona della Passione, circa 1560. Milano, Museo Diocesano (dalla chiesa
di San Giorgio ad Annone Brianza).