Sei sulla pagina 1di 38

Marco Rossati

Sculture oltremontane nella Lombardia del Quattro


e Cinquecento: presenze, scambi, importazioni*

Dal 1410 non c pi nessuno scultore tedesco nella Fabbrica del Duomo. Da quel momento si era costituita una maestranza disciplinata e prettamente italiana. Di maestri oltremontani non c pi bisogno. Ora attendono alle sculture del Duomo artisti di fama:
accanto ai pochi veneziani, Matteo de Raverti, Antonio Briosco e il grande Jacopino da
Tradate. Da questo momento anche nella scultura il Duomo parla la sua lingua.1

Cos Herbert Siebenhner concludeva nel 1945 il testo de Il Duomo di Milano e gli artisti tedeschi, trascrizione di una conferenza ispirata al pi corposo
saggio Deutsche Knstler am Mailnder Dom, da lui stesso pubblicato un anno
prima a Monaco.
Senza dubbio lo storico dellarte lipsiano coglieva con questa affermazione
una verit importante nella storia dei rapporti artistici tra Lombardia e Germania:
il momento di maggior intensit di questi rapporti si era in effetti registrato nel
cantiere del duomo prima del 1410.
Nel suo studio lautore si era giustamente soffermato a sottolineare limportanza e il prestigio degli architetti doltralpe, chiamati appositamente a intervenire
nella controversa vicenda della fabbrica del duomo. Molto pi sbrigativo era invece
il suo giudizio sugli scultori, ai quali decideva di riservare solo poche pagine in
chiusura: a parte un paio di eccezioni questi sono per lui in massima parte artisti
mediocri di passaggio, attratti dal miraggio di guadagnarsi la vita. In particolare
Walter Monich, scultore monacense attivo a Milano nel primo decennio del Quattrocento, ispira allo storico dellarte quasi un moto di compassione: la sua esperienza gli sembra incarnare in qualche modo il destino (inglorioso) di molti suoi
colleghi scesi da oltralpe. Anche se viene ripetutamente indicato nei documenti
come bonus et optimus magister, egli in realt una figura mediocre:
Questa incoerenza illumina il problema degli scultori germanici alla decorazione del
Duomo milanese in genere: essi non sono molto sicuri di s, non sono personalit ar-

* Ringrazio per la lettura, le critiche e i consigli: Giovanni Agosti, Roberto Cara, Marco Collare-

ta, Massimo Ferretti, Mauro Natale, Orso Piavento, Alessandro Pisoni, Stefano Rinaldi, Daniele
Rivoletti, Giovanni Santucci, Mauro Spina, Michele Tomasi, Luca Tosi, Patrizia Zambrano. La
responsabilit di quanto pubblicato resta integralmente mia.
1.Herbert Siebenhner, Il Duomo di Milano e gli artisti tedeschi, Milano 1945, p.23.

130

Marco Rossati

tistiche come gli architetti oltremontani, ma artigiani; sono pi scalpellini intagliatori che scultori, di cui si stima labilit manuale pi che le loro possibilit artistiche.2

Secondo Siebenhner il fatto che il suo stile ipergotico e in certi casi anche la
sua firma siano stati rinvenuti a Orvieto, Sulmona e lAquila, non prova che lartista abbia goduto ripetutamente di un certo successo, ma piuttosto il contrario:
Lartista recita un vocabolario stilistico gi da tempo fuori uso. A lui, sperduto negli
Abruzzi, manca ogni contatto con le forze creative di artisti tedeschi o italiani. Quante volte sar stato questo il destino degli scalpellini germanici in Italia!3

Alcune affermazioni di Siebenhner partivano dalla lettura dei documenti,


ma non possiamo negare che oggi, passato pi di mezzo secolo, il suo giudizio ci
appaia quantomeno eccessivamente severo.
Possiamo concedere che alcune sue opere, come ad esempio la tomba Caldora a Sulmona, appaiono un po ispide e sgrammaticate nellesecuzione, ma
il temperamento immaginoso di Monich e le sue continue trovate ad effetto
non possono non ispirarci una certa simpatia.4 Sarebbe senza dubbio sbagliato
non scorgere alcuna dignit artistica nella sua produzione, e a maggior ragione ci
sembra giusto riconoscere limportanza degli altri scultori stranieri attivi a Milano nello stesso decennio, o in quello precedente.
Tra il 1387 e il 1393 conosciamo il nome di un altro tedesco, Hans von Fernach, sicuramente autore dellimponente sovrapporta della sagrestia meridionale;
anche lui, come Monich, lascia la citt viscontea dopo alcuni anni per ritrovarsi
in un altro grande cantiere, quello di San Petronio a Bologna (e forse non un
caso che, ancora un paio di decenni pi tardi, il primitivo progetto di Jacopo della
Quercia per il portale della basilica prevedesse una soluzione che richiama in
maniera suggestiva quella messa in opera da Hans von Fernach a Milano).5
Contorni pi sfumati presenta invece la figura di Roland de Banille, definito
nella contabilit regiminis domini regis Franzie:6 per via documentaria ricono2.Ibidem, p.21.
3.Ibidem, p.22.
4.Abbiamo qui preso in prestito lefficace descrizione tratteggiata da Laura Cavazzini nel libro
pi recente e utile per ricostruire la storia della scultura lombarda in questo periodo: Il crepuscolo della
scultura medievale in Lombardia, Firenze 2004, p.51. Sui tedeschi in Abruzzo si veda Daniele Benati,
Presenze tedesche allAquila da Gualtieri dAlemagna a Giovanni Teutonico, in L Abruzzo in et
angioina, atti del convegno (Chieti 2004), a cura di Daniele Benati, Alessandro Tomei, Cinisello Balsamo 2005, pp. 309-319. Lidentificazione tra il Gualtieri Alemanno attivo a Sulmona e il Walter Monich
documentato a Milano generalmente accettata dalla critica, con leccezione di Valentino Pace, Il
sepolcro Caldora nella Badia Morronese presso Sulmona: una testimonianza delle presenze tedesche in
Italia nel primo Quattrocento, in Skulptur und Grabmal des Sptmittelalters in Rom und Italien, atti del
convegno (Roma 1985), a cura di Jrg Garms, Angiola Maria Romanini, Wien 1985, pp. 413-422.
5.Ibidem, p.34, nota 50. Come nota lautrice Jacopo potrebbe aver ammirato [il sovrapporta
di Hans von Fernach] quando nel 1425, si rec nella citt viscontea per procacciare il marmo necessario allimpresa bolognese. Alla bibliografia sul cantiere del duomo raccolta dallautrice va
aggiunta anche la pubblicazione della tesi di dottorato di Paolo Sanvito, Il tardogotico del duomo di
Milano. Architettura e decorazione intorno allanno 1400, Mnster 2002.
6.Ugo Nebbia, La scultura nel Duomo di Milano, Milano 1908, p.40.

Sculture oltremontane nella Lombardia del Quattro e Cinquecento

131

sciamo in lui lautore di una SantAgata posta su uno dei finestroni del transetto,
ma anche molto suggestiva lipotesi che vede una sua firma nel monogramma r
inciso sulla spada di una Santa Pelagia, collocata in posizione speculare allaltra
scultura.7 Egualmente considerate opere francesi sono le sculture che decorano
la guglia Carelli: sia gli angeli dalle lunghe ali possenti, chiaramente imparentati
con quelli sulla sommit del pilone XVII allinterno del duomo (tutti attribuiti
dalla Cavazzini allo stesso Roland de Banille);8 sia le statuette di profeti, che
a detta del Toesca, ricordano, per la loro intensa espressione, quelle di Claus
Sluter nel Pozzo di Mos.9
Senza dubbio vero che il momento pi internazionale del duomo di Milano
stato proprio questo, cio il periodo che va dalla dominazione di Gian Galeazzo
Visconti (un duca particolarmente esterofilo) al decennio immediatamente successivo alla sua morte nel 1402. In questo periodo il processo di acculturazione
tra maestranze di diversa origine stato talmente forte che gli storici dellarte
hanno incontrato pi di una difficolt quando hanno cercato di divinare la nazionalit di ogni autore solo sulla base dello stile.10 Ci detto, va in ogni caso
riconosciuto che la fortuna della scultura transalpina in Lombardia durata ben
pi a lungo di quel limitato momento storico: se vero che per quanto riguarda
lOpera del duomo i documenti non attestano pi la presenza di scultori tedeschi,
abbiamo in ogni caso la certezza che nel resto della citt i modelli nordeuropei
hanno continuato ad essere largamente imitati ed apprezzati.
Nel II e III decennio uno scultore lombardo come Jacopino da Tradate non si
dimostra certo insensibile al fascino dei panneggi ipergotici cari ai suoi colleghi
transalpini: lo dimostrano lunica sua scultura sicuramente documentata (il Martino
V benedicente nel duomo), e ancor di pi la Madonna del Castello Sforzesco, di
incerta provenienza ma a lui attribuita sulla base dellopera precedente.11 Ancor pi
significativa la presenza nel Tesoro di SantAmbrogio di una serie di cinque Pleurants incappucciati che si ispirano inequivocabilmente a un modello ampiamente
diffuso nel nord Europa, soprattutto a partire dalla tomba del duca Filippo lArdito
a Champmol: per quanto ne sappiamo si tratta dellunico esempio italiano di questa
tipologia iconografica. La storiografia non concorde sulla provenienza dellopera, n sullidentit dellartista: segnalati sin dal Toesca come monumenti dellarte
borgognona in Milano,12 sono oggi discussi dalla critica come opera di un lombar7.Si tratterebbe quindi di una sigla curiosamente allusiva alle consuetudini degli armaioli, che
cos si firmavano. Cfr. Cavazzini, Il crepuscolo [n.4], p.40.
8.Ibidem, p.42, n.13.
9.Pietro Toesca, La pittura e la miniatura nella Lombardia dai pi antichi monumenti alla
met del Quattrocento, [Milano 1912], Torino 1966, p.183, nota 2.
10.Una prova ne sono le schede del catalogo del Museo del duomo (e di molte altre pubblicazioni) dove una cautela piuttosto comprensibile ha spinto gli autori a non lesinare i punti
interrogativi e ad usare espressioni molto generiche come scultore franco-tedesco. Vedi Rossana
Bossaglia, Mia Cinotti, Tesoro e Museo del Duomo, 2 voll., Milano 1978.
11.Su Jacopino si veda il profilo delineato in Cavazzini, Il crepuscolo [n. 4], pp. 55-102.
12.Toesca, La pittura [n.9], p.183, nota 2.

132

Marco Rossati

do suggestionato dalla scultura oltremontana.13 Le analisi condotte per il restauro


del 2006 hanno indicato come luogo di origine della pietra una cava del nord Italia
(probabilmente Candoglia):14 questo permette di escludere che si tratti di unopera
di importazione, ma non dice nulla di definitivo circa lidentit dello scultore.
Oltre ai pagamenti conservati in archivio e alle opere superstiti, disponiamo di
un ulteriore tipo di documento che testimonia la persistente fortuna della scultura
nordeuropea in Lombardia: una lettera/trattatello (aepistolam [sic] seu volumen,
secondo le parole dellautore)15 scritta nel 1432 da Francesco Piccolpasso, allepoca
vescovo di Pavia, ma anche importante umanista e collezionista di manoscritti.16
Nella sua Epistola de architectura sacrae aedis Castelleonis lautore si rivolge al
cardinale Juan de Cervantes per raccontargli di essere stato a Milano per lincoronazione dellimperatore Sigismondo e di avervi incontrato il loro comune amico,
il cardinal Branda Castiglione. Ospitato da questultimo ha cos avuto modo di
apprezzare le straordinarie bellezze commissionate dal cardinale per abbellire la
sua residenza in Valle Olona;17 descrive quindi ammirato la lunetta che ancor oggi
sovrasta lingresso della collegiata di Castiglione, ma soprattutto ci testimonia la
presenza di alcune opere di cui non ci rimangono altre testimonianze: il chiostro, le
campane fuse in Inghilterra (in arrivo dal porto di Venezia), due arazzi fiamminghi
nelle navate laterali, i bassorilievi (anaglypha) che circondavano laltar maggiore.
Cita inoltre varie candelabra e lampades, ma non ne descrive nessuna nel dettaglio:
non possiamo quindi sapere se era gi presente lo splendido lampadario bronzeo
che ancor oggi pende presso laltar maggiore;18 si tratta di unopera di provenienza
13.Per Rovetta sono opera di uno scultore lombardo suggestionato dalla cultura borgognona
e potrebbero provenire dal monumento funerario di Manfredo Della Croce; Alessandro Rovetta,
Memorie e monumenti funebri in S. Ambrogio tra Medioevo e Rinascimento, in La basilica di S.
Ambrogio: il tempio ininterrotto, a cura di Maria Luisa Gatti Perer, 2 voll., Milano 1995, I, pp.269309: p.285. Per la Cavazzini, invece, le statuette si sarebbero trovate (a mo di pseudo-telamoni) al
di sotto di una tomba proveniente dalla basilica di SantAmbrogio e oggi sullo scalone di accesso
allArchivio, quella di Alchirolo e Giacomo Della Croce; lautore di tutto il complesso sarebbe per
lei da identificare in Jacopino da Tradate; Cavazzini, Il crepuscolo [n.4], pp.75-82.
14.Il rapporto di restauro stato pubblicato sul sito dello Studio Restauri Formica.
15.Pubblicato in Tino Foffano, La costruzione di Castiglione Olona in un opuscolo inedito
di Francesco Pizolpasso, Italia medioevale e umanistica, 3 (1960), pp.153-187: p.173.
16.Amico di Enea Silvio Piccolomini e Cusano, don la sua ricca collezione al capitolo della
cattedrale di Milano: ancor oggi questa conservata nella Biblioteca Ambrosiana, dove conflu
nel XVII secolo. Sul Piccolpasso (o Pizolpasso) bibliofilo si veda Angelo Paredi, La biblioteca del
Pizolpasso, Milano 1961.
17.Il pi recente volume di studi sul complesso di Castiglione Olona Lo specchio di Castiglione
Olona, a cura di Angelo Bertoni, Varese 2009 (incentrato soprattutto sul palazzo, ma non limitato a
questo). Ancora importanti restano Eugenio Cazzani, Castiglione Olona nella storia e nellarte, Milano
1966; Carol Pulin, Early Renaissance Sculpture and Architecture at Castiglione Olona in Northern Italy
and the Patronage of a Humanist, Cardinal Branda Castiglione, diss., Ann Arbor 1984; e Enrico Cattaneo, Gian Alberto DellAcqua, Immagini di Castiglione, Milano 1986 (che per alcuni aspetti resta la migliore documentazione fotografica esistente). Incentrato sullattivit di Masolino per il cardinale Carlo
Bertelli, Masolino. Gli affreschi del Battistero e della Collegiata a Castiglione Olona, Milano 1998.
18.Le migliori riproduzioni restano quelle di Cattaneo, DellAcqua, Immagini di Castiglione
[n. 17], pp. 78-79. Non mi sono noti articoli scientifici su questopera (che sembrerebbe essere

Sculture oltremontane nella Lombardia del Quattro e Cinquecento

133

sicuramente transalpina, che andrebbe ulteriormente studiata da uno specialista


della materia. Ad attirare, invece, la sua attenzione un altro oggetto di origine nordica, al quale dedica un numero di righe maggiore della media. Questo
descritto in un unico periodo, molto lungo e retoricamente ispirato, denso di superlativi ed incisi. Lo riportiamo qui in una traduzione abbastanza letterale (cosa
che, purtroppo, non ne alleggerisce la lettura):19
Infatti in mezzo allaltare si trova appoggiato, come una perla preziosa e nobile, un
oggetto che ha grosso modo la forma di un monticello vermiglio scuro, composto
di una sostanza minerale, lavorato con lintaglio finissimo e meraviglioso della gloriosissima Nativit e piissima Passione di nostro Signore Ges Cristo in Germania
(cio nel paese pi potente del mondo, che primeggia fra gli altri per la nascita di
scultori straordinari); un oggetto tanto pi straordinario quanto pi piccolo20 lo
spazio nel quale racchiusa la rappresentazione di qualcosa cos grande21 con figure
minutissime e bellissime. Vicino alla sua sommit questopera contiene al suo interno [o sorregge] la statuina di un crocifisso doro, coerente con il resto per proporzione e bellezza; mentre, in questo caso separatamente, ve ne anche unaltra22 pi
grande ed in argento, che pende al centro poco pi in alto [corsivi miei].

Si tratta di un documento prezioso sotto molti punti di vista. Innanzitutto


molto suggestivo sapere che un bolognese residente nella Lombardia dellepoca
potesse guardare alla Germania come alla regione della Terra sculptorum mirifico genere praepollentem: unulteriore prova che gli scultori tedeschi ebbero
veramente una loro fama al di qua delle Alpi, e che questa nel 1432 non era ancora
sfuggita allattenzione degli specialisti di questi oggetti); per provare a inquadrarlo nel contesto
dei casi pi noti si pu vedere Kurt Jarmuth, Lichter leuchten im Abendland. Zweitausend Jahre
Beleuchtungskrper, Braunschweig 1967.
19.Abbiamo preferito tradurre in un modo piuttosto letterale per agevolare il controllo sulloriginale. Nanque [sic] monticulus mineralis fere, pullus et vermiculatus, apud Germaniam, potentissimam
orbis regionem, sculptorum mirifico genere praepollentem, elaboratus mira exquisitissimaque caelatura gloriosissime nativitatis et piissime passionis Domini nostri Ihesu Christi, eque preciosum ac nobile
margaritum, medio supersedet altari: tanto insignior quanto brevioribus metis minutissimis simulachris
formosissimis tantae rei sculptura concluditur, in se verticem iuxta continens caelatum simulachrulum
aurei crucifixi consentientis proportionis et dignitatis maiore quoque argenteo seorsum istic altius aliquanto ad medium suprapendente. Foffano, La costruzione di Castiglione [n.15], p.183.
20.Tanto insignior, quanto brevioribus metis []: letteralmente tanto pi straordinario,
quanto in dimensioni pi ridotte racchiusa la scultura/la rappresentazione [].
21.Si potrebbe anche tradurre di un evento cos grande/ cos importante: la Passione
infatti tanta res perch levento capitale per la salvezza dellumanit. Ma abbiamo preferito
renderlo di una cosa tanto grande, perch Piccolpasso sembra anche giocare su una certa ambiguit del significato di tanta res: la meraviglia di questopera non semplicemente legata al fatto
che un evento capitale stato rappresentato cos piccolo, ma soprattutto alla contrapposizione fisica
brevioribus metis vs. tantae rei (su cui si basa la costruzione retorica della frase), cio allidea che in
uno spazio cos esiguo si riusciti a racchiudere lintaglio di due immagini cos impegnative come
una Nativit e una Passione di Cristo. Non sembra un caso che si tratti di due iconografie sovente
rappresentate come scene corali particolarmente affollate (soprattutto in et gotica e nel nord
Europa), quindi ancora pi difficili da realizzare senza occupare un minimo di spazio, a maggior
ragione se presenti entrambe.
22.O un altro, se lo riferiamo a crucifixi.

134

Marco Rossati

tramontata. Ma una questione anche pi affascinante quella che riguarda lidentificazione del tipo di opera descritta dal vescovo. Non sono molti gli studiosi che
si sono confrontati con questo problema, e per quanto ne sappiamo tutti si rifanno
al filologo Tino Foffano, che nel 1960 ha edito il testo corredandolo di una buona
introduzione storica.23 Nel suo contributo questi non ha provato ad accostare la
fonte scritta ad alcuna opera esistente, ma si limitato, forse per prudenza, a tradurne ad sensum certi punti per descrivere un piccolo blocco piramidale di pietra
preziosa [] una specie di piedistallo dal colore scuro e vermiglio [] un cammeo
con due bassorilievi.24 Innanzitutto bisogna sottolineare che il termine mineralis,
dal significato oggi abbastanza pacifico, non era cos chiaro ed univoco allepoca:
inesistente in latino classico, viene forgiato dagli umanisti sul modello del volgare
per indicare tutto ci che viene estratto in una miniera, metalli compresi (da qui la
sua etimologia). In ogni caso lesperienza insegna che i materiali citati nelle descrizioni antiche non sono da considerare sempre affidabili e, se dovessimo provare a
collegare il monticulus a una tipologia di opere conosciute, preferiremmo affidarci
ad altri indizi. Lintaglio dei cammei non unarte cos prettamente tedesca, mentre
conosciamo un altro genere dominato incontestabilmente dagli scultori di Germania e Fiandre per molti secoli: si tratta dellintaglio in bosso, un legno particolarmente duro e resistente che si presenta di solito in un colore bruno-rossastro molto
intenso. Aspetto e consistenza di questo materiale tendono talvolta ad assomigliare
a quelli di una pietra scura (o anche di un metallo brunito, quando la superficie
lucidata): forse possibile che Piccolpasso non abbia riconosciuto questo tipo
di legno, raramente utilizzato dagli artisti italiani? Sar un caso, ma la specificit
dellintaglio in bosso (un po come succede per lavorio) proprio quella di permettere solo la realizzazione di figure molto minute, limite che gli scultori nordici
hanno saputo invece piegare a proprio vantaggio. Soprattutto nei Paesi Bassi di fine
Quattro e inizio Cinquecento si assister ad una specie di boom della realizzazione
di altaroli, oggetti preziosi e Betnsse in questo materiale (fig.1-3),25 apprezzati
23.Foffano, La costruzione di Castiglione [n.15]. Qualche rapida nota sul monticulus si trova
anche in Bertelli, Masolino [n.17], p. 32 e nota 169; e in Carl Brandon Strehlke, Li magistri con li
discepoli. Thinking about art in Lombardy, in Quattro pezzi lombardi (per Maria Teresa Binaghi), a
cura di Barbara Agosti, Brescia 1998, pp. 9-38: p. 28. Nelle stesse pagine Strehlke fa anche riferimento ad altri due casi di cui parleremo pi avanti (il Maestro di Rimini, Johannes Teutonicus).
24.Foffano, La costruzione di Castiglione [n.15], p.165. Seguendo la lettura del filologo
anche noi abbiamo reso con litaliano vermiglio laggettivo vermiculatus (vermilatus, prima che
il copista si correggesse): un significato attestato nel latino medievale. Una possibile alternativa
sarebbe stata tradurlo screziato, variegato.
25.Abbiamo deciso di riprodurre in fotografia ben tre di questi oggetti, proprio per testimoniare
la variet di tipologie possibili. Segnaliamo il numero di inventario di ognuno di essi per rendere pi
semplice la loro identificazione, anche sul catalogo on-line dei tre musei (la cui scheda risulta molto
pi dettagliata rispetto alle informazioni pubblicate a stampa): Londra, Victoria & Albert Museum
(inv. A.41-1954); New York, Metropolitan Museum of Art (inv. 17.190.475); Londra, British Museum
(inv. WB.232). Betnuss (noce per la preghiera) il nome tedesco con cui, dallOttocento in poi, la
storiografia indica una piccola scultura sferica apribile in due, contenente uno o pi microrilievi dedicati a una scena religiosa, il pi delle volte cristologica. Solitamente non superano i 6 cm di diametro
e sono in legno di bosso, o anche in avorio: venivano attaccate alla sommit di un rosario o a una

Sculture oltremontane nella Lombardia del Quattro e Cinquecento

135

proprio per lo straordinario virtuosismo con cui gli intagliatori ricavavano scene microscopiche e affollatissime nello spazio di pochi centimetri. Sono proprio le stesse
caratteristiche sulle quali insiste ripetutamente il vescovo nel descrivere i rilievi del
monticulus (e anche laccostamento in unopera minuscola di Nativit e Passione,
ricorda da vicino liconografia di molte di queste opere: fig. 2-3).26 Quanto alla provenienza geografica, se la fioritura pi impressionante si registrata nei Paesi Bassi,
di certo esistono regioni tedesche a questi molto prossime, in cui si commerciavano
(o si lavoravano) opere alla fiamminga: non un caso che i confini tra le due
identit fossero molto labili, tanto che questi venivano spesso considerati una parte
della Germania.27 Il problema pi grosso da affrontare piuttosto un altro: siamo,
infatti, consapevoli che questo tipo di opere sono generalmente datate ben pi tardi
del 1431. Resta per il fatto che su molte di esse, in realt, non vi alcuna certezza
assoluta;28 inoltre nulla vieta di pensare ad una sorta di incunabolo di questo tipo di
realizzazioni, a maggior ragione visto che esistono anche rilievi del genere il cui stile
sembra tradire una datazione decisamente pi alta.29 In ogni caso, anche se si lascia
cadere tale ipotesi, bisogna comunque immaginare un microrilievo simile a questi,
sempre realizzato nel nord Europa, ma in un altro materiale rosso scuro (cosa che
tutto sommato sembrerebbe ancor pi rara e singolare).
Date le varie vicissitudini subite in seguito dal sito di Castiglione Olona probabile che del monticulus non sia sopravvissuto alcunch,30 e per quanto ne sappiamo la
lettera di Piccolpasso resta lunica testimonianza della sua esistenza in Lombardia.
collana, ma conosciamo dei casi in cui aperte e provviste di una montatura vennero utilizzate come
altaroli privati, facilmente trasportabili. Si veda ad esempio quella del Victoria & Albert Museum (inv.
225-1866) in cui il supporto, pi tardo, argenteo: una testimonianza che legno di bosso e metallo
potevano essere abbinati senza problemi. Il tabernacolo apribile del British Museum (inv. WB.233)
testimonia infine la grande complessit che questi oggetti preziosi potevano raggiungere. Sulla microscultura in bosso e sulle sue tipologie: Susan Romanelli, South Netherlandish Boxwood Devotional
Sculpture, 1475-1530, diss., Ann Arbor 1992; Evelin Wetter, Zwei sptmittelalterliche Betnsse aus
den sdlichen Niederlanden, Bern 2011; e soprattutto i vari contributi di Frits Scholten, tutti abbastanza recenti; rimandiamo allultimo in ordine cronologico (che pemette di recuperare la bibliografia
precedente): Joost van Cranevelts prayer nut, Simiolus, 36 (2012), 3/4, pp. 123-141.
26.Nel caso del microaltare alla fig. 3 la Crocifissione accompagnata da unOrazione nellorto;
Crocifissione e Nativit sono invece presenti in un altarolo molto simile al Louvre (inv.OA 5612).
27.Basti pensare al titolo del famoso libro di Lodovico Guicciardini, Descrittione di tutti i
Paesi Bassi altrimenti detti Germania inferiore, Antwerpen 1567. Sulla sfuggente identit dei Paesi
Bassi borgognoni (e sulluso di Alemania inferior e Nederlanden) si veda Alastair Duke, The
elusive Netherlands. The question of national identity in the early modern Low Countries on the eve
of the Revolt, BMGN, 9 (2004), pp. 10-38.
28.Non varrebbe forse la pena di chiedersi se alcune di queste opere vadano in qualche modo
retrodatate? Lo stile di alcune di esse sembra in realt compatibile anche con il XV secolo. Un
esempio fra i tanti questo del Metropolitan Museum di New York: inv. 17.190.458.
29.Si prenda ad esempio lAdorazione della Trinit del Metropolitan Museum di New York
(inv. 17.190.486). Un primo catalogo delle sculture quattrocentesche in bosso (ancora esistenti o
solo documentate) offerto da Antje Middeldorf Kosegarten, Inkunabeln der gotischen Kleinplastik in Hartholz, Pantheon, 22 (1964), pp. 302-321.
30.Nel 1513 Castiglione Olona venne saccheggiata dalle truppe di Massimiliano Sforza,
mentre nel 1780 la sagrestia venne distrutta da un incendio.

136

Marco Rossati

Meno sfortunato invece il caso del cosiddetto Altare dellUmilt, opera senza
dubbio pi imponente del monticulus, ma composta sempre da figure abbastanza
minute (fig. 4): conservato quasi integralmente, si trova oggi nella collezione Borromeo dellIsola Bella (Stresa).31 Probabilmente ci troviamo di fronte a un altro caso di
importazione: lancona composta da ventotto nicchie che ospitano altrettante sculture alabastrine, verosimilmente scolpite in Germania o nelle Fiandre nel V decennio
del secolo. Sin dalla prima pubblicazione scientifica dedicata a questo polittico,32 esso
stato collegato ai resti di un altro altare, acquistato nel 1913 dal Liebieghaus di Francoforte e proveniente dal Santuario delle Grazie presso Rimini: entrambi sono formati da piccole statue di alabastro di dimensioni comparabili (anche se non identiche)33 e
molte delle figure presenti allIsola Bella sfoggiano un panneggio ipergotico del tutto
simile a quello che si riscontra in tutte le sculture di Francoforte (tra di loro molto
pi omogenee). Lidentit del Maestro dellAltare di Rimini rimasto il punto pi
controverso su cui si cimentata la storiografia successiva: in un primo tempo lo si
creduto un renano attivo negli anni attorno al 1420 e 30, emigrato in Italia verso il
1440 (Swarzenski, contraddetto poi da Krautheimer, proponeva di identificarlo con
il maestro Gusmin di Colonia tanto elogiato da Ghiberti).34 I principali contributi apparsi nel secondo dopoguerra sembrano invece accantonare entrambe queste ipotesi,
pur lasciando la cronologia grosso modo invariata:35 la vicinanza formale a molte
creazioni del gruppo Campin-Weyden ha, invece, fatto supporre unorigine fiamminga del maestro. Inoltre, laggregazione allo stesso corpus di altre sculture simili per
dimensioni e stile, ma sparse un po in tutta Europa, ha spinto gli studiosi a dubitare
della necessit di un viaggio dello scultore al di l delle Alpi: le dimensioni sempre
molte contenute e la (quasi) serialit di queste opere sembrano suggerire che buona
parte di esse siano state concepite per il mercato o per lesportazione. Il fatto che i due
cicli pi importanti del gruppo, ancora conservati, si trovassero entrambi in Italia sarebbe quindi pi che altro una casualit, o il fortunato esito di una differente vicenda
31.Il pi recente contributo specificamente dedicato a questopera la scheda di Mauro Natale in
El Renacimiento mediterrneo. Viajes de artistas e itinerarios de obras entre Italia, Francia y Espaa
en el siglo XV, catalogo della mostra (Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza; Valencia, Museu de Belles
Arts, 2001), a cura di Mauro Natale, Madrid 2001, pp. 240-245 (con bibliografia precedente); da integrare con un nuovo apporto documentario (e una nuova proposta) di Stefania Buganza, Palazzo Borromeo.
La decorazione di una dimora signorile milanese al tramonto del gotico, Milano 2008, p. 42.
32.Georg Swarzenski, Der Klner Meister bei Ghiberti, Vortrge der Bibliothek Warburg,
1926/27 (1930), pp.22-42.
33.Le dimensioni variano tra i 30 e i 50 cm. Ovviamente si intendono le dimensioni delle
figure pi piccole dellaltare di Francoforte (44-46 cm), perch allIsola Bella mancano le scene di
gruppo con i tre crocifissi.
34.Swarzenski, Der Klner Meister [n.32]; Richard Krautheimer, Ghiberti and Master
Gusmin, The Art Bulletin, 29 (1947), pp.25-35.
35.Il pi importante (e completo) resta quello di Anton Legner, Der Alabasteraltar aus Rimini, Stdel Jahrbuch, 2 (1969), pp.101-168. Il pi recente invece quello di Kim Woods, The
Master of Rimini and the tradition of alabaster carving in the early fifteenth-century Netherlands,
Nederlands kunsthistorisch jaarboek, 62 (2012 [2013]), pp. 56-83 (con bibliografia precedente).
Nella pagine conclusive lautrice propone anche una possibile identificazione del Maestro con lo
scultore Gilles De Backere, documentato al servizio del duca Filippo il Buono (pp. 73-77).

Sculture oltremontane nella Lombardia del Quattro e Cinquecento

137

storica, culturale e quindi conservativa tra nord e sud dellEuropa.36 Raccogliendo


un numero sempre maggiore di opere il corpus ha naturalmente finito per perdere la
compattezza originaria, tanto che, ormai, alcuni credono pi corretto riconoscervi:
non un maestro ma molti scultori, non una sola bottega, ma molte germinate luna
dallaltra, per filiazione diretta o per contatto con le opere, fino a costituire quello
che potremmo definire una vera e propria corrente stilistica allinterno del tardo
gotico europeo.37

Un problema particolarmente interessante legato allaltare Borromeo


quello della sua morfologia. Se a Francoforte non rimasto nulla della struttura
che inquadrava lopera, le sculture alabastrine dellIsola Bella si trovano invece inserite nelle nicchie di un polittico ligneo a quattro ordini, dipinto e dorato,
sovrastato da una selva di cuspidi e pinnacoli: gli storici dellarte non hanno
tardato a riconoscere nella forma di questa ancona gotica, sviluppata su pi registri, una tipologia di altare molto frequente nel nord-est dellItalia (tra Veneto,
Emilia e Lombardia),38 oltre che in certe zone costiere dellAdriatico particolarmente esposte allinflusso veneziano.39 Con molta verisimiglianza si tratta quindi
di unancona scolpita in Italia e non nel nord Europa, dove sono state lavorate le
sculture dalabastro. Come gi accennato, queste ultime sono per meno omogenee tra loro di quelle di Francoforte, sia per stile sia per dimensioni;40 inoltre,
dal punto di vista iconografico, presentano alcune incongruenze (ad esempio il
36.Francesca Nanni, Il maestro di Rimini: una traccia, Romagna arte e storia, 27 (2007),
80, pp.27-42: p.31 (con bibliografia precedente).
37.Ibidem, p.32.
38.Gi Mauro Natale aveva giustamente proposto di confrontare larticolazione dei registri
di questancona con quella visibile nellAltare degli Apostoli a Castiglione Olona: scheda in Arte in
Lombardia tra Gotico e Rinascimento, catalogo della mostra (Milano, Musei Civici 1988), a cura
di Mikls Boskovits, Milano 1988, pp. 276-281: p. 276. La stessa pala si trova riprodotta e discussa
come opera di Maestri Caronesi in Aldo Galli, Introduzione alla scultura di Castiglione Olona,
in Lo specchio di Castiglione [n. 17], pp. 55-73: 57-58. Sulla struttura dei polittici in Lombardia si
veda Raffaele Casciaro, Patrizia Zambrano, Cornici e incorniciature del Quattrocento lombardo,
in Pittura in Lombardia. Il Quattrocento, a cura di Valerio Terraroli, Milano 1993, pp. 345-368.
Unancona di simile tipologia visibile anche nello sfondo della fig. 5: il polittico di Bartolomeo
da Isola Dovarese e Pietro Bussolo nel duomo di Sal.
39.Si pensi allaltare nel Museo della cattedrale di Atri, attribuito a Giacomo Moranzon da
Giuliana Ericani, I Moranzon veneziani e la scultura lignea veneta del Quattrocento, in La scultura lignea nellarco alpino: storia, stili e tecniche. 1450-1550, atti del convegno (Udine 1997), a
cura di Giuseppina Perusini, Udine 1999, pp. 105-117 (riprodotto a p. 110).
40.Questultima differenza accentuata dalle dimensioni molto varie che si riscontrano nei piedistalli. Alcuni di questi devono essere stati sostituiti (o aggiunti?) in epoca successiva, ma non tutti:
un numero molto alto mostra i forellini di ancoraggio per le placchette, che dovevano coprirne la parte
mediana (come nellesemplare di Feltre, Santi Vittore e Corona). Le statuette di Francoforte, invece,
sono prive di piedistallo. Sul piedistallo della Madonna feltrina vedi la scheda di Fabio Coden in Il
Gotico nelle Alpi, catalogo della mostra (Trento, Castello del Buonconsiglio 2002), a cura di Enrico
Castelnuovo, Francesca de Gramatica, Trento 2002, pp. 562-565: p. 564. Nello stesso volume interessante anche la scheda dedicata da Laura Cavazzini alla Testa virile del Museo Civico di Pacenza,
che contiene qualche breve considerazione stilistica sul nostro Altare dellUmilt (pp. 566-567).

138

Marco Rossati

Battista e SantAndrea sono ripetuti due volte). Tutti questi elementi inducono a
credere che laltare abbia subito delle modifiche sostanziali nel corso della sua
storia: sappiamo per certo che esso proviene dalla cappella dellUmilt o della
Nativit in Santa Maria Podone, cio la chiesa dei Borromeo a Milano, di fronte
al loro palazzo cittadino; prima di approdare allIsola Bella nel 1889 lopera sub
varie vicissitudini, non tutte documentate, ma certo che gi nel 1627 avesse la
forma che conosciamo, perch Fabio Mangone la descrive dettagliatamente in
una sua lettera.41 La storia precedente invece pi lacunosa, ricca di indizi ma
povera di certezze. Pur in assenza di documenti specifici, la totalit della critica
accetta come data pi plausibile per larrivo delle sculture in chiesa il V decennio del Quattrocento, quando Vitaliano Borromeo commission grandi lavori di
abbellimento soprattutto per la cappella maggiore e per quella dellUmilt, da
lui fondata.42 Vale anche la pena notare che, curiosamente, in tutta la storia della
chiesa e dellaltare non esiste alcuna testimonianza che riconosca queste sculture come opere provenienti doltralpe (a differenza di quanto avevamo visto nel
caso del monticulus, per il quale disponiamo di una fonte coeva che lo definisce
apud Germaniam elaboratus);43 in effetti abbiamo ben poche informazioni sui
meccanismi di mercato o di committenza che hanno portato a Milano le opere di
questa bottega tedesco/fiamminga, gi apprezzata qualche anno prima a Rimini.
Se i viaggi, le amicizie e i contatti diplomatici del cardinal Branda lasciavano
limbarazzo della scelta nellimmaginare le modalit di arrivo a Castiglione delle
sue opere oltremontane, nel caso di Vitaliano Borromeo i contatti sembrano invece
meno numerosi, e limitati alla fondazione, negli anni trenta del Quattrocento, di
diverse filiali estere del Banco Borromeo (Bruges, Londra, Barcellona).44
41.Lornamento dellaltare detto icona di legno finto di marmo con profili doro parimente
di detta architettura [si intende: tedesca], compartito con vintiotto nicchiette, nella quali posto
per ciascuna una figurina dalabastro, nel cui piedistallo sono tocche doro diverse imprese di detta
casa. Pubblicato in Costantino Baroni, Documenti per la storia dellarchitettura a Milano nel
Rinascimento e nel Barocco, 2 voll., Roma 1968, II, p. 87. Allepoca architetto del duomo, Fabio
Mangone era stato incaricato da Federico Borromeo di visitare la cappella per misurarla e studiarla:
lo scopo era costruire una cappella speculare sulla navata opposta, quella sinistra (progetto che risaliva alle disposizioni testamentarie di Vitaliano Borromeo, ma continuamente rimandato). Su Fabio
Mangone vedi Isabella Balestreri, Dizionario Biografico degli Italiani, 69, Roma 2007, pp. 22-25.
42.Questa in effetti la cosa pi probabile, ma come si vedr pi avanti nel testo sembra
da escludere che esse siano arrivate tutte nello stesso momento. comunque verisimile che almeno
una parte di esse (quelle che si trovavano sullaltar maggiore) fossero gi installate nel marzo 1445:
in questa data vengono infatti pagati i lavori per la doratura della maest allaltare grande. Cfr.
Buganza, Palazzo Borromeo [n.31], p.42.
43. forse possibile che la cornice alla veneta, documentata almeno dal 1627, la rendesse
in qualche modo pi familiare, non troppo differente da molti altri polittici scolpiti medievali che in
Lombardia si potevano e si possono ancora vedere: Fabio Mangone afferma che larchitettura della
cappella e dellicona sono simili alla tedesca, ma semplicemente un modo per definirle gotiche.
Bisogna riconoscere che per un osservatore del Cinque e Seicento era probabilmente pi difficile
distinguere tra una declinazione italiana e una tedesca del gotico.
44.Su Vitaliano Borromeo si veda lottimo profilo delineato da Buganza, Palazzo Borromeo [n.
31], pp. 33-76, con bibliografia precedente. Non disponiamo di alcun dato sicuro nemmeno sul com-

Sculture oltremontane nella Lombardia del Quattro e Cinquecento

139

Bisogner aspettare due visite pastorali ben pi tarde per vedere finalmente
citate le nostre sculture, ma anche qui i problemi non mancano: Carlo Borromeo
nel 1567 nomina una ancona lapidea cum pluribus figuris, ma curiosamente essa
si trova sullaltar maggiore, mentre nessun polittico viene segnalato nellaccurata
descrizione della cappella dellUmilt.45 Negli atti della visita pastorale del 1605
le icone in marmo sono invece due, una per cappella.46 Nel II e III decennio del
Seicento i pagamenti attestano vari lavori di restauro/rifacimento, che coinvolgono
anche il nostro polittico, anche se non chiaro esattamente in quale misura: il pittore
Bartolomeo Roverio detto il Genovesino (sotto la direzione del quale lavoravano
anche stuccatori e incorniciatori) viene ricompensato in vari momenti per rinnovare
le pitture gi esistenti, depingere tutta la chiesa [] con stelle dorate e stucchi
finti, formar in pietra di pogevera li cornici dei quadri nelle nize, ma soprattutto,
nel maggio 1626, per la renovatione de le pitture della cappella dei signori Borromei [cio dellUmilt] et ancona di detto altare.47 Nel febbraio 1627 abbiamo poi
il minuzioso rapporto del Mangone dedicato esclusivamente a questa cappella, nel
quale viene descritto inequivocabilmente il polittico alla veneta oggi allIsola Bella. Come naturale, in questa lettera non troviamo informazioni sullo stato dellaltar
maggiore: in ogni caso certo che questultimo o era gi stato smontato/spostato, o
stava per esserlo, perch nellaprile 1628 quello nuovo era gi stato installato.48
Riassumendo: abbiamo la certezza che in Santa Maria Podone si trovarono due
altari scolpiti (pi problematico sapere quando esattamente vennero installati e perch uno sembra arrivarvi molto pi tardi dellaltro). Dato che in meno di tre anni il
primo fu smontato mentre il secondo, che ancora esiste allIsola Bella, venne rinnovato, sembra in effetti plausibile spiegare le ripetizioni iconografiche di questultimo ipotizzando la fusione dei due cicli, o perlomeno la sostituzione di alcune statuette con quelle dellaltro altare.49 Ancor meno certezze abbiamo su quanto sia antico
mittente dellaltare ora a Francoforte, per cui difficile riuscire a stabilire un collegamento preciso tra
i due casi (lipotesi pi accreditata, comunque, che si tratti di una commissione di Galeotto Roberto
Malatesta, signore di Rimini). Una proposta recente, per, vede nel cardinale Niccol Albergati e nei
suoi viaggi un possibile tramite per la diffusione di opere del Maestro di Rimini a sud delle Alpi: Antoine
de La Taverne ci testimonia che il cardinale, recatosi ad Arras per la pace del 1435, aveva apprezzato un
altare (oggi distrutto), che alcuni documenti permettono di riconoscere come unopera del nostro artista;
un ulteriore indizio fornito dallaggiunta al suo corpus di due pezzi di area bolognese (la diocesi di cui
Albergati era arcivescovo). Cfr. Massimo Medica, Una deposizione alabastrina a Bologna nellambito
del Maestro di Rimini, in Il pi dolce lavorare che sia. Mlanges en lhonneur de Mauro Natale, a cura
di Frdric Elsig, Nomie Etienne, Grgoire Extermann, Cinisello Balsamo 2009, pp.83-87.
45.Buganza, Palazzo Borromeo [n.31], p.41.
46.Barbara Agosti, Collezionismo e archeologia cristiana nel Seicento: Federico Borromeo
e il Medioevo artistico tra Roma e Milano, Milano 1996, p.130.
47.Baroni, Documenti [n.41], pp.86-89, doc. 487 e nota, doc. 489.
48.Cfr. Luigi Demolli, Santa Maria Pedone e i Borromeo (IV), Archivio storico lombardo,
3-4 (dicembre 1939), pp. 367-407: p. 393. Conserviamo anche i pagamenti che risalgono, invece,
allanno successivo: A maestri Francesco Orello et Vigna per lopere in far laltare di marmoro a
d 7 marzo 1629. Baroni, Documenti [n. 41], pp. 86-87, doc. 487.
49.Natale, El Renacimiento [n. 31], pp.240, 242 e nota 5 a p.245. Sembra abbastanza significativo che, pur non conoscendo le visite pastorali pubblicate successivamente sia Swarzenski

140

Marco Rossati

(e in che percentuale possa considerarsi originale) il polittico che oggi le ospita, a


maggior ragione visto che ha subito numerose vicissitudini anche in seguito.50
(Der Klner Meister [n.32], p.40), sia Legner fossero gi convinti che le figure del nostro altare
fossero aus mehreren Komplexen stammende (Der Alabasteraltar [n.35], p.134).
50.La storiografia precedente non ha ancora trovato una risposta definitiva a questo problema,
che in effetti rimane ancora aperto (cfr. Natale, El Renacimiento [n. 31], pp. 240-242). La pala potrebbe
essere stata realizzata nel Quattrocento e poi spostata nella cappella laterale entro il 1605, come ipotizza Buganza, partendo dalla constatazione che la visita pastorale del 1567 da lei ritrovata non la
cita (Palazzo Borromeo [n. 31], p. 41). Potrebbe quindi corrispondere a una delle due pale menzionate
dai documenti cinque-seicenteschi, che ha poi raccolto le sculture di entrambi i cicli, quando laltra
stata smontata; resta per il dubbio: perch rompere la coerenza interna del primo gruppo di alabastri?
Forse alcune sculture erano andate perse o si erano rovinate.
Su questo problema sembra per opportuno recuperare anche alcune annotazioni del Legner, il
quale, dopo una visione autoptica, aveva posto laccento sulle numerose incongruenze dimensionali
tra alabastri e nicchie, per escludere che la struttura allIsola Bella fosse quella intagliata in origine
per le sculture del Maestro di Rimini (Der Alabasteraltar [n. 35], p. 134). Legner non conosceva,
per, la lettera di Mangone e non si poneva quindi il problema che ne consegue: se questa non
lincorniciatura originale, quando si venuta a creare lattuale configurazione, gi attestata nel 1627
(cosa che rende i restauri successivi meno interessanti per la nostra questione)?
Se guardiamo ai documenti che precedono questa descrizione troviamo, nel 1626, i grandi lavori
di rifacimento della cappella commissionati da Federico Borromeo: come accennato sopra il Genovesino, oltre ad essere pagato per scolpire in pietra le cornici di altre nicchie daltare allinterno della chiesa,
riceve in quellanno un pagamento relativo alla nostra ancona. Sebbene il documento citato nel corpo
del testo sia leggermente ambiguo, sembra lasciar spazio allipotesi che il suo intervento non si sia
limitato a una semplice ridipintura. Questa possibilit non ci deve sembrare cos straordinaria, a ben
vedere: pure la cappella costruita poco dopo dal Mangone di fronte a quella dellUmilt avrebbe simulato forme cos perfettamente gotiche da essere creduta medievale dal Torre nel suo Ritratto di Milano
(pubblicato nel 1674), e non sembra un caso che tutto il restauro federiciano di Santa Maria Podone sia
stato considerato un tentativo ancora stentato e un po contradditorio di mantenere lassetto tardogotico
complessivo della chiesa (cfr. Agosti, Collezionismo [n. 46], pp. 131, 133). Esattamente in quegli anni
(1624-34) lo stesso Mangone partecipava anche alla costruzione del corpo principale della Ca Granda,
la cui facciata riprendeva letteralmente le forme dellala quattrocentesca, raddoppiandone addirittura le
bifore gotiche, che prima si limitavano al secondo ordine. Cfr. Luciano Patetta, Permanenze medievali
a Milano nei secoli XVI e XVII, in Presenze medievali nellarchitettura di et moderna e contemporanea, atti del convegno (Roma 1995), Milano 1997, pp.142-150: 143-144. Sempre Mangone veniva
incaricato nel 1622-3 di giudicare duoi mezzi capitelli e duoi quarti dordine tedeschi realizzati da
Orello e Vigna per la cappella della Madonna dellAlbero in duomo: sar un caso ma si tratta proprio
degli stessi scultori che lavoreranno sei anni pi tardi al nuovo altare maggiore di Santa Maria Podone
(non conservato, essendo stato sostituito nel 1829 da quello attuale; vedi nota 48). Cfr. Sergio Gatti,
Manoscritti sul Duomo di Milano nel tomo I della Raccolta Ferrari, in Il duomo di Milano, atti del
convegno (Milano 1968), a cura di Maria Luisa Gatti Perer, 2 voll., Milano 1969, II, pp. 205-240:
p.230, n. 126. Immaginare che una nuova struttura sia stata realizzata per salvare il maggior numero di
sculture provenienti dallunione dei due cicli, permetterebbe inoltre di spiegare unaltra particolarit del
nostro polittico: rarissimo trovare ancone quattrocentesche di questa tipologia strutturate su quattro
ordini della stessa altezza. Infine sottolineiamo che le dimensioni della pala non si possono considerare
un ostacolo a questultima ipotesi; anzi, potrebbero essere utilizzate al contrario come un indizio a
favore: a differenza di quanto stato scritto in passato, le misure del polittico allIsola Bella (massime
h 310 x l 214 cm) risultano congrue rispetto allo spazio che questo doveva occupare sulla parete della
cappella (416 x 266). Non per niente la lettera di Mangone non nota nulla di strano quando si riferisce
al nostro polittico, e descrive anche loculo soprastante, senza accennare a eclatanti sovrapposizioni:
al massimo quindi possibile che i pinnacoli sporgessero un poco, ma non che lo oscurassero in modo

Sculture oltremontane nella Lombardia del Quattro e Cinquecento

141

La presenza di uno pi probabilmente due altari del Maestro di Rimini


a Milano, cos come il gruppo di Francoforte, ci testimonia che attorno alla met
del Quattrocento la scultura nordeuropea era ancora apprezzata in pi di una regione dItalia. In particolare le opere che abbiamo appena esaminato nei decenni
centrali del secolo sembrano ricercate soprattutto per la minuzia del loro intaglio
e per la particolarit/preziosit del materiale. Forse non un caso che pure loreficeria venisse spesso considerata un campo di eccellenza degli oltremontani:51
Filarete, nel nono libro del Trattato darchitettura, immagina per la chiesa della
sua citt ideale una pala daltare doro e pietre preziose fatta da solennissimi
maestri [] di diverse parti dItalia e fuori dItalia: franciosi, todeschi e altri;
ed prima di tutto per i suoi lavorii doro che Ghiberti tesse le lodi del maestro
Gusmin di Colonia, lunico artista non toscano citato nei Commentarii,52 e quello
che riceve in assoluto pi spazio allinterno del rapido excursus dedicato dal fiorentino agli scultori del passato. Stando alle informazioni fornite da questultimo
lorafo tedesco sarebbe infatti gi morto nel II decennio del secolo, almeno una
trentina danni prima della composizione dello scritto.53
Unorigine diversa, ma pur sempre nordica, quella degli alabastri inglesi
che nel XIV e XV secolo venivano esportati in tutta Europa, Italia compresa (con
un ampiezza di mercato anche maggiore rispetto a quella del Maestro di Rimini):
due rilievi di questo tipo sono attualmente conservati a Milano e per uno di essi
documentata una provenienza dalla cappella nella Rocchetta di Porta Romana.54
molto disturbante (per inciso, probabile che linsegna di casa Borromeo da lui citata non fosse dipinta
come stato creduto, ma si trovasse invece sulla vetrata delloculo: non un ostacolo che usi la parola
pinto, e non sembra un caso che su quella attuale, anche se pi tarda, si trovi lo stesso emblema).
51.Sulla presenza di orafi transalpini in Lombardia vedi il contributo di Paola Venturelli in
questo volume.
52.Lunica altra eccezione il romano Cavallini. Cfr. Lorenzo Ghibertis Denkwrdigkeiten
(I commentarii), a cura di Julius von Schlosser, 2 voll., Berlin 1912, I, p. 39 e 43. Su Gusmin vedi
la bibliografia alla nota 43. Per la citazione dal Filarete, vedi Trattato di architettura, a cura di Anna
Maria Finoli, Liliana Grassi, 2 voll., Milano 1972, I, p. 251.
53. Daltra parte bisogna anche riconoscere che si tratta dellunico artista almeno in parte contemporaneo dellautore, presente nella sezione storica dei Commentarii: tutti gli altri non superano
infatti il VII decennio del Trecento (mentre i rivali quattrocenteschi vengono solo citati in un rapido
elenco stilato per il racconto del concorso del 1401). Cfr. Lorenzo Ghibertis [n. 52], pp. 35-43 e 46.
54.La notizia della provenienza, relativa al Bacio di Giuda ora al Castello Sforzesco, si trovava
in unindicazione manoscritta, registrata nel 1888 (in occasione del dono al Museo Patrio di Archeologia da parte di Luca Beltrami). Su questo pezzo e sulla Deposizione ora in Pinacoteca di Brera
si vedano le schede di Francesca Tasso, in Maestri della scultura in legno nel Ducato degli Sforza,
catalogo della mostra (Milano, Castello Sforzesco 2005), a cura di Giovanni Romano, Claudio Salsi,
Cinisello Balsamo 2005, pp. 88-91 (con lipotesi di una comune provenienza dei due pezzi, e bibliografia precedente). Sul primo rilievo e su una testa virile egualmente al Castello Sforzesco si vedano
anche le schede di Luca Palozzi, in Museo dArte Antica del Castello Sforzesco. Scultura lapidea, a
cura di Maria Teresa Fiorio, Graziano Vergani, 3 voll., Milano 2013, II, pp. 130-132. Meno studiato
invece lAlbero di Jesse del Museo Diocesano di Bergamo (dalla chiesa di Mediglio, Botta di Sedrina): Simone Facchinetti, Museo Diocesano Adriano Bernareggi in Bergamo, Cinisello Balsamo 2008,
p.24. Il catalogo pi completo sugli alabastri inglesi quello di Francis Cheetham, Alabaster Images
of Medieval England, Woodbridge 2003, che aggiorna ed integra le precedenti ricerche dellautore.

142

Marco Rossati

Accanto a questo filone pi prezioso ne esiste un altro, di tenore diverso:


una specialit prettamente nordica, e in particolare tedesca, infatti quella dei
crocifissi patetici scolpiti in legno che a fasi alterne hanno conosciuto una
lunghissima fortuna italiana. Gi nel Trecento un modello gotico particolarmente
espressionista (il cosiddetto Crucifixus Dolorosus) si era diffuso dalla Renania a
tutto il resto dEuropa;55 interessante sarebbe poi chiedersi perch nel secolo successivo abbia continuato a verificarsi un fenomeno simile, ma questa volta almeno cos sembrerebbe pi limitato allItalia (cio proprio al paese tradizionalmente considerato pi lontano da queste forme di patetismo in campo artistico).
In particolare, nel vasto corpus di crocifissi quattrocenteschi alla tedesca
sparsi un po in tutta la penisola, vi un raggruppamento pi specifico raccolto
sotto il nome di Giovanni Teutonico: le opere che ne fanno parte sono generalmente pi coerenti delle altre dal punto di vista stilistico e spesso affiancate da
documenti (tutti successivi al 1449), che menzionano uno scultore chiamato a
seconda della lingua utilizzata Johannes Teutonicus o Giovanni Tedesco.56 Esse
sono particolarmente numerose in Umbria e Romagna, anche se esemplari importanti si trovano pure a Pordenone e a Sal. In particolare, a proposito di questultimo (fig. 5-6), una descrizione di fine Cinquecento di Bongianni Grattarolo ci
informa che esso fu lodato da Messer Andrea Mantegna [] e messo in credito
di uno di pi be Crocifissi dItalia.57 Ora, il pittore padovano sicuramente passato per la riva del Garda almeno due volte: nel 1464, per la famosa passeggiata
archeologica in compagnia, tra gli altri, di Samuele da Tradate, figlio di Jacopino;
e nel 1491, chiamato a collaudare un organo. La fonte locale non sembra quindi priva di fondamento e la parentela tra la scultura e certi non meno lignei e
tormentati San Sebastiano del pittore padovano ha permesso di ipotizzare che
questopera abbia avuto una qualche importanza nello sviluppo di una particolare
linea patetica dellarte tra Lombardia e Veneto.58
55.Su questo tema resta ancora fondamentale il saggio di Gza de Francovich, Lorigine e
la diffusione del crocifisso gotico doloroso, Rmisches Jahrbuch fr Kunstgeschichte, 2 (1938),
pp.143-261.
56.Vedi in particolare Massimo Ferretti, Storia delle arti figurative a Faenza. La scultura nel
Quattrocento, Faenza 2011, pp.81-95, cui si rimanda per la bibliografia precedente sul problema.
57.Bongianni Grattarolo, Historia della riviera di Sal, [Brescia 1599], Sal 1978, p.59.
58. stata formulata anche unaltra ipotesi molto ingegnosa, che per non chiude definitivamente
la questione: Mantegna non avrebbe ammirato il crocifisso di Giovanni Teutonico, ancor oggi visibile a
Sal, ma avrebbe lodato (nel senso di effettuare un lodo) quello di un frate Paolo, egualmente l documentato, e poi andato perduto. Cfr. Monica Ibsen, Una prova e alcune congetture per Andrea Mantegna, Quaderni di Palazzo Te, V (1999), pp.95-97. In ogni caso la stessa autrice non si sente di escludere
la prima possibilit: non per niente la citazione nel corpo del testo tratta proprio dalla conclusione del
suo articolo (p.96). comunque abbastanza suggestiva lipotesi di Stefano LOccaso, ripresa anche da
Rita Dugoni, che vede in questo Paolo un altro artista tedesco: proprio nel 1459 un maestro Paolino
tedesco era attivo a Mantova per Pio II. In questo caso, indipendentemente dal significato di lodare,
Mantegna potrebbe in effetti aver visto il suo crocifisso non quello di Johannes e non ci sarebbe
bisogno di ipotizzare un errore del Grattarolo, che parla solo di un alamano, senza specificarne il nome.
Cfr. Rita Dugoni, Quella gita sul lago di Garda: note sul Mantegna e il territorio bresciano, in Andrea Mantegna e i Gonzaga, catalogo della mostra (Mantova, Castello di San Giorgio 2006), a cura di

Sculture oltremontane nella Lombardia del Quattro e Cinquecento

143

Anche i crocifissi di Johannes Teutonicus hanno spinto gli studiosi a porsi


interrogativi simili a quelli gi visti per il Maestro di Rimini, con la differenza che
in questo caso molti documenti hanno permesso di escludere limportazione delle
sue opere da oltralpe, ma anche la possibilit di un passaggio solo temporaneo
dello scultore nella penisola. Le sue attestazioni archivistiche sono abbastanza
numerose da indurci a immaginare un artista trasferitosi in Italia per lungo tempo, se non definitivamente. Ma proprio una tale abbondanza di materiale, sparso
su regioni non sempre limitrofe anche in date molto prossime, ha portato a supporre lesistenza di diversi maestri omonimi attivi contemporaneamente in pi
zone della penisola (e ipoteticamente pure imparentati tra loro). Questo non del
tutto inconciliabile con lidea che uno o pi artisti menzionati come Giovanni
Teutonico possano aver anche cambiato il proprio domicilio, muovendosi in
base allofferta di lavoro giudicata pi conveniente (un po come doveva essere
successo a Walter Monich): prima di accettare per alcuni mesi una carica a Sal
lo Johannes gardesano viveva sulla sponda opposta del lago e lo stesso Grattarolo
ci racconta che lintagliatore alamano, persona bizzarra si era successivamente
spostato in una citt di cui non ricorda il nome.59
Naturalmente uno dei problemi pi spinosi della questione quello del ruolo
svolto dallattesa dei committenti nelle scelte iconografiche e stilistiche visibili in
queste opere. Non da escludere che alcuni dei numerosi crocefissi del corpus
siano stati scolpiti da altri artisti tedeschi (o forse anche da italiani) che si sono semplicemente adeguati pi o meno consapevolmente a questa formula di successo.60 Ciononostante la familiarit che accomuna i capisaldi del gruppo Teutonicus
sembra cos stretta da permetterci di immaginare la presenza dello stesso scultore (o
della stessa bottega) almeno dietro ad alcune delle opere in questione.
Filippo Trevisani, Milano 2006, pp.268-272: p.271. Altre ipotesi sul Paolo gardesano sono in Matteo
Mazzalupi, Paolo Alamanno: un contributo per la questione di Johannes Teutonichus, in Pittori ad
Ancona nel Quattrocento, a cura di Andrea De Marchi, Milano 2008, pp.322-332.
59.Il fatto che alcune opere del corpus si trovino raccolte a gruppi (alcuni pi grandi, ma altri
decisamente piccoli) in aree geografiche non molto prossime tra loro potrebbe essere interpretato
come un indizio in questo senso. Certo conosciamo casi in cui un mecenate commissiona una o
pi opere a una bottega non locale (come potrebbe essere successo al Maestro di Rimini), ma pi
raramente committenti diversi che vivono nella stessa area decidono di rivolgersi parallelamente ad
ununica maestranza, ognuno importando da molto lontano la medesima tipologia di opere.
pi difficile immaginare ununica bottega stanziale che esporta opere in varie direzioni anche
per un altro motivo: la diffusione di questi crocifissi non sembra seguire la rete commerciale e le direttrici lungo le quali viaggiano di solito i manufatti artistici. difficile credere che unopera scolpita
in Romagna risalga lAdriatico per poi penetrare in terraferma sino a Pordenone: molto pi comune
il rapporto inverso. Ma daltra parte sembra da escludere lipotesi di una bottega veneziana, perch
in tal caso ci sarebbe da aspettarsi una presenza ben pi significativa del Teutonico in questa regione:
invece in tutto il Veneto attuale lunico caso discusso nel corpus quello molto dubbio di San
Giorgio Maggiore a Venezia. Sembra quindi molto pi economico pensare che questa diffusione, cos
disomogenea, sia dovuta allo spostamento di uno o pi artisti (anche solo parzialmente) itineranti.
60.Il problema gi sottolineato da Fulvio Cervini, La selva dei Cristi feriti. Crocifissi
quattrocenteschi nel Ponente. Naturalismo nordico e mediterraneo, in La sacra selva, catalogo
della mostra (Genova, Chiesa di SantAgostino 2004), a cura di Franco Boggero, Milano 2004,
pp.74-85: p.77.

144

Marco Rossati

Il problema Johannes Teutonicus interessa solo tangenzialmente il ducato di


Milano nei suoi confini storici: ci premeva citarlo soprattutto per poter istituire un
confronto con gli altri casi presentati, che rispetto a questo mostrano varie somiglianze interessanti, insieme ad alcune differenze significative. Inoltre, essa ci consente di osservare in altre regioni dItalia, pi o meno vicine, unanaloga evoluzione
del fenomeno al centro di questa ricerca: la quasi totalit dei vari casi esaminati nella
prima met del secolo riguarda la scultura in pietra, mentre quelli che potremo citare
dora in avanti si limitano allintaglio in legno. Come motivare questa differenza?
Per quanto riguarda il caso specifico della Lombardia bisogna riconoscere che
per tutta lepoca gotica la scultura lignea sembra aver conosciuto una fortuna inferiore rispetto a quella lapidea: naturalmente molto deve essere andato perduto,
ma il confronto con altre regioni (come ad esempio la Toscana) resta abbastanza
impressionante.61 In questo frangente sarebbe quindi stato pi difficile instaurare
un rapporto con il resto dEuropa. Un altro fattore importante il progressivo cambiamento di gusto qui avvenuto allincirca dal VII-VIII decennio del Quattrocento:
sino a che questa regione rimasta sostanzialmente attaccata al sistema di valori
del Gotico, le differenze rispetto al nord Europa erano sotto molti aspetti meno
significative e gli scambi risultavano quindi pi facili. Si pu invece ora assistere a
una sorta di rivoluzione, evidente soprattutto nella scultura lapidea: maestri locali
di vaglia come Amadeo, Piatti e Mantegazza plasmano un nuovo linguaggio di
successo, che riporta progressivamente la Lombardia al passo con quelle regioni
dItalia gi aggiornate alla nuova estetica rinascimentale.
Questa nuova tradizione, incentrata sulluso del marmo bianco (di Carrara,
quando possibile), si pone naturalmente in dialogo con le civilt artistiche toscana o genovese o veneziana, meno con quelle doltralpe. La fortuna di questa linea
aulica della scultura lombarda sar tale che una quarantina danni dopo essa
potr ribaltare, insieme alle altre tradizioni italiane, le polarit del rapporto nordsud in Europa: se a inizio Quattrocento erano soprattutto gli artisti settentrionali
a varcare le Alpi per portare il loro contributo, con linizio del nuovo secolo il
modello rinascimentale italiano diventer, un poco alla volta e con tempistiche
diverse, un riferimento imprescindibile.62
61.Sul problema della scultura lignea lombarda prima della met del Quattrocento si possono vedere le considerazioni di Raffaele Casciaro, Scultura lignea lombarda del Rinascimento,
Milano 2000, pp. 11-13, e di Cavazzini, Il crepuscolo [n. 4], p.117.
62.Complici le numerose campagne militari nella penisola, sar soprattutto la corte di Francia ad aggiornarsi alla nuova estetica commissionando opere o dando ospitalit a scultori e pittori
toscani, napoletani, genovesi o lombardi. Verso larea linguistica tedesca lo stesso fenomeno si
realizzer invece in forme decisamente pi blande e graduali, con casi pi limitati di importazione/
immigrazione dal sud delle Alpi. In ogni caso non dobbiamo dimenticare che vari artisti italiani del
Cinquecento continueranno a trarre ispirazione da diversi modelli tedeschi o fiamminghi, soprattutto incisori e pittorici (basti pensare alle numerose riprese di invenzioni del Drer o di Luca di
Leida): non si pu certo dire che in questo caso il rapporto sia stato unidirezionale.
Limportanza delle presenze e dei modelli italiani per larte francese del Cinquecento cosa
ormai riconosciuta: tra le varie trattazioni manualistiche, che ovviamente si confrontano con questo tema, la migliore ci sembra Henri Zerner, Lart de la Renaissance en France. Linvention du

Sculture oltremontane nella Lombardia del Quattro e Cinquecento

145

abbastanza curioso notare come questa rivoluzione del marmo lombarda


sia sostanzialmente parallela a una sorta di rivoluzione del legno che si va profilando negli stessi anni tra le Alpi e il sud della Germania. In particolare in Svevia,
Baviera e Tirolo attivo un numero di grandissimi intagliatori che danno vita alla
cosiddetta stagione della scultura florida;63 questa tradizione inizia ad assumere un
ruolo nettamente protagonista, tanto che sembra venirsi a delineare una situazione
opposta a quella che avevamo visto per la Lombardia gotica (e probabilmente anche
per la Francia di questi stessi anni): la maggior parte della scultura si realizza infatti
in legno, mentre la lavorazione degli altri materiali riveste pi raramente un ruolo
propulsivo e allavanguardia.
In particolare alcuni scultori svevi particolarmente efficienti, come Jrg Lederer
o Ivo Strigel, riusciranno a organizzare la propria attivit in un modo tanto imprenditoriale da produrre un gran numero di Schnitzaltre destinati allesportazione, talvolta
firmati dal capobottega ma dati in subappalto ad aiuti.64 soprattutto Strigel (fig.7) a
interessarci in questa sede: curando con successo i propri rapporti commerciali questi
arriva infatti a piazzare varie opere importanti sul confine settentrionale del ducato
di Milano (tra Valchiavenna e Canton Ticino), senza contare poi tutte quelle destinate ai Grigioni, poco al di l della frontiera.65 A quelli appena citati vanno aggiunti
numerosi altri altari, tedeschi o forse tirolesi, per la maggior parte anonimi.66 Yvo
classicisme, Paris 1996. Per un aggiornamento sulla scultura si possono vedere i saggi contenuti
in La sculpture franaise du XVIe sicle, atti del convegno (Paris-Troyes 2009), a cura di Marion
Boudon-Machuel, Marseille 2011. Un inquadramento sugli artisti italiani in Germania offerto da
Barbara Marx, Wandering objects, migrating artists: the appropriation of Italian Renaissance art
by German courts in the sixteenth century, in Forging European Identities. 1400-1700, a cura di
Herman Roodenburg, Cambridge 2007, pp. 178-226. Sulla ripresa di modelli transalpini da parte
degli italiani di fine Quattro e primo Cinquecento possiamo rimandare allimponente volume di Alberto Maria Fara, Albrecht Drer. Originali, copie, derivazioni, Firenze 2007; e in particolare, per
quanto concerne la scultura lombarda, a Silvia Bianchi, Appunti relativi ad alcune fonti a stampa
delle principali realizzazioni nellarte della scultura lignea in Lombardia tra Quattro e Cinquecento, Rassegna di studi e di notizie, 27 (2003), pp. 123-174. Per quanto riguarda gli scambi in pittura
rimandiamo al saggio di Edoardo Villata in questo volume, e alla bibliografia relativa.
63.La definizione scultura florida stata introdotta da Michael Baxandall, nel libro che
rimane ancor oggi un punto di riferimento su questa grande stagione dellintaglio in Germania:
Scultori in legno del Rinascimento tedesco, [New Haven-London 1980], Torino 1989, pp. XXXV.
Per un aggiornamento sugli altari pi importanti si pu vedere Rainer Kahsnitz, Carved altarpieces.
Masterpieces of the late gothic, [Mnchen 2005], London 2006, sontuosamente illustrato.
64.Lo sappiamo grazie ai vari contratti tra Verleger e aiutante ancora conservati. Cfr. Baxandall, Scultori in legno [n. 63], pp.149-151.
65.Canton Ticino: 1494 Osogna (?); Valchiavenna: 1495 Villa di Chiavenna, 1495 Santa Croce di Piuro; Grigioni: 1512 Santa Maria in Val Calanca (ora Basilea, Historisches Museum). In
questultimo cantone se ne trovano anche numerose altre, di solito pi vicine alla citt di Coira,
sede della diocesi.
66.Nei confini storici del ducato di Milano i pi importanti altari di origine tedesca, svizzera
o tirolese, ancora in gran parte integri, sono i seguenti:
in Valtellina: Bormio, Premadio, San Nicol in Valfurva, Cepina e Oga Valdisotto; sono
tutti concentrati attorno a Bormio, e sono stati messi in relazione dalla critica con la coeva scultura
tirolese (cosa che non stupisce, data la loro collocazione geografica);

146

Marco Rossati

dictus Strigel ex Memingen innperiali [sic]67 infatti uno dei pochi che ha firmato e datato le sue opere con una certa continuit, ma non solo: nel 1495 a Villa
di Chiavenna egli stesso sottoscrive di suo pugno un documento, rilasciando in
tedesco la quietanza del conto. curioso trovare confermata la sua presenza in
loco proprio per lunica commissione di modeste dimensioni (un San Sebastiano e
una Madonna),68 quando invece per tutti gli altri altari si considera plausibile una
spedizione dalla sua bottega di Memmingen, cio da 300 km pi a Nord: anche
quello di Calanca, che il pi grande attualmente in Svizzera dopo lHochaltar di
Coira, infatti costituito dallassemblaggio di pezzi che non superano il metro e
mezzo di dimensione, di modo da facilitarne il trasporto.69
La cosa in realt non desta stupore, se pensiamo ad altri casi contemporanei,
molto ben documentati: anche il tirolese Michael Pacher lavora a Brunico la grande
macchina daltare destinata a Sankt-Wolfgang, come ci testimoniano le minuziose
clausole sul trasporto presenti nel contratto (lo scultore avrebbe infatti dovuto accompagnare lopera, smontata e imballata, per oltre 400 km); mentre le lettere di alcuni
suoi mecenati ci testimoniano che, per iniziare a lavorare laltare di Salisburgo, gli
aiuti e lorefice avevano bisogno non solo del suo progetto, ma anche della sua presenza (e infatti, pi tardi, egli sar costretto a passare molto tempo in questa citt).70
in Canton Ticino: Chiggiogna; Mairengo; Giornico; Brione Verzasca, firmato da Matheis
Miller nel 1502 (ora Zurigo, Schweizerisches Landesmuseum);
sul confine occidentale: Baceno, Frua, Formazza (Alta Val dOssola); Pian di Misura, Alagna
(Alta Valsesia, comunit Walser).
Sui primi si veda Sandra Sicoli, Scultura lignea dOltralpe nella provincia di Sondrio: una
prima ricognizione, in La scultura lignea nellarco alpino [n. 39], pp. 55-69; da integrare con i
materiali di Legni Sacri e Preziosi, catalogo della mostra (Sondrio, Museo Valtellinese di storia
ed arte 2005), a cura di Angela DellOca, Cinisello Balsamo 2005. Dedicato soprattutto alla storia
della tutela e alla ricezione di queste opere nella storiografia del primo Novecento larticolo di
Gianpaolo Angelini, Altari lignei in Valtellina di evidente influenza tedesca: Guglielmo Aurini e
la riscoperta della scultura lignea dOltralpe in provincia di Sondrio, in Pulchrum. Studi in onore
di Laura Meli Bassi, a cura di Augusta Corbellini, Sondrio 2009, pp. 237-252.
Sui secondi la documentazione fotografica pi ampia resta quella di Walter Hugelshofer, Altari ad
intaglio dorigine tedesca nel Cantone Ticino e altari della Madonna del Sasso e di Ascona, Milano 1927.
Il materiale da questi raccolto va ora integrato grazie ai recenti studi di Claudia Gaggetta, che affrontano
finalmente in modo sistematico le numerose problematiche legate a queste presenze forestiere in
Ticino (morfologia, iconografia, attribuzione, committenza e ricezione): Altari a sportelli di origine
tedesca in Ticino, in La nube dei testimoni. Santi in Ticino: arte, fede e iconografia, catalogo della
mostra (Mendrisio, Museo darte 2014), a cura di Angelo Crivelli, Lugano 2014, pp. 120-134.
Quanto agli ultimi il contributo pi specifico Angela Guglielmetti, Alcune sculture lignee svizzero-tedesche in alta Valle Ossola e nellarco alpino occidentale, in La scultura lignea
nellarco alpino [n. 39]; mentre la migliore documentazione fotografica si trova in Angela Guglielmetti, Scultura lignea nella diocesi di Novara tra 400 e 500, Novara 2000, soprattutto pp. 51-56.
67.Cos si firma sullaltare di Santa Croce in Piuro. Cfr. Guido Scaramellini, scheda in Legni
Sacri e Preziosi [n.66], p.60.
68.Il primo perduto, la seconda ora al Museo del Tesoro di Chiavenna.
69.Vedi Susanne Buder, Kunstwissenschaft und Technologie, Uni Nova, 88 (2001), pp.56-57.
70.Erika Kustatscher, Michael Pacher nei documenti, in Michael Pacher e la sua cerchia,
catalogo della mostra (Novacella, Abbazia agostiniana 1998), a cura di Artur Rosenauer, Bolzano
1998, pp. 306-314: p. 307, doc. 7; p. 310, docc. 34-35.

Sculture oltremontane nella Lombardia del Quattro e Cinquecento

147

Non bisogna quindi essere troppo manichei nella distinzione tra artisti itineranti
e artisti stanziali: come si appena visto, anche gli scultori che avevano una bottega e una cittadinanza stabili potevano muoversi per periodi pi o meno lunghi,
con lo scopo di curare i propri interessi commerciali o di accompagnare unopera
da installare personalmente.
Inoltre, certo che gli artisti potevano anche muoversi nella speranza di
trovare nuovi committenti, soprattutto quando cera bonaccia nel loro paese di
residenza. Ad esempio, sempre ricollegandoci al medesimo scultore, nel 1481 vediamo il vescovo di Bressanone scrivere al giudice della citt per preannunciargli
che Pacher lo verr a visitare in cerca di commesse.71 Forse, questo importante
pittore e intagliatore non ha limitato il suo campo dazione al Tirolo e al Salisburghese: oltre agli echi italiani ravvisabili in alcune sue opere, esistono vari indizi
che hanno suggerito agli storici dellarte di supporre un suo viaggio nella Pianura
Padana (di solito per immaginato nel decennio precedente).
Quali sono le evidenze documentarie che lasciano spazio a unipotesi milanese?
Sappiamo che nel 1473 Bartolomeo Gadio, in una lettera a Galeazzo Maria Sforza, si lamenta della scarsa presenza di validi intagliatori nella Milano
dellepoca: si tratta di una situazione che ostacola i lavori nella grandiosa cappella delle reliquie del castello di Pavia ( lui stesso a sottolineare il problema);72
quindi certo che in quegli anni la corte era alla ricerca di nuovi maestri da
impiegare nel cantiere, poco importa se stranieri. Al contrario, lo stesso duca
a dimostrarsi particolarmente ben disposto verso gli artisti transalpini in almeno
tre occasioni, due delle quali datate: nel 1472 quando ordina a Giovanni Simonetta di andare a trovare un todesco (ospite di Sforza Secondo, suo fratellastro)
che possiede una Maestate molto bella, per convincerlo a portargli di persona
questopera a Pavia; e nel 1475/6 quando accoglie il ginevrino Zohanni de Savii
depintore (probabilmente Hans Witz), dal quale ottiene unaltra Maest.73 Un documento recentemente scoperto e valorizzato da Carlo Cairati ci mostra poi un
Michele dAllamania, maestro dintaglio, intento a presentare una supplica al
duca per farsi pagare le spese di un viaggio alla volta di Roma: come opportunamente segnalato dallo studioso possibile che si tratti dello stesso tedesco del
1472, a maggior ragione visto che lartista afferma di avergli donato proprio una
Maest.74 Il documento non datato, ma non pu essere successivo al 1476 (anno
71.Ibidem, p.308, doc. 16.
72.Casciaro, Scultura lignea lombarda [n. 61], p.12.
73.Il duca lo accoglie solo momentaneamente, perch a ospitarlo in Lombardia Branda Castiglione minor (pronipote dellomonimo gi citato): lui che lha conosciuto a Ginevra durante un
viaggio diplomatico. Il nome riportato dai documenti probabilmente la traduzione etimologica del
tedesco Witz. Cfr. Evelyn Welch. Un artista di Ginevra nella casa di Branda Castiglioni, vescovo di
Como, Arte Lombarda, 70/71 (1984), 3/4, pp.156-158. Sulla controversa identificazione con Hans
Witz e sul Cristo di Chiaravalle si veda il contributo di Stefania Buganza nel presente volume.
74.Rimandiamo al suo contributo in questo volume anche per la bibliografia precedente sul
problema dei rapporti tra Pacher e la Lombardia.

148

Marco Rossati

dellassassinio del duca): non sono molti i mecenati romani che in questi anni
sembrano essersi interessati alla scultura doltralpe e, anche per questo, verrebbe
spontaneo chiedersi se il viaggio romano dellartista non sia forse da mettere in
relazione con il Giubileo del 1475 (ad esempio, anche Van der Weyden aveva
visitato lUrbe per lo stesso motivo un quarto di secolo prima).
Infine, nel 1476, attestato a Genova un Michael de Alemania intaliator
figurarum, che Piero Donati propone di identificare con il Pacher.75
Che cosa possiamo concludere da questa serie di documenti? Se vero che non
ci nota alcuna traccia materiale di unattivit pacheriana a Milano, Pavia o Genova, anche certo che gli indizi attorno a questa possibilit sembrano diversi.76
A questo proposito bisogna in effetti riconoscere che, quando si scende al di
sotto di una certa quota, le testimonianze di scultura florida tedesca si fanno abbastanza rare: ovviamente molto deve essere andato perduto, ma resta comunque
limpressione che queste fiorenti botteghe del Tirolo o del Sud della Germania
siano riuscite ad esportare i loro manufatti soprattutto verso il resto del deutschsprachiger Raum, i paesi slavi e larco alpino, mentre abbiano riscosso meno successo nella Pianura Padana (oltre che ad ovest, verso la Francia). Se provassimo
a confrontare la situazione vista nel ducato di Milano con quella delle cosiddette
Venezie potremmo scorgere dei paralleli abbastanza significativi: ad esempio,
alla stessa latitudine di Canton Ticino, Valtellina e Valchiavenna troviamo nel
Nord Est Trento e Belluno; nella loro area (per quanto indipendente dal Tirolo,
italofona e non lontana da quel poderoso centro desportazione che fu Venezia)
il modello deutsch sembra in questo periodo quasi sempre prevalere su quello
welsch, o almeno tenergli testa, soprattutto per quanto riguarda la scultura.77 Man
75.Piero Donati, Per un atlante dellantica scultura lignea in Liguria, in La sacra selva
[n.60], pp.25-42: p.34.
76.Lunica eccezione, con cui ci possiamo in parte consolare evocando la sua lezione, la
pi tarda cappella di Lovere sul Lago dIseo, dipinta nel 1494 da un artista di chiara cultura tirolesepacheriana (fig. 8). Di recente stata proposta, dubitativamente, unidentificazione con Simone da
Tesido; cfr. Silvia Spada Pintarelli, Quattro- e Cinquecento e la sfortuna di chiamarsi Pacher, in
Domenicani a Bolzano, a cura di Silvia Spada Pintarelli, Bolzano 2010, pp. 192-211: pp. 201-205
77.Sulla contrapposizione welsch vs. deutsch si rimanda naturalmente a Baxandall, Scultori
in legno [n. 63], pp. 175-184, e al pi specifico e recente contributo di Thomas Weser, Knstlich
auf welsch und deutschen Sitten: Italianismus als Stilkriterium fr die deutsche Skulptur zwischen
1500 und 1550, in Deutschland und Italien in ihren wechselseitigen Beziehungen whrend der
Renaissance, atti del convegno (Wolfenbttel 1998), a cura di Bodo Guthmller, Wiesbaden 2000,
pp. 319-361. Sullidea di frontiera nella storia dellarte e sulle Alpi come crocevia si rimanda naturalmente agli imprescindibili studi di Enrico Castelnuovo: La cattedrale tascabile, Livorno 2000,
pp. 15-66; Lautunno del Medioevo nelle Alpi, in Il Gotico nelle Alpi [n. 40], pp. 16-33 (con
bibliografia precedente). Nello stesso catalogo risulta particolarmente utile per il nostro tema il saggio di Laura Cavazzini, Tra Fiandra, Francia e Valle Padana, pp. 186-199 (insieme alla sezione
Viaggi di opere, viaggi di artisti, pp. 555-581).
Sulla scultura lignea nellarco alpino si rimanda al gi citato La scultura lignea nellarco alpino
[n.39]; in particolare la situazione del Trentino e del Veneto settentrionale stata indagata approfonditamente nei volumi: Imago lignea. Sculture lignee nel Trentino dal XIII al XVI secolo, a cura di Enrico
Castelnuovo, Trento 1989; A nord di Venezia. Scultura e pittura nelle vallate dolomitiche tra Gotico e

Sculture oltremontane nella Lombardia del Quattro e Cinquecento

149

mano che si scende a valle alla latitudine di Treviso, Vicenza e Verona i rapporti
invece si ribaltano e le presenze tedesche si fanno pi sporadiche, come del resto
succede anche al livello di citt quali Milano, Brescia o Bergamo.78
Rinascimento, catalogo della mostra (Belluno, Palazzo Crepadona 2004), a cura di Anna Maria Spiazzi,
Cinisello Balsamo 2004.
78.Naturalmente lo stesso discorso vale anche per la pittura. Questi sono i casi pi eclatanti
conservati nel nord Italia: lAnnunciazione di Santa Maria di Castello a Genova, firmata nel 1451
da Giusto di Ravensburg (insieme agli altri affreschi oltremontani dello stesso complesso); il Cristo
davanti a Pilato dellabbazia di Chiaravalle, probabilmente frutto del gi citato soggiorno milanese di
Hans Witz (vedi nota 73); la cappella di Lovere (1494, vedi nota 66). Si noti che in tutti e tre i casi si
tratta di affreschi: il loro stile prettamente nordico dimostra quindi la presenza di un maestro oltremontano in loco. Conosciamo anche alcuni pittori tedeschi/austriaci che, trasferitisi in Italia, si adeguano
al linguaggio locale, conservando ben poche tracce delle loro origini: si pensi a Giovanni dAlemagna
a Venezia (collaboratore e cognato di Antonio Vivarini) o Pietro Alamanno nelle Marche. appena il
caso di ricordare che tra fine Quattro e primo Cinquecento varcheranno le Alpi due grandissimi pittori
come Drer e Holbein, ma rispetto ai casi precedenti la loro esperienza italiana si porr soprattutto
come un viaggio di studio. Un discorso a parte, poi, meriterebbero le vetrate (vedi il contributo di
Stefania Buganza in questo volume). Invece, per quanto riguarda la scultura della seconda met del
XV secolo, a sud dellarco alpino vanno citati almeno questi casi di opere indiscutibilmente tedesche,
ancora conservate (un elenco di sicuro destinato a crescere): i crocifissi teutonici e i Vesperbilder,
la cui fortuna continuer soprattutto sul versante orientale della penisola (la linea patetica cui abbiamo gi accennato); la Madonna dei burattini di Bologna (San Giovanni Battista dei Celestini), ante
1452; lo Straburger Frari-Meister che nel 1468 lavora al coro della basilica veneziana, cui forse va
ricollegata anche la Madonna dellaltarolo ora al Wadsworth Atheneum di Hartford (Connecticut); lo
Johannes biomen theatonicus delubec (di Lubecca?) che nel 1476 firma lIncoronazione nella
lunetta di Santa Maria Maggiore a Caramanico (Pescara); le sculture di area napoletana raccolte attorno al Presepe proveniente da San Giovanni a Carbonara, terminato nel 1484 da Pietro e Giovanni
Alamanno (ora al Museo della Certosa di San Martino); il Corrado Teutonico, abitante di Cingoli, che
realizza la cornice e gli stalli della collegiata di Arcevia (1490); il portale del chiostro nellabbazia
di Santa Scolastica a Subiaco e le edicole a forma di Halbciborium ora nella chiesa di San Rocco a
Guardiagrele (entrambi di datazione incerta); scollinando nel nuovo secolo abbiamo la SantAnna
Metterza e il Crocifisso del Campo Santo Teutonico in Vaticano, e il celebre San Rocco di Veit Stoss
allAnnunziata di Firenze, ammirato da Vasari con il nome di Janni Franzese (cui forse va collegato
anche il Crocifisso di Ognissanti). Come gi osservato per lambito lombardo, anche nel resto dItalia
si incontrano soprattutto opere di scultura lignea, diversamente da quanto era successo nella prima met
del secolo. Sui crocifissi il riferimento pi ovvio Margrit Lisner, Deutsche Holzkruzifixe des 15. Jahrhunderts in Italien, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, 9 (1959/60 [1960]),
3/4, pp.159-206. Sulla diffusione del Vesperbild in Italia il saggio pi completo resta quello di Werner
Krte, Deutsche Vesperbilder in Italien, in Rmisches Jahrbuch fr Kunstgeschichte, 1 (1937), pp.
1-138. Il gruppo di opere collegabili al Frari-Meister discusso, insieme a molti altri casi, in Ulrich
Sding, Austria iam genuit qui sic opus edidit: Bildhauer und Bildschnitzer der Sptgotik als Wanderknstler in Italien, in Docta Manus. Studien zur italienischen Skulptur fr Joachim Poeschke, a
cura di Johannes Myssok, Jrgen Wiener, Mnster 2007. Pur essendo incentrato soprattutto sugli artisti tedeschi tardogotici, si tratta di uno dei pochi contributi che provano a raccogliere casi diversi e non
sempre vicini tra loro, per valutarli in una prospettiva geografica pi ampia. La splendida Madonna
dei burattini stata invece pubblicata da Massimo Ferretti, Dalla cartella Geografia della scultura lignea nel Quattrocento, in Conosco un ottimo storico dellarte. Per Enrico Castelnuovo.
Scritti di allievi e amici pisani, a cura di Maria Monica Donato, Pisa 2012, pp. 197-206. Su Stoss e
le sue opere collegate a Firenze il contributo pi recente Ingrid Ciulisov, Stoss, Callimachus and
Florence, Ars, 42 (2009), 1, pp. 34-46 (con bibliografia precedente). Per larea adriatica, tra Marche
ed Abruzzo, si veda Paolo Sanvito, Artisti transalpini itineranti nellarea adriatica: alcune questioni

150

Marco Rossati

Proprio in questultima incontriamo un caso che si presta particolarmente bene a


dimostrare leffetto del cosiddetto sistema delle attese sulla dinamica committenteartista, e quindi anche la diversa temperatura di due citt, poste su paralleli differenti (non solo geografici, ma anche culturali). Poco prima dellanno 1500 il norimberghese Sisto Frei si trova a Bergamo per realizzare in legno dorato il monumento
equestre da collocare sulla tomba di Bartolomeo Colleoni (fig. 9): ne risulta unopera
abbastanza rigida e impacciata, che delude a tal punto i committenti da determinare
una lunga disputa legale sulla retribuzione da pagare allartista.79 Ciononostante essa
assume per noi un valore particolare, perch mostra uno scultore tedesco alle prese
con un compito per lui piuttosto inconsueto, quello di uniformarsi al modello eroico tipicamente italiano del condottiero che incede sul suo destriero vittorioso.
Ma la cosa pi interessante soprattutto unaltra: pochi anni dopo lo stesso Sisto Frei
documentato a Trento (almeno dal 1508)80 ed a lui che viene verosimilmente riferito il gruppo con la Crocifissione tra Maria e San Giovanni nel duomo (fig. 10-11).
In questopera lartista non deve pi simulare alcun afflato umanistico e pu invece
dare libero sfogo a tutto il patetismo e lemotivit che la sua formazione nordica gli
aveva insegnato a trasmettere: nel Cristo sofferente il dolore deforma i tratti del volto e i piedi si incrociano in una contrazione quasi grnewaldiana;81 mentre in Maria
ancora aperte, in Universitates e baronie, atti del convegno (Guardiagrele-Chieti 2006), a cura di Pio
Francesco Pistilli, Francesca Manzari, Gaetano Curzi, 2 voll., Pescara 2008, I, pp. 191-212. Pi specifico sulle Marche meridionali il saggio di Giorgia Corso, Il frontespizio tardogotico e le presenze
oltremontane nelle Marche meridionali, in La chiesa collegiata di San Ginesio, San Ginesio 2012,
pp. 123-157 (incentrato su due casi anteriori alla met del secolo: il bavarese Enrico de Japicho, che
nel 1421 realizza il coronamento della facciata nella collegiata di San Ginesio, Macerata; e la lunetta
del portale di Santa Maria di Piazza Alta a Sarnano). SullAbruzzo si veda ancora Benati, Presenze
tedesche [n. 4] . Per Roma e il Lazio si veda Michael Rohlmann, Antigisch art Alemannico more
composita. Deutsche Knstler, Kunst und Auftraggeber im Rom der Renaissance, in Deutsche Handwerker, Knstler und Gelehrte im Rom der Renaissance, atti del convegno (Roma 1999), a cura di
Stephan Fssel, Klaus Vogel, Wiesbaden 2001, pp. 101-180. Per larea napoletana si vedano le note
conclusive di Ida Maietta, Scultori lombardi a Napoli tra Quattrocento e Cinquecento: aggiunte a
Pietro Belverte, in Scultori e intagliatori del legno in Lombardia nel Rinascimento, a cura di Daniele
Pescarmona, Milano 2002, pp. 84-103: pp. 101-102 (cui si rimanda per la bibliografia precedente).
79.Lunico contributo propriamente monografico su questo artista Gianfranco Bortolotti,
Sisto Frei scultore (notizie 1500-1515), Arte veneta, 41 (1987 [1988]), pp.176-184.
80.Nel 1508 un Sixtus Barbatus infatti citato allinterno di un gruppo di intagliatores
lignorum che devono effettuare una perizia. Nel 1511 il nostro artista poi citato in modo ancor
pi inequivocabile in un contratto daffitto: locatio [] Sixti alemani lignorum incisoris seu scultoris Tridenti habitatoris. Vedi il pi recente contributo consacrato allattivit trentina di questo
scultore: Laura Dal Pra, scheda in Rinascimento e passione per lantico, catalogo della mostra
(Trento, Castello del Buonconsiglio 2008), a cura di Andrea Bacchi, Laura Giacomelli, Trento
2008, pp.598-605, con bibliografia precedente.
81.Pensiamo ad esempio al Cristo in croce di Basilea (Kunstmuseum, 1500-1508): in entrambe le opere i piedi incrociano le loro direzioni e si sovrappongono allaltezza del collo, lasciando
cos sporgere le punte. Tale scelta permette ai due artisti di riservare una cura particolare alla rappresentazione delle dita: queste tendono quasi ad allargarsi e vengono definite, se non separate, con
una precisione e unevidenza particolarmente espressive. Naturalmente non intendiamo sostenere
che Frei sia stato a Basilea, n che questa sia unidea esclusivamente grnewaldiana. Semplicemente troviamo interessante che, pi o meno negli stessi anni in cui il pittore di Wrzburg realizzava i

Sculture oltremontane nella Lombardia del Quattro e Cinquecento

151

e San Giovanni la fisicit del corpo umano scompare dietro una cascata di panneggi
accartocciati e dorati, per riaffiorare solo nel calligrafico effetto dei boccoli del santo
o nei volti lacrimosi, corrucciati da una smorfia patetica.
molto probabile che il ritorno di Sisto Frei in una citt pi vicina alle sue origini non sia stato casuale. Per quanto in un contesto italofono, a Trento gli sarebbe
senza dubbio riuscito pi facile soddisfare i desideri della committenza: dato che
nella maggior parte delle opere darte locali risuonava un evidente accento tedesco, questo milieu risultava sicuramente pi congeniale alla sua formazione.
La maggioranza dei casi che abbiamo trattato sino ad ora riguarda artisti tedeschi, attivi soprattutto sullarco alpino o nel sud della Germania. Nella
seconda met del secolo, invece, vediamo farsi strada anche un altro modello
nordico, affine, ma assolutamente non identico al precedente: quello dei Paesi Bassi, che di certo non si limitarono a spedire solo arazzi, cio la tipologia
artistica di cui rimasero a lungo il principale produttore ed esportatore europeo.
Gi da qualche decennio limpressionante rivoluzione della pittura eyckiana
aveva progressivamente conquistato larghe porzioni dEuropa e lItalia non era
rimasta affatto ai margini di questo processo; anzi, i mecenati delle nostre corti si erano rivelati tra i migliori clienti dei grandi maestri attivi tra Bruges e
Bruxelles.82 A livello di committenza ducale innegabile che una simile fascinazione per lars nova abbia attraversato anche Milano: sono celebri le lettere
con cui Bianca Maria Visconti raccomanda a Van der Weyden il suo pittore di
corte Zanetto Bugatto, trasferitosi a Bruxelles dal 1460 al 1463 per una sorta
di soggiorno di studio.83 Inoltre possediamo menzioni di pitture fiamminghe
suoi capolavori, il nostro scultore abbia ripreso e portato al parossismo una tradizione schiettamente
tedesca, che con il tempo aveva assunto forme sempre pi miti: non sono tantissimi i casi in cui
entrambe le punte sporgono in una maniera cos pronunciata come a Trento, e se guardiamo ai crocifissi di Johannes Teutonicus, noteremo che i piedi si sovrappongono in modo molto pi composto,
e si conferisce raramente alle dita quellimpressione cos ossuta ed urtante.
82.Per un inquadramento generale sulla fortuna della pittura fiamminga nelle varie corti della
penisola ancora utile il volume di Liana Castelfranchi Vegas, Italia e Fiandra nella pittura del
Quattrocento, Milano 1983. Un catalogo delle attuali sopravvivenze offerto da Licia Collobi
Ragghianti, Dipinti fiamminghi in Italia 1420-1570, Bologna 1990. Per studi pi aggiornati si deve
guardare alla bibliografia dei singoli contesti regionali; ci limitiamo a segnalare per Firenze: Firenze e gli antichi Paesi Bassi. 1430-1530, catalogo della mostra (Firenze, Palazzo Pitti 2008), a
cura di Bert Meijer, Livorno 2008; e per il Veneto: Maddalena Bellavitis, Telle depente forestiere.
Quadri nordici nel Veneto, Padova 2010 (entrambi con bibliografia precedente).
83.Pi precisamente si conoscono due lettere della duchessa Bianca Maria, la prima rivolta
al duca Filippo (1460) e la seconda direttamente a Van der Weyden, come ringraziamento (1463).
Il testo originale stato pubblicato, insieme ad altre lettere che dimostrano laffezione nutrita per
Zanetto dai suoi signori, in Francesco Malaguzzi Valeri, Pittori lombardi del 400, Milano 1902,
pp. 126-127. Sappiamo anche dellesistenza di altre tre lettere di raccomandazione inviate al delfino
di Francia, al duca di Borgogna e al duca di Clves da Sforza Secondo Sforza (figlio illegittimo
del duca Francesco): di queste non possediamo il testo, ma lo stesso mittente a citarle in unaltra
lettera scritta al padre per discolparsi dallaccusa di tradimento (1461). Cfr. Maria Grazia Albertini
Ottolenghi, Zanetto Bugatto nel 1461 e Sforza Secondo Sforza, in Itinerari darte in Lombardia
dal XIII al XX secolo. Scritti offerti a Maria Teresa Binaghi Olivari, a cura di Matteo Ceriana,
Fernando Mazzocca, Milano 1998, pp. 67-71. Per la bibliografia relativa a Zanetto Bugatto si veda

152

Marco Rossati

nelle descrizioni di chiese e collezioni milanesi84 ed esistono alcune opere, probabilmente lombarde, che riecheggiano modelli dellars nova (una di queste
la trascrizione a colori della grisaille sinistra che chiude il trittico realizzato
dalla bottega di Van der Weyden per gli Sforza di Pesaro).85 Ciononostante resta
comunque la sensazione che larrivo di pittura fiamminga a Milano sia stato
pi elitario e meno massiccio che in altre citt della penisola, quali ad esempio
Firenze (a meno di non pensare che in Lombardia la sfortuna si sia accanita su
queste opere con maggior successo che altrove).86
Se malauguratamente non si conserva alcun (ipotetico) Trittico Portinari in
Lombardia, possiamo dirci un po pi fortunati per quanto riguarda la scultura.
Nel Quattrocento e soprattutto a inizio Cinquecento Bruxelles, Malines e Anversa
vedono un boom dellintaglio in legno: un po come era avvenuto per gli arazzi, i
fastosissimi altari gotici brabantini ottengono tanto successo da diventare presto
un tipico prodotto da esportazione. Molto spesso essi sono pi piccoli della media
di quelli tedeschi, e anche molto pi seriali (non per niente conosciamo ben di
rado i nomi degli artisti, e il pi delle volte la critica abdica al tentativo di raccoglierli per corpora sotto nomi convenzionali); ma quel che pi conta che questi
polittici sono molto pi facili da modulare, perch suddivisi in tanti pannelli
pi piccoli, quasi sempre sovraccarichi di figurine molto minute, e quasi mai
composti da sculture di grandi dimensioni, come succede invece nelle opere dei
loro concorrenti pi meridionali. Proprio per queste ragioni vengono talvolta lavorati on spec87 e acquistati da mercanti o venduti in occasione delle fiere, per poi
essere esportati un po in tutta Europa, senza obbligare lintagliatore brabantino a
seguire la propria opera fino a destinazione (mentre, per la ragione opposta, artisti
e altari tedeschi sembrano spostarsi pi difficilmente oltre una certa distanza).88
il contributo di Federico Cavalieri nel presente volume. Lutilizzo dellespressione ars nova per
definire la pittura fiamminga del XV secolo risale a Erwin Panofksy, Early Netherlandish Painting:
Its Origins and Character, Cambridge (Mass.) 1953.
84.Ad esempio vedi Rossana Sacchi, Il disegno incompiuto. La politica artistica di Francesco II Sforza, 2 voll., Milano 2005, I, p.314. Una serie di altri casi raccolta da Carlo Cairati nel
presente volume.
85. il San Girolamo dellAccademia Carrara, presente nella collezione Lochis a Bergamo
dal 1850 circa (non per sicura lorigine del pittore e tantomeno la presenza dellopera ab antiquo
in area lombarda). Il Trittico Sforza della bottega di Van der Weyden invece tornato nella sua terra
di origine: si trova infatti a Bruxelles, MRBA. Per un altro caso di possibile presenza weydeniana
in Lombardia vedi Federico Zeri, La probabile origine lombarda di un dipinto della cerchia di Van
der Weyden, Paragone, XXXVII, 435 (maggio 1986), pp.13-16.
86.Non siamo naturalmente i primi a notare che poco numerose sono le presenze documentate ab
antiquo di opere fiamminghe nel capoluogo lombardo. Albertini Ottolenghi, Zanetto Bugatto [n.83],
p.70. Anche leco dei modelli ponentini sulla pittura locale sembra essere meno precoce e folgorante che
altrove, e non si pu non riconoscere che questa ricaduta si presenti quasi sempre in forme meno dirette,
spesso visibilmente filtrata attraverso la mediazione via Pavia di Genova e dellarte ligure.
87.Quindi senza avere la garanzia di un committente, ma confidando di riuscire comunque a
venderli, dato il loro duraturo successo sul mercato.
88.Sulla commercializzazione ed esportazione degli altari brabantini e sul sistema delle fiere
(dette panden) vedi Lynn Jacobs, Early Netherlandish carved altarpieces (1380-1550), Medieval
Tastes and Mass Marketing, Cambridge 1998, pp.192-208 e Roland Op de Beeck, Aspects co-

Sculture oltremontane nella Lombardia del Quattro e Cinquecento

153

In Italia questo tipo di opere sembra conoscere un certo successo quasi esclusivamente nel Nord-Ovest: tra Liguria e Piemonte si trovavano almeno quattro
esemplari (ancora esistenti), tutti di grande qualit.89 Per quanto riguarda lattuale
Lombardia si conservano invece due pale importanti: quella di San Nazaro in
Brolo a Milano (originariamente in un sacello della vecchia chiesa di Santa Caterina) e quella proveniente dalla parrocchiale di San Giorgio ad Annone Brianza,
ora al Museo Diocesano di Milano.
La prima (fig. 12; tav. VIII) va collegata al lascito testamentario di Protasio
Bonsignori Busti, un mercante milanese attivo soprattutto in Germania, particolarmente bibliofilo e sensibile al mondo dellarte: come ci informa una lapide non
lontana dallaltare questi mor nel 1510. Si tratta di unopera straordinaria sotto
molti punti di vista, ma nonostante questo stata trascurata dalla critica italiana
per quasi un secolo: in assenza di uno studio specifico si sedimentata lopinione
(risalente a fine 800) che si trattasse di una realizzazione tedesca, se non addirittura tirolese.90 Si dovuto aspettare il convegno ginevrino del 2013 perch lopera
venisse riportata allattenzione degli studiosi, e perch Carlo Cairati, acutamente,
proponesse un giusto confronto con lepitaffio Croy, realizzato in Brabante nel
II decennio del secolo (Schatzkammer del duomo di Colonia).91 Per motivi di
spazio preferiamo destinare ad unaltra sede la discussione di questopera e delle sue numerose peculiarit, molto rilevanti dal punto di vista della morfologia,
delle dimensioni, dello stile e della cronologia. Sono tutti elementi che rendono
questo altare particolarmente eccezionale e prezioso per la storia della scultura
nei Paesi Bassi; forse sono anche gli stessi che hanno ostacolato per lungo tempo
nomiques de la production des retables du gothique tardif, in Marjan Buyle, Christine Vanthillo,
Retables flamands et brabanons dans les monuments belges, Bruxelles 2000, pp.63-78.
89.Polittico Villa-Solaro per San Domenico a Chieri (ca. 1470, ora Bruxelles, MRAH);
polittico Pensa di Mondov (inizi XVI, ora Bruxelles, Muse de la Ville de Bruxelles); Testana
dAvegno, chiesa di Santa Caterina (1515-1520 ca.); polittico di Giovanni Ludovico di Saluzzo per
labbazia di Staffarda (ca. 1530, ora Torino, Museo Civico), che lunico realizzato ad Anversa, e
non a Bruxelles. Forse era pi difficile conquistare il mercato del versante adriatico, visto che era
gi dominato dalla produzione/esportazione di altari alla veneta? Sui primi due casi si vedano le
schede di Ria De Boodt, in Miroirs du sacr. Les retables sculpts Bruxelles XVe - XVIe sicles, a
cura di Brigitte DHainaut-Zveny, Bruxelles 2005, pp. 165-9, che rimane il catalogo scientifico pi
completo sui polittici di Bruxelles, conservati sia in Belgio che allestero (da integrare con Ria De
Boodt, Ulrich Schfer, Vlaamse retabels. Een internationale reis langs laatmiddeleeuws beeldsnij
werk, Leuven 2007). Su quello di Testana si veda la scheda di Gianluca Zanelli in La sacra selva
[n.60], pp. 222-225. Per quello di Staffarda si legga la scheda di Guido Gentile, Gotico sulle vie di
Francia. Opere dal Museo Civico di Torino, catalogo della mostra (Siena, Santa Maria della Scala
2002), a cura di Enrica Pagella, Siena 2002, pp. 154-5. Lopera curiosamente ignota agli studi pi
specifici sui polittici dAnversa: per questi si vedano i due volumi Antwerpse retabels. 15de -16de
eeuw, catalogo della mostra (Anversa, Cattedrale 1993), a cura di Hans Nieuwdorp, Antwerpen
1993 (il primo volume, Catalogue, esiste anche in francese; il secondo, Essays, solo trilingue).
90.Giuseppe Mongeri, Larte in Milano, Milano 1872, p.258.
91.La sua ipotesi stata prontamente presentata gi in sede di convegno: allepoca non ci
era ancora stato possibile studiare lopera, n direttamente, n su buone riproduzioni; ora, invece,
possiamo affermare di condividere in pieno questidea. Per i dettagli della sua proposta (e per la
bibliografia relativa) si veda il contributo da lui scritto in questo volume.

154

Marco Rossati

il riconoscimento della sua provenienza. Ci limitiamo qui ad anticipare qualche


conclusione (pi o meno provvisoria): non impossibile che questa pala sia stata
acquistata o commissionata in Germania (cos potrebbero in effetti suggerire alcune delle sue particolarit); nonostante questo siamo sostanzialmente convinti di
trovaci davanti alla prima opera dal punto di vista cronologico o alla seconda
dal punto di vista dimensionale collocabile con sicurezza nellesiguo corpus
del Maestro di Lombeek, ossia una delle vette toccate dalla scultura nei Paesi
Bassi dellepoca: the most outstanding master after Borman (fig. 13).92
Il secondo (e ultimo) polittico nederlandese conservato in Lombardia quello di Annone in Brianza (fig. 14): si tratta di unopera meno problematica della
pala di San Nazaro e proprio per questo ha goduto di una fortuna critica decisamente maggiore della precedente, soprattutto da quando, nel 2000, stata trasportata a Milano per entrare nel nuovo Museo Diocesano.
Ci troviamo qui di fronte a un polittico realizzato ad Anversa (non pi a
Bruxelles), frutto di quella poderosa produzione, fiorita grosso modo tra il II e
lVIII decennio del secolo XVI, che port la pi grande citt portuale dei Paesi
Bassi a esportare centinaia di questi manufatti in gran parte dEuropa, soprattutto
settentrionale. Data levidenza dei dati di morfologia, iconografia e stile, la critica
ha incontrato relativamente poca difficolt a riconoscerne i caratteri, tanto che
gi nel 1978 la Binaghi Olivari ha proposto un inquadramento piuttosto preciso accanto agli esemplari di Bouvignes (in Belgio) e Roskilde (Danimarca):93
ne conseguirebbe una datazione attorno al 1560, che del resto perfettamente
in linea con la biografia del mecenate che lha acquistato (o commissionato?).
quindi evidente che si tratta di unopera successiva alla fine del ducato sforzesco,
alla quale vogliamo accennare per tentare un confronto sulle dinamiche della
committenza, e per gettare uno sguardo sullevoluzione della geografia artistica.
Senza dubbio la scelta di Giovanni Andrea Annoni, nobile milanese, doveva
apparire inusuale a molti suoi contemporanei, per tutta una serie di motivi. Prima
di tutto bisogna riconoscere che, a quellaltezza cronologica, la soluzione del
grande polittico ligneo scolpito (di qualunque provenienza fosse) era ormai divenuta rara quasi ovunque. Dopo la lettera scritta dal Gadio nel 1473 la Lombardia
aveva in effetti visto uno sviluppo senza precedenti (qualitativi e quantitativi)
della scultura in legno: questo periodo di fioritura era durato grosso modo sino
al IV decennio del secolo XVI.94 LAnnoni aveva sicuramente fatto in tempo a
92.Gert von der Osten, Horst Vey, Painting and Sculpture in Germany and the Netherlands:
1500 to 1600, Harmondsworth 1969, p.58.
93.Maria Teresa Binaghi Olivari, Annone Brianza: il polittico anversese nella chiesa di San
Giorgio, in Scultori e intagliatori del legno in Lombardia nel Rinascimento, a cura di Daniele
Pescarmona, Milano 2002, pp.200-219 (con bibliografia precedente). Si tratta senza dubbio del
contributo fondamentale sullopera, che mi sembra invece ignorata dalla storiografia nordeuropea
sui polittici di Anversa.
94.Su questa eccezionale fioritura, che la critica ha opportunamente rivalutato da almeno un
paio di decenni, il volume pi completo e meglio illustrato resta quello di Casciaro, Scultura lignea
lombarda [n. 61].

Sculture oltremontane nella Lombardia del Quattro e Cinquecento

155

vivere almeno lultima parte di questa stagione:95 ad esempio, la grande ancona di


Giovan Angelo del Maino ad Ardenno era stata collocata nel 1540, mentre le sue
ante dipinte sarebbero state consegnate solo nel 1552.96 Una generazione prima
della morte del nostro mecenate, nellarea tra Como e la Valtellina, era in effetti
ancora piuttosto comune ammirare (e commissionare) grandi pale lignee dorate,
anche istoriate.97 vero, per, che verso la met del secolo questepoca si era
chiusa abbastanza bruscamente (per varie ragioni, tra cui, naturalmente, anche la
Controriforma): dal nostro punto di vista questo momento segna linizio di una
zona dombra nella storia dellaltare ligneo, che riprender con rinnovato vigore
solo in et barocca. un fenomeno che in effetti interessa varie regioni dEuropa:
anche la grande stagione della scultura florida tedesca (che sembrava quasi destinata a non finire mai, tanto era vitale) si era gi esaurita, grosso modo allinizio
del IV decennio, in parte per lavvento della Riforma, ma soprattutto a causa di
unimprovvisa sfortuna del polittico ligneo scolpito, anche in molti stati cattolici.
vero che nella penisola iberica questa tradizione non si era mai interrotta,
tanto che il retablo spagnolo sarebbe passato dalla sua stagione rinascimentalemanierista a quella barocca, quasi senza soluzione di continuit: il contesto iberico, per, non aveva mai brillato per esportazione di artisti e di opere (anzi per la
maggior parte della sua storia era invece stato terra di conquista degli stranieri
di tutta Europa). Al contrario, da quasi un secolo i Paesi Bassi avevano quasi monopolizzato, proprio con linvio di polittici del genere, un mercato che andava da
Tallinn alle Canarie: per questa produzione la zona dombra sarebbe iniziata solo
qualche decennio pi tardi. vero, daltra parte, che gli esemplari visibili in Italia
erano meno numerosi, e che il loro arrivo si era probabilmente interrotto prima che
altrove (essendosi concentrato grosso modo tra il 1470 e il 1530, anno dellunico
altro caso noto di polittico anversese, quello di Staffarda); ma il rischio di sembrare
poco ortodosso, esterofilo o fuori dal suo tempo non doveva certo spaventare
un committente come lAnnoni. Dalla sua biografia sappiamo che fece parte della
Congregazione di Santa Corona, i cui confratelli partecipavano di uninquieta ricerca di verit che aveva una storia quasi secolare e costantemente filo-francese;98
e sembra difficilmente una coincidenza che proprio lui sia stato il probabile donatore al duomo di Milano di unopera come il Candelabro Trivulzio: senza dubbio
un capolavoro assoluto, ma realizzato almeno quattro secoli prima, in piena et
medievale, probabilmente in Francia.99
95.Non conosciamo la sua data di nascita, ma unidea approssimativa ce la pu fornire il suo
ritratto sullo sportello dellaltare.
96.Cfr. Sandra Sicoli, scheda in Legni Sacri [n. 66], pp. 80-83.
97.Come nota giustamente la Binaghi Olivari, si pu presumere che il committente desiderasse
unopera fulgente e commovente, tutta teatrini sovrapposti, ori, blu e lacche, come i grandi altari che
brillavano, ancor quasi nuovi in molte chiese della regione. Annone Brianza [n. 93], p. 212.
98.Ibidem, p.207.
99.Lultima pubblicazione sul Candelabro Trivulzio Silvio Leydi, The Trivulzio candelabrum in the sixteenth century: documents and hypotheses, Burlington Magazine, 153 (2011),
1294, pp. 4-12 (con bibliografia precedente).

156

Marco Rossati

In conclusione crediamo giusto riconoscere che il caso di Annone sia stato


probabilmente pi unico che raro nella Lombardia di secondo Cinquecento; ciononostante sembra anche importante sottolineare che non risulta troppo difficile
spiegare questo hapax, se si riflette sulla storia della scultura lignea lombarda, e
ancor di pi sulle particolari inclinazioni di chi lo ha commissionato. Questultimo punto quello su cui vorremmo insistere per tirare le fila della nostra ricerca:
il ruolo essenziale svolto dalla committenza nella maggior parte dei casi che
abbiamo raccolto.
Chiuso abbastanza presto il momento pi internazionale e realmente europeo del cantiere del duomo, nella Lombardia del secondo quarto del secolo XV
e in quella sforzesca, la scultura oltremontana pare aver trovato senza dubbio una
sua via, anche se pi limitata ed occasionale: per molto tempo essa ha continuato
a godere di una buona considerazione, ma i casi pi importanti documentati sembrano quasi tutti legati a specifiche scelte (o esperienze) di singoli committenti. Il
pi delle volte questi spiccano per unapertura particolare verso il mondo transalpino o sono comunque ad esso legati per qualche motivo: il cardinal Branda Castiglione aveva viaggiato come diplomatico in tutta Europa; Vitaliano Borromeo
aveva assistito allapertura di filiali del suo Banco a Bruges e Londra; il mercante
Protasio Busti viveva a met tra Italia e Germania; anche un personaggio dai gusti
particolarmente originali, come Andrea Annoni, era stato di certo molto vicino
agli ambienti filo-francesi. In tutti questi casi la scultura stata con ogni probabilit spedita (o portata) in Lombardia da oltralpe, ma va sottolineato che per
nessuno di essi conosciamo le circostanze precise di arrivo e di commissione.
Quanto alla presenza fisica di artisti nordeuropei, immigrati o di passaggio
nel ducato, la dinamica sembra per certi versi pi difficile da ricostruire: di sicuro gli specialisti di qualche produzione particolare riuscivano a stabilirsi in
Italia, come ad esempio il caso dei vari orefici o stampatori menzionati nei
documenti (anche a date molto tarde); o quello degli intagliatori in legno specializzati in una tipologia di crocifissi patetici, a lungo apprezzata nella penisola:
lattivit del pi noto di questi (Johannes Teutonicus) riguarda anche il lago di
Garda, quindi il confine attuale tra Lombardia e Veneto. In un altro caso, quello
di Sisto Frei, abbiamo visto che la carriera italiana dello scultore nordico non
era sempre coronata dal successo, e poteva variare sensibilmente a seconda del
contesto in cui si trovava ad operare (in questo caso Trento o Bergamo, che allora era una citt veneziana, ma pur sempre vicinissima a Milano). Forse anche
per questo non sono stati troppo numerosi i casi di artisti nordici scesi a cercare
fortuna in Lombardia, senza gi avere una qualche garanzia o almeno un punto
dappoggio (come invece potrebbe essere il caso dei tantissimi emigrati in Spagna). Le presenze pi rilevanti, infatti, sembrano collegabili ancora una volta
a unesperienza particolare o alla liberalit di un mecenate.
Branda Castiglione minor assume ed ospita il gi citato Zohanni de Savii,
perch durante un viaggio diplomatico lo ha conosciuto nella sua bottega
di Ginevra. Prima del ritorno in patria del vescovo questi si era fatto avanti
chiedendogli di entrare a far parte del suo seguito: riparare in Lombardia a

Sculture oltremontane nella Lombardia del Quattro e Cinquecento

157

spese del suo nuovo signore era un ottimo modo per sfuggire alle guerre che
funestavano il suo paese ( lo stesso committente a raccontarci ex post i dettagli della storia, non senza lamentarsi dei fastidi che questa ospitalit gli ha
poi causato). davvero un caso particolarmente prezioso, perch lunico in
cui sappiamo precisamente come il mecenate italiano ha conosciuto lo scultore
nordico, e contemporaneamente veniamo anche a sapere come questultimo
ha preso la strada della Lombardia.
Sulla provenienza del tedesco documentato nel 1472 (probabilmente identico
a Michele dAllamania, e forse da identificare con Michael Pacher) non sappiamo
quasi nulla, ma la prima volta che lo incontriamo gi ospite di Sforza Secondo
Sforza, un mecenate che aveva intrecciato rapporti diplomatici con mezza Europa.100
A questo proposito ci pare comunque giusto sottolineare che i documenti noti non
hanno ancora mai restituito nitidamente limmagine di uno scultore oltremontano
che varca le Alpi su raccomandazione di una corte straniera: resta comunque possibile che questa dinamica, in effetti pi frequente tra gli stati italiani, venga provata
da nuove scoperte darchivio. Viceversa ben nota la vicenda, speculare, del pluriraccomandato Zanetto Bugatto: il suo soggiorno nei Paesi Bassi venne appoggiato
da almeno cinque lettere (due della duchessa Bianca Maria e tre di Sforza Secondo).
vero, per, che la sua esperienza sembra pi che altro una lunga vacanza-studio,
ed quindi ben diversa da quella degli artisti che si spostano per essere assunti da un
nuovo signore (spesso partiti con la speranza di elevare il proprio status).101
Sul confine orientale e su quello meridionale il ducato sembra abbastanza permeabile allarrivo (con o senza raccomandazione) di artisti forestieri, soprattutto
quando si dimostrano particolarmente talentuosi: Filarete, Bramante, Leonardo si
trasferiscono tutti a Milano (o in Lombardia) per un periodo pi o meno lungo, e
si portano dietro la loro cultura. Inoltre fuor di dubbio che il ducato vive un rapporto osmotico con le province pi occidentali della Repubblica Veneta: molti dei
pi grandi artisti milanesi di questepoca sono nati a Bergamo o Brescia, ma nel
100.Albertini Ottolenghi, Zanetto Bugatto [n.83], p.68.
101.Per un futuro studio sui Wanderknstler di questepoca sarebbe in effetti utile raccogliere e
confrontare i numerosi casi di raccomandazioni e lettere di presentazione, noti in contesti anche
molto distanti tra loro e scritti con intenzioni diverse. Tra i molti possibili ricordiamo: lo Johannes Enrici de Alamania, scultore specializzato in crocifissi, raccomandato nel 1453 dalla Signoria di Firenze
al cardinal Colonna; la lettera di Leonardo a Ludovico il Moro (generalmente datata 1482-1483); la
lettera di Jacopo de Barbari a Federico il Saggio di Sassonia (1501); o ancora Alonso Berruguete a Firenze raccomandato da Michelangelo (1508). Per Johannes Henrici (e per una proposta didentificazione con Johannes Teutonicus) si veda Donati, Per un atlante [n. 75], p. 33. La lettera a Ludovico il
Moro si pu leggere in Leonardo da Vinci, Scritti letterari, a cura di Augusto Marinoni, 2 voll., Milano
1952, I, pp. 198-201. La lettera a Federico il Saggio si trova in Simone Ferrari, Jacopo de Barbari. Un
protagonista del Rinascimento tra Venezia e Drer, Milano 2006, pp.175-176. La lettera con la quale
Michelangelo, da Roma, raccomanda a suo fratello di lasciar accedere lo spagnolo al cartone della
Battaglia di Cascina, discussa in Tommaso Mozzati, Alonso Berruguete in Italia: nuovi itinerari,
in Norma e capriccio. Spagnoli in Italia agli esordi della maniera moderna, catalogo della mostra
(Firenze, Galleria degli Uffizi 2013), a cura di Antonio Natali, Firenze 2013, pp. 16-47: p.17. Per
una storia (e una storiogafia) degli artisti in viaggio si pu vedere ora la pubblicazione della tesi di
dottorato di Claudia Caesar, Der Wanderknstler. Ein kunsthistorischer Mythos, Berlin 2012.

158

Marco Rossati

senso inverso non c da stupirsi se il pi grande condottiero veneziano sceglier


il pavese Amadeo come architetto della sua cappella. In certi casi pi particolari si
assiste anche allarrivo di opere darte appositamente commissionate in altre citt,
anche se geograficamente meno vicine: si pensi a Ludovico il Moro che commissiona a Filippino Lippi e Perugino opere per la certosa di Pavia.102
Sul versante opposto gli scultori oltremontani sembrano invece raggiungere
pi raramente la capitale, e il pi delle volte si limitano a coltivare un mercato
piuttosto redditizio nel lembo pi settentrionale del ducato (senza spostare definitivamente la loro bottega dalla Svevia o dal Tirolo). Lunico contesto in cui la
scultura nordeuropea trova senza difficolt uno sbocco massiccio e continuativo
(ancora ben visibile, nonostante le molte distruzioni e dispersioni) infatti quello alpino: Valtellina, Valchiavenna, Valle del Ticino a nord del Ceneri, Alta Val
dOssola, Alta Valsesia.
Se provassimo ad allargare cronologicamente il nostro punto di vista e tenessimo
a mente la folgorazione pisana provata dalla Milano trecentesca, ne ricaveremmo
quasi limpressione che per il Quattrocento (cio il secolo che si apre con Sluter in
Borgogna e si chiude con Pacher in Tirolo) la diffusione di modelli tedeschi, francesi
o fiamminghi sia stata meno invasiva e persistente di quello che ci si sarebbe potuto
aspettare, soprattutto per una citt crocevia cos prossima alle Alpi.
Per certi versi questo potrebbe anche essere vero, ma bisogna prima di tutto
collocare ogni cosa nel giusto contesto: sembra infatti evidente che per la seconda met del Quattrocento le presenze oltremontane in scultura si siano fatte pi
rare non solo in Lombardia, ma anche nel resto dItalia. Una volta affermatasi
lestetica del marmo e dellornato rinascimentali, rimarranno ben poche regioni
a dialogare serratamente con il modello nordeuropeo: probabile che solo quelle
alpine possano dimostrare un grado di acculturazione uguale o maggiore rispetto
a quello del ducato sforzesco (pensiamo al ducato di Savoia, al vescovado di
Trento, alle regioni settentrionali e orientali della Repubblica Veneta).
Un problema analogo si potrebbe porre anche confrontando levoluzione
della pittura lombarda quattrocentesca con la precoce e quasi entusiastica
ricezione dellars nova eyckiana, dimostrata da molti pittori fiorentini (e forse
anche veneziani o di altre citt). pi difficile intuire le cause per cui questi
rapporti sembrano aver viaggiato a velocit cos differenti: eppure il caso di
Zanetto Bugatto prova che in Lombardia non mancarono le occasioni per imprimere una svolta pi precoce verso questi modelli. Forse non assurdo pensare
che a Milano (dove non si era mai vista una rivoluzione come quella di Masaccio, ma nemmeno come quella di Bellini) questo processo sia stato in qualche
modo ritardato dalla persistente civilt degli ori, che continu a dominare
la pittura lombarda sino a date molto inoltrate. Tutto sommato non era cos
banale coniugare listanza grafico-esornativa della tradizione con i precetti, so102.Su queste commissioni la pubblicazione pi specifica Perugino, Lippi e la bottega di
San Marco alla Certosa di Pavia. 1495-1511, catalogo della mostra (Milano, Pinacoteca di Brera
1986), a cura di Barbara Fabjan, Firenze 1986.

Sculture oltremontane nella Lombardia del Quattro e Cinquecento

159

stanzialmente diversi, dellars nova: questultima riduce al minimo necessario


lutilizzo di ornati e dorature, per puntare invece sul paesaggio o comunque
sulla rappresentazione pittorica di una spazialit unificata; nel far questo azzera
anche limportanza della cornice, che perde ogni ambizione architettonica, per
diventare poco pi che un listello di contorno. Erano tutte soluzioni, comprensibilmente, non facili da riprendere per la civilt del polittico di Treviglio.
Resta comunque il fatto che tutti questi rapporti ci furono ed ebbero una loro
importanza, certo non indifferente: senza dubbio meriterebbero di essere ulteriormente indagati e approfonditi, anche per focalizzare meglio le ragioni di queste
asimmetrie. in effetti un problema di geografia artistica dalla portata non solo
italiana, ma europea, e il suo interesse trascende il ducato degli Sforza.103

103.Possiamo qui solo accennare a un tema importante che speriamo di trattare in altra sede,
e cio la ricaduta sulla scultura lombarda di queste presenze forestiere (e pi in generale dei modelli
oltremontani, soprattutto quelli in pittura o incisione): forse pi verisimile spiegare in questo modo
laccento particolarmente nordico di quattro tavolette brianzole, gi pubblicate con la proposta di
unorigine fiamminga da Sergio Gatti, Unipotesi sullancona lignea fiamminga gi nella chiesa
di San Vittore a Seregno, Arte lombarda, 92/9 (1990), 1/2, pp. 91-94. Dal punto di vista tipologico
e stilistico queste si confrontano difficilmente con levoluzione della scultura nei Paesi Bassi di
Quattro e Cinquecento; in ogni caso resta aperta la questione dellidentit (artistica e geografica)
del loro artefice. Il documento scoperto dallo studioso resta comunque interessante per il nostro discorso: prova infatti che almeno dal 1568 la chiesa di San Vittore a Seregno ospitava una Icona
aurata cum sculptis figuris auratis, acquistata altrove presso alcuni uomini che lavevano portata
dalle Fiandre (come recita il testo della relazione). Non facilissimo immaginare la morfologia di
questopera, che curiosamente si trovava sovrapposta ad una Iconam ex lateribus et calce cum
imgine Crucifixi: probabilmente una pala costruita in muratura e affrescata, simile a quella che
si vede ancoroggi nella pieve di Vespolate (come mi suggerisce Orso Piavento). Non credo siano
noti altri casi in cui una scultura fiamminga stata posizionata in un punto del genere. In ogni caso
non sembra davvero necessario collegare questa descrizione alle quattro tavolette superstiti, la cui
collocazione originaria resta dubbia.

160

Marco Rossati

1. Anonimo nederlandese, Scene della storia di San Giorgio, ca 1520 (?), legno di bosso, h 34 cm.
Londra, Victoria & Albert Museum (inv. A.41-1954).
2. Anonimo nederlandese, Betnuss con miniature della Nativit e della Crocifissione (e altri scene),
1500-1510 (?), legno di bosso, 5,2 cm. New York, Metropolitan Museum of Art (inv. 17.190.475).
3. Anonimo nederlandese, Microaltare con Crocifissione (e altre scene), 1511, legno di bosso, h 25,1
cm. Londra, British Museum (inv. WB.232).

Sculture oltremontane nella Lombardia del Quattro e Cinquecento

161

4. Maestro dellaltare di Rimini, Altare dellUmilt (Sculture), 1440-50, alabastro. Isola Bella
(Stresa), Palazzo Borromeo (dalla chiesa di Santa Maria Podone a Milano). Per la datazione della
struttura lignea vedere il testo.
5. Johannes Teutonicus, Crocifisso, 1449-50, legno di melo. Sal, duomo.
6. Johannes Teutonicus, Crocifisso (particolare), 1449-50, legno di melo. Sal, duomo.

162

Marco Rossati

7. Ivo Strigel, Ancona, firmata e datata 1449. Santa Croce di Piuro (Sondrio), chiesa della Santa
Croce.
8. Pittore tirolese di cultura pacheriana, Incoronazione della Vergine, datata 1494, affresco. Lovere
(Bergamo), cappella di S. Pietro.

Sculture oltremontane nella Lombardia del Quattro e Cinquecento

163

9. Sisto Frei, Ritratto equestre di Bartolomeo Colleoni, 1498-1500, legno dorato. Bergamo, cappella
Colleoni. Il monumento funebre di Giovanni Antonio Amadeo (1472-1476).
10. Sisto Frei (attr.), Crocifissione con Maria e San Giovanni evangelista: particolare del Cristo,
I-II decennio del XVI secolo, legno di salice. Trento, Cattedrale di San Vigilio.
11. Sisto Frei (attr.), Gruppo della Crocifissione: Maria e San Giovanni evangelista, I-II decennio
del XVI secolo, legno di pioppo. Trento, Cattedrale di San Vigilio.

164

Marco Rossati

12. Ambito del Maestro di Lombeek, Adorazione dei Magi, sicuramente commissionata entro il
1510. Milano, Basilica di San Nazaro in Brolo.
13. Maestro di Lombeek, Polittico con storie della Vergine, 1515-30. Onze-Lieve-Vrouw-Lombeek
presso Roosdaal (Belgio), Onze-Lieve-Vrouwekerk.

Sculture oltremontane nella Lombardia del Quattro e Cinquecento

165

14. Bottega anversese, Ancona della Passione, circa 1560. Milano, Museo Diocesano (dalla chiesa
di San Giorgio ad Annone Brianza).

Potrebbero piacerti anche