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PROFESSIONALE
CATTOLICA di
dirigenti, docenti e
formatori della
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professionale.
Sezione "Pietro Della Casa"
C.so Matteotti, 11 - 10121 Torino
Tel/Fax: 011/5611923
Contatti: uciim.torino@tiscali.it
che si vuole
qui analizzare, costituisce un caso esemplare, perch
grazie alla sua ubicazione geografica si qualific come punto di convergenza d'influenze provenienti dal
Piemonte centrale (specie dall'area Pinerolo-Torino), dalla Francia meridionale, dalla Liguria e dall'ambito
lombardo (includendo in questo termine anche l'Alessandrino e l'Astigiano, sensibili ad influssi di tale
provenienza). Costante stato in particolare il dialogo con la Liguria, specie di Ponente, a sua volta
mediatrice di componenti culturali composite, di matrice francese, lombarda o toscana. Pu essere utile,
nel considerare la situazione culturale del Piemonte sud-occidentale nel Quattrocento, ricordarne
l'articolazione in diverse entit politiche ed ecclesiastiche, che contribuirono a differenziare le aree
artistiche. Le realt pi importanti erano il Marchesato di Saluzzo (comprendente la pianura e le vallate
circostanti, confinando verso oriente all'incirca col corso del fiume Maira); Alba e il suo circondario, legati al
Monferrato; il Capitanato di Ceva, dominato nel primo quarto del secolo dagli Orlans, che si estendeva
nell'angolo sud-orientale della regione, ai confini con la Liguria; infine i territori controllati dai Savoia-Acaja,
che includevano la fascia pianeggiante inserita tra il marchesato saluzzese e i territori albesi e cebani (in
cui spiccavano i comuni di Savigliano, Bra, Fossano, Cuneo e Mondov), attraversata dalle vie che
portavano al mare, in particolare al Nizzardo (entrato nell'orbita savoiarda dal 1388), passando per le valli
Stura, Gesso o Vermenagna. In ambito ecclesiastico, il territorio era amministrato dalle diocesi di Torino
nella parte occidentale e da quelle di Alba e Asti in quella
Nella fascia meridionale della provincia, in cui si distinsero i centri di Mondov, Ceva e Cuneo, si conservano
importanti testimonianze sin dal tardo Trecento. A Cuneo sono da ricordare nel convento del S. Francesco
una Madonna in trono tra Santi e un S. Cristoforo, mentre a Mondov le presenze aumentano verso la fine
del secolo, con la Madonna della sacrestia del duomo (d'incerta provenienza, al cui autore attribuita
anche una tavola in collezione privata astigiana), le Storie di S. Antonio nel Palazzo Vescovile e
l'Annunciazione di Vicoforte Fiamenga. Nel Cebano invece si segnalano lo splendido ciclo della cappella del
castello di Saliceto e la decorazione della controfacciata del S. Martino di Ormea. Le opere monregalesi e
cebane citate, tutte databili attorno al 1390, rivelano degli influssi liguri, legati a maestri come Barnaba da
Modena, Francesco d'Oberto e Taddeo di Bartolo. Ad Ormea siamo anzi di fronte al primo caso accertato di
un pittore attivo su entrambi i versanti delle Alpi Marittime: alla stessa bottega sono infatti assegnabili
degli affreschi a Bastia d'Albenga (il ciclo pi importante, che gli ha guadagnato l'appellativo di "Maestro di
Bastia d'Albenga") e a Pieve di Teco.
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detto il "Burdo", figlio naturale del marchese Tommaso III, che eredit dal padre il feudo di Manta e resse
lo stato durante la minore et di Ludovico I, tra il 1416 e il 1426, anni entro cui si pu collocare la
ristrutturazione del castello mantese e la sua decorazione. Le tematiche profane, che si configurano come
un unicum nel panorama pittorico quattrocentesco del nostro territorio, s'ispirano a soggetti ampiamente
diffusi nella cultura medievale, specie in Francia (sia in letteratura che nelle arti figurative, ad esempio
nella miniatura e negli arazzi), ovvero la sfilata dei Prodi e delle Eroine e la Fontana della Giovinezza. Pi in
particolare, l'origine della parete con gli Eroi da riconoscere in un romanzo scritto dallo stesso Tommaso
III alla fine del Trecento, lo Chevalier Errant, per cui la scelta di Valerano sembra delinearsi quasi come un
omaggio al padre defunto, mentre nella nostalgia che pervade il tema, ravvisabile anche nella Fontana
della Giovinezza (che interpreta con incantevole verve la leggenda della sorgente miracolosa le cui acque
avevano il potere di ringiovanire) si potrebbe cogliere una riflessione di Valerano sulla mutevolezza della
fortuna, stimolata dalla transitoriet del suo potere, che venuto il tempo opportuno trasfer al legittimo
erede senza colpi di mano, con un'onest da vero "cavaliere d'altri tempi". Tali temi, come anche
l'eccentrica foggia dei costumi e delle acconciature (elemento prezioso per la datazione, che non pu
oltrepassare di molto il 1420) e le stesse componenti formali, rimandano con insistenza alla cultura
francese e in particolare all'ambiente della corte di Carlo VI con il quale Tommaso III e Valerano ebbero
ripetuti contatti. Dalla testimonianza del cronista Gioffredo della Chiesa sappiamo del resto che Tommaso
riport a Saluzzo da Parigi nel 1405 "molte belle cosse e gentilezze", tra cui oggetti d'oreficeria (un
orologio e un mappamondo), manufatti lignei (un gruppo di figure componenti un Santo Sepolcro e un
corodestinato alla chiesa di S. Domenico, l'antico S. Giovanni) e codici "in francioso" miniati, un riflesso dei
quali ci conservato nelle due copie dello Chevalier Errant decorate nel primo decennio del Quattrocento
da due rilevanti atelier parigini, fra cui una attribuita al "Maestro del Cit des Dames" e custodita ora alla
Biblioteca Nazionale di Parigi, che contiene due miniature coi Prodi e le Eroine che si pongono come un
"Maestro di
S. Albano", con le notizie documentarie relative alla
dinastia di artisti Pocapaglia. Gi si ricordato il Domenico "di Savigliano" attivo a S. Albano e nel
Monregalese alla fine del Trecento, a cui seguono le testimonianze su Antonio Pocapaglia, detto invece
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"saluzzese", operante a Savigliano nel 1415, intento tra il 1428 e il 1430 ad eseguire (a Saluzzo)
un'ancona per l'altare maggiore della collegiata di Fossano, con un "Crocefisso di rilievo fregiato di
bellissimi ornamenti" (per le cui dorature fu necessario ricorrere a Genova) e impegnato nel 1437 alla
decorazione di uno dei due chiostri del S. Francesco di Fossano (dove realizz forse una "balada", ovvero
verosimilmente una Danza macabra). Dal 1438 iniziano le informazioni su Pietro Pocapaglia da Saluzzo,
proprio in concomitanza con l'apparente sparizione di Antonio, cosa che ha fatto ipotizzare una sua
sostituzione a capo dell'atelier prima guidato dal presunto parente. Nel 1467 un altro pittore Domenico
Pocapaglia partecipa alla preparazione degli apparati per la venuta a Savigliano di Amedeo IX, mentre al
terzo quarto del Quattrocento risalgono diverse testimonianze su un Pietro Pocapaglia "de Saviglano",
"aurifice" a Mondov, dove in due atti del 1454 appare anche un suo fratello di nome Giovanni. I
Pocapaglia risultano dunque attivi per un lungo arco di tempo nei centri pi importanti della provincia
(Saluzzo, Savigliano, Fossano, Mondov e anche Cuneo) e sebbene non sia chiaro se i due rami della
famiglia (quello saviglianese e quello saluzzese, sempre che tale distinzione sia realmente esistita)
fossero in contatto, si pu ritenere che abbiano costituito, con la loro mobilit, un elemento di dialogo tra
le diverse realt culturali. Purtroppo conosciamo solo la fisionomia stilistica di Pietro, mentre ci sfuggono
tutti gli altri componenti. Per Antonio Pocapaglia si sono avanzate molteplici congetture; la rilevanza delle
commissioni, che lo fa appare figura di primissimo piano, ha fatto supporre da parte di Giuseppe
Dardanello nel 1993 una sua identificazione col Maestro della Manta, l'artista pi importante attivo nel
Saluzzese all'incirca negli stessi anni. Questa tesi sembrava aver trovato un ulteriore conferma
anonimi attivi nel Saluzzese in quell'epoca, ovvero il Maestro di Manta, il Maestro di S. Albano e la bottega
del gruppo S. Maria del Monastero - S. Maria del Castello - Scarnafigi.
Venendo dunque a Pietro Pocapaglia da Saluzzo, bisogna ricordare che la ricostruzione della sua
personalit fu avviata da Mario Perotti negli anni Sessanta, costruendo un corpus di opere omogenee
attorno al nome di "Maestro del Villar", dal ciclo pi cospicuo, sito nella cappella di S. Giorgio della
parrocchiale di Villar S. Costanzo. Proprio il rinvenimento nel 1977 di un'iscrizione a firma degli affreschi di
Villar ("Petrus... Salucis", dove nello spazio vuoto doveva inserirsi il cognome) ha permesso di identificare
questo artista con il Pietro Pocapaglia di cui si possedevano notizie d'archivio a Fossano e Cuneo. La
fisionomia dell'artista ormai sufficientemente delineata, ma permangono ancora dei dubbi nella
cronologia. Elementi fermi sono i cicli di Villar S. Costanzo, firmato e datato al 1469 e le Storie della
Passione
nel S. Francesco di Cuneo, di cui rimane il
contratto di allogazione del 1472. Non firmati, ma attribuibili con certezza a Pietro sono gli affreschi datati
di Centallo (1438), Monterosso Grana (1468) e di Castelmagno (collocabile, in base all'iscrizione
dedicatoria, tra il 1475, venticinquesimo anniversario di apostolato del committente Enrico Allemandi e il
1480, data delle sue dimissioni dall'incarico). Pi dubbi oppure inaffidabili sono i riferimenti cronologici che
si sono indicati per altri dipinti. La carriera di Pietro fu assai longeva, prolungandosi dagli anni Trenta agli
anni Settanta del Quattrocento e molto prolifica, svolgendosi in vari paesi del marchesato e in altri centri
del Cuneese, dove la committenza mostr di apprezzare il suo linguaggio ornato ed elegante, fedele agli
stilemi tardogotici. Punto di partenza il ciclo frammentario col Transito della Vergine in S. Maria ad Nives a
Centallo, datato al 1438, in cui gi riscontriamo dei panneggi ricchi di svolazzi e arricci, ma anche
abbastanza corposi, nonch una mescolanza fra dolcezze d'ascendenza lombarda e profili pi aspri ed
espressivi, forse suggeriti dalla tradizione jaqueriana, che s'incontreranno in altre opere precoci, come la
decorazione della prima cappella a sinistra e della seconda a destra della parrocchiale verzuolese, gli
affreschi dell'abside di S. Maria del Belvedere a Vignolo e quelli della cappella della SS. Trinit a Scarnafigi.
Vicini a questo gruppo sono inoltre la Crocifissione e Santi nel S. Agostino di Carmagnola, presenza
spiegabile coi legami di questa citt con il marchesato saluzzese. Perduti sono invece i Dottori della Chiesa
ele Storie di S. Giovenale nella chiesa omonima di Fossano (1445) e la decorazione della facciata della
confraternita del Crocifisso nella stessa citt (1453), interventi significativi per il loro prestigio e perch si
riallacciano all'attivit di Antonio Pocapaglia a Fossano alcuni anni prima. Per gli affreschi di Verzuolo si
sono proposti due diversi post quem, 1453 e 1459, relativi al rinforzo delle murature e al tamponamento
delle finestre poste in precedenza nelle cappelle, ma i documenti assai generici dell'archivio comunale
citati dal Boero non consentono affatto di interpretare i lavori svolti in quel periodo nella chiesa in modo
preciso. Come ha ben visto la Galante Garrone, questi dipinti si pongono come anello di congiunzione fra il
Maestro di S. Albano e l'opera di Pietro, ovvero rivelano delle precise affinit con le Storie della Passione nel
sul suo pulpito permette di proporre una datazione compresa tra il 1455, anno della beatificazione e il
1458, anno della canonizzazione di Vincenzo.
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dunque fitti e continui, tanto da poter parlare dell'esistenza di una vera e propria koin liguremonregalese, non priva anche d'ascendenze lombarde, come rivelano problematicamente le affinit di
molte opere di questo territorio (come il ciclo di Campochiesa o alcune soluzioni di Antonio "de
Montisregalis" e di Segurano Cigna) con gli affreschi dell'arcone d'accesso e della volta della Cappella di
Teodolinda nel duomo di Monza (databili prima del 1444).
Un esempio caratteristico di tale comunanza di modelli sono le analogie iconografiche e in parte anche
formali tra tre redazioni del tema, squisitamente cortese, del Combattimento di S. Giorgio col drago alla
presenza della Principessa, presenti a Bardineto, nel S. Giorgio di Cigli e nel S. Giorgio di Peveragno, non
lontane, in quanto a sensibilit, dalla tela realizzata da Luchino da Milano nel 1444 per il Banco di S.
Giorgio a Genova. Nei primi due casi in particolare (il terzo stato purtroppo mutilato da un furto) vi sono
somiglianze sorprendenti, ma non identit di mano; l'esemplare di Cigli di ottima fattura, specie nella
delicatezza del volto della Principessa. Questi dipinti dimostrano come nel secondo quarto del
Quattrocento la facile vulgata di Antonio monregalese, per quanto egemone, non fosse tuttavia esclusiva
e altre personalit, pi sensibili alle eleganze tardogotiche, riuscissero comunque ad inserirsi nel mercato
locale, specie nel Marchesato di Ceva e nell'area di S. Michele Mondov. L'autore del finto trittico nella S.
Elena di Torre Mondov, con la Madonna in trono tra i SS. Elena e Giovanni Battista, rivela ad esempio una
freschezza ben maggiore rispetto ad Antonio nell'accostarsi ai prototipi liguri-toscani del primo quarto del
secolo, specie a Giovanni da Pisa, forse anche grazie alla mediazione del pittore della Madonna e dei SS.
Bartolomeo e Eleazario nel S. Nazario di Lesegno gi citato. Lo stesso Frater Henricus,
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Campochiesa, presso Albenga (datato al 1478). Prossimo ai modi di questo pittore anche un affresco
con la Madonna col Bambino e il Cristo di Piet staccato da un edificio di Millesimo e ora conservato in S.
Maria extra muros. Al Maestro di Saliceto stato attribuito anche un polittico con il Martirio di S. Sebastiano
tra i SS. Giovanni Battista e Bernardino del Museo di Belle Arti di Budapest, che rivela una fattura pi
raffinata ed forse pi antico (1475 c.) rispetto agli affreschi noti. Il Maestro di Saliceto pienamente
inserito nella tradizione suscitata da Antonio monregalese e trova affinit con Segurano Cigna e anche col
Mazzucco, ma soprattutto col Maestro di Lignera (autore di un ciclo d'affreschi nel S. Martino di Lignera,
frazione di Saliceto, confrontabile coi SS. Rocco, Anastasia e Romeo nella cappella di S. Anastasia a Sale S.
Giovanni, datati al 1493), attivo ormai sullo scadere del secolo, che era forse un suo collaboratore o
discepolo. Prossimo al Maestro di Saliceto anche il Maestro di Roccaverano, attivo specie lungo le valli
della Bormida di Millesimo e della Bormida di Spigno, a Murialdo, Calizzano, Roccaverano (post 1481),
Millesimo e a S. Dalmazzo di Monticello, presso Finalborgo. Si tratta di una personalit singolare, che
unisce elementi di tradizione monregalese ad altri affini ai pittori attivi nel Ponente come Baleison,
Canavesio e i Biazaci e si distingue per un insistito grafismo, specie nel ciclo di Roccaverano.
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dall'Annunciazione di
Giusto a Genova gi ricordata, ma richiamano
altres la notizia dell'attivit del pittore "Sprechner" o "Sprech", che esegu nel 1450 gli Evangelisti nel
coro notturno di S. Francesco ad Alba (chiesa andata distrutta) e che era forse veramente "tedesco" come
lo ritenevano le fonti settecentesche. Lascia ad ogni modo perplessi la datazione post 1475 proposta da
Elena Ciarli per l'Annunciazione di Vezza, in base ai rapporti con la committenza dei Roero. Altra opera
problematica ma seducente la tela con la Madonna della Misericordia ora nella cappella della Madonna
degli Angeli fuori Alba, ma proveniente forse da una chiesa domenicana della citt, dove probabilmente
fungeva in origine da stendardo professionale. Il dipinto unisce retaggi tardogotici a minuziosit di matrice
nordica, forse derivanti dall'ambito ligure-nizzardo, che sembrano anticipare certi caratteri del ciclo di S.
Vittoria d'Alba. Ad un contesto pi famigliare rimandano invece le testimonianze sull'operato di Giorgio
Turcotto, gi ricordate (ad Alba e Sommariva Perno) e la Vergine col Bambino affrescata nell'abside del
santuario della Madonna di Loreto a Canale d'Alba (del 1460-1470 c.), che si riallaccia per iconografia e
stile a modelli di Giovanni Baleison (ad esempio la sua Madonna nel santuario della Madonna dei Boschi di
Peveragno), ma anche di ambito monregalese, quali la Principessa di Cigli, per la delicatezza e la discreta
plasticit del volto, che richiama anche delle opere dei Biazaci quali la Vergine di Sampeyre e la Maddalena
di Caraglio.
Veniamo adesso ad analizzare il percorso del Baleison e dei Biazaci, che presenta molti punti in comune,
al punto che di alcune opere non sicura l'attribuzione all'uno o all'altro atelier. Giovanni Baleison era
originario di Demonte, in Valle Stura e ci spiega in parte la natura del suo stile, che evidenzia strette
connessioni con la cultura diffusa nella parte meridionale della provincia di Cuneo, dominata dai modelli
elaborati tra Mondov e Ceva. Sembra in particolare che per la sua formazione siano state importanti
figure come il Maestro di S. Bernardo a Fossano, il Maestro di S. Croce a Mondov Piazza e il Maestro di
Bardineto, come mostrano i pi antichi dipinti a lui assegnabili che sono probabilmente (nonostante
recenti tentativi di postdatarli) gli affreschi dell'abside del santuario di Notre-Dame-des-Fontaines a Briga,
nell'entroterra nizzardo, collocabili nel sesto decennio del Quattrocento. E' palese ad esempio l'affinit tra
la Madonna assunta di La Brigue e la Vergine del S. Bernardo di Fossano, mentre in altri personaggi di
questo ciclo e di tutta la sua produzione successiva si trovano mescolati tratti di sottile e raffinata
dolcezza (come nel S. Giovanni Evangelista della volta brigasca) ad altri pi aspri e popolareschi, come nel
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fonte d'ispirazione ancora la maniera tarda di Durandi, che segna vistosamente figure come la S. Orsola
e la Maddalena di Caraglio e la S. Lucia sampeyrese; impossibile perci accettare la datazione al 1490
avanzata da Elisa Cottura ed Elena Romanello per il ciclo di Caraglio, che vizia completamente la loro
ricostruzione dell'iter biazaceo. Gli affreschi di Valmala e di Cuneo annunciano gi il linguaggio dispiegato
dai Biazaci in Liguria, dove sono documentati a partire dal 1474 nel S. Bernardino d'Albenga, per affreschi
e una pala ora perduti. Questa fase precoce della loro attivit ligure per riflessa dall'Annunciazione che
sovrasta una Madonna tra Santi nell'oratorio di S. Croce a Diano Castello, prossime anche alla tavola con la
Madonna col Bambino firmata da Tommaso nel 1478, scomparto centrale di un polittico gi in S. Maria in
fontibus ad Albenga, che mostra un cauto avvicinamento del pittore buschese ai modi del Rinascimento
ligure-lombardo, specie al Mazone. Nel 1483 i Biazaci terminarono gli affreschi della parete destra del S.
Bernardino di Albenga e della navata sinistra del santuario di Montegrazie, dove intervennero poco dopo
anche con le Storie del Battista nell'abside attigua. Si tratta dei cicli di maggior impegno dei fratelli
piemontesi, che evidenziano una progressiva evoluzione della loro maniera, che pur conservando i colori
brillanti cari alla "pittura di luce" ligure-nizzarda, ricerca ora un fare pi sintetico e monumentale, forse
influenzato dai modelli rinascimentali a cui si erano accostati durante la loro frequentazione dell'area
costiera.
Questa tendenza s'esprime compiutamente nel cicli
dell'abside maggiore (1488, firmata da Tommaso) e di quella destra (1490) della parrocchiale di Piani
d'Imperia. In questi anni i Biazaci eseguirono anche delle opere su tavola, fra cui sono da ricordare in
particolare un trittico nei depositi di Palazzo Bianco (1490, erroneamente attribuito a Pietro Guido), assai
vicino agli affreschi di Piani, come pure il pi debole e probabilmente posteriore polittico con la Madonna tra
Santi ora a Rensselaer (U.S.A.), mentre assai pi precoce, attorno al 1480, si situa il bel Trittico di S.
Sebastiano d'ubicazione ignota. Negli anni Ottanta i Biazaci furono attivi anche in patria, come dimostrano
in particolare gli affreschi del S. Sebastiano di Busca, confrontabili con quelli di Montegrazie e Piani. Pi
tardi invece sono i dipinti della facciata dell'Ospizio della Trinit a Valgrana e del S. Stefano di Busca,
collocabili attorno alla prima met degli anni Novanta; specie nel secondo ciclo si nota ormai una
stanchezza esecutiva, ignota invece ancora in alcuni affreschi conservati nella Villa Bafile di Busca, gi
convento francescano di S. Maria degli Angeli, che ritengo attribuibili ai Biazaci all'inizio dell'ultimo decennio
del secolo. L'estremo approdo della loro maniera la decorazione della parrocchiale di Casteldelfino,
firmata da Tommaso nel 1504, che ricupera stancamente le invenzioni precedenti.
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Canavesio), o nella figura del soldato che si allunga per sporgere a Cristo la spugna, che ricorda l'affresco
del S. Vito di Piossasco. A livello formale il Maestro di S. Vittoria ricorda la poetica para-fouquettiana del
Maestro di Cercenasco, per la ricerca di volumi sintetici unita ad una vivace attenzione per le fisionomie,
assai espressive; non mancano anche analogie con la tela della Madonna della Misericordia di Alba di cui s'
gi parlato, il che sottolinea come nell'Albese convivessero tendenze culturali abbastanza varie e non
ancora appieno sondate.
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