Benedetto Bordon
( fl 1488; d Padua, Feb 1530). Italian illuminator, printmaker and writer. He is first mentioned in Padua as an illuminator in 1488. He has been identified as the Benedetto Padovano who signed the Digestum novum (BENEDI[CTI] PATAV[INI]; see fig.) and the Decretals of Pope Gregory IX (BE[NEDICTI] PA[TAVINI]), published by Jenson in Venice in 1477 and 1479 respectively (Gotha, Landesbib., Mon. Typ. 1477; Mon. Typ. 1479). Both incunabula were commissioned by the German book dealer Peter Ugelheimer, for whom Girolamo da Cremona also worked, probably shortly after 1483; the apparent dependence of Bordon's style on Girolamo, particularly in his early works, may suggest that the Gotha incunabula were decorated after that date, during the years in which Bordon is documented in Padua. In the same period he probably also illuminated two folios (Munich, Staatl. Graph. Samml., 40198 and 40140), a Book of Hours (Vienna, ?sterreich. Nbib., Cod. 1970) and a Cistercian Breviary (Oxford, Bodleian Lib., MS. Canon. Lit. 343).
Sala 6. Questa meravigliosa arte della stampa. Et tutto nasce, et procede dalla stampa la quale ha aperto gli occhi a ciechi, e dato il lume agli ignoranti. Arte veramente rara, stupenda et miracolosa. Con queste parole, La Piazza Universale di tutte le professioni del mondo di Tommaso Garzoni (1549-1598), una curiosa enciclopedia popolare dei mestieri del tempo, loda lanuova arte della tipografia che ha rivelato la vanit delle superstizioni e ha avvicinato il libro a tutti. Da qui ha inizio il nostro viaggio nella storia del libro e della stampa, la cui tecnica viene illustrata con precisione nelle tavole del padovano Vittorio Zonca (15681602) e in quelle di unedizione italiana dellEncyclopdie di Diderot e DAlembert. Non manca, rarissima, la testimonianza della prima opera uscita dallofficina dellinventore della stampa, Johan Gutenberg: si tratta
di un frammento della celeberrima grande Bibbia delle 42 linee detta anche Mazarina, del 1455, irta di segni angolati fittamente impressi sulla pergamena. La prima et del libro a stampa documentata da altri incunaboli, le prime opere stampate a caratteri mobili entro lanno 1500. Nei primi decenni i pi preziosi esemplari, a volte stampati su pergamena, venivano decorati con miniature a colori e in oro come i manoscritti, dei quali riprendevano anche liconografia dello scrittore: amanuense seduto nello studium, come si pu vedere nel SantAmbrogio, o dictator che detta il testo a un secretarium, come nella prima Storia di Venezia scritta dal patrizio Bernardo Giustinian (1408-1489). In seguito si cominciarono ad accostare sul piano del torchio le matrici lignee alle forme tipografiche: nasceva cos il libro illustrato, che ebbe una gran diffusione in particolare a Venezia dove raggiunse altissimi livelli di qualit. Ed ecco i primi stampatori: la stretta vicinanza con il mondo germanico, ove la tipografia nasce, e la vocazione per i commerci e i traffici, fecero di Venezia la prima citt dove furono attive contemporaneamente numerose officine di stampa e tedesco fu il primo stampatore qui stabilitosi 1469, Johan von Speyer, Giovanni da Spira con il fratello Wendelin o Vindelino. Fra gli altri emerse Nicolas Jenson (1420 ca.-1480) e, alla fine del secolo, litaliano Aldo Manuzio (1450 ca.- 1515) professore di lettere latine e umanista, che leg il suo nome, fra i pi illustri di tutta la storia del libro, garanzia di qualit eccelsa, a un progetto editoriale ampio e colto, rivolto verso lantichit latina e greca, senza trascurare lattualit politica o la grande letteratura in lingua toscana del secolo precedente, come le lettere di Santa Caterina, o lopera di Dante e Petrarca diffusa in economici libretti di piccolo formato, i libelli portatiles, che furono imitati da molti, anche allestero. Una caratteristica comune dei libri stampati in Italia, fin dalle origini della tipografia, da stampatori stranieri e poi da Manuzio e dagli altri italiani, la bellezza dei caratteri, che venivano disegnati a partire dalle epigrafi romane per le maiuscole e dalla littera antiqua, gi adottata da umanisti toscani o veneti, per il testo minuscolo, detto tondo o Romano, che per la sua eleganza e leggibilit divenne il principale carattere di stampa in ogni paese e in ogni tempo. Manuzio per primo adott, nei libretti tascabili editi a partire dal 1501, il corsivo, disegnato per lui dal calligrafo Francesco da Bologna detto Griffo, sul modello della scrittura umanistica. Sala 7. Viaggi nel mondo, viaggi nel libro. Per i mercanti o i gentiluomini della Germania e dellEuropa centrale, Venezia non solo la prima meta raggiunta nel viaggio in Italia, ma anche linizio di ogni viaggio verso il Sud e quasi la porta dellOriente. Nel 1483 una spedizione di ecclesiastici e laici giunse da Magonza a Venezia per raggiungere la Terra Santa a bordo di due galee veneziane. Questo pellegrinaggio di un gruppo di crociati, senza scopi (almeno immediati) di guerra e di conquista, avrebbe segnato profondamente loro stessi e la cultura europea, facendo scoprire -attraverso il fedele resoconto
della Peregrinatio- un mondo sconosciuto, fatto di porti, citt, luoghi santi ma anche di popolazioni con propri abiti, lingue, scritturee anche culti diversi (cristiani o maomettani), che furono analiticamente descritte in lingua latina, in un libro a stampa edito nel 1486, nella citt di Gutenberg, e poi pi volte in Europa, progettato e scritto da Bernhard von Breydenbach, giovane canonico che aveva chiamato con s un pittore fiammingo, Erhard Reuwinck, autore dei rilievi, delle incisioni su legno e della stampa. Lincisione di matrici di legno per ricavare stampe di immagini sacre e di libretti di poche pagine era da tempo conosciuta in Europa. La matrice in legno con il Cristo portacroce testimonia la tecnica della xilografia: fin dalla fine del Trecento, il torchio era stato usato in Germania e poco dopo anche a Venezia, per imprimere immagini e testi su fogli volanti da matrici di legno intagliato. Quella qui esposta, datata 1520, ricavata da un dipinto di Tiziano di pochi anni precedente (1508 circa), ritenuto miracoloso e oggetto di particolare devozione. Il tema del viaggio spesso vede protagonisti dei veneziani, come i fratelli Zen, che allinizio del Quattrocento raggiungevano la Persia o le regioni artiche spingendosi fino alle coste del nuovo mondo, e perci particolarmente presente nella produzione a stampa nella citt lagunare. A Venezia si stamparono e diffusero anche i resoconti dei viaggi del bolognese Varthema e del fiorentino Amerigo Vespucci che diede al nuovo mondo il suo nome (ma qui indicato come Albertutio o Alberico). La stampa guidava chi si muoveva nel mondo: ecco allora opere sulla navigazione, come il Portolano qui presente nelledizione di Alvise da Mosto (14281488) o lIsolario di cui si espone lopera di Benedetto Bordon, miniatore e autore delle illustrazioni delPolifilo di Manuzio, prontuari di merceologia, tariffe di cambi o pratiche di contabilit commerciale; ma la stampa sapeva raggiungere anche i non viaggiatori con relazioni immaginifiche su mondi lontani, come i viaggi di un fantomatico John Mandeville o la Legenda aurea di Jacopo da Varazze. Ancora, la stampa divenne veicolo formidabile di diffusione dellistruzione: apparvero manuali che insegnavano a leggere, scrivere e far di conto, di cui erano autori calligrafi vicini al mondo dellabbaco, come Giovanni Antonio Tagliente e Girolamo Tagliente, Giovanni Battista Verini e Domenico Manzoni, scrivano e esperto computista che prestava il suo umile servizio in un casotto al mercato di Rialto, accanto alla statua del Gobbo dove la gente si raccoglieva per udire la lettura dei bandi, che per sue edizioni aveva fatto incidere i caratteri mercanteschi, una forma particolare di scrittura gotica corsiva ancora usata dai maestri dabbaco e dai mercanti, unico caso nella storia del libro. Un caso a parte rappresentano le opere del frate francescano Luca Pacioli (1445 1517), concittadino e amico di Piero della Francesca, in contatto con Leon Battista Albertti e Leonardo da Vinci, che collabor con lui a Venezia al disegno geometrico delle lettere delDivina Proportione.
Sala 8. Tipologie del libro, forme dellarte. La formazione scolastica regolare cominciava con lo studio della grammatica latina, che apriva la porta del sapere e Ianua era il nome dato al testo elementare di Elio Donato, spesso edito nei rifacimenti quattrocenteschi di Antonio Mancinelli (1452-1505) o Niccol Perotti (1429-1480). Il Donato, che fu stampato con matrici xilografiche anche prima dellinvenzione di Gutenberg, era scritto in latino, lingua non ancora conosciuta dagli scolari, che dovevano affrontarne lo studio insieme con lalfabeto e la lettura, al prezzo di enormi difficolt e frequenti punizioni. Seguivano le brevi frasi dei Disticha Cathonis e testi pi complessi, fino alla Retorica cio larte di parlare in pubblico e di scrivere correttamente, di umanisti italiani contemporanei, come laretino Giovanni Tortelli (1440-1466), il senese Agostino Dati e il prete veneziano Francesco Negro(1450 ca.1510). E merito di uno studioso di diritto e medicina, Hartmann Schedel (1440-1514), aver promosso unopera monumentale che racchiudeva la cronaca del mondo a partire dalla creazione, ilLiber Chronicarum, edita a Norimberga nel 1493, con un fantasmagorico susseguirsi di figure in ogni pagina, per un totale di 1809 illustrazioni ricavate da 645 matrici, fra le quali scene bibliche, vedute di citt, ritratti di Papi e re, eventi diversi, fino al Giudizio Universale. Ma ci che pi colpiva era forse la galleria di mostri che secondo la cultura medievale e greca abitavano le aree marginali del mondo: sciapodi,con un solo piede enorme, blemmi, senza testa e con gli occhi sul petto, ponci, con zoccoli equini e gli organi sessuali sul petto, pigmei, piccoli e perennemente in guerra con le gru, ipanoti, con enormi orecchie che si avvolgono intorno al corpo come un mantello, i cinocefali, dalla testa di cane. A questopera collabor probabilmente Albrecht Drer, poi rivelatosi artista autonomo di straordinaria qualit in un libro xilografico interamente concepito e prodotto da lui: lApocalisse in folio che componeva quindici tavole di fiammeggiante visionariet, firmate col suo monogramma e accompagnate dal testo biblico stampato sul verso. Vaste e molteplici le relazioni e le reciproche influenze tra Drer e artisti come Tiziano o Mantegna e quel Jacopo de Barbari che incise, su commissione di un mercante tedesco, la celeberrima veduta di Venezia del 1500. Segue lesposizione di volumi in folio con il testo di opere classiche e di alcune delle edizioni religiose, fra i generi pi diffusi: un opuscolo di propaganda dei miracoli della Scuola o Confraternita di San Giovanni Evangelista, sopravvissuto in copia unica e alcune operette in volgare, come la vita di San Francesco e altri racconti biografici chiamati Fioretti dedicati a Ges e a Maria, opere ricche di illustrazioni dal forte impatto emotivo e lette da molti prima di essere proibite dalla Controriforma. A questi testi si pu accostare la Predica sullArte del ben morire, che fa parte di una vasta serie di edizioni di prediche del frate domenicano Girolamo Savonarola, severo fustigatore della corruzione della Chiesa e condannato al rogo nel 1498, fedelmente e velocemente trascritte dal notaio Lorenzo Vivoli. Nel campo della cultura profana spiccano le edizioni scientifiche di Erhard
Ratdolt (1443 ca.-1528 ca.) originario di Augusta e attivo a Venezia dal 1476 al 1486, dove risolse il problema di stampare i disegni geometrici e speriment la stampa di figure a colori, come lo splendido Igino che ripropone unidea dellastronomia ancora indistinta dalla astrologia o testi curiosi come il trattato sugli automi di Erone Alessandrino che recupera un sapere tecnico antico. A parte va considerata la prima grande opera di medicina del tedesco Johannes de Ketham impreziosita da grandi figure in cui convivono tradizione (il corpo umano sotto linflusso dei segni zodiacali che sovrintendono ai diversi organi) e modernit (lesame delle urine, lalectio di anatomia con dissezione di cadaveri, eccezionalmente praticata a Venezia) . Sala 9. Medaglie ritratti libri. Un caso singolare: i Numismata virorum illustrium ex Barbadica gente. Di grande importanza il rapporto tra la collezione di monete antiche e medaglie di Teodoro Correr e la sua biblioteca, che ha origine proprio dalla necessit di reperire su di esse informazioni storiche e documenti. Ma il legame tra libri e numismatica nella celebrazione della storia familiare del patriziato veneziano ben esemplificato dal caso singolare del volume Numismata virorum illustrium ex Barbadica gente. Protagonista di tale impresa fu il veneziano Giovanni Francesco Barbarigo di Santa Maria del Giglio (16581730). Nato da una delle famiglie pi antiche della citt, intraprese unimportante carriera ecclesiastica, diventando prima vescovo poi cardinale. Fin dalla giovinezza si dedic alla formazione di una raccolta di medaglie, che fece realizzare da Giovanni Francesco Neidinger (attivo a Venezia fra il 1685 e il 1714 ca.), per illustrare le gesta e le virt degli avi, decidendo, gi nel 1697, di riprodurre a stampa lintera collezione. Collaborarono allimpresa prima lincisore Domenico Rossetti (Venezia 1651-Verona 1736) poi, almeno dal 1709, Robert van Auden Aerd (Gand 1663-1743), che alla fine appront tutti i rami necessari per lintero apparato illustrativo. Il lavoro pot dirsi concluso solo nel 1731, il volume fu stampato nel 1732 a Padova e fu completato nel 60 con un ulteriore fascicolo. In apertura di ogni capitolo riprodotta in incisione una medaglia che presenta sul diritto leffige in profilo del personaggio illustrato e sul rovescio una scena relativa alle vicende che lo riguardano, oppure unallegoria riferita alle virt e ai meriti dello stesso. Le medaglie sono incastonate in unelaborata cornice definita dalla presenza di personificazioni simboliche correlate alla celebrazione del personaggio raffigurato. Il testo che ne descrive le gesta sapre con un capolettera figurato e termina con una clausola o finalino dove delineata unimmagine emblematica. Il Museo Correr possiede diversi esemplari del Numismata, oltre a molte delle matrici in rame per le illustrazioni, per i capilettera e quasi tutte le medaglie, in alcuni casi con la relativa matrice. Questa sezione della mostra espone, oltre al volume intero corredato dal ritratto del committente, una selezione delle pagine sfascicolate, ognuna con le matrici e le medaglie di riferimento. Ecco
allora la consacrazione della chiesa di Santa Maria Zobenigo (del Giglio), fondata nel X secolo per iniziativa di diverse famiglie tra le quali anche i Barbarigo, con la medaglia accompagnata dalle personificazioni della Religione, del Vecchio e del Nuovo Testamento e il capolettera figurato con la scena dellAnnunciazione; segue la figura di Angelo Barbarigo (1350 ca.- 1418), cardinale al Concilio di Costanza per ricomporre lo Scisma, personificato, insieme alla Chiesa, nellillustrazione della medaglia, mentre il capolettera ritrae un altare con la croce; seguono altre celebrazioni di gloriosi membri della famiglia, fino ai dogi Marco e Agostino eletti uno di seguito allaltro nel 1485 e nel 1486. Del primo, lillustrazione raffigura la personificazione dellArchitettura a ricordo dei lavori edili a Palazzo Ducale, del secondo la medaglia ricorda lincontro con la regina di Cipro Caterina Cornaro che rinuncia al suo regno in favore della Serenissima, mentre lillustrazione personifica la Gratitudine e nel capolettera il Bucintoro, galea veneziana da cerimonia. Giovanni Francesco Barbarigo, autore e ideatore del volume, ricordato per le sue cariche Vescovo e di Senatore, mentre il capolettera riporta lo stemma della Regina di Polonia, da lui incontrata. Sala 10. Favole antiche e piaceri della vita. Per tutto il Medioevo le Metamorfosi di Ovidio, il capolavoro latino che raccontava in poesia i miti dellantichit, aveva creato un conflitto fra lettori e autorit ecclesiastiche, per le quali, secondo la fede cristiana, lunica metamorfosi ammissibile era lincarnazione di Dio che si fa uomo per la salvezza di tutti. Avvenne cos la metamorfosi dellautore inOvidius moralizatus con il testo di ogni mito accompagnato da uninterpretazione allegorica che ne rendeva compatibile il senso con la dottrina teologica. Oltre a due edizioni in volgare, qui esposta ledizione latina di Giorgio de Rusconi del 1517 in cui il rapimento di Europa qui visibile nella successione di diverse scene trasportata a Creta da Giove innamorato e trasformato in toro, verr elevato dai commentarii a rappresentare lanima riscattata da Cristo/Toro vittima sacrificale e salvifica, che la porta con s in cielo. Ma la serie di 53 splendide xilografie colp, in questopera, fin dalla prima edizione del 1497 per realismo ed efficacia espressiva e la riproduzione allanticadi armi, vesti e corpi, la cui nudit aveva allarmato il Patriarca di Venezia, obbligando stampatore ed editore a intervenire con correzioni sulla pagina e poi direttamente sulla matrice lignea. Il corpus iconografico dellOvidio del 1497, venduto in 1800 esemplari in 4 mesi, e poi diffuso in molte edizioni e traduzioni per tutto il Cinquecento, diede impulso alla immaginazione delle pi fervide menti artistiche a cominciare da Tiziano. Ma ancora prima della grande pittura veneziana del Cinquecento, gli incunaboli veneziani avevano fatto fiorire la mirabile stagione dell istoriato, il vaso da tavola, o il piatto in maiolica decorato con scene mitologiche e storiche che rappresentano una delle espressioni pi alte del Rinascimento italiano. Il servizio di 17 pezzi che viene parzialmente esposto qui opera, secondo lattribuzione prevalente, di Nicol da
Urbino, detto Pellipario (1480-1537/8), le cui opere sono presenti nelle collezioni dei grandi Musei del mondo, che avrebbe dipinto questa serie di piatti a Casteldurante, lodierna Urbania, in et giovanile. Fra le possibili corrispondenze fra fonte iconografica libraria e decorazione della maiolica istoriata si segnala lamorino con arco e freccia del piatto con la vergine che ammansisce lunicorno, che presenta lo stesso atteggiamento di quello ammonito da Apollo sullo sfondo, fra le due scene in primo piano in cui lo stesso dio uccide il Pitone e insegue Dafne che si sta trasformando in alloro. Ugualmente pare evidente la dipendenza dellidolo adorato da Salomone nel piatto scodellato rispetto alla scena della morte di Achille colpito al tallone dalla saetta di Paride, mentre inginocchiato in preghiera di fronte al dio suo nemico che si erge sopra un insolito piedistallo simile a una vera da pozzo veneziana. In questi piatti da tavola, le antiche favole facevano apparizione sul fondo, a mano a mano che si consumavano i cibi. Per questo ad essi accostato il trattato De onesta voluptate et valetudine del cortigiano Bartolomeo Sacchi (1421-1481), detto il Platina dal nome della citt natale, Piadena vicino a Cremona: il testo dellincunabolo con il frontespizio impreziosito da miniature nello stile floreale diffusosi a partire dalla bottega di Leonardo Bellini in questa edizione tradotta in volgare preceduto da una Tavola di le vivande, fructi, sapori et magnari di diversi paesi per comodit di chi si cimentasse con la preparazione dei cibi e tramanda le ricette della buona cucina delle corti e delle case patrizie, con il linguaggio parlato da tutti a Venezia (che usa termini come asparesi, bruscandoli, torta di ceriese, gambari, barboni, sardelle, bozoladi peverati). Sala 12. Tra ragione e mito. Nel Settecento il libro illustrato, dominato da due stili divergenti, Rococ e Neoclassico, sicuramente una manifestazione non secondaria della grande arte veneziana . Dopo un avvio tipograficamente ancora modesto, il secolo vede il trionfo di uneditoria di prestigio che, accanto alla filologia e ai valori filosofici dei testi, persegue un ideale di gusto ed eleganza nella forma del libro ben stampato, illustrato e rilegato, recuperando le tendenze classicheggianti del Cinquecento e opponendo alla pesante gravit del frontespizio Barocco leleganza dellallegoria nellantiporta e la leggerezza delle scene incise su rame. Ai grandi formati del Seicento, spesso legati alla necessit della raffigurazione scenografica o della compilazione erudita, seguono formati ridotti e maneggevoli che convivono con volumi di grandi misure. I testi sono sempre pi spesso un pretesto allesplosione di figure, fregi decorativi, vezzi vegetali o fleurons, testatine e finalini di ambientazione spesso bucolica che adornano la pagina stampata. Accanto a edizioni di carattere letterario e scientifico prodotte da numerose Accademie e Societ scientifiche sostenute dal mecenatismo di un patriziato ricco e illuminato, continua la moda delle pubblicazioni encomiastiche, doccasione e di celebrazione. Dei molti tipografi attivi in
citt nel Settecento, Giambattista Albrizzi (1698-1777), Giambattista Pasquali (1702-1784) e Antonio Zatta (1722-1804) produssero opere lussuosamente illustrate, collaborando con gli artisti che negli stessi anni lavoravano agli affreschi dei pi illustri palazzi veneziani e delle case di villeggiatura della nobilt cittadina. Numerosi incisori veneziani, come Marco Alvise Pitteri (1702-1786), traducevano in incisioni, con le tecniche pi aggiornate per rendere le sfumature e il chiaroscuro, i disegni di Gaspare Diziani (1682-1767), Giambattista Tiepolo (1696-1770), Francesco Fontebasso (1709-1769), Francesco Guardi (1712-1793). A Giovanbattista Piazzetta (1683-1754), si deve lapparato illustrativo del massimo capolavoro di Albrizzi, La Gerusalemme liberata del Tasso pubblicata nel 1745, con il ritratto di Maria Teresa dAustria alla quale lopera dedicata. Composta da 26 tavole a piena pagina che precedono i canti, con venti testatine e ventuno finalini incisi in rame con scene pastorali e agresti. Nella scena finale riconoscibile lo stesso Piazzetta, autoritrattosi insieme alleditore. Nel 1764 ancora Albrizzi stampa una delle pi belle raccolte encomiastiche, i Componimenti poetici per lingresso del procuratore di S. Marco per Merito di sua Eccellenza Lodovico Manin con antiporta, frontespizio, ritratto, 17 vignette, testatine, finalini, e 38 fastose cornici in rame che racchiudono il testo, in parte incise da Francesco Bartolozzi (1728-1815). La Gerusalemme di Albrizzi ispir altre splendide edizioni che rendevano onore ai grandi della letteratura italiana, come la Divina Commedia dello stesso Albrizzi,nel 1757, e le Rimedi Petrarca, edite lanno prima da Antonio Zatta che chiam vari artisti a disegnare e incidere il sontuoso apparato illustrativo di oltre 120 immagini. Dallofficina del Pasquali escono dal 1761 al 1777 i 17 volumi Delle Commedie di Carlo Goldoni, le cui incisioni offrono una mirabile documentazione iconografica della vita del tempo: per questa edizione Pietro Antonio Novelli (1729-1804) disegn le antiporte, le vignette dei frontespizi e una tavola allinizio di ogni commedia, incise in rame da Giuliano Giampiccoli (1703-1759) e Antonio Baratti (1724-1787), mentre il ritratto di Goldoni inciso da Pitteri su disegno di Lorenzo Tiepolo (1736-1786). Ancora Baratti e Bartolozzi incidono su disegni dello stesso Bartolozzi e di Novelli le illustrazioni per le Quattro elegantissime egloghe rusticali pubblicate da Paolo Colombani nel 1760. Sala 14. Dalle alte tirature alla comunicazione di massa. Le grandi imprese editoriali del Settecento erano state possibili per ladozione di forme di smercio come lassociazione, o sottoscrizione, con la quale un numero di lettori sufficiente a coprire i costi si impegnava in anticipo ad acquistare lintera opera assicurando un rapido rientro dallesposizione finanziaria e un guadagno. Nella prima met dellOttocento il commercio librario aveva spinto la produzione verso un pubblico pi ampio in possesso di un livello minimo di istruzione e attratto da pubblicazionipoco costose e di facile lettura. Alcuni editori innovativi puntarono decisamente sullabbassamento dei prezzi e laumento delle tirature, come accadde
con il Teatro universale edito da Giuseppe Pomba, torinese, possessore di un torchio meccanico mosso dallenergia del vapore, acquistato in Inghilterra nel 1830. Il periodico, che usciva a fascicoli settimanali di otto pagine, al prezzo di soli 10 centesimi, voleva imitare analoghe pubblicazioni europee. Il titolo (come per altri magazine, o Il Caff, gi apparsi nel secolo precedente) faceva riferimento ai nuovi luoghi di ritrovo e di scambio, dove si stava formando una nuova opinione pubblica e una coscienza nazionale, e aveva lobiettivo di recare la scienza alluscio del popolo. Periodici simili erano nati in altre citt: a Milano, ad esempio, Il cosmorama pittorico. Un importante passo in avanti si ebbe a Venezia dove si distingue l Emporio artistico letterario, ossia Raccolta di amene lettere, novit, aneddoti e cognizioni utili in generale, edito da Giuseppe Antonelli (1793-1861). I fascicoli potevano essere rilegati in un volume annuale e si presentavano con disegni intercalati al testo per rendere pi agevole e piacevole la lettura, grazie a un nuovo procedimento detto trasporto litografico che per riprodurre le figure non partiva pi dalla xilografia. Il metodo (premiato nel 1838 con una medaglia doro) consentiva la traduzione di qualsiasi disegno in una nuova matrice litografica dal tratto leggero e molto espressivo, riproducibile senza limiti di copie. E sorprendente la mole nel campo dellistruzione popolare di opere ideate, pubblicate e vendute dal Privilegiato Stabilimento Antonelli, industria di dimensioni europee, che crebbe accorpando tutte le fasi della produzione nella sede del palazzo seicentesco alla Misericordia, con quasi 300 dipendenti (fra cui donne, anziani e bambini), sostenuto da un eccellente rete commerciale di librerie e agenti nelle principali citt della penisola e allestero. Come i prototipografi del Quattrocento, Antonelli produceva, nel reparto Fonderia, le serie dei caratteri che rinnovava frequentemente per ottenere testi perfettamente nitidi. Per abbassare i prezzi, dipendenti per gran parte dal costo della carta, ide collane di piccolissimo formato come il Parnaso classico italiano, di cui uscirono 188 volumi, non indegni eredi dei libelli portatiles di Manuzio. Un altro editore veneziano che, nella seconda met del secolo e nei primi anni del Novecento, lasci profonda traccia Ferdinando Ongania (1842-1911) il cui nome legato soprattutto alla monumentale Basilica di san Marco, edita a dispense dal 1877-1888. Come gi Antonelli aveva guardato a Manuzio, Ongania si sentiva il continuatore della grande stagione del libro a stampa veneziano delle origini, che fece conoscere con riproduzioni in facsimile di straordinaria qualit, spesso da esemplari di propriet privata ora perduti, come la serie dei modelli di merletti.
MANUZIO, Aldo, il Vecchio. - Nacque a Bassiano, un piccolo borgo della campagna laziale nel ducato di Sermoneta. La data di nascita stata oggetto di discussioni. Il figlio Paolo la collocava nel 1452, il nipote Aldo attorno al 1449-50. Al di l del fatto che il padre del M. si chiamava Antonio e che ebbe alcune sorelle, poco convincenti sono tutte le ipotesi formulate nel tempo attorno alla famiglia di origine, non appoggiate su alcun documento. probabile che il nome originario fosse Mandutio ("Mandutius"). Quanto al M., egli si sottoscrisse come Mannuccio ("Mannuccius"), trasformato nel 1493 in "Manucius" e dopo il 1497 in "Manutius". Le notizie circa gli anni della formazione derivano per lo pi da accenni posti nelle dediche e nelle prefazioni a sue edizioni, molto distanti nel tempo. Tra il 1467 e il 1475 comp studi umanistici a Roma, dove frequent le lezioni di Domizio Calderini, vicino al cardinale Bessarione, tra i primi a intuire le potenzialit della stampa, proprio negli anni in cui a Roma A. Pannartz e K. Sweynheym avevano avviato la propria impresa tipografica, la prima in Italia. Ma soprattutto fu allievo di Gaspare da Verona, professore di retorica alla Sapienza, provvisto di vaste relazioni europee, che gi nel 1467 rifer delle attivit romane dei due tipografi tedeschi, sottolineandone la novit. Nessun'altra notizia lega la permanenza a Roma del M. alla successiva attivit editoriale, distante circa venti anni. peraltro verosimile che in questi anni sia stato impegnato negli studi e che solo pi tardi abbia concepito il suo progetto editoriale. Dopo il 1475 il M. dovette trasferirsi a Ferrara, dove segnalato negli anni successivi come allievo di Battista Guarini, che ebbe grandissima influenza nella maturazione delle sue idee sull'apprendimento del greco e sulla sua importanza per una formazione umanistica e scientifica. In questo ambiente il M. svilupp una straordinaria fiducia in un sapere enciclopedico fondato sulla tradizione classica e la fede cristiana. Ne deriv un'intensa passione per ogni aspetto del linguaggio, inteso come mezzo di espressione delle capacit razionali dell'uomo, che lo accompagn tutta la vita, caratterizzandone profondamente l'opera di letterato ed editore. L'8 marzo 1480 era a Carpi. In quella data ottenne la cittadinanza e l'incarico di tutore dei principi Alberto e Lionello Pio, probabilmente su indicazione di Giovanni Pico della Mirandola, zio dei due principi, che doveva averlo conosciuto a Ferrara. Si avvi allora un rapporto che ebbe in seguito notevole importanza anche per le attivit editoriali del Manuzio. Negli stessi anni ebbe come allievo il futuro poeta e letterato Ercole Strozzi e non pare avere perso i contatti con Ferrara. Nel 1482, da una lettera ad Angelo Ambrogini, detto il Poliziano, si apprende che avrebbe soggiornato per qualche mese a Mirandola presso Pico, dove strinse amicizia con il letterato cretese Manuel Adramitteno. Pico stava cercando di rendere la cittadina un centro culturale di primo piano. Cominci a maturare l'idea di accademia, come luogo di scambio e discussione tra dotti profondamente intrisi di cultura greca, che il M. persegu per tutta la vita. Il soggiorno a Carpi si protrasse sino al 1489. Sembra risalire a quei tempi un primo abbozzo della futura grammatica latina, intitolato De diphthongis Graecis et ut Latine fiant libellus, identificato tra i manoscritti della Biblioteca Querini-Stampalia di Venezia. Negli ultimi tempi concep la raccolta Musarum panegyris, la cui stampa attribuita al tipografo veneziano Battista Torti tra il marzo 1487 e il marzo 1491, ma pi probabilmente tra 1489 e 1490, poco prima dell'arrivo del M. a Venezia.
Il volume conteneva alcune elegie latine e una lettera a Caterina Pio, madre di Alberto e Lionello, sull'educazione dei due principi, da cui si desumono la grande importanza che il M. attribuiva all'apprendimento della lingua greca e della filosofia antica, e la necessit che le due lingue classiche venissero insegnate contemporaneamente. Il trasferimento del M. a Venezia avvenne tra 1489 e 1490. Non sono note le ragioni precise che ve lo spinsero. La tradizione vuole che vi fosse giunto attratto da una citt in cui vivevano molti esuli greci, con biblioteche ben fornite di codici, tra cui spiccava la collezione che il cardinale Bessarione aveva lasciato alla Repubblica nel 1468 con lo scopo di destinarla alla costituzione di una biblioteca pubblica. Una metropoli, dunque, provvista di molte opportunit e di un'aristocrazia ricca e culturalmente vivace, che, qualche anno dopo, nella prefazione alle opere di Poliziano, il M. avrebbe definito "luogo pi simile a un mondo intero che a una citt". Simili motivazioni sono tuttavia prive di sostanza documentale; inoltre risaputo che la collezione di Bessarione era difficilmente accessibile. Il M. non vi fece mai cenno e non pare che vi abbia mai fatto ricorso anche se a Venezia era molto vivace il circolo degli umanisti vicini a Ermolao Barbaro, molti dei quali erano provvisti di grandi biblioteche e disponibili ad aprirle agli eruditi. Pur non risultando che il M. abbia avuto modo di conoscere di persona Barbaro, ne sub indirettamente l'influenza, assorbendone l'ideale educativo enciclopedico fondato sulla perfetta padronanza delle lingue classiche. Nel 1491 Poliziano incontr il M. a Venezia e annot il nome di "Alto Mannuccio" su un suo taccuino insieme con quelli di noti patrizi veneziani, come Alvise Barbaro, Leonardo Loredan, Pietro Bembo e Angelo Gabriel, tutti mossi dalla comune passione nei riguardi della cultura greca e allievi dell'umanista Giorgio Valla, grande esperto di testi filosofici e scientifici. Da allora il suo nome ritorna con maggiore frequenza tra gli umanisti veneziani. Una lettera di Codro Urceo (Antonio Cortesi Urceo) del 1492 attesta rapporti con Valla. L'anno successivo, nella prima edizione della sua grammatica latina Institutiones grammaticae Latinae, stampata l'8 marzo 1493 da A. Torresano, il M. riconobbe allo stesso Valla il merito di averlo avvicinato a Plauto. Tutto lascia dunque pensare che dopo il trasferimento a Venezia abbia proseguito la sua attivit di insegnante, come del resto attestato anche dalla grammatica, ristampata dallo stesso M. altre tre volte, con cambiamenti, sino al 1514, il cui successo perdur per tutto il secolo. Le Grammaticae institutiones Graecae furono pubblicate postume nel novembre 1515, a cura del letterato cretese Marco Musuro. Nessun elemento noto consente di ipotizzare che tra le ragioni che spinsero il M. a Venezia vi fosse quella di un impegno nell'editoria. Certamente, Venezia era allora il maggiore centro editoriale d'Europa, tuttavia il M. non pareva voler uscire dall'ambito filologico e linguistico, che erano le sue autentiche passioni. per possibile che l'interesse nei riguardi della stampa sia maturato progressivamente dal proposito di estendere la sua attivit educativa e dall'insoddisfazione per la qualit dei testi e dei libri su cui doveva fare affidamento. Una spinta ulteriore dovette derivare dalla crescente instabilit politica dell'epoca e dai timori che le guerre determinassero distruzioni e dispersioni nei patrimoni librari di molte illustri biblioteche. Sicch, quando, tra 1494 e 1495, la stamperia aldina prese a lavorare, il progetto culturale cui il M. stava accingendosi era definito nelle linee essenziali. La prefazione, datata 28 febbr. 1494
m.v. (1495), alla grammatica greca Erotemata di Costantino Lascaris, stampata tra febbraio e marzo 1495, ha un intento dichiaratamente programmatico. La conoscenza della lingua - scrive il M. - "preludio alle fatiche e spese gravissime e ai grandi preparativi" intrapresi per mettere in stampa "ogni sorta di libri greci" e per risolvere la miriade di problemi tecnici ed economici che la ostacolavano. Tale scelta non costituiva una fuga nell'erudizione fine a se stessa, ma era dettata dalla situazione politica determinatasi a seguito della discesa del re di Francia Carlo VIII in Italia. Il M. rivendicava il valore formativo della cultura umanistica in un momento tormentato da "guerre immani" "che devastano tutta l'Italia e tra breve par che sommoveranno il mondo intero fin dalle fondamenta". Il suo intento quello di "dedicare la vita al vantaggio dell'umanit" al costo di sacrificare "un'esistenza tranquilla e pacifica" per "una piena di preoccupazioni e di fatiche". Pochi mesi dopo, presentando le opere di Aristotele, il M. ritorn sui medesimi concetti. La conoscenza della letteratura greca era una "necessit" per i giovani e per gli adulti in "tempi tumultuosi e tristi in cui pi comune l'uso delle armi che quello dei libri". Alberto Pio non ebbe un diretto coinvolgimento finanziario nella stamperia, anche se con buone probabilit fu suo il contributo finanziario che serv al M. per avviare l'impresa o, almeno, la imponente edizione di Aristotele, che gli fu dedicata quale "doctorum aetatis nostrae alter Mecoenas". Il progetto complessivo necessitava del resto di cospicui capitali non facili da reperire. Questa lucida consapevolezza spinse il M. a combinare un accordo con altri due finanziatori che gli consent di avviare l'impresa. La grammatica del 1493 era stata stampata da Andrea Torresano, affermato stampatore originario di Asola, dalla met degli anni Settanta a Venezia dove aveva appreso l'arte tipografica lavorando nella bottega di Nicolas Jenson, dalla cui stamperia nel 1487 aveva recuperato tutte le attrezzature tipografiche. Divenuto uno dei pi facoltosi imprenditori del libro veneziano, possibile che Torresano avesse manifestato interesse al progetto del M., suggestionato dal crescente interesse da parte degli italiani del tempo verso la cultura greca. Sin dagli inizi partecip alla societ anche il patrizio veneziano Pierfrancesco Barbarigo, figlio di Marco, doge nel 1485, e nipote di Agostino, doge dal 1485 al 1501, per il quale l'impegno nella stamperia fu dettato pi dal desiderio di diversificare gli investimenti che da un'adesione a un progetto culturale, tanto che nessuna delle edizioni del M. gli fu mai dedicata. Al marzo del 1495 risale il contratto che univa in societ al 50% da una parte Barbarigo e dall'altra Torresano e il Manuzio. Questi ultimi erano a loro volta stretti da un altro patto di compagnia, secondo il quale i 4/5 del capitale spettavano al primo e il rimanente al secondo. La situazione societaria lascia dunque intendere che il M., detentore del 10% del capitale complessivo, non abbia mai avuto assoluta libert di decisione, dovendo rendere conto agli azionisti principali, per quanto il suo carisma nella conduzione dell'azienda fosse sicuramente indiscusso. in ogni caso accertato che il M., con la collaborazione dei soci, fu in grado di mettere in piedi un'organizzazione industriale e commerciale perfettamente efficiente, capace di muoversi con agilit in tutta Europa e di trasformare le sue geniali intuizioni circa la natura e il futuro del libro a stampa in un bene concreto, in grado di acquisire un preciso valore di mercato. I primi anni di attivit tipografica furono destinati alla risoluzione di una serie di questioni tecniche per la stamperia, che trov allora sistemazione nella contrada di S.
Agostin, dove, secondo le stime di Lowry, erano impegnati dai quattro ai sei torchi e una quindicina di operai. Le maggiori difficolt vennero dalla messa a punto dei caratteri per la stampa del greco, dato che i pochi esperimenti effettuati in precedenza non avevano risolto tutti i problemi. Fu necessaria una scrupolosa riflessione sulla natura della lingua e sulla natura di quei segni (accenti, spiriti) che occorreva combinare con le lettere, cercando contemporaneamente di evitare un'eccessiva moltiplicazione dei caratteri che avrebbe aumentato le spese e accresciuto i tempi di composizione. Fondamentale fu la collaborazione con l'incisore Francesco da Bologna, identificabile con Francesco Griffo, che sino al 1502 fu figura chiave nel disegno dei caratteri greci e latini, al punto da qualificare profondamente la casa. Griffo realizz quattro serie di caratteri greci, sei di latini tondi e il corsivo; effettu inoltre un tentativo di introdurre gli ebraici. In seguito, la traumatica rottura dei rapporti indusse il M. a usare sempre le stesse matrici, pur continuando a mantenere un vivo interesse per la qualit dei caratteri, al punto di raccomandarla a Torresano anche nell'ultimo testamento del 1515. La prima opera con data certa "litteris ac impensis Aldi Manuci Romani" fu la citata grammatica, uscita tra febbraio e marzo 1495, di Lascaris, maestro di Bembo e Gabriel, strumento imprescindibile per l'apprendimento della lingua greca. L'opera era gi stata stampata a Milano nel 1476, tuttavia Bembo e Gabriel, che erano appena tornati da Messina dove avevano seguito i corsi del grande grecista, avevano assicurato 150 correzioni e nuovi interventi dello stesso autore. Inoltre veniva aggiunta una traduzione latina, utile per chi era completamente a digiuno del greco. Nel novembre 1495 segu il primo tomo delle opere di Aristotele, che sarebbero state completate nel 1498 in cinque volumi in folio. Poi si sarebbe passato ai grammatici, ai poeti, agli oratori, agli storici e a tutti quegli autori che avrebbero potuto contribuire alla ripresa degli studi e delle lettere. Si trattava di una scelta in assoluta coerenza con il programma maturato, in quanto la riproposizione delle opere del grande filosofo nella sua lingua originale consentiva di superare l'interpretazione averroistica dell'Aristotele latino, recuperando o contrapponendo la lezione degli antichi greci a quella araba e cristiana allora corrente, pur non aderendo alle dottrine dei neoplatonici fiorentini. Per l'individuazione dei manoscritti su cui basarsi, il M. fece soprattutto affidamento sulla fitta schiera di conoscenti e amici, contando pi sulle capacit filologiche e di interpretazione dei suoi collaboratori, che sull'effettiva qualit dei testimoni. Egli era peraltro consapevole della fallibilit dell'opera di ricostruzione filologica. Evit per questo di presentare i suoi testi come definitivi, introducendo l'uso degli asterischi per segnalare quei passaggi la cui ricostruzione gli pareva dubbiosa. In questi anni il M. si giov dei rapporti stretti con il patriziato veneziano colto. Fu molto legato al grande diarista Marino Sanuto, proprietario di una delle pi cospicue biblioteche del tempo, ed ebbe tra i suoi principali consiglieri Bernardo e Pietro Bembo. Intrattenne relazioni con Daniele Renier e Marcantonio Morosini ai quali dedic rispettivamente Tucidide e Lucano. Mantenne inoltre scambi non trascurabili con il gruppo di patrizi pi impegnati sui temi della riforma della Chiesa. Sono documentati i legami con i camaldolesi Tommaso Giustiniani e Vincenzo Querini, autori nel 1513 del Libellus ad Leonem X, redatto in occasione dell'elezione al soglio pontificio di
Giovanni de' Medici per sollecitare l'avvio di un processo di rinnovamento. Tali legami possono spiegare lo spirito vivo e appassionato di alcune prefazioni del M., prima tra tutte quella alle Epistole di s. Caterina da Siena (1500), nella cui dedica al cardinale Francesco Piccolomini, futuro Pio III, il M. dava un saggio significativo di una religiosit che, pur nella sua assoluta ortodossia, era scossa di fronte a "li tetri vitii e orrende sceleragine che se commetteno hogge nel mondo, n chi corregga". Il greco predomin largamente nella produzione editoriale dei primi cinque anni (14951500). Oltre ai cinque volumi di Aristotele, che andavano incontro alle esigenze dello Studio di Padova, la produzione fu pi caratterizzata dai testi filosofici e scientifici che dalla letteratura. Prevalgono grammatiche e dizionari indispensabili per l'apprendimento della lingua, mentre le opere letterarie presenti appaiono per lo pi destinate a costituire buoni modelli di espressione in greco. Tale funzione avevano le commedie di Aristofane (1498), curate da Marco Musuro, e le opere di Teocrito ed Esiodo (1495), in grado di proporre un'ampia variet di forme stilistiche, essenziali per acquisire conoscenza della filosofia, della medicina e della matematica. L'attenzione nei riguardi dei testi scientifici confermata dagli scritti di Dioscoride e Nicandro (1499). I programmi del M. erano per molto pi ambiziosi. Nella richiesta di privilegio avanzata al Senato il 6 dic. 1498, pochi mesi dopo essere guarito dalla peste e avere ottenuto la dispensa dal voto di prendere gli ordini sacri in caso di guarigione, espose un impegnativo piano editoriale, attuato solo in parte, che prevedeva tra l'altro le orazioni di Demostene, la retorica di Ermogene, le opere di Plutarco e Senofonte e vari commentari classici ad Aristotele. Nell'ottobre del medesimo anno aveva intanto pubblicato anche il primo dei suoi tre cataloghi editoriali (i successivi furono nel 1503 e nel 1513), comprendente allora i soli libri greci, ritenendo gli altri poco qualificanti e di minore importanza. Certamente meno impegnativa in questa fase fu la produzione in lingua latina, parte della quale fu complementare alle edizioni greche. L'edizione di Giamblico del 1497 proponeva una serie di scritti di autori neoplatonici curati e tradotti da Ficino, che per il M. erano in funzione delle opere di Platone, gi allora in programma; gli Astronomici veteres del 1499 - traduzioni latine di originali greci - e Lucrezio stesso, del 1500, servivano soprattutto a illustrare Epicuro. Le altre opere del tempo paiono invece uscire dalla linea editoriale principale, al punto che la stampa pu essere stata determinata dalla necessit di soddisfare i soci, preoccupati per le difficolt commerciali delle opere in greco. Era un'opzione preliminare aperta sul piano della ricerca scientifica che riproponeva di partire dalla filosofia greca. Vi compaiono i Diaria de bello Carolino del medico Alessandro Benedetti (1496), amico di E. Barbaro, che tuttavia il M. non sottoscrisse, gli scritti filosofici e medici di Lorenzo Maioli (1497) e Niccol Leoniceno (1497), la Cornucopia di Niccol Perotti (1499) e gli Opera di Poliziano, che dovettero finire nelle mani del M. solo a progetto gi avviato, ma che furono integrati nel suo programma per l'ammirazione e la stima nutrita nei riguardi dell'autore. Nel gennaio 1496 (1495 m.v.) pubblic il De Aetna di P. Bembo, opera minore dal punto di vista letterario che racconta il viaggio del patrizio veneziano in Sicilia, dove si era recato per apprendere il greco, ma memorabile soprattutto per l'eleganza del carattere romano appositamente inciso da Francesco Griffo e destinato a prendere in
seguito il nome di Bembo. Prese a modello, perfezionandolo, il tondo ideato da Nicholas Jenson, tenendo conto degli studi del tempo sulle proporzioni, e divenne un riferimento per ogni futuro ideatore di caratteri. A esso si ispirarono tutte le principali serie romane successive, da quelle incise da Claude Garamond nel XVI secolo a molti tipi in uso nella tipografia del XX secolo. Tra 1498 e 1499 il M. inizi a manifestare anche interesse alla stampa ebraica, in sintonia con frequentazioni di dotti come Pico, Bembo, T. Giustiniani, V. Querini, che avevano familiarit con la lingua. Egli stesso, oltre a mostrare curiosit verso le origini ebraiche del cristianesimo, ne ebbe qualche nozione al punto che stata avanzata l'ipotesi che fosse un ebreo convertito, anche alla luce del fatto che nel ducato di Sermoneta nella seconda met del Quattrocento esistevano importanti comunit ebraiche. Al termine delle grammatiche latina e greca pubblicate nel 1501 il M. aggiunse una Introductio perbrevis ad Hebraicam linguam, ritenuta di Gershom Soncino, che costitu il primo episodio veneziano di impiego di caratteri ebraici. Si trattava di un esperimento che avrebbe dovuto preludere alla stampa delle Scritture sacre nelle tre lingue classiche di cui gi si parlava nel 1497-98. Nel luglio 1501 lo stesso M. annunciava che l'opera era in stampa, ma la Bibbia poliglotta si aren probabilmente a causa di una rottura con il tipografo Soncino, che nella seconda met del 1501 lasci Venezia per Fano. Di quella esperienza resta solo la prova di stampa di un foglio di apertura della Genesi in tre colonne, ebraico, greco e latino. In questa prima fase uscirono solo due opere in lingua volgare. La prima fu la celeberrima e misteriosa Hypnerotomachia Poliphili del 1499, sulla cui attribuzione al domenicano Francesco Colonna si continua a dibattere. considerata uno dei capolavori tipografici di tutti i tempi, per quanto sia completamente estranea al programma editoriale del M., che firm il volume ma non vi aggiunse una prefazione di suo pugno. La realizzazione del libro fu commissionata e pagata dal veronese Leonardo Grassi, appartenente alla cerchia romana di Barbaro e canonico di Ravenna, ed era dedicata a Guidubaldo da Montefeltro, uomo d'arme al servizio di Venezia e duca di Urbino. Ebbe nell'immediato problemi di diffusione, al punto che Grassi, a dieci anni dalla stampa, chiedeva una proroga del privilegio poich il libro era rimasto invenduto a causa delle guerre. Particolari erano il volgare dell'opera, rivestito di un'aura di classicit latineggiante, e, soprattutto, la veste editoriale, che combinava in modo sorprendente per tutte le 234 carte in folio testo e immagini. Le illustrazioni erano ricavate da 172 incisioni su legno realizzate da un artista rimasto ignoto, ma certamente di eccelse capacit, che studi recenti spingono a collocare negli ambienti del miniaturista padovano Benedetto Bordon, i cui rapporti con il M. sono stati accertati. L'esperienza grafica maturata serv l'anno successivo nell'edizione delle Epistole di s. Caterina da Siena, in cui la parte illustrativa ha altrettanta importanza e nella quale per la prima volta il M. speriment, sia pure per le sole parole "Jesu dolce Jesu amore", il carattere corsivo. Gli anni 1501-03 registrarono un deciso mutamento nei programmi, determinato probabilmente dai condizionamenti dei soci e da una grave crisi delle attivit editoriali veneziane, messe a dura prova dalle guerre e dalle incertezze economiche. Si verific un consistente calo della produzione in greco, addirittura interrotta per due anni dopo il 1499, a favore delle edizioni latine. Furono anche anni di rilevanti innovazioni. Il 23 marzo 1501 il M. chiese al Collegio dei savi un privilegio decennale che tutelasse un
nuovo carattere latino di cui aveva disposto l'incisione per avviare la stampa dei classici latini. Il nuovo carattere latino corsivo si ispirava alle forme manoscritte in uso nelle cancellerie italiane del secondo Quattrocento e si proponeva di assicurare alle stampe l'eleganza e la bellezza del manoscritto umanistico. In combinazione con il nuovo formato in 8, fin con qualificare l'attivit del Manuzio. Egli mise in commercio nuove edizioni portatili (definite nel catalogo del 1503 "libelli portatiles in formam enchiridii") volte non tanto ad abbassare i prezzi e a diffondere il libro popolare, quanto a favorire un uso diverso del libro, meno legato allo spazio dello studio, in direzione piuttosto di un ampliamento del pubblico, non necessariamente costituito da letterati di professione, favorendo cos nuove pratiche di lettura. Merito del M. non fu peraltro quello di avere utilizzato per primo il formato in 8, gi in uso da tempo per la stampa di testi religiosi e devozionali, quanto di averlo destinato alla produzione dei classici. Anche l'eliminazione dei commenti serviva a non distogliere i lettori dalla concentrazione sul testo, evitando condizionamenti pedanti. Il M. era del resto pienamente consapevole della rivoluzione che stava suscitando. Scrivendo a Sanuto per dedicargli nel 1501 Orazio, gli faceva notare che un libro portatile consentiva la lettura nei momenti liberi dalle occupazioni politiche o di studio, mentre al condottiero Bartolomeo d'Alviano suggeriva di tenere con s i libri di piccolo formato nelle campagne militari. Il primo esempio fu il Virgilio uscito nell'aprile 1501, seguito da molti altri: Persio e Giovenale, Marziale, Cicerone, Lucano, Ovidio, Catullo, Tibullo e Properzio. Il successo fu assicurato e le tirature furono subito molto alte. Il volumetto del 1502 che conteneva Catullo, Tibullo e Properzio super le tremila copie. Nello stesso formato e con lo stesso carattere corsivo uscirono negli stessi anni le Cose volgari di Francesco Petrarca (1501) e le Terze rime di Dante Alighieri (1502). Nelle edizioni in caratteri latini non meno rilevanti furono le innovazioni nella punteggiatura, derivate in parte dalla scrittura greca, che determinarono un'autentica rivoluzione tipografica, immediatamente percepita come tale, al punto di disorientare e infastidire pi di un lettore dell'epoca. Con il De Aetna il M. contribu all'affermazione della virgola uncinata, destinando al tempo stesso una cura particolare all'accentazione. Con Petrarca nel luglio 1501 e il Dante del 1502 spost tali segni in edizioni di opere volgari, e introdusse, mutuati dal greco, l'uso dell'apostrofo, degli accenti e del punto e virgola, accogliendo indicazioni e suggerimenti che gli provenivano da Bembo. Nel greco il M. si indirizz verso la letteratura. Nel 1502 uscirono le tragedie di Sofocle in 8, insieme, tra altro, con Tucidide ed Erodoto, e nel 1503 le opere di Luciano, le tragedie di Euripide in piccolo formato, oltre ai commentatori Ammonio e Ulpiano. Mentre la fama del M. si estendeva, al suo consolidamento contribu anche un sapiente uso di segni che rendevano facilmente riconoscibili le sue edizioni. Nel giugno 1502, nel secondo volume dei Poetae Christiani veteres, comparve la marca tipografica dell'ancora e del delfino, una prima versione della quale era gi apparsa all'interno di un'illustrazione del Polifilo. La marca illustrava il motto "Festina lente" (affrettati con lentezza), citato per la prima volta nel luglio 1498 in greco nella dedica delle opere di Poliziano a Sanuto, il quale glielo avrebbe suggerito, ricavandolo da un proverbio greco.
La notoriet europea di cui gi allora il M. godeva pu essere comprovata anche dalle contraffazioni subite a Lione, segno tangibile del successo e della capacit di presa sul largo pubblico delle sue innovazioni nel libro latino. Malgrado i privilegi, veneziani e pontifici, con cui sin dal febbraio 1496 aveva cercato di proteggere dalla pirateria libri e caratteri, vennero colpite proprio le sue edizioni di maggior successo. A Lione Baldassarre da Gabiano realizz imitazioni dei classici latini in 8 con un carattere corsivo che riprendeva quello disegnato da Francesco Griffo. Il M. si difese pubblicando il 16 marzo 1503 un Aldi monitum in Lugdunenses typographos, con cui denunciava la falsificazione e l'abbondanza di errori presenti, elencandoli uno per uno. Il manifesto serv poco agli scopi del M., rivelandosi invece utilissimo ai contraffattori che se ne servirono come guida per correggere le proprie edizioni. Altri plagi di migliore qualit vennero realizzati da Filippo Giunti e attorno al 1507 dovette celebrarsi a Venezia anche un processo per violazione dei privilegi che gli diede ragione. In quegli anni ebbe anche qualche forma di concretizzazione l'idea di accademia di studi greci. evidente nel M. il fastidio per tutte le attivit che lo distoglievano dalla passione filologica e comunque di studio. Avrebbe rinunciato volentieri alle occupazioni pratiche connesse al funzionamento della stamperia, coltiv pertanto a lungo il desiderio di una sistemazione che potesse consentirgli di concentrarsi esclusivamente sugli studi. Ne deriv un sentimento ambivalente verso quei signori che avrebbero potuto garantirgli tranquillit e sicurezza. Gi nella prefazione del marzo 1493 alle sue Institutiones grammaticae accusava i ricchi ("novi istos polypos") che non gli alleviavano le condizioni e non operavano come autentici mecenati. Nel rapporto durato tutta la vita con Alberto Pio, incerto signore di una piccola corte di poco peso politico, si intravede il tentativo di identificare in lui una figura simile. Se la presenza del nome di Pio nelle dediche di circa un terzo delle edizioni manuziane consente di ipotizzare un contributo del signore di Carpi, soprattutto nella fase iniziale della casa editrice, tale appoggio non bast a evitare al M. le preoccupazioni che un'impresa industriale e commerciale inevitabilmente comportava. Da qui la necessit di doversi adattare alle richieste dei soci e di modificare l'ambizioso progetto editoriale in funzione delle tendenze del mercato. Un accenno nella dedica del De Physico auditu di Aristotele del febbraio 1497 induce a ritenere che Alberto avesse effettivamente promesso al M. terreni e un castello, probabilmente nella stessa Carpi, affinch vi si istituisse un'accademia dedicata alla letteratura e alle arti. Nel 1498 si parl di un possibile trasferimento della stamperia a Novi, nei pressi di Carpi. Anche se in seguito il M. ottenne da A. Pio alcuni terreni, l'idea del castello in cui istituire accademia e stamperia non si concretizz. L'accademia, invece, parrebbe attiva a Venezia nel 1502. Nell'agosto di quell'anno un'edizione di Sofocle riportava come luogo di stampa "Venetiis in Aldi Romani Academia" e, qualche mese dopo, una ducale del doge Leonardo Loredan faceva riferimento a una "neacademia". Gli statuti, fortunosamente ritrovati nella legatura di un volume della Biblioteca apostolica Vaticana, non danno molte informazioni a riguardo. Vi si citano i nomi di sette persone: oltre al M., Giovanni Battista Cipelli (Battista Egnazio), Paolo Canal, Girolamo Menocchio, Francesco Roseto, Scipione Forteguerri e il greco Giovanni Cretese. Tutti si impegnavano a parlare greco e a pagare, in caso di errori, una multa da destinare a un incontro conviviale. La dizione "in Aldi Accademia" registrata solo nei due anni successivi, dopo di che i riferimenti e le notizie scompaiono per riapparire negli anni 1512-14, in coincidenza con le speranze maturate con l'elezione al soglio
pontificio di Leone X, in un senso che lascia pensare, come ha notato Dionisotti (p. 73), pi a un "ideale disegno da tradurre in realt in futuro", che a un'istituzione vera e propria. Il progetto di accademia intesa come rifugio dalle difficolt dei tempi si intrecci strettamente con il sogno di trasferirsi alla corte imperiale, sempre allo scopo di sfuggire alle incombenze del vivere quotidiano. Tale idea matur per lo meno dal 1498, quando il dotto letterato Johannes Reuchlin, che in quello stesso anno aveva pubblicato per il M. un discorso tenuto a Roma a favore dell'elettore palatino, aveva iniziato a perorare la sua causa presso l'imperatore Massimiliano I. Nel tempo i progetti dovevano essere stati diversi. Una lettera del giugno 1503 a Konrad Celtis accenna a un piano del genere e la dedica al consigliere imperiale Mattheus Lang delle traduzioni di Aristotele di Teodoro Gaza sembra andare in questa direzione. Nel 1504 il segretario della Cancelleria imperiale Giovanni Kollauer assicur al M. il proprio interessamento presso Massimiliano I, rendendolo fiducioso circa un felice esito della questione, tanto che nella dedica dell'Urania di G. Pontano dell'agosto 1505 lo ringraziava per l'opera svolta presso l'imperatore "pro academia constituenda". Tuttavia, nella seconda met del 1505, malgrado il M. stesse gi preparandosi alla partenza, chiudendo la stamperia di S. Agostin, il trasferimento non matur, lasciando il M. incerto circa il proprio futuro. Tra 1504 e 1505 la stamperia non riusc a mantenere i ritmi degli anni precedenti. Prosegu con una certa lena le edizioni greche con i commenti di Giovanni Grammatico ad Aristotele, i poemi di Gregorio Nazianzeno, Omero e le orazioni di Demostene. Tra le edizioni latine spiccano le traduzioni di Teodoro Gaza. In italiano l'unica edizione fu la celeberrima princeps degli Asolani di Bembo del 1505, di cui si ebbero due diverse emissioni, una con e una senza la dedica a Lucrezia Borgia. questo un periodo caratterizzato da gravi incertezze. probabile che vi siano stati dissapori all'interno della societ editoriale, preoccupata per i costi delle edizioni greche a cui non corrispondeva un rapido riscontro commerciale. Tuttavia, i rapporti con Torresano si strinsero ulteriormente. Agli inizi del 1505 il M. spos Maria, figlia appena ventenne di Andrea. Dal matrimonio nacquero cinque figli: Manuzio (1506), Alda, Letizia, Antonio (1511), Paolo (1512). Sul finire di quell'anno il M. lasci l'originaria abitazione a S. Agostin per trasferirsi presso la famiglia Torresano a S. Paternian. Nel 1506 tuttavia l'attivit tipografica si interruppe. Il 27 marzo il M. test a favore del suocero e, il giorno successivo, i due soci sottoscrissero un atto con cui univano le rispettive propriet, ripartite per i 4/5 ad Andrea e per la quota rimanente al M., il quale poco dopo part per un viaggio in Lombardia alla ricerca di manoscritti da pubblicare. A Milano ebbe modo di frequentare gli ambienti della corte e di conoscere figure come Iacopo Antiquari, Matteo Bandello, Jean Grolier e Jeffroy Charles (de Charolais). In luglio, passando da Cremona ad Asola, fu arrestato per errore dai soldati mantovani e rinchiuso "in una presona teterrima et pozulente" (Lowry, 2000, p. 130). Venne liberato grazie all'intervento personale di J. Charles, presidente del Senato di Milano, istituito da Luigi XII, al quale, riconoscente, nel 1509 dedic le odi di Orazio. Il M. dovette ritornare a Venezia verso la fine del 1506; l'anno successivo, rimise in moto la stamperia. Il 28 ott. 1507 gli scrisse Erasmo da Rotterdam per proporgli le sue traduzioni latine dell'Ecuba e dell'Ifigenia in Aulide di Euripide.
Gli confidava che una sua edizione del M. gli avrebbe reso fama immortale soprattutto se stampata con i caratteri corsivi, che riteneva i pi eleganti possibili, e si offriva di contribuire con l'acquisto di 200 copie. L'iniziativa di Erasmo documenta il consolidamento della fama del M. in Europa. Era inoltre quanto gli occorreva per riprendere la stampa, tranquillizzando i soci con iniziative di sicuro riscontro commerciale. A fine anno l'edizione era pronta e dovette risultare di piena soddisfazione per Erasmo, che poco dopo si present di persona a Venezia per occuparsi personalmente della nuova edizione dei suoi Adagia, completata nel settembre 1508. Anni dopo Erasmo avrebbe tracciato in un suo famoso dialogo, l'Opulentia sordida, un gustoso ritratto della vita quotidiana nell'officina del M., mettendo in ridicolo Torresano, descritto come un ricchissimo taccagno, ma risparmiando il M., affettuosamente citato anche nell'Elogio della follia a proposito delle follie dei grammatici e degli eruditi. Tra 1508 e prima met del 1509, sulla spinta delle edizioni di Erasmo, la stamperia riprese vita. Videro allora la luce in greco i retori e gli Opuscula di Plutarco, grazie alla collaborazione di Demetrio Ducas, celebre ellenista e futuro curatore della Bibbia poliglotta complutense, e, in latino, in 8, gli Opera di Orazio, di Sallustio e le Epistolae di Plinio il Giovane. Queste ultime, da poco ritrovate e trascritte a Parigi dal celebre architetto fra Giovanni Giocondo sulla base di un manoscritto molto antico, furono pubblicate insieme con altri scritti di Plinio, il De viris illustribus di Svetonio e i Prodigi di Giulio Ossequiente, anch'essi appena rinvenuti da Giocondo in un convento francese. Ma nella primavera del 1509, le operazioni militari intraprese dalla Lega di Cambrai contro la Repubblica di Venezia causarono una nuova sospensione delle attivit. Dopo la sconfitta di Agnadello (9 maggio), nella seconda met del mese, il M. lasci Venezia per Ferrara. Contemporaneamente una serie di atti regolarono formalmente i rapporti con Torresano. Questi cedette al M. alcune propriet ad Asola e parte della dote della figlia, mentre il M. nomin Torresano suo agente a Venezia. Il 28 settembre venne sciolto l'atto di fusione delle propriet. Tali mosse celano in realt un accordo tra i soci che avrebbe consentito loro di salvare comunque la stamperia, qualunque fosse stato l'esito della guerra. A Venezia Andrea ne sarebbe apparso il legittimo proprietario. Qualora invece avessero prevalso i collegati, il M. avrebbe potuto far conto sulle relazioni con le corti francese, imperiale e ferrarese, tanto pi che A. Pio era stato consigliere della Corona francese in occasione della costituzione della Lega di Cambrai. Possono del resto essere stati anche questi legami a indurre prudenzialmente il M. a lasciare Venezia proprio nel momento pi delicato, mentre una lettera dell'imperatore Massimiliano I al marchese di Mantova Francesco II Gonzaga lo definiva "fidele dilecto Aldo Romano familiare nostro" (Baschet, doc. XVIII). Anche le dediche degli inizi 1509 portano tra gli avversari della Repubblica. Gli scritti morali di Plutarco, del marzo, sono indirizzati all'umanista Iacopo Antiquari, gi uomo di fiducia degli Sforza rimasto a Milano anche dopo la conquista francese, e le Odi di Orazio dello stesso mese a J. Charles, controbilanciate dal Sallustio di aprile rivolto a Bartolomeo d'Alviano, comandante delle truppe venete. Non vi sono tuttavia testimonianze che lascino ipotizzare un coinvolgimento politico del M. in appoggio alle manovre dei collegati o rapporti diversi da quelli intellettuali.
Nel 1509 il M. si stabil a Ferrara, pur non rinunciando a muoversi. Nel 1511 sono segnalati soggiorni a Bologna e a Siena, dove avrebbe incontrato ancora una volta Erasmo. A Ferrara il 24 ag. 1511 dett un nuovo testamento. Nel giugno del 1512, tranquillizzato sulla situazione politica, torn a Venezia e riattiv la stamperia, in un momento di particolare incertezza, determinata dalla difficile congiuntura e dal sorgere di nuove iniziative concorrenti in altri centri italiani ed europei. Il M. era tuttavia ancora capace di vivaci entusiasmi. Nel marzo 1513 vide con particolare favore l'elezione di Leone X, ritenuto in grado di promuovere un forte processo di riforme all'interno della Chiesa e legato ad alcuni patrizi veneziani che gli erano vicini, come V. Querini e P. Bembo. Al nuovo papa, pochi mesi dopo, dedic le opere di Platone con appassionate parole che, nel momento in cui il mondo si stava allargando grazie alle scoperte geografiche, auspicavano la costituzione di una comunit universale dei cristiani e la possibilit di "restaurare le buone lettere" con l'aiuto dei "migliori libri", per diffondere le "arti e le discipline liberali". La ripresa dei torchi aldini avvenne con una serie di edizioni greche di grandissimo prestigio e con la continuazione della collana in 8 di classici latini. Il M. pot tra l'altro contare in questi anni di guerra sull'afflusso in laguna di letterati e studiosi che avevano lasciato soprattutto Padova e la Terraferma veneta. Uscirono allora con la cura di Marco Musuro i retori greci, i carmi di Pindaro e soprattutto gli Opera di Platone in due volumi in folio; in latino si ebbero le edizioni in 8 di Cicerone e Cesare. Nel 1514 furono editi, sempre in latino, Catone, Quintiliano, Valerio Massimo, Virgilio e la Rhetorica ad Herennium, in volgare, oltre a una ristampa di Petrarca, l'Arcadia di I. Sannazzaro, coronando un desiderio di molti anni prima. Ormai ultrasessantenne, il M. pare avvertire ancor pi che in passato le fatiche del quotidiano impegno in stamperia. Dalla dedica ad Andrea Navagero della Rhetorica ad Herennium, traspare tutto il suo disagio per un lavoro che lo costringeva a rispondere a lettere provenienti da tutto il mondo, a ricevere visitatori curiosi di sapere cosa fosse in procinto di pubblicare e ad ascoltare importuni desiderosi di pubblicare con i suoi torchi. Nel gennaio 1515 diede alle stampe la sua ultima edizione, il De rerum natura di Lucrezio in 8. A pochi anni dall'esplosione dell'eresia luterana, la stampa di un classico latino quanto mai lontano dall'ortodossia cattolica, di cui il M. era pervaso, pareva suggellare la grande stagione umanistica. Nella dedica ad A. Pio il M. presentava l'autore come poeta e filosofo grandissimo "ma pieno di falsit", che dissentiva radicalmente dallo spirito del cristianesimo. Eppure gli pareva meritevole di essere letto e non in grado di porre in crisi la verit. Il 16 genn. 1515 il M. dett a Venezia l'ultimo testamento. Il 6 febbraio mor. L'orazione funebre fu tenuta da Raffaele Regio, lettore pubblico di umanit presso lo Studio di Padova. Alla sua morte la stamperia attravers un periodo di smarrimento, data la difficolt di raccogliere l'impegnativa eredit. In vent'anni di lavoro l'oscuro maestro proveniente dalla campagna laziale e proteso verso un ideale tutto intellettuale aveva radicalmente cambiato il modo di concepire il libro. Ne aveva compreso a fondo la natura, adeguandola alle potenzialit offerte dalla tecnologia della stampa e aveva fornito un contributo essenziale alla definizione del libro moderno, favorendo il radicamento di
nuove abitudini culturali. La sua lezione era stata decisiva e si era rapidamente diffusa in Europa. Il suocero Andrea Torresano rimase il capo indiscusso della stamperia sino al novembre 1517, proseguendo progetti editoriali gi avviati e mantenendo vaste relazioni intellettuali, anche con Erasmo. Lo coadiuvava Battista Egnazio, che non disponeva per della necessaria pratica commerciale. Dall'autunno 1517 la direzione dovette passare al figlio di Andrea, Giovanni Francesco, giovane apprezzato e di vasta preparazione culturale, che aveva appreso il greco probabilmente alla scuola dello stesso Manuzio. Fu appunto il giovane Torresano a firmare quasi tutte le prefazioni sino al 1528, quando, con la morte del padre, si aprirono vivaci contrasti tra gli eredi, che portarono alla chiusura della tipografia tra 1529 e 1533. Dopo di che inizi a emergere la figura di Paolo Manuzio. Fonti e Bibl.: Per il catalogo delle edizioni aldine: A. Zeno, Notizie letterarie intorno a i Manuzi stampatori e alla loro famiglia, in Le Epistole famigliari di Cicerone corrette da Aldo Manutio, Venezia 1736, pp. I-LXXI; D.M. Manni, Vita di A. Pio M. insigne restauratore delle lettere greche, e latine in Venezia, Venezia 1759; A.C. Burgassi - F.X. Laire, Serie dell'edizioni aldine per ordine cronologico ed alfabetico, Firenze 1803; A.A. Renouard, Annales de l'imprimerie des Alde, ou l'histoire des trois Manuce et de leurs ditions, Paris 1834 (testo di riferimento, arricchito in seguito dalla pubblicazione di numerosi cataloghi di collezioni europee e americane). Per le fonti sulla vita e l'attivit del M.: A. Baschet, A. M., lettres et documents (1495-1515), Venezia 1867; R. Fulin, Documenti per servire alla storia della tipografia veneziana, in Archivio veneto, XXIII (1882), pp. 84-212; Nuovi documenti, ibid., pp. 390-405; P. de Nolhac, Les correspondants d'Alde Manuce: matriaux nouveaux d'histoire littraire (1483-1514), in Studi e documenti di storia del diritto, VIII (1887), pp. 247-299; IX (1888), pp. 203248; E. Pastorello, L'epistolario manuziano. Inventario cronologico-analitico 14831597, Firenze 1957; Id., Inedita manuziana, 1502-1597, Appendice all'inventario, Firenze 1960; Id., Di A. Pio M.: testimonianze e documenti, in La Bibliofilia, LXVII (1965), pp. 163-220; A. M. editore. Dediche, prefazioni, note ai testi, a cura di G. Orlandi, Milano 1975 (raccoglie tutte le dediche e le prefazioni del M. a sue edizioni, con traduzione italiana, da cui sono tratte le citazioni); H.G. Fletcher III, New Aldine studies. Documentary essays on the life and work of Aldus Manutius, San Francisco 1988. Su singoli episodi e aspetti della biografia e dell'attivit: J. Schch, Aldus Manutius und seine Zeitgenossen in Italien und Deutschland, Berlin 1862; A.F. FirminDidot, Alde Manuce et l'hellnisme Venise, Paris 1875; C. Castellani, La stampa in Venezia dalla sua origine alla morte di A. M. seniore, Venezia 1889; L. Dorez, La marque typographique d'Alde Manuce, in Revue des bibliothques, VI (1896), pp. 143160; D. Marzi, Una questione libraria fra i Giunti ed A. M. il Vecchio: contributo alla storia dell'arte della stampa, Milano 1896; R. Proctor, The printing of Greek in the 15th century, Oxford 1900, ad ind.; C. Scaccia Scarafoni, La pi antica edizione della Grammatica latina di A. M. finora sconosciuta ai bibliografi, in Miscellanea bibliografica in memoria di Tommaso Accurti, a cura di L. Donati, Roma 1947, pp. 193-203; E. Matteucci, Genealogia e discendenza dei Manuzio: tipografi-umanistieditori dei secoli XV-XVI, Firenze 1961; L.V. Gerulaitis, The ancestry of Aldus Manutius, in Renaissance News, XIX (1966), pp. 1-11; L. Balsamo - A. Tinto, Origini del corsivo nella tipografia italiana del Cinquecento, Milano 1967, passim; M. Dazzi, A. M. e il dialogo veneziano di Erasmo, Vicenza 1969; L. Donati, Le marche tipografiche di A. M. il Vecchio, in Gutenberg Jahrbuch, IL (1974), pp. 129-132; L. Balsamo, Alberto III Pio e A. M.: editoria a Venezia e Carpi ai tempi di Alberto III Pio, in Societ politica e cultura a Carpi, Atti del Convegno, Carpi 1978, Padova 1981, pp. 133-
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