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Disputa tra Giovanni Morelli e Luca Beltrami

sulla Dama dalla reticella di perle

Giovanni Morelli, nasce a Verona il 1816. I suoi genitori appartengono a famiglie protestanti
emigrate dalla Svizzera in Italia. Gli anni della formazione trascorrono per lo più in
Germania. Oltre all’italiano, il giovane Morelli parla e scrive perfettamente in francese e
tedesco, ha un’ottima conoscenza delle lingue classiche e si applica al sanscrito. Ma i suoi
studi iniziali sono rivolti alla scienza. Nel 1836 si laurea in medicina a Monaco. E anche se
non eserciterà mai la professione di medico, lo studio dell’anatomia attraverserà tutta la sua
vita: studia l’anatomia comparata sugli organi animali e trasferisce questa pratica nel suo
metodo di attribuzione delle opere (mettere in parallelo gli oggetti e studiando comparandoli
è proprio l’approccio che lo farà diventare un conoscitore).
Cruciale sarà la scoperta di Charles Darwin e della sua teoria evolutiva. Le osservazioni
dello scienziato britannico sul “rapporto tra particolari insignificanti e ricorrenti” nell’anatomia
animale avranno un ruolo significativo nella genesi del sistema attributivo delle opere d’arte.
Il celebre metodo comparativo morelliano, infatti tiene conto di alcuni dettagli minori ma
ricorrenti nelle opere di un'artista: “manierismi automatici” tipici di ogni autore (come le mani,
le orecchie, i capelli delle figure) e dunque in grado di provarne “scientificamente” l’identità. Il
giovane Morelli poi si arruola come volontario nei moti del 1848. Metterà a rischio la sua vita
in tutte e tre le guerre d’indipendenza, inseguendo gli ideali di un nuovo Stato democratico.
Nel corso degli anni Giovanni Morelli sarà spinto da una passione politica che lo vedrà attivo
anche nella vita parlamentare, eletto per quattro mandati come deputato nel Parlamento del
Regno di Sardegna e in quello dell’Italia Unita, per poi essere nominato, nel 1873, Senatore
a vita.Durante gli anni 50, Giovanni Morelli matura la convinzione che l’obiettivo politico della
liberazione dal dominio straniero vada collegato al progetto di una nuova valorizzazione del
patrimonio artistico italiano. È sempre negli anni 50 che Giovanni Morelli comincia
sistematicamente ad acquistare dipinti, inizialmente da collezioni private di Bergamo, poi da
altre città d’Italia e d’Europa, per comporre una propria raccolta personale. Giovanni Morelli
moriva a Milano il 28 febbraio 1891. Lasciava molti amici e anche qualche nemico tra
avversari sul terreno della critica d’arte, primo fra tutti Luca Beltrami, a causa di un
disaccordo riguardo all’attribuzione del quadro “Dama dalla reticella di perle”.
L’opera si data tra gli anni 1455 e 1500 e da sempre si pensava fosse stata dipinta da
Leonardo da Vinci (1452-1519) per la presenza di un documento, scritto per la donazione
alla Pinacoteca Ambrosiana nel 1618 da Federico Borromeo, che attesta: “ritratto di una
duchessa di Milano dal mezzo in su, di mano di Leonardo”. Luca Beltrami nato a Milano nel
1854 è morto a Roma nel 1933. Inizia la propria formazione alla Scuola di Architettura
fondata presso il Politecnico di Milano; consegue la laurea nel 1880. Come restauratore,
interviene a Milano e sui principali monumenti della Lombardia; come architetto costruisce
numerosi importanti edifici, tra i quali le sedi delle Assicurazioni Generali, del Corriere della
Sera; come storico dell’architettura e dell’arte, con studi assai rilevanti sull’architettura
medioevale e del primo rinascimento in Lombardia; come politico, consigliere comunale e
assessore, senatore a vita; come giornalista, collaborando a numerosi quotidiani, per breve
tempo direttore del Corriere della Sera; come narratore, giudicato da Pascoli il migliore dei
manzoniani. Si trasferisce definitivamente a Roma nel 1924 e diviene architetto di San
Pietro, di cui restaura la cupola, con il progetto della Nuova Pinacoteca e numerosi altri
lavori in Vaticano. Riguardo all’attribuzione del ritratto Dama con la reticella di perle, lui si
attiene a quel documento anche quando l’autore dell’opera viene messo in discussione da
Giovanni Morelli che, recatosi a Milano, attribuisce il dipinto al ritrattista della corte sforzesca
Ambrogio De predis (1455 circa – Milano, 1509). Egli sostiene che la linea di luce presente
tra la palpebra superiore e inferiore dell’occhio sia una caratteristica tipica dello stile di De
Predis. Beltrami allora si scaglia contro Morelli perché la pensa diversamente. In effetti i due
hanno metodi attributivi differenti: nel mentre Morelli usa come parametro l’osservazione
(non si può distinguere scientificamente lo stile, la pratica del conoscitore è sciamanica,
intuitiva. Ci si fida della loro autorevolezza ma per esempio Pedretti, il più grande studioso di
Leonardo attribuisce a lui la Pulzella di Camaiore che in realtà era di Tommaso Ferroni) e il
confronto tra i dettagli delle opere, Beltrami lavora invece con i documenti (ma i documenti a
volte vanno interpretati e a volte sono falsi, viene chiamato dispregiativamente da Morelli un
cartista). La cosa più sensata, in ogni caso, sarebbe integrare i due metodi. Per i milanesi
però era importante che l’attribuzione fosse di Leonardo perché la figura nel quadro era
intesa come Beatrice d’Este, moglie di Ludovico il Moro: i due erano il simbolo di un'età
dell’oro milanese. I milanesi avevano dunque cara la figura di Leonardo e in special maniera
il ritratto della Dama dalla reticella di perle tanto che, da questo mito collettivo, nascono tanti
quadri aneddotici come quello Giuseppe Bertini, direttore dell’Accademia di Brera, che ritrae
Leonardo mentre dipinge il quadro. A sostenere la tesi che la dama del ritratto fosse
Beatrice d’Este era il quadro a cui era affiancata, ovvero il Ritratto di Musico di Leonardo da
Vinci. Prima del restauro del 1905 operato da Cavenaghi, si pensava che il quadro ritraesse
Ludovico il Moro ma dopo si scoprì, grazie allo spartito che teneva in mano, che era l’effige
di Franchino Gaffurio, maestro di cappella del duomo di Milano, frequentatore della corte
ducale e certamente in rapporti amichevoli con Leonardo. Era nato nel 1451, poteva quindi
bastevolmente adattarsi a lui l'età. Gaffurio è anche autore di una Pratica musica, stampata
nel 1496, i cui disegni per le incisioni in legno provengono, secondo Gerolamo D’Adda, da
Leonardo, e di un Angelicum ac divinum opus (stampato solo nel 1508), cui possono
richiamarsi le parole della scritta: "Cantum Angelicum " .Tutt’oggi il dibattito sulla Dama con
la reticella di perle rimane aperto, non è più attribuito né a Leonardo né a De Pedris anche
se la Pinacoteca Ambrosiana nel suo sito mantiene l’attribuzione morelliana.

Leonardo a Milano
(1482-1500)

Leonardo fu inviato da Lorenzo il Magnifico alla corte di Ludovico il Moro a Milano ed è qui
che trascorrerà gli anni più fecondi della sua carriera. Dal 1482 al 1500 Leonardo dipingerà
alcune delle sue opere più note: il Cenacolo, la Vergine delle Rocce, il Ritratto di un
Musico, la Dama con l’ermellino, le Belle Ferronière, la Madonna Litta e inizierà la
Gioconda. Progetta e realizza anche opere di ingegneria idraulica e le Porte Vinciane
installate nel 1496. L’ultima Cena decora il muro del refettorio del convento di Santa Maria
delle Grazie. L’opera fu commissionata da Ludovico il Moro, duca di Milano, tra il 1492 e il
1493. Quest’opera si contraddistingue per un sapiente uso della luce e della prospettiva,
tecnica sviluppata a Firenze, per l’originalità interpretativa e per i dettagli. La Pinacoteca
custodisce il Ritratto di Musico, unico dipinto su tavola di Leonardo rimasto a Milano. Il
Castello Sforzesco, uno dei luoghi simbolo della Lombardia, custodisce una testimonianza
della presenza di Leonardo a Milano. La famosa Sala delle Asse si trova al piano terra del
castello, nella torre nord-est detta la Falconiera. Ludovico chiese a Leonardo di affrescare la
sala delle Asse nel 1498 e Luca Beltrami, durante i lavori di restauro del Castello scoprì
queste pitture sui muri. Nella chiesa medievale di San Michele al Dosso si trova l’opera
Vergine delle Rocce “del Borghetto”.
Franz Wickhoff
(Steyr 1853 – Venezia 1909)

Figlio di nobile famiglia, studiò a Vienna con Eitelberger. Ispettore della sezione tessuti nel
Museo Austriaco di Vienna dal 1879 al 1895, fu professore all'Università di Vienna dal 1882.
Franz Wickhoff è il primo vero componente della scuola di Vienna. Wickhoff si interessò
primariamente di arte classica, medievale, miniatura e arte del Rinascimento italiano, arte
contemporanea. Egli sostiene che l’arte tardo-antica sia molto vicina a noi: che sia moderna.
Non è decadente, come si pensava, ma è una corrente d’arte che riscopre completamente
l’illusione e la tridimensionalità. Wickhoff, come Riegl, vuole riabilitare la pittura medievale e
scrive un’introduzione del manoscritto miniato da lui datato IV secolo d.C. (ad oggi della
seconda metà del VI secolo) noto come la Genesi di Vienna. Wickhoff ne intraprese a
studiare le miniature, il loro modo di raccontare graficamente gli episodi biblici e a ricostruire
l’iconografia. Osservando le numerose iconografie dell'Antichità, ritrovando alcune
caratteristiche di questo modo di narrare nei rilievi storici romani e di maniere pittoriche nelle
pitture di età pompeiana, egli fu condotto a ripercorrere sinteticamente tutto il corso dell'arte
romana dall'età di Augusto a quella di Costantino. Affrontando il problema con aderente
sensibilità per la forma e lo stile, egli affermò vivacemente che l'arte romana non doveva
esser considerata una degenerazione dell'arte greca, ma che ad essa doveva esser
riconosciuta la creazione di valori nuovi e originali. In tal modo il Wickhoff ruppe, per primo,
gli schemi dettati da Winckelmann entro cui i critici d’arte valutavano l’autorevolezza di
un’opera o di una corrente artistica solo in base alla sua aderenza al canone classico.
Dunque Wickhoff si concentra sullo stile romano che ha delle caratteristiche che si
allontanano col tempo sempre di più da quello greco: colori stesi a macchie che richiamano
un illusione attraverso punti di diverso colore e di diversa intensità che ci permettono di
riconoscere le forme solo con l’aiuto spontaneo del ricordo che abbiamo del soggetto
rappresentato. Quando noi guardiamo l’opera è come se partecipassimo anche noi al
processo artistico perché la nostra vista vede delle macchie e la mente le rielabora in una
figura. Questo discorso è molto simile a quello degli Impressionisti a fine Ottocento, Wickhoff
era perciò influenzato dal contesto socio-artistico del suo tempo.

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