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ANDREA MANTEGNA:

LA CAPPELLA OVETARI, PADOVA

1 IL RINASCIMENTO e L’UMANESIMO
Essendo i temi trattati in questa ricerca risalenti al periodo Rinascimentale, iniziamo
col dire che cos’è il Rinascimento e in particolare l’umanesimo.
Il Rinascimento è il primo periodo seguente il Medioevo che dura circa due secoli,
dal ‘400 al ‘500 circa caratterizzato dall’uso rinnovato della lingua e letteratura latina
classica, dal libero rifiorire delle arti, degli studi, della politica, dei costumi nello
spirito e nelle forme dell’antichità classica. In particolare il primo periodo di tale
epoca viene detto Umanesimo: esso è un movimento culturale contraddistinto dal
rifiorire degli studi classici e basato sulla riscoperta di valori umani e storici.
Questa corrente si sviluppa inizialmente in Italia per giungere più tardi in Europa.
Nata a Firenze si diffonde velocemente nell’Italia Settentrionale dove raccoglie
intorno a sé numerosi esponenti di tutti i campi della conoscenza, in particolare
dell’arte. Uno di questi fu proprio Andrea Mantenga.

2 ANDREA MANTEGNA (Isola di Carturo, Padova, 1431 - Mantova, 1506)


Figlio del falegname Biagio, Andrea nasce nel 1431 a Isola di Caturo, paese del
contado padovano e risulta già iscritto alla corporazione dei pittori di Padova nel
1445 poiché, giunto a Padova da ragazzetto, fu adottato da Francesco Squarcione
che aveva aperto una scuola si pittura. Alcuni si trattenevano come discepoli, i più
poveri erano adottati. Abituato a servirlo anche in casa in umili lavori da garzone,
Mantegna trattenne in sé per tutta la vita un senso di ribellione di fronte
all'intransigenza dello Squarcione, maestro curioso e pittore mediocre. Cresciuto,
Mantegna stipulò a Venezia col patrigno un compromesso a seguito del quale
acquistò l'indipendenza e la facoltà di tenere per sé i guadagni dopo essere stato
sfruttato per anni. Diventato autonomo anche nella sua attività di pittore, firmò la sua
prima opera, oggi perduta: la pala per l'altare maggiore della chiesa di Santa Sofia a
Padova. Prende parte al lavoro di decorazione della cappella Ovetari nella chiesa
degli Eremitani insieme a Niccolò Pizzolo.
Mantegna partì per Venezia e vi sposò nel 1454 Nicolosa Bellini, figlia di Jacopo,
sorella dei pittori Gentile e Giovanni. Andrea portò a termine il lavoro agli
Eremitani, con le Storie dei santi Giacomo e Cristoforo , accettando anche quadri su
commissione come il Polittico di san Luca (1453-54).
Fra le beghe giudiziarie che si trascinarono fino al 1457 con lo Squarcione, il
giovane artista fu invitato dal marchese Ludovico III Gonzaga, signore di Mantova
(città dove realizzerà la maggior parte della sua opera), come pittore di corte, e al
tempo stesso fu autorizzato a terminare la Pala di san Zeno per la chiesa omonima di
Verona (1458).
Appena giunto a Mantova soddisfa le richieste del marchese riguardanti
l’ornamentazione del Castello di San Giorgio per i cui interni esegue il cosiddetto
Trittico degli Uffizi e la pala con la Morte della vergine. Poco dopo, fra il 1465 e il
1474 Mantegna continua a lavorare al castello affrescando la cosiddetta Camera
Picta per Ludovico III e Barbara di Brandeburgo, vero gioiello della sua produzione.
In seguito ad un viaggio che lo toccò profondamente, dipinse Madonna della Vittoria
Madonna Trivulzio e nel Trionfo della virtù oggi sparsi per mezza Europa.
Frequentemente negli sfondi dei suoi quadri ricorrono le rocce, come nel San
Sebastiano o nelle tavole del Trittico degli Uffizi, Ascensione, Adorazione dei Magi
e Circoncisione. Alla morte di Ludovico Gonzaga, avvenuta nel 1478, gli successe
Federico I sotto la cui protezione l'artista dipinse il Trionfo di Cesare.
Tornato a Mantova su invito di Isabella d'Este, fece il suo ritratto con poco successo.
Alla sua morte, il 13 settembre 1506, sta ancora lavorando il Cristo morto. Verrà
sepolto nel tempio del classicismo mantovano, la Chiesa di Sant’Andrea.
Lavorò fino alla fine accogliendo nella sua casa personalità provenienti da ogni dove
e tenendo accanto a sé.

PADOVA & MANTEGNA:


AMBIENTAZIONE, INFLUENZE E PECULIARITA’ DEL PITTORE
L’Italia settentrionale, fino alla metà del Quattrocento, è terra d’espansione del gotico
in quanto l’arte figurativa padana è molto più legata alla cultura d’oltralpe. Concorre
al rinnovamento umanistico il fiorire degli studi classici padovani: passata
definitivamente nel 1405 sotto il dominio di Venezia, Padova infatti non perde la
propria autonomia culturale e mantiene anzi il ruolo di centro trainante
nell’accoglienza delle novità toscane.
E’ qui infatti che, alla metà del secolo, artisti cresciuti alla scuola di Francesco
Squarcione fanno propria la lezione impartita da Donatello.
Importanza capitale nella lunga fase di transizione fra Gotico e Rinascimento ha
infatti l’officina padovana di tale pittore. Fra i suoi allievi, che egli adotta come figli,
figurano alcuni dei maggiori esponenti del cosiddetto Rinascimento Umbratile o
pseudo-rinascimento che, aderendo alla corrente più drammatica e formalmente
esasperata dell’ Umanesimo fiorentino, ne diffondono poi una versione omogenea in
tutta l’area padana.
Altrettanto fondamentale è l’apporto di Andrea Mantegna nell’elaborazione di un
particolare tipo di Umanesimo definito archeologico per l’abbondanza di citazioni
figurative tratte da iscrizioni e monumenti antichi. In piena sintonia con
l’orientamento filologico dell’università padovana, Mantegna ritiene infatti che la
rinascita dei valori classici non possa prescindere dal recupero materiale delle forme
con cui si espressero. Di qui la sua passione per i reperti archeologici rievocati sia in
immaginarie ricostruzioni sia in forma di rovine, simbolo di una mitica età perduta.
La sua cultura non è soltanto figurativa, ma anche storica e filosofica: risente
dell’indirizzo storicistico padovano e degli studi su Tito Livio, lo storico per
eccellenza. Non per niente l’incontro del Mantegna con Donatello avviene appunto
sul terreno della storia approfondendone lo spirito.
LA CHIESA DEGLI EREMITANI
La chiesa attuale, come attesterebbe una lapide all'interno, è del 1276 anteriore alla la
costituzione dell'ordine degli Eremitani di S Agostino che si fa risalire al 1256.
L'aspetto esterno è caratterizzato dalla calda tonalità del cotto a vista.
La facciata presenta cinque lesene equidistanti con al centro un bel rosone, che
insieme con i quattro oculi laterali, costituisce motivo di chiaroscuro.
Di grande interesse architettonico il soffitto a carena, opera di Frà Giovanni degli
Eremitani, personaggio assai illustre ai suoi tempi come architetto.
All'interno sono visibili, allineate lungo le pareti, le tombe di personaggi importanti
tra cui quelle di alcuni esponenti della famiglia da Carrara.
Sicuramente il “pezzo forte” della chiesa è la cappella degli Ovetari affrescata da
Andrea Mantegna.
L’11 Marzo del 1944 un bombardamento colpì questa chiesa, riducendo in briciole
gli affreschi della cappella. La sua decorazione era stata commissionata nel 1448 da
Imperatrice Ovetari, in memoria del marito defunto, ad Andrea Mantegna, Nicolò
Pizzolo, Giovanni d'Alemagna e Antonio Vivarini. Il ciclo eseguito tra il 1448 e il
1460 rappresentava le storie dei Santi Giacomo e Cristoforo, considerati il capolavoro
giovanile del Mantegna e il punto d’avvio del rinascimento padovano.
Si sono salvate dalla distruzione solo tre scene, staccate nel corso dell’800. Il resto
del ciclo fu ridotto dalle bombe in minuscoli frammenti, raccolti dai padovani nei
giorni successivi al disastro e riposti in casse, poi inviate all’Istituto Centrale di
Restauro.
Nel 1946 quattro scene (le meno danneggiate) furono ricomposte e ricollocate nella
Cappella Ovetari; il resto dei frammenti fu affidato ai depositi del Museo Diocesano
della città.
Quale unica testimonianza degli affreschi resta una serie d’immagini fotografiche in
bianco e nero realizzate nel 1920 dai Fratelli Alinari; non esiste una documentazione
a colori di buona qualità dell’intero ciclo.
Solo oggi, grazie al digitale, si sta cercando di ricreare il ciclo di affreschi rovinato.
LA CAPPELLA OVETARI
Mantegna si impone giovanissimo con la decorazione della cappella Ovetari degli
Eremitani di Padova, testo chiave per l’acquisizione del Rinascimento nel Nord Italia.
Committenza e programma
Nel maggio 1448 Imperatrice Ovetari commissiona a quattro pittori divisi in due
squadre la decorazione ed affresco della cappella funeraria del defunto marito nella
chiesa padovana degli Eremitani. Assieme al giovane Mantegna, vengono chiamati
Antonio Vivarini, Giovanni D’Alemagna e Nicolò Pizzolo, già allievo di Squarcione
e collaboratore di Donatello. Alla coppia padovana Pizzolo-Mantegna spettano le sei
Storie di San Giacomo della parete sinistra e l’Assunzione, l’Eterno e i Santi della
parte absidale, al duo Vivarini-D’Alemagna la volta della cappella e le sei Storie di
San Cristoforo della parete destra. Il programma iniziale non viene però rispettato:
accese controversie conducono nel 1449 ad una ridistribuzione del lavoro tra
Mantegna e Pizzolo; poi la morte improvvisa di Giovanni D’Alemagna nel 1450
provoca il ritiro dal cantiere anche del Vivarini. Le quattro storie superiori della
parete destra sono allora affidate ad una nuova squadra di artisti (di questi non ce ne
rimane la minima traccia poiché distrutti dal bombardamento); ma nel 1453, morto
assassinato il Pizzolo, Mantegna resta il vero protagonista dell’impresa.
Nicolò Pizzolo e la prospettiva
In base all’accomodamento del 1449, Pizzolo si impegna a dipingere gli spicchi della
volta dell’abside con figure di Santi e il Padre Eterno, ai piedi dei quali si trovavano
quattro tondi con i Dottori della Chiesa (Cristoforo, Grogorio, Paolo e Pietro) nei
loro studioli, affreschi oggi noti solo attraverso riproduzioni. Straordinarie appaiono
nei tondi la piena padronanza della prospettiva nonché l’effetto scultoreo del
panneggio incollato alle membra, studiato mediante l’uso di manichini il cui
drappeggio veniva ingessato, risultando così perfettamente aderente alle forme
sottostanti: una prassi nuova in pittura, desunta direttamente dal metodo
Donatelliano.
Assolutamente innovativo è l’illusionismo del Pizzolo, che giunge quasi al
virtuosismo nella definizione spaziale degli studioli dei dottori, scorciati da sotto in
su e visti attraverso un oculo correttamente prospettico. Nel tondo con San Gregorio
il pittore padovano introduce anche brani di estremo realismo, quali la natura morta
di libri che si intravede dagli sportelli aperti della cattedra, o gli insiemi di calamai
sul ripiano della parete di fondo, che troveranno fortuna nella pittura padana
successiva.
Le storie di Mantegna e il suo “misticismo archeologico”
I primi episodi della vita di San Giacomo, dipinti da Andrea dopo il 1449 nella fascia
superiore della parete sinistra, raffiguravano la Vocazione dei Santi Giacomo e
Giovanni e la Predica di San Giacomo.
Nel registro sottostante, anch’esso perduto, Mantegna dipinge con uno stile
assolutamente nuovo e personale, San Giacomo battezza Ermogene e San Giacomo in
Giudizio. Il realismo illusionistico degli sfondi urbani prospettici delle prime scene
cede qui il passo ad una sorta di “misticismo archeologico”, che a edifici di chiara
ispirazione antica, associa una visione volta al recupero di un mondo perduto,
raggiungibile solo attraverso il mito.
Mantegna cerca una totale restituzione del mondo antico, in cui il parte archeologica
non è che il punto di partenza per la rinascita di ideali e eroi. Dato ripetuto del
Mantegna padovano è il forte richiamo a Donatello, rappresentato dalla
raffigurazione prospettica dello spazio e nel continuo rimando della pittura alla
scultura. I corpi sembrano quasi delle statue, come si trattasse di un’umanità
inanimata.
Nella fascia più bassa della parete sinistra si trovavano i riquadri raffiguranti San
Giacomo condotto al martirio e il Martirio di San Giacomo.
Nel primo gli edifici, veduti dal basso, formano due strette e profonde corsie
prospettiche, un porticato classico e una via cittadina: le divide, al centro, il forte
risalto di un pilastro, che spinge in avanti quasi fuori dal quadro, la figura in scorcio
del centurione. Dunque l’architettura non delimita lo spazio, ma “crea” lo spazio,
come le figure; ha forme antiche come le persone hanno costumi antichi; è illuminata
dalla stessa luce che illumina le stesse figure; è anch’essa autorità storica.
Se passiamo alla scena del Martirio, che ha un vasto fondo di paesaggio, notiamo che
esso non ha nulla di naturale: è un agglomerato di ruderi, di castelli, di strade, di
campi coltivati. E’ dunque un paesaggio fatto dagli uomini. Per il Mantegna anche la
natura è storia; ma la storia giunge fino a noi, ci comprende e ci oltrepassa.
Non c’è distacco temporale: la storia è il raccordo rigido, terribilmente logico tra
passato e presente. Il Mantegna porta alle ultime conseguenze la concezione
donatelliana della storia come dramma; ma il dramma non è la, nel passato, è qui, ora.
E’ la conseguenza logica del passato; e proprio perché la storia è logica, non è
turbinosa come per Donatello. E’ la causa di tutto.

Gli unici episodi sopravvissuti al bombardamento del 1944 sono l’Assunzione della
Vergine della parete di fondo dell’abside e il Martirio di San Cristoforo e trasporto
del suo corpo nella fascia più bassa della parete destra. In essi l’illusionismo si fa
ancora più estremo: nell’Assunzione infatti, gli otto apostoli in grandezza naturale,
protagonisti indiscussi dell’evento, invadono addirittura lo spazio reale della cappella.
Attraverso l’utilizzo di un punto di fuga oltremodo ribassato, che evidenzia la
presenza fisica delle figure e di una articolata gestualità dei santi, rappresentata in
modo emblematico dall’apostolo all’estrema sinistra, pilastro d’accesso alla scena;
Mantegna vi mette virtuosisticamente in comunicazione lo spazio dipinto con quello
reale, preludendo a quei vertici d’illusionismo che il pittore toccherà solo nella
successiva fase mantovana. La prospettiva domina anche l’episodio del Martirio, nel
quale, entro una costruzione spaziale unificata che comprende due momenti
successivi al dramma, Andrea ha modo di rappresentare un profondo pergolato,
nonché l’ardito scorcio del coro del santo.

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