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PADOVA, CHIESA DEGLI EREMITANI, CAPPELLA OVETARI

Durante la seconda guerra mondiale venne bombardata, in particolare nella zona a destra dell’abside. In
occasione dei bombardamenti la pala d’altare fu strappata e portata in un altro ambiente chiuso. Era una
pala in terracotta, in rilievo, che teneva conto dei modelli di Donatello, commissionata a Nicolò Pizolo e
Mantegna, poi anche a Giovanni da Pisa. Gli affreschi vennero restaurati da vari restauratori, tra cui Cesare
Brando, nel dopoguerra.

La maggior parte di sta cappella era affrescata da Mantegna, uno dei suoi primi lavori prima di trasferirsi a
Mantova. Mantegna, a Padova, andò a scuola da Francesco Scuarcione, che aprì una bottega famosa a
Padova e per pubblicizzarla disse che chi frequentava la sua bottega, imparava gli elementi della modernità,
le tecniche più all’avanguardia dell’arte (Mantegna è un pittore legato alla modernità, non alla tradizione).

Questi elementi di modernità furono: la prospettiva, ovvero il modo di rappresentare lo spazio


tridimensionale secondo le regole della prospettiva centrica fondate a Firenze, che riprendono le formule
matematiche e geometriche; saper presentare dei modelli dell’antico.

Gli oculi sopra rappresentano i padri della chiesa e hanno una prospettiva perfetta e furono realizzati da
Nicolò Pizolo, che morì giovane ma frequentò anche egli la bottega dello Scuarcione e tendeva alla
modernità.

Sopra gli oculi realizzati da Pizolo, lavorò la bottega dei Muranesi, appartenente alla famiglia dei Vivarini,
legata alla tradizione, al gotico. All’interno di un’unica committenza quindi convivono più voci: Mantegna e
Pizolo (moderni) e famiglia Vivarini (tradizionali). Le novità che arrivano da Firenze vengono recepite,
integrate con la tradizione locale e riproposte.

Affreschi: le cornici distinguono gli episodi che sono diversi l’uno dall’altro, sia per i temi che per lo spazio. A
parte l’ultima parte, in basso, dove lo spazio è unitario, continuo, l’ambientazione è la stessa. In questo
ultimo spazio è rappresentato il martirio e il trasporto di San Cristoforo, che era un gigante. Qui Mantegna
costruisce una prospettiva che invita lo spettatore ad entrare, questo tramite il trucco del guardare
l’affresco dal basso verso l’alto. Per arrivare a quest’ultimo affresco ci mette sette anni e si impregna dello
stile di Donatello con il passare del tempo, es: spazio reale e della finzione, ovvero che è raffigurato un
recinto che fa da confine tra la nostra realtà e il nostro dipinto; i personaggi sono tutti localizzati al confine,
lungo la staccionata.

La “Sacra conversazione” (1450) fu realizzata da Pizolo, che era del posto ma arriva alle novità toscane
rielaborandole con un suo linguaggio, e Giovanni da Pisa, che viene dalla Toscana e probabilmente è uno di
quegli artisti seguito di Donatello (collaborarono per l’altare del santo?).

PALA DI SAN ZENO “Sacra conversazione” di Mantegna a San Zeno, Verona. È l’ultima opera di Mantegna
prima di andare a servizio di Ludovico Gonzaga.
Nella predella ci sono le seguenti storie: orazione nell’orto, crocifissione e resurrezione.
Nel piano principale invece l’ambientazione è un cortile porticato; i pilastri li fa coincidere con le colonnette
della cornice; sopra c’è un festone decorativo che riprende lo stile romano. Gli angioletti hanno i piedi che
escono dal gradino.

Chiesa di S. Andrea, Mantova (1470) commissionata da Ludovico Gonzaga a Leon Battista Alberti. Riprende
Brunelleschi poiché tutto è monumentale; è presente la volta cassettonata ed è tutto equilibrato.

Chiesa di San Sebastiano: a croce greca, a pianta centrale.

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