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STORIA DELL’ARTE

MODERNA
A.A. 2021/2022

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STORIA DELL’ARTE MODERNA
AA.2021/2022
22/02/2022 1° lezione

Introduzione

Fare partire la storia dell’arte moderna dalla fine del ‘400 non è ritenuto del tutto
corretto.
Parte tutto agli inizi del secolo, a Firenze, con Filippo Brunelleschi e l’invenzione
della prospettiva lineare centrica, che crea un punto di svolta tra il gotico e il
vero rinascimento. Segna il cambiamento della visione dell’uomo e della sua
consapevolezza, si approccia alla natura in modo diretto e la misura, cosa che
prima non si faceva.
Nel corso si arriva fino alla fine del ‘600, anche se si potrebbe arrivare fino alle
avanguardie dell’800.

Nel ‘400 gli elementi che segnano la modernità sono:

- Prospettiva: la prospettiva lineare centrica si concentra sullo sviluppare


proporzioni a misura di uomo in lunghezza e profondità.
- L’antico: riportare alla memoria e riuscire a ricucire la cesura pesante che
c’è stata negli anni del medioevo, il filo dell’antichità non si spezza mai ma
si indebolisce in quegli anni. Poterla riportare in auge è un fattore di grande
importanza, un pregio.

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Firenze
Tommaso di ser Giovanni, detto Masaccio (1401-1428)

Tommaso di ser Giovanni, detto Masaccio (San Giovanni Valdarno 1401- Roma 1928) Trinità, Firenze, S.
Maria Novella

Tommaso di ser Giovanni, detto Masaccio, nato a Firenze e morto a 27 anni a


Roma.
Nell’immagine di Masaccio, disegnata quasi alla fine della sua vita, poco prima
che lasci Firenze per andare a Roma, viene raccontata la trinità, costituita su più
piani: Padre, Figlio, la Vergine e S. Giovanni, i committenti, nella mensa
dell’altare viene raffigurato uno scheletro. L’opera è disposta su una parete
laterale di S: Maria Novella, e questo spazio grazie alla prospettiva dell’affresco
sembra allungato, creando l’ipotetica presenza di una cappella o una nicchia.
La prospettiva e le misure sono costruite in base alla profondità e alla grandezza
umana, le dimensioni tengono conto dei piani prospettici distribuiti in altezza e
profondità.
Lo spazio costruito rimanda all’antico: la volta cassettonata, l’arco a tutto sesto,
la colonna con il capitello, il pilastro scanalato; sono elementi architettonici che
riflettono l’antico rivissuto con grande forza e vitalità, elemento che
contraddistingue l’inizio del ‘400 e la fine del secolo, l’antico diventa un elemento
unificatore di un contesto molto differenziato.

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L’opera è super moderna, rappresenta i due elementi di modernità nel primo
‘400 a Firenze.

Donatello (1386-1466)

Donato di Niccolò di Betto Bardi detto Donatello (Firenze 1386-1466). Crocifisso. 1410-1415, Firenze, S.
Croce

Donatello realizza questo crocifisso qualche anno prima di quello di Brunelleschi


(pagine seguenti), e non ha nulla a vedere con il corpo ingentilito di Cristo, viene
messo in croce un corpo morto, la testa ciondola, il volto è sofferente; c’è studio
del corpo umano ma il risultato è completamente diverso, Donatello realizza
nelle sue opere la realtà e il pathos che rende vivida la sensazione di vissuto.

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Filippo Brunelleschi (1377-1446)

Filippo Brunelleschi (Firenze 1377-1446), Crocifisso, 1420-1430. Firenze, S. Maria Novella

L’ideatore della prospettiva lineare centrica, descritta matematicamente da Leon


Battista Alberti, questo crocifisso è situato nella stessa chiesa della Trinità di
Masaccio. Brunelleschi ha una formazione come orafo, poi diventa architetto.
Aveva grandi capacità manuali, qui il corpo del cristo ha dietro uno studio di
anatomia del corpo, lui non ci dà un corpo perfetto, è idealizzato e non martoriato
dalla violenza della crocifissione.

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Filippo Brunelleschi, pianta della chiesa di S. Lorenzo, Firenze, dal 1428

Costruisce tantissime cose a Firenze, la chiesa di S. Lorenzo è molto famosa.


La pianta è formata da:
- Transetto
- Navata centrale
- Due campate laterali
- Cupola ad ombrello tra transetto e navata
- A sinistra del transetto: cupola vecchia realizzata da Brunelleschi
- A destra del transetto: cupola nuova realizzata da Michelangelo (100 anni
dopo)
Le cappelle rappresentano equilibrio e perfezione avendo una pianta quadrata e
un cerchio al suo interno.

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Filippo Brunelleschi, interno della Chiesa di S. Lorenzo, Firenze, dal 1428

Anche la luce è calibrata ad altezza d’uomo, soffusa ed omogenea, le campate


sono a distanza uguale, con archi sorretti da colonne con capitelli.
Anche in questo caso il soffitto è incassettato, le cappelle che si aprono sui lati
della navata sono scure, a causa della luce naturale che attraversa gli occhielli e
non riesce a raggiungere quei punti.

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Filippo Brunelleschi, sagrestia della chiesa di S. Lorenzo, Firenze, 1421-28

Questa è la sagrestia vecchia (quella nuova sarà costruita 100 anni dopo).
Brunelleschi voleva enfatizzare il grigio della pietra serena e il bianco
dell’intonaco, i rilievi sono realizzati da Donatello e infatti non seguono il rigore
di Brunelleschi essendo colorati. Le figure geometriche sono molto presenti e
otticamente perfette: cerchio, quadrato, arco. La cappella che fa da abside è
quadrata e prende il nome di scarsella.

Dettaglio cupola ad ombrello.

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Filippo Brunelleschi, cupola del Duomo di Firenze, dal 1420

L’opera architettonica più famosa di Brunelleschi, ha dimensioni enormi e per


questo ha inventato una cupola sotto una cupola, quella con dimensioni ridotte
riesce a reggere quella più ampia.
I costoloni in marmo bianco sono stati pensati per scandire le ripartizioni a
spicchio della cupola, che si irradiano dal lanternino sulla punta.
Brunelleschi è un architetto che per essere riconosciuto come tale ha scioperato,
lascia la direzione dei lavori, per riconoscere il suo ruolo che non è quello di
semplice esecutore, ma è quello dell’ideatore.

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23/02/2022 2° lezione

Donatello

Donatello, San Giorgio, 1416-1417, Firenze, Museo Nazionale del Bargello

Statua di S. Giorgio collocata all’interno di una nicchia nella chiesa di


Orsanmichele,, queste sculture si trovavano all’esterno, e ogni statua
rappresentava un’arte.
Cosa significa per un uomo del ‘400 camminare per strada e trovare
un’esposizione di sculture contemporanee come queste, tutto ciò è molto
significativo e istruttivo. L’occhio di chi guarda si abitua a riconoscere questo
valore.
Donatello in questi anni è uno degli artisti più giovani ad abbracciare la
modernità. Giorgio Vasari dice che Donatello e Brunelleschi erano stati un paio
di volte a Roma per studiare l’antico, misuravano opere pezzo per pezzo.
Il loro essere artisti moderni era anche basato sull’antico e su come farlo rivivere
all’ambiente culturale.
Il volto in particolare è composto con tratti realistici e capigliatura mossa, occhio
vigile e severo, nella consapevolezza del ruolo che il santo cavaliere stava
svolgendo. Anche la postura è salda, con una leggera consapevolezza dei
movimenti attribuita dalla posizione di braccia e testa. L’arte gotica era
differente, questo stile è un’evoluzione di questo stile di cerniera.

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La nicchia ha forme gotiche, con arco trilobato e pennacchi, potrebbe sembrare
una contraddizione, ma il contemporaneo non vedeva niente di strano del
mischiare gotico e nuovo linguaggio rinascimentale.
La grande novità arriva nel basamento, come una specie di predella di una base
di altare, in questo spazio si nasconde la tecnica dello schiacciato (rilievo in primo
piano e paesaggio più sottile) che raffigura la scena di S. Giorgio che uccide il
drago. Lo sfondo ha una rappresentazione dell’ambiente, una novità.
Questa tecnica sarà applicata anche al metallo, non solo al marmo.

Lorenzo Ghiberti

Lorenzo Ghiberti, San Giovanni, 1412-1416, San Michele, 1925 Firenze Museo di Orsanmichele 1

In S. Giovanni il panneggio è sinuoso e ricco, artista molto più vicino alla corrente
gotica, che fa una scelta che è quella di “negare” l’antico.
Anche S. Stefano ha il dettaglio del panneggio.
Entrambe inserite in nicchie facente parti i 4 lati della chiesa, parlano un
linguaggio gotico.

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Nanni di Banco

Nanni di Banco, quattro santi coronati, 1410-1415, Firenze museo di Orsanmichele

Questa statua è molto particolare, gli evangelisti sono disposti a cerchio e tutto
ciò attribuisce maggior profondità all’opera, anche qua i panneggi sono molto
dettagliati. Nella predella viene rappresentato il lavoro che proteggono i santi, i
maestri della pietra e dei legnami.
Nanni di Banco si muove sulla linea di modernità simile a quella di Donatello,
altri artisti sono figure di cerniera tra gotico e moderno.

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Lorenzo Ghiliberti e Filippo Brunelleschi

Lorenzo Ghiberti / Filippo Brunelleschi, sacrificio di Isacco, 1401, Firenze, Museo nazionale del
Bargello

Confronto di un concorso per le formelle della porta settentrionale del battistero


di S. Giovanni. Realizzare le formelle per questa porta è sinonimo di prestigio, a
concorrere sono in tanti, anche Brunelleschi e Ghiberti. Vince Lorenzo Ghiberti.
La forcella è dettagliata e ha tutti gli elementi all’interno, ambientati entrambi in
un paesaggio roccioso, con elementi che ridanno all’antico, il sacrificio viene
svolto su un’ara. Un altro elemento che rimanda all’antico nel Brunelleschi è
quello dello spinario: Statuetta bronzea del Museo dei Conservatori (Roma),
rappresentante un fanciullo seduto su una roccia, intento a levarsi una spina
dalla pianta del piede sinistro poggiato sul ginocchio destro.

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Donatello

Donatello, Profeti 1420-1436 ca., Firenze, Museo dell’opera del duomo, provenienza campanile del
duomo

Un’altra opera pubblica, facente parte di un repertorio fruibile a tutti, la scultura


era comparabile e compartecipe all’architettura.
Anche in questo caso il modo di panneggiare non rappresenta un elemento
decorativo, ma costruisce la solidità e la geometria della figura.

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Donatello, Profeta con cartiglio, Abaruc, dettaglio

Qui traspare l’inquietudine che fa parte dell’emotività della scultura, è molto


dettagliata anche nelle mani.

Donatello, Busto di Giulio Cesare, 1440 ca.

Viene percepito come vivo.

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Donatello, David, 1440 ca., Firenze, museo nazionale del Bargello

David in Bronzo, probabilmente realizzato per Cosimo il vecchio de Medici.


Donatello poco dopo andrà a Padova con i suoi assistenti, si sistemeranno per
diversi anni lì, questa permanenza susciterà conseguenze importanti alla
scultura moderna, il nord- est tende a recepire le modernità ideate a Firenze.

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Masaccio e Masolino

Masaccio e Masolino (1424-1428), Filippino Lippi (1481-1485), cappella Brancacci, S. Maria del
Carmine, Firenze, 1424-1485 ca.

Masaccio prima di andare a Roma inizia la cappella Brancacci a S. Maria del


Carmine.
La cappella Brancacci è nota come scuola del mondo, tutti gli artisti che passano
per Firenze vanno a vedere la cappella. È una grande novità, pubblica, si trova
Oltr’Arno.
La storia è tormentata, Brancacci è il committente, acquista lo spazio e il figlio
la farà decorare, gli affreschi sono dedicati a S. Pietro (il figlio che fa decorare la
cappella si chiama Pietro, una spiegazione è questa). Siamo negli anni 20 del
‘400 i lavori saranno interrotti fino agli anni 80 del ‘400. L’artista che prosegue i
lavori è Filippino Lippi (figlio di Filippo), un artista fiorentino. Il padre Filippo Lippi
era un frate carmelitano, come appunto la chiesa del Carmine, ad un certo punto
si innamora di una monaca e la sposa, nasce poi Filippino, che si forma con il
padre e con Botticelli, viene poi chiamato a proseguire i lavori lasciati interrotti
da Masaccio e Masolino. Continua a lavorare sulla vita di S. Pietro, ogni
scomparto raffigura un episodio della vita del santo. La volta non è
quattrocentesca, che è stata ricostruita e ri-affrescata nel ‘600. Una parte degli
affreschi sono andati distrutti ed è stata collocata poi l’immagine devozionale
della Vergine sopra l’altare.

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01/03/2022 3° lezione

Cappella Brancacci

Il soggetto principale è S. Pietro apostolo, che dà vita all’istituzione Chiesa, e


stabilisce i rapporti tra chiesa e ordine romano. Tutti i riquadri sono dedicati ai
vari episodi della sua vita, tranne due:
il n.1 e il n.9 che rappresentano i progenitori tentati dal serpente in paradiso, e
la loro seguente cacciata. Anche la tavola centrale non ha Pietro, essendo
raffigurata la Vergine.
Nella lavorazione di queste grandi parenti la collaborazione di due artisti, non
necessariamente ci si limita infatti ad un riquadro, entrambi possono lavorare
allo stesso. La gamma cromatica è ricca per uniformare le tecniche e gli stili
personali degli artisti.

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Masaccio, La Cacciata del Paradiso terreste, 1424-1425. Masolino, il peccato originale, 1424 ca.

Comparazione tra i riquadri realizzati da Masolino e Masaccio, la quale


collaborazione era già consolidata da tempo. La cacciata del paradiso è duplicata
per far vedere il risultato prima e dopo il restauro (avvenuto circa negli anni ’80),
le foglie nascondevano le nudità di Adamo ed Eva, poi tolte. I confronti sono
evidenti, in Masaccio troviamo la drammaticità, pittore molto attento anche alla
resa realistica dei sentimenti, si vede la presa di consapevolezza di Adamo ed
Eva sulla presa del loro peccato, ci sono riferimenti espliciti alla tradizione del
passato. Evidente è la differenza di resa drammatica rispetto alla quasi
leggerezza nella realizzazione di Masolino. Ovviamente gli episodi raccontati
sono diversi, dal momento in cui i progenitori abitavano nel paradiso terrestre,
di drammatico c’era ben poco, potrebbe solo esserci una leggera tensione a
causa della tentazione del serpente.
Va tenuto conto il modo di dipingere dei due personaggi, Masolino conosce
sicuramente le novità moderne, il corpo umano è rappresentato perfettamente,
ma in modo addolcito rispetto alle novità. La pittura è ancora una buona
testimone di quella tradizionale, i chiaroscuri sono tenui per rendere i corpi
leggeri.
I corpi di Masaccio sono più che pesanti e concreti, il paesaggio è brullo e si
creano diverse ombre, si intende perfettamente da dove arriva la luce. Viene
fuori il dramma e la consapevolezza di cosa è accaduto, la loro nudità è esplicita.
I corpi vengono descritti con leggerezza in Masolino, quasi lavorando a punta
con il pennello, la carnagione e le ombre sono più chiari del solito.

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Entrambi conoscevano l’anatomia e questo è evidente, cambia il modo di
rappresentare le emozioni. Masaccio è essenziale, come diceva Vasari “Masaccio
è puro e senza ornato”, egli toglie tutto quello che è superfluo al nodo narrativo,
al significato più profondo.

Masaccio, cacciata dal paradiso terrestre. Torso del Belvedere, I-II sec. A.c. Città del Vaticano,
musei vaticani. Venere dei Medici, IV sec. A.c. Firenze, Galleria degli Uffizi

Masaccio dimostra di conoscere la statuaria antica.


Fa riferimento ad un modello ben conosciuto tra gli artisti, lo spirito con cui viene
proposto l’antico è nuovo.

Masaccio, Il tributo, 1427/28, Firenze, S. Maria del Carmine, cap. Brancacci

Masaccio parte dal nucleo della questione, agli apostoli viene richiesta una tassa
per attraversare da una regione all’altra, loro non hanno soldi e si affidano a

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Gesù, che gli dice di andare nel fiume, così troverà nella bocca di un pesce il
denaro a loro necessario. Non c’è una disposizione cronologica in questo
affresco, perché il nucleo fondamentale della narrazione è quando Pietro crede
alla parola di Dio, e ciò costituisce il miracolo. Al centro c’è Cristo che gli dice di
andare con un gesto esplicito, che viene ripetuto dallo stesso Pietro, facendo
spostare gli occhi verso sinistra. Poi verso destra Pietro paga il gabelliere ed
entrano in una città nuova, cioè Firenze, il paesaggio è brullo perché non deve
distogliere l’attenzione dal momento che si vuole raccontare. Le forme sono
solide, ci sono ombre, rappresenta cose concrete, e lì si legge la sua novità di
linguaggio.

Masaccio, Battesimo dei neofiti, 1427/28, Firenze, S. Maria del Carmine, cap. Brancacci

S. Pietro battezza con l’acqua del Giordano nuovi credenti alla parola di Dio. C’è
un dettaglio. Il personaggio che si copre le braccia perché ha freddo, il paesaggio
è brullo ed è inverno quindi. Nel momento in cui i neofiti si spogliano e vengono
bagnati con l’acqua fredda del fiume, si riesce a fare entrare l’osservatore nella
realtà della rappresentazione.

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Masaccio, San Pietro risana gli infermi con la propria ombra, 1427/1428, Firenze, S. Maria del
Carmine, cap. Brancacci

S. Pietro passa e gli infermi vengono risanati. La realtà qui è data dalla città, che
parla del contemporaneo. Non c’è timore di raccontare gli infermi con disagio
(cosa che nel gotico veniva rappresentato in modo grottesco), si racconta la
realtà in modo semplice e spoglio. S. Pietro che avanza sembra uno dei
personaggi creato senza fronzoli, ma che rappresenta una forte solennità.

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Masaccio, Distribuzione dei beni e morte di Anania, 1427/1428, Firenze, S. Maria del Carmine, cap.
Brancacci

Si riconduce la visione umana alla realtà dei fatti, nell’ambito della città (con
elementi medievali e classici). C’è una tradizione locale che un po’ alla volta
acquista un linguaggio più comune con l’avvento dell’antico, la colonna con
capitello è un elemento antico, che può essere trovato in pittura fiorentina ma
anche padovana.

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Masaccio, chiesa del Carmine di Pisa

Masaccio, ricostruzione del Polittico di Pisa, già nella chiesa del Carmine di Pisa, 1426, per la cappella
di Giuliano di Colino degli Scarsi

A sinistra le parti superstiti, a destra quelle parti all’interno nella cornice che
presumibilmente doveva avere, creata in stile gotico. Masaccio ha dovuto
sottostare alle direttive e alle indicazioni del committente, Giuliano di Colino degli
Scarsi, che nel 1426, commissiona questo Polittico. La cornice probabilmente era
già stata creata, un’usanza presente al tempo. Il committente oltre ad imporre
il polittico (che divide il soggetto in pezzi), vuole utilizzare il fondo oro, che
presumibilmente non piaceva a Masaccio. Comunque non rinuncia alle sue
convinzioni sulla modernità. Molto spesso i polittici venivano smembrati e
venduti, quindi è difficile ricostruirli, visto che erano sparsi.
Il polittico è diviso in ordini (centrale, superiore)
I santi Pietro e Paolo sono negli scomparti superiori laterali alla cimasa
(crocifissione).
Gli scomparti laterali a quello centrale raffigurano ipoteticamente altri santi
Altri santi sono rappresentati nei pilastrini laterali, piccoli scomparti.
La parte inferiore è detta predella, formata anch’essa da pezzi molto piccoli
Il racconto della vita di Cristo è nella cimasa o nella predella.

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Masaccio, Madonna col bambino in trono, 1426, Londra, National Gallery

Masaccio è riconoscibile anche con un fondo oro?


Certo, il bambino ha un atteggiamento naturale che ricorda la statuaria antica.
La veste della Vergine è solida, il panneggio è pesante, il volume è ben costruito
nella pesantezza. Le ombre sono nette nel manto che la ricopre. Il disegno del
trono è puro e senza ornamenti. Il fondo oro è un obbligo ma non toglie la
sensazione della profondità dello spazio.

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Masaccio, Crocifissione, 1426, Napoli, Museo nazionale di Capodimonte

Masaccio non smentisce sé stesso neanche qui, l’elemento che ci fa capire che
lui rappresenta le cose così come si vedono è la rappresentazione del corpo di
Cristo, che ha la testa incassata, non c’è niente di levigato. Il corpo è quello di
un uomo morto. Si vede anche il dolore della Madonna nel suo volto, la
Maddalena è prostrata con le braccia spalancate, facendo riferimento ai rilievi
antichi, che dà la sensazione di profondità.

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Masaccio, Adorazione dei Magi, 1426, Berlino, Staatliche museen

Qui Masaccio torna puro e senza ornato.


È l’episodio centrale della predella del polittico di Pisa. Al suo interno ci si possono
permettere delle licenze. Il corteo dei magi avviene nel contemporaneo, lo si
intende dagli abiti delle persone che compaiono nel corteo, dalla sedia e dai
cavalli.

Gentile di Niccolò detto da Fabriano

Gentile di Niccolò detto da Fabriano, Adorazione dei Magi, 1423. Firenze, Galleria degli Uffizi,
provenienza: chiesa di S. Trinità, per cap. Strozzi

Gentile da Fabriano, grandissimo pittore marchigiano, ha una pittura


riconducibile al fine gotico, la cornice è molto riconoscibile, quasi ricamata. Ogni
scomparto ha dei fiori differenti intagliati. Anche qui lo spazio rappresentato è
contemporaneo, mostra un lungo corteo e tanti oggetti, fauna, flora, elementi
dorati.
A confronto con quello di Masaccio i linguaggi sono completamente diversi.
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Da considerare è anche la dimensione che hanno queste due opere. Quello di
Masaccio è in una piccola forcella, questo invece è molto più grande.

Fra Giovanni da Fiesole detto Beato Angelico

Fra Giovanni da Fiesole detto Beato Angelico, Annunciazione 1449-1450, Firenze, Museo di San
Marco

Siamo dopo Masaccio, circa la metà del ‘400. Beato Angelico dimostra di saper
conoscere quegli elementi nuovi come la prospettiva e il ritorno al passato. Al
tempo stesso lascia gli elementi che possono mantenere la sua pittura più
comprensibile, per mantenere l’opera chiara (lui era un frate e il suo scopo era
quello dell’evangelizzazione). Ci sono significati simbolici: il recinto (dove era
inscritta la vergine). Questo linguaggio è più morbido.

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Beato Angelico, Pala di San Marco, 1438-1440, Firenze, Museo Nazionale di San Marco

Il dipinto mostra la Vergine sul trono, e una serie di personaggi (molti


domenicano) disposti a corolla intorno a lei, questo è uno dei primi esempi di
sacra conversazione. Un dialogo muto, si guardano e comunicano tra di loro, ci
sono rimandi di sguardi e gesti che fanno riferimento al punto centrale che sono
la Vergine e il bambino.

Beato Angelico, Miracolo dei SS Cosma e Damiano, predella della pala di S. Marco 1438, Firenze,
museo di S. Marco

Le altre due predelle del polittico

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02/03/2021 4° lezione

Filippo Lippi, Annunciazione, 1440, Firenze, chiesa di S. Lorenzo

Lo sfondo è sulla città, c’è uno studio e utilizzo della prospettiva. Il dettaglio
dell’ampolla in basso a destra richiama la cultura figurativa fiamminga, che
Filippo aveva studiato, a Firenze e dintorni erano conosciuti pittori fiamminghi,
che avevano un’attenzione al particolare, trasmettevano la realtà in modo
calligrafico. Questa attenzione al particolare riprodotta nelle opere viene
eseguita in primo piano e sullo sfondo, riprodotto con maestria.
I pittori fiamminghi erano maestri nella pittura ad olio (Italia: tempera grassa).
La prospettiva che riproducevano era più ampia (non proprio lineare centrica
fiorentina), l’utilizzo della luce si rifà sullo sfondo con aperture e richiami.
Filippo Lippi mantiene la visione della doppia arcata ma sposta i personaggi a
destra, se togliessimo le arcate l’immagine sarebbe comunque unitaria perché è
sullo sfondo.

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Filippo Lippi, Incoronazione della Vergine, 1455-1465 ca., Firenze, Galleria degli Uffizi, commissionata
dal canonico Francesco Maringhi per la chiesa di S. Ambrogio

Viene percepito come qualcosa di concreto, lo spazio sembra quello dell’interno


di una chiesa, esso viene scandito da gruppi di persone che aiutano a percepire
la divisione dei livelli e degli spazi. In primo piano la famiglia Maringhi che hanno
commissionato l’opera. È una nota famiglia di Firenze, sono riconoscibili. La
cornice costituita da tre grandi arcate alludono ad una tripartizione hanno due
occhielli che rappresentano l’annunciazione con l’angelo e la vergine.

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Domenico Veneziano

Domenico Veneziano, Pala di S. Lucia dei Magnoli, 1445 ca., Firenze, Galleria degli Uffizi

Utilizzo particolare dei colori e della luce. Il pittore veneziano si sposta a Firenze
e abbraccia la struttura dell’immagine fiorentina. È una sacra conversazione, la
vergine è sopra elevata e i personaggi disposti a corolla intorno a lei, facendo
intendere i gesti e le espressioni che si fanno durante una conversazione.
Le ombre sono leggere e delicate. L’architettura riprende quella delle domus
romane, con colonne, archi e volte.
Piero della Francesca lavorò con lui quando era molto giovane, le scelte legate a
colore e forme sono influenzate anche da lui.

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Andrea del Castagno

Andrea del Castagno, Ultima cena, 1447, Firenze, Cenacolo di Santa Apollonia

Rappresentazione dell’ultima cena inscritta in una sala, dove il pittore riesce ad


inserire gli episodi di crocifissione, resurrezione e uscita dal sepolcro.
L’opera era all’interno di un cenacolo di un convento (accadeva spesso), quindi
la parete di fondo è concentrata sull’ultima cena. Si crea un collegamento tra
interno ed esterno, tramite lo scorcio prospettico del soffitto e del tegolato della
stanza. Attraverso questo percorso ci si ritrova poi all’esterno, in alto.

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Benozzo Gozzoli

Benozzo Gozzoli, affreschi della Cappella dei Magi, Firenze, Palazzo, Medici Riccardi, 1459

Esprime anche la magnificenza della famiglia, che si avvicina a quella di Gentile


da Fabriano, qua sono però 4 pareti che vogliono rappresentare il grande corteo.
La funzione celebrativa è affidata a colori sbagliati, con un’attenzione ai
particolari come fauna e flora. Si celebra anche l’episodio avvenuto a Firenze
una ventina di anni prima, una riconciliazione della chiesa di oriente con la chiesa
di occidente, che portò a Firenze molti personaggi di spessore, come l’imperatore
di oriente e il papa, oltre alla famiglia Medici al completo che ha commissionato
l’opera. Anche se divisa da cesure dovute a capitelli e colonne, l’immagine parte
da un lato e termina dall’altro con il dipinto della madonna con il bambino, la
scelta è quella di non rappresentare una natalità in affresco ma metterla in una
pala di altare, creata da Filippo Lippi.

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Benozzo Gozzoli, Corteo di Baldassarre, 1459, cappella dei Magi, Firenze, Palazzo Medici Riccardi

Rappresentazione dell’imperatore di oriente, sfarzoso e dettagliato, il corteo


racconta tante cose anche del paesaggio.

Benozzo Gozzoli, Corteo di Gasparre, 1459, cappella dei Magi, Firenze, Palazzo Medici Riccardi

Qui vediamo raffigurato il futuro Lorenzo il Magnifico.

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Benozzo Gozzoli, Corteo di Gasparre, 1459, Cappella dei Magi, Firenze, Palazzo Medici Riccardi,
particolare con autoritratto

Benozzo Gozzoli è rappresentato al centro con il cappello rosso con inciso il suo
nome, è l’unico personaggio che guarda verso l’osservatore.

Desiderio da Settignano

Desiderio da Settignano, Tabernacolo del Santissimo Sacramento, 1460ca., Firenze, San Lorenzo

Il tabernacolo allude alla chiesa antica e per arrivare ad aprire questo portello si
pensa alla porta di una chiesa. Questa è la tecnica dello schiacciamento.
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Ci spostiamo a Padova seguendo Donatello

Donatello, Monumento a Erasmo da Narni detto il Gattamelata, 1447-1453 ca., Padova, piazza del
Santo

Dedicato ad un grande condottiero, Donatello non smentisce sé stesso neanche


a Padova, il movimento equestre è molto vicino alla statuaria antica, il
monumento funebre costituito da un basamento come se fosse un sarcofago.
Anche il volto ha la caratteristica severa e grave che avevano i grandi personaggi
del passato.

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Padova, Basilica del Santo, altare maggiore 1446-1448

L’altare nella basilica più importante di Padova, Donatello è chiamato a realizzare


l’altare del santo. Sotto il crocifisso la madonna e i santi, candelabri e altri santi
con sotto dei riquadri in metallo dove viene realizzata la tecnica dello schiacciato.
Realizzato interamente da Donatello in più fasi, il crocifisso non era legato
all’altare.

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Donatello, Crocifisso, Padova, 1443, basilica del Santo

Ricostruzione grafica dell’altare del Santo di Donatello

La struttura è semi architettonica, formata da un grande arco che ricopre la parte


superiore della composizione, si poggia su pilastri e colonne, la profondità si
vede in pianta.
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Il modello utilizzato da Donatello è quello della pala da altare, l’unica cosa
diversa sono le colonne utilizzate per distribuire i personaggi. All’interno della
grande copertura si trovano le caratteristiche della cimasa.

Donatello, Madonna col Bambino, Padova, Altare del Santo 1446-1448. Donatello, San Daniele,
Padova, Altare del Santo, 1446-1448

Dettaglio a sinistra della madonna con il bambino sotto il crocifisso, al centro la


pianta della piana di altare e a destra vediamo il dettaglio del volto di S. Daniele

Donatello, Cristo in Pietà, Padova, Altare del Santo 1446-1448. Donatello, Deposizione nel sepolcro,
Padova, Altare del Santo

La decorazione ricorda i rilievi tardo antichi che sicuramente Donatello aveva


visto a Roma, la gestualità rappresentata è diretta, ci fa capire il dramma con la
deformazione del volto.
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Donatello, Miracolo del cuore dell’avaro, Padova, Altare del Santo 1446-1448

Donatello, Miracolo del neonato, Padova, Altare del Santo 1446-1448

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Donatello, Miracolo della mula, Padova, Altare del Santo 1446-1448

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08/03/2022 5° lezione

Chiesa degli Eremitani, Padova

Padova, chiesa degli Eremitani, cappella Ovetari

Una delle chiese più importanti all’epoca. Il bombardamento svoltosi durante la


seconda guerra mondiale ha particolarmente intaccato la cappella nella destra
della zona absidale della chiesa, dove erano presenti degli affreschi svolti su
commissione della famiglia Ovetari, al centro si trovava una pala di altare
realizzata in terracotta.
L’opera è bidimensionale ma in rilievo. La bomba colpisce quasi tutta la chiesa,
ma alcune parti si salvano, tra cui l’affresco nell’immagine di sinistra (questa
parte essendo rovinata era stata strappata dal muro e spostata in un altro luogo
per salvaguardarla).
La maggior parte della cappella è stata realizzata da Andrea Mantegna, ancora
prima di entrare nell’equipe di pittori dei Gonzaga (Mantova), siamo negli anni
’50 del ‘400.

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Padova, chiesa degli Eremitani, cappella Ovetari (1448-1457), ricostruzione virtuale

Mantegna non è stato l’unico artista a contribuire alla realizzazione della cappella
(come avvenne nella cappella Brancacci con Masaccio e Masolino), alcuni artisti
facevano parte della tradizione tardo gotica. Mantegna è un artista che si forma
a Padova e va a scuola di Francesco Squarcione, che apre una bottega famosa,
garantendo di insegnare ai sui allievi quelli che sono gli elementi della modernità.
Gli elementi sono: la prospettiva, già negli anni ’40 il maestro era in grado di
insegnarla a Padova; l’altro elemento è il saper presentare dei modelli dell’antico.
Squarcione aveva una collezione di sculture classica, il giovane Mantegna
acquisisce una consapevolezza nei confronti di questi due elementi che
diventeranno due caratteristiche tipiche della sua arte.
Quando viene chiamato a dipingere episodi in questi cappella viene scelto perché
sa riproporre questi due elementi in modo eccellente.
Un altro artista uscito dalla bottega di Squarcione che lavora alla cappella è
Niccolò Pizzolo, che realizza gli oculi degli spicchi della volta, non famoso come
Mantegna perché morì giovane, ma ai tempi di gioventù entrambi dimostravano
al meglio gli elementi di modernità.
Visto che l’affresco richiede del tempo vengono chiamate altre persone a
realizzare gli spicchi della volta, provenienti dalla bottega dei Muranesi, della
famiglia Vivarini, ancora legati al gotico.

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Padova, chiesa degli Eremitani, cappella Ovetari, parete destra, dopo il restauro

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Campagna fotografica realizzata prima del bombardamento

Grazie a queste immagini è stato più facile restaurare le opere distrutte dal
bombardamento (Cesare Brandi), lasciando neutri dove c’erano parti mancanti.
Le prime pareti sono uguali, gli episodi distinti da una cornice, l’ultima fila a
destra ha un episodio unico

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Andrea Mantegna, Martirio e trasporto di San Cristoforo, 1450-1457 ca., Padava, chiesa degli
Eremitani, cappella Overati.

Ultima opera che svolge per la cappella, che stabilisce la fine di un percorso
influenzato dalle correnti fiorentine di Donatello, specialmente la pala di altare a
campo unificato, come è rappresentato in questa immagine. Si avverte in
particolar modo la profondità dello spazio fino allo sfondo. Mantegna elabora la
necessità di creare uno spazio unitario, la colonna è solo una cerniera che
mantiene la continuità dell’edificio.

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Niccolò Pizzolo e Giovanni da Siena, Sacra Conversazione 1450 ca., Padova, chiesa degli Eremitani,
cap. Overati

Si ispira alla pala di altare del Santo di Donatello, pur essendo questa in due
dimensioni e prodotta in argilla.
Niccolò Pizzolo aveva anche prodotto gli oculi della cappella. Giovanni da Siena,
toscano di origine, probabilmente spostato a Padova insieme a Donatello.

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Niccolò Pizzolo, Padri della Chiesa, 1448-1450, abside della cappella Overati

Niccolò Pizzolo e Giovanni da Siena, Sacra conversazione + schema della pala del Santo di Donatello

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Verona

Andrea Mantegna, Pala di San Zeno

Andrea Mantegna, Sacra conversazione (Pala di San Zeno) 1457-1459, Verona, san Zeno. Predella:
orazione nell’orto, Tours, Musée des Beauz- Arts; Crocifissione, Paris, museée du Louvre;
Resurrezione, Tours, Musée des Beaux- Arts

La cornice è tripartita, ma non rinuncia a rappresentare uno spazio unitario,


sembra il cortile di una domus romana, la grande idea di Mantegna è far
combaciare i pilastri della struttura architettonica del cortile dove avviene la
sacra conversazione, con quelli delle colonnette che fanno parte della cornice.
I riferimenti all’antico sono molti: il festone decorativo che riprende dalle
decorazioni romane, i putti, i marmi, i rilievi.
Donatello lavora in scultura e Mantegna ripropone la solidità e la pesantezza dei
personaggi nelle sue opere.
Ultima opera realizzata prima di iniziare il servizio dai Gonzaga a Mantova

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Dettagli+ predella di Gesù nell’orto

Le rocce, le pieghe e le ombre rendono l’opera rigida, probabile interpretazione


dell’arte di Donatello.

51
Mantova

Leon Battista Alberti

Leon Battista Alberti, 1470ca. Chiesa di Sant’Andrea, Mantova

La chiesa era importante per l’artista perché all’interno aveva una reliquia
importante. Si tratta di una ristrutturazione, Ludovico Gonzaga chiede a Leon
Battista Alberti una ristrutturazione abbastanza radicale.

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Andrea Mantegna

Andrea Mantegna, Camera picta, 1465-1474, Mantova, Castello di San Giorgio

Conosciuta anche come camera degli sposi, Ludovico Gonzaga e Barbara di


Brandeburgo, figlia dell’imperatore.

Andrea Mantegna, camera picta, 1465-14674, Mantova, Castello San Giorgio, soffitto

Soffitto a losanghe diviso in rombi dove all’interno vengono rappresentati


imperatori.
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Andrea Mantegna, camera picta, 1465-14674, Mantova, Castello San Giorgio, parete con La Corte di
Ludovico Gonzaga

Viene rappresentata anche Barbara di Brandeburgo, agghindata con abiti e


acconciature dell’epoca, Ludovico Gonzaga parla con un segretario.

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Andrea Mantegna, camera picta, 1465-14674, Mantova, Castello San Giorgio, parete con L’incontro di
Ludovico Gonzaga con il figlio cardinale Francesco

Andrea Mantegna, camera picta, 1465-14674, Mantova, Castello San Giorgio

Date di inizio e fine lavori rappresentate nell’opera.

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09/03/2021 6° lezione

Ferrara

Ferrara è governata dagli Este, il territorio è ricco dal punto di vista artistico e
culturale.
Il critico d’arte Roberto Longhi ha inaugurato una compagnia d’arte chiamata
“officina estense” dove si indaga sugli artisti che lasciano opere nei territori
ferraresi, caratterizzate da uno stile molto particolare.

Cosmè Tura

Cosmè Tura, Primavera/ Musa, 1460 ca., Londra National Gallery

Opera realizzata per essere un ornamento nello studiolo di Leonello d’Este, non
è la sola musa che fa realizzare. Ovviamente ricordano l’antico essendo miti e
rappresentando arti. Questa in particolare ha un soggetto ambiguo, interpretato
inizialmente come la primavera.
Tura ha una pittura distinguibile e particolare: durezza delle pieghe, spigolose,
probabilmente aveva visitato l’altare del Santo di Padova; le ombreggiature che
emergono dalle diverse tonalità dell’abito sono riconducibili al bronzo, materiale
utilizzato da Donatello; vengono aggiunti elementi fantastici, gemme, pietre.

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Tura per un certo periodo è anche pittore di corte, quindi fa diverse opere, che
hanno una particolare attenzione al dettaglio influenzato dalla pittura fiamminga.

Cosmè Tura, Annunciazione/ San Giorgio, 1469, Ferrara, Museo del Duomo, sportelli dell’organo della
cattedrale di Ferrara

Cosmè Tura è a conoscenza delle novità ritenute tali a Firenze? Certo, i festoni,
le strutture architettoniche e lo spazio unico sono i dettagli che ce lo fanno
capire. La durezza degli arti, dei volti e degli indumenti è però prettamente
ferrarese.

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Palazzo Schifanoia

Ferrara, palazzo Schifanoia, facciata

Palazzo costruito per allontanare la noia, è privo di cucine, perché destinato ad


eventi organizzati. È molto spazioso e al suo interno ha tante sale.

Palazzo Schifanoia, Salone dei mesi 1467-70

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Gli affreschi ad oggi non sono completi a causa del tempo e degli avvenimenti
storici, è ancora ben visibile che le pareti sono tripartire, con una parte inferiore,
una mediana e una superiore, ogni comparto ha un soggetto autonomo ma ogni
parete è divisa in tanti settori quanti sono i mesi dell’anno. Almeno tre sono stati
realizzati da Francesco del Cossa.

Ferrara, Palazzo Schifanoia, 1467-70, parete est

C’è la testimonianza del suo lavoro perché ne parla in alcune lettere, esprimendo
il suo disdegno per quanto riguarda la paga a lui attribuita, per lui troppo bassa.
Pellegrino Prisciani, segretario e letterato sceglie i soggetti per conto di Borso
d’Este.

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Francesco del Cossa

Francesco del Cossa, mese di marzo, 1467-70, Ferrara, Palazzo Schifanoia

Mese di marzo, del toro, all’interno c’è la personificazione del Dio Marte che si
inginocchia alla donna, quindi la guerra che viene sconfitta dall’amore.

60
Francesco del Cossa, mese di aprile, 1467-70, Ferrara, Palazzo Schifanoia

Capire i personaggi rappresentati nella parte mediana, è stato complicato, si


pensa innanzitutto al segno zodiacale, che viene accompagnato ai decani,
soggetti derivanti da testi antichi e che probabilmente passano per il mondo
arabo e persiano in origine.
L’unico vero protagonista della sala è il committente, cioè Borso d’Este, quindi
si punta sull’autocelebrazione e la propaganda, la sua figura viene ripetuta più
volte in base alle diverse mansioni. In questo mese in particolare viene
raffigurato mentre compie azioni quotidiane.
Le strutture architettoniche rappresentate sono adeguate al tempo storico e alle
novità portate da Firenze.

61
Milano

Vincenzo Foppa

Vincenzo Foppa, affreschi della cappella Portinari, 1467-68, Milano, Sant’Eustorgio

Si apre la via Firenze-Milano. La cappella Portinari è commissionata


dall’omonima famiglia che lavorava per il banco dei Medici, ne apre una sezione
a Milano, e lì si radica. Avvia la costruzione della cappella per segnare
definitivamente il lustro della sua famiglia nella città.
Portinari si ispira al modello della sagrestia vecchia di Brunelleschi nella chiesa
di S. Lorenzo a Firenze, partendo dalle forme geometriche iscritte dentro sé
stesse. Una cosa che cambia però è l’uso dei colori qui molto più vivace. La
cultura figurativa lombarda ha un’attenzione forte al naturalismo fatto di colori
brillanti e decorativi. Il modello fiorentino cerca di inserirsi all’interno della
tradizione di Milano, il risultato è un insieme delle due cose.

62
Vincenzo Foppa, San Girolamo nel suo studio, 1464-68, Milano, Sant’Eustorgio, cappella Portinari,
spicchio di volta

Episodi principali dedicati alla vita di S. Pietro Martire. Qui c’è raffigurato il padre
della chiesa, S. Girolamo.
C’è un episodio simile nella chiesa degli Eremitani, con gli oculi di Niccolò Pizzolo
all’interno della cappella Ovetari che illustrano alcuni personaggi.

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Vincenzo Foppa, Miracoli e Morte di san Pietro martire, 1464-1468, Milano, Sant’Estorgio, cappella
Portinari

Episodi della vita e della morte del frate domenicano, condannato a morte
tramite lapidazione, segno distintivo del santo rispetto all’omonimo Pietro che
ha con sé le chiavi.
La città è rappresentata con criteri precisi, la gamma cromatica è vivace (facendo
riferimento al naturalismo lombardo).

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Vincenzo Foppa, Polittico di Santa Maria delle Grazie, 1476, Milano, Pinacoteca di Brera

C’è un ritardo temporale in confronto ai polittici fiorentini, che partono dagli anni
’40 del ‘400.
Viene rappresentata la vita di S. Francesco (cimasa). All’interno del polittico non
c’è un’unità di spazio.
La cultura parla ancora un linguaggio che si rifà alla tradizione gotica, c’è
prospettiva ma il fatto di non avere spazi unici non mantiene il fattore di novità
vivido.

65
Venezia

Antonio Vivarini

Antonio Vivarini, Polittico di San Zaccaria, 1444 ca., Venezia, chiesa di San Zaccaria

Zona quasi impenetrabile per l’arte del rinascimento, la cultura veneziana


respinge ancora la novità. L’arte è elegante e sgargiante.
Il gotico persiste a lungo, i valori del rinascimento arrivano in date più tarde e
secondo una prassi diversa, gli elementi sono sì caratteristici ma ben diversi da
quelli elaborati nell’Italia centrale.
Questo polittico in particolare è situato in una delle chiese più importanti della
città. Le cornici sono ricchissime e rimandano al gotico, i committenti pagavano
in egual modo ai maestri che realizzavano la cornice e quelli che realizzavano i
dipinti.

66
Antonio Vivarini, Sacra conversazione, 1446 ca., Venezia, Gallerie dell’Accademia, provenienza: Scuola
grande della Carità

Al centro la Madonna con il bambino, ai lati Santi e Angeli, tenendo conto


dell’andamento prospettico dei personaggi (Vivarini tiene conto delle direttive di
chi ha già operato la prospettiva lineare centrica). Tutto ciò si sposa con l’idea
fondante del gotico veneziano, stile che persiste nelle opere. Lo spazio è
concepito in continuità, però di fatto l’oro è preponderante, anche i modelli del
trono e altre strutture non si basano sull’essenzialità, legati ancora alla struttura
gotica.

67
15/03/2022 7°lezione

Jacopo Bellini

Jacopo Bellini, Annunciazione, 1444, Bergamo, S. Alessandro

Prodotta per la chiesa di S. Alessandro a Bergamo, ma di fatto mantenuta a


Venezia, realizzata da un artista proveniente da un’altra grande famiglia
veneziana, Jacopo è appunto il capostipite. Diventerà una delle più rinomate
botteghe veneziane di questi anni. Jacopo media la modernità e la tradizione.
L’apertura alla novità si vede dall’utilizzo della prospettiva, con uno spazio
calcolato su dimensioni e profondità delle regole prospettiche. Lo spazio è unico.
La cornice è facilmente riconducibile allo stile veneziano, raffinato e dettagliato.

68
Jacopo Bellini, Flagellazione 1440-60, taccuino di disegni del Louvre

Questi taccuini fanno intendere che Bellini fosse al corrente delle regole della
prospettiva, addirittura il soggetto non è in primo piano.
I disegni danno un altro dato, essendo in taccuini venivano tenuti nella bottega,
che pullulava di allievi, avevano lo scopo di insegnare.

69
Giovanni Bellini

Andrea Mantegna, Orazione nell’orto, 1453-54, Londra, National Gallery. Giovanni Bellini, Orazione
nell’orto 1459? – 1465/70? , Londra, National Gallery

Comparazione di opere che hanno lo stesso oggetto, episodio dell’orazione


nell’orto e delle ultime ore di Cristo. Ci sono delle affinità tra Mantegna e
Giovanni Bellini (figlio di Jacopo) e delle differenze.
Giovanni Bellini è più giovane di Mantegna e lo vede come un maestro,
specialmente nei primissimi anni. Man mano che acquisisce competenze si
allontana dal maestro. Tra di loro c’è anche un rapporto di parentela, i due erano
cognati (Mantegna sposa una sorella di Bellini).
Il confronto ci fa capire che di fatto le soluzioni adottate da Giovanni Bellini virano
su una morbidezza diversa, le pietre del Mantegna sono segnate con una
stratificazione di livelli che sembrano creati in maniera scultorea, anche le figure
sono pesanti. La luce si amalgama con il colore e addolcisce l’opera. Tutto questo
fa capire il tonalismo di matrice veneziana e veneta.
Nascerà infatti la grande diatriba tra pittura toscana e veneta.
Da qui si vede come Giovanni Bellini si comporta con luce e colore.
Tonalismo: accostamento di toni con la scelta di un colore dominante che viene
sfumato tenendo conto dell’incidenza della luce sul colore.

70
Giovanni Bellini, Polittico di San Vincenzo Ferreri,1464-1465, Venezia, Santi Giovanni e Paolo

Polittico diviso in più scomparti, anche se conosceva la pala d’altare a campo


unificato, questa scelta probabilmente era levata alla volontà dei committenti.
La cornice è sbordante ma spariscono i pizzi e i pinnacoli classici dello stile
veneziano rinascimentale. Nel primo registro i personaggi vengono disposti
secondo un punto di vista, con S. Cristoforo sulla sinistra, S. Domenico al centro
e S. Giovanni battista a destra. Lo sfondo si mantiene dal colore morbido e
avvolgente, la plastica dei corpi è morbida.

71
Giovanni Bellini, Incoronazione della Vergine. 1471-74, Pesaro, Musei civici. Cimasa:
Imbalsamazione di Cristo, Città del Vaticano, Musei Vaticani

Opera custodita a Pesaro, cimasa portata via dai segretari napoleonici.


La novità sta nel formato, sapendo di fare una pala di altare per l’Italia centrale,
sceglie un formato più tipico delle pale d’altare fiorentine, il campo è unificato,
spariscono i tentativi di frammentare lo spazio. Realizza l’episodio
dell’incoronazione in un ambiente reale, tra il paesaggio dell’Italia centrale,
dietro è raffigurato un castello (si pensava Gradara, ma non è vero, è disegnato
solo come esempio di ambiente dell’Italia centrale). Il tutto è ribadito dalla
cornice dentro una cornice. Il trono dove è seduto Cristo è aperto, per allargare
e illuminare l’ambiente.
La struttura di fatto prevede cimasa, pilastrini e predella come da tradizione.
Alcuni elementi si riferiscono alla città, non si sa però se Bellini visitò mai Pesaro.
Questa pala ha una somiglianza con un’altra pala di altare realizzata per Urbino.

72
Piero della Francesca, Pala di San Bernardino, 1472-74, Milano, Pinacoteca di Brera, provenienza: Urbino,
Chiesa di S. Bernardino

Queste pale danno l’avvio ad un percorso che gli artisti successivi sceglieranno.
Un altro è il Polittico di San Cassiano di Antonello da Messina.
I tre pittori si sono incontrati? Chi è stato il primo ad elaborare una soluzione
finale? Probabilmente gli elementi sono maturati nello stesso elemento, è un
elemento significativo per la storia dell’arte di questo periodo.

73
Giovanni Bellini, Pala di San Giobbe, post 148, Venezia, Galleria dell’Accademie

Arte di Bellini aderente alle novità del tempo, molto probabilmente influenzato
da Piero della Francesca.
La cappella è al chiuso, la Vergine sull’altare, i santi disposti a corolla per
percepire lo spazio percorribile, la luce è morbida e dorata (non si deve tenere
troppo conto delle immagini a colori perché possono essere ingannevoli a
seconda del mezzo di trasmissione, ideali sarebbero le immagini in bianco e
nero).
Le pale inserite nella chiesa danno l’illusione di uno spazio percorribile, con
l’elemento uniformante della volta a botte.

74
Giovanni Bellini, Trittico dei Frari, 1488, Venezia, S. Maria gloriosa dei Frari

Spazio chiuso ma semi-aperto. Nei lati estremi del trittico c’è un’apertura verso
l’esterno, come una sorta di porticato.
L’oro sottolinea l’aspetto sacrale della madonna con il bambino in una situazione
naturalistica, la cornice è più sobria confronto a quelle di qualche decennio
precedente. La tripartizione asseconda la struttura architettonica (come
Mantegna con quella di S. Zeno).

75
Antonello da Messina

Antonello da Messina, Annunciazione, 1474, Siracusa, Museo Bellomo. Petrus Christus,


Annunciazione, 1452, Berlino, Gemalde Galerie

Originario di Messina, non si hanno molte informazioni biografiche su di lui, da


giovane si trasferisce a Napoli per la sua formazione artistica, crea rapporti
stretti con l’arte fiamminga (il signore di Napoli era particolarmente interessato
a questa arte), le sue opere da giovane molto spesso sono state considerate
create da maestri fiamminghi. Nell’immagine sopra c’è un confronto tra due
opere, una di Antonello l’altra di un pittore fiammingo, c’è affinità tra le due. La
caratteristica principale è la creazione di punti luci alle spalle della
rappresentazione, con finestre aperte sul paesaggio che anche se è
estremamente distante, viene creato con dettagli (attenzione ai dettagli
carattere della pittura fiamminga). La prospettiva ingloba quasi a 360 l’opera, a
differenza di quella lineare centrica tipicamente italiana.

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Colantonio, San Girolamo nello studio, 1445-46, Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte

Colantonio fu il maestro di Antonello da Messina, opera famosa è quella


raffigurante San Girolamo. Anche nelle sue opere ci sono influenze fiamminghe,
i dettagli sono curati al massimo.

77
Antonello da Messina, San Girolamo nello studio, 1474, Londra, National Gallery

Antonello realizza a sua volta la versione di San Girolamo nello studio,


inizialmente attribuito ad un pittore fiammingo. Il leone con il quale il santo è
normalmente raffigurato, non è in primo piano, si trova nascosto tra le volte.
La riproduzione realistica viene espressa anche con la pavimentazione,
tipicamente fiamminghe.

78
Antonello da Messina, Sacra conversazione (pala di San Cassiano), 1475-76, Vienna, Kunsthiotisches
Museum, provenienza: Venezia, chiesa di S. Cassiano su commissione di Pietro Bon.

Una sacra conversazione che insieme alle opere di Bellini e della Francesca ispira
le opere successive.
Antonello va a Venezia da Napoli, il viaggio è segnato sicuramente da influenze
artistiche.

79
80
Antonello da Messina, Vergine Annunziata, 1476-77, Palermo, Galleria regionale della Sicilia

Opera a sé, non fa parte di un polittico. Fa capire che ha incontrato Piero della
Francesca (figure ovali perfette). La Madonna si tiene il velo con modestia.

81
16/03/2022 8° lezione

Urbino

Urbino, Palazzo ducale, 1445-1481 ca, facciata dei torricini

Galleria nazionale delle Marche e palazzo come monumento rappresentativo


della civiltà rinascimentale, tra le collezioni della galleria ci sono poche opere che
facevano parte delle collezioni del palazzo. La struttura edilizia si distende nel
cuore della città di Urbino, le fasi costruttive del palazzo vedono anche
l’intervento di collegamento del palazzo al terreno e i suoi dislivelli, Francesco
de Giorgio Martini (architetto) collega la parte superiore con la parte del
Mercatale, la via d’accesso principale. Laurana, che crea la torre, mantiene uno
stile leggiadro e non pesante, l’edificio deve rappresentare l’eleganza e la
ricchezza del signore che lo abita. Al suo interno ci sono giardini e cortili.

82
Urbino, palazzo ducale, 1455-81 ca, facciata ad ali

Chiamata “facciata ad ali” perché la struttura si incontra e incastra


perfettamente. Ci si affaccia alla zona direttamente urbana.

83
Urbino, palazzo ducale,1468-72 ca, cortile d’onore

Qua sono racchiusi tutti gli elementi architettonici dell’Italia del rinascimento,
con un linguaggio proposto anche da Brunelleschi e Leon Battista Alberti. I locali
della biblioteca sono accessibili ai piani bassi, Federico creò una grande base
culturale umanistica in questa biblioteca. Nel cortile, gli archi dividono lo spazio
in modo preciso, con occhielli, capitelli e pilastri, tutto ciò richiama al
Brunelleschi. Importanti sono anche i fascioni che corrono attorno ai 4 lati del
cortile perché oltre a scandire i 4 ordini del palazzo, hanno inciso in scrittura
capitale latina il racconto di Federico Da Montefeltro, essendo il cortile il primo
spazio che accoglie il visitatore. Vengono descritte le sue cariche e
caratteristiche.

84
Urbino, palazzo ducale, biblioteca del duca

La biblioteca conserva poco, perché con il ritorno di Urbino allo stato della
Chiesa, agli inizi del ‘600, i cardinali incaricati di seguire i territori, fanno portare
via le opere raccolte nella biblioteca. I testi manoscritti e a stampa sono infatti
ancora oggi uno dei beni più preziosi delle biblioteche Vaticane. Nel frattempo
l’ultimo duca di Urbino, Della Rovere, sa che lo stato tornerà alla Chiesa, fa
trasferire tutto o quasi e lo dà in eredità alla nipote, che sposerà un Medici.
Quando i legati pontifici arrivano in Urbino prendono tutto ciò che è rimasto, in
primis i libri.

85
Federico e Guidubaldo da Montefeltro, 1476-77, Urbino, Galleria Nazionale delle Marche

L’autore non è certo, considerato il biglietto da visita del duca, vuole dimostrare
la sua duplice natura: uomo di lettere e guerriero.
Egli non veste l’elmo, lo posa in terra, come la lancia che ha la punta rivolta
verso il basso; ciò significa che per lui le armi saranno utilizzate solo per
difendersi. Ciò era un monito per chi aveva intenzioni bellicose verso i suoi
territori.
Ci sono simboli onorifici che fanno parte del linguaggio della cultura delle corti:
la giarrettiera e il collare d’ermellino consegnate dal re d’Inghilterra e il re di
Napoli, corrispondono alla dimostrazione di possesso di valori di lealtà e fedeltà.
Un altro elemento evidente che rappresenta un fattore di orgoglio per Federico:
il figlio Guidobaldo, la garanzia della continuità che possono godere le persone
che vivono nel Montefeltro.
La Chiara in alto a sinistra ricorda i legami con la Chiesa.

86
Urbino, palazzo ducale, Studiolo, 1476

Altro specchio di Federico da Montefeltro, lo spazio è dedicato alle attitudini


consone al signore nel momento in cui si trova nel suo privato, lo spazio
dell’otium, per dedicarsi alla lettura e alla musica. Uno spazio introspettivo per
il signore, lo studiolo è adiacente alla sala delle udienze, spazio pubblico.
La doppia natura di Federico è evidente nell’angolo in cui viene raffigurato in una
specie di palcoscenico, dove lui è vestito con la toga da umanista. Dall’altro lato
viene raffigurata l’interno di un armadio l’armatura da guerra.

87
Benedetto da Maiano, studiolo del duca, tarsie lignee, Urbino, Palazzo Ducale

Dettaglio dell’armatura nell’armadio meglio visibile.

Urbino, Palazzo ducale, studiolo, soffitto ligneo

88
Pareti di uomini illustri, alcuni sparsi in Francia. La foto è stata scattata in
occasioni di una mostra temporanea in cui tutti i personaggi sono stati rimessi
al posto originale.
I colori sono sgargianti, l’autore è Giusto di Gand ma c’è sicuramente l’intervento
di un secondo artista, la sua identità è ancora un dubbio.
Nel ciclo degli uomini illustri sono riportati esempi di vita virtuosa, è
un’iconografia consueta dei palazzi nobili dei collezionisti. Federico raccoglie i
ritratti di questi personaggi, sia dell’antichità che del contemporaneo, sia pagani
che cristiani; come concetto umanistico è la riconciliazione delle due culture dopo
il medioevo. Viene raffigurato Omero accanto ad un pontefice, Euclide affianco
ad un umanista, per l’uomo dell’epoca era una cosa rivoluzionaria. Le tavole oggi
sono state separate l’una dall’altra, ma nascono insieme, all’epoca c’erano anche
iscrizioni che avevano il nome del personaggio e una dedica di Federico dove
esprime il suo rapporto in relazione al personaggio. Sono esempi di virtù con il
quale Federico si è confrontato sullo stesso piano, i personaggi diventano signori.

89
Giovanni Santi, le muse Clio e Melpomene, 1480-90, Firenze, Galleria Corsini, provenienza: Urbino,
palazzo ducale, tempietto delle muse

Spazi sotto lo studiolo, nel piano inferiore.


Unione del mondo pagano (tempietto delle muse) e cristiano (cappella del
perdono). Le muse sono almeno 9 e le protettrici delle arti (poema epico, storia,
danza, musica, geografia, astronomia…), seguaci di Apollo. Il fatto che sotto lo
studiolo ci fosse il tempietto decorato con muse ci fa capire che le radici di
Federico affondano nel terreno legato al classico e alle arti liberali. L’iscrizione
che intercorre nelle mura descrive l’unione delle due cappelle, Federico fonda la
sua cultura e la sua vita sull’unione di questi due pensieri.
A sinistra c’è la ricostruzione, ad oggi gli ambienti non sono sempre aperti, il
tempietto è spoglio, sicuramente le tavole sono state tolte dopo la seconda
acquisizione papale, le tavole sono oggi alla galleria Corsini di Firenze. Tutte le
muse sono attribuite a Giovanni Santi, la figura di Apollo no.

90
Piero della Francesca

Piero della Francesca, ritratto dei duchi Federico da Montefeltro e Battista Sforza, 1472-74, Firenze, Galleria
degli Uffizi

Nel ‘600 prima di svuotare i palazzi sono stati fatti degli inventari che tengono
conto dove si trovano tutte le opere, questi due ritratti oggi riconosciuti come
capolavori, erano in un guardaroba e vengono descritti accanto a delle “sedie
buone da fare il fuoco”. La considerazione di questi dipinti cambia quindi con il
tempo. La memoria dei duchi di Urbino nel ‘600 inizia a cedere, erano passati
secoli.
La pittura stessa di Piero della Francesca per molti anni non piace, considerata
poco naturalistica, viene recuperata da Roberto Longhi nel ‘900.
Piero della Francesca lavora in diverse città italiane, ha realizzato diverse cose
per Urbino ed aveva un rapporto diretto con Federico da Montefeltro.
La luce colpisce a primo impatto, è limpida e non crea vere e proprie ombre. Le
immagini sembrano astratte, atemporali e quindi moderne.
Lo sfondo è minuzioso e dettagliato, c’è un po’ di foschia ma è tutto ben
distinguibile, caratteristica della pittura fiamminga dove Piero si era affacciato.
C’è una connessione tra Piero della Francesca e Domenico Veneziano? Si, essi
lavorano insieme nella chiesa di S. Egidio a Firenze (Piero era un giovane aiuto),
si giustifica così l’utilizzo dei colori e della luce.
Piero riconduce ogni elemento della natura alla perfezione della forma
geometrica, ecco il senso di immobilismo.
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Piero della Francesca, Trionfo dei duchi Federico da Montefeltro e Battista Sforza, verso dei Ritratti, 1472-
74, Firenze, Galleria degli Uffizi

92
22/03/2021 9° lezione

Piero della Francesca, Pala di San Bernardino, 1472-74, Milano, Pinacoteca di Brera, provenienza:
Urbino, chiesa di S. Bernardino

Nota anche come Pala dei Montefeltro. È una delle tre pale che segnano il
cambiamento della tecnica per le pale a campo unificato (insieme a Giovanni
Bellini e Antonello da Messina). La vergine è collocata sopra un altare, è una
sacra conversazione perché i santi sono disposti a corolla, il duca Federico è
inginocchiato vicino all’osservatore. Una novità è il collocamento dei personaggi
all’interno di strutture architettoniche rinascimentali. Lo spazio si apre
illusoriamente in profondità. Ci sono assenze: Battista Sforza (probabilmente era
già morta), che si sarebbe dovuta trovare di fronte al san Giovanni Battista, suo
protettore. Il bambino addormentato sembra alludere ad un sogno eterno e a
ricondursi alla moglie, morta nel parto.
La caratteristica atemporale di Piero rende difficile individuare un percorso
cronologico nella sua pittura, anche se i critici si sono impegnati in questo.
Spesso uova di struzzo, collegati alla rinascita erano appesi in chiese.

93
Piero come sempre costruisce le sue figure, riconduce ogni elemento naturale al
rigore perfetto della forma geometrica.
La volumetria dei personaggi ricorda quella di Masaccio, da cui si è ispirato.
Quello che manca in Piero di Masaccio è l’espressività. La pittura di Piero è eterna
e ci si avvicina ad un’espressione metafisica.
Il suo passaggio a Firenze è fondamentale per Piero, influenzano l’arte futura
dell’artista, lavora per Domenico Veneziano e si ispira a Beato Angelico per
l’utilizzo dei colori.

Piero della Francesca, Flagellazione, 1460 ca, Urbino, Galleria nazionale delle Marche

La committenza non è direttamente quella del duca Federico. Sulla sinistra è


raffigurata la flagellazione e sulla destra ci sono 3 personaggi enigmatici, in
particolare quello al centro vestito di rosso e scalzo. È un personaggio reale o
morto? Si pensa al fratellastro di Federico o al figlio. L’uomo a destra in vestiti
orientali è importante, le letture sono legate perché ipoteticamente i due
personaggi stavano discutendo per indire una crociata a Costantinopoli. La
flagellazione è lo spunto per ripensare alle sofferenze della chiesa d’oriente e di
sollecitare l’intervento degli stati. I due episodi sono collegati? Probabilmente di,
i tre personaggi evocano l’episodio della flagellazione e a sinistra viene
raffigurata.

94
L’ambientazione architettonica è il rinascimento matematico, Urbino ne era una
culla. L’ambiente della flagellazione fa riferimento alle regole matematiche e
geometriche di Euclide. Il personaggio sulla destra secondo molti critici è un
componente della famiglia Bacci di Arezzo che gli commissionarono gli affreschi

Piero della Francesca, Polittico della Misericordia, 1445-62, Borgo San Sepolcro, Pinacoteca comunale
(cornice commissionata nel 1428 a Bartolomeo Angeli)

Al centro la Madonna della Misericordia, la vergine che accoglie e protegge i


fedeli.
Piero, pur utilizzando il fondo oro, rimane nelle sue caratteristiche, la precisione
delle forme sono impressionanti.

95
Piero della Francesca, Battesimo di Cristo, 1440-45, Londra National Gallery, per Badia Camaldonese
di Borgo San Sepolcro, disegno già commissionato ad Antonio di Anghiari nel 1433

Un’altra opera simbolo della pittura di Piero, segnata al centro dalla verticale
della colomba e della mano di Giovanni Battista, prosegue con le mani giunte
del Cristo. Lo specchio d’acqua oltre che contestualizzare l’episodio del
battesimo, serve come punto luce che arriva da mezzogiorno, che non crea
ombre, le figure sono salde a terra. Il rigore prospettico è serrato.

96
Piero della Francesca, Battesimo di Cristo, 1440-45, Londra national gallery. Matteo di Giovanni,
scomparti laterali con i santi Pietro e Paolo, pilastri e predella, 1465 ca. borgo San Sepolcro, pinacoteca
comunale. Benedetto di Antonio Mattei, cornice lignea, Borgo San Sepolcro, Pinacoteca comunlae

Il battesimo doveva far parte di un polittico. L’opera di Piero pienamente


rinascimentale, viene pensata per essere collocata all’interno di un polittico
decisamente legato alla cultura del gotico. Probabilmente Piero si è sottratto al
compito di realizzare i laterali, oppure Matteo di Giovanni voleva distaccarsi dal
maestro per dichiarare uno stile diverso.

97
Piero della Francesca, Storie della vera Croce, 1452-66, Arezzo, Chiesa di San Francesco, coro, già
commissionata a Bicci di Lorenzo nel 1447 da Famiglia Bacci

La croce non è di Piero, è trecentesca. La storia della vera Croce è legato


all’episodio descritto nella leggenda aurea. Gli episodi sono raffigurati da sinistra
a destra su due registri, in più lunette. L’andamento non è cronologico, sceglie
la strada per attinenze di costruzioni di presenze simili. Ad esempio due angeli
(annunciazione e sogno di Costantino).

98
Parete sinistra:
(1) La storia parte con Adamo che viene sepolto con il seme dell’albero da
dove verrà creata la croce di Cristo.
(2) l re Salomone di incontra con la regina di Saba e lei si rende conto della
sacralità dell’albero vicino dove sta passando.
(6) La vittoria di Costantino su Massenzio: Costantino vince la battaglia sul
nome della croce, e proclamerà il cristianesimo come religione libera.
Parete al centro:
(7) Tortura dell’ebreo: la regina Elena voleva recuperare la croce dove
Cristo era stato crocifisso, fa torturare un ebreo presente
all’avvenimento, che confessa il luogo.
(3) Sollevamento del sacro Legno: vengono recuperate le tre croci, viene
portare il corpo di un defunto e al contatto con il legno su cui era morto
cristo, egli resuscita.
(4) Annunciazione
(5) Sogno di Costantino: sogna la croce
Parete a destra:
(10) Ritorno a Gerusalemme e esaltazione della Croce
(8) Ritrovamento e prova della vera Croce
(9) Disfatta e decapitazione di Cosroe

99
Morte di Adamo, Adorazione del sacro legno e incontro di Salomone con regina di Saba

100
Sollevamento del sacro legno, Tortura dell’ebreo

101
Ritorno a Gerusalemme e Esaltazione della Croce, Ritrovamento e Prova della vera Croce

102
Tempio Malatestiano

Piero della Francesca, San Sigismondo e Sigismondo Pandolfo Malatesta, 1451, Rimini, Tempio
Malatestiano, cappella delle reliquie

Chiesa di San Francesco che diventa una sorta di tempio vocativo pagano a
Pandolfo, che gli costa la scomunica. Abbiamo Sigismondo inginocchiato verso
San Sigismondo che è raffigurato con le fattezze dell’imperatore Sigismondo.
Sulla destra c’è un oculo da dove si osserva il castello di Sigismondo. Fra i
particolari si dà importanza ai due levrieri.

103
Leon Battista Alberti, Tempio Malatestiano, 1447-68

Leon Battista Alberti viene incaricato da Sigismondo di creare il suo tempio, lui
non abbatte la chiesa ma la riveste. Ci sono archi, colonne e frontoni
rinascimentali.

104
Rimini, arco di Augusto

105
Tracciati proporzionali del Tempio malatestiano di Rimini

Matteo de’ Pasti, medaglia, Sigismondo Pandolfo Malatesta (recto), tempio malatestiano (verso)

106
Interno del tempio malatestiano, disposizione delle cappelle. Agostino di Duccio, angeli musicanti, dal 1447

Pianta dell’interno, dove sono presenti cappelle collegate a temi poco religiosi
(cella degli eroi, putti, musei e arti), fortemente legati al paganesimo.

Agostino di Duccio e Matteo de’ Pasti, decorazione interna del tempio malatestiano

107
108
23/03/2022 10° lezione

Firenze, Roma e Milano tra ‘400 e ‘500

Andrea del Verrocchio

Andrea del Verrocchio- Leonardo da Vinci, Battesimo di Cristo, 1473-75, Firenze, Galleria degli Uffizi

Sulle rive del fiume Giordano in Palestina, Gesù viene battezzato da San
Giovanni, che bagna la testa di Cristo con l'acqua. San Giovanni Battista tiene in
mano una sottile croce e un cartiglio con l'iscrizione dell'annuncio dell'avvento
del Salvatore: "Ecco l'agnello di Dio che toglie il peccato del mondo". Vangelo
secondo Gv 1, 29. Presenti all'evento anche due angeli inginocchiati, uno dei
quali tiene le vesti di Gesù.
A metà del XVI secolo lo storico Giorgio Vasari narra che per l'esecuzione del
dipinto Andrea del Verrocchio fu aiutato da un giovane allievo, Leonardo, che
dipinse la figura dell'angelo di sinistra con tale abilità da sconvolgere il più
anziano Verrocchio. Gli studi attuali sono orientati a considerare più ampi gli
interventi di Leonardo, tra cui il suggestivo paesaggio ripariale, la luce dorata e
la figura di Cristo. Era consuetudine, negli studi d'artista del XV secolo, che il
capo studio progettasse l'opera, lasciando che le parti secondarie fossero dipinte
da allievi e collaboratori. È probabile che sulla tavola con il Battesimo di Cristo,

109
oltre a Verrocchio e Leonardo, abbia lavorato anche un altro pittore più anziano.
Ciò è suggerito dalla natura meno sviluppata di alcuni dettagli, come le mani di
Dio e la colomba dello Spirito Santo, in alto. L'angelo di Leonardo si distingue
per la posa articolata del suo corpo, dove è possibile vedere le spalle e il volto
giovane, come se si girasse, insieme ai drappeggi naturali della veste azzurra.

Andrea del Verrocchio- Leonardo da Vinci, Battesimo di Cristo, particolare

110
Lorenzo di Credi, Battesimo di Cristo, Fiesole, San Domenico

Andrea del Verrocchio, Dama col Mazzolino, 1475, Firenze, Museo Nazionale del Bargello

111
Leonardo da Vinci

Leonardo da Vinci, Ritratto di Ginevra Benci, 1474-1478, Washington, National Gallery of Art

Il ritratto raffigura una ricca dama fiorentina in un paesaggio, davanti a un


cespuglio di ginepro. La giovane donna è vestita sobriamente.
La luce è soffusa e si diffonde delicatamente su volumi e superfici. Il cespuglio
scuro fa risaltare il viso malinconico della dama.
I contorni del paesaggio appaiono sfumati e poco definiti. L’espressione del viso
è seria e assorta.
La composizione si basa su un triangolo isoscele in cui si inseriscono il viso e il
busto della dama. La figura è nella parte centrale del quadro, con il viso e le
spalle leggermente ruotate. I contorni di naso, labbra e guance non sono ottenuti
con una linea netta ma grazie a delicati passaggi luce-ombra, secondo la tecnica
dello sfumato.
Leonardo amava i giochi di parole: il cespuglio di ginepro dietro la donna allude
al suo nome, Ginevra.
L’opera si caratterizza per l’uso della prospettiva aerea, inventata proprio da
Leonardo: per la presenza dell’atmosfera, gli elementi più lontani appaiono non
solo più piccoli, ma anche sfuocati e di colore grigio-azzurro; in questo modo il
paesaggio, anche se meno preciso, è più realistico.

112
Il dipinto venne decurtato di almeno un terzo nella parte inferiore (forse perché
danneggiata), tagliando così le mani, come sembra testimoniare uno studio
conservato nella Royal Library del Castello di Windsor.
Sul retro del quadro è dipinto un ramoscello di ginepro al centro e, ai suoi lati,
un ramo di alloro e uno di palma. I tre rami sono legati tra loro da un cartiglio
che reca il motto “virtutem forma decorat”.
Esami a raggi infrarossi condotti dalla National Gallery di Washington hanno poi
scoperto un’altra frase “virtus et honor”, il motto di Bembo, che aveva nello
stemma nobiliare proprio la ghirlanda.
Anagrammando il motto “virtutem forma decorat” con l’aggiunta della parola
“iuniperus”, e cioè il rametto di ginepro che compare al centro, simbolo di
purezza, la ricercatrice Carla Glori ha scoperto 50 frasi in latino a firma di
Leonardo da Vinci. Esse messe tutte insieme hanno permesso alla ricercatrice di
ottenere la storia documentata di Ginevra, una giovane donna oppressa
nell’imminenza delle nozze forzate con un uomo più grande di lei di 15 anni.

Leonardo da Vinci, Studio di mani, 1475-80, Windsor

113
Sandro Botticelli

Sandro Botticelli, Adorazione dei Magi, 1475, Firenze, Galleria degli Uffizi, provenienza: S. Maria
Novella su commissione di Gaspare Zanobi del Lama

Sandro Botticelli, emerge con l’adorazione dei magi, mettendo il gruppo di Maria
e di Cristo fanciullo entro un fabbricato in rovina al centro del dipinto. La tavola
stava in origine in Santa Maria Novella, nella cappella di Gaspare del Lama, un
banchiere amico dei Medici. L’omonimia tra il committente e uno dei magi
giustifica la scelta del soggetto, caro peraltro ai Medici, omaggiati con una serie
di ritratti: il vecchio mago inginocchiato ai piedi di Cristo è Cosimo, il Vecchio,
nei magi chinati sotto sono ritratti i figli Piero il Gottoso e Giovanni, mentre i
nipoti Lorenzo e Giuliano di individuano nel giovane pensoso del gruppo di destra
e in quello in primo piano all’estremità sinistra. Il pittore si è invece ritratto
all’opposto, nel giovane togato in giallo che ci guarda.
Botticelli si affida alla recitazione dei suoi attori, le figure sono costruite
attraverso netti contorni, che rilevano un debito nei confronti della lezione di
Antonio del Pollaio, per quanto il tema imponga in questo caso di evitare i nudi.
Anche Botticelli, come Leonardo, pare aver iniziato la sua arte nella bottega di
un orafo.

114
Sandro Botticelli, Primavera, 1475-82, Firenze, Galleria degli Uffizi

Al centro della scena della Primavera c’è la dea Venere, che si erge vestita in
mezzo ad un bosco di aranci verdeggiante di infinite specie vegetali,
accompagnata in alto da Cupido bendato, alla sua sinistra il vento di primavera
Zefiro rapisce per amore la ninfa Clori. Unitasi al vento, Clori rinasce nelle forme
fi Flora: personificazione della primavera, che veste un abito ricamato di piante
e incide spargendo fiori. A destra di Venere ballano le tre Grazie, mentre
Mercurio scaccia le nubi, in un’immagine gioiosa che richiama la poesia del
Poliziano e certi versi centrali delle stanze, in cui è narrato il regno di Venere.

115
Sandro Botticelli, Nascita di Venere, 1483-85, Firenze, Galleria degli Uffizi

La dea, al di sopra della conchiglia, approda sull’isola di Cipro, sospinta dal vento
di Ponente (Zefiro, abbracciato ad una figura femminile) e accolta da un’ancella
nelle vesti della Primavera, che le porge un manto fiorito per coprirla. La seconda
delle due favole antiche è tratta da uno degli episodi narrati da Ovidio nelle
Metamorfosi e ripreso da Angelo Poliziano in alcune ottave delle Stanze in cui è
descritta la nascita di Venere. Queste sono opere di un Botticelli che rinuncia alle
predilezioni prospettiche della pittura fiorentina del ‘400 e propone grandi scene
in cui la resa spaziale viene di fatto elusa. Alla stregua di un pittore cortese di
spirito gotico, Sandro si diletta a riprodurre dettagliatamente le specie botaniche
del prato fiorito o a dipingere le onde del mare ripetendo un segno grafico di
elegante senso decorativo. Attentamente designato nei confronti, le figure
appaiono bidimensionali e prive di vigore plastico: Botticelli rinuncia alla
materialità, proponendo la visione di un paradiso divino e ideale, tanto
corrispondente alla Theologia Platonica di Marsilio Ficino, quanto distante dal
lessico propugnato da Brunelleschi, Donatello e Masaccio.

116
Sandro Botticelli, Pallade e il centauro, 1482-83, Firenze, Galleria degli Uffizi

Leonardo da Vinci, Annunciazione, 1472-75 Firenze, Galleria degli Uffici, provenienza: Monteoliveto,
chiesa di San Bartolomeo

Nonostante le piccole dimensioni, l’immagine appare di una modernità


impressionante. Il pittore descrive con un tratto rapido e deciso una veduta del
Valdarno: impervi calanchi, assiepati da una disordinata vegetazione, incombono
su di una lontana distesa di campagna, sorvegliata da un centro abitato. Solo il
piccolo borgo fortificato evoca la presenza umana, in un regno della natura che
Leonardo, rinunciando alla minuzia descrittiva fiamminga, delinea con palpitante
117
intensità: è una visione percorsa da un inedito senso atmosferico delle cose,
tanto che sembra di avvertire il circolare dell’aria dai colli al fondovalle. Quando
mise su carta questo schizzo, Leonardo stava completando l’apprendistato nella
bottega del Verrocchio e già doveva avere in mente un nuovo tipo di pittura e
soprattutto la percezione del mondo, intesa a indagare scientificamente la
natura.

Leonardo da Vinci, Adorazione dei Magi,1481, Firenze, galleria degli Uffizi, provenienza: San Donato a
Scopeto

Opera commissionata nel 1481 per l’altare della chiesa agostiniana di San
Donato a Scopeto. Un’opera che il pittore riuscì solo ad abbozzare e che di
recente è tornata agli Uffizi, dopo un lungo e importante restauro. La pala appare
come una sorta di grande disegno corredato di pochi colore, ma vibrante di una
nuova animazione, rispetto all’Annunciazione di pochi anni prima. Di solito,
l’adorazione dei magi, era illustrata ordinando la capanna di lato in primo piano
e l’arrivo del corteo dei magi sul proscenio. Leonardo, invece, dispone la
Madonna con il bambino al centro, all’ombra di un albero, e fa ruotare intorno a
costoro il folto gruppo dei sovrani orientali e del loro seguito. In secondo piano
la mole delle scale e degli archi di un edificio in costruzione, qui raffigurato in un
luogo dalle rovine di tante scene simili, si alterna con l’ormai collaudato
paesaggio roccioso, ravvivato dall’azione di uomini e cavalli in un incessante
movimento.

118
Michelangelo Buonarroti

Michelangelo Buonarroti, Madonna della scala, 1490-92, Firenze, Museo di casa Buonarroti

Vasari la descrisse come “una nostra donna di basso rilievo di mano di


Michelangelo, di marmo, alta poco più di un braccio, nella quale, essendo
giovanetto in questo tempo medesimo, volendo contraffare la maniera di
Donatello, si portò sì bene che per man sua, eccetto che vi si vede più grazia e
più disegno”

119
Michelangelo Buonarroti, Battaglia dei centauri, 1490-92, Firenze, Museo di casa Buonarroti

Un rilievo mai finito, sia nella cornice che in alcune figure. È un vero e proprio
groviglio di nudi, avviluppati in una zuffa di cui è difficile comprendere l’inizio e
la fine. Solo un centauro sdraiato a terra in primo piano giustifica il titolo che si
assegna al marmo.

Michelangelo Buonarroti, Battaglia dei centauri, particolare, 1490-92, Firenze, Museo di casa
Buonarroti

120
Michelangelo Buonarroti, Studio, 1488-95, Monaco, Gabinetto dei disegni e delle stampe

121
29/03/2022 11° lezione

Michelangelo Buonarroti, Bacco, 1496-97, Firenze, Museo Nazionale del Bargello, già proprietà di
Jacopo Galli

Prima opera realizzata a Roma, conservata a Firenze.


Attenzione precisa al bilanciamento dei pesi e delle forme, insegnamenti dei
grandi maestri fiorentini. Molto apprezzato perché improntato sul modello
dell’antico.

122
Michelangelo Buonarroti, Pietà, 1498-99, Roma, San Pietro, Commissionata dal cardinale Jean
Boòhères des Lagraulas

Prima commissione importante a Roma, realizzata per la cattedrale di San Pietro.


Nell’iconografia della pietà Michelangelo introduce dei modelli del nord Europa,
appunto dove la Vergine teneva in grembo il Cristo morto.

123
Bartolomeo della Porta, detto fra Bartolomeo, Ritratto di fra Girolamo Savonarola, 1499-1500,
Firenze, Museo di San Marco

Orvieto, duomo Cappella di San Brizio

124
Luca Signorelli, Inferno, 1499-1505, Orvieto, duomo, cappella di San Brizio

Un vero e proprio trionfo di nudi, colti nelle pose più complicate che si possano
immaginare, si tratta dei diavoli o dei dannati: una scena terribile e un
precedente imprescindibile per la pittura di Michelangelo. Il ciclo era compiuto
nel 1504 e, oltre alle vele, comprendeva alla base delle pareti le immagini di
illustri letterati antichi e moderni, tra i quali è facilmente riconoscibile Dante,
intento alla lettura e inserito entro un ornato dichiaratamente all’antica,
corredato di quattro medaglioni con episodi del Purgatorio e di motivi decorativi
detti “grottesche”.

125
Antonio Pollaiolo, Ercole e Anteo, 1475 ca, Firenze, Galleria degli Uffizi

L’episodio pone a contrasto il cielo terso e le vedute a volo d’uccello


minuziosamente descritte alla fiamminga seguendo i modi di Domenico
Veneziano, con gli atletici nudi in primo piano, che nella precisione anatomica e
nella dinamica tensione dei corpi in lotta esprimono un irrefrenabile vitalismo,
come finora non si era mai visto a Firenze. Si osservino le smorfie dell’eroe
interno della lotta, oppure la bocca spalancata in un lancinante grido di dolore
dell’Anteo soffocato. Antonio del Pollaiolo era un artista eclettico, capace di
confrontarsi non solo con la pittura, ma pure con l’oreficeria e la scultura di
bronzo. Il modo in cui risultano netti i contorni degli attori delle due scenette
dipende infatti dalla famigliarità con l’arte orafa e della lavorazione dei metalli,
che vide il maestro destreggiarsi tra l’esecuzione di enormi oreficerie e armature.

126
Luca Signorelli, Resurrezione della carne, 1499, 1505, Orvieto, cappella di San Brizio

127
Luca Signorelli, Resurrezione, particolare, Orvieto, cappella di San Brizio

Luca Signorelli, predica dell’anticristo, 1499-1505, Orvieto, Cappella di San Brizio

128
Sandro Botticelli, Madonna del Magnificat, 1483-85, Firenze, Galleria degli Uffizi

La Vergine, col Bambino sulle ginocchia, è incoronata da due angeli mentre sta
scrivendo su un libro le parole del Vangelo di Luca: "Magnificat anima mea
Dominum" (L'anima mia magnifica il Signore), il verso iniziale del cantico con cui
Maria, durante la sua visita a sant'Elisabetta, ringrazia il Signore per essere stata
scelta come veicolo dell'Incarnazione divina (Luca, I, 46). Essa è riccamente
abbigliata, con la testa coperta da veli trasparenti e stoffe preziose ed i suoi
capelli biondi si intrecciano con la sciarpa annodata sul petto. Il Bambino guida
il suo braccio, testimoniando il perfetto accordo tra Dio e la sua prescelta. Altri
due angeli tengono il libro e il calamaio dove Maria intinge la penna, mentre un
terzo abbraccia questi ultimi due.
Lo sfondo è composto da una finestra ad arco in pietra serena, oltre la quale si
scorge un sereno paesaggio fluviale. La cornice di pietra dipinta schiaccia le
figure in primo piano, che assecondano il movimento circolare della tavola in
modo da far emergere le figure dalla superficie del dipinto, come se l'immagine
fosse riflessa in uno specchio convesso ed allo stesso tempo la composizione è
resa ariosa grazie alla disposizione dei due angeli reggilibro in primo piano che
conducono attraverso un'ideale diagonale verso il paesaggio sullo sfondo. La
leggera deformazione dà alla Vergine e al Bambino dimensioni leggermente
maggiori rispetto agli altri personaggi, legandosi alle consuetudini devozionali
del medioevo. Si tratta delle primissime avvisaglie della crisi che investì poi
Firenze alla fine del secolo, con la morte di Lorenzo il Magnifico e l'instaurarsi
della repubblica teocratica di Savonarola: il dipinto infatti mostra un distacco dal

129
dato naturale, in favore di forme più sperimentali, sempre più lontane dalla
lucida geometrica prospettica del primo Quattrocento.
I colori preziosi e brillanti, la linea di contorno nitida e chiara, l'eleganza lineare,
il disegno impeccabile caratterizzano la tavola e sono tutte caratteristiche
mutuate dall'esempio di Filippo Lippi, primo maestro di Botticelli. Dal Lippi deriva
anche l'ideale della malinconica e perfetta bellezza della Vergine, come nella
celebre Lippina, anche se Botticelli conferì alla sua Madonna un tono più
aristocratico e irraggiungibile.

Sandro Botticelli, Compianto di Cristo Morto, 1490-92, Monaco, Alte Pinakothek

Sullo sfondo del sepolcro di Cristo aperto, Maria tiene sulle gambe il figlio morto
e sviene per il dolore, sorretta da Giovanni evangelista che le tiene la testa e il
braccio; le fanno eco le tre Marie: una regge il volto del Cristo e lo bacia
amorevolmente, una si copre la bocca, con gli occhi sgranati per l'orrore, e Maria
Maddalena, infine, piange stringendo affettuosamente i piedi di Gesù e reggendo
il velo trasparente sotto al suo corpo. Si tratta della stessa composizione del
Compianto di Milano, con la differenza che qui è svolta su un formato orizzontale,
che permette una strutturazione più distesa e meno compatta dei personaggi. Il
corpo di Cristo è inoltre maggiormente inarcato e pende abbandonato sulle
gambe di Maria, risaltando come una statua sul mantello nero della Madonna.

130
Ai lati tre santi assistono alla scena senza coinvolgimento emotivo: guardano, si
piegano per osservare il centro della scena, ma i loro volti non tradiscono
emozioni. Si tratta (da sinistra) di san Girolamo in veste eremitica con la pietra
con cui soleva battersi il petto in segno di penitenza, san Paolo con la spada,
patrono della chiesa, e a destra san Pietro, con le chiavi, la chierica e la tipica
veste gialla. Per contrasto la loro presenza, legata a esigenze devozionali e non
narrative, non fa che aumentare la percezione del pathos nel gruppo centrale,
impostato a un'espressività religiosa che non ha pari nella pittura fiorentina
dell'epoca.
Le forzature di gesti e pose rimandano all'ultima fase dell'artista, in cui la ricerca
di forme realistiche è messa da parte in favore dell'espressività estrema,
sottolineata anche dal ricorso a colori forti e contrastanti, che sembrano
anticipare i temi del XVI secolo. In questa evoluzione stilistica, ormai lontana
dalla delicata armonia delle prime opere di Botticelli, si coglie l'influenza
sull'artista della figura del Savonarola, che innescò una crisi religiosa che portò
Botticelli ad abbandonare i temi profani e a rendere il suo stile più inquieto e
isolato nel panorama artistico dell'epoca.

Sandro Botticelli, Compianto su Cristo Morto, 1490-92, Milano, Museo Poldi Pezzoli

La composizione è tra le più drammatiche prodotte dall'artista, con un groviglio


di linee dei corpi ravvicinati che si fondono, senza soluzione di continuità, in un
vortice di disperazione. Sullo sfondo del sepolcro di Cristo aperto Maria, dalle
131
forme dilatate come a grandangolo, tiene sulle gambe il figlio morto e sviene per
il dolore, sorretta da Giovanni evangelista che le tiene la testa e il braccio; le
fanno eco le tre Marie: una regge il volto del Cristo e vi appoggia un sudario,
una si copre il volto per il pianto e Maria Maddalena, infine, stringe
affettuosamente al volto i suoi piedi. In alto Giuseppe d'Arimatea leva al cielo la
corona di spine e i chiodi della crocifissione, avvolti in veli trasparenti; il suo
gesto è amplificato dallo sfondo scuro e lo sguardo verso l'alto, come a
interrogare il cielo di quel dramma della morte ancora tutto terreno,
nell'imperscrutabilità del disegno divino.
Le figure strette attorno a Cristo formano un gruppo compatto di forma
pressoché piramidale. Gli occhi sono quasi sempre chiusi o coperti dalle mani,
nell'incapacità di sostenere la vista del corpo morto.
Le forzature di gesti e pose rimandano all'ultima fase dell'artista, in cui la ricerca
di forme realistiche è messa da parte in favore dell'espressività estrema,
sottolineata anche dal ricorso a colori forti e contrastanti, quasi esclusivamente
primari.
In questa evoluzione stilistica, ormai lontana dalla delicata armonia delle prime
opere, si coglie l'influenza sull'artista della figura del Savonarola, che innescò
una crisi religiosa che portò Botticelli ad abbandonare i temi profani e a rendere
il suo stile più inquieto e isolato nel panorama artistico dell'epoca.

132
Sandro Botticelli, Natività Mistica, 1501, Londra, National Gallery

La tela è caratterizzata da colori squillanti ripetuti ritmicamente (come nelle vesti


alternate degli angeli) e da una disposizione estremamente libera delle figure,
ormai lontana dalla rigida geometria prospettica della cultura fiorentina del
primo Quattrocento. Numerosi sono gli elementi arcaizzanti, a partire dal fondo
oro, per proseguire con le proporzioni gerarchiche, che rimpiccioliscono gli angeli
rispetto alla Sacra Famiglia, fino alla presenza dei cartigli legati ai rami d'ulivo.
Lo spazio invece appare notevolmente dilatato, grazie allo stratagemma di aprire
un varco nella grotta e di disporre i personaggi su più piani, che aumenta il senso
di profondità. Se forti sono le simmetrie e i ritmi di fondo, nel dettaglio gli
atteggiamenti dei personaggi sono i più vari e creano un dinamismo che non
manca mai nelle opere dell'artista. Forte è la componente visionaria, che
contraddice però proprio questa attitudine a forme conservatrici, dal cui
contrasto scaturisce la particolarità del dipinto.

133
Città del vaticano, palazzi vaticani, Cappella Sistina

Un poderoso e austero involucro di mattoni, mosso da una merlatura, contiene


una grande aula rettangolare, coperta da una volta. Si tratta di un’architettura
molto semplice, che sulla scorta di Vasari si attribuisce al fiorentino Baccio
Pontelli e sappiamo essere stata innalzata, verso il 1477-81, sotto la direzione
di Giovanni de’ Dolci, anche lui di origine fiorentina, che ebbe la responsabilità
della maggioranza delle fabbriche sistine.

134
Città del vaticano, palazzi Vaticani, Cappella, Sistina, interno, 1481-82

Intorno al 1481-82 la cappella fu totalmente affrescata, secondo uno schema


ben preciso suddiviso su vari registri: in basso uno zoccolo con finti arazzi, quindi
una serie di riquadri narrativi nel secondo registro e poi, in quello successivo, ai
lati dei finestroni, alcune figure di papi disposte entro nicchie illusionistiche, la
volta, infine, appariva come un cielo pieno di stelle, secondo un gusto
tipicamente medievale che trova un famoso precedente nella Cappella degli
Scrovegni di Giotto.
Oggi al posto di quel tappeto stellato, che era stato dipinto da un pittore umbro
chiamato Pier Matteo d’Amelia, ci sono le storie delle genesi di Michelangelo, che
nel corso del ‘500 sconvolse il ciclo originario e con esso l’intera storia dall’arte,
rinnovando non solo la volta, ma anche la parete terminale, in cui dipinse un
colossale Giudizio universale. Così facendo Michelangelo cancellò alcuni affreschi
fondamentali per comprendere il significato del ciclo sistino: andò perduta
l’Assunzione della Vergine con il ritratto si Sisto IV che, nelle forme di pala
d’altare, ricordava come la cappella fosse intitolata alla Madonna Assunta.
Furono inoltre distrutte alcune immagini di papi nel terzo registro e soprattutto
gli episodi della nascita di Mosè e della natività di Cristo. Queste erano le scene
iniziali della storia che si dipana sul secondo registro, raccontando da un lato la
vicenda di Mosè, uno degli eroi dell’antico testamento, e dall’altro quella di cristo,
il protagonista del Nuovo Testamento, non senza rimandi tra una parete e l’altra.
(vedi schema iconografico pag.258)
135
Sandro Botticelli, Punizione di Horah e dei figli, città del vaticano, palazzi vaticani, cappella sistina

Core, Datan e Abiram capeggiano la rivolta di 250 Israeliti contro la guida di


Mosè, che riconosciamo a destra, con l’abito verde e la lunga barba grigia,
mentre il giovane Giosuè lo difende dagli assalitori armati di sassi. Al centro, una
volta che Dio gli ha mostrato la benevolenza accogliendo il suo sacrificio, Mosè
disperde i ribelli che, a sinistra, finiscono per essere cacciati agli inferi dallo
stesso Mosè. È una storia concitata, dove le figure tendono ad essere più
bidimensionali che volumetriche, e sono spesso lumeggiate d’oro, come accade
anche in altri affreschi della cappella. Notevole è la differenza con la scena
dipinta di fronte, che ancora una volta allude all’autorità della chiesa e fu
affrescata da un pittore umbro, Pietro Perugino.

Luca Signorelli, Testamento e morte di Mosè, città del Vaticano, Palazzi vaticani, cappella sistina

136
Pietro Perugino, consegna delle chiavi a San Pietro, 1481-82, Città del vaticano, palazzi vaticani, cappella
sistina

All’interno della cappella sistina non poteva mancare l’episodio della consegna
delle chiavi. Una scena ben ordinata: in primo piano, al centro, il barbuto Pietro
si inginocchia a ricevere due grosse chiavi dal giovane Gesù dai lunghi capelli,
sotto lo sguardo degli altri apostoli e di qualche ulteriore astante in abito
quattrocenteschi, due di questi, sulla destra, recano in mano il compasso e la
squadra e quindi si intende identificarli in Baccio Pontelli e Giovannino de’ Dolci,
rispettivamente progettista e direttore del cantiere sistino. Il gruppo di attori è
disposto sulla ribalta di un’ampia piazza, pavimentata con grandi lastre di
candido marmo che individuano con chiarezza la fuga prospettica indirizzata
sull’edificio a pianta esagonale disposto al centro, che vuole alludere al tempio
di Salomone. Lo affiancano due archi antichi che richiamano le forme di quello
di Costantino, e in lontananza è un quieto paesaggio, dove alcune delle alture
riflettono l’azzurro del cielo e si innalzano alberi dal fusto esilissimo. In secondo
piano si muovono una moltitudine di eleganti figure, a narrare due ulteriori
episodi evangelici: il tributo della moneta e la tentata lapidazione di Cristo. Anche
questo quadro, dunque contiene tre episodi, svolti però in maniera molto diversa
da quelli allestiti da Botticelli nella punizione dei ribelli. Nella consegna delle
chiavi risaltano infatti l’ordine e la precisione di una composizione prospettica,
scandita su piani diversi e illuminata da una luce nitida e chiarissima, che fa
risaltare le forme tridimensionali dei protagonisti e delle architetture, coerenti
con i gusti del secondo ‘400.

137
Pietro Perugino, Sposalizio della Vergine, 1503-04, Caen, Musèe des Beauz Arts, per la chiesa di san
Lorenzo di Perugia. Raffaello Sanzio, Sposalizio della Vergine, 1504, Milano, Pinacoteca di Brera, per
la chiesa di san Francesco a città di Castello

Pietro Perugino: questa tavola stava in origine nel duomo di Perugia, nella
cappella dove era stata serbata una curiosa reliquia: l’snello che si sarebbero
scambiati Giuseppe e Maria. Osservando i due dipinti a confronto di deve dare
ragione a Vasari, che nello Sposalizio di Brera riconosceva “l’argomento della
virtù di Raffaello viene con finezza assottigliato e passa alla maniera di Pietro
(Perugino). In questa opera viene tirato un tempio in prospettiva con tanto
amore, che è cosa mirabile a vedere le difficoltà che egli in tale esercizio stava
cercando”. Le forme dell’edificio spiccano infatti con maggiore evidenza, poiché
Raffaello, rispetto al dipinto del maestro, ha alzato il punto di vista e atteggiato
ai personaggi in primo piano con maggiore libertà, laddove quelli perugineschi,
pur in un dipinto che del resto appare di simile impatto, paiono disporsi
rigidamente l’una accanto all’altro, come a costituire una barriera.
Raffaello: questa pala di dimensioni ridotte stava a Città di Castello, in una
cappella dedicata a San Giuseppe che la famiglia Albizzini possedeva nella chiesa
di San Francesco. Da ciò deriva la scelta di un soggetto in cui il titolare è
protagonista ed è raffigurato nel momento in cui prende in sposa Maria. Torna
la firma “Raphael Urbinas”, accompagnata questa volta dalla data 1504, scritta
in numeri romani. Un anno dopo il dipinto Crocifissione e Raffaello si muove
ancora sulle orme del maestro. A guardare il gruppo di attori sul proscenio e il
pavimento prospettico che conduce al tempio a pianta centrale in lontananza
torna in mente la peruginesca Consegna delle chiavi della Cappella Sistina. Nel
1504 pure Perugino aveva completato una pala con Lo sposalizio della vergine.
138
Donato Bramante

Donato Bramante, tempietto di san Pietro in Montorio, 1502 ca, Roma

139
Donato Bramante, Santa Maria presso San Satiro, 1482-83, interno e planimetria

Donato Bramante, codice B, Parigi, Institut de France

140
Leonardo da Vinci a Milano

Leonardo da Vinci, sala delle Asse, 1498, Milano, castello Sforzesco

Leonardo è attestato a Milano dal 1483 al 1499, a servizio della corte di Ludovico
il Moro.

141
Leonardo da Vinci, Vergine delle rocce, 1483-86, Parigi, Musèe du Louvre. Leonardo da Vinci,
Vergine delle rocce, 1495-1508, Londra, National Gallery

La versione più antica si trova al Louvre di Parigi, compiuta all’incirca nel 1485.
Nulla si sa della sua storia fino al 1625, quando è attestata nelle collezioni reali
francesi. La vergine siede a terra, su un paesaggio roccioso, dove crescono
tuttavia le più differenti piante, indagate con un’attenzione da naturalista. Ella
allarga la destra, a proteggere, sotto il mantello, il piccolo San Giovannino,
inginocchiato a mani giunte e rivolto verso il Cristo fanciullo. Nudo in primo piano
con le gambe incrociate, e accompagnato da un tenero angelo adolescente,
questi benedice il compagno di giochi, mentre la mano sinistra di Maria si apre
su di lui. La composizione si regge, dunque, non solo sulla disposizione
piramidale dei personaggi, di ricordo verrocchiesco, ma anche sulla calcolata
rispondenza dei loro gesti. Le figure, inoltre, appaiono palpitanti di vita, grazie
allo sfumato, una tecnica che ne attenua i contorni, tendendo a fonderle,
attraverso il colore, con l’aria umida e brumosa che si dipana sulla scena. Ne
risulta un’immagine intima e incantata, anche per la scelta di disporre gli attori
al di sotto di un tetto di rocce e sulla ribalta di un fondale dove si intravede uno
specchio d’acqua, circondato da quelle montagne rocciose e nebbiose, che
Leonardo aveva sperimentato fin dalle prime opere fiorentine. Facile, quindi,
capire la ragione del titolo di un dipinto che a Milano dovette fare enorme
impressione, perché nessuno, prima di allora, aveva visto niente di simile.
L’altro dipinto, conservato alla National Gallery di Londra, ha un’atmosfera più
limpida, anche grazie agli intensi toni azzurri del manto della Vergine e dalle
142
lontane montagne. Tutto è più definito, l’angelo evita di indicare e le aureole
sono sospese sulle teste di Maria, di Cristo e di Giovanni, che pure ha la croce.
Leonardo dovette iniziare a dipingere la tavola di Londra negli anni ’90, per finirla
molto più tardi. Né in questo dipinto mancò l’assistenza di collaboratori,
Leonardo ormai aveva fatto la scuola e molti erano pittori che dipingevano alla
sua maniera, da Ambrogio de Predis a Marco d’Oggiorno, a Giovanni Antonio
Boltraffio e altri ancora.

143
30/03/2022 12° lezione

Leonardo da Vinci, Cenacolo, 1495-95, Milano, refettorio del convento di santa Maria delle Grazie

La più ambiziosa impresa milanese di Leonardo. Utilizza una tecnica particolare,


dipingeva sull’intonaco asciutto della parete e ritoccava continuamente le figure
per perfezionarle. Fu un lavoro accurato, lento e lunghissimo. A causa della
tecnica, assolutamente inadatta all’umidità del luogo, il dipinto murale è arrivato
fino a noi assai deteriorato, poteva però andare molto peggio, perché durante la
seconda guerra mondiale il convento fu bombardato, e la volta del refettorio
andò distrutta, ma il Cenacolo si salvò.
Per la luce soffusa e l’adozione dello sfumato si respira un’atmosfera non troppo
dissimile dalla Vergine delle rocce, ma al paesaggio fatto con le pietre scheggiate
si preferisce adesso il rigore spaziale di un salone privo di ornati, aperto sul fondo
in tre semplici finestroni rettangolari, dai quali filtra la luce. La predilezione per
le figure e i gruppi piramidali scandisce ritmicamente la composizione:
piramidale è infatti la figura del Cristo al centro, e piramidali sono ai suoi fianchi
i gruppi in cui gli Apostoli si raccolgono a terzetti. Il dipinto non rappresenta il
classico momento dell’eucarestia, bensì l’annuncio del futuro tradimento, che
provoca negli apostoli un inatteso turbamento, reso attraverso la gestualità
come se ognuno cercasse il colpevole.

144
Domenico Ghirlandaio, ultima cena, 1480, Firenze, ex convento Ognissanti

Anche qui il Cristo annuncia il tradimento, ma la reazione era molto meno


concitata. Le figure ghirlandaiesche appaiono timide e poco disinvolte, mentre
quelle di Leonardo si proiettano ormai, senza inibizioni, verso la Maniera
moderna.

Leonardo da Vinci, cenacolo, particolare


145
Leonardo da Vinci, cenacolo, particolare

Leonardo da Vinci, cenacolo, particolare


146
Leonardo da Vinci, cenacolo, particolare

147
Leonardo da Vinci, Madonna con Bambino e Sant’Anna, 1501-10, Parigi, Musèe du Louvre

L’opera raffigura le tre generazioni della famiglia di Cristo: sant’Anna, sua figlia
Maria e Gesù bambino. Anna tiene Maria sulle ginocchia, quasi si fondono l’un
l’altra, Maria sta per afferrare il Bambino sporgendosi verso destra, mentre egli
gioca con un agnello, prefigurazione della sua futura Passione. La composizione,
ricca di significati allegorici, è modellata efficacemente secondo una forma
piramidale, come in molte celebri pale rinascimentali, con la sommità nella testa
di sant’Anna, che assume quindi un’importanza piramidale. Essa lancia uno
sguardo benevolo e sorridente a Maria e Gesù, con una fisionomia tipica della
produzione matura di Leonardo. Il suo ruolo è quello di simboleggiare la Chiesa
che, ostacolando l’azione di materna apprensione di Maria, ribadisce la necessità
del sacrificio volontario di Gesù. La luce è soffusa e la cromia è sapientemente
modulata, con effetti atmosferici che legano le monumentali figure in primo
piano con l’ampio paesaggio dell’orizzonte altissimo sullo sfondo, caratterizzato
da una veduta montala che sfuma in toni chiarissimi per effetto della prospettiva
aerea. La cromia spenta e brumosa dello sfondo amplifica la plasticità del gruppo
centrale, sapientemente composto con gesti e sguardi che si sviluppano anche
in profondità, in un difficile equilibrio tra diagonali e linee contrapposte.

148
Leonardo da Vinci, La Gioconda, 1503-1506, Parini, Musèe du Louvre

La Gioconda è certamente una delle opere di Leonardo più famose, è il ritratto


di Lisa Gherardini, moglie del fiorentino Francesco del Giocondo, e da ciò
derivano gli appellativi di “Gioconda” e “Monna Lisa”. L’appunto di un cancelliere
fiorentino afferma che il dipinto fosse in circolazione sin dal 1503, forse non del
tutto compiuto. Per il committente il quadro fu lasciato incompleto e Leonardo
lo portò con sé per tutta la vita, morto in Francia, oggi è al Louvre per questo
motivo. Anche in questo dipinto è facile ritrovare gli elementi della pittura di
Leonardo: lo sfondo di paesaggio montuoso e nebbioso, solcato da corsi d’acqua,
l’attenzione a ogni dettaglio naturale, l’uso accuratissimo dello sfumato e
l’atmosfera che ne consegue, l’espressività intesa a rendere i moti dell’animo,
culminante in un ghigno tanto piacevole che agli occhi di Vasari appariva “cosa
più divina che umana a vederlo”, quel sorriso che ancora oggi attira, al di lei
cospetto, masse di turisti.

149
Firenze, Palazzo della Signoria, Salone del ‘500

Il salone del ‘500 è uno dei più ampi e preziosi saloni in Italia. Questa sala
imponente fu costruita nel 1494 da Simone del Pollaiolo, detto il Cronaca, su
commissione di Savonarola, che rimpiazzando i Medici alla guida di Firenze, la
volle come sede del consiglio maggiore. Fu in seguito allargata da Vasari, così
che Cosimo I potesse far corte in questo salone. Durante la trasformazione
(1555-1572) non è chiaro se i famosi dipinti incompleti de la Battaglia di Anghiari
di Leonardo da Vinci e la Battaglia della Cascina di Michelangelo vennero coperti
o distrutti. Dalla battaglia di Anghiari esiste una celebre copia di Rubens al museo
del Louvre, ma in ogni caso delle due opere restano altre copie e a volte bozzetti.
Sulle pareti sono realizzati grandi affreschi che descrivono le battaglie e i
successivi militari di Firenze su Pisa e Siena.

150
Aristotele da san Gallo, la battaglia di Cagnina, copia del cartone di Michelangelo (1503-1506),
collezione privata

Una composizione che si basa sulla tensione dei corpi nudi, colti in scorci difficili
e in movimenti innaturali. L’originale andato distrutto in tanti pezzi, questa è
una riproduzione. Questo ed un altro cartone di Michelangelo hanno avuto una
grande fortuna nel ‘500.

151
Pieter Paul Rubens, La battaglia di Anghiari, copia del cartone di Leonardo 1503-1506. Parigi, Louvre

Leonardo compose i personaggi come un turbine vorticoso, che ricordava le


rappresentazioni delle nubi in tempesta. L’affresco rappresentava cavalieri e
cavalli animati in una zuffa serrata, contorti in torsioni ed eccitati da espressioni
forti e drammatiche, tese a rappresentare lo sconvolgimento della pazzia
bestialissima della guerra, come la chiamava l’artista. I personaggi della scena,
infatti, lottano instancabilmente per ottenere il gonfalone, simbolo della città di
Firenze. Quattro cavalieri si stanno contendendo la massimo asta: quello in
primo piano la prende di schiena torcendosi animatamente, quelli centrali si
scontrano direttamente sguainando le spade, mentre i loro cavalli sbattono il
muso l’uno con l’altro, un uomo si sporge appena in secondo piano, col cavallo
che spalanca il morso come a strappare l’estremità dell’asta. Tre fanti si trovano
in terra, atterrati e colpiti dagli zoccoli dei cavalli: due al centro, uno sopra
all’altro, e uno in primo piano, che cerca di coprirsi con uno scudo. La scena
riflette il pensiero dell’artista fondato su una versione pessimistica dell’uomo,
che deve lottare per vincere le proprie paure.

152
Michelangelo Buonarroti, David, 1501-1504, Firenze, Galleria dell’Accademia

L’opera fu completata in due anni e mezzo, poi fu istituita una commissione


democratica per decidere il miglior luogo per il collocamento dell’opera.
All’interno della commissione c’erano Leonardo, Botticelli, Filippino Lippi,
Perugini.
Leonardo cercò di non nuocere al rivale ed essere oggettivo.
L’opera è perfetta, dimensionalmente e strutturalmente. La scelta di collocarla
davanti a Palazzo Vecchio era giustificata dal significato politico della statua,
eletta a simbolo della Repubblica. Il Davis era una figura che rappresentava la
libertà di stato, per questo era a cuore dei fiorentini.

153
154
05/04/2022 13° lezione

Michelangelo Buonarroti, Sacra Famiglia, Tondo Doni

Michelangelo molto valido anche come pittore, non solo come scultore, colori
validi, forme precise e tondeggianti. Segue modelli di scultura antichi, seguendo
forme/azioni sinuose. Posa eccentrica e innaturale, una famiglia di giocolieri, la
Vergine, muscolosa, si volta a prendere il piccolo Gesù nudo, che le viene
passato, sopra la spalla destra, dal marito Giuseppe, accoccolato alle sue spalle.
È una sorta di complicato esercizio di equilibrio, cui assiste divertito San
Giovannino, messo in secondo piano al di là della trincea, che a sua volta lo
separa dal frontale roccioso popolato da una serie di nudi, dei quali resta difficile
capire il significato.

155
Raffaello

Raffaello, Trasporto di cristo morto (pala Baglioni), 1507, Roma galleria Borghese, per capp. Baglioni in S.
Francesco al Prato di Perugia

Nato in Urbino nel 1483, ha lavorato in Umbria e a Roma. Figlio del pittore di
corte Giovanni Santi, respira la cultura della corte sin da piccolo, una
componente per capire la sua carriera e la sua fortuna.
Accolto nella corte pontificia di Giulio II e poi di Leone X.
Giovanni Sante muore quando Raffaello è molto giovane, che frequenterà agli
inizi del ‘500 la bottega di Pietro Perugino.
Nei primi anni del ‘500 realizza questa opera.
Desiderava andare a Firenze perché si trovavano nella città Leonardo e
Michelangelo in contemporanea, scrive alla sorella di Federico da Montefeltro,
Giovanna Feltria scrive a Pier Soderini dove presenta e raccomanda il giovane.
Quindi dopo Perugia va a Firenze per un breve periodo, poi si trasferirà a Roma.
Raffaello ha la capacità di fare proprie le suggestioni introdotte dai vari artisti
che lui incontra, li elabora e li interpreta.
156
Raffaello in questo caso parte dal soggetto che è la deposizione, un compianto,
ma arriva al trasporto, per dare originalità all’opera, il quale soggetto era già
ampiamente sviluppato.
Gli viene data la possibilità di dare una narrazione più completa e complessa di
quello che accade, ci sono due episodi: il trasporto e il compianto delle donne
all’estrema destra. Tutto questo per sottolineare il dolore della committente (alla
quale le avevano ucciso da poco il figlio). Sicuramente Raffaello ha visto
Michelangelo (guarda ancella qui e quella del Tondo Doni). La fantasia con cui
sono ritrattati i dettagli è estrema, inserisce i personaggi in un paesaggio
rappresentato da natura ben descritta, con luce nitida che avvolge.
L’opera oggi si trova alla galleria Borghese (si chiama anche Trasporto Baglioni,
per la committente), venne fatta rubare dai Borghese ed è rimasta nelle loro
collezioni.

Raffaello, disegno per il compianto del cristo morto

157
Pietro Perugino, compianto di cristo morto, Palazzo Pitti, 1495

Questo a confronto è un linguaggio molto più tradizionale.

158
Raffaello, madonna con il bambino e S. Giovannino (la bella giardiniera), 1507, Parigi, Musèe du
Louvre

Gruppo di madonne con bambini, la vergine è al capo, e dalle spalle proseguono


dei lati come un triangolo isoscele (ispirazione leonardiana).
Opera per committenza privata.

159
Raffaello, sacra Famiglia Canigiani, 1507, Monaco

San Giuseppe appoggiato al suo bastone è in piedi dietro alle due donne. Infatti
Sant’Elisabetta e Maria sono sedute sul prato. In primo piano poi giocano San
Giovannino e Gesù. Il paesaggio che fa da sfondo è sereno e aperto. Verso il
fondo trovano posto centri abitati e all’orizzonte una linea di montagne. Sullo
scollo della veste di Maria è leggibile la firma del maestro: “RAPHAEL URBINAS.
La Sacra Famiglia è un tema cristiano molto rappresentato dalla cultura
figurativa ufficiale. Infatti la rappresentazione di Maria, Giuseppe e Gesù
Bambino era di invito al fedele per costituire una regolare famiglia umana.
La Sacra Famiglia Canigiani di Raffaello è custodita presso l’Alte Pinakothek di
Monaco di Baviera. Secondo la datazione degli storici la Sacra Famiglia Canigiani
risale al 1507 quando Raffaello aveva circa 24 anni.
I signori del Rinascimento apprezzarono molto Raffaello anche per i suoi modi
colti e raffinati che caratterizzavano il perfetto cortigiano dell’epoca. L’artista è
considerato il genio dell’armonia perché seppe dare unità al dipinto
armonizzando figura e ambiente. Inoltre le sue Madonne e le sue scene religiose
esprimono una grazia e un’eleganza formale mai raggiunte prima. La sua pittura
160
fu ripresa dai suoi allievi che portarono così avanti la “maniera di Raffaello”.
Inoltre la fama dell’artista crebbe nel tempo e le sue opere furono di esempio
per gli studenti delle Accademie di Belle Arti fino alla età dell’Ottocento.
La Sacra Famiglia Canigiani di Raffaello è una tavola il 131 x 107 cm dipinta con
colori ad olio stesi in velature trasparenti.
L’opera di Raffaello è di forma rettangolare e inquadratura verticale. Nel dipinto
è evidente la struttura compositiva a piramide che comprende le figure dei
protagonisti. Inoltre i visi di Giuseppe e di Gesù Bambino sono allineati sulla
verticale centrale del dipinto.

Raffaello, Ritratto di Maddalena Strozzi e Ritratto di Angolo Doni, 1506 ca., Firenze, Palazzo Pitti

Raffaello realizza tanti ritratti, questi sono gli unici che hanno un nome associato
al volto, gli altri sono borghesi o nobili ma non sappiamo i nomi.
In questi anni Raffaello fa un disegno della Gioconda di Leonardo.
Sono moglie e marito, nel ritratto di Maddalena si ritrova la stessa posizione
della Monna Lisa, con un paesaggio rigoglioso alle sue spalle, il suo volto non è
dubbioso, ci fa capire che conosce la sua posizione sociale, di essere vestita con
abiti eleganti e di avere una acconciatura alla moda.
Interpreta per dare delle indicazioni concrete e riconoscibili per far capire il
personaggio, questo diventa il prototipo del ritratto rinascimentale.

161
Angolo Doni è lo stesso committente del Tondo Doni, oltre ad essere facoltoso
era anche un mecenate.

Raffaello, Madonna del baldacchino, 1507-08, Firenze, Palazzo Pitti, commissionata dalla famiglia Dei

È una pala d’altare, una delle più grandi commissioni fiorentine.


Il baldacchino rende l’ambiente più intimo e naturale.
Cupola con apertura cassettonata e colonne.
L’opera non è completa ed è già bellissima.
Nel 1508 viene chiamato a Roma, probabilmente per intermediazione di Donato
Bramante, perché Giulio II (della Rovere), non voleva abitare gli appartamenti
del predecessore che era un Borgia.
Egli chiama quindi diversi artisti per realizzare le opere, provenienti da tutta
Italia.
Giulio II quando arriva Raffaello licenzia tutti gli altri artisti.

162
Venezia

Giovanni Bellini, Madonna con il bambino benedicente, 1510, Milano Pinacoteca di Brera.

Il grippo sacro e l’ambiente è diviso da un trono/telo. La pittura è basata sulla


fusione di colore e luce, che crea forme aggraziate e morbide. Bellini è il maestro
dal quale riprenderanno spunto Giorgione e Tiziano.

163
Giorgione da Castelfranco, Sacra conversazione con San Francesco e San Nicasio, 1500-1505,
commissionata dal condottiero Tuzio Costanzo, Castelfranco Veneto, Duomo

La pittura veneziana predilige ciò che si scaturisce attraverso i sensi. Tonalismo


veneto: viene costruito attraverso il colore, le forme e i volumi sono date dalle
infinite variazioni cromatiche date da un tono di fondo. Un dipinto che muove
dalla tradizione belliniana per rompere definitivamente con il passato. La
scacchiera prospettica in basso, i colori ricercatissimi e la Madonna col bambino
sopraelevata su di un podio rispetto ai santi , assolutamente inedita, è la
soluzione di rinunciare all’abside tanto cara alle pale veneziane. Al suo posto un
parapetto di colore cremisi divide la zona delle figure in primo piano da un
retrostante paesaggio, Giorgione mette Maria assai più in alto di qualsiasi altra
pala e fissa su di loro l’orizzonte, in questo modo l’occhio del pittore scavalca il
parapetto e ci permette di vedere un ampio brano di natura che sarebbe stato
molto più nascosto.

164
Giorgione, Vergine Dormiente, 1509ca. per le nozze di Girolamo Marcello e Morosina Pisano, Dresda

Non ci sono contrasti forti ma variazioni. Le curve dolcissime, il paesaggio


asseconda la morbidezza. La dea è ritratta nuda e dormiente, in una posa
all’antica, ma non ha nulla di archeologico. È una bellissima giovane che si
addormenta in campagna e che si copre pudicamente con la mano sinistra.
Giorgione mise a punto un modello per esaltare la bellezza femminile che, nel
corso dei secoli, sarebbe diventato un classico della pittura erotica, e avrebbe
ispirato il grande maestro Tiziano (Venere di Urbino), Goya e Manet.

165
Giorgione, La tempesta, 1505-1510, in casa di Michele Vendramn nel 1530, Venezia Galleria
dell’Accademia

Variazioni Cromatiche che fanno intuire uno squarcio nel cielo, si riconoscono
degli edifici, moderni e antichi. La rovina spezzata allude all’avvento del
cristianesimo.
Un paesaggio illuminato dal bagliore di un fulmine in tempesta, con una zingara
e un soldato. Si tratta di una realistica descrizione di un temporale che si abbatte
su un borgo veneto, mentre nella vicina campagna una donna siede ad allattare
un bambino, sotto gli occhi di un giovane. Molto, si discute sul tema del quadro,
che può essere solo identificato nell’episodio della condanna dei progenitori dopo
il peccato originale. Il fulmine in lontananza allude all’ira dell’eterno e alla spada
fiammeggiante dell’angelo che allontana Adamo ed Eva dall’Eden, i due si
ritrovano così, un po’ spaesati, in primo piano.

166
Padova

Padova, scoletta del Santo (Antonio), salone

La scuola al tempo è simile alla confraternita, laica ma con intenti benefici di


solidarietà e supporto. Con il tempo acquisiscono sempre più valore ed
importanza, come punti di riferimento anche politici. Il salone viene decorato
con tanti dipinti con i miracoli del santo, per realizzare alcuni di questi viene
chiamato Tiziano.

167
06/04/2022 14° lezione

Tiziano, Miracolo del marito geloso, 1511 Padova, Scoletta del Santo.

Tiziano ha voluto mostrare in primo piano il momento del tragico assalto:


all’ombra di una rupe, un uomo sconvolto dall’ira impugna un grosso pugnale,
con il quale sta per accanirsi sulla moglie, distesa a terra, il braccio alzato a
proteggersi. I protagonisti risaltano sul registro neutro del paesaggio grazie ai
colori vivi delle vesti: il bianco e l’arancio di quello della donna e le bande bianche
e rosse di quella dell’uomo. Quest’ultimo si riconosce in lontananza,
inginocchiato di fronte a Sant’Antonio, che ascolta il suo pentimento: avrebbe
provveduto il santo a risanare la donna che pareva morta, ma il felice epilogo
possiamo immaginarlo solo dopo, perché Tiziano non l’ha dipinto.

168
Tiziano Vecellio, Miracolo del neonato, 1511, Padova, Scoletta del Santo

Nel primo dei tre episodi si raffigura la scena miracolosa in cui Sant'Antonio per
discolpare una donna accusata dal marito di adulterio fa parlare in difesa della
madre il bambino neonato considerato il frutto del tradimento. Le figure si
dispongono con sicurezza nello spazio, relazionandosi in maniera naturale
attraverso gesti e sguardi che mostrano come il giovane Vecellio abbia già
pienamente assimilato i fondamenti del nuovo classicismo cinquecentesco. In
alcuni dei volti si osserva una notevole caratterizzazione fisionomica e
psicologica che dimostra la sua grande abilità ritrattistica, facendone uno degli
artisti più richiesti dalle corti europee in questo genere pittorico. Sempre
connesso a questo aspetto è l'attenzione riservata all'abbigliamento, come si
vede ad esempio nelle figure del giovane con il mantello bianco sulla sinistra o
in quella della madre del neonato sulla destra, in cui egli sa esaltare la sua
sensibilità cromatica. I personaggi rappresentati occupano però solamente la
metà dell'altezza del riquadro, che nella parte alta è nettamente diviso i due.
Sulla sinistra un edificio in ombra nel quale campeggia una statua romana, che
Tiziano trae da un rilievo antico noto come l'Apoteosi di Augusto ora conservato
nel Museo Nazionale di Ravenna, e sulla destra un pendio erboso con sparute
chiome di arbusti mossi dal vento. Storia e natura incombono sui protagonisti
169
della scena, contribuendo a conferirgli quella carica eroica e insieme umanissima
che sarà uno dei tratti distintivi delle figure dipinte dall'artista cadorino. Nel
secondo episodio Sant'Antonio riattacca miracolosamente il piede reciso di un
giovane, attorno al quale si accalcano vari personaggi che assistono alla scena
anche qui in un compendio di varia umanità. Anche in questo caso spiccano, per
gli intensi caratteri ritrattistici, l'uomo vestito di scuro all'strema sinistra e quello
in armi subito dietro il santo. Oltre le figure l'orizzonte si distende in un bellissimo
paesaggio collegato al primo piano dal grosso albero centrale. Il terzo ed ultimo
riquadro fa riferimento all'episodio della guarigione della donna pugnalata dal
marito geloso, che si concentra sull'azione drammatica dell'accadimento. Tiziano
sa renderla con grande immediatezza attraverso lo scorcio dinamico della donna
il cui braccio sollevato guida lo sguardo dell'osservatore sulla mano armata del
marito. In quest'ultimo il dettaglio del ciuffo di capelli che gli attraversa la fronte
restituisce con efficacia il cieco sconvolgimento del suo animo che sembra
riecheggiato dalla quinta naturalistica alle sue spalle. L'apertura a destra sul
secondo piano ci permette di scorgere l'epilogo della vicenda con il marito
implorante di fronte al santo.

170
Tiziano Vecellio, Assunta, 1516-18, Venezia, S. Maria Gloriosa dei Frati

La prestigiosissima commissione arrivo nel 1516, e nel 1518 il dipinto fu


collocato sull’altare. È un’opera che apre un nuovo capitolo della pittura
veneziana, lasciando alle spalle ogni retaggio della tradizione belliniana.
Nell’assunta il colore veneziano è adattato a figure imponenti e dall’enfatica
gestualità, sulle quali è costruita l’intera composizione, giocata su tre semplici
livelli: la sorpresa degli apostoli in basso, l’ascesa di Maria in un emiciclo di
angelo al centro; l’Eterno in un empireo dorato sulla sommità. Della pala offrì
un’eccellente lettura il veneziano Ludovico Dolce. Secondo lui “in questa tavola
si contiene la grandezza e terribilità di Michelangelo, la piacevolezza e venustà
di Raffaello e il colorito proprio della natura”. Eppure l’assunta non ebbe un
successo immediato, perché gli artisti e il pubblico veneziano erano abituati ai
gusti di Giovanni Bellini. Inizialmente la pala fu quindi oggetto di critiche, ma poi
i veneziani si accorsero dell’eccezionale modernità del dipinto, per il dinamico
vigore dei personaggi, la libertà compositiva e gli accesi colori.

171
Tiziano Vecellio, Sacra conversazione- Pala Pesaro, 1519-1526, Venezia, S. Maria Gloriosa dei frati

Nel dipinto si trova Jacopo Pesaro il vincitore dei Turchi a Santa Maura nel 1502
e la sua famiglia. Al sommo di una scalinata, sulla destra è seduta su un trono
la Vergine con in braccio il Bambino. Davanti a lei San Pietro interrompe la lettura
per presentare il committente il vescovo Jacopo Pesaro. Alla sua sinistra un
alfiere sventola il vessillo di Alessandro VI e trattiene un turco prigioniero. A
destra il Bambino sorride a San Francesco mentre Sant’Antonio osserva i
familiari di Jacopo Pesaro. Francesco, cavaliere, è inginocchiato e indossa un
prezioso abito rosso. Sono poi raffigurati Antonio, Fantino e Giovanni. Il bambino
che guarda verso lo spettatore è Leonardo, figlio di Antonio. I due angeli sopra
la nuvoletta rimettono a posto la croce che si era inclinata.
La veste azzurra e il mantello giallo indossati da San Pietro sono i colori araldici
dei Pesaro. Invece la piccola frasca di alloro disposta sulla bandiera e il turco
prigioniero con il turbante bianco rappresentano la vittoria contro i turchi. Jacopo
Pesaro, il committente presente nel dipinto, era infatti il vescovo e comandante
che guidò venti galee papali nella battaglia di Santa Maura del 1503.
I colori sono disposti sulla tela da creare un crescendo di saturazione verso la
Madonna e il Bambino. Infatti le architetture sono dipinte con un grigio caldo.
Così gli abiti dei personaggi dipinti a destra con San Francesco e Sant’Antonio e
di quelli nel gruppo di sinistra. Solo San Pietro indossa una veste azzurra e un
172
mantello giallo. Accanto a lui spicca l’arancio del vessillo di Alessandro VI. Infine
il colore si accentua nella veste rossa della Madonna e nel suo mantello azzurro.
Il velo bianco rende molto luminoso il suo ritratto e quello di Gesù Bambino.

Tiziano Vecellio, amore sacro e amore profano, 1514-15, Roma, Galleria Borghese, su commissione
di Niccolò Aurelio

Davanti ad un idilliaco paesaggio veneto, due donne si appoggiano a una vasca


decorato sul fronte con un rilievo, una è ben vestita, l’altra è quasi
completamente nuda e alza il braccio sinistro a sorreggere un vaso ardente, tra
di loro c’è un Cupido, che nei secoli scorsi ha fatto pensare ad un’interpretazione
moraleggiante del dipinto, vedendo nella figura vestita l’amore profano e
nell’altra quello sacro. Da qui gli studi hanno mosso per proporre infinite letture
alternative, e sappiamo che il dipinto doveva essere collegato alle nozze tra il
veneziano Niccolò Aurelio e la padovana Laura Bagarotto, celebrate nel 1514.
Gli stemmi dell’uno e dell’altra, infatti, si riconoscono rispettivamente sul fronte
della vasca e nel bacile sovrastante. Dunque si tratta di un dipinto nuziale, dove
la seminuda Venere e Amore accompagnano la sposa, con la coroncina di mirto
in testa e un mazzo di rose in mano, forse addirittura un vero e proprio ritratto
di Laura, alle spalle della quale si riconoscono un paio di minuscoli conigli,
augurio di fecondità. Al di là del soggetto, Tiziano sta crescendo: la forma
adottata per la vasca, che echeggia quella di un sarcofago antico, attesta
l’interesse per il mondo classico, e le figure si fanno più solide e monumentali.
La dea Venere, che Giorgione aveva sorpreso distesa nel sonno, entra in azione
e dispensa ad una sposa veneta il fuoco dell’amore

173
Tiziano Vecellio, La venere di Urbino, 1538, Firenze, Galleria degli uffizi

Appartenente, prima dei Medici, al signore Guidobaldo II di Urbino, ecco perché


viene chiamata così. Tiziano riprende il modello della Venere di Dresda di
Giorgione. La bella giovane suda, che si copre con la mano il pube, non è distesa
nella campagna, ma nella camera di una ricca dimora, ai suoi piedi è accucciato
un docile cagnolino e sullo sfondo due domestiche armeggiano con un cassone.
Al contrario della Venere di Giorgione, quella di Tiziano non dorme, è ben sveglia
e guarda verso uno spettatore indiscutibilmente maschile, quasi volesse invitarlo
al suo letto, tra le candide lenzuola. Questa figura è una vera e propria icona
della sensualità femminile, che nei secoli successivi ne avrebbe ispirato di
altrettanto superbe ad altri grandissimi artisti (Maja di Goya e Olimpia di Manet).

174
Tiziano Vecellio, Polittico Averoldi, 1520-22, Brescia, chiesa dei santi Nazaro e Celso (per il legato
pontificio di Venezia Altobello Averoldi)

Politico commissionato al sommo maestro da Altobello Averoldi mentre era


Nunzio apostolico presso la Serenissima con lo scopo di collocarlo proprio nella
sua posizione attuale.
Il potere dell’Averoldi era tale che Tiziano ritardò delle commissioni per il Duca
di Ferrara per completare l’opera commissionata dal Nunzio Apostolico, tanto
che l’ambasciatore del Duca di Ferrara, Messer Tebaldi, dopo aver visto l’opera
intera, ma soprattutto il San Sebastiano, capì come mai il maestro avesse
accantonato gli altri lavori data la bellezza del polittico, tentò persino di comprare
il San Sebastiano con grande imbarazzo e difficoltà diplomatica del Vecellio.
Quando giunge a San Nazaro il polittico sostituisce un’opera del Foppa, ora in
parte conservata ora conservata in parte nella chiesa di Santa Maria a
Chiesanuova, e viene affiancata da due pannelli raffiguranti i Santi patroni
eseguiti dal Moretto.
La struttura polittica è antiquata per il tempo in cui il Tiziano dipinse il soggetto,
ma l’autore riuscì comunque a dare un forte senso di unità scenica.
La parte centrale rappresenta la Resurrezione di Cristo, anche se troviamo
accenni iconografici dell’ascensione nella figura del salvatore.

175
Gesù risorge trionfante, il corpo in movimento e torsione con una straordinaria
forza espressiva e reca in mano una bandiera bianca con una croce rossa,
simbolo del cristianesimo, e riluce nel contrasto con lo sfondo scuro illuminato
leggermente dai bagliori dell’alba e con i due soldati addormentati sulla sinistra
del soggetto.
Vi è una congestione di stile, una forza e un movimento antico “romano” nella
figura del Cristo e una delicatezza non priva però di pathos dello sfondo, quasi
danubiano e sicuramente influenzato dalla pittura nordica.
L’Annunciazione, suddivisa in due quadrati differenti, è carica di forza e al
contempo di dolcezza. Forza nella figura dell’Arcangelo in movimento, che
srotola una pergamena, il corpo e le vesti luminose in contrasto con lo sfondo
scuro e dolcezza nella Vergine, dai lineamenti delicati, il capo leggermente
piegato, una mano sul cuore sopra un mantello blu talmente realistico che
sembra di poterlo toccare.
La tavola di sinistra rappresenta i santi patroni Nazaro, in armatura lucida, e
Celso con il committente in ginocchio che prega. Lo sfondo è cupo e l’Averoldi è
illustrato con precisione e senza abbellimenti, ma senza intaccare la dignità e
maestosità del personaggio.
Il San Sebastiano è un esempio di torsione michelangiolesca, il corpo virile
sfiancato che viene sorretto dalle corde che lo trattengono alla colonna del
martirio, ma non per questo non viene mostrata la forza e la prestanza nella
muscolatura, nello sforzo di sorreggersi e tentare di rialzare il capo del santo.
Sullo sfondo sono visibili San Rocco e un angelo che dialoga con lui mentre
mostra le pustole simbolo del santo protettore dalle pestilenze.

176
Tiziano Vecellio, Papa Paolo III con i nipoti Ottavio e Alessandro Farnese, 1545-46, Napoli

Il pontefice, al centro, è abbigliato con la veste rossa come anche il nipote di


sinistra. Stesso rosso, leggermente più scuro, colora la grande tenda che cala
dall’alto a destra. Sotto di essa, invece, il nipote rappresentato di profilo veste
un abito nero. Il fondo è bruno e chiaro tendente alla stessa tonalità rossa che
identifica l’intero ritratto.
Il modellato e il disegno non sono una componente dell’arte di Tiziano, se non
inizialmente come nel Ritratto d’uomo detto Ariosto. I suoi dipinti furono costruiti
con l’utilizzo dei soli colori che attraverso contrasti di chiarezza e di modulazione
dei toni costruiscono le figure e le forme dell’ambiente. Negli anni
immediatamente precedenti a questo dipinto Tiziano, soprattutto nei ritratti,
iniziò ad utilizzare delle pennellate rapide e più rade per esaltare la luce del
dipinto. Questa tecnica lo portò a sacrificare i valori plastici del volume per
esaltare il senso di luce proveniente dai contrasti di colore. Negli anni tardi della
sua vita questa ricerca lo porterà al totale disfacimento della forma. I suoi ritratti
si caratterizzano per un ambiente che descrive il carattere del personaggio come
in Uomo dal guanto.
Paolo III con i nipoti è considerato un capolavoro di Tiziano per via alle tante
modulazioni di rosso con quali è riuscito a costruire l’intera immagine.

177
Non vi sono indicatori di spazio geometrico quali arredi o fughe prospettiche
architettoniche. Lo spazio in profondità è limitato a pochi metri dalla figura del
pontefice al muro di fondo. In primo piano è raffigurato Paolo III con accanto i
suoi nipoti dietro la tenda e oltre il muro che chiude il ritratto.
Paolo III con i nipoti di Tiziano Vecellio è un dipinto di formato rettangolare
tendente al quadrato. L’inquadratura circoscrive le figure dei nipoti sulla destra
e sulla sinistra e in basso quella di Paolo III. In primo piano si trova l’immagine
del pontefice, poi, in secondo piano i due nipoti uno a destra e uno a sinistra e,
infine, sul fondo una tenda che cade dall’alto verso destra e si apre su un muro
di fondo. Il ritratto è centrale e l’incrocio delle diagonali del rettangolo coincide
con la figura del pontefice.
Sull’asse di simmetria sono equilibrate le masse dei personaggi. Paolo III si trova
al centro, sull’asse centrale, e sui lati i nipoti. Anche le masse cromatiche sono
distribuite in modo uniforme nel dipinto e prevalgono quelle tendenti al rosso.
La figura di Paolo III è inscritta in una struttura compositiva triangolare. La tenda
crea, infine, un’ampia, curva contraria, dall’alto in basso e termina sul volto di
profilo del nipote di destra.

Tiziano Vecellio, Danae, 1544-1546, Napoli, Museo di Capodimonte

è narrato il mito affascinante e sensuale di Danae, figlia di Acrisio, re di Argo, a


cui oracolo aveva predetto la morte per mano di un nipote. Per renderla
irraggiungibile ed evitare quindi che la figlia procreasse, Acrisio aveva scelto di
chiuderla in una torre di bronzo. Ma Giove, trasformatosi in una pioggia d'oro, si
congiunse alla donna e dall'unione nacque Perseo, il mitico uccisore della
Medusa. Il mito di Danae diventa per Tiziano un pretesto per creare una delle

178
più naturali figure di donna del Cinquecento. La giovane, nel cui volto è
probabilmente ritratta Angela, l'amante del cardinale, morbidamente adagiata
su un lenzuolo bianco, accoglie placida la nube d'oro che si materializza in una
pioggia di monete, allusione forse al mestiere di cortigiana. L'atmosfera rarefatta
rende ancora più naturali le carni bianche di Danae e di Cupido, con le ombre
intrise di colore che girano sui corpi in trapassi chiaroscurali dolci e graduali.
Tiziano, iniziato il quadro a Venezia, lo terminò probabilmente nel suo studio
romano al Palazzo del Belvedere in Vaticano dove, nel 1545, lo vide Michelangelo
che, proprio in questa occasione, ne lodò lo straordinario "colorito", lamentando
però la mancanza di disegno. Destinato alle stanze private del cardinale
Alessandro, il dipinto, una volta a Napoli, venne colpito da censura nel 1815,
quando si stabilì di destinarlo al cosiddetto "Gabinetto dei quadri osceni" del Real
Museo Borbonico, dove erano esposte le opere di soggetto "sconveniente".

Tiziano Vecellio, Carlo V a cavallo, 1548, Madrid, Museo del Prado

Al centro del prato, in primo piano, Carlo V posa per un ritratto equestre. Il
cavallo nervoso e bardato a parata, viene trattenuto dal deciso sovrano che posa
fiero nella sua armatura. Intorno, un paesaggio agreste fa da sfondo al ritratto.
In primo piano il prato che si allunga sul fondo. Mentre, a sinistra, alle spalle di
Carlo V, la foresta fitta di alberi. Poi, a destra, sullo sfondo un brano di paesaggio
assolato e, infine, il cielo con un bagliore che illumina le nubi.

179
Tiziano fu un maestro della luce e il suo tonalismo sacrifica il disegno e le masse
a favore dei contrasti di colore. In questo caso le figure sono messe in risalto
soprattutto da contrasti di chiarezza, infatti, il cavallo scuro risalta contro lo
sfondo chiaro. Al contrario, l’armatura lucente di Carlo V si staglia contro gli
alberi scuri e tendenti al bruno del paesaggio.
Carlo V è in sella ad un cavallo scuro bardato con un mantello rosso acceso. La
sua armatura dorata riflette e viene illuminata dalla luce calda che proviene dal
fondo del paesaggio. Le bardature del cavallo in oro e rosso quelle presenti
sull’elmo di Carlo V. Il paesaggio è dipinto con toni tendenti al verde scuro. Il
cielo, poi, è illuminato da bagliori dorati molto accesi, soprattutto in
corrispondenza dell’orizzonte.
Lo spazio geometrico non viene descritto da alcuna architettura quindi sono gli
indicatori di profondità a creare le distanze e a suggerire la profondità del
paesaggio. Il primo piano è occupato interamente dal cavallo e dalla lancia che
traversa il quadro, lambendo i due bordi da destra a sinistra. Il paesaggio, a
sinistra procede in profondità attraverso la diminuzione della grandezza degli
alberi. A destra l’albero lontano e il prato sono dipinti di fronte alle montagne
lontane realizzate con l’utilizzo della prospettiva aerea.
Tiziano Vecellio dipinse il Ritratto di Carlo V a cavallo all’interno di un formato
rettangolare che incornicia interamente la figura del sovrano. Intorno a lui,
infatti, il paesaggio si sviluppa a destra e a sinistra. In primo piano è raffigurato
Carlo V a cavallo e, sullo sfondo in diversi piani progressivi l’ambiente naturale.
L’impianto del dipinto è centrale e le diagonali si incrociano in corrispondenza
della sella del cavallo. La simmetria centrale corre lungo la figura di Carlo V,
lungo la sua gamba che scende sulla staffa. La direttrice compositiva segue il
profilo e lo sguardo di Carlo V e dal il colore più chiaro verso destra. Il ritratto,
così, si carica di potenziale movimento, trattenuto, però, dalla simmetria
centrale.

180
Lorenzo Lotto, Sacra conversazione (Pala di San Bernardino) 1521, Bergamo, S. Bernardino in Pignolo

La Pala di San Bernardino è stata dipinta da Lorenzo Lotto nel 1521, come
indicato da un’iscrizione che il pittore ha lasciato al centro del dipinto, sul gradino
inferiore: “LLOTVS/MDXXI“. Oggi è conservata presso la chiesa di San
Bernardino in Pignolo presso la città di Bergamo.
La pala si presenta, rispetto anche ad altre realizzate contemporaneamente da
Lotto – come la Pala di Santo Spirito – per l’omonima chiesa – quale lavoro
caratterizzato da una maggiore libertà compositiva e anche con alcune invenzioni
del tutto nuove.
Ad esempio, la Vergine si trova collocata su un alto trono tra i santi ma la coppia
santa è in ombra, al di sotto di una tenda verde sostenuta da angeli. La tenda
funge quasi da tettoia al trono e i quattro angeli che volano creano un senso di
movimento tutt’intorno, disponendosi di scorcio a stendere una protezione per
la Vergine e il Bambino contro le brezze di un tiepido tramonto. Lo sfondo si apre
su di un paesaggio ampio, fatto di colline verdeggianti che si intravedono
appena, il sole sta tramonta e il cielo azzurro è disseminato, qua e là, di nubi
leggere. La critica d’arte ha ribadito come questo tipo di disposizione dei
personaggi sia l’espressione di un realismo che era già stato sperimentato da
Giorgione e Tiziano: nulla sembra esser stato programmato; l’ambientazione ed
i personaggi potrebbero esser stati costruiti sul momento, senza retorica alcuna,
in modo “confidenziale, domestico”. La Madonna, infatti, è abbigliata con la
181
semplicità di una veste rossa e sembra apparire senza annunciarsi con il busto
leggermente proteso in avanti e la mano destra gesticolante, così come i
cherubini paiono entrare in scena in modo del tutto casuale, senza aver
sistemato quasi nulla, neppure il drappo che andrà a costituire il baldacchino.
Anche i santi sembrano esser stati colti di sorpresa, nel momento in cui
conversano tra loro, come se non si fossero neppure accorti dell’evento
prodigioso che sta per svolgersi sotto ai loro occhi.
L’intento di Lorenzo Lotto con la Pala di San Bernardino è probabilmente quello
di creare un dialogo diretto tra il fedele che contempla l’opera e il soggetto sacro
che il dipinto rappresenta (Colalucci). Il fatto che la Madonna, venga
rappresentata come una giovane donna che indirizza lo sguardo verso i fedeli in
direzione esterna rispetto alla tela, ovvero si affacci verso chi guarda,
simboleggia un invito ad avvicinarsi allo spazio sacro. Qui l’osservatore si trova
posto di fronte all’angelo inginocchiato ai piedi del trono che scrive le varie
richieste di grazia che gli oranti vogliono chiedere alla Madonna. In questo modo,
attraverso un linguaggio semplice e comprensibile a tutti, Lorenzo Lotto sollecita
il contatto tra il fedele ed i personaggi sacri, mentre Maria appare nella veste di
mediatrice tra il terreno e lo spirituale. La presenza, poi, di Antonio Abate – il
santo con la barba scura disposto sull’estrema destra – è significativa: egli,
infatti, raggiunge la santità solo dopo aver peccato e viene raffigurato ancora in
preda alle tentazioni simboleggiate dall’incendio dei casolari presenti nel
paesaggio alle sue spalle.
Oltre ad Antonio abate, vi sono anche altri tre santi disposti a coppie che
affiancano il trono: si tratta, da sinistra verso destra, di Giuseppe che appoggia
in atteggiamento di riposo un piede sopra l’altro, Bernardino da Siena (cui è
dedicata la chiesa bergamasca) e Giovanni Battista. Bernardino, in particolare,
porta in mano il monogramma di Cristo che lui ha creato e si rivolge a Maria la
quale pare dialogare con la mano libera, mentre il Bambino elargisce benedizioni.
I colori predominanti sono quelli del rosso della veste della Vergine, del blu del
suo copricapo, il verde del telero che viene steso al di sopra della Madonna e del
Bambino, del beige e sono fortemente contrastanti tra di loro. Talmente questa
scena rientra in un’atmosfera di quotidianità che anche lo storico dell’arte Giulio
Carlo Argan disse a proposito della Pala di S. Bernardino: “Sotto lo schermo
leggero […] la sacra conversazione per de ogni ritualità; diventa amabile e
confidenziale: con un gesto dimostrativo, quasi da popolana, la Madonna sembra
dichiarare […] che tutta la verità è lì, nel Cristo bambino e benedicente”.

182
Lorenzo Lotto, Annunciazione, 1527, Recanati, pinacoteca comunale

L’iconografia dell’Annunciazione di Recanati appare insolita rispetto alla


tradizione per il suo approccio al tema sacro molto particolare; a dire la verità
sembra una replica polemica all’opera di Tiziano che, come Lotto, aveva
realizzato una Annunciazione però seguendo canoni tradizionali.
Diversi elementi determinano l’originalità dell’interpretazione di Lotto:
Lo schema pittorico risulta invertito, infatti l’Arcangelo Gabriele tradizionalmente
risulta a sinistra mentre la Madonna a destra;
La scena è in un interno, una stanza semplice ma con un arredo descritto con
minuzia e realistico, tipico nordico (ascendenza fiamminga).
La Madonna non è seduta, come nella maggior parte delle raffigurazioni de
l’Annunciazione, ma in ginocchio. Appare turbata dall’arrivo dell’angelo tanto è
vero che dà le spalle all’angelo, guarda lo spettatore, coinvolgendolo nel suo
smarrimento per essere stata colta di sprovvista nella quiete di casa
dall’improvvisa incursione dell’angelo. Lo sguardo è volto all’insù e le mani
aperte come a schermirsi.

183
L’Arcangelo annunciante sembra molto materiale, poco spirituale, molto
massiccio e crea un’ombra sulla terra, ha i capelli sollevati dal vento, si rivolge
a Lei indicando con un gesto il Padreterno
Dio che appare sullo sfondo sembra tuffarsi in picchiata sul mondo terreno.
L’interpretazione data da Lorenzo Lotto all’episodio dell’Annunciazione mira a
dare immediatezza alla scena, come se fosse un’istantanea che coglie i
protagonisti in un determinato momento temporale rivelandone le sensazioni
emozionali.
Anche i particolari vogliono contribuire alla sensazione di una realtà molto
terrena, di vita quotidiana:
c’è il letto a baldacchino, uno scaffale con vari oggetti, un libro sul leggio, la
clessidra sullo sgabello, cuffia e scialle bianco appesi.
Un gatto, che al centro della scena appare anch’egli spaventato dall’arrivo
dell’Angelo, ha la schiena inarcata, le zampe anteriori alzate e lo sguardo girato
in alto verso la Vergine.
La Madonna ha un abito rosso sotto con sopra un’altra veste con le frange,
abbigliamento tipico dei costumi popolari dell’epoca ed ha un aspetto modesto,
da ragazza di campagna.
Anche Dio indossa una veste rossa che richiama la veste rossa di Maria.
La stanza si apre con un arco a tutto sesto sul porticato, il soffitto è a cassettoni.
Al di là troviamo piante ornamentali di un giardino ben curato.
Lotto cerca di teatralizzare la scena e calarla nel presente. Abbassa il piano del
pavimento e crea un effetto di instabilità spaziale. Per l’angelo si ispira un po’ a
Raffaello, per l’espressività e per il chiaro scuro a Leonardo, per il realismo ai
pittori nordici e alle tele di Carpaccio.

184
Lorenzo Lotto, Cristo vite e storia di Santa Barbara, 1524, Trescore Balneario, oratorio Suardi

185
Michelangelo e Raffaello a Roma

Michelangelo Buonarroti, tomba di Giulio II, 1505-45, Roma, San Pietro in Vincoli, progetto originario
per la tomba di Giulio II, 1505, ricostruzione di C. de Tolnay

La ricostruzione è assai utile per comprendere la magnificenza del progetto che


sarebbe stato all’origine dell’idea stessa di ricostruire la Basilica di San Pietro,
affinché il monumento trovasse opportuna collocazione nella tribuna: così Giulio
II avrebbe trasformato la principale chiesa della cristianità nel suo mausoleo,
con un atto di superbia davvero epocale.
Michelangelo si mise subito al lavoro e andò a Carrara a reperire i numerosi
marmi che sarebbero serviti, ma quando nella primavera del 1506 tornò a Roma,
Giulio II era preso da altre questioni e non lo ricevette. Così lo scultore si arrabbiò
e tornò a Firenze, Infischiandosene dei richiami del pontefice. Un tale
comportamento era assolutamente inconsueto, e lasciava intendere che
Michelangelo aveva piena consapevolezza del suo valore come artista. I due,
tuttavia, si riappacificarono a Bologna, nel 1506.
Mentre il progetto della tomba di Giulio II languiva, Michelangelo stava intanto
affrescando la volta della Cappella Sistina.

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Jacopo Rocchetti, secondo progetto per a tomba di Giulio II, 1512-1513, copia di un disegno di
Michelangelo

187
Michelangelo Buonarroti, Mosè, 1513-15, Roma, San Pietro in Vincoli

Una delle statue più famose di Michelangelo. Posizionata poi al centro della
tomba di Giulio II.

188
Cappella sistina, città del vaticano, palazzi vaticani

189
Michelangelo Buonarroti, affreschi della volta della cappella sistina, 1508-1512, città del vaticano,
palazzi vaticani.

Lo spazio è scandito da una poderosa struttura architettonica dipinta, le superfici


della quale rinunciano con decisione agli ornati. Nella zona centrale si
susseguono nove storia della genesi, che dalla separazione della luce dalle
tenebre proseguono fino all’ebbrezza di Noè; agli angoli, le affiancano una serie
di figure di nudi, che raggiungono il numero di venti. Nei sottostanti scomparti
verticali siedono ben dodici Veggenti, suddivisi in sette profeti e cinque sibille.
Sotto ancora, le vele e le lunette delle pareti illustrano un ciclo di antenati di
Cristo, lasciando spazio nei pennacchi angolari a quattro storie dell’antico
Testamento. Michelangelo dipinse tutto questo praticamente da solo, utilizzando
pochissimi aiuti solo all’inizio dell’impresa e faticando per 4 anni sulle
impalcature. Il risultato fu epocale perché, al di là dei soggetti, il maestro diede
vita ad un mondo di dimensioni sovraumani, come non si era mai visto nella
storia dell’arte.
Nel 1511 apre la prima parte della volta già finita, da lì cambia il modo di
lavorare. Michelangelo inizia a lavorare dalla fine della storia, arrivando per
ultimo alla creazione degli astri. I tempi di lavorazione tra 1511-12 impiega
pochissimo tempo per terminare la volta, ha preso dimestichezza nel lavoro.
Inizialmente il risultato doveva essere molto più semplice, strada facendo il tema
viene elaborato in maniera più complessa, il contorno della storia della genesi
rendono la composizione più complessa: ad esempio la parte in giallo è il
190
partimento, cornici che raccordano gli episodi, con gli ignudi, dipinti con forme
possenti e muscolose per dare risalto alla forma classica. Le parti gialle chiare
sono tra i pennacchi, dove sono raffigurati veggenti e sibille. I pennacchi angolari
rappresentano storie dell’antico testamento. In principio c’erano solo le pareti
fatte realizzare da Sisto IV. Il percorso che va dall’antico al nuovo testamento
arriva alla redenzione attraverso il postulato dei pontefici, questa coerenza viene
rappresentata da Michelangelo con l’aiuto di un teologo. I rimandi sono tanti
all’interno della volta.

191
12/04/2022 15° lezione

Michelangelo Buonarroti, profeta Zaccaria, cappella sistina

192
Michelangelo Buonarroti, profeta Giona, cappella sistina

Notiamo qua le differenze dei risultati tra l’inizio e la fine del lavoro, Zaccaria
rappresentato in modo molto statico, Giona dinamico, appena uscito dalla
balena.

193
Michelangelo Buonarroti, sibilla libica, cappella sistina

Torsione che da un risultato segnato dal poco equilibrio, in movimento. (vedi


tondo Doni).

194
Michelangelo Buonarroti, Diluvio Universale, cappella sistina

Dobbiamo tenere conto dell’ambientazione, l’immagine, vista così da di fronte,


nella realtà ovviamente è realizzata nel soffitto. Michelangelo adotta questa
visuale per l’opera monumentale, per dare vigore ed importanza alla centralità
della figura umana, all’agonia dell’uomo che subisce l’ira di Dio. La scena,
costruita come fosse una tela, gioca sulla direttiva diagonale, ribadita dal terreno
e dai gruppi di corpi. La natura è brulla.

Michelangelo Buonarroti, Peccato Originale, cappella sistina

Progressivo diminuire di tutto ciò che è superfluo, i copri di Adamo ed Eva


vengono rappresentati in modo mascolino. La parte destra è un esempio,
sviluppato anche da Masaccio nella cappella Brancacci, Michelangelo conosce la
sua opera e ne tiene conto.

195
Michelangelo Buonarroti, creazione di Adamo, cappella sistina

In questa fotografia si scorgono anche gli ignudi, dipinti simili a sculture che
fanno capire la complessità della struttura iconografica.
Lo sfondo è vuoto, vediamo Dio Padre che tocca Adamo rendendolo un uomo.

196
Michelangelo Buonarroti, Creazione degli Astri, cappella sistina

Il contesto diventa sempre più spoglio, perché il tema è particolarmente


importante e necessita attenzione.

Raffaello, stanza della segnatura, 1508-1511, Città del Vaticano, Palazzi Vaticani

Raffaello si dedica alla nuova ala nei palazzi vaticani, alla corte del pontefice
Giulio II, che desiderava cambiare appartamenti (Alessandro VI Borgia
predecessore). Egli cambia piano e chiama una equipe di artisti per decorare il
tutto velocemente, Raffaello all’inizio non era contemplato in questa rosa.
Quando Raffaello arriva a Roma egli ha un bagaglio culturale molto carico,
partendo dalla corte di Urbino, passando poi per Perugia. Lo stesso Vasari diceva
che Raffaello aveva una grazia, anche nei modi, aveva una corte di artisti e amici
che lo accompagnava, era il perfetto cortigiano, educato secondo i parametri del
gentiluomo. Per altro nella corte di Federico da Montefeltro viene influenzato da
Piero della Francesca, da tanti architetti e artisti fiamminghi. A Perugia la sua
197
arte si ammorbidisce molto. Arriva a Firenze tramite Pier Soderini e incontra la
pittura di Leonardo e Michelangelo.
Una delle sue doti era quella di cogliere le priorità e le volontà del committente,
quando arriva a Roma riesce ad entrare immediatamente nelle dinamiche di
Giulio II e della corte.
La stanza della segnatura ha una coerenza a partire dalla struttura della
decorazione, dallo zoccolo che si alterna che sembra sorreggere il piano, le scene
sono 4, la volta è interamente affrescata, Raffaello interviene solo parzialmente
perché era già iniziata. Viene chiamata così la stanza perché per un certo periodo
era una sorta di tribunale dove venivano assegnate grazie e condanne, in origine
era una biblioteca, secondo una tradizione medievale la collocazione dei libri
erano disposti per argomento, a seconda delle decorazioni della parete, si
alludeva al tema delle letture. Le 4 pareti a lunette sono quindi dedicate a 4
discipline, legati al settore sacro, filosofico (Scuola di Atene), poetico (Parnaso)
e giuridico.

Raffaello, Disputa sul Sacramento, Stanza della segnatura, 1508-1511, città del vaticano, palazzi
vaticani

Opera equilibrata, che racchiude al meglio il momento del Rinascimento solenne.


La disputa riguarda solo il piano terreno. Egli riesce a rappresentare immagini

198
estremamente chiare, che rispecchiano la volontà del pontefice e la resa
teologica. Nel semicerchio superiore vengono rappresentati Cristo sul trono e
sopra di lui compare Dio Padre. La pavimentazione conduce l’occhio al fulcro del
sacramento collocato sopra l’altare.

Raffaello, Scuola di Atene, stanza della segnatura 1508-1511

L’ordine e l’equilibrio sono dati anche dall’architettura prospettica di questo


salone. Le citazioni di elementi antichi sono diversi, ma ci sono anche elementi
moderni prospettici e di illuminazione. Le pareti sono decorate da strutture
classiche, la compresenza delle tre arti (pittura, scultura e architettura). Lungo
le scale a gruppi sono rappresentati partecipanti, interessante la figura del
filosofo al centro, sul piano basso (vedi Freccia), aggiunto successivamente. Egli
ha le fattezze di Michelangelo, che aveva aperto già la prima metà della volta e
sicuramente Raffaello con questo gesto voleva omaggiarlo.

199
Raffaello, Parnaso, stanza della segnatura, 1508-1511

Ala dedicata alla poesia, dove possiamo tranquillamente individuare Dante e


Omero, Raffaello mantiene la pittura perfettamente adeguata alle difficoltà
architettoniche, in modo da inglobare quello che sarebbe stato un disagio, come
un incasso. Il monte del Parnaso è rappresentato con i suoi personaggi a
semicerchio con Apollo al centro.

200
Raffaello, Stanza di Eliodoro, 1511-1514, Città del Vaticano, Palazzi Vaticani

La stanza viene dato dell’episodio dell’antico testamento della Cacciata di


Eliodoro dal tempio.

201
Raffaello, Cacciata di Eliodoro dal tempio, Stanza di Eliodoro, 1511-1514, città del vaticano, palazzi
vaticani

Episodio di Eliodoro che profanò il tempio rubando un tesoro, che venne cacciato
da un angelo, il quadro ha una grande concitazione. Gli atteggiamenti sono divisi,
sullo sfondo il sacerdote Anania, che invoca l’angelo e ringrazia per l’intervento
miracoloso.
Questi sono anni dove viene messo molto in discussione il potere temporale di
Giulio II, che viene considerato più un guerriero che un papa, aveva realizzato
da poco la basilica di San Pietro e aveva bisogno di rifocillare le banche papali,
poco dopo inizieranno gli episodi della vendita delle indulgenze. Il tema
iconografico della stanza è estremamente coerente, rappresentando interventi
divini a favore della chiesa, quello che appunto Giulio II voleva ottenere. A destra
il pontefice entra all’interno della rappresentazione, c’è un’assoluta tranquillità
nei comportamenti perché questo corrisponde alla certezza della curia sul fatto
che la chiesa è nel giusto.

202
Raffaello, Messa di Bolsena,1511-1514, città del vaticano, palazzi vaticani

Miracolo che accade durante la consacrazione dell’ostia da parte di un sacerdote,


egli ha dei grossi dubbi relativi al fatto che nell’ostia consacrata ci sia veramente
il corpo e il sangue di cristo, egli spezza l’ostia ed inizia a sanguinare sporcando
la tovaglia. L’ostia è conservata ad Orvieto, nella cappella di fronte alla cappella
di San Brizio dipinta da Signorelli. Il sacerdote compie il miracolo, sulla sinistra
abbiamo la folla di fedeli, dal lato opposto c’è il pontefice con i personaggi della
curia e non mettono minimamente in dubbio la veridicità della consacrazione
dell’ostia.
Anche in questo caso Raffaello sfrutta il limite dato dall’apertura, costruendo
scale ai lati per dare maggiore visibilità al luogo dove avviene in miracolo.

203
Raffaello, Liberazione di San Pietro dal carcere, Stanza di Eliodoro, città del vaticano, palazzi vaticani

Al centro si vede l’angelo che libera Pietro, sulla sinistra i soldati addormentati e
sulla destra il santo che esce. Gli sfondi richiamano quelli di Tiziano, a queste
date Raffaello è a conoscenza delle novità veneziane.
Il successore di Giulio II, Leone X dei Medici, aveva una natura molto più
autocelebrativa del predecessore.

204
Raffaello, Battaglia di Ostia, Incendio di Borgo, Incoronazione di Carlo Magno, stanza
dell’incendio di Borgo, 1514-1517, città del vaticano, palazzi vaticani

Ultima stanza realizzata da Raffaello, che morirà nel 1520. Rappresentazione di


un episodio realmente accaduto, Incendio di Borgo in particolare, anche qui
Leone X viene rappresentato. I miracoli avvengono tramite l’azione di un
pontefice di nome Leone.

205
Raffaello, Incendio di Borgo, Stanza dell’incendio di Borgo

Ci sono citazione letterarie, sulla sinistra il giovane che porta il vecchio rievocano
Enea che porta sua padre alla salvezza, ci sono elementi legati all’architettura
antica.

206
13/04/2022 16° lezione

Raffaello, Madonna di Foligno, 1511-1512, città del vaticano, pinacoteca vaticana

207
Raffaello, Madonna Sistina, 1513, Dresda, Staatliche Gemaldegalerie

“Fate posto al grande Raffaello". Queste furono le parole con cui Federico
Augusto III accolse nel 1757 a Dresda La Madonna Sistina. Si dice che il monarca
fece addirittura spostare il proprio trono per poter meglio ammirare il capolavoro
di Raffaello Sanzio. Nei secoli la Madonna Sistina ha affascinato artisti, filosofi,
scrittori, poeti come Goethe, Dostoevskij, Puskin, Schopenauer, Bulgakov,
Nietzsche, Heidegger, Ernst Bloch, Vasilij Grossman solo per citare i più noti tra
loro.
Il dipinto di Raffaello si dischiude come una quinta teatrale. Un ampio
panneggiamento verde apre il centro della scena dove la Vergine si muove verso
lo spettatore tenendo tra le braccia il bambino Gesù. Lo sguardo dei due è rivolto
al pubblico che osserva. La Madonna si rivela ai fedeli, in una sorta di epifania
come sospesa tra le nuvole, il moto è suggerito delle pieghe della sua semplice
veste mosse come da un leggero vento che accompagna l'ingresso di una
giovanissima Madonna, sospesa in un cielo di angeliche nuvole. Ai due lati le
figure di due santi che con i loro gesti accentuano la teatralità della
rappresentazione e completano da un punto di vista compositivo la geometria

208
dei personaggi protagonisti della scena in un ideale triangolazione di sguardi tra
l'interno e l'esterno del quadro.
A sinistra della composizione Papa Sisto II - ventiquattresimo vescovo della
Chiesa di Roma, morto nelle persecuzioni sotto Diocleziano - volge lo sguardo
alla Vergine. San Sisto è un anziano con capelli bianchi radi sulla fronte e una
barba ispida e anch'essa canuta. Sopra il candido camice veste un manto dorato
lungo e ornato di ricami. Il copricapo è posto a terra, gli occhi sono rivolti in
contemplazione verso l'alto. A destra Santa Barbara è inginocchiata sulle nuvole,
vestita con eleganti abiti cinquecenteschi. Alle sue spalle si scorge la torre dove
fu rinchiusa che ne è anche il simbolo. Gli occhi socchiusi e il dolce volto paiono
porgersi verso un immaginario popolo di fedeli che più in basso si rivolge in
preghiera alla Madre di Dio. La perfetta epifania si completa con due gentili e
paffuti angioletti che paiono presenziare sulla scena senza parteciparvi come
sospesi nei loro pensieri appoggiati alla cornice del quadro.
Secondo il Vasari, Raffaello ricevette l’incarico da Papa Giulio II nel 1512. Il
"papa guerriero" fu uno dei più celebri mecenati del Rinascimento, colui che
diede incarico a Michelangelo Buonarroti di eseguire gli affreschi a decorazione
della volta della Cappella Sistina e allo stesso Sanzio la realizzazione di molte
altre opere tra cui La Scuola di Atene. Nella volontà del papa la Madonna Sistina
era un'opera destinata alla Chiesa benedettina di San Sisto a Piacenza, dedicata
a Papa Sisto IV della Rovere avo di Giulio II. Realizzata sul supporto di una
grande tela, l'opera fu esposta nella chiesa piacentina per 240 anni sino al 1754
quando fu ceduta dai monaci piacentini al Grande Elettore Augusto III di
Sassonia per 25.000 scudi romani, una cifra enorme per l'epoca che consentì
all'ordine ecclesiastico di ripianare i propri debiti. Messa al sicuro dai nazisti
durante i bombardamenti che rasero al suolo Dresda tra il 13 ed il 15 febbraio
1945 alla fine del secondo conflitto mondiale il dipinto fu trafugato dall'Armata
Rossa e trasferito in Russia dove rimase per un decennio nelle mani del Museo
Puškin di Mosca che ne curò la conservazione e il restauro. Dopo la morte di
Stalin, in seguito all'instaurazione del Patto di Varsavia, l'opera venne esposta
in una celebre mostra al museo moscovita, dove oltre 1 milione e 500 mila russi
andarono a vederla, per poi fare ritorno a Dresda nell'ottobre 1955. Oggi la
Madonna Sistina si trova nelle Collezioni della Gemälderie Alte Maister di Dresda
dove è esposta al pubblico.
Difficile oggi sapere chi furono i modelli dal vero ad ispirare Raffaello. Le
principali fonti al riguardo sono settecentesche o successive. Secondo le
testimonianze più accreditate la figura della giovanissima Madonna sarebbe la
stessa modella che posò per Raffaello in due quadri molto celebri del pittore
urbinate, La Velata e La Fornarina ovvero quella Margherita Luti, figlia di un
fornaio di Trastevere in contrada Santa Dorotea, che sarebbe stata la donna
amata da Raffaello durante il suo soggiorno romano. Secondo la stessa fonte
San Sisto II avrebbe invece le sembianze del mecenate e committente del
quadro Giulio II e ne sarebbero testimonianza le ghiande roveresche ricamate
209
sul piviale del papa. Per Santa Barbara l'ipotesi prevalente è che la giovane e
bellissima donna abbia le sembianze della nipote del papa Giulia Orsini, mentre
altri hanno immaginato che sia Lucrezia Della Rovere, altra nipote del pontefice.
Nel raffigurare la Madonna, Raffaello apre una "finestra aperta sul cielo", la
Madonna non ha corone sul capo ed è una giovane donna vestita in modo
semplice che porta in braccio il suo bambino. E così viene percepita nella sua
nuova sede a Dresda, dove arriva dopo un difficoltoso viaggio invernale. Il
viaggio al Nord fece infatti la fortuna di quest'opera sublime e innovatrice
seconda per fama forse solo alla Gioconda di Leonardo da Vinci. La Madonna
Sistina è uno dei dipinti ad aver maggiormente attratto a sé la venerazione di
cristiani, cattolici e ortodossi, ma è anche un quadro che ha travalicato la
dimensione religiosa per offrire un termine di paragone della bellezza umana,
che trasformandosi in bellezza spirituale diviene grazia. Giunta in Germania, la
Madonna Sistina diviene meta di pellegrinaggio di molti. Winckelmann la
considera il miglior incontro fra arte greca e arte cristiana, Goethe ne loda
l'espressione spirituale e insieme profondamente umana. Il Romanticismo
tedesco se ne innamora, rafforzato dall'aneddoto di fantasia - creduto vero
all'epoca - di un sogno rivelatore della Madonna a Raffaello che ne spiegherebbe
l'eccezionale intensità trasformando il dipinto quasi in una icona.
Ancor più famosi dell'opera stessa di Raffaello Sanzio sono i due indimenticabili
angioletti alla base del dipinto che sono stati riprodotti innumerevoli volte e in
migliaia di composizioni dalle più kitsch a quelle più pop e ancor oggi sono
probabilmente tra gli oggetti di merchandising più acquistati alla Gemälderie Alte
Maister di Dresda. Una delle più celebri rappresentazioni dei due angioletti è
quella fatta dallo stilista Elio Fiorucci che li raffigurò in chiave ultra-pop ciascuno
con un paio di occhiali da sole colorati, a mo' di divertente sberleffo, facendone
poi l'icona e incorporandoli nel logo del celebre marchio di moda Fiorucci e
contribuendo senza dubbio al grande successo del brand negli anni '70 e '80 del
XX secolo.

210
Raffaello, Trasfigurazione, 1518-20, città del vaticano, pinacoteca vaticana

Nella Trasfigurazione Gesù si alza in cielo sul monte, affiancato dalle apparizioni
dei profeti Mosè ed Elia, mentre gli apostoli, Pietro, Giovanni e Giacomo sono
prostrati e sbigottiti dalla miracolosa manifestazione divina. In basso, alle
pendici del monte, gli altri apostoli, a sinistra, si trovano di fronte un gruppo di
persone che accompagna un fanciullo posseduto dal demonio. Una volta sceso
dal monte, Gesù, come racconta il vangelo di Matteo, l’avrebbe guarito. La tavola
mette insieme il sereno ordine della visione con la drammatica tensione della
scena inferiore, popolata da personaggi monumentali in pose magniloquenti, che
preannunciano la successiva pittura della Maniera. Consapevole di doversi
confrontare con Sebastiano, Raffaello adotta inoltre un registro cromatico
contrastato, apre uno squarcio di paesaggio in lontananza, e si afferma sui brani
di natura degli alberi, al di sotto di quello in alto a sinistra appaiono altre due
figure di giovani inginocchiati: dovrebbero essere i titolari della cattedrale di
Narbonne, i santi Giusto e Pastore.

211
Sebastiano Luciani, detto del Piombo, Resurrezione del Lazzaro, 1517-1519, Londra National Gallery

Sebastiano, seguendo alla lettera l’idea michelangiolesca, dispose sulla destra


del dipinto, quasi completamente nudo, nel liberarsi dalle bende con le quali era
stato inumato. In mezzo a una folla di personaggi monumentali, Cristo si erge
ad indicare l’uomo miracolato, sotto lo sguardo delle sue sorelle, Marta e Maria.
Lontano è un paesaggio ancora di sapore veneto, tutto giocato sui toni scuri del
cielo nuvoloso, dello specchio d’acqua e delle rovine, e larghe campiture
cromatiche individuano anche i protagonisti della storia.

212
Sebastiano Luciani, detto del Piombo, Pietà, 1516, Viterbo, museo civico

La prima opera michelangiolesca di Sebastiano. La tavola mette in mostra un


notturno reso con bellissimi accostamenti di colori, nel segno dell’origine veneta
del pittore, con una volontà di ridurre la composizione alle sole figure della
Vergine che piange e il figlio morto, tali figure si distinguono per una solidità
michelangiolesca, in particolare il copro attentamente studiato di Gesù. Vasari
scrisse che il dipinto “se bene fu molta diligenza finito da Sebastiano che vi fece
un paese tenebroso molto lodato, l’invenzione però e il cartone fu di
Michelangelo”. Per lui, fu questo a rendere l’opera bellissima agli occhi di tutti.

213
Novità a Firenze

Costruito verso la metà del ‘400 su disegno di Michelozzo, appare come una
severa galleria di gusto brunelleschiano, costituita dal succedersi di arcate a
tutto sesto sorrette da colonne con capitelli corinzi. Nonostante il nome, non si
tratta di un chiostro appartato in mezzo al convento e riservato alla meditazione
dei frati, ma di un atrio che chiunque voglia entrare in chiesa deve
necessariamente percorrere. Fin da subiti si iniziarono ad affrescare le pareti, si
vede il confronto tra Andrea del Sarto e i suoi allievi, Pontormo e Rosso
Fiorentino. Erano affreschi che tracciavano una nuova linea di pittura fiorentina:
era stata creata con un linguaggio più complesso rispetto alla savonaroliana
devozione.

214
Finita e consegnata l’8 settembre 1514, data di quella festa liturgica e giorno in
cui il papa fiorentino Leone X concesse alla chiesa della Santissima Annunziata
il giubileo perpetuo. Il soggetto è lo stesso che il ghirlandaio aveva raffigurato
un quarto di secolo prima in santa Maria Novella (p.248 fig.45). l’atmosfera è
assolutamente diversa, lo spazio è grandioso, il clima è assai meno celebrativo
e più intimo, sulla ricchezza degli arredi che predominano i gesti delle figure,
memori della lezione leonardesca, ben presente anche nello sfumato delle carni.
La posa pensierosa e malinconica del vecchio Gioacchino seduto sul letto fa
capire che Andrea conosceva le novità romane di Michelangelo, e la grazia dei
volti femminili è impensabile senza Raffaello, anche se certi ghigni indirizzano
su Leonardo. La scena è molto equilibrata.

215
Andrea del Sarto, Madonna delle Arpie, 1515-1517, Firenze, Galleria degli Uffizi

Il dipinto è famoso come madonna delle arpie perché la vergine col figlio si erge
al centro su un piedistallo ortogonale, al fianco dei quali si trovavano dei
mostriciattoli che Vasari definiva appunto arpie. Andrea del sarto allestisce una
composizione ben equilibrata, anche grazie alla studiata alternanza tra luce e
ombra, le figure solide e statuarie si dispongono davanti ad una parete neutra,
appena mossa da un paio di lesene piatte, a seguire uno schema piramidale,
tanto caro a Leonardo e ai suoi seguaci.
Al vertice superiore la vergine ha sembianze raffaellesche, abbracciata con
tenerezza al figlio, al lato sinistro c’è San Francesco, a destra un giovane San
Giovanni.

216
Il dipinto si può ammirare in un angolo della sala in penombra, perché è ritenuto
il posto migliore per vederlo. Per Vasari era la tavola più bella del pittore a causa
dell’utilizzo dei colori vivaci. L’ordine della madonna delle arpie si disgrega da
qui, tanto nella composizione che nei gusti. Gli angioletti facchini finiscono agli
angoli superiori, ad aprire il tendaggio da dove emerge Maria, che siede dentro
una nicchia in un contorno contrapposto. La sacra conversazione è animatissima
e volutamente sgangherata. Non si capisce come faccia il piccolo Gesù a restare
in equilibrio sulle ginocchia del Padre Giuseppe, con il quale condivide
simmetricamente la testa inclinata e lo sguardo visionario, quando per il resto le
figure paiono respingersi. San Giovanni siede in cerca di ispirazione in primo
piano, con la lunga barba che lo apparenta al Mosè di Michelangelo, ma con
un’aria molto più stanca e meno sicura di sé. San Francesco è un frate
devotissimo, che stringe le mani in preghiera e par che spiri, non sembra
accorgersi del piccolo Battista, un po’ birichino, che gli sta davanti, o del san
Giacomo che gli protegge le spalle a mo’ di guerriero, come se il bastone da
pellegrino fosse un’alabarda.

217
Il dipinto è una sacra conversazione, piuttosto tradizionale nell’impostazione: la
Madonna col Bambino in trono è al centro, affiancata dai quattro santi in piedi.
I colori sono vivaci, lo spazio è un po’ compresso e il Rosso non presta attenzione
a costruire una scatola tridimensionale, concentrandosi esclusivamente sulla
resa di figure tanto espressive, come non si vedevano dai tempi di Donatello. Il
risultato è una recita fatta da attori stravaganti e spigolosi, con le mani che
sembrano artigli, gli occhi attoniti e le arie crudeli e disperate. Prima fra tutte
quella di San Girolamo all’estrema destra, che nella scheletrica e alienata
vecchiaia ha veramente un aspetto demoniaco.

218
Jacopo Pontormo, Deposizione, 1526 ca. Firenze, Santa Felicita, cappella Capponi

Il corpo di Cristo viene staccato e deposto dalla croce. Due giovani lo sorreggono
e si preparano a trasportarlo al sepolcro dove verrà inumato. La Vergine mentre
osserva a destra verso il figlio viene soccorsa dalle donne presenti. Sul viso di
Maria si legge la sofferenza nel vedere il figlio morto. Le sue braccia si aprono in
segno di disperazione mentre il corpo sembra mancare a causa del dolore.
Intorno alla Madre di Cristo vi sono sei figure femminili mentre a sinistra si
intravede il volto di San Giovanni. Il giovane discepolo indossa un mantello e
porta una sottile barba. La scena sembra compiersi all’interno di uno spazio
chiuso e decorato. Infatti il suolo pare un piano artificiale mentre la nuvola in
alto pare dipinta su di un fondale.
L’episodio rappresentato nell’opera del Pontormo è quello dal momento in cui
Cristo viene portato nel sepolcro. Per questo il titolo dalla tavola è più
correttamente Trasporto di Cristo. La Deposizione del Pontormo interpreta
l’episodio religioso attraverso gli stilemi caratteristici del Manierismo. Il dipinto
è considerato dagli storici un manifesto stilistico. Altri invece fanno notare il
carattere estremamente visionario dell’opera. La indicano piuttosto come opera
fuori dagli schemi, anche quelli manieristi. La scena è concepita come una

219
rappresentazione spettacolare. Le reazioni emotive dei protagonisti infatti
vengono tradotte in effetti visivi raffinati ed eleganti. La figura appena accennata
a destra è Nicodemo e la tradizione lo indica come un autoritratto del Pontormo.
Il Pontormo nacque nel 1594 quindi all’epoca della realizzazione di questo dipinto
aveva circa 30 anni. La Pala nel tempo ha subito diversi restauri alcuni dei quali
non troppo corretti. Il restauratore Daniele Rossi ha eseguito l’ultimo e
approfondito intervento. In seguito ad analisi spettrografiche e chimiche sono
state individuate le tinte e la natura del legante utilizzate da Pontormo. I colori
sono stati legati con albume e tuorlo d’uovo. Pontormo usò inoltre diversi
pigmenti preziosi come il lapislazzulo nel cielo. Gli incarnati infine sono stati
realizzati con diversi strati di trasparenze di lacche colorate come la lacca di
Robbia.
Jacopo Carrucci detto il Pontormo è uno dei principali manieristi italiani. Nacque
nel 1494 a Pontormo in provincia di Empoli. Lavorò in diverse botteghe tra le
quali quella di Leonardo.
L’artista è considerato uno tra i più visionari del Manierismo italiano e nei suoi
dipinti fu ben lontano dalla classica armonia e dal bello ideale di Raffaello.
Pontormo fu maestro del Bronzino e morì il 31 dicembre 1557.
Diversamente da Raffaello, Pontormo non volle raffigurare un immaginario
equilibrato ed in armonia. Piuttosto rappresentò l’inquietudine e l’orrore dei suoi
contemporanei. Nel dipinto infatti l’artista non racconta la vicenda della
Deposizione né tanto meno affronta la scena in termini realistici. Piuttosto la sua
è una visione fantastica e spettacolare dell’evento con sensazioni portate
all’estremo.
Gli stessi colori accesi e brillanti sottolineano l’atmosfera fantastica del dipinto.
Anche le figure dall’aspetto allungato verso l’alto e dalle posizioni contorte
sembrano far parte di una diversa realtà da quella umana. I personaggi poi
assumono torsioni nelle posture tipiche dello stile manierista. Gli abiti sembrano
dipinti direttamente sul corpo come nel giovane accovacciato in primo piano.
Tutti i personaggi sono in posizioni di precario equilibrio e alcuni di loro paiono
addirittura non poggiare i piedi sul terreno. Questa caratteristica rende quindi la
scena particolarmente movimentata e instabile. I visi dei personaggi presentano
espressioni drammatiche. Gli occhi sono spalancati e sembrano volerci
trasmettere il dolore e l’orrore che stanno provando.
Infine Pontormo utilizzò tutte le componenti del dipinto per allontanarsi dalla
verosimiglianza che alcuni maestri prima di lui avevano cercato. Il colore, la
prospettiva, le proporzioni e le posizioni sono lontane dalla ricerca della realtà e
contribuiscono a creare un’atmosfera irreale tipica del manierismo.
La Deposizione del Pontormo è una tavola di 315 x 192 cm. dipinta con tempera
all’uovo su tavola in velature.

220
Nella Deposizione dominano colori caldi alternati a vesti di colore freddo. Le
tonalità sono forti e brillanti e la luce diretta e intensa. L’illuminazione che
colpisce i personaggi poi non è del tutto naturale e pare che la scena sia
illuminata da luci artificiali e teatrali. Inoltre alcuni personaggi sembrano
emettere una luce propria brillante e quasi fosforescente.
La scena rappresentata nella Deposizione del Pontormo offre una interpretazione
anti naturalistica dell’evento. L’ambiente infatti non viene chiarito nei dettagli e
anche la nuvola a sinistra risulta essere un particolare isolato e artificioso. Non
è chiaro, poi, su che tipo di piano siano posti i personaggi. Se quelli in primo
piano sembrano appoggiarsi su un pavimento le donne in secondo piano
sembrano stare in piedi su basi o pedane rialzate.
Il dipinto del Pontormo presenta una forma rettangolare sviluppata in verticale.
Il bordo superiore è sostituito da un arco a tutto sesto per adattarlo alla cornice
architettonica. L’inquadratura è totalmente occupata dalle figure che animano la
scena e alcune di loro sono tagliate dai bordi della tavola.
La loro disposizione è irregolare e per nulla simmetrica. Le figure sono
organizzate verso l’alto su piani superiori e sembrano formare una piramide
umana.
La composizione è geometricamente organizzata. Il registro superiore, infatti è
raccolto all’interno di un cerchio. Sono presenti alcune direttrici oblique come
quella che collega lo sguardo di Maria con il volto di Cristo. Il suo corpo, infine,
insieme a quelli dei due giovani, crea una obliqua che raggiunge l’angolo in basso
a destra attraverso il lembo del panno verde. Le forme ed i panneggi sono
costruiti con linee a serpentina tipiche dello stile manierista.

221
Rosso Fiorentino, Deposizione, 1521, Volterra, pinacoteca civica

Cristo viene deposto dalla croce dagli uomini che gli sono intorno. La croce ha
una struttura massiccia che crea una potente macchina scenica insieme alle scale
di legno. Tra i quattro personaggi posti in alto vi sono Nicodemo e Giuseppe di
Arimatea che si affannano per deporre il corpo esanime del Maestro. I loro volti
sono tesi nello sforzo e le loro espressioni intense e concentrate. In basso Maria
è sostenuta da due donne mentre la Maddalena inginocchiata la abbraccia. A
destra invece il giovane apostolo Giovanni viene confortato da un adolescente.
Rosso Fiorentino, pittore manierista, fu molto richiesto nelle corti italiane ed
europee. Si trasferì infatti in Francia a Fontainebleau dove fu promotore dello
sviluppo di una scuola locale.
Le influenze che agirono sulla pittura di Rosso Fiorentino derivarono soprattutto
da Michelangelo. Dal grande maestro del Rinascimento derivò il colore, la
composizione e il modellato dei corpi seppur più asciutto. Le anatomie infatti
risultano molto curate ma piuttosto legnose. Da Raffaello, invece deriva la grazia
delle posture molto evidente nel gruppo delle donne che accompagna Maria. Le
222
posizioni degli uomini che operano nella parte alta sono invece insolite e molto
artificiose. Per questo gli storici e i critici le hanno descritte con diverse metafore.
Alcuni vi hanno visto una particolare danza scenica. Altri invece hanno
paragonato i personaggi alle figure di ragni che si affannano sulle scale.
I colori delle vesti sono brillanti e il loro chiaroscuro trasforma i tessuti in legno
scolpito. La luce scultorea e fredda crea un’atmosfera fantastica e irreale.
La composizione della Deposizione di Rosso Fiorentino è articolata su due registri
sovrapposti. Le due parti sembrano scene autonome create per coinvolgere al
massimo l’osservatore. In altro si forma un vortice che ruota e asseconda il bordo
a tutto sesto del dipinto. In basso invece i due gruppi di personaggi sono collegati
dalla figura obliqua della Maddalena inginocchiata.

Rosso Fiorentino, Mosè salva le figlie di Jetro, 1523ca., Firenze, Galleria degli Uffizi

Giovanni Battista di Jacopo, soprannominato Rosso Fiorentino, per il colore della


sua capigliatura, si formò nella bottega di Andrea del Sarto accanto al Pontormo
suo coetaneo. Fin dalle prime opere fiorentine mostrò uno stile particolarmente
originale, connotato da una forte carica anticlassica volta a superare gli schemi
dell’equilibrio rinascimentale in favore di innovative soluzioni formali dalla
223
potente tensione drammatica. Nel 1524 si trasferisce a Roma dove l’esasperata
ricerca espressiva degli anni precedenti lascia il posto ad una sofisticata e
intellettualistica eleganza formale. Dopo il sacco del 1527 vaga per molte città
italiane per giungere infine in Francia dove il re Francesco I lo nomina pittore di
corte affidandogli la decorazione della reggia di Fontainebleau, la cui Galleria
diverrà un caposaldo del manierismo internazionale.
Nella biografia del Rosso Vasari descrive “un quadro di alcuni ignudi bellissimi in
una storia di Mosè quando ammazza l’Egizio, nel quale erano cose lodatissime;
e credo che in Francia fosse mandato” . Un documento d’archivio, recentemente
rinvenuto, conferma il racconto vasariano. Il dipinto sarebbe stato realizzato dal
Rosso alla vigilia della partenza per Roma per Giovanni Bandini, fiorentino
appartenente alla fazione antimedicea, e successivamente inviato in Francia
come dono per il re Francesco I. Tra il 1568 e il 1588 la tela fa ritorno a Firenze
per entrare a far parte delle collezioni di don Antonio de’ Medici, figlio del
granduca Francesco e di Bianca Cappello.
Secondo l’interpretazione più accreditata il dipinto raffigura il concitato
susseguirsi dei diversi momenti che compongono l’episodio biblico da cui prende
il titolo. Dopo aver ucciso un egiziano che aveva maltrattato un’israelita, Mosè
fugge nel deserto e si ferma a riposare presso un pozzo a Median dove le sette
figlie del sacerdote sono solite attingere l’acqua per far bere il gregge del padre.
Al sopraggiungere di alcuni pastori che vorrebbero scacciare le fanciulle, Mosè si
leva in aiuto delle giovani facendo fuggire i prepotenti e attingendo per loro
l’acqua dal pozzo.
In primo piano Mosè, raffigurato come un erculeo eroe seminudo, affronta i
pastori che giacciono a terra sconfitti. L’eroe vittorioso compare di nuovo in
secondo piano mentre corre verso Zippora, la sua futura sposa, ancora
spaventata. Completano il racconto biblico il pozzo sullo sfondo e le altre sei
sorelle che fuggono impaurite verso la città.
Rosso Fiorentino interpreta l’episodio sacro come una scena di nudi in lotta, i cui
corpi vigorosi, tesi in un dinamismo esasperato, ricordano il groviglio di soldati
del cartone michelangiolesco con la Battaglia di Cascina. Il taglio longitudinale
della composizione e la scansione spaziale per piani verticali accentuano l’effetto
irruento del combattimento. Alla brutalità della lotta fa da contraltare la sensuale
flessuosità di Zippora, elegantemente acconciata e fasciata da una veste
aderente che ne lascia intravedere le forme e le scopre un seno.
Il dono di questo dipinto dovette certo risultare gradito al re Francesco I, fine ed
intellettuale mecenate: la forza espressiva e la teatrale gestualità dei personaggi
che lo caratterizzano sono le stesse che di lì a poco egli potrà ammirare nella
sua Galleria a Fontainebleau dove Rosso avrebbe riproposto le posture di alcuni
di questi nudi.

224
Rosso Fiorentino, cristo morto tra due angeli, 1525-1526, Boston

Sull’opera: “Cristo morto compianto da quattro angeli” è un dipinto autografo di


Rosso Fiorentino realizzato con tecnica a olio su tavola nel 1525-26, misura
133,5 x 104 cm. ed è custodito nel Museum of Fine Arts a Boston.
Dalle Vite del Vasari si ricava l’opera fu realizzata per Leonardo Tornabuoni,
l’allora vescovo di Sansepolcro, uno dei moltissimi prelati fiorentini alla corte di
papa Clemente VII (Firenze, 1478 – Roma, 1534).
L’identificazione purtroppo viene resa più difficile dal fatto che il Vasari parlò di
due angeli anziché quattro e che non specificò dove la pala venisse destinata.
Da alcune ricostruzioni dei fatti risulterebbe che il dipinto fosse ancora nelle mani
del Rosso nel periodo del Sacco di Roma (1527) e che l’avesse affidato a una
suora fiorentina del convento di San Lorenzo in Colonna.

225
Un documento riporta come più tardi l’artista cercò di rivendicare i beni lasciati
a Roma durante la sua fuga, tra cui soprattutto un Cristo morto attorniato da
angeli.
Una ventina d’anni più tardi la pala però si trovava ancora a Roma ed
apparteneva a Monsignor Della Casa, come riporta lo stesso Vasari nella prima
edizione delle Vite (1550), e nella seconda (1568) indicandola come pervenuta
agli eredi di Giovanni Della Casa (morto nel 1556).
Per quanto riguarda l’originaria sistemazione della pala, sono state avanzate
diverse ipotesi, sia relative ad ubicazioni presso la capitale, che a Borgo San
Sepolcro, sede del vescovo Tornabuoni.
Più recentemente alcuni studiosi hanno ipotizzato che l’opera facesse parte della
decorazione della Cappella Cesi (pagina precedente) in Maria del Popolo. Se così
fosse la pala sarebbe pervenuta al vescovo di Sansepolcro in secondo tempo
(alla risoluzione del contratto con Angelo Cesi), magari in seguito ad un nuovo
restauro architettonico della cappella che richiedeva una pala con misure più
grandi.
Secondo Natali non sarebbe da scartare neanche l’ipotesi che la tavola, realizzata
nella sua modernità, fosse stata respinta, come avvenne per altri lavori del
Rosso.

226
Michelangelo fu designato dal papa per il progetto della costruzione della
facciata, ma il cantiere fu dismesso poco dopo, per questo la facciata è ancora
grezza, in attesa del rivestimento che non ha mai avuto. Tuttavia sappiamo bene
cosa aveva in mente Michelangelo, non solo da alcuni disegni, ma da un vero e
proprio modello ligneo, che dovette essere approntato nel 1518, in vista
dell’avvio dei lavori, e si conserva nel museo Casa Buonarroti.

227
San Lorenzo pianta

Michelangelo Buonarroti, Sagrestia nuova San Lorenzo. 1520-1534

Si ripete all’interno il severo gusto brunelleschiano, nel contrasto tra il candore


delle superfici bianche e il rigido delle modanature in pietra. E se passiamo alle
strutture delle tombe è evidente come, nell’articolazione architettonica,
Michelangelo superi la devozione per gli ordini antichi. “perché nella novità di
cornici così belle, capitelli, tabernacoli e sepolture, fece assai diverso da quello
che di misura, ordine e regola facevano gli uomini secondo il comune uso e
secondo Vitruvio e le antichità” (Vasari). Era un nuovo modo di pensare
l’architettura e Vasari lo conosceva bene, perché quel cantiere lo aveva
228
frequentato ai tempi della sua formazione, negli anni Venti, e vi sarebbe poi
tornato per occuparsi dell’allestimento definitivo alla metà del ‘500. È in questa
visionaria riscrittura della tradizione, in queste pareti in cui è possibile dire dove
l’architettura si fa scultura e viceversa.

Michelangelo Buonarroti, tomba di Giuliano dei Medici duca di Nemour con il Giorno e la notte,
Sagrestia nuova di San Lorenzo, 1520-34

229
Michelangelo Buonarroti, tomba di Lorenzo dei Medici duca di Urbino con l’Aurora e il crepuscolo,
sagrestia nuova di San Lorenzo, 1520-1534

230
Michelangelo Buonarroti, tomba di Lorenzo dei Medici duca di Urbino, particolare dell’aurora,
sagrestia nuova di San Lorenzo, 1520-1534

Michelangelo rompe le tradizioni dei monumenti funerari precedenti, costruendo


strutture massicce per profondità ed altezza, nelle quali riprende il tema
architettonico della facciata di San Lorenzo: ognuna è tripartita e suddivisa in
due registri. In alto sono tre nicchie in forma di finestre, due vuote, e quella
centrale occupata dalla statua del defunto, effigiato vivo e seduto, in basso il
sarcofago, contraddistinto nel coperchio da due volute decisamente
anticlassiche, sulle quali sono adagiate una figura maschile e una femminile, in
allusione al tempo che consuma tutto e conduce alla morte. Nei sottostanti
sarcofagi, troviamo da un lato le personificazioni della Notte e del Giorno, e
dall’altro Aurora e Crepuscolo, statue dove si riconosceva la quiete di chi dorme
e il dolore e la malinconia di chi perde. Quel sentimento malinconico, che si era
affacciato in qualche figura della volta della Cappella sistina, pervade dunque le
figure possenti, muscolose e atteggiate in pose difficili, cui Michelangelo ci ha
abituato, piegando il suo culto per lo studio del corpo umano alla funzione
funeraria della Sagrestia.

231
Michelangelo Buonarroti, Madonna che allatta il bambino, Sagrestia nuova di San Lorenzo, 1520-
1534

Michelangelo ha disposto la figura a sedere, con la gamba destra addosso alla


sinistra, ginocchio sopra ginocchio e il Bambino, la torsione complicatissima è un
vero e proprio emblema dell’artificio della maniera. Questo gruppo statuario fu
pensato per essere posizionato al centro delle statue di Giuliano e Lorenzo, ma
non fu mai innalzato.

232
Il vasto ambiente è noto come Sala di Costantino, perché sulle pareti sono
narrati quattro episodi della vita dell’imperatore romano che, nel 313, riconobbe
libertà di culto alla religione cristiana. I primi due episodi li avevamo già visti
illustrati da Piero della Francesca ad Arezzo, ma, a oltre mezzo secolo di
distanza, tutto è enormemente più concitato, anche rispetto alle opere cui ci
aveva abituato lo stesso Raffaello, che arriva a simili esiti solo con la zona
inferiore della Trasfigurazione, in passato riferita spesso a Giulio Romano.
Affiancate da figure di pontefici, le storie sono pensate come estesi arazzi,
riempiti di soggetti in pose spesso ardite e complicate, a indicarci quanto il
Sanzio, negli ultimi tempi di vita, cercasse di portare alle estreme conseguenze
la pittura di Michelangelo, innervandola di ulteriore tensione. La semplicità
peruginesca è ormai lontanissima e si coglie già lo spirito della cosiddetta
Maniera incarnato nelle composizioni e nello stile di Giulio Romano: l’allievo più
fedele e il vero erede della bottega di Raffaello, che, non senza assistenti, si
occupò di questo cantiere dal 1520 al 1524, quando si trasferì a Mantova.

233
Giulio Romano su disegno di Raffaello, 1520-1524, Battaglia di Costantino a Ponte Milvio, città
del vaticano, palazzi vaticani

234
Mantova

Giulio Romano e bottega, Palazzo Te, facciata verso il giardino 1525-1535, Mantova

235
Dimora suburbana, costruita entro il 1534 ai margini della città, sull’isola di
Teieto, da cui deriva il nome. L’isola non esiste più dopo che il lago venne
interrato nel XVIII secolo. Il palazzo è organizzato su di una pianta quadrata,
intorno al grande cortile centrale, e prevede un solo piano, che nelle superfici
dei prospetti annuncia le predilezioni per il bugnato rustico e le serliane adottate
dal Sansovino a Venezia.

Giulio Romano e bottega, sala dei cavalli, 1527-1528, Mantova, Palazzo te

Destinato all’accoglienza degli ospiti e alle più importanti cerimonie, l’ambiente,


eseguito probabilmente tra il 1526 e il 1528, prende il nome dai ritratti dei
superbi destrieri dipinti con nobile portamento a grandezza naturale nella parte
inferiore delle pareti affrescate.
Federico, come il padre e i suoi avi, li allevava nelle celebri scuderie
gonzaghesche e li teneva in massimo conto, considerandoli l’omaggio più alto
che si potesse fare ad un amico o ad un ospite illustre.
Due dei sei cavalli recano ancora in basso il proprio nome: Morel Favorito, il
cavallo grigio della parete sud; Dario, il destriero più chiaro della parete nord.
I cavalli, che spiccano sullo sfondo di paesaggi, dominano una grandiosa
architettura dipinta alle pareti, ritmata da lesene corinzie e nicchie che ospitano

236
statue di divinità o, sopra le finestre, busti di personaggi. La parte superiore
della campata è caratterizzata invece da finti bassorilievi di bronzo che
raccontano le fatiche di Ercole. Il fregio che corre alla sommità delle pareti,
all’angolo delle quali sono ritratte quattro aquile gonzaghesche, è popolato da
puttini e puttine che si muovono tra graziosi girali variopinti e mascheroni. Il
soffitto, in legno dorato su fondo blu, nei cassettoni racchiude rosoni e le imprese
più ricorrenti del palazzo: quelle del Ramarro e del Monte Olimpo.

Giulio Romano e bottega, Sala Di Psiche, 1526-1528, Mantova, Palazzo Te

Le festose scene sulla volta della Farnesina sembrano riecheggiare a Palazzo Te,
qui con un maggiore senso di movimento e più accesi scarti cromatici, nelle
scene delle pareti, dove i protagonisti sono coinvolti nella preparazione del loro
banchetto nuziale. Nella cornice soprastante corre una lunga iscrizione in latino
che allude alla funzione del palazzo e si può tradurre così “Federico II Gorzaga
V marchese di Mantova, capitano generale della Santa Romana Chiesa e della
repubblica fiorentina, in onesto ozio, dopo le fatiche, fece costruire allo scopo di
ristorare le energie per la vita di pace”.

237
Giulio Romano e bottega, Sala dei giganti, 1531-1534, Mantova, Palazzo Te

Storia basata sulle Metamorfosi ovidiane, la sconfitta e la rovinosa caduta dei


giganti, che cercano di assalire l’Olimpo e sono duramente respinti e fulminati
da Giove. È ovviamente un’allusione alla vittoria dell’imperatore contro i suoi
molti nemici, che il pittore rende in maniera originalissima: figure enormi e
ultraespressive, movimenti tumultuosi, assenza di un chiaro spazio prospettico
e volontà di andare oltre ogni regola compositiva, al fine di stupire lo spettatore
con un linguaggio nuovo e coinvolgente. Per ottenere questo, Giulio aveva
addirittura smussato gli angoli delle pareti, come racconta Vasari, che a questa
sala dedica una descrizione lunghissima e appassionata, dove ben puntualizza
l’innovativo effetto con cui Giulio Romano racconta questa storia.

238
Di fatto il termine manierismo è coniato dopo, intendendo maniera una
differenza di stile, per Vasari i grandi dello stile moderno sono Leonardo,
Raffaello, Michelangelo. Vasari stesso mette un limite dicendo che i grandi hanno
toccato il vertice con il rapporta tra natura e antico, l’artista contemporaneo non
può superare questi artisti. Cosa si può fare? Sicuramente lavorare sulla base di
una tradizione legata alla conoscenza dell’antichità e alla conoscenza dei maestri
più recenti, provando ad elaborare un linguaggio diverso, che deve trovare i
vertici nella consapevolezza che più di così non si può fare. Si parte dal
naturalismo e si arriva a qualcosa di più elaborato, trasgredire alla regola per
tornarci. Alcuni manieristi della prima stagione che hanno come punto di
riferimento Michelangelo ma che trasgrediscono le leggi tradizionali, come Rosso
Fiorentino che non ha una vera e propria struttura nei suoi quadri, i colori
diventano artificiosi, frutto di una ricerca disperata cercando di dire sempre
qualcosa di nuovo.
Si aprono comunque capitoli di grande intensità come con Correggio, dove c’è
un grande naturalismo, la pittura diventa sempre più raffinata e inevitabilmente
meno diretta al rapporto con quello che guarda.

239
27/04/2022 17° lezione

Correggio

Correggio, Camera della Badessa con il mito di Diana, 1519, Parma, monastero di S. Paolo

Un gioiello creato da Correggio, dove vediamo il confronto tra pittore, rapporto


con la natura e il risultato raffinato che ne viene fuori.
Dell’artista non sappiamo molto rispetto al percorso formativo, probabilmente è
stato a Roma a contatto con Raffaello, ma lavorando a Parma si ispira a
Leonardo.
La committente è molto raffinata, appunto la Badessa, ci sono elementi vicini
alla committenza, le lunettine sono ispirate al mito di Diana. Sopra troviamo
degli oculi dove vengono raffigurati dei putti che giocano, sempre correlati al
mito.
Correggio è un artista che ha molto successo e che ha una committenza sacra,
privata, con una cultura figurativa costruita sui modelli dei maestri rinascimentali
e dell’antico.

240
Correggio, Camera della Badessa con il mito di Diana, 1519, Parma, monastero di S. Paolo

241
Correggio, Cristo appare a S. Giovanni, 1520-1522, Parma, cupola della chiesa di S. Giovanni
evangelista

Costruisce questa visione creando un movimento rotatorio dato dall’intrecciarsi


delle nubi e dei personaggi, che avvolgono la figura di Cristo che si mostra con
una luce ultraterrena. I personaggi assistono alla manifestazione della gloria.
Non ci sono strutture architettoniche di supporto.

242
Correggio, assunzione della Vergine, 1526, Parma, cupola del duomo

Sullo stile della precedente ma molto più maestosa, il movimento vorticoso e la


luce abbagliante sono elementi in netto anticipo nel tempo. Appare come lo
sfondamento del cielo che troviamo solo nelle cupole ‘600-‘700 esche.

243
Rocca Sanvitale

Fontanellato, Rocca Sanvitale

244
Francesco Mazzola detto il Parmigianino, volta della stufetta con il mito di Diana, rocca di Sanvitale

Il modello è lo stesso, c’è un progressivo allontanarsi con il naturalismo per


arrivare ad una raffinatezza. I putti perdono naturalezza, sono più allungati. Le
gamme cromatiche sono più fredde, il programma è più elaborato, le foglie
intrecciate danno spazio all’apertura del cielo, le lunette sono sempre legate al
mito di Diana. Parmigianino si allontana dal naturalismo per arrivare ad un
modello più artificioso

245
Dettaglio

246
Parmigianino, Madonna con Bambino, 1534-40, Firenze, Galleria degli Uffizi

Detta “la madonna dal collo lungo” le sue proporzioni sono portate a degli
eccessi, il collo e membra sono molto allungate. Questo esprime pienamente
l’intenzione manierista. Mancano tutti gli elementi che fanno parte di una
iconografia tradizionale. Il bambino potrebbe essere anche morto a quanto pare.
La colonna sullo sfondo è un simbolo mariano nella tradizione, ma nuda e
spezzata come viene raffigurata è profondamente lontana alla tradizione, anche
il profeta sulla destra desta un elemento di inquietudine. La madonna con il
bambino dovrebbe alludere a delle forme serene, qua vuole raffigurare altre
cose.

247
Michelangelo, Giudizio finale, 1536-41, città del vaticano, cappella sistina

Occupa la parete di fondo della cappella, dove erano presenti gli affreschi
dedicati a Sisto IV, che doveva realizzare Pietro Perugino. Michelangelo a lungo
vissuto in certi ambienti della chiesa che fino all’ultimo puntano ad una
riconciliazione, ad una riforma della chiesa che non vuole divisione. L’opera è
rivoluzionaria, all’epoca oggetto di tante critiche proprio perché si inserisce in un
momento storico particolare, quello della Riforma. Ci sono elementi che non
corrispondo alla tradizione evangelica, è stato al limite per essere distrutto,
molta parte dei trattati per i pittori, con delle direttive, spiegano cosa non deve
essere fatto, il giudizio è stata la fonte di ispirazione. Viene chiamato un pittore
vicino a Michelangelo per rivestire alcune parti di nudità che venivano
considerate eccessive. L’artista era Daniele da Volterra. Alcune parti sono
rimaste perché essendo fatte nel ‘500 fanno parte di una storia.
L’opera d’arte deve essere d’ammaestramento per i fedeli cattolici. La cappella
sistina era stata pensata come una struttura privata, agli occhi della curia tutti
questi elementi non erano ben visti. La trinità fa questo giudizio universali (Dio,
Cristo, spirito santo), qui in primo piano c’è solo Cristo giudice, questo è uno dei
primi elementi inconcepibili di una tradizione iconografica sacra. La gerarchia
non c’è, il grande Gesù fa un gesto come per iniziare un moto circolare, il cielo
248
attorno a lui è vuoti per aggiungere risalto, al suo fianco si rannicchia la Vergine
che funge da intermediario tra la trinità e i fedeli. Per il resto il moto quasi
rotatorio ammasso personaggi in modo casuale. Sullo sfondo ci sono i beati e i
dannati, senza riferimenti sacri, viene raffigurato anche Caronte che traghetta i
dannati nell’opera dantesca, ma il riferimento non ha nulla a che vedere con la
sacralità.

Particolare

Corpi aggruppati in torsione e nudi, con particolari sconvenienti, dove vengono


raffigurati santi uomini e donne tutti insieme. Gli angeli non hanno le ali e i
personaggi non hanno le aureole. C’è un allontanamento dalla tradizione per
diventare una cosa del tutto razionale, dal quale parte un processo sulle
immagini sacre che inizierà dopo il concilio di Trento.

249
Marcello Venusti, copia del giudizio finale di Michelangelo, 1541-49, Napoli, museo nazionale di
Capodimonte.

Copia eseguita secondo le regole iconografiche, si vede molto bene la trinità e i


personaggi sono raffigurati, per la maggior parte, coperti.
Nell’ultima sessione del concilio di Trento vengono date delle direttive
sull’iconografia sacra, viene ribadita la funzione e l’importanza di esse, che
devono ravvivare la fede del cristiano per immedesimazione.
Le immagini devono essere rigorosamente rispettose delle sacre scritture.
Chi regola queste cose? Viene eletto il tribunale dell’inquisizione dove devono
andare anche gli artisti in casi simili. Ci sono anche visite pastorali, dove i vescovi
devono visitare le chiese da loro controllate, e verificare le immagini.
Si inizia a pensare che il declino dell’arte sacra sia iniziato anche con le
conseguenze del concilio di Trento.

250
Lorenzo Lotto, storie di Santa Caterina, della Maddalena, S. Brigida e S. Barbara, 1524, Trescore
Balneare, oratorio dei conti Suardi. Particolare di Cristo vite e gli eretici

Dietro Cristo vite ci sono episodi che ricordano i martiri delle sante, che hanno
dovuto affrontare per mantenere fede al proprio credo.

Michelangelo Buonarroti, conversione di San Paolo, 1542-1545, città del vaticano, cappella paolina

Michelangelo è vicino alla vecchiaia, nell’ultima fase diventa sempre più sintetico
per quanto riguarda le figure, i colori, il paesaggio e la tipologia della
composizione. San Paolo cade da cavallo perché diventa momentaneamente
ceco a causa della luce divina, che gli farà cambiare prospettiva.

251
Michelangelo Buonarroti, conversione di San Pietro, 1546-1549, città del vaticano, cappella paolina

San Pietro con uno sguardo di monito e dolore guarda i fedeli

252
Tiziano Vecellio, incoronazione di spine, 1540-43, Parigi, Musee du Louvre.

Tiziano, incoronazione di spine, 1570+1575, Monaco, alte Pinakothek

Momento di Tiziano che si avvicina al manierismo, anche se a Venezia arriva


poco. Nel primo si trovano diversi elementi antichi come il busto e l’iscrizione
latina. Le luci tipiche dell’artista tornano in modo raggiante.
Dopo una trentina d’anni torna sullo stesso tema, la cosa interessante è
l’eliminazione di alcuni elementi come il busto, le pennellate sono sfrangiate, la
luce non è naturale ed emana dei toni cupi contraddistinti da bagliori.

253
Tiziano Vecellio, Punizione di Marsia, 1570-1576, Kromerìz, museo Arcivescovile

Il centauro Marsia sfida apollo a chi è più bravo a suonare la lira, ovviamente
perde e la pena è quello di essere scorticato vivo. Tiziano accosta il dolore a
quello della sua vita, la consapevolezza di avvicinarsi alla morte. Il rapporto con
il colore è materico.

254
Jacopo Tintoretto, Miracolo di S. Marco, 1548, Venezia gallerie dell’accademia

Tintoretto non studia con Tiziano ma lo segue e si informa, assume un colorismo


tutto veneto, il modo di costruire le forme si basano sul colore e la luce.

Jacopo Tintoretto, Ritrovamento del ciori di San Marco, 1562-63, Milano, Pinacoteca di Brera

255
La luce è artificiale, emanata da San Marco.

Struttura giocata sulla diagonale.

256
Venezia, scuola grande di San Rocco, sala capitolare dipinti di Jacopo Tintoretto, dal 1564

Andra Palladio, Villa Barbaro, 1555-1559, Maser. Paolo Veronese, Affreschi di Villa Barbaro, 1561-62,
MAsser

Cosa succede a Venezia dopo la grande scuola di Tiziano, Andrea Palladio viene
identificato come un grande architetto, realizza a Vicenza il teatro palladiano e
basilica palladiana, un architetto dilettante che realizza gli edifici interpretando
il linguaggio rinascimentale, il suo stile diventa molto apprezzato e riconoscibile
perché si rifà all’antica, fino all’800. Realizza anche villa Barbaro a Maser in foto,
257
una località tra Vicenza e Venezia, tutta affrescata da Paolo Veronese, benvoluto
da Tiziano, così da diventare uno dei protagonisti dell’epoca. L’immagine a destra
fa capire che dipingendo egli realizza ambienti che mettono a contatto l’esterno
con l’interno.

Paolo Veronese, affreschi di Villa Barbaro, 1561-1562, Maser

258
Paolo Veronese, Cena in casa di Levi, 1573, Venezia, Gallerie dell’Accademia

Piena epoca di controriforma, Veronese ha la commissione di un’ultima cena,


egli inserisce tanti personaggi e tutto sommato il tema esce un po’
dall’essenzialità dell’ultima cena, per questo motivo l’opera viene presentata
all’inquisizione, egli dice che lo spazio della tela deve essere riempito e non deve
rimanere scarno. Infatti gli elementi che non corrispondono al testo dell’ultima
cena, infatti l’autore vede bene di cambiare il titolo in “cena in casa di Levi”.
L’episodio compare nel vangelo dove Cristo partecipa a cena a casa di un privato.
Veronese adotta un punto di vista dal basso all’anto, mettendo appunto
l’osservatore in basso. Lo sfondo ha edifici urbani che perdono riferimenti
naturalistici, si tratta di una rappresentazione quasi teatrale. I colori sono
vibranti.

259
03/05/2022 18° lezione

Taddeo Zuccari, Sala dei fasti farnesiani, 1562-1565, Caprarola, villa Farnese.

Taddeo Zuccari, il cardinale Alessandro Farnese incontra Carlo V a Worms, 1562-1565, Caprarola,
villa Farnese

A sinistra la sala decorata con episodi che raccontano momenti salienti della
famiglia (quella di Paolo III). Sulla destra l’episodio dell’incontro tra il cardinale
Alessandro Farnese e Carlo V, per esaltare le capacità e le strategie del pontefice.
Gli autori di questi affreschi sono diversi, il principale è Taddeo Zuccari, che
insieme al fratello Federico, è protagonista della seconda stagione del
manierismo romano, provengono da Sant’Angelo in Vado. Si stabiliscono poi a
Roma e li possiamo trovare in tanti cicli decorativi, sacri e profani.

260
Jacopo Barozzi detto il Vignola e Giacomo
della Porta (Facciata), chiesa del Gesù, Roma

Con il concilio di Trento si sancisce una linea guida del sacro e del profano,
vennero stabiliti principi che le opere dovevano rispettare. Qualora questi non
fossero stati rispettati le opere andavano nel tribunale dell’inquisizione.
La chiesa protestante non approvava le immagini, in quanto il popolo si
concentrava su quelle e non sugli episodi sacri. La controriforma stabilisce che
le immagini debbano essere uno strumento di ammaestramento del popolo.
Non esiste una seduta dove si parla espressamente delle immagini, viene solo
ribadito questo concetto, alla chiusura del concilio vengono scritti questi trattati.
Il prototipo della chiesa riformata è come la Chiesa del Gesù, bisogna eliminare
al suo interno ogni tipo di barriera, in modo da accogliere tutti i fedeli.
L’interno ha diversi altari distribuiti, ognuno con una pala di altare.

261
Scipione Pulzone, Giuseppe Valeriano, Gaspare Celio, Sposalizio della Vergine e Assunzione della
Vergine, 1584-1589, Roma, chiesa del Gesù

I colori degli abiti della Vergine sono uguali proprio per identificarla. Nello
sposalizio è presente anche Dio padre ad approvare la cerimonia. Una pittura
molto semplice e un’immagine comprensibile a tutti.
Qui si tratta ovviamente di pittura sacra e pubblica, gli artisti si attengono
pienamente alla regola. Non si pensa ad una rottura dalla tradizione, qualcuno
ritiene che la decadenza della pittura sacra si fa risalire a questo momento dove
la fantasia degli artisti va leggermente a calare.

262
Pasquale Cati, Concilio di Trento, 1588-89, Roma, chiesa di S. Maria in Trastevere

Artista marchigiano che lavora alla corte di papa Sisto V, marchigiano anch’esso.
L’immagine del concilio di Trento come strumento di avvicinamento del fedele al
culto è fondamentale.
Le pareti si riempiono di immagini affrescate, una è questa. Uno gli episodi è
quello del concilio di Trento, ci sono elementi legati alla tradizione, in modo da
farle percepire al fedele immediatamente. Lo Spirito Santo entra nella tela.

263
Federico Barocci, Madonna del popolo, 1575-1579, Firenze, Galleria degli Uffizi

Per gli uomini contemporanei le immagini devono prima di tutto stimolare la


devozione, e corrispondere al decoro e alla santità. Federico Barocci nasce e si
forma in Urbino, poi va a Roma e avrà un notevole successo. Crea poi una
bottega in Urbino, le chiese attuali presenti nella città hanno opere prodotte dai
suoi allievi.
Barocci ha committenze in tutta Italia.
L’immagine deve rappresentare il popolo che invoca Cristo, dai plebei ai
borghesi, con questo moto di affetto il popolo si riferisce all’intermediario, la
Vergine, contrapposta alla figura di Cristo. C’è una poetica degli affetti molto
fresca e naturale, si perde l’artificio degli artisti manieristi.

264
Ludovico Carracci, Annunciazione, 1585, Bologna, Pinacoteca Nazionale

Uno dei tre (due fratelli e un cugino, lui) Carracci che apre la nuova stagione
dopo la maniera.
Questa è la pittura sacra, realizzata da Carracci che appunto è anche un teorico
dell’arte. Egli propone un’annunciazione immediatamente riconoscibile, perché
egli fa uno studio capillare dei testi biblici. L’angelo spalanca le finestre ed entra
con lo spirito santo, Maria non lo guarda come da regola dell’annunciazione, lei
dice semplicemente sì, accetta il suo destino. Viene rievocata la tradizione
‘400esca con la prospettiva delle linee del pavimento che indicano profondità.

265
Annibale Carracci, La Bottega del macellaio, 1582-1583, Oxford, Christ Church Gallery

Lavoro svolto all’interno dell’accademia degli Incamminati. Agli inizi anche i


Carracci hanno queste pitture legate al quotidiano, come Caravaggio.
Le esigenze per cui nasce questa pittura ha basi comuni.
Si vogliono abbandonare gli eccessi manieristi in favore di un recupero del
rapporto arte/natura vicino al vero.
C’è qualcosa di più autentico e immediato, la scelta del soggetto fa mergere il
dare dignità che caratterizza lo stile. Emerge quasi una grandezza nel dare
dignità a questi soggetti. Attraverso questa nuova versione più verosimile viene
elevata l’ambientazione e la centralità dei diversi elementi mostrati.
Un’opera del genere ci immerge totalmente nel nuovo clima, corre pari passo
alle decisioni di un altro artista, Caravaggio.

266
Annibale Carracci, Ercole al bivio, 1596, Roma, Palazzo Farnese

Prima di arrivare a Roma, i fratelli Carracci erano già famosi a Bologna,


adottando un metodo di produzione che si rifà molto alla natura. Ercole deve
decidere se prendere la via del vizio o la via della virtù, decisamente meno chiara
e più faticosa.
C’è un aspetto legato all’idealizzazione della figura, le vie iniziano a divergere
tra Caravaggio e Carracci. Le diverse componenti sono dettate dalle esigenze di
adesione alla nuova pittura.
Carracci parte dell’esigenza di rapportarsi con la natura, ci si obbliga ad una
sorta di selezione dove la pittura viene idealizzata. Importante perché è quello
che poi si differenzia da Caravaggio.
Il dipinto si trova dello studiolo di Palazzo Farnese. La famiglia avvia momenti di
decorazione appunto del palazzo, il dipinto in questo momento, viene esposto.
Ercole era una figura che rappresentava appunto la vita virtuosa.

267
19° lezione 04/05/2022

Annibale Carracci, Roma, galleria di palazzo farnese, dal 1598

Dopo il dipinto di Ercole, commissionato al Carracci come prova, gli viene


commissionata la galleria, un complesso intreccio di affreschi che comprendeva
anche diverse sculture. Di fatto la decorazione prevedeva già la funzione di
esaltazione dell’antico. Il tema è micologico e i personaggi sono tutti mitologici,
presi soprattutto dai racconti di Ovidio.
Le opere sono reinterpretazione ma si basano tanto alla tradizione.

268
Annibale Carracci, Trionfo di Bacco e Arianna, dal 1598, Roma, Palazzo Farnese

Affreschi del genere diventeranno veri e propri punto di riferimento per la pittura
del ‘600.
C’è riferimento a Michelangelo con la torsione dei corpi, i colori sono simili a
quelli di Raffaello.
Questo processo di idealizzazione porta alla creazione di queste immagine, la
pittura è aulica e altisonante.
Anche l’ambientazione è già vista, composizioni non artefatte e luminose.

269
Annibale Carracci, fuga in Egitto, 1603-04, Roma, Galleria Doria Pamphili

Il vero protagonista di questa lunetta è il paesaggio. Vediamo Maria Giuseppe e


il piccolo Gesù che vanno verso l’Egitto. Il personaggio è umanizzato, mostra
chiaramente l’intervento dell’uomo nel governare la natura. Ci sono edifici
architettonici riconoscibili che fanno intuire come l’uomo abbia influito nel
modificare il paesaggio, uno dei primi esempi rappresentati.

270
Annibale Carracci, La Pietà, 1599-1600, Napoli, Museo di Capodimonte

Dipinto sacro che viene rappresentato da diversi altri artisti. Da molti punti di
vista emerge il processo che porta ad una selezione di elementi che si
allontanano alle fattezze di Michelangelo, i panneggi di Raffaello, e i colori della
pittura veneta.

271
Michelangelo Merisi detto Caravaggio, Bacco, 1596-97, Firenze, Galleria degli Uffizi.

Veneto di origine, viene a Roma per lavorare al farnese, Carracci è stato diversi
anni a lavorare in una bottega, invece.
Caravaggio acquisisce competenze che hanno una tradizione, legata alla regione
lombarda dove svolge la sua formazione.
Quando lascia la Lombardia per andare verso Roma, non ha mai avuto
committenze, ha sicuramente conoscenze. Quando arriva lavora per un po’ di
anni per la bottega di Giuseppe Cesari detto il Cavallino. Una delle botteghe
manieriste più importanti di fine ‘500. Ogni artista che la frequentava dopo si
specializzava in stili particolari. Caravaggio era legato alla rappresentazione di
elementi naturali che diventeranno una delle caratteristiche del primo momento.
Attraverso un’opera di questo genere si capisce che Caravaggio non si
improvvisa, ma ha uno studio profondo precedente.

272
Caravaggio, Riposo durante la fuga in Egitto, 1596-97, Roma, Galleria Doria Pamphili

Uno dei primi committenti di Caravaggio fu Vincenzo Giustiniani, che lascia degli
scritti con chiavi di lettura delle differenze tra artisti che studiano per disegno e
artisti che studiano per modello. La grande pittura del ‘600 si gioca tra questi
due estremi della medaglia, quindi con processo di idealizzazione o dal modello
che dal vero passa alla tela (quella di Caravaggio).
Un eterno rivale fu Giovanni Baglione, che accusò Caravaggio di diffamazione.
Caravaggio e Carracci si stimavano molto invece.
Orazio Gentileschi viene chiamato a testimoniare durante dei processi di
Caravaggio, egli diceva che gli aveva prestato un paio di ali e un saio da monaco,
che lui ricopiava disegnando per modello, direttamente sulla te. Qui vediamo le
ali in primo piano.
Nel momento in cui disegnava la prima scena poteva subito rappresentarla.
Nasce da una trasposizione che si dipinge dal vero. L’opera è abbastanza
complessa, piena di simbologie pazzesche. Il testo suonato proviene da uno
spartito di un musicista fiammingo. La madonna con il bambino, dietro troviamo
una natura florida. Sulla sinistra l’anziano san Giuseppe si appoggia sul sacco,
l’asino è personificato, partecipa alla scena e si inserisce con la testa tra gli
alberi. L’ambientazione è molto scura.

273
Cappella Contarelli, chiesa di San Luigi dei francesi, Roma

Cappello decorata da Caravaggio che lo fa conoscere molto bene al pubblico e al


privato. Era la chiesa dei francesi e la cappella della famiglia Contarelli, il ciclo
di opere è dedicato a San Matteo (nome del committente). Per Caravaggio è
un’impresa importante, prima aveva fatto solo ritratti o nature morte. Il luogo è
pubblico dove tutti i fedeli possono vedere. Al centro c’è San Matteo che legge il
vangelo, a destra il suo martirio e a sinistra la Vocazione di Matteo.

274
Caravaggio, vocazione di Matteo, 1600-1602, Cappella Contarelli, Roma

La luce è un elemento chiave, non è mai un elemento decorativo, è significante.


La luce significa salvezza divina. Tra il clima quasi claustrofobico, Matteo fa dei
conteggi quando entrano Gesù e Pietro, Caravaggio riprende il gesto della
creazione di Michelangelo, indicando il Personaggio di fronte. La luce si dirige
verso Matteo, la luce lambisce le parti più significative (mano/volto di Cristo).

275
Caravaggio, Martirio di San Matteo, 1600-1602, cappella Contarelli, Roma

Scena complessa, il tempo che viene impiegato per realizzare la scena è lungo.
I riferimenti sono tanti, la luce tocca il santo e il carnefice, l’angelo scende sulla
terra e tocca la mano del martire. La scena è chiusa composta da forme
classiche. La figura sullo sfondo pare essere l’autoritratto di Caravaggio.

276
Caravaggio, San Matteo e l’angelo, 1600-1602, già Berlino (distrutto nel 1945)

Ispirato al primo dipinto, è evidente il fatto che Matteo non sapesse scrivere.

277
Caravaggio, San Matteo e l’angelo, 1600-02, cappella Contarelli, chiesa di San Luigi dei Francesi, ROma

278
Roma, chiesa di Santa Maria del Popolo, cappella Cerasi • Pala d’altare: Annibale Carracci, Assunzione della
Vergine, 1600

All’interno della cappella i Cerasi commissionano la pala d’altare e i due laterali,


al centro commissionata per Annibale Carracci, i laterali a Caravaggio.

279
Caravaggio, Conversione di Saulo, 1601, Santa Maria del Popolo, cappella Cerasi, Roma

Seconda versione

280
Caravaggio, Conversione di Saulo, 1601, collezione Odescalchi, Roma

Prima versione

281
Caravaggio, Crocifissione di San Pietro, 1601, Santa Maria del Popolo, cappella Cerasi, Roma

Pietro è molto umano sembra poco il rifondatore della chiesa romana e il capo.

282
Caravaggio, Deposizione di Cristo, 1602-03, Pinacoteca Vaticana (già Santa Maria della Vallicella,
cappella Vittrice, Roma)

Punto di vista diagonale come nei quadri sopra, siamo dentro il sarcofago,
vediamo dal basso.
C’è un grande pathos.

283
Caravaggio, Madonna dei pellegrini, 1604-05, Sant’Agostino, Roma madonna di Loreto

Caravaggio, Morte della Vergine, 1606, Musée du Louvre, Parigi (già Santa Maria della scala, cappella
Cherubini, Roma)

La prima una madonna di Loreto. Lascia l’iconografia tradizionale e dipinge una


donna semplice e comune che si affaccia dalla casa da cui esce sulla soglia. Come
se fosse colta da questi due personaggi ai quali mostra il bambino. I pellegrini
sono affaticati. La luce indica ancora una volta la salvezza per coloro che vogliono
seguire la via di Cristo.
Vedi la 2

284
Caravaggio, David con la testa di Golia, 1610, Roma, Galleria Borghese

Realizzato poco prima la morte di Carracci, episodio biblico dove viene


rappresentata la testa mozza di golia ucciso da David.
Diversamente da Carracci che hanno una scuola e la prevedono per gli allievi,
Caravaggio non può farlo, ma ci sono diversi artisti che lo seguono. Ci sono quelli
che lo hanno conosciuto direttamente e quelli che hanno conosciuto le sue opere
e appreso attraverso quelle.

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