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MODERNA
A.A. 2021/2022
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STORIA DELL’ARTE MODERNA
AA.2021/2022
22/02/2022 1° lezione
Introduzione
Fare partire la storia dell’arte moderna dalla fine del ‘400 non è ritenuto del tutto
corretto.
Parte tutto agli inizi del secolo, a Firenze, con Filippo Brunelleschi e l’invenzione
della prospettiva lineare centrica, che crea un punto di svolta tra il gotico e il
vero rinascimento. Segna il cambiamento della visione dell’uomo e della sua
consapevolezza, si approccia alla natura in modo diretto e la misura, cosa che
prima non si faceva.
Nel corso si arriva fino alla fine del ‘600, anche se si potrebbe arrivare fino alle
avanguardie dell’800.
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Firenze
Tommaso di ser Giovanni, detto Masaccio (1401-1428)
Tommaso di ser Giovanni, detto Masaccio (San Giovanni Valdarno 1401- Roma 1928) Trinità, Firenze, S.
Maria Novella
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L’opera è super moderna, rappresenta i due elementi di modernità nel primo
‘400 a Firenze.
Donatello (1386-1466)
Donato di Niccolò di Betto Bardi detto Donatello (Firenze 1386-1466). Crocifisso. 1410-1415, Firenze, S.
Croce
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Filippo Brunelleschi (1377-1446)
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Filippo Brunelleschi, pianta della chiesa di S. Lorenzo, Firenze, dal 1428
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Filippo Brunelleschi, interno della Chiesa di S. Lorenzo, Firenze, dal 1428
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Filippo Brunelleschi, sagrestia della chiesa di S. Lorenzo, Firenze, 1421-28
Questa è la sagrestia vecchia (quella nuova sarà costruita 100 anni dopo).
Brunelleschi voleva enfatizzare il grigio della pietra serena e il bianco
dell’intonaco, i rilievi sono realizzati da Donatello e infatti non seguono il rigore
di Brunelleschi essendo colorati. Le figure geometriche sono molto presenti e
otticamente perfette: cerchio, quadrato, arco. La cappella che fa da abside è
quadrata e prende il nome di scarsella.
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Filippo Brunelleschi, cupola del Duomo di Firenze, dal 1420
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23/02/2022 2° lezione
Donatello
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La nicchia ha forme gotiche, con arco trilobato e pennacchi, potrebbe sembrare
una contraddizione, ma il contemporaneo non vedeva niente di strano del
mischiare gotico e nuovo linguaggio rinascimentale.
La grande novità arriva nel basamento, come una specie di predella di una base
di altare, in questo spazio si nasconde la tecnica dello schiacciato (rilievo in primo
piano e paesaggio più sottile) che raffigura la scena di S. Giorgio che uccide il
drago. Lo sfondo ha una rappresentazione dell’ambiente, una novità.
Questa tecnica sarà applicata anche al metallo, non solo al marmo.
Lorenzo Ghiberti
Lorenzo Ghiberti, San Giovanni, 1412-1416, San Michele, 1925 Firenze Museo di Orsanmichele 1
In S. Giovanni il panneggio è sinuoso e ricco, artista molto più vicino alla corrente
gotica, che fa una scelta che è quella di “negare” l’antico.
Anche S. Stefano ha il dettaglio del panneggio.
Entrambe inserite in nicchie facente parti i 4 lati della chiesa, parlano un
linguaggio gotico.
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Nanni di Banco
Questa statua è molto particolare, gli evangelisti sono disposti a cerchio e tutto
ciò attribuisce maggior profondità all’opera, anche qua i panneggi sono molto
dettagliati. Nella predella viene rappresentato il lavoro che proteggono i santi, i
maestri della pietra e dei legnami.
Nanni di Banco si muove sulla linea di modernità simile a quella di Donatello,
altri artisti sono figure di cerniera tra gotico e moderno.
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Lorenzo Ghiliberti e Filippo Brunelleschi
Lorenzo Ghiberti / Filippo Brunelleschi, sacrificio di Isacco, 1401, Firenze, Museo nazionale del
Bargello
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Donatello
Donatello, Profeti 1420-1436 ca., Firenze, Museo dell’opera del duomo, provenienza campanile del
duomo
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Donatello, Profeta con cartiglio, Abaruc, dettaglio
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Donatello, David, 1440 ca., Firenze, museo nazionale del Bargello
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Masaccio e Masolino
Masaccio e Masolino (1424-1428), Filippino Lippi (1481-1485), cappella Brancacci, S. Maria del
Carmine, Firenze, 1424-1485 ca.
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01/03/2022 3° lezione
Cappella Brancacci
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Masaccio, La Cacciata del Paradiso terreste, 1424-1425. Masolino, il peccato originale, 1424 ca.
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Entrambi conoscevano l’anatomia e questo è evidente, cambia il modo di
rappresentare le emozioni. Masaccio è essenziale, come diceva Vasari “Masaccio
è puro e senza ornato”, egli toglie tutto quello che è superfluo al nodo narrativo,
al significato più profondo.
Masaccio, cacciata dal paradiso terrestre. Torso del Belvedere, I-II sec. A.c. Città del Vaticano,
musei vaticani. Venere dei Medici, IV sec. A.c. Firenze, Galleria degli Uffizi
Masaccio parte dal nucleo della questione, agli apostoli viene richiesta una tassa
per attraversare da una regione all’altra, loro non hanno soldi e si affidano a
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Gesù, che gli dice di andare nel fiume, così troverà nella bocca di un pesce il
denaro a loro necessario. Non c’è una disposizione cronologica in questo
affresco, perché il nucleo fondamentale della narrazione è quando Pietro crede
alla parola di Dio, e ciò costituisce il miracolo. Al centro c’è Cristo che gli dice di
andare con un gesto esplicito, che viene ripetuto dallo stesso Pietro, facendo
spostare gli occhi verso sinistra. Poi verso destra Pietro paga il gabelliere ed
entrano in una città nuova, cioè Firenze, il paesaggio è brullo perché non deve
distogliere l’attenzione dal momento che si vuole raccontare. Le forme sono
solide, ci sono ombre, rappresenta cose concrete, e lì si legge la sua novità di
linguaggio.
Masaccio, Battesimo dei neofiti, 1427/28, Firenze, S. Maria del Carmine, cap. Brancacci
S. Pietro battezza con l’acqua del Giordano nuovi credenti alla parola di Dio. C’è
un dettaglio. Il personaggio che si copre le braccia perché ha freddo, il paesaggio
è brullo ed è inverno quindi. Nel momento in cui i neofiti si spogliano e vengono
bagnati con l’acqua fredda del fiume, si riesce a fare entrare l’osservatore nella
realtà della rappresentazione.
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Masaccio, San Pietro risana gli infermi con la propria ombra, 1427/1428, Firenze, S. Maria del
Carmine, cap. Brancacci
S. Pietro passa e gli infermi vengono risanati. La realtà qui è data dalla città, che
parla del contemporaneo. Non c’è timore di raccontare gli infermi con disagio
(cosa che nel gotico veniva rappresentato in modo grottesco), si racconta la
realtà in modo semplice e spoglio. S. Pietro che avanza sembra uno dei
personaggi creato senza fronzoli, ma che rappresenta una forte solennità.
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Masaccio, Distribuzione dei beni e morte di Anania, 1427/1428, Firenze, S. Maria del Carmine, cap.
Brancacci
Si riconduce la visione umana alla realtà dei fatti, nell’ambito della città (con
elementi medievali e classici). C’è una tradizione locale che un po’ alla volta
acquista un linguaggio più comune con l’avvento dell’antico, la colonna con
capitello è un elemento antico, che può essere trovato in pittura fiorentina ma
anche padovana.
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Masaccio, chiesa del Carmine di Pisa
Masaccio, ricostruzione del Polittico di Pisa, già nella chiesa del Carmine di Pisa, 1426, per la cappella
di Giuliano di Colino degli Scarsi
A sinistra le parti superstiti, a destra quelle parti all’interno nella cornice che
presumibilmente doveva avere, creata in stile gotico. Masaccio ha dovuto
sottostare alle direttive e alle indicazioni del committente, Giuliano di Colino degli
Scarsi, che nel 1426, commissiona questo Polittico. La cornice probabilmente era
già stata creata, un’usanza presente al tempo. Il committente oltre ad imporre
il polittico (che divide il soggetto in pezzi), vuole utilizzare il fondo oro, che
presumibilmente non piaceva a Masaccio. Comunque non rinuncia alle sue
convinzioni sulla modernità. Molto spesso i polittici venivano smembrati e
venduti, quindi è difficile ricostruirli, visto che erano sparsi.
Il polittico è diviso in ordini (centrale, superiore)
I santi Pietro e Paolo sono negli scomparti superiori laterali alla cimasa
(crocifissione).
Gli scomparti laterali a quello centrale raffigurano ipoteticamente altri santi
Altri santi sono rappresentati nei pilastrini laterali, piccoli scomparti.
La parte inferiore è detta predella, formata anch’essa da pezzi molto piccoli
Il racconto della vita di Cristo è nella cimasa o nella predella.
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Masaccio, Madonna col bambino in trono, 1426, Londra, National Gallery
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Masaccio, Crocifissione, 1426, Napoli, Museo nazionale di Capodimonte
Masaccio non smentisce sé stesso neanche qui, l’elemento che ci fa capire che
lui rappresenta le cose così come si vedono è la rappresentazione del corpo di
Cristo, che ha la testa incassata, non c’è niente di levigato. Il corpo è quello di
un uomo morto. Si vede anche il dolore della Madonna nel suo volto, la
Maddalena è prostrata con le braccia spalancate, facendo riferimento ai rilievi
antichi, che dà la sensazione di profondità.
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Masaccio, Adorazione dei Magi, 1426, Berlino, Staatliche museen
Gentile di Niccolò detto da Fabriano, Adorazione dei Magi, 1423. Firenze, Galleria degli Uffizi,
provenienza: chiesa di S. Trinità, per cap. Strozzi
Fra Giovanni da Fiesole detto Beato Angelico, Annunciazione 1449-1450, Firenze, Museo di San
Marco
Siamo dopo Masaccio, circa la metà del ‘400. Beato Angelico dimostra di saper
conoscere quegli elementi nuovi come la prospettiva e il ritorno al passato. Al
tempo stesso lascia gli elementi che possono mantenere la sua pittura più
comprensibile, per mantenere l’opera chiara (lui era un frate e il suo scopo era
quello dell’evangelizzazione). Ci sono significati simbolici: il recinto (dove era
inscritta la vergine). Questo linguaggio è più morbido.
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Beato Angelico, Pala di San Marco, 1438-1440, Firenze, Museo Nazionale di San Marco
Beato Angelico, Miracolo dei SS Cosma e Damiano, predella della pala di S. Marco 1438, Firenze,
museo di S. Marco
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02/03/2021 4° lezione
Lo sfondo è sulla città, c’è uno studio e utilizzo della prospettiva. Il dettaglio
dell’ampolla in basso a destra richiama la cultura figurativa fiamminga, che
Filippo aveva studiato, a Firenze e dintorni erano conosciuti pittori fiamminghi,
che avevano un’attenzione al particolare, trasmettevano la realtà in modo
calligrafico. Questa attenzione al particolare riprodotta nelle opere viene
eseguita in primo piano e sullo sfondo, riprodotto con maestria.
I pittori fiamminghi erano maestri nella pittura ad olio (Italia: tempera grassa).
La prospettiva che riproducevano era più ampia (non proprio lineare centrica
fiorentina), l’utilizzo della luce si rifà sullo sfondo con aperture e richiami.
Filippo Lippi mantiene la visione della doppia arcata ma sposta i personaggi a
destra, se togliessimo le arcate l’immagine sarebbe comunque unitaria perché è
sullo sfondo.
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Filippo Lippi, Incoronazione della Vergine, 1455-1465 ca., Firenze, Galleria degli Uffizi, commissionata
dal canonico Francesco Maringhi per la chiesa di S. Ambrogio
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Domenico Veneziano
Domenico Veneziano, Pala di S. Lucia dei Magnoli, 1445 ca., Firenze, Galleria degli Uffizi
Utilizzo particolare dei colori e della luce. Il pittore veneziano si sposta a Firenze
e abbraccia la struttura dell’immagine fiorentina. È una sacra conversazione, la
vergine è sopra elevata e i personaggi disposti a corolla intorno a lei, facendo
intendere i gesti e le espressioni che si fanno durante una conversazione.
Le ombre sono leggere e delicate. L’architettura riprende quella delle domus
romane, con colonne, archi e volte.
Piero della Francesca lavorò con lui quando era molto giovane, le scelte legate a
colore e forme sono influenzate anche da lui.
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Andrea del Castagno
Andrea del Castagno, Ultima cena, 1447, Firenze, Cenacolo di Santa Apollonia
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Benozzo Gozzoli
Benozzo Gozzoli, affreschi della Cappella dei Magi, Firenze, Palazzo, Medici Riccardi, 1459
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Benozzo Gozzoli, Corteo di Baldassarre, 1459, cappella dei Magi, Firenze, Palazzo Medici Riccardi
Benozzo Gozzoli, Corteo di Gasparre, 1459, cappella dei Magi, Firenze, Palazzo Medici Riccardi
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Benozzo Gozzoli, Corteo di Gasparre, 1459, Cappella dei Magi, Firenze, Palazzo Medici Riccardi,
particolare con autoritratto
Benozzo Gozzoli è rappresentato al centro con il cappello rosso con inciso il suo
nome, è l’unico personaggio che guarda verso l’osservatore.
Desiderio da Settignano
Desiderio da Settignano, Tabernacolo del Santissimo Sacramento, 1460ca., Firenze, San Lorenzo
Il tabernacolo allude alla chiesa antica e per arrivare ad aprire questo portello si
pensa alla porta di una chiesa. Questa è la tecnica dello schiacciamento.
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Ci spostiamo a Padova seguendo Donatello
Donatello, Monumento a Erasmo da Narni detto il Gattamelata, 1447-1453 ca., Padova, piazza del
Santo
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Padova, Basilica del Santo, altare maggiore 1446-1448
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Donatello, Crocifisso, Padova, 1443, basilica del Santo
Donatello, Madonna col Bambino, Padova, Altare del Santo 1446-1448. Donatello, San Daniele,
Padova, Altare del Santo, 1446-1448
Donatello, Cristo in Pietà, Padova, Altare del Santo 1446-1448. Donatello, Deposizione nel sepolcro,
Padova, Altare del Santo
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Donatello, Miracolo della mula, Padova, Altare del Santo 1446-1448
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08/03/2022 5° lezione
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Padova, chiesa degli Eremitani, cappella Ovetari (1448-1457), ricostruzione virtuale
Mantegna non è stato l’unico artista a contribuire alla realizzazione della cappella
(come avvenne nella cappella Brancacci con Masaccio e Masolino), alcuni artisti
facevano parte della tradizione tardo gotica. Mantegna è un artista che si forma
a Padova e va a scuola di Francesco Squarcione, che apre una bottega famosa,
garantendo di insegnare ai sui allievi quelli che sono gli elementi della modernità.
Gli elementi sono: la prospettiva, già negli anni ’40 il maestro era in grado di
insegnarla a Padova; l’altro elemento è il saper presentare dei modelli dell’antico.
Squarcione aveva una collezione di sculture classica, il giovane Mantegna
acquisisce una consapevolezza nei confronti di questi due elementi che
diventeranno due caratteristiche tipiche della sua arte.
Quando viene chiamato a dipingere episodi in questi cappella viene scelto perché
sa riproporre questi due elementi in modo eccellente.
Un altro artista uscito dalla bottega di Squarcione che lavora alla cappella è
Niccolò Pizzolo, che realizza gli oculi degli spicchi della volta, non famoso come
Mantegna perché morì giovane, ma ai tempi di gioventù entrambi dimostravano
al meglio gli elementi di modernità.
Visto che l’affresco richiede del tempo vengono chiamate altre persone a
realizzare gli spicchi della volta, provenienti dalla bottega dei Muranesi, della
famiglia Vivarini, ancora legati al gotico.
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Padova, chiesa degli Eremitani, cappella Ovetari, parete destra, dopo il restauro
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Campagna fotografica realizzata prima del bombardamento
Grazie a queste immagini è stato più facile restaurare le opere distrutte dal
bombardamento (Cesare Brandi), lasciando neutri dove c’erano parti mancanti.
Le prime pareti sono uguali, gli episodi distinti da una cornice, l’ultima fila a
destra ha un episodio unico
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Andrea Mantegna, Martirio e trasporto di San Cristoforo, 1450-1457 ca., Padava, chiesa degli
Eremitani, cappella Overati.
Ultima opera che svolge per la cappella, che stabilisce la fine di un percorso
influenzato dalle correnti fiorentine di Donatello, specialmente la pala di altare a
campo unificato, come è rappresentato in questa immagine. Si avverte in
particolar modo la profondità dello spazio fino allo sfondo. Mantegna elabora la
necessità di creare uno spazio unitario, la colonna è solo una cerniera che
mantiene la continuità dell’edificio.
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Niccolò Pizzolo e Giovanni da Siena, Sacra Conversazione 1450 ca., Padova, chiesa degli Eremitani,
cap. Overati
Si ispira alla pala di altare del Santo di Donatello, pur essendo questa in due
dimensioni e prodotta in argilla.
Niccolò Pizzolo aveva anche prodotto gli oculi della cappella. Giovanni da Siena,
toscano di origine, probabilmente spostato a Padova insieme a Donatello.
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Niccolò Pizzolo, Padri della Chiesa, 1448-1450, abside della cappella Overati
Niccolò Pizzolo e Giovanni da Siena, Sacra conversazione + schema della pala del Santo di Donatello
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Verona
Andrea Mantegna, Sacra conversazione (Pala di San Zeno) 1457-1459, Verona, san Zeno. Predella:
orazione nell’orto, Tours, Musée des Beauz- Arts; Crocifissione, Paris, museée du Louvre;
Resurrezione, Tours, Musée des Beaux- Arts
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Dettagli+ predella di Gesù nell’orto
51
Mantova
La chiesa era importante per l’artista perché all’interno aveva una reliquia
importante. Si tratta di una ristrutturazione, Ludovico Gonzaga chiede a Leon
Battista Alberti una ristrutturazione abbastanza radicale.
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Andrea Mantegna
Andrea Mantegna, camera picta, 1465-14674, Mantova, Castello San Giorgio, soffitto
54
Andrea Mantegna, camera picta, 1465-14674, Mantova, Castello San Giorgio, parete con L’incontro di
Ludovico Gonzaga con il figlio cardinale Francesco
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09/03/2021 6° lezione
Ferrara
Ferrara è governata dagli Este, il territorio è ricco dal punto di vista artistico e
culturale.
Il critico d’arte Roberto Longhi ha inaugurato una compagnia d’arte chiamata
“officina estense” dove si indaga sugli artisti che lasciano opere nei territori
ferraresi, caratterizzate da uno stile molto particolare.
Cosmè Tura
Opera realizzata per essere un ornamento nello studiolo di Leonello d’Este, non
è la sola musa che fa realizzare. Ovviamente ricordano l’antico essendo miti e
rappresentando arti. Questa in particolare ha un soggetto ambiguo, interpretato
inizialmente come la primavera.
Tura ha una pittura distinguibile e particolare: durezza delle pieghe, spigolose,
probabilmente aveva visitato l’altare del Santo di Padova; le ombreggiature che
emergono dalle diverse tonalità dell’abito sono riconducibili al bronzo, materiale
utilizzato da Donatello; vengono aggiunti elementi fantastici, gemme, pietre.
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Tura per un certo periodo è anche pittore di corte, quindi fa diverse opere, che
hanno una particolare attenzione al dettaglio influenzato dalla pittura fiamminga.
Cosmè Tura, Annunciazione/ San Giorgio, 1469, Ferrara, Museo del Duomo, sportelli dell’organo della
cattedrale di Ferrara
Cosmè Tura è a conoscenza delle novità ritenute tali a Firenze? Certo, i festoni,
le strutture architettoniche e lo spazio unico sono i dettagli che ce lo fanno
capire. La durezza degli arti, dei volti e degli indumenti è però prettamente
ferrarese.
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Palazzo Schifanoia
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Gli affreschi ad oggi non sono completi a causa del tempo e degli avvenimenti
storici, è ancora ben visibile che le pareti sono tripartire, con una parte inferiore,
una mediana e una superiore, ogni comparto ha un soggetto autonomo ma ogni
parete è divisa in tanti settori quanti sono i mesi dell’anno. Almeno tre sono stati
realizzati da Francesco del Cossa.
C’è la testimonianza del suo lavoro perché ne parla in alcune lettere, esprimendo
il suo disdegno per quanto riguarda la paga a lui attribuita, per lui troppo bassa.
Pellegrino Prisciani, segretario e letterato sceglie i soggetti per conto di Borso
d’Este.
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Francesco del Cossa
Mese di marzo, del toro, all’interno c’è la personificazione del Dio Marte che si
inginocchia alla donna, quindi la guerra che viene sconfitta dall’amore.
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Francesco del Cossa, mese di aprile, 1467-70, Ferrara, Palazzo Schifanoia
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Milano
Vincenzo Foppa
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Vincenzo Foppa, San Girolamo nel suo studio, 1464-68, Milano, Sant’Eustorgio, cappella Portinari,
spicchio di volta
Episodi principali dedicati alla vita di S. Pietro Martire. Qui c’è raffigurato il padre
della chiesa, S. Girolamo.
C’è un episodio simile nella chiesa degli Eremitani, con gli oculi di Niccolò Pizzolo
all’interno della cappella Ovetari che illustrano alcuni personaggi.
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Vincenzo Foppa, Miracoli e Morte di san Pietro martire, 1464-1468, Milano, Sant’Estorgio, cappella
Portinari
Episodi della vita e della morte del frate domenicano, condannato a morte
tramite lapidazione, segno distintivo del santo rispetto all’omonimo Pietro che
ha con sé le chiavi.
La città è rappresentata con criteri precisi, la gamma cromatica è vivace (facendo
riferimento al naturalismo lombardo).
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Vincenzo Foppa, Polittico di Santa Maria delle Grazie, 1476, Milano, Pinacoteca di Brera
C’è un ritardo temporale in confronto ai polittici fiorentini, che partono dagli anni
’40 del ‘400.
Viene rappresentata la vita di S. Francesco (cimasa). All’interno del polittico non
c’è un’unità di spazio.
La cultura parla ancora un linguaggio che si rifà alla tradizione gotica, c’è
prospettiva ma il fatto di non avere spazi unici non mantiene il fattore di novità
vivido.
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Venezia
Antonio Vivarini
Antonio Vivarini, Polittico di San Zaccaria, 1444 ca., Venezia, chiesa di San Zaccaria
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Antonio Vivarini, Sacra conversazione, 1446 ca., Venezia, Gallerie dell’Accademia, provenienza: Scuola
grande della Carità
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15/03/2022 7°lezione
Jacopo Bellini
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Jacopo Bellini, Flagellazione 1440-60, taccuino di disegni del Louvre
Questi taccuini fanno intendere che Bellini fosse al corrente delle regole della
prospettiva, addirittura il soggetto non è in primo piano.
I disegni danno un altro dato, essendo in taccuini venivano tenuti nella bottega,
che pullulava di allievi, avevano lo scopo di insegnare.
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Giovanni Bellini
Andrea Mantegna, Orazione nell’orto, 1453-54, Londra, National Gallery. Giovanni Bellini, Orazione
nell’orto 1459? – 1465/70? , Londra, National Gallery
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Giovanni Bellini, Polittico di San Vincenzo Ferreri,1464-1465, Venezia, Santi Giovanni e Paolo
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Giovanni Bellini, Incoronazione della Vergine. 1471-74, Pesaro, Musei civici. Cimasa:
Imbalsamazione di Cristo, Città del Vaticano, Musei Vaticani
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Piero della Francesca, Pala di San Bernardino, 1472-74, Milano, Pinacoteca di Brera, provenienza: Urbino,
Chiesa di S. Bernardino
Queste pale danno l’avvio ad un percorso che gli artisti successivi sceglieranno.
Un altro è il Polittico di San Cassiano di Antonello da Messina.
I tre pittori si sono incontrati? Chi è stato il primo ad elaborare una soluzione
finale? Probabilmente gli elementi sono maturati nello stesso elemento, è un
elemento significativo per la storia dell’arte di questo periodo.
73
Giovanni Bellini, Pala di San Giobbe, post 148, Venezia, Galleria dell’Accademie
Arte di Bellini aderente alle novità del tempo, molto probabilmente influenzato
da Piero della Francesca.
La cappella è al chiuso, la Vergine sull’altare, i santi disposti a corolla per
percepire lo spazio percorribile, la luce è morbida e dorata (non si deve tenere
troppo conto delle immagini a colori perché possono essere ingannevoli a
seconda del mezzo di trasmissione, ideali sarebbero le immagini in bianco e
nero).
Le pale inserite nella chiesa danno l’illusione di uno spazio percorribile, con
l’elemento uniformante della volta a botte.
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Giovanni Bellini, Trittico dei Frari, 1488, Venezia, S. Maria gloriosa dei Frari
Spazio chiuso ma semi-aperto. Nei lati estremi del trittico c’è un’apertura verso
l’esterno, come una sorta di porticato.
L’oro sottolinea l’aspetto sacrale della madonna con il bambino in una situazione
naturalistica, la cornice è più sobria confronto a quelle di qualche decennio
precedente. La tripartizione asseconda la struttura architettonica (come
Mantegna con quella di S. Zeno).
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Antonello da Messina
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Colantonio, San Girolamo nello studio, 1445-46, Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte
77
Antonello da Messina, San Girolamo nello studio, 1474, Londra, National Gallery
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Antonello da Messina, Sacra conversazione (pala di San Cassiano), 1475-76, Vienna, Kunsthiotisches
Museum, provenienza: Venezia, chiesa di S. Cassiano su commissione di Pietro Bon.
Una sacra conversazione che insieme alle opere di Bellini e della Francesca ispira
le opere successive.
Antonello va a Venezia da Napoli, il viaggio è segnato sicuramente da influenze
artistiche.
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Antonello da Messina, Vergine Annunziata, 1476-77, Palermo, Galleria regionale della Sicilia
Opera a sé, non fa parte di un polittico. Fa capire che ha incontrato Piero della
Francesca (figure ovali perfette). La Madonna si tiene il velo con modestia.
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16/03/2022 8° lezione
Urbino
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Urbino, palazzo ducale, 1455-81 ca, facciata ad ali
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Urbino, palazzo ducale,1468-72 ca, cortile d’onore
Qua sono racchiusi tutti gli elementi architettonici dell’Italia del rinascimento,
con un linguaggio proposto anche da Brunelleschi e Leon Battista Alberti. I locali
della biblioteca sono accessibili ai piani bassi, Federico creò una grande base
culturale umanistica in questa biblioteca. Nel cortile, gli archi dividono lo spazio
in modo preciso, con occhielli, capitelli e pilastri, tutto ciò richiama al
Brunelleschi. Importanti sono anche i fascioni che corrono attorno ai 4 lati del
cortile perché oltre a scandire i 4 ordini del palazzo, hanno inciso in scrittura
capitale latina il racconto di Federico Da Montefeltro, essendo il cortile il primo
spazio che accoglie il visitatore. Vengono descritte le sue cariche e
caratteristiche.
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Urbino, palazzo ducale, biblioteca del duca
La biblioteca conserva poco, perché con il ritorno di Urbino allo stato della
Chiesa, agli inizi del ‘600, i cardinali incaricati di seguire i territori, fanno portare
via le opere raccolte nella biblioteca. I testi manoscritti e a stampa sono infatti
ancora oggi uno dei beni più preziosi delle biblioteche Vaticane. Nel frattempo
l’ultimo duca di Urbino, Della Rovere, sa che lo stato tornerà alla Chiesa, fa
trasferire tutto o quasi e lo dà in eredità alla nipote, che sposerà un Medici.
Quando i legati pontifici arrivano in Urbino prendono tutto ciò che è rimasto, in
primis i libri.
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Federico e Guidubaldo da Montefeltro, 1476-77, Urbino, Galleria Nazionale delle Marche
L’autore non è certo, considerato il biglietto da visita del duca, vuole dimostrare
la sua duplice natura: uomo di lettere e guerriero.
Egli non veste l’elmo, lo posa in terra, come la lancia che ha la punta rivolta
verso il basso; ciò significa che per lui le armi saranno utilizzate solo per
difendersi. Ciò era un monito per chi aveva intenzioni bellicose verso i suoi
territori.
Ci sono simboli onorifici che fanno parte del linguaggio della cultura delle corti:
la giarrettiera e il collare d’ermellino consegnate dal re d’Inghilterra e il re di
Napoli, corrispondono alla dimostrazione di possesso di valori di lealtà e fedeltà.
Un altro elemento evidente che rappresenta un fattore di orgoglio per Federico:
il figlio Guidobaldo, la garanzia della continuità che possono godere le persone
che vivono nel Montefeltro.
La Chiara in alto a sinistra ricorda i legami con la Chiesa.
86
Urbino, palazzo ducale, Studiolo, 1476
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Benedetto da Maiano, studiolo del duca, tarsie lignee, Urbino, Palazzo Ducale
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Pareti di uomini illustri, alcuni sparsi in Francia. La foto è stata scattata in
occasioni di una mostra temporanea in cui tutti i personaggi sono stati rimessi
al posto originale.
I colori sono sgargianti, l’autore è Giusto di Gand ma c’è sicuramente l’intervento
di un secondo artista, la sua identità è ancora un dubbio.
Nel ciclo degli uomini illustri sono riportati esempi di vita virtuosa, è
un’iconografia consueta dei palazzi nobili dei collezionisti. Federico raccoglie i
ritratti di questi personaggi, sia dell’antichità che del contemporaneo, sia pagani
che cristiani; come concetto umanistico è la riconciliazione delle due culture dopo
il medioevo. Viene raffigurato Omero accanto ad un pontefice, Euclide affianco
ad un umanista, per l’uomo dell’epoca era una cosa rivoluzionaria. Le tavole oggi
sono state separate l’una dall’altra, ma nascono insieme, all’epoca c’erano anche
iscrizioni che avevano il nome del personaggio e una dedica di Federico dove
esprime il suo rapporto in relazione al personaggio. Sono esempi di virtù con il
quale Federico si è confrontato sullo stesso piano, i personaggi diventano signori.
89
Giovanni Santi, le muse Clio e Melpomene, 1480-90, Firenze, Galleria Corsini, provenienza: Urbino,
palazzo ducale, tempietto delle muse
90
Piero della Francesca
Piero della Francesca, ritratto dei duchi Federico da Montefeltro e Battista Sforza, 1472-74, Firenze, Galleria
degli Uffizi
Nel ‘600 prima di svuotare i palazzi sono stati fatti degli inventari che tengono
conto dove si trovano tutte le opere, questi due ritratti oggi riconosciuti come
capolavori, erano in un guardaroba e vengono descritti accanto a delle “sedie
buone da fare il fuoco”. La considerazione di questi dipinti cambia quindi con il
tempo. La memoria dei duchi di Urbino nel ‘600 inizia a cedere, erano passati
secoli.
La pittura stessa di Piero della Francesca per molti anni non piace, considerata
poco naturalistica, viene recuperata da Roberto Longhi nel ‘900.
Piero della Francesca lavora in diverse città italiane, ha realizzato diverse cose
per Urbino ed aveva un rapporto diretto con Federico da Montefeltro.
La luce colpisce a primo impatto, è limpida e non crea vere e proprie ombre. Le
immagini sembrano astratte, atemporali e quindi moderne.
Lo sfondo è minuzioso e dettagliato, c’è un po’ di foschia ma è tutto ben
distinguibile, caratteristica della pittura fiamminga dove Piero si era affacciato.
C’è una connessione tra Piero della Francesca e Domenico Veneziano? Si, essi
lavorano insieme nella chiesa di S. Egidio a Firenze (Piero era un giovane aiuto),
si giustifica così l’utilizzo dei colori e della luce.
Piero riconduce ogni elemento della natura alla perfezione della forma
geometrica, ecco il senso di immobilismo.
91
Piero della Francesca, Trionfo dei duchi Federico da Montefeltro e Battista Sforza, verso dei Ritratti, 1472-
74, Firenze, Galleria degli Uffizi
92
22/03/2021 9° lezione
Piero della Francesca, Pala di San Bernardino, 1472-74, Milano, Pinacoteca di Brera, provenienza:
Urbino, chiesa di S. Bernardino
Nota anche come Pala dei Montefeltro. È una delle tre pale che segnano il
cambiamento della tecnica per le pale a campo unificato (insieme a Giovanni
Bellini e Antonello da Messina). La vergine è collocata sopra un altare, è una
sacra conversazione perché i santi sono disposti a corolla, il duca Federico è
inginocchiato vicino all’osservatore. Una novità è il collocamento dei personaggi
all’interno di strutture architettoniche rinascimentali. Lo spazio si apre
illusoriamente in profondità. Ci sono assenze: Battista Sforza (probabilmente era
già morta), che si sarebbe dovuta trovare di fronte al san Giovanni Battista, suo
protettore. Il bambino addormentato sembra alludere ad un sogno eterno e a
ricondursi alla moglie, morta nel parto.
La caratteristica atemporale di Piero rende difficile individuare un percorso
cronologico nella sua pittura, anche se i critici si sono impegnati in questo.
Spesso uova di struzzo, collegati alla rinascita erano appesi in chiese.
93
Piero come sempre costruisce le sue figure, riconduce ogni elemento naturale al
rigore perfetto della forma geometrica.
La volumetria dei personaggi ricorda quella di Masaccio, da cui si è ispirato.
Quello che manca in Piero di Masaccio è l’espressività. La pittura di Piero è eterna
e ci si avvicina ad un’espressione metafisica.
Il suo passaggio a Firenze è fondamentale per Piero, influenzano l’arte futura
dell’artista, lavora per Domenico Veneziano e si ispira a Beato Angelico per
l’utilizzo dei colori.
Piero della Francesca, Flagellazione, 1460 ca, Urbino, Galleria nazionale delle Marche
94
L’ambientazione architettonica è il rinascimento matematico, Urbino ne era una
culla. L’ambiente della flagellazione fa riferimento alle regole matematiche e
geometriche di Euclide. Il personaggio sulla destra secondo molti critici è un
componente della famiglia Bacci di Arezzo che gli commissionarono gli affreschi
Piero della Francesca, Polittico della Misericordia, 1445-62, Borgo San Sepolcro, Pinacoteca comunale
(cornice commissionata nel 1428 a Bartolomeo Angeli)
95
Piero della Francesca, Battesimo di Cristo, 1440-45, Londra National Gallery, per Badia Camaldonese
di Borgo San Sepolcro, disegno già commissionato ad Antonio di Anghiari nel 1433
Un’altra opera simbolo della pittura di Piero, segnata al centro dalla verticale
della colomba e della mano di Giovanni Battista, prosegue con le mani giunte
del Cristo. Lo specchio d’acqua oltre che contestualizzare l’episodio del
battesimo, serve come punto luce che arriva da mezzogiorno, che non crea
ombre, le figure sono salde a terra. Il rigore prospettico è serrato.
96
Piero della Francesca, Battesimo di Cristo, 1440-45, Londra national gallery. Matteo di Giovanni,
scomparti laterali con i santi Pietro e Paolo, pilastri e predella, 1465 ca. borgo San Sepolcro, pinacoteca
comunale. Benedetto di Antonio Mattei, cornice lignea, Borgo San Sepolcro, Pinacoteca comunlae
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Piero della Francesca, Storie della vera Croce, 1452-66, Arezzo, Chiesa di San Francesco, coro, già
commissionata a Bicci di Lorenzo nel 1447 da Famiglia Bacci
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Parete sinistra:
(1) La storia parte con Adamo che viene sepolto con il seme dell’albero da
dove verrà creata la croce di Cristo.
(2) l re Salomone di incontra con la regina di Saba e lei si rende conto della
sacralità dell’albero vicino dove sta passando.
(6) La vittoria di Costantino su Massenzio: Costantino vince la battaglia sul
nome della croce, e proclamerà il cristianesimo come religione libera.
Parete al centro:
(7) Tortura dell’ebreo: la regina Elena voleva recuperare la croce dove
Cristo era stato crocifisso, fa torturare un ebreo presente
all’avvenimento, che confessa il luogo.
(3) Sollevamento del sacro Legno: vengono recuperate le tre croci, viene
portare il corpo di un defunto e al contatto con il legno su cui era morto
cristo, egli resuscita.
(4) Annunciazione
(5) Sogno di Costantino: sogna la croce
Parete a destra:
(10) Ritorno a Gerusalemme e esaltazione della Croce
(8) Ritrovamento e prova della vera Croce
(9) Disfatta e decapitazione di Cosroe
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Morte di Adamo, Adorazione del sacro legno e incontro di Salomone con regina di Saba
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Sollevamento del sacro legno, Tortura dell’ebreo
101
Ritorno a Gerusalemme e Esaltazione della Croce, Ritrovamento e Prova della vera Croce
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Tempio Malatestiano
Piero della Francesca, San Sigismondo e Sigismondo Pandolfo Malatesta, 1451, Rimini, Tempio
Malatestiano, cappella delle reliquie
Chiesa di San Francesco che diventa una sorta di tempio vocativo pagano a
Pandolfo, che gli costa la scomunica. Abbiamo Sigismondo inginocchiato verso
San Sigismondo che è raffigurato con le fattezze dell’imperatore Sigismondo.
Sulla destra c’è un oculo da dove si osserva il castello di Sigismondo. Fra i
particolari si dà importanza ai due levrieri.
103
Leon Battista Alberti, Tempio Malatestiano, 1447-68
Leon Battista Alberti viene incaricato da Sigismondo di creare il suo tempio, lui
non abbatte la chiesa ma la riveste. Ci sono archi, colonne e frontoni
rinascimentali.
104
Rimini, arco di Augusto
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Tracciati proporzionali del Tempio malatestiano di Rimini
Matteo de’ Pasti, medaglia, Sigismondo Pandolfo Malatesta (recto), tempio malatestiano (verso)
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Interno del tempio malatestiano, disposizione delle cappelle. Agostino di Duccio, angeli musicanti, dal 1447
Pianta dell’interno, dove sono presenti cappelle collegate a temi poco religiosi
(cella degli eroi, putti, musei e arti), fortemente legati al paganesimo.
Agostino di Duccio e Matteo de’ Pasti, decorazione interna del tempio malatestiano
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108
23/03/2022 10° lezione
Andrea del Verrocchio- Leonardo da Vinci, Battesimo di Cristo, 1473-75, Firenze, Galleria degli Uffizi
Sulle rive del fiume Giordano in Palestina, Gesù viene battezzato da San
Giovanni, che bagna la testa di Cristo con l'acqua. San Giovanni Battista tiene in
mano una sottile croce e un cartiglio con l'iscrizione dell'annuncio dell'avvento
del Salvatore: "Ecco l'agnello di Dio che toglie il peccato del mondo". Vangelo
secondo Gv 1, 29. Presenti all'evento anche due angeli inginocchiati, uno dei
quali tiene le vesti di Gesù.
A metà del XVI secolo lo storico Giorgio Vasari narra che per l'esecuzione del
dipinto Andrea del Verrocchio fu aiutato da un giovane allievo, Leonardo, che
dipinse la figura dell'angelo di sinistra con tale abilità da sconvolgere il più
anziano Verrocchio. Gli studi attuali sono orientati a considerare più ampi gli
interventi di Leonardo, tra cui il suggestivo paesaggio ripariale, la luce dorata e
la figura di Cristo. Era consuetudine, negli studi d'artista del XV secolo, che il
capo studio progettasse l'opera, lasciando che le parti secondarie fossero dipinte
da allievi e collaboratori. È probabile che sulla tavola con il Battesimo di Cristo,
109
oltre a Verrocchio e Leonardo, abbia lavorato anche un altro pittore più anziano.
Ciò è suggerito dalla natura meno sviluppata di alcuni dettagli, come le mani di
Dio e la colomba dello Spirito Santo, in alto. L'angelo di Leonardo si distingue
per la posa articolata del suo corpo, dove è possibile vedere le spalle e il volto
giovane, come se si girasse, insieme ai drappeggi naturali della veste azzurra.
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Lorenzo di Credi, Battesimo di Cristo, Fiesole, San Domenico
Andrea del Verrocchio, Dama col Mazzolino, 1475, Firenze, Museo Nazionale del Bargello
111
Leonardo da Vinci
Leonardo da Vinci, Ritratto di Ginevra Benci, 1474-1478, Washington, National Gallery of Art
112
Il dipinto venne decurtato di almeno un terzo nella parte inferiore (forse perché
danneggiata), tagliando così le mani, come sembra testimoniare uno studio
conservato nella Royal Library del Castello di Windsor.
Sul retro del quadro è dipinto un ramoscello di ginepro al centro e, ai suoi lati,
un ramo di alloro e uno di palma. I tre rami sono legati tra loro da un cartiglio
che reca il motto “virtutem forma decorat”.
Esami a raggi infrarossi condotti dalla National Gallery di Washington hanno poi
scoperto un’altra frase “virtus et honor”, il motto di Bembo, che aveva nello
stemma nobiliare proprio la ghirlanda.
Anagrammando il motto “virtutem forma decorat” con l’aggiunta della parola
“iuniperus”, e cioè il rametto di ginepro che compare al centro, simbolo di
purezza, la ricercatrice Carla Glori ha scoperto 50 frasi in latino a firma di
Leonardo da Vinci. Esse messe tutte insieme hanno permesso alla ricercatrice di
ottenere la storia documentata di Ginevra, una giovane donna oppressa
nell’imminenza delle nozze forzate con un uomo più grande di lei di 15 anni.
113
Sandro Botticelli
Sandro Botticelli, Adorazione dei Magi, 1475, Firenze, Galleria degli Uffizi, provenienza: S. Maria
Novella su commissione di Gaspare Zanobi del Lama
Sandro Botticelli, emerge con l’adorazione dei magi, mettendo il gruppo di Maria
e di Cristo fanciullo entro un fabbricato in rovina al centro del dipinto. La tavola
stava in origine in Santa Maria Novella, nella cappella di Gaspare del Lama, un
banchiere amico dei Medici. L’omonimia tra il committente e uno dei magi
giustifica la scelta del soggetto, caro peraltro ai Medici, omaggiati con una serie
di ritratti: il vecchio mago inginocchiato ai piedi di Cristo è Cosimo, il Vecchio,
nei magi chinati sotto sono ritratti i figli Piero il Gottoso e Giovanni, mentre i
nipoti Lorenzo e Giuliano di individuano nel giovane pensoso del gruppo di destra
e in quello in primo piano all’estremità sinistra. Il pittore si è invece ritratto
all’opposto, nel giovane togato in giallo che ci guarda.
Botticelli si affida alla recitazione dei suoi attori, le figure sono costruite
attraverso netti contorni, che rilevano un debito nei confronti della lezione di
Antonio del Pollaio, per quanto il tema imponga in questo caso di evitare i nudi.
Anche Botticelli, come Leonardo, pare aver iniziato la sua arte nella bottega di
un orafo.
114
Sandro Botticelli, Primavera, 1475-82, Firenze, Galleria degli Uffizi
Al centro della scena della Primavera c’è la dea Venere, che si erge vestita in
mezzo ad un bosco di aranci verdeggiante di infinite specie vegetali,
accompagnata in alto da Cupido bendato, alla sua sinistra il vento di primavera
Zefiro rapisce per amore la ninfa Clori. Unitasi al vento, Clori rinasce nelle forme
fi Flora: personificazione della primavera, che veste un abito ricamato di piante
e incide spargendo fiori. A destra di Venere ballano le tre Grazie, mentre
Mercurio scaccia le nubi, in un’immagine gioiosa che richiama la poesia del
Poliziano e certi versi centrali delle stanze, in cui è narrato il regno di Venere.
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Sandro Botticelli, Nascita di Venere, 1483-85, Firenze, Galleria degli Uffizi
La dea, al di sopra della conchiglia, approda sull’isola di Cipro, sospinta dal vento
di Ponente (Zefiro, abbracciato ad una figura femminile) e accolta da un’ancella
nelle vesti della Primavera, che le porge un manto fiorito per coprirla. La seconda
delle due favole antiche è tratta da uno degli episodi narrati da Ovidio nelle
Metamorfosi e ripreso da Angelo Poliziano in alcune ottave delle Stanze in cui è
descritta la nascita di Venere. Queste sono opere di un Botticelli che rinuncia alle
predilezioni prospettiche della pittura fiorentina del ‘400 e propone grandi scene
in cui la resa spaziale viene di fatto elusa. Alla stregua di un pittore cortese di
spirito gotico, Sandro si diletta a riprodurre dettagliatamente le specie botaniche
del prato fiorito o a dipingere le onde del mare ripetendo un segno grafico di
elegante senso decorativo. Attentamente designato nei confronti, le figure
appaiono bidimensionali e prive di vigore plastico: Botticelli rinuncia alla
materialità, proponendo la visione di un paradiso divino e ideale, tanto
corrispondente alla Theologia Platonica di Marsilio Ficino, quanto distante dal
lessico propugnato da Brunelleschi, Donatello e Masaccio.
116
Sandro Botticelli, Pallade e il centauro, 1482-83, Firenze, Galleria degli Uffizi
Leonardo da Vinci, Annunciazione, 1472-75 Firenze, Galleria degli Uffici, provenienza: Monteoliveto,
chiesa di San Bartolomeo
Leonardo da Vinci, Adorazione dei Magi,1481, Firenze, galleria degli Uffizi, provenienza: San Donato a
Scopeto
Opera commissionata nel 1481 per l’altare della chiesa agostiniana di San
Donato a Scopeto. Un’opera che il pittore riuscì solo ad abbozzare e che di
recente è tornata agli Uffizi, dopo un lungo e importante restauro. La pala appare
come una sorta di grande disegno corredato di pochi colore, ma vibrante di una
nuova animazione, rispetto all’Annunciazione di pochi anni prima. Di solito,
l’adorazione dei magi, era illustrata ordinando la capanna di lato in primo piano
e l’arrivo del corteo dei magi sul proscenio. Leonardo, invece, dispone la
Madonna con il bambino al centro, all’ombra di un albero, e fa ruotare intorno a
costoro il folto gruppo dei sovrani orientali e del loro seguito. In secondo piano
la mole delle scale e degli archi di un edificio in costruzione, qui raffigurato in un
luogo dalle rovine di tante scene simili, si alterna con l’ormai collaudato
paesaggio roccioso, ravvivato dall’azione di uomini e cavalli in un incessante
movimento.
118
Michelangelo Buonarroti
Michelangelo Buonarroti, Madonna della scala, 1490-92, Firenze, Museo di casa Buonarroti
119
Michelangelo Buonarroti, Battaglia dei centauri, 1490-92, Firenze, Museo di casa Buonarroti
Un rilievo mai finito, sia nella cornice che in alcune figure. È un vero e proprio
groviglio di nudi, avviluppati in una zuffa di cui è difficile comprendere l’inizio e
la fine. Solo un centauro sdraiato a terra in primo piano giustifica il titolo che si
assegna al marmo.
Michelangelo Buonarroti, Battaglia dei centauri, particolare, 1490-92, Firenze, Museo di casa
Buonarroti
120
Michelangelo Buonarroti, Studio, 1488-95, Monaco, Gabinetto dei disegni e delle stampe
121
29/03/2022 11° lezione
Michelangelo Buonarroti, Bacco, 1496-97, Firenze, Museo Nazionale del Bargello, già proprietà di
Jacopo Galli
122
Michelangelo Buonarroti, Pietà, 1498-99, Roma, San Pietro, Commissionata dal cardinale Jean
Boòhères des Lagraulas
123
Bartolomeo della Porta, detto fra Bartolomeo, Ritratto di fra Girolamo Savonarola, 1499-1500,
Firenze, Museo di San Marco
124
Luca Signorelli, Inferno, 1499-1505, Orvieto, duomo, cappella di San Brizio
Un vero e proprio trionfo di nudi, colti nelle pose più complicate che si possano
immaginare, si tratta dei diavoli o dei dannati: una scena terribile e un
precedente imprescindibile per la pittura di Michelangelo. Il ciclo era compiuto
nel 1504 e, oltre alle vele, comprendeva alla base delle pareti le immagini di
illustri letterati antichi e moderni, tra i quali è facilmente riconoscibile Dante,
intento alla lettura e inserito entro un ornato dichiaratamente all’antica,
corredato di quattro medaglioni con episodi del Purgatorio e di motivi decorativi
detti “grottesche”.
125
Antonio Pollaiolo, Ercole e Anteo, 1475 ca, Firenze, Galleria degli Uffizi
126
Luca Signorelli, Resurrezione della carne, 1499, 1505, Orvieto, cappella di San Brizio
127
Luca Signorelli, Resurrezione, particolare, Orvieto, cappella di San Brizio
128
Sandro Botticelli, Madonna del Magnificat, 1483-85, Firenze, Galleria degli Uffizi
La Vergine, col Bambino sulle ginocchia, è incoronata da due angeli mentre sta
scrivendo su un libro le parole del Vangelo di Luca: "Magnificat anima mea
Dominum" (L'anima mia magnifica il Signore), il verso iniziale del cantico con cui
Maria, durante la sua visita a sant'Elisabetta, ringrazia il Signore per essere stata
scelta come veicolo dell'Incarnazione divina (Luca, I, 46). Essa è riccamente
abbigliata, con la testa coperta da veli trasparenti e stoffe preziose ed i suoi
capelli biondi si intrecciano con la sciarpa annodata sul petto. Il Bambino guida
il suo braccio, testimoniando il perfetto accordo tra Dio e la sua prescelta. Altri
due angeli tengono il libro e il calamaio dove Maria intinge la penna, mentre un
terzo abbraccia questi ultimi due.
Lo sfondo è composto da una finestra ad arco in pietra serena, oltre la quale si
scorge un sereno paesaggio fluviale. La cornice di pietra dipinta schiaccia le
figure in primo piano, che assecondano il movimento circolare della tavola in
modo da far emergere le figure dalla superficie del dipinto, come se l'immagine
fosse riflessa in uno specchio convesso ed allo stesso tempo la composizione è
resa ariosa grazie alla disposizione dei due angeli reggilibro in primo piano che
conducono attraverso un'ideale diagonale verso il paesaggio sullo sfondo. La
leggera deformazione dà alla Vergine e al Bambino dimensioni leggermente
maggiori rispetto agli altri personaggi, legandosi alle consuetudini devozionali
del medioevo. Si tratta delle primissime avvisaglie della crisi che investì poi
Firenze alla fine del secolo, con la morte di Lorenzo il Magnifico e l'instaurarsi
della repubblica teocratica di Savonarola: il dipinto infatti mostra un distacco dal
129
dato naturale, in favore di forme più sperimentali, sempre più lontane dalla
lucida geometrica prospettica del primo Quattrocento.
I colori preziosi e brillanti, la linea di contorno nitida e chiara, l'eleganza lineare,
il disegno impeccabile caratterizzano la tavola e sono tutte caratteristiche
mutuate dall'esempio di Filippo Lippi, primo maestro di Botticelli. Dal Lippi deriva
anche l'ideale della malinconica e perfetta bellezza della Vergine, come nella
celebre Lippina, anche se Botticelli conferì alla sua Madonna un tono più
aristocratico e irraggiungibile.
Sullo sfondo del sepolcro di Cristo aperto, Maria tiene sulle gambe il figlio morto
e sviene per il dolore, sorretta da Giovanni evangelista che le tiene la testa e il
braccio; le fanno eco le tre Marie: una regge il volto del Cristo e lo bacia
amorevolmente, una si copre la bocca, con gli occhi sgranati per l'orrore, e Maria
Maddalena, infine, piange stringendo affettuosamente i piedi di Gesù e reggendo
il velo trasparente sotto al suo corpo. Si tratta della stessa composizione del
Compianto di Milano, con la differenza che qui è svolta su un formato orizzontale,
che permette una strutturazione più distesa e meno compatta dei personaggi. Il
corpo di Cristo è inoltre maggiormente inarcato e pende abbandonato sulle
gambe di Maria, risaltando come una statua sul mantello nero della Madonna.
130
Ai lati tre santi assistono alla scena senza coinvolgimento emotivo: guardano, si
piegano per osservare il centro della scena, ma i loro volti non tradiscono
emozioni. Si tratta (da sinistra) di san Girolamo in veste eremitica con la pietra
con cui soleva battersi il petto in segno di penitenza, san Paolo con la spada,
patrono della chiesa, e a destra san Pietro, con le chiavi, la chierica e la tipica
veste gialla. Per contrasto la loro presenza, legata a esigenze devozionali e non
narrative, non fa che aumentare la percezione del pathos nel gruppo centrale,
impostato a un'espressività religiosa che non ha pari nella pittura fiorentina
dell'epoca.
Le forzature di gesti e pose rimandano all'ultima fase dell'artista, in cui la ricerca
di forme realistiche è messa da parte in favore dell'espressività estrema,
sottolineata anche dal ricorso a colori forti e contrastanti, che sembrano
anticipare i temi del XVI secolo. In questa evoluzione stilistica, ormai lontana
dalla delicata armonia delle prime opere di Botticelli, si coglie l'influenza
sull'artista della figura del Savonarola, che innescò una crisi religiosa che portò
Botticelli ad abbandonare i temi profani e a rendere il suo stile più inquieto e
isolato nel panorama artistico dell'epoca.
Sandro Botticelli, Compianto su Cristo Morto, 1490-92, Milano, Museo Poldi Pezzoli
132
Sandro Botticelli, Natività Mistica, 1501, Londra, National Gallery
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Città del vaticano, palazzi vaticani, Cappella Sistina
134
Città del vaticano, palazzi Vaticani, Cappella, Sistina, interno, 1481-82
Luca Signorelli, Testamento e morte di Mosè, città del Vaticano, Palazzi vaticani, cappella sistina
136
Pietro Perugino, consegna delle chiavi a San Pietro, 1481-82, Città del vaticano, palazzi vaticani, cappella
sistina
All’interno della cappella sistina non poteva mancare l’episodio della consegna
delle chiavi. Una scena ben ordinata: in primo piano, al centro, il barbuto Pietro
si inginocchia a ricevere due grosse chiavi dal giovane Gesù dai lunghi capelli,
sotto lo sguardo degli altri apostoli e di qualche ulteriore astante in abito
quattrocenteschi, due di questi, sulla destra, recano in mano il compasso e la
squadra e quindi si intende identificarli in Baccio Pontelli e Giovannino de’ Dolci,
rispettivamente progettista e direttore del cantiere sistino. Il gruppo di attori è
disposto sulla ribalta di un’ampia piazza, pavimentata con grandi lastre di
candido marmo che individuano con chiarezza la fuga prospettica indirizzata
sull’edificio a pianta esagonale disposto al centro, che vuole alludere al tempio
di Salomone. Lo affiancano due archi antichi che richiamano le forme di quello
di Costantino, e in lontananza è un quieto paesaggio, dove alcune delle alture
riflettono l’azzurro del cielo e si innalzano alberi dal fusto esilissimo. In secondo
piano si muovono una moltitudine di eleganti figure, a narrare due ulteriori
episodi evangelici: il tributo della moneta e la tentata lapidazione di Cristo. Anche
questo quadro, dunque contiene tre episodi, svolti però in maniera molto diversa
da quelli allestiti da Botticelli nella punizione dei ribelli. Nella consegna delle
chiavi risaltano infatti l’ordine e la precisione di una composizione prospettica,
scandita su piani diversi e illuminata da una luce nitida e chiarissima, che fa
risaltare le forme tridimensionali dei protagonisti e delle architetture, coerenti
con i gusti del secondo ‘400.
137
Pietro Perugino, Sposalizio della Vergine, 1503-04, Caen, Musèe des Beauz Arts, per la chiesa di san
Lorenzo di Perugia. Raffaello Sanzio, Sposalizio della Vergine, 1504, Milano, Pinacoteca di Brera, per
la chiesa di san Francesco a città di Castello
Pietro Perugino: questa tavola stava in origine nel duomo di Perugia, nella
cappella dove era stata serbata una curiosa reliquia: l’snello che si sarebbero
scambiati Giuseppe e Maria. Osservando i due dipinti a confronto di deve dare
ragione a Vasari, che nello Sposalizio di Brera riconosceva “l’argomento della
virtù di Raffaello viene con finezza assottigliato e passa alla maniera di Pietro
(Perugino). In questa opera viene tirato un tempio in prospettiva con tanto
amore, che è cosa mirabile a vedere le difficoltà che egli in tale esercizio stava
cercando”. Le forme dell’edificio spiccano infatti con maggiore evidenza, poiché
Raffaello, rispetto al dipinto del maestro, ha alzato il punto di vista e atteggiato
ai personaggi in primo piano con maggiore libertà, laddove quelli perugineschi,
pur in un dipinto che del resto appare di simile impatto, paiono disporsi
rigidamente l’una accanto all’altro, come a costituire una barriera.
Raffaello: questa pala di dimensioni ridotte stava a Città di Castello, in una
cappella dedicata a San Giuseppe che la famiglia Albizzini possedeva nella chiesa
di San Francesco. Da ciò deriva la scelta di un soggetto in cui il titolare è
protagonista ed è raffigurato nel momento in cui prende in sposa Maria. Torna
la firma “Raphael Urbinas”, accompagnata questa volta dalla data 1504, scritta
in numeri romani. Un anno dopo il dipinto Crocifissione e Raffaello si muove
ancora sulle orme del maestro. A guardare il gruppo di attori sul proscenio e il
pavimento prospettico che conduce al tempio a pianta centrale in lontananza
torna in mente la peruginesca Consegna delle chiavi della Cappella Sistina. Nel
1504 pure Perugino aveva completato una pala con Lo sposalizio della vergine.
138
Donato Bramante
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Donato Bramante, Santa Maria presso San Satiro, 1482-83, interno e planimetria
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Leonardo da Vinci a Milano
Leonardo è attestato a Milano dal 1483 al 1499, a servizio della corte di Ludovico
il Moro.
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Leonardo da Vinci, Vergine delle rocce, 1483-86, Parigi, Musèe du Louvre. Leonardo da Vinci,
Vergine delle rocce, 1495-1508, Londra, National Gallery
La versione più antica si trova al Louvre di Parigi, compiuta all’incirca nel 1485.
Nulla si sa della sua storia fino al 1625, quando è attestata nelle collezioni reali
francesi. La vergine siede a terra, su un paesaggio roccioso, dove crescono
tuttavia le più differenti piante, indagate con un’attenzione da naturalista. Ella
allarga la destra, a proteggere, sotto il mantello, il piccolo San Giovannino,
inginocchiato a mani giunte e rivolto verso il Cristo fanciullo. Nudo in primo piano
con le gambe incrociate, e accompagnato da un tenero angelo adolescente,
questi benedice il compagno di giochi, mentre la mano sinistra di Maria si apre
su di lui. La composizione si regge, dunque, non solo sulla disposizione
piramidale dei personaggi, di ricordo verrocchiesco, ma anche sulla calcolata
rispondenza dei loro gesti. Le figure, inoltre, appaiono palpitanti di vita, grazie
allo sfumato, una tecnica che ne attenua i contorni, tendendo a fonderle,
attraverso il colore, con l’aria umida e brumosa che si dipana sulla scena. Ne
risulta un’immagine intima e incantata, anche per la scelta di disporre gli attori
al di sotto di un tetto di rocce e sulla ribalta di un fondale dove si intravede uno
specchio d’acqua, circondato da quelle montagne rocciose e nebbiose, che
Leonardo aveva sperimentato fin dalle prime opere fiorentine. Facile, quindi,
capire la ragione del titolo di un dipinto che a Milano dovette fare enorme
impressione, perché nessuno, prima di allora, aveva visto niente di simile.
L’altro dipinto, conservato alla National Gallery di Londra, ha un’atmosfera più
limpida, anche grazie agli intensi toni azzurri del manto della Vergine e dalle
142
lontane montagne. Tutto è più definito, l’angelo evita di indicare e le aureole
sono sospese sulle teste di Maria, di Cristo e di Giovanni, che pure ha la croce.
Leonardo dovette iniziare a dipingere la tavola di Londra negli anni ’90, per finirla
molto più tardi. Né in questo dipinto mancò l’assistenza di collaboratori,
Leonardo ormai aveva fatto la scuola e molti erano pittori che dipingevano alla
sua maniera, da Ambrogio de Predis a Marco d’Oggiorno, a Giovanni Antonio
Boltraffio e altri ancora.
143
30/03/2022 12° lezione
Leonardo da Vinci, Cenacolo, 1495-95, Milano, refettorio del convento di santa Maria delle Grazie
144
Domenico Ghirlandaio, ultima cena, 1480, Firenze, ex convento Ognissanti
147
Leonardo da Vinci, Madonna con Bambino e Sant’Anna, 1501-10, Parigi, Musèe du Louvre
L’opera raffigura le tre generazioni della famiglia di Cristo: sant’Anna, sua figlia
Maria e Gesù bambino. Anna tiene Maria sulle ginocchia, quasi si fondono l’un
l’altra, Maria sta per afferrare il Bambino sporgendosi verso destra, mentre egli
gioca con un agnello, prefigurazione della sua futura Passione. La composizione,
ricca di significati allegorici, è modellata efficacemente secondo una forma
piramidale, come in molte celebri pale rinascimentali, con la sommità nella testa
di sant’Anna, che assume quindi un’importanza piramidale. Essa lancia uno
sguardo benevolo e sorridente a Maria e Gesù, con una fisionomia tipica della
produzione matura di Leonardo. Il suo ruolo è quello di simboleggiare la Chiesa
che, ostacolando l’azione di materna apprensione di Maria, ribadisce la necessità
del sacrificio volontario di Gesù. La luce è soffusa e la cromia è sapientemente
modulata, con effetti atmosferici che legano le monumentali figure in primo
piano con l’ampio paesaggio dell’orizzonte altissimo sullo sfondo, caratterizzato
da una veduta montala che sfuma in toni chiarissimi per effetto della prospettiva
aerea. La cromia spenta e brumosa dello sfondo amplifica la plasticità del gruppo
centrale, sapientemente composto con gesti e sguardi che si sviluppano anche
in profondità, in un difficile equilibrio tra diagonali e linee contrapposte.
148
Leonardo da Vinci, La Gioconda, 1503-1506, Parini, Musèe du Louvre
149
Firenze, Palazzo della Signoria, Salone del ‘500
Il salone del ‘500 è uno dei più ampi e preziosi saloni in Italia. Questa sala
imponente fu costruita nel 1494 da Simone del Pollaiolo, detto il Cronaca, su
commissione di Savonarola, che rimpiazzando i Medici alla guida di Firenze, la
volle come sede del consiglio maggiore. Fu in seguito allargata da Vasari, così
che Cosimo I potesse far corte in questo salone. Durante la trasformazione
(1555-1572) non è chiaro se i famosi dipinti incompleti de la Battaglia di Anghiari
di Leonardo da Vinci e la Battaglia della Cascina di Michelangelo vennero coperti
o distrutti. Dalla battaglia di Anghiari esiste una celebre copia di Rubens al museo
del Louvre, ma in ogni caso delle due opere restano altre copie e a volte bozzetti.
Sulle pareti sono realizzati grandi affreschi che descrivono le battaglie e i
successivi militari di Firenze su Pisa e Siena.
150
Aristotele da san Gallo, la battaglia di Cagnina, copia del cartone di Michelangelo (1503-1506),
collezione privata
Una composizione che si basa sulla tensione dei corpi nudi, colti in scorci difficili
e in movimenti innaturali. L’originale andato distrutto in tanti pezzi, questa è
una riproduzione. Questo ed un altro cartone di Michelangelo hanno avuto una
grande fortuna nel ‘500.
151
Pieter Paul Rubens, La battaglia di Anghiari, copia del cartone di Leonardo 1503-1506. Parigi, Louvre
152
Michelangelo Buonarroti, David, 1501-1504, Firenze, Galleria dell’Accademia
153
154
05/04/2022 13° lezione
Michelangelo molto valido anche come pittore, non solo come scultore, colori
validi, forme precise e tondeggianti. Segue modelli di scultura antichi, seguendo
forme/azioni sinuose. Posa eccentrica e innaturale, una famiglia di giocolieri, la
Vergine, muscolosa, si volta a prendere il piccolo Gesù nudo, che le viene
passato, sopra la spalla destra, dal marito Giuseppe, accoccolato alle sue spalle.
È una sorta di complicato esercizio di equilibrio, cui assiste divertito San
Giovannino, messo in secondo piano al di là della trincea, che a sua volta lo
separa dal frontale roccioso popolato da una serie di nudi, dei quali resta difficile
capire il significato.
155
Raffaello
Raffaello, Trasporto di cristo morto (pala Baglioni), 1507, Roma galleria Borghese, per capp. Baglioni in S.
Francesco al Prato di Perugia
Nato in Urbino nel 1483, ha lavorato in Umbria e a Roma. Figlio del pittore di
corte Giovanni Santi, respira la cultura della corte sin da piccolo, una
componente per capire la sua carriera e la sua fortuna.
Accolto nella corte pontificia di Giulio II e poi di Leone X.
Giovanni Sante muore quando Raffaello è molto giovane, che frequenterà agli
inizi del ‘500 la bottega di Pietro Perugino.
Nei primi anni del ‘500 realizza questa opera.
Desiderava andare a Firenze perché si trovavano nella città Leonardo e
Michelangelo in contemporanea, scrive alla sorella di Federico da Montefeltro,
Giovanna Feltria scrive a Pier Soderini dove presenta e raccomanda il giovane.
Quindi dopo Perugia va a Firenze per un breve periodo, poi si trasferirà a Roma.
Raffaello ha la capacità di fare proprie le suggestioni introdotte dai vari artisti
che lui incontra, li elabora e li interpreta.
156
Raffaello in questo caso parte dal soggetto che è la deposizione, un compianto,
ma arriva al trasporto, per dare originalità all’opera, il quale soggetto era già
ampiamente sviluppato.
Gli viene data la possibilità di dare una narrazione più completa e complessa di
quello che accade, ci sono due episodi: il trasporto e il compianto delle donne
all’estrema destra. Tutto questo per sottolineare il dolore della committente (alla
quale le avevano ucciso da poco il figlio). Sicuramente Raffaello ha visto
Michelangelo (guarda ancella qui e quella del Tondo Doni). La fantasia con cui
sono ritrattati i dettagli è estrema, inserisce i personaggi in un paesaggio
rappresentato da natura ben descritta, con luce nitida che avvolge.
L’opera oggi si trova alla galleria Borghese (si chiama anche Trasporto Baglioni,
per la committente), venne fatta rubare dai Borghese ed è rimasta nelle loro
collezioni.
157
Pietro Perugino, compianto di cristo morto, Palazzo Pitti, 1495
158
Raffaello, madonna con il bambino e S. Giovannino (la bella giardiniera), 1507, Parigi, Musèe du
Louvre
159
Raffaello, sacra Famiglia Canigiani, 1507, Monaco
San Giuseppe appoggiato al suo bastone è in piedi dietro alle due donne. Infatti
Sant’Elisabetta e Maria sono sedute sul prato. In primo piano poi giocano San
Giovannino e Gesù. Il paesaggio che fa da sfondo è sereno e aperto. Verso il
fondo trovano posto centri abitati e all’orizzonte una linea di montagne. Sullo
scollo della veste di Maria è leggibile la firma del maestro: “RAPHAEL URBINAS.
La Sacra Famiglia è un tema cristiano molto rappresentato dalla cultura
figurativa ufficiale. Infatti la rappresentazione di Maria, Giuseppe e Gesù
Bambino era di invito al fedele per costituire una regolare famiglia umana.
La Sacra Famiglia Canigiani di Raffaello è custodita presso l’Alte Pinakothek di
Monaco di Baviera. Secondo la datazione degli storici la Sacra Famiglia Canigiani
risale al 1507 quando Raffaello aveva circa 24 anni.
I signori del Rinascimento apprezzarono molto Raffaello anche per i suoi modi
colti e raffinati che caratterizzavano il perfetto cortigiano dell’epoca. L’artista è
considerato il genio dell’armonia perché seppe dare unità al dipinto
armonizzando figura e ambiente. Inoltre le sue Madonne e le sue scene religiose
esprimono una grazia e un’eleganza formale mai raggiunte prima. La sua pittura
160
fu ripresa dai suoi allievi che portarono così avanti la “maniera di Raffaello”.
Inoltre la fama dell’artista crebbe nel tempo e le sue opere furono di esempio
per gli studenti delle Accademie di Belle Arti fino alla età dell’Ottocento.
La Sacra Famiglia Canigiani di Raffaello è una tavola il 131 x 107 cm dipinta con
colori ad olio stesi in velature trasparenti.
L’opera di Raffaello è di forma rettangolare e inquadratura verticale. Nel dipinto
è evidente la struttura compositiva a piramide che comprende le figure dei
protagonisti. Inoltre i visi di Giuseppe e di Gesù Bambino sono allineati sulla
verticale centrale del dipinto.
Raffaello, Ritratto di Maddalena Strozzi e Ritratto di Angolo Doni, 1506 ca., Firenze, Palazzo Pitti
Raffaello realizza tanti ritratti, questi sono gli unici che hanno un nome associato
al volto, gli altri sono borghesi o nobili ma non sappiamo i nomi.
In questi anni Raffaello fa un disegno della Gioconda di Leonardo.
Sono moglie e marito, nel ritratto di Maddalena si ritrova la stessa posizione
della Monna Lisa, con un paesaggio rigoglioso alle sue spalle, il suo volto non è
dubbioso, ci fa capire che conosce la sua posizione sociale, di essere vestita con
abiti eleganti e di avere una acconciatura alla moda.
Interpreta per dare delle indicazioni concrete e riconoscibili per far capire il
personaggio, questo diventa il prototipo del ritratto rinascimentale.
161
Angolo Doni è lo stesso committente del Tondo Doni, oltre ad essere facoltoso
era anche un mecenate.
Raffaello, Madonna del baldacchino, 1507-08, Firenze, Palazzo Pitti, commissionata dalla famiglia Dei
162
Venezia
Giovanni Bellini, Madonna con il bambino benedicente, 1510, Milano Pinacoteca di Brera.
163
Giorgione da Castelfranco, Sacra conversazione con San Francesco e San Nicasio, 1500-1505,
commissionata dal condottiero Tuzio Costanzo, Castelfranco Veneto, Duomo
164
Giorgione, Vergine Dormiente, 1509ca. per le nozze di Girolamo Marcello e Morosina Pisano, Dresda
165
Giorgione, La tempesta, 1505-1510, in casa di Michele Vendramn nel 1530, Venezia Galleria
dell’Accademia
Variazioni Cromatiche che fanno intuire uno squarcio nel cielo, si riconoscono
degli edifici, moderni e antichi. La rovina spezzata allude all’avvento del
cristianesimo.
Un paesaggio illuminato dal bagliore di un fulmine in tempesta, con una zingara
e un soldato. Si tratta di una realistica descrizione di un temporale che si abbatte
su un borgo veneto, mentre nella vicina campagna una donna siede ad allattare
un bambino, sotto gli occhi di un giovane. Molto, si discute sul tema del quadro,
che può essere solo identificato nell’episodio della condanna dei progenitori dopo
il peccato originale. Il fulmine in lontananza allude all’ira dell’eterno e alla spada
fiammeggiante dell’angelo che allontana Adamo ed Eva dall’Eden, i due si
ritrovano così, un po’ spaesati, in primo piano.
166
Padova
167
06/04/2022 14° lezione
Tiziano, Miracolo del marito geloso, 1511 Padova, Scoletta del Santo.
168
Tiziano Vecellio, Miracolo del neonato, 1511, Padova, Scoletta del Santo
Nel primo dei tre episodi si raffigura la scena miracolosa in cui Sant'Antonio per
discolpare una donna accusata dal marito di adulterio fa parlare in difesa della
madre il bambino neonato considerato il frutto del tradimento. Le figure si
dispongono con sicurezza nello spazio, relazionandosi in maniera naturale
attraverso gesti e sguardi che mostrano come il giovane Vecellio abbia già
pienamente assimilato i fondamenti del nuovo classicismo cinquecentesco. In
alcuni dei volti si osserva una notevole caratterizzazione fisionomica e
psicologica che dimostra la sua grande abilità ritrattistica, facendone uno degli
artisti più richiesti dalle corti europee in questo genere pittorico. Sempre
connesso a questo aspetto è l'attenzione riservata all'abbigliamento, come si
vede ad esempio nelle figure del giovane con il mantello bianco sulla sinistra o
in quella della madre del neonato sulla destra, in cui egli sa esaltare la sua
sensibilità cromatica. I personaggi rappresentati occupano però solamente la
metà dell'altezza del riquadro, che nella parte alta è nettamente diviso i due.
Sulla sinistra un edificio in ombra nel quale campeggia una statua romana, che
Tiziano trae da un rilievo antico noto come l'Apoteosi di Augusto ora conservato
nel Museo Nazionale di Ravenna, e sulla destra un pendio erboso con sparute
chiome di arbusti mossi dal vento. Storia e natura incombono sui protagonisti
169
della scena, contribuendo a conferirgli quella carica eroica e insieme umanissima
che sarà uno dei tratti distintivi delle figure dipinte dall'artista cadorino. Nel
secondo episodio Sant'Antonio riattacca miracolosamente il piede reciso di un
giovane, attorno al quale si accalcano vari personaggi che assistono alla scena
anche qui in un compendio di varia umanità. Anche in questo caso spiccano, per
gli intensi caratteri ritrattistici, l'uomo vestito di scuro all'strema sinistra e quello
in armi subito dietro il santo. Oltre le figure l'orizzonte si distende in un bellissimo
paesaggio collegato al primo piano dal grosso albero centrale. Il terzo ed ultimo
riquadro fa riferimento all'episodio della guarigione della donna pugnalata dal
marito geloso, che si concentra sull'azione drammatica dell'accadimento. Tiziano
sa renderla con grande immediatezza attraverso lo scorcio dinamico della donna
il cui braccio sollevato guida lo sguardo dell'osservatore sulla mano armata del
marito. In quest'ultimo il dettaglio del ciuffo di capelli che gli attraversa la fronte
restituisce con efficacia il cieco sconvolgimento del suo animo che sembra
riecheggiato dalla quinta naturalistica alle sue spalle. L'apertura a destra sul
secondo piano ci permette di scorgere l'epilogo della vicenda con il marito
implorante di fronte al santo.
170
Tiziano Vecellio, Assunta, 1516-18, Venezia, S. Maria Gloriosa dei Frati
171
Tiziano Vecellio, Sacra conversazione- Pala Pesaro, 1519-1526, Venezia, S. Maria Gloriosa dei frati
Nel dipinto si trova Jacopo Pesaro il vincitore dei Turchi a Santa Maura nel 1502
e la sua famiglia. Al sommo di una scalinata, sulla destra è seduta su un trono
la Vergine con in braccio il Bambino. Davanti a lei San Pietro interrompe la lettura
per presentare il committente il vescovo Jacopo Pesaro. Alla sua sinistra un
alfiere sventola il vessillo di Alessandro VI e trattiene un turco prigioniero. A
destra il Bambino sorride a San Francesco mentre Sant’Antonio osserva i
familiari di Jacopo Pesaro. Francesco, cavaliere, è inginocchiato e indossa un
prezioso abito rosso. Sono poi raffigurati Antonio, Fantino e Giovanni. Il bambino
che guarda verso lo spettatore è Leonardo, figlio di Antonio. I due angeli sopra
la nuvoletta rimettono a posto la croce che si era inclinata.
La veste azzurra e il mantello giallo indossati da San Pietro sono i colori araldici
dei Pesaro. Invece la piccola frasca di alloro disposta sulla bandiera e il turco
prigioniero con il turbante bianco rappresentano la vittoria contro i turchi. Jacopo
Pesaro, il committente presente nel dipinto, era infatti il vescovo e comandante
che guidò venti galee papali nella battaglia di Santa Maura del 1503.
I colori sono disposti sulla tela da creare un crescendo di saturazione verso la
Madonna e il Bambino. Infatti le architetture sono dipinte con un grigio caldo.
Così gli abiti dei personaggi dipinti a destra con San Francesco e Sant’Antonio e
di quelli nel gruppo di sinistra. Solo San Pietro indossa una veste azzurra e un
172
mantello giallo. Accanto a lui spicca l’arancio del vessillo di Alessandro VI. Infine
il colore si accentua nella veste rossa della Madonna e nel suo mantello azzurro.
Il velo bianco rende molto luminoso il suo ritratto e quello di Gesù Bambino.
Tiziano Vecellio, amore sacro e amore profano, 1514-15, Roma, Galleria Borghese, su commissione
di Niccolò Aurelio
173
Tiziano Vecellio, La venere di Urbino, 1538, Firenze, Galleria degli uffizi
174
Tiziano Vecellio, Polittico Averoldi, 1520-22, Brescia, chiesa dei santi Nazaro e Celso (per il legato
pontificio di Venezia Altobello Averoldi)
175
Gesù risorge trionfante, il corpo in movimento e torsione con una straordinaria
forza espressiva e reca in mano una bandiera bianca con una croce rossa,
simbolo del cristianesimo, e riluce nel contrasto con lo sfondo scuro illuminato
leggermente dai bagliori dell’alba e con i due soldati addormentati sulla sinistra
del soggetto.
Vi è una congestione di stile, una forza e un movimento antico “romano” nella
figura del Cristo e una delicatezza non priva però di pathos dello sfondo, quasi
danubiano e sicuramente influenzato dalla pittura nordica.
L’Annunciazione, suddivisa in due quadrati differenti, è carica di forza e al
contempo di dolcezza. Forza nella figura dell’Arcangelo in movimento, che
srotola una pergamena, il corpo e le vesti luminose in contrasto con lo sfondo
scuro e dolcezza nella Vergine, dai lineamenti delicati, il capo leggermente
piegato, una mano sul cuore sopra un mantello blu talmente realistico che
sembra di poterlo toccare.
La tavola di sinistra rappresenta i santi patroni Nazaro, in armatura lucida, e
Celso con il committente in ginocchio che prega. Lo sfondo è cupo e l’Averoldi è
illustrato con precisione e senza abbellimenti, ma senza intaccare la dignità e
maestosità del personaggio.
Il San Sebastiano è un esempio di torsione michelangiolesca, il corpo virile
sfiancato che viene sorretto dalle corde che lo trattengono alla colonna del
martirio, ma non per questo non viene mostrata la forza e la prestanza nella
muscolatura, nello sforzo di sorreggersi e tentare di rialzare il capo del santo.
Sullo sfondo sono visibili San Rocco e un angelo che dialoga con lui mentre
mostra le pustole simbolo del santo protettore dalle pestilenze.
176
Tiziano Vecellio, Papa Paolo III con i nipoti Ottavio e Alessandro Farnese, 1545-46, Napoli
177
Non vi sono indicatori di spazio geometrico quali arredi o fughe prospettiche
architettoniche. Lo spazio in profondità è limitato a pochi metri dalla figura del
pontefice al muro di fondo. In primo piano è raffigurato Paolo III con accanto i
suoi nipoti dietro la tenda e oltre il muro che chiude il ritratto.
Paolo III con i nipoti di Tiziano Vecellio è un dipinto di formato rettangolare
tendente al quadrato. L’inquadratura circoscrive le figure dei nipoti sulla destra
e sulla sinistra e in basso quella di Paolo III. In primo piano si trova l’immagine
del pontefice, poi, in secondo piano i due nipoti uno a destra e uno a sinistra e,
infine, sul fondo una tenda che cade dall’alto verso destra e si apre su un muro
di fondo. Il ritratto è centrale e l’incrocio delle diagonali del rettangolo coincide
con la figura del pontefice.
Sull’asse di simmetria sono equilibrate le masse dei personaggi. Paolo III si trova
al centro, sull’asse centrale, e sui lati i nipoti. Anche le masse cromatiche sono
distribuite in modo uniforme nel dipinto e prevalgono quelle tendenti al rosso.
La figura di Paolo III è inscritta in una struttura compositiva triangolare. La tenda
crea, infine, un’ampia, curva contraria, dall’alto in basso e termina sul volto di
profilo del nipote di destra.
178
più naturali figure di donna del Cinquecento. La giovane, nel cui volto è
probabilmente ritratta Angela, l'amante del cardinale, morbidamente adagiata
su un lenzuolo bianco, accoglie placida la nube d'oro che si materializza in una
pioggia di monete, allusione forse al mestiere di cortigiana. L'atmosfera rarefatta
rende ancora più naturali le carni bianche di Danae e di Cupido, con le ombre
intrise di colore che girano sui corpi in trapassi chiaroscurali dolci e graduali.
Tiziano, iniziato il quadro a Venezia, lo terminò probabilmente nel suo studio
romano al Palazzo del Belvedere in Vaticano dove, nel 1545, lo vide Michelangelo
che, proprio in questa occasione, ne lodò lo straordinario "colorito", lamentando
però la mancanza di disegno. Destinato alle stanze private del cardinale
Alessandro, il dipinto, una volta a Napoli, venne colpito da censura nel 1815,
quando si stabilì di destinarlo al cosiddetto "Gabinetto dei quadri osceni" del Real
Museo Borbonico, dove erano esposte le opere di soggetto "sconveniente".
Al centro del prato, in primo piano, Carlo V posa per un ritratto equestre. Il
cavallo nervoso e bardato a parata, viene trattenuto dal deciso sovrano che posa
fiero nella sua armatura. Intorno, un paesaggio agreste fa da sfondo al ritratto.
In primo piano il prato che si allunga sul fondo. Mentre, a sinistra, alle spalle di
Carlo V, la foresta fitta di alberi. Poi, a destra, sullo sfondo un brano di paesaggio
assolato e, infine, il cielo con un bagliore che illumina le nubi.
179
Tiziano fu un maestro della luce e il suo tonalismo sacrifica il disegno e le masse
a favore dei contrasti di colore. In questo caso le figure sono messe in risalto
soprattutto da contrasti di chiarezza, infatti, il cavallo scuro risalta contro lo
sfondo chiaro. Al contrario, l’armatura lucente di Carlo V si staglia contro gli
alberi scuri e tendenti al bruno del paesaggio.
Carlo V è in sella ad un cavallo scuro bardato con un mantello rosso acceso. La
sua armatura dorata riflette e viene illuminata dalla luce calda che proviene dal
fondo del paesaggio. Le bardature del cavallo in oro e rosso quelle presenti
sull’elmo di Carlo V. Il paesaggio è dipinto con toni tendenti al verde scuro. Il
cielo, poi, è illuminato da bagliori dorati molto accesi, soprattutto in
corrispondenza dell’orizzonte.
Lo spazio geometrico non viene descritto da alcuna architettura quindi sono gli
indicatori di profondità a creare le distanze e a suggerire la profondità del
paesaggio. Il primo piano è occupato interamente dal cavallo e dalla lancia che
traversa il quadro, lambendo i due bordi da destra a sinistra. Il paesaggio, a
sinistra procede in profondità attraverso la diminuzione della grandezza degli
alberi. A destra l’albero lontano e il prato sono dipinti di fronte alle montagne
lontane realizzate con l’utilizzo della prospettiva aerea.
Tiziano Vecellio dipinse il Ritratto di Carlo V a cavallo all’interno di un formato
rettangolare che incornicia interamente la figura del sovrano. Intorno a lui,
infatti, il paesaggio si sviluppa a destra e a sinistra. In primo piano è raffigurato
Carlo V a cavallo e, sullo sfondo in diversi piani progressivi l’ambiente naturale.
L’impianto del dipinto è centrale e le diagonali si incrociano in corrispondenza
della sella del cavallo. La simmetria centrale corre lungo la figura di Carlo V,
lungo la sua gamba che scende sulla staffa. La direttrice compositiva segue il
profilo e lo sguardo di Carlo V e dal il colore più chiaro verso destra. Il ritratto,
così, si carica di potenziale movimento, trattenuto, però, dalla simmetria
centrale.
180
Lorenzo Lotto, Sacra conversazione (Pala di San Bernardino) 1521, Bergamo, S. Bernardino in Pignolo
La Pala di San Bernardino è stata dipinta da Lorenzo Lotto nel 1521, come
indicato da un’iscrizione che il pittore ha lasciato al centro del dipinto, sul gradino
inferiore: “LLOTVS/MDXXI“. Oggi è conservata presso la chiesa di San
Bernardino in Pignolo presso la città di Bergamo.
La pala si presenta, rispetto anche ad altre realizzate contemporaneamente da
Lotto – come la Pala di Santo Spirito – per l’omonima chiesa – quale lavoro
caratterizzato da una maggiore libertà compositiva e anche con alcune invenzioni
del tutto nuove.
Ad esempio, la Vergine si trova collocata su un alto trono tra i santi ma la coppia
santa è in ombra, al di sotto di una tenda verde sostenuta da angeli. La tenda
funge quasi da tettoia al trono e i quattro angeli che volano creano un senso di
movimento tutt’intorno, disponendosi di scorcio a stendere una protezione per
la Vergine e il Bambino contro le brezze di un tiepido tramonto. Lo sfondo si apre
su di un paesaggio ampio, fatto di colline verdeggianti che si intravedono
appena, il sole sta tramonta e il cielo azzurro è disseminato, qua e là, di nubi
leggere. La critica d’arte ha ribadito come questo tipo di disposizione dei
personaggi sia l’espressione di un realismo che era già stato sperimentato da
Giorgione e Tiziano: nulla sembra esser stato programmato; l’ambientazione ed
i personaggi potrebbero esser stati costruiti sul momento, senza retorica alcuna,
in modo “confidenziale, domestico”. La Madonna, infatti, è abbigliata con la
181
semplicità di una veste rossa e sembra apparire senza annunciarsi con il busto
leggermente proteso in avanti e la mano destra gesticolante, così come i
cherubini paiono entrare in scena in modo del tutto casuale, senza aver
sistemato quasi nulla, neppure il drappo che andrà a costituire il baldacchino.
Anche i santi sembrano esser stati colti di sorpresa, nel momento in cui
conversano tra loro, come se non si fossero neppure accorti dell’evento
prodigioso che sta per svolgersi sotto ai loro occhi.
L’intento di Lorenzo Lotto con la Pala di San Bernardino è probabilmente quello
di creare un dialogo diretto tra il fedele che contempla l’opera e il soggetto sacro
che il dipinto rappresenta (Colalucci). Il fatto che la Madonna, venga
rappresentata come una giovane donna che indirizza lo sguardo verso i fedeli in
direzione esterna rispetto alla tela, ovvero si affacci verso chi guarda,
simboleggia un invito ad avvicinarsi allo spazio sacro. Qui l’osservatore si trova
posto di fronte all’angelo inginocchiato ai piedi del trono che scrive le varie
richieste di grazia che gli oranti vogliono chiedere alla Madonna. In questo modo,
attraverso un linguaggio semplice e comprensibile a tutti, Lorenzo Lotto sollecita
il contatto tra il fedele ed i personaggi sacri, mentre Maria appare nella veste di
mediatrice tra il terreno e lo spirituale. La presenza, poi, di Antonio Abate – il
santo con la barba scura disposto sull’estrema destra – è significativa: egli,
infatti, raggiunge la santità solo dopo aver peccato e viene raffigurato ancora in
preda alle tentazioni simboleggiate dall’incendio dei casolari presenti nel
paesaggio alle sue spalle.
Oltre ad Antonio abate, vi sono anche altri tre santi disposti a coppie che
affiancano il trono: si tratta, da sinistra verso destra, di Giuseppe che appoggia
in atteggiamento di riposo un piede sopra l’altro, Bernardino da Siena (cui è
dedicata la chiesa bergamasca) e Giovanni Battista. Bernardino, in particolare,
porta in mano il monogramma di Cristo che lui ha creato e si rivolge a Maria la
quale pare dialogare con la mano libera, mentre il Bambino elargisce benedizioni.
I colori predominanti sono quelli del rosso della veste della Vergine, del blu del
suo copricapo, il verde del telero che viene steso al di sopra della Madonna e del
Bambino, del beige e sono fortemente contrastanti tra di loro. Talmente questa
scena rientra in un’atmosfera di quotidianità che anche lo storico dell’arte Giulio
Carlo Argan disse a proposito della Pala di S. Bernardino: “Sotto lo schermo
leggero […] la sacra conversazione per de ogni ritualità; diventa amabile e
confidenziale: con un gesto dimostrativo, quasi da popolana, la Madonna sembra
dichiarare […] che tutta la verità è lì, nel Cristo bambino e benedicente”.
182
Lorenzo Lotto, Annunciazione, 1527, Recanati, pinacoteca comunale
183
L’Arcangelo annunciante sembra molto materiale, poco spirituale, molto
massiccio e crea un’ombra sulla terra, ha i capelli sollevati dal vento, si rivolge
a Lei indicando con un gesto il Padreterno
Dio che appare sullo sfondo sembra tuffarsi in picchiata sul mondo terreno.
L’interpretazione data da Lorenzo Lotto all’episodio dell’Annunciazione mira a
dare immediatezza alla scena, come se fosse un’istantanea che coglie i
protagonisti in un determinato momento temporale rivelandone le sensazioni
emozionali.
Anche i particolari vogliono contribuire alla sensazione di una realtà molto
terrena, di vita quotidiana:
c’è il letto a baldacchino, uno scaffale con vari oggetti, un libro sul leggio, la
clessidra sullo sgabello, cuffia e scialle bianco appesi.
Un gatto, che al centro della scena appare anch’egli spaventato dall’arrivo
dell’Angelo, ha la schiena inarcata, le zampe anteriori alzate e lo sguardo girato
in alto verso la Vergine.
La Madonna ha un abito rosso sotto con sopra un’altra veste con le frange,
abbigliamento tipico dei costumi popolari dell’epoca ed ha un aspetto modesto,
da ragazza di campagna.
Anche Dio indossa una veste rossa che richiama la veste rossa di Maria.
La stanza si apre con un arco a tutto sesto sul porticato, il soffitto è a cassettoni.
Al di là troviamo piante ornamentali di un giardino ben curato.
Lotto cerca di teatralizzare la scena e calarla nel presente. Abbassa il piano del
pavimento e crea un effetto di instabilità spaziale. Per l’angelo si ispira un po’ a
Raffaello, per l’espressività e per il chiaro scuro a Leonardo, per il realismo ai
pittori nordici e alle tele di Carpaccio.
184
Lorenzo Lotto, Cristo vite e storia di Santa Barbara, 1524, Trescore Balneario, oratorio Suardi
185
Michelangelo e Raffaello a Roma
Michelangelo Buonarroti, tomba di Giulio II, 1505-45, Roma, San Pietro in Vincoli, progetto originario
per la tomba di Giulio II, 1505, ricostruzione di C. de Tolnay
186
Jacopo Rocchetti, secondo progetto per a tomba di Giulio II, 1512-1513, copia di un disegno di
Michelangelo
187
Michelangelo Buonarroti, Mosè, 1513-15, Roma, San Pietro in Vincoli
Una delle statue più famose di Michelangelo. Posizionata poi al centro della
tomba di Giulio II.
188
Cappella sistina, città del vaticano, palazzi vaticani
189
Michelangelo Buonarroti, affreschi della volta della cappella sistina, 1508-1512, città del vaticano,
palazzi vaticani.
191
12/04/2022 15° lezione
192
Michelangelo Buonarroti, profeta Giona, cappella sistina
Notiamo qua le differenze dei risultati tra l’inizio e la fine del lavoro, Zaccaria
rappresentato in modo molto statico, Giona dinamico, appena uscito dalla
balena.
193
Michelangelo Buonarroti, sibilla libica, cappella sistina
194
Michelangelo Buonarroti, Diluvio Universale, cappella sistina
195
Michelangelo Buonarroti, creazione di Adamo, cappella sistina
In questa fotografia si scorgono anche gli ignudi, dipinti simili a sculture che
fanno capire la complessità della struttura iconografica.
Lo sfondo è vuoto, vediamo Dio Padre che tocca Adamo rendendolo un uomo.
196
Michelangelo Buonarroti, Creazione degli Astri, cappella sistina
Raffaello, stanza della segnatura, 1508-1511, Città del Vaticano, Palazzi Vaticani
Raffaello si dedica alla nuova ala nei palazzi vaticani, alla corte del pontefice
Giulio II, che desiderava cambiare appartamenti (Alessandro VI Borgia
predecessore). Egli cambia piano e chiama una equipe di artisti per decorare il
tutto velocemente, Raffaello all’inizio non era contemplato in questa rosa.
Quando Raffaello arriva a Roma egli ha un bagaglio culturale molto carico,
partendo dalla corte di Urbino, passando poi per Perugia. Lo stesso Vasari diceva
che Raffaello aveva una grazia, anche nei modi, aveva una corte di artisti e amici
che lo accompagnava, era il perfetto cortigiano, educato secondo i parametri del
gentiluomo. Per altro nella corte di Federico da Montefeltro viene influenzato da
Piero della Francesca, da tanti architetti e artisti fiamminghi. A Perugia la sua
197
arte si ammorbidisce molto. Arriva a Firenze tramite Pier Soderini e incontra la
pittura di Leonardo e Michelangelo.
Una delle sue doti era quella di cogliere le priorità e le volontà del committente,
quando arriva a Roma riesce ad entrare immediatamente nelle dinamiche di
Giulio II e della corte.
La stanza della segnatura ha una coerenza a partire dalla struttura della
decorazione, dallo zoccolo che si alterna che sembra sorreggere il piano, le scene
sono 4, la volta è interamente affrescata, Raffaello interviene solo parzialmente
perché era già iniziata. Viene chiamata così la stanza perché per un certo periodo
era una sorta di tribunale dove venivano assegnate grazie e condanne, in origine
era una biblioteca, secondo una tradizione medievale la collocazione dei libri
erano disposti per argomento, a seconda delle decorazioni della parete, si
alludeva al tema delle letture. Le 4 pareti a lunette sono quindi dedicate a 4
discipline, legati al settore sacro, filosofico (Scuola di Atene), poetico (Parnaso)
e giuridico.
Raffaello, Disputa sul Sacramento, Stanza della segnatura, 1508-1511, città del vaticano, palazzi
vaticani
198
estremamente chiare, che rispecchiano la volontà del pontefice e la resa
teologica. Nel semicerchio superiore vengono rappresentati Cristo sul trono e
sopra di lui compare Dio Padre. La pavimentazione conduce l’occhio al fulcro del
sacramento collocato sopra l’altare.
199
Raffaello, Parnaso, stanza della segnatura, 1508-1511
200
Raffaello, Stanza di Eliodoro, 1511-1514, Città del Vaticano, Palazzi Vaticani
201
Raffaello, Cacciata di Eliodoro dal tempio, Stanza di Eliodoro, 1511-1514, città del vaticano, palazzi
vaticani
Episodio di Eliodoro che profanò il tempio rubando un tesoro, che venne cacciato
da un angelo, il quadro ha una grande concitazione. Gli atteggiamenti sono divisi,
sullo sfondo il sacerdote Anania, che invoca l’angelo e ringrazia per l’intervento
miracoloso.
Questi sono anni dove viene messo molto in discussione il potere temporale di
Giulio II, che viene considerato più un guerriero che un papa, aveva realizzato
da poco la basilica di San Pietro e aveva bisogno di rifocillare le banche papali,
poco dopo inizieranno gli episodi della vendita delle indulgenze. Il tema
iconografico della stanza è estremamente coerente, rappresentando interventi
divini a favore della chiesa, quello che appunto Giulio II voleva ottenere. A destra
il pontefice entra all’interno della rappresentazione, c’è un’assoluta tranquillità
nei comportamenti perché questo corrisponde alla certezza della curia sul fatto
che la chiesa è nel giusto.
202
Raffaello, Messa di Bolsena,1511-1514, città del vaticano, palazzi vaticani
203
Raffaello, Liberazione di San Pietro dal carcere, Stanza di Eliodoro, città del vaticano, palazzi vaticani
Al centro si vede l’angelo che libera Pietro, sulla sinistra i soldati addormentati e
sulla destra il santo che esce. Gli sfondi richiamano quelli di Tiziano, a queste
date Raffaello è a conoscenza delle novità veneziane.
Il successore di Giulio II, Leone X dei Medici, aveva una natura molto più
autocelebrativa del predecessore.
204
Raffaello, Battaglia di Ostia, Incendio di Borgo, Incoronazione di Carlo Magno, stanza
dell’incendio di Borgo, 1514-1517, città del vaticano, palazzi vaticani
205
Raffaello, Incendio di Borgo, Stanza dell’incendio di Borgo
Ci sono citazione letterarie, sulla sinistra il giovane che porta il vecchio rievocano
Enea che porta sua padre alla salvezza, ci sono elementi legati all’architettura
antica.
206
13/04/2022 16° lezione
207
Raffaello, Madonna Sistina, 1513, Dresda, Staatliche Gemaldegalerie
“Fate posto al grande Raffaello". Queste furono le parole con cui Federico
Augusto III accolse nel 1757 a Dresda La Madonna Sistina. Si dice che il monarca
fece addirittura spostare il proprio trono per poter meglio ammirare il capolavoro
di Raffaello Sanzio. Nei secoli la Madonna Sistina ha affascinato artisti, filosofi,
scrittori, poeti come Goethe, Dostoevskij, Puskin, Schopenauer, Bulgakov,
Nietzsche, Heidegger, Ernst Bloch, Vasilij Grossman solo per citare i più noti tra
loro.
Il dipinto di Raffaello si dischiude come una quinta teatrale. Un ampio
panneggiamento verde apre il centro della scena dove la Vergine si muove verso
lo spettatore tenendo tra le braccia il bambino Gesù. Lo sguardo dei due è rivolto
al pubblico che osserva. La Madonna si rivela ai fedeli, in una sorta di epifania
come sospesa tra le nuvole, il moto è suggerito delle pieghe della sua semplice
veste mosse come da un leggero vento che accompagna l'ingresso di una
giovanissima Madonna, sospesa in un cielo di angeliche nuvole. Ai due lati le
figure di due santi che con i loro gesti accentuano la teatralità della
rappresentazione e completano da un punto di vista compositivo la geometria
208
dei personaggi protagonisti della scena in un ideale triangolazione di sguardi tra
l'interno e l'esterno del quadro.
A sinistra della composizione Papa Sisto II - ventiquattresimo vescovo della
Chiesa di Roma, morto nelle persecuzioni sotto Diocleziano - volge lo sguardo
alla Vergine. San Sisto è un anziano con capelli bianchi radi sulla fronte e una
barba ispida e anch'essa canuta. Sopra il candido camice veste un manto dorato
lungo e ornato di ricami. Il copricapo è posto a terra, gli occhi sono rivolti in
contemplazione verso l'alto. A destra Santa Barbara è inginocchiata sulle nuvole,
vestita con eleganti abiti cinquecenteschi. Alle sue spalle si scorge la torre dove
fu rinchiusa che ne è anche il simbolo. Gli occhi socchiusi e il dolce volto paiono
porgersi verso un immaginario popolo di fedeli che più in basso si rivolge in
preghiera alla Madre di Dio. La perfetta epifania si completa con due gentili e
paffuti angioletti che paiono presenziare sulla scena senza parteciparvi come
sospesi nei loro pensieri appoggiati alla cornice del quadro.
Secondo il Vasari, Raffaello ricevette l’incarico da Papa Giulio II nel 1512. Il
"papa guerriero" fu uno dei più celebri mecenati del Rinascimento, colui che
diede incarico a Michelangelo Buonarroti di eseguire gli affreschi a decorazione
della volta della Cappella Sistina e allo stesso Sanzio la realizzazione di molte
altre opere tra cui La Scuola di Atene. Nella volontà del papa la Madonna Sistina
era un'opera destinata alla Chiesa benedettina di San Sisto a Piacenza, dedicata
a Papa Sisto IV della Rovere avo di Giulio II. Realizzata sul supporto di una
grande tela, l'opera fu esposta nella chiesa piacentina per 240 anni sino al 1754
quando fu ceduta dai monaci piacentini al Grande Elettore Augusto III di
Sassonia per 25.000 scudi romani, una cifra enorme per l'epoca che consentì
all'ordine ecclesiastico di ripianare i propri debiti. Messa al sicuro dai nazisti
durante i bombardamenti che rasero al suolo Dresda tra il 13 ed il 15 febbraio
1945 alla fine del secondo conflitto mondiale il dipinto fu trafugato dall'Armata
Rossa e trasferito in Russia dove rimase per un decennio nelle mani del Museo
Puškin di Mosca che ne curò la conservazione e il restauro. Dopo la morte di
Stalin, in seguito all'instaurazione del Patto di Varsavia, l'opera venne esposta
in una celebre mostra al museo moscovita, dove oltre 1 milione e 500 mila russi
andarono a vederla, per poi fare ritorno a Dresda nell'ottobre 1955. Oggi la
Madonna Sistina si trova nelle Collezioni della Gemälderie Alte Maister di Dresda
dove è esposta al pubblico.
Difficile oggi sapere chi furono i modelli dal vero ad ispirare Raffaello. Le
principali fonti al riguardo sono settecentesche o successive. Secondo le
testimonianze più accreditate la figura della giovanissima Madonna sarebbe la
stessa modella che posò per Raffaello in due quadri molto celebri del pittore
urbinate, La Velata e La Fornarina ovvero quella Margherita Luti, figlia di un
fornaio di Trastevere in contrada Santa Dorotea, che sarebbe stata la donna
amata da Raffaello durante il suo soggiorno romano. Secondo la stessa fonte
San Sisto II avrebbe invece le sembianze del mecenate e committente del
quadro Giulio II e ne sarebbero testimonianza le ghiande roveresche ricamate
209
sul piviale del papa. Per Santa Barbara l'ipotesi prevalente è che la giovane e
bellissima donna abbia le sembianze della nipote del papa Giulia Orsini, mentre
altri hanno immaginato che sia Lucrezia Della Rovere, altra nipote del pontefice.
Nel raffigurare la Madonna, Raffaello apre una "finestra aperta sul cielo", la
Madonna non ha corone sul capo ed è una giovane donna vestita in modo
semplice che porta in braccio il suo bambino. E così viene percepita nella sua
nuova sede a Dresda, dove arriva dopo un difficoltoso viaggio invernale. Il
viaggio al Nord fece infatti la fortuna di quest'opera sublime e innovatrice
seconda per fama forse solo alla Gioconda di Leonardo da Vinci. La Madonna
Sistina è uno dei dipinti ad aver maggiormente attratto a sé la venerazione di
cristiani, cattolici e ortodossi, ma è anche un quadro che ha travalicato la
dimensione religiosa per offrire un termine di paragone della bellezza umana,
che trasformandosi in bellezza spirituale diviene grazia. Giunta in Germania, la
Madonna Sistina diviene meta di pellegrinaggio di molti. Winckelmann la
considera il miglior incontro fra arte greca e arte cristiana, Goethe ne loda
l'espressione spirituale e insieme profondamente umana. Il Romanticismo
tedesco se ne innamora, rafforzato dall'aneddoto di fantasia - creduto vero
all'epoca - di un sogno rivelatore della Madonna a Raffaello che ne spiegherebbe
l'eccezionale intensità trasformando il dipinto quasi in una icona.
Ancor più famosi dell'opera stessa di Raffaello Sanzio sono i due indimenticabili
angioletti alla base del dipinto che sono stati riprodotti innumerevoli volte e in
migliaia di composizioni dalle più kitsch a quelle più pop e ancor oggi sono
probabilmente tra gli oggetti di merchandising più acquistati alla Gemälderie Alte
Maister di Dresda. Una delle più celebri rappresentazioni dei due angioletti è
quella fatta dallo stilista Elio Fiorucci che li raffigurò in chiave ultra-pop ciascuno
con un paio di occhiali da sole colorati, a mo' di divertente sberleffo, facendone
poi l'icona e incorporandoli nel logo del celebre marchio di moda Fiorucci e
contribuendo senza dubbio al grande successo del brand negli anni '70 e '80 del
XX secolo.
210
Raffaello, Trasfigurazione, 1518-20, città del vaticano, pinacoteca vaticana
Nella Trasfigurazione Gesù si alza in cielo sul monte, affiancato dalle apparizioni
dei profeti Mosè ed Elia, mentre gli apostoli, Pietro, Giovanni e Giacomo sono
prostrati e sbigottiti dalla miracolosa manifestazione divina. In basso, alle
pendici del monte, gli altri apostoli, a sinistra, si trovano di fronte un gruppo di
persone che accompagna un fanciullo posseduto dal demonio. Una volta sceso
dal monte, Gesù, come racconta il vangelo di Matteo, l’avrebbe guarito. La tavola
mette insieme il sereno ordine della visione con la drammatica tensione della
scena inferiore, popolata da personaggi monumentali in pose magniloquenti, che
preannunciano la successiva pittura della Maniera. Consapevole di doversi
confrontare con Sebastiano, Raffaello adotta inoltre un registro cromatico
contrastato, apre uno squarcio di paesaggio in lontananza, e si afferma sui brani
di natura degli alberi, al di sotto di quello in alto a sinistra appaiono altre due
figure di giovani inginocchiati: dovrebbero essere i titolari della cattedrale di
Narbonne, i santi Giusto e Pastore.
211
Sebastiano Luciani, detto del Piombo, Resurrezione del Lazzaro, 1517-1519, Londra National Gallery
212
Sebastiano Luciani, detto del Piombo, Pietà, 1516, Viterbo, museo civico
213
Novità a Firenze
Costruito verso la metà del ‘400 su disegno di Michelozzo, appare come una
severa galleria di gusto brunelleschiano, costituita dal succedersi di arcate a
tutto sesto sorrette da colonne con capitelli corinzi. Nonostante il nome, non si
tratta di un chiostro appartato in mezzo al convento e riservato alla meditazione
dei frati, ma di un atrio che chiunque voglia entrare in chiesa deve
necessariamente percorrere. Fin da subiti si iniziarono ad affrescare le pareti, si
vede il confronto tra Andrea del Sarto e i suoi allievi, Pontormo e Rosso
Fiorentino. Erano affreschi che tracciavano una nuova linea di pittura fiorentina:
era stata creata con un linguaggio più complesso rispetto alla savonaroliana
devozione.
214
Finita e consegnata l’8 settembre 1514, data di quella festa liturgica e giorno in
cui il papa fiorentino Leone X concesse alla chiesa della Santissima Annunziata
il giubileo perpetuo. Il soggetto è lo stesso che il ghirlandaio aveva raffigurato
un quarto di secolo prima in santa Maria Novella (p.248 fig.45). l’atmosfera è
assolutamente diversa, lo spazio è grandioso, il clima è assai meno celebrativo
e più intimo, sulla ricchezza degli arredi che predominano i gesti delle figure,
memori della lezione leonardesca, ben presente anche nello sfumato delle carni.
La posa pensierosa e malinconica del vecchio Gioacchino seduto sul letto fa
capire che Andrea conosceva le novità romane di Michelangelo, e la grazia dei
volti femminili è impensabile senza Raffaello, anche se certi ghigni indirizzano
su Leonardo. La scena è molto equilibrata.
215
Andrea del Sarto, Madonna delle Arpie, 1515-1517, Firenze, Galleria degli Uffizi
Il dipinto è famoso come madonna delle arpie perché la vergine col figlio si erge
al centro su un piedistallo ortogonale, al fianco dei quali si trovavano dei
mostriciattoli che Vasari definiva appunto arpie. Andrea del sarto allestisce una
composizione ben equilibrata, anche grazie alla studiata alternanza tra luce e
ombra, le figure solide e statuarie si dispongono davanti ad una parete neutra,
appena mossa da un paio di lesene piatte, a seguire uno schema piramidale,
tanto caro a Leonardo e ai suoi seguaci.
Al vertice superiore la vergine ha sembianze raffaellesche, abbracciata con
tenerezza al figlio, al lato sinistro c’è San Francesco, a destra un giovane San
Giovanni.
216
Il dipinto si può ammirare in un angolo della sala in penombra, perché è ritenuto
il posto migliore per vederlo. Per Vasari era la tavola più bella del pittore a causa
dell’utilizzo dei colori vivaci. L’ordine della madonna delle arpie si disgrega da
qui, tanto nella composizione che nei gusti. Gli angioletti facchini finiscono agli
angoli superiori, ad aprire il tendaggio da dove emerge Maria, che siede dentro
una nicchia in un contorno contrapposto. La sacra conversazione è animatissima
e volutamente sgangherata. Non si capisce come faccia il piccolo Gesù a restare
in equilibrio sulle ginocchia del Padre Giuseppe, con il quale condivide
simmetricamente la testa inclinata e lo sguardo visionario, quando per il resto le
figure paiono respingersi. San Giovanni siede in cerca di ispirazione in primo
piano, con la lunga barba che lo apparenta al Mosè di Michelangelo, ma con
un’aria molto più stanca e meno sicura di sé. San Francesco è un frate
devotissimo, che stringe le mani in preghiera e par che spiri, non sembra
accorgersi del piccolo Battista, un po’ birichino, che gli sta davanti, o del san
Giacomo che gli protegge le spalle a mo’ di guerriero, come se il bastone da
pellegrino fosse un’alabarda.
217
Il dipinto è una sacra conversazione, piuttosto tradizionale nell’impostazione: la
Madonna col Bambino in trono è al centro, affiancata dai quattro santi in piedi.
I colori sono vivaci, lo spazio è un po’ compresso e il Rosso non presta attenzione
a costruire una scatola tridimensionale, concentrandosi esclusivamente sulla
resa di figure tanto espressive, come non si vedevano dai tempi di Donatello. Il
risultato è una recita fatta da attori stravaganti e spigolosi, con le mani che
sembrano artigli, gli occhi attoniti e le arie crudeli e disperate. Prima fra tutte
quella di San Girolamo all’estrema destra, che nella scheletrica e alienata
vecchiaia ha veramente un aspetto demoniaco.
218
Jacopo Pontormo, Deposizione, 1526 ca. Firenze, Santa Felicita, cappella Capponi
Il corpo di Cristo viene staccato e deposto dalla croce. Due giovani lo sorreggono
e si preparano a trasportarlo al sepolcro dove verrà inumato. La Vergine mentre
osserva a destra verso il figlio viene soccorsa dalle donne presenti. Sul viso di
Maria si legge la sofferenza nel vedere il figlio morto. Le sue braccia si aprono in
segno di disperazione mentre il corpo sembra mancare a causa del dolore.
Intorno alla Madre di Cristo vi sono sei figure femminili mentre a sinistra si
intravede il volto di San Giovanni. Il giovane discepolo indossa un mantello e
porta una sottile barba. La scena sembra compiersi all’interno di uno spazio
chiuso e decorato. Infatti il suolo pare un piano artificiale mentre la nuvola in
alto pare dipinta su di un fondale.
L’episodio rappresentato nell’opera del Pontormo è quello dal momento in cui
Cristo viene portato nel sepolcro. Per questo il titolo dalla tavola è più
correttamente Trasporto di Cristo. La Deposizione del Pontormo interpreta
l’episodio religioso attraverso gli stilemi caratteristici del Manierismo. Il dipinto
è considerato dagli storici un manifesto stilistico. Altri invece fanno notare il
carattere estremamente visionario dell’opera. La indicano piuttosto come opera
fuori dagli schemi, anche quelli manieristi. La scena è concepita come una
219
rappresentazione spettacolare. Le reazioni emotive dei protagonisti infatti
vengono tradotte in effetti visivi raffinati ed eleganti. La figura appena accennata
a destra è Nicodemo e la tradizione lo indica come un autoritratto del Pontormo.
Il Pontormo nacque nel 1594 quindi all’epoca della realizzazione di questo dipinto
aveva circa 30 anni. La Pala nel tempo ha subito diversi restauri alcuni dei quali
non troppo corretti. Il restauratore Daniele Rossi ha eseguito l’ultimo e
approfondito intervento. In seguito ad analisi spettrografiche e chimiche sono
state individuate le tinte e la natura del legante utilizzate da Pontormo. I colori
sono stati legati con albume e tuorlo d’uovo. Pontormo usò inoltre diversi
pigmenti preziosi come il lapislazzulo nel cielo. Gli incarnati infine sono stati
realizzati con diversi strati di trasparenze di lacche colorate come la lacca di
Robbia.
Jacopo Carrucci detto il Pontormo è uno dei principali manieristi italiani. Nacque
nel 1494 a Pontormo in provincia di Empoli. Lavorò in diverse botteghe tra le
quali quella di Leonardo.
L’artista è considerato uno tra i più visionari del Manierismo italiano e nei suoi
dipinti fu ben lontano dalla classica armonia e dal bello ideale di Raffaello.
Pontormo fu maestro del Bronzino e morì il 31 dicembre 1557.
Diversamente da Raffaello, Pontormo non volle raffigurare un immaginario
equilibrato ed in armonia. Piuttosto rappresentò l’inquietudine e l’orrore dei suoi
contemporanei. Nel dipinto infatti l’artista non racconta la vicenda della
Deposizione né tanto meno affronta la scena in termini realistici. Piuttosto la sua
è una visione fantastica e spettacolare dell’evento con sensazioni portate
all’estremo.
Gli stessi colori accesi e brillanti sottolineano l’atmosfera fantastica del dipinto.
Anche le figure dall’aspetto allungato verso l’alto e dalle posizioni contorte
sembrano far parte di una diversa realtà da quella umana. I personaggi poi
assumono torsioni nelle posture tipiche dello stile manierista. Gli abiti sembrano
dipinti direttamente sul corpo come nel giovane accovacciato in primo piano.
Tutti i personaggi sono in posizioni di precario equilibrio e alcuni di loro paiono
addirittura non poggiare i piedi sul terreno. Questa caratteristica rende quindi la
scena particolarmente movimentata e instabile. I visi dei personaggi presentano
espressioni drammatiche. Gli occhi sono spalancati e sembrano volerci
trasmettere il dolore e l’orrore che stanno provando.
Infine Pontormo utilizzò tutte le componenti del dipinto per allontanarsi dalla
verosimiglianza che alcuni maestri prima di lui avevano cercato. Il colore, la
prospettiva, le proporzioni e le posizioni sono lontane dalla ricerca della realtà e
contribuiscono a creare un’atmosfera irreale tipica del manierismo.
La Deposizione del Pontormo è una tavola di 315 x 192 cm. dipinta con tempera
all’uovo su tavola in velature.
220
Nella Deposizione dominano colori caldi alternati a vesti di colore freddo. Le
tonalità sono forti e brillanti e la luce diretta e intensa. L’illuminazione che
colpisce i personaggi poi non è del tutto naturale e pare che la scena sia
illuminata da luci artificiali e teatrali. Inoltre alcuni personaggi sembrano
emettere una luce propria brillante e quasi fosforescente.
La scena rappresentata nella Deposizione del Pontormo offre una interpretazione
anti naturalistica dell’evento. L’ambiente infatti non viene chiarito nei dettagli e
anche la nuvola a sinistra risulta essere un particolare isolato e artificioso. Non
è chiaro, poi, su che tipo di piano siano posti i personaggi. Se quelli in primo
piano sembrano appoggiarsi su un pavimento le donne in secondo piano
sembrano stare in piedi su basi o pedane rialzate.
Il dipinto del Pontormo presenta una forma rettangolare sviluppata in verticale.
Il bordo superiore è sostituito da un arco a tutto sesto per adattarlo alla cornice
architettonica. L’inquadratura è totalmente occupata dalle figure che animano la
scena e alcune di loro sono tagliate dai bordi della tavola.
La loro disposizione è irregolare e per nulla simmetrica. Le figure sono
organizzate verso l’alto su piani superiori e sembrano formare una piramide
umana.
La composizione è geometricamente organizzata. Il registro superiore, infatti è
raccolto all’interno di un cerchio. Sono presenti alcune direttrici oblique come
quella che collega lo sguardo di Maria con il volto di Cristo. Il suo corpo, infine,
insieme a quelli dei due giovani, crea una obliqua che raggiunge l’angolo in basso
a destra attraverso il lembo del panno verde. Le forme ed i panneggi sono
costruiti con linee a serpentina tipiche dello stile manierista.
221
Rosso Fiorentino, Deposizione, 1521, Volterra, pinacoteca civica
Cristo viene deposto dalla croce dagli uomini che gli sono intorno. La croce ha
una struttura massiccia che crea una potente macchina scenica insieme alle scale
di legno. Tra i quattro personaggi posti in alto vi sono Nicodemo e Giuseppe di
Arimatea che si affannano per deporre il corpo esanime del Maestro. I loro volti
sono tesi nello sforzo e le loro espressioni intense e concentrate. In basso Maria
è sostenuta da due donne mentre la Maddalena inginocchiata la abbraccia. A
destra invece il giovane apostolo Giovanni viene confortato da un adolescente.
Rosso Fiorentino, pittore manierista, fu molto richiesto nelle corti italiane ed
europee. Si trasferì infatti in Francia a Fontainebleau dove fu promotore dello
sviluppo di una scuola locale.
Le influenze che agirono sulla pittura di Rosso Fiorentino derivarono soprattutto
da Michelangelo. Dal grande maestro del Rinascimento derivò il colore, la
composizione e il modellato dei corpi seppur più asciutto. Le anatomie infatti
risultano molto curate ma piuttosto legnose. Da Raffaello, invece deriva la grazia
delle posture molto evidente nel gruppo delle donne che accompagna Maria. Le
222
posizioni degli uomini che operano nella parte alta sono invece insolite e molto
artificiose. Per questo gli storici e i critici le hanno descritte con diverse metafore.
Alcuni vi hanno visto una particolare danza scenica. Altri invece hanno
paragonato i personaggi alle figure di ragni che si affannano sulle scale.
I colori delle vesti sono brillanti e il loro chiaroscuro trasforma i tessuti in legno
scolpito. La luce scultorea e fredda crea un’atmosfera fantastica e irreale.
La composizione della Deposizione di Rosso Fiorentino è articolata su due registri
sovrapposti. Le due parti sembrano scene autonome create per coinvolgere al
massimo l’osservatore. In altro si forma un vortice che ruota e asseconda il bordo
a tutto sesto del dipinto. In basso invece i due gruppi di personaggi sono collegati
dalla figura obliqua della Maddalena inginocchiata.
Rosso Fiorentino, Mosè salva le figlie di Jetro, 1523ca., Firenze, Galleria degli Uffizi
224
Rosso Fiorentino, cristo morto tra due angeli, 1525-1526, Boston
225
Un documento riporta come più tardi l’artista cercò di rivendicare i beni lasciati
a Roma durante la sua fuga, tra cui soprattutto un Cristo morto attorniato da
angeli.
Una ventina d’anni più tardi la pala però si trovava ancora a Roma ed
apparteneva a Monsignor Della Casa, come riporta lo stesso Vasari nella prima
edizione delle Vite (1550), e nella seconda (1568) indicandola come pervenuta
agli eredi di Giovanni Della Casa (morto nel 1556).
Per quanto riguarda l’originaria sistemazione della pala, sono state avanzate
diverse ipotesi, sia relative ad ubicazioni presso la capitale, che a Borgo San
Sepolcro, sede del vescovo Tornabuoni.
Più recentemente alcuni studiosi hanno ipotizzato che l’opera facesse parte della
decorazione della Cappella Cesi (pagina precedente) in Maria del Popolo. Se così
fosse la pala sarebbe pervenuta al vescovo di Sansepolcro in secondo tempo
(alla risoluzione del contratto con Angelo Cesi), magari in seguito ad un nuovo
restauro architettonico della cappella che richiedeva una pala con misure più
grandi.
Secondo Natali non sarebbe da scartare neanche l’ipotesi che la tavola, realizzata
nella sua modernità, fosse stata respinta, come avvenne per altri lavori del
Rosso.
226
Michelangelo fu designato dal papa per il progetto della costruzione della
facciata, ma il cantiere fu dismesso poco dopo, per questo la facciata è ancora
grezza, in attesa del rivestimento che non ha mai avuto. Tuttavia sappiamo bene
cosa aveva in mente Michelangelo, non solo da alcuni disegni, ma da un vero e
proprio modello ligneo, che dovette essere approntato nel 1518, in vista
dell’avvio dei lavori, e si conserva nel museo Casa Buonarroti.
227
San Lorenzo pianta
Michelangelo Buonarroti, tomba di Giuliano dei Medici duca di Nemour con il Giorno e la notte,
Sagrestia nuova di San Lorenzo, 1520-34
229
Michelangelo Buonarroti, tomba di Lorenzo dei Medici duca di Urbino con l’Aurora e il crepuscolo,
sagrestia nuova di San Lorenzo, 1520-1534
230
Michelangelo Buonarroti, tomba di Lorenzo dei Medici duca di Urbino, particolare dell’aurora,
sagrestia nuova di San Lorenzo, 1520-1534
231
Michelangelo Buonarroti, Madonna che allatta il bambino, Sagrestia nuova di San Lorenzo, 1520-
1534
232
Il vasto ambiente è noto come Sala di Costantino, perché sulle pareti sono
narrati quattro episodi della vita dell’imperatore romano che, nel 313, riconobbe
libertà di culto alla religione cristiana. I primi due episodi li avevamo già visti
illustrati da Piero della Francesca ad Arezzo, ma, a oltre mezzo secolo di
distanza, tutto è enormemente più concitato, anche rispetto alle opere cui ci
aveva abituato lo stesso Raffaello, che arriva a simili esiti solo con la zona
inferiore della Trasfigurazione, in passato riferita spesso a Giulio Romano.
Affiancate da figure di pontefici, le storie sono pensate come estesi arazzi,
riempiti di soggetti in pose spesso ardite e complicate, a indicarci quanto il
Sanzio, negli ultimi tempi di vita, cercasse di portare alle estreme conseguenze
la pittura di Michelangelo, innervandola di ulteriore tensione. La semplicità
peruginesca è ormai lontanissima e si coglie già lo spirito della cosiddetta
Maniera incarnato nelle composizioni e nello stile di Giulio Romano: l’allievo più
fedele e il vero erede della bottega di Raffaello, che, non senza assistenti, si
occupò di questo cantiere dal 1520 al 1524, quando si trasferì a Mantova.
233
Giulio Romano su disegno di Raffaello, 1520-1524, Battaglia di Costantino a Ponte Milvio, città
del vaticano, palazzi vaticani
234
Mantova
Giulio Romano e bottega, Palazzo Te, facciata verso il giardino 1525-1535, Mantova
235
Dimora suburbana, costruita entro il 1534 ai margini della città, sull’isola di
Teieto, da cui deriva il nome. L’isola non esiste più dopo che il lago venne
interrato nel XVIII secolo. Il palazzo è organizzato su di una pianta quadrata,
intorno al grande cortile centrale, e prevede un solo piano, che nelle superfici
dei prospetti annuncia le predilezioni per il bugnato rustico e le serliane adottate
dal Sansovino a Venezia.
236
statue di divinità o, sopra le finestre, busti di personaggi. La parte superiore
della campata è caratterizzata invece da finti bassorilievi di bronzo che
raccontano le fatiche di Ercole. Il fregio che corre alla sommità delle pareti,
all’angolo delle quali sono ritratte quattro aquile gonzaghesche, è popolato da
puttini e puttine che si muovono tra graziosi girali variopinti e mascheroni. Il
soffitto, in legno dorato su fondo blu, nei cassettoni racchiude rosoni e le imprese
più ricorrenti del palazzo: quelle del Ramarro e del Monte Olimpo.
Le festose scene sulla volta della Farnesina sembrano riecheggiare a Palazzo Te,
qui con un maggiore senso di movimento e più accesi scarti cromatici, nelle
scene delle pareti, dove i protagonisti sono coinvolti nella preparazione del loro
banchetto nuziale. Nella cornice soprastante corre una lunga iscrizione in latino
che allude alla funzione del palazzo e si può tradurre così “Federico II Gorzaga
V marchese di Mantova, capitano generale della Santa Romana Chiesa e della
repubblica fiorentina, in onesto ozio, dopo le fatiche, fece costruire allo scopo di
ristorare le energie per la vita di pace”.
237
Giulio Romano e bottega, Sala dei giganti, 1531-1534, Mantova, Palazzo Te
238
Di fatto il termine manierismo è coniato dopo, intendendo maniera una
differenza di stile, per Vasari i grandi dello stile moderno sono Leonardo,
Raffaello, Michelangelo. Vasari stesso mette un limite dicendo che i grandi hanno
toccato il vertice con il rapporta tra natura e antico, l’artista contemporaneo non
può superare questi artisti. Cosa si può fare? Sicuramente lavorare sulla base di
una tradizione legata alla conoscenza dell’antichità e alla conoscenza dei maestri
più recenti, provando ad elaborare un linguaggio diverso, che deve trovare i
vertici nella consapevolezza che più di così non si può fare. Si parte dal
naturalismo e si arriva a qualcosa di più elaborato, trasgredire alla regola per
tornarci. Alcuni manieristi della prima stagione che hanno come punto di
riferimento Michelangelo ma che trasgrediscono le leggi tradizionali, come Rosso
Fiorentino che non ha una vera e propria struttura nei suoi quadri, i colori
diventano artificiosi, frutto di una ricerca disperata cercando di dire sempre
qualcosa di nuovo.
Si aprono comunque capitoli di grande intensità come con Correggio, dove c’è
un grande naturalismo, la pittura diventa sempre più raffinata e inevitabilmente
meno diretta al rapporto con quello che guarda.
239
27/04/2022 17° lezione
Correggio
Correggio, Camera della Badessa con il mito di Diana, 1519, Parma, monastero di S. Paolo
240
Correggio, Camera della Badessa con il mito di Diana, 1519, Parma, monastero di S. Paolo
241
Correggio, Cristo appare a S. Giovanni, 1520-1522, Parma, cupola della chiesa di S. Giovanni
evangelista
242
Correggio, assunzione della Vergine, 1526, Parma, cupola del duomo
243
Rocca Sanvitale
244
Francesco Mazzola detto il Parmigianino, volta della stufetta con il mito di Diana, rocca di Sanvitale
245
Dettaglio
246
Parmigianino, Madonna con Bambino, 1534-40, Firenze, Galleria degli Uffizi
Detta “la madonna dal collo lungo” le sue proporzioni sono portate a degli
eccessi, il collo e membra sono molto allungate. Questo esprime pienamente
l’intenzione manierista. Mancano tutti gli elementi che fanno parte di una
iconografia tradizionale. Il bambino potrebbe essere anche morto a quanto pare.
La colonna sullo sfondo è un simbolo mariano nella tradizione, ma nuda e
spezzata come viene raffigurata è profondamente lontana alla tradizione, anche
il profeta sulla destra desta un elemento di inquietudine. La madonna con il
bambino dovrebbe alludere a delle forme serene, qua vuole raffigurare altre
cose.
247
Michelangelo, Giudizio finale, 1536-41, città del vaticano, cappella sistina
Occupa la parete di fondo della cappella, dove erano presenti gli affreschi
dedicati a Sisto IV, che doveva realizzare Pietro Perugino. Michelangelo a lungo
vissuto in certi ambienti della chiesa che fino all’ultimo puntano ad una
riconciliazione, ad una riforma della chiesa che non vuole divisione. L’opera è
rivoluzionaria, all’epoca oggetto di tante critiche proprio perché si inserisce in un
momento storico particolare, quello della Riforma. Ci sono elementi che non
corrispondo alla tradizione evangelica, è stato al limite per essere distrutto,
molta parte dei trattati per i pittori, con delle direttive, spiegano cosa non deve
essere fatto, il giudizio è stata la fonte di ispirazione. Viene chiamato un pittore
vicino a Michelangelo per rivestire alcune parti di nudità che venivano
considerate eccessive. L’artista era Daniele da Volterra. Alcune parti sono
rimaste perché essendo fatte nel ‘500 fanno parte di una storia.
L’opera d’arte deve essere d’ammaestramento per i fedeli cattolici. La cappella
sistina era stata pensata come una struttura privata, agli occhi della curia tutti
questi elementi non erano ben visti. La trinità fa questo giudizio universali (Dio,
Cristo, spirito santo), qui in primo piano c’è solo Cristo giudice, questo è uno dei
primi elementi inconcepibili di una tradizione iconografica sacra. La gerarchia
non c’è, il grande Gesù fa un gesto come per iniziare un moto circolare, il cielo
248
attorno a lui è vuoti per aggiungere risalto, al suo fianco si rannicchia la Vergine
che funge da intermediario tra la trinità e i fedeli. Per il resto il moto quasi
rotatorio ammasso personaggi in modo casuale. Sullo sfondo ci sono i beati e i
dannati, senza riferimenti sacri, viene raffigurato anche Caronte che traghetta i
dannati nell’opera dantesca, ma il riferimento non ha nulla a che vedere con la
sacralità.
Particolare
249
Marcello Venusti, copia del giudizio finale di Michelangelo, 1541-49, Napoli, museo nazionale di
Capodimonte.
250
Lorenzo Lotto, storie di Santa Caterina, della Maddalena, S. Brigida e S. Barbara, 1524, Trescore
Balneare, oratorio dei conti Suardi. Particolare di Cristo vite e gli eretici
Dietro Cristo vite ci sono episodi che ricordano i martiri delle sante, che hanno
dovuto affrontare per mantenere fede al proprio credo.
Michelangelo Buonarroti, conversione di San Paolo, 1542-1545, città del vaticano, cappella paolina
Michelangelo è vicino alla vecchiaia, nell’ultima fase diventa sempre più sintetico
per quanto riguarda le figure, i colori, il paesaggio e la tipologia della
composizione. San Paolo cade da cavallo perché diventa momentaneamente
ceco a causa della luce divina, che gli farà cambiare prospettiva.
251
Michelangelo Buonarroti, conversione di San Pietro, 1546-1549, città del vaticano, cappella paolina
252
Tiziano Vecellio, incoronazione di spine, 1540-43, Parigi, Musee du Louvre.
253
Tiziano Vecellio, Punizione di Marsia, 1570-1576, Kromerìz, museo Arcivescovile
Il centauro Marsia sfida apollo a chi è più bravo a suonare la lira, ovviamente
perde e la pena è quello di essere scorticato vivo. Tiziano accosta il dolore a
quello della sua vita, la consapevolezza di avvicinarsi alla morte. Il rapporto con
il colore è materico.
254
Jacopo Tintoretto, Miracolo di S. Marco, 1548, Venezia gallerie dell’accademia
Jacopo Tintoretto, Ritrovamento del ciori di San Marco, 1562-63, Milano, Pinacoteca di Brera
255
La luce è artificiale, emanata da San Marco.
256
Venezia, scuola grande di San Rocco, sala capitolare dipinti di Jacopo Tintoretto, dal 1564
Andra Palladio, Villa Barbaro, 1555-1559, Maser. Paolo Veronese, Affreschi di Villa Barbaro, 1561-62,
MAsser
Cosa succede a Venezia dopo la grande scuola di Tiziano, Andrea Palladio viene
identificato come un grande architetto, realizza a Vicenza il teatro palladiano e
basilica palladiana, un architetto dilettante che realizza gli edifici interpretando
il linguaggio rinascimentale, il suo stile diventa molto apprezzato e riconoscibile
perché si rifà all’antica, fino all’800. Realizza anche villa Barbaro a Maser in foto,
257
una località tra Vicenza e Venezia, tutta affrescata da Paolo Veronese, benvoluto
da Tiziano, così da diventare uno dei protagonisti dell’epoca. L’immagine a destra
fa capire che dipingendo egli realizza ambienti che mettono a contatto l’esterno
con l’interno.
258
Paolo Veronese, Cena in casa di Levi, 1573, Venezia, Gallerie dell’Accademia
259
03/05/2022 18° lezione
Taddeo Zuccari, Sala dei fasti farnesiani, 1562-1565, Caprarola, villa Farnese.
Taddeo Zuccari, il cardinale Alessandro Farnese incontra Carlo V a Worms, 1562-1565, Caprarola,
villa Farnese
A sinistra la sala decorata con episodi che raccontano momenti salienti della
famiglia (quella di Paolo III). Sulla destra l’episodio dell’incontro tra il cardinale
Alessandro Farnese e Carlo V, per esaltare le capacità e le strategie del pontefice.
Gli autori di questi affreschi sono diversi, il principale è Taddeo Zuccari, che
insieme al fratello Federico, è protagonista della seconda stagione del
manierismo romano, provengono da Sant’Angelo in Vado. Si stabiliscono poi a
Roma e li possiamo trovare in tanti cicli decorativi, sacri e profani.
260
Jacopo Barozzi detto il Vignola e Giacomo
della Porta (Facciata), chiesa del Gesù, Roma
Con il concilio di Trento si sancisce una linea guida del sacro e del profano,
vennero stabiliti principi che le opere dovevano rispettare. Qualora questi non
fossero stati rispettati le opere andavano nel tribunale dell’inquisizione.
La chiesa protestante non approvava le immagini, in quanto il popolo si
concentrava su quelle e non sugli episodi sacri. La controriforma stabilisce che
le immagini debbano essere uno strumento di ammaestramento del popolo.
Non esiste una seduta dove si parla espressamente delle immagini, viene solo
ribadito questo concetto, alla chiusura del concilio vengono scritti questi trattati.
Il prototipo della chiesa riformata è come la Chiesa del Gesù, bisogna eliminare
al suo interno ogni tipo di barriera, in modo da accogliere tutti i fedeli.
L’interno ha diversi altari distribuiti, ognuno con una pala di altare.
261
Scipione Pulzone, Giuseppe Valeriano, Gaspare Celio, Sposalizio della Vergine e Assunzione della
Vergine, 1584-1589, Roma, chiesa del Gesù
I colori degli abiti della Vergine sono uguali proprio per identificarla. Nello
sposalizio è presente anche Dio padre ad approvare la cerimonia. Una pittura
molto semplice e un’immagine comprensibile a tutti.
Qui si tratta ovviamente di pittura sacra e pubblica, gli artisti si attengono
pienamente alla regola. Non si pensa ad una rottura dalla tradizione, qualcuno
ritiene che la decadenza della pittura sacra si fa risalire a questo momento dove
la fantasia degli artisti va leggermente a calare.
262
Pasquale Cati, Concilio di Trento, 1588-89, Roma, chiesa di S. Maria in Trastevere
Artista marchigiano che lavora alla corte di papa Sisto V, marchigiano anch’esso.
L’immagine del concilio di Trento come strumento di avvicinamento del fedele al
culto è fondamentale.
Le pareti si riempiono di immagini affrescate, una è questa. Uno gli episodi è
quello del concilio di Trento, ci sono elementi legati alla tradizione, in modo da
farle percepire al fedele immediatamente. Lo Spirito Santo entra nella tela.
263
Federico Barocci, Madonna del popolo, 1575-1579, Firenze, Galleria degli Uffizi
264
Ludovico Carracci, Annunciazione, 1585, Bologna, Pinacoteca Nazionale
Uno dei tre (due fratelli e un cugino, lui) Carracci che apre la nuova stagione
dopo la maniera.
Questa è la pittura sacra, realizzata da Carracci che appunto è anche un teorico
dell’arte. Egli propone un’annunciazione immediatamente riconoscibile, perché
egli fa uno studio capillare dei testi biblici. L’angelo spalanca le finestre ed entra
con lo spirito santo, Maria non lo guarda come da regola dell’annunciazione, lei
dice semplicemente sì, accetta il suo destino. Viene rievocata la tradizione
‘400esca con la prospettiva delle linee del pavimento che indicano profondità.
265
Annibale Carracci, La Bottega del macellaio, 1582-1583, Oxford, Christ Church Gallery
266
Annibale Carracci, Ercole al bivio, 1596, Roma, Palazzo Farnese
267
19° lezione 04/05/2022
268
Annibale Carracci, Trionfo di Bacco e Arianna, dal 1598, Roma, Palazzo Farnese
Affreschi del genere diventeranno veri e propri punto di riferimento per la pittura
del ‘600.
C’è riferimento a Michelangelo con la torsione dei corpi, i colori sono simili a
quelli di Raffaello.
Questo processo di idealizzazione porta alla creazione di queste immagine, la
pittura è aulica e altisonante.
Anche l’ambientazione è già vista, composizioni non artefatte e luminose.
269
Annibale Carracci, fuga in Egitto, 1603-04, Roma, Galleria Doria Pamphili
270
Annibale Carracci, La Pietà, 1599-1600, Napoli, Museo di Capodimonte
Dipinto sacro che viene rappresentato da diversi altri artisti. Da molti punti di
vista emerge il processo che porta ad una selezione di elementi che si
allontanano alle fattezze di Michelangelo, i panneggi di Raffaello, e i colori della
pittura veneta.
271
Michelangelo Merisi detto Caravaggio, Bacco, 1596-97, Firenze, Galleria degli Uffizi.
Veneto di origine, viene a Roma per lavorare al farnese, Carracci è stato diversi
anni a lavorare in una bottega, invece.
Caravaggio acquisisce competenze che hanno una tradizione, legata alla regione
lombarda dove svolge la sua formazione.
Quando lascia la Lombardia per andare verso Roma, non ha mai avuto
committenze, ha sicuramente conoscenze. Quando arriva lavora per un po’ di
anni per la bottega di Giuseppe Cesari detto il Cavallino. Una delle botteghe
manieriste più importanti di fine ‘500. Ogni artista che la frequentava dopo si
specializzava in stili particolari. Caravaggio era legato alla rappresentazione di
elementi naturali che diventeranno una delle caratteristiche del primo momento.
Attraverso un’opera di questo genere si capisce che Caravaggio non si
improvvisa, ma ha uno studio profondo precedente.
272
Caravaggio, Riposo durante la fuga in Egitto, 1596-97, Roma, Galleria Doria Pamphili
Uno dei primi committenti di Caravaggio fu Vincenzo Giustiniani, che lascia degli
scritti con chiavi di lettura delle differenze tra artisti che studiano per disegno e
artisti che studiano per modello. La grande pittura del ‘600 si gioca tra questi
due estremi della medaglia, quindi con processo di idealizzazione o dal modello
che dal vero passa alla tela (quella di Caravaggio).
Un eterno rivale fu Giovanni Baglione, che accusò Caravaggio di diffamazione.
Caravaggio e Carracci si stimavano molto invece.
Orazio Gentileschi viene chiamato a testimoniare durante dei processi di
Caravaggio, egli diceva che gli aveva prestato un paio di ali e un saio da monaco,
che lui ricopiava disegnando per modello, direttamente sulla te. Qui vediamo le
ali in primo piano.
Nel momento in cui disegnava la prima scena poteva subito rappresentarla.
Nasce da una trasposizione che si dipinge dal vero. L’opera è abbastanza
complessa, piena di simbologie pazzesche. Il testo suonato proviene da uno
spartito di un musicista fiammingo. La madonna con il bambino, dietro troviamo
una natura florida. Sulla sinistra l’anziano san Giuseppe si appoggia sul sacco,
l’asino è personificato, partecipa alla scena e si inserisce con la testa tra gli
alberi. L’ambientazione è molto scura.
273
Cappella Contarelli, chiesa di San Luigi dei francesi, Roma
274
Caravaggio, vocazione di Matteo, 1600-1602, Cappella Contarelli, Roma
275
Caravaggio, Martirio di San Matteo, 1600-1602, cappella Contarelli, Roma
Scena complessa, il tempo che viene impiegato per realizzare la scena è lungo.
I riferimenti sono tanti, la luce tocca il santo e il carnefice, l’angelo scende sulla
terra e tocca la mano del martire. La scena è chiusa composta da forme
classiche. La figura sullo sfondo pare essere l’autoritratto di Caravaggio.
276
Caravaggio, San Matteo e l’angelo, 1600-1602, già Berlino (distrutto nel 1945)
Ispirato al primo dipinto, è evidente il fatto che Matteo non sapesse scrivere.
277
Caravaggio, San Matteo e l’angelo, 1600-02, cappella Contarelli, chiesa di San Luigi dei Francesi, ROma
278
Roma, chiesa di Santa Maria del Popolo, cappella Cerasi • Pala d’altare: Annibale Carracci, Assunzione della
Vergine, 1600
279
Caravaggio, Conversione di Saulo, 1601, Santa Maria del Popolo, cappella Cerasi, Roma
Seconda versione
280
Caravaggio, Conversione di Saulo, 1601, collezione Odescalchi, Roma
Prima versione
281
Caravaggio, Crocifissione di San Pietro, 1601, Santa Maria del Popolo, cappella Cerasi, Roma
Pietro è molto umano sembra poco il rifondatore della chiesa romana e il capo.
282
Caravaggio, Deposizione di Cristo, 1602-03, Pinacoteca Vaticana (già Santa Maria della Vallicella,
cappella Vittrice, Roma)
Punto di vista diagonale come nei quadri sopra, siamo dentro il sarcofago,
vediamo dal basso.
C’è un grande pathos.
283
Caravaggio, Madonna dei pellegrini, 1604-05, Sant’Agostino, Roma madonna di Loreto
Caravaggio, Morte della Vergine, 1606, Musée du Louvre, Parigi (già Santa Maria della scala, cappella
Cherubini, Roma)
284
Caravaggio, David con la testa di Golia, 1610, Roma, Galleria Borghese
285