Sei sulla pagina 1di 15

MEDIOEVO AL FEMMINILE

8 storie, 8 vite, 8 donne.

EGERIA la pellegrina
Itinerario: partendo dalla Galizia, segue la Via Domitia, giungendo però a Costantinopoli
per via marittima, tra la Cappadocia e la Cilicia passa attraverso le Porte Cilicie per
arrivare a Tarso, poi ad Antiochia, a Sycamina, Diospolid, Nicopolis, arrivando a
Gerusalemme nella pasqua del 381. Fece frequenti escursioni (Egitto, Tabor, Nazareth,
Betlemme, Hebron, Mambre, Herodium, Sinai, Moab). Ripartita verso nord Egeria passoò
per Edessa, Harran, Antiochia, Costantinopoli, Tarso, Ancyra, Nicomedia, Caledonia.
Quella era la via di casa.
I pellegrinaggi in Terrasanta nel VII secolo non erano semplici a causa del radicamento
dell’islam.
La lettera che scrive Valerio (dove descrive Egeria appunto) viene tradotta grazie a 5
codici, di varia età e valore differente, ma di origine spagnola.
Chi era Egeria e perché Valerio aveva voluto descrivere il suo pellegrinaggio?
Ci si può chiedere se il “Diario di viaggio” redatto dalla monaca sul quale si basava Valerio
fosse realmente esistito. Le donne che intraprendevano questo tipo di avventure erano
molto conosciute in età tardoantica e altomedievale.
Esisteva nei tempi passati una discreta tradizione di mobilità femminile (fonti cronistiche e
memorialistiche).
Nel IV-V secolo la donna romana era molto emancipata, quindi viaggiava anche sola;
molte avevano interesse verso la Terra Santa e la storia sacra, per questo si dirigevano
verso Gerusalemme. (es: Melania. Nel 372 si imbarca per Alessandria dove incontra
Rufino d’Aquileia; nel 378 giunge a Gerusalemme. Nel 386 Gerolamo e Paola formano un
doppio monastero, che diventerà poco dopo anche un rifugio per i pellegrini; Paola scrive
a Macella una famosissima lettera nella quale la invita a raggiungere la terra Santa. dopo
Melania, anche sua figlia Albina e la nipote Melania vanno a Gerusalemme).
L’Egeria ricordata da Valerio deve aver peregrinato in questi luoghi; però ben poco
emerge dalla sua lettera, l’itinerarium è mutilo all’inizio e alla fine, ma il codice aretino
permette di dedurre che il diario è stato scritto da una donna e risale al IV-V secolo.
Egeria si rivolge spesso ad un gruppo di sorores, evidentemente lontane, e le informa dei
suoi spostamenti e prospettive. Le ipotesi che Egeria fosse una donna aristocratica e
facoltosa, può essere presa in considerazione, alcuni eruditi la affiancano alla Silvana
descritta da Palladio e l’autrice del testo aretino. L’ipotesi però più apprezzata è che sia la
galiziana descritta da Valerio e l’anonima scrittrice dell’itinerarium.
Il suo viaggio dovrebbe essere durato tre anni: dalla pasqua del 381 a quella del 384;
oppure il periodo 408-410. Purtroppo l’unica fonte è il testo aretino di Egeria, non
completo. Le parti mancanti però non dovrebbe contenere grandissime informazioni. Si è
parlato a lungo della possibile istruzione di Egeria, che non cita altro che le sacre scritture,
ma quest’impressione non ha convinto tutti gli studiosi, perché usa modi verbali e
congiunzioni strettamente conformi alla lingua classica. Non è necessario scegliere tra le
due ipotesi, perché non abbiamo abbastanza notizie in nostro possesso.
Egeria è un personaggio collocabile in alto nella scala sociale.
L’itinerarium può essere considerato diviso in 2 parti: il viaggio e la vita liturgica a
Gerusalemme. La parte del testo che è pervenuta è una descrizione della festa delle
enceniae, il 13 settembre. Gerusalemme è una città dove sacro e profano di mischiano e
si costeggiano di continuo; è facile imbattersi nella corruzione e nel peccato. Per Egeria
Gerusalemme è l’anticamera del regno dei cieli. Poche delle sue indicazioni c aiutano a
ricostruire l’aspetto della città santa nel IV secolo.
Egeria collezionava anche souvenir.
Non ci sono pervenute le indicazioni topografiche e descrittive del luogo, probabilmente le
sue dominae e sorores non chiedevano altro che una testimonianza delle preghiere.

BAUDONIVIA la biografa
Nel VI secolo a Poitres fece arrivo una donna di gran nome: Radegonda, era la sposa di
Clotario I, uno dei figli di Clodoveo.
Clotario I cercò di eliminare alcuni dei fratelli per aumentare il proprio potere e allargare il
suo regno, nel 530 sconfigge i Turingi. Tra i prigionieri di guerra c’era anche Radegonda,
che allora aveva circa 10 anni, Clotario se ne invaghì e la portò a corte, la fece istruire e
appena possibile, la sposò.
La rottura avvenne quando Clotario mise a morte il fratello di Radegonda, che abbandona
la corte per farsi riconoscere un nuovo stato, va dal vescovo di Noyon, Medardo.
Così arriva a Poitres che dal 524 faceva parte del regno di Clotario.
Nel 567 arrivò lì anche Venanzio Fortunato, un letterato latino; conobbe Radegonda e ne
rimasse affascinato; tra loro nacque un rapporto epistolare. Fortunato rappresenta la
coscienza agiografica dei franchi (storia dei santi).
Nel 587 Radegonda morì, Fortunato ne scrisse in prosa la vita, racconta che pur
mantenendo la figura di regina e dominatrice, si mette a disposizione di chi soffre. Era la
signora del palazzo, ma si comportava come la serva dei poveri.
Nella storia di Radegonda e Fortunato, entra la figura di Baudonivia, che si era fatta
monaco nel monastero di S. Croce di Poitres, molto probabilmente lì si è svolta tutta la sua
vita. La biografia di Radegonda è la sua unica produzione letteraria.
Scrive l’opera verso il 600 e la dedica alle sue consorelle, il suo latino è piuttosto rozzo,
però scrive il suo romanzo mettendo in evidenza la psicologia di Radegonda, i suoi
pensieri di donna cristiana, la sua vita mistica e la sua missione politica. Nello schema
agiografico la regina era rimasta immobile, come immobili restano i santi; Baudonivia
spezza questo schema, soprattutto quando in tre capitoli parla del dramma interiore di
Radegonda quando lascia il re-marito. Fonda il monastero di Poitres per amore.
Però Baudonivia è assai prudente con il linguaggio dell’amore, sia pur quello tra l’uomo e
la divinità.
Usa il discorso diretto, perchè spesso Radegonda si riferiva alle consorelle in questo
modo. Questo amore intra-monastico diventa un amore anche extra-monastico, l’amore
per il prossimo con Baudonivia diventa un interesse politico; perché la regina è rimasta
regina anche dentro le mura monastiche.
Baudonivia parla più di una volta di patria, ad esempio quando racconta come Radegonda
si sia rivolta per aiuto al re Sigeberto d’Austrasia per ottenere dall’Oriente le reliquie della
croce di cristo, intende per patria, la Francia.
Il ruolo del santo in Buondonivia, oltre a quello mistico, è quello dell’evangelizzazione dei
pagani, del soccorso di ogni sofferenza e dell’intervento presso i potenti per la pace di tutti.
Infatti vengono citati nomi come Martino (santo protettore di tutti), Ilario (insegnate della
vera fede) e Gregorio (vescovo che definisce la Francia come il nuovo popolo di dio).
Quindi due donne, insieme a Fortunato, sono la gloria di Poitres il un momento chiave di
formazione della conoscenza civile e spirituale dei franchi.

DHUODA la madre
Dhuoda scrive al figlio Guglielmo di Settimania, il liber manualis.
L’autrice probabilmente vuole esprimere il suo amore verso il figlio, che ormai sedicenne,
si allontana da lei per raggiungere le sue responsabilità.
Il libro è ricco di sensi simbolici e sacrali profondi.
Non sappiamo alcune cose: come appariva realmente la dedica nel IX secolo, a noi oggi
tradotta pare intensa e sofferta; se ha attivato altri colloqui madre-figlio; se il libro è
davvero arrivato a Guglielmo; se è stato davvero composto dalla principessa Dhuoda.
La famiglia vive del ventennio cupo tra il 823-843, pur essedo aristocratica la situazione è
burrascosa.
Dhuoda sposa Bernardo il 29 giugno 824, successivamente è inviata dallo stesso a Uzes,
dove resta; due anni dopo nasce Guglielmo e nell’841 il secondogenito, solo tre mesi dopo
Bernardo prende parte alla battaglia di Fontenoy; però Guglielmo dovette andare alla corte
di Carlo diventando un ostaggio.
Bernado pretese che Dhuoda gli concesse il secondo figlio di pochi mesi, non ancora
battezzato, e così fece; per Dhuda quello era un momento di grande drammaticità.
Nell’844 Bernardo viene mandato a morte da Carlo, Guglielmo si unisce ai ribelli aquitani e
viene ucciso 4 anni dopo.
Dhuoda con il suo scritto gioca con le residue possibilità di rivedersi con suo figlio, per
sentirsi in qualche modo vicina a lui. il vero e proprio punto di partenza del libro è Dio; i
valori proposti dalla donna saranno gli stessi che animeranno sul piano tecnico i sodalizi
feudo-cavallereschi.
Doveri: verso il senior e i commilites; verso gli inferiori e i deboli.
Dhuoda disegna il profilo di un uomo di guerra e di governo, attraverso anche una
preghiera costante.
L’intero libro è pervaso da sacra matematica (2,3,4,7,8…).
Dhuoda è dotta e vuole fornire al figlio una via dove si riflettono le scritture ma anche i
padri.
Oltre le pagine del libro, sappiamo ben poco della donna e della famiglia.

ROSVITA la poetessa
Quando si parla di Rosvita e del suo tempo ci sono due grandi luoghi comuni: il secolo X è
uno dei più oscuri della civiltà europea e che Rosvita è un fenomeno letterario
assolutamente unico e inspiegabile. Questi due concetti si sintetizzano così: il secolo X
viene definito il “secolo di ferro”; Rosvita merita particolare attenzione perché rara avis in
Saxonia est.
Di Rosvita si sa poco, si pensa che sia nata intorno al 935 e morta circa nell’anno 1000,
visto che allude alla morte di Ottone I, nel 973.
Il fratello del re, Brunone, era l’uomo più colto del suo tempo.
Rosvita combatte una battaglia su due fronti: contro il commediografo antico (Terenzio),
ma anche contro l’arcivescovo suo contemporaneo che, affascinato dall’eleganza della
lingua e dallo stile di Terenzio, lo leggeva continuamente.
L’arcivescovo Brunone, l’arcivescovo Guglielmo, la badessa Gerberga II, la duchessa
Edvige e i dotti Ekkeardo II, Liutprando, Ratezio e Gunzone sono solo alcuni tra i principali
personaggi che nella seconda metà del X secolo animaronol’intensa vita culturale che si
svolgeva tra la corte di Sassonia e i conventi di Gandersheim, di San Gallo e di
Sant’Emmerano di ratisbona.
Non sappiamo a che età Rosvita sia entrata in convento, ma si presuppone che fosse una
canonichessa (non abbandonò i suoi bei materiali e l’eredità e poteva partecipare alla vita
di corte).
I libro: 8 leggende sacre
- Prefazione: in prosa rimata, si affida alla comprensione dei lettori per gli eventuali
errori.
- Dedica in distici a Gerberga.
- I leggenda: Maria, con 891 versi (poemetto più lungo); narra il mistero di Maria
vergine e madre, utilizzando una fonte apocrifa. (il tema centrale è la verginità)
- II leggenda: Ascensione; riporta l’ultimo discorso tenuto da Gesù ai discepoli sul
monte Oliveto. (tema della verginità ancora prevalente)
- Successive sei leggende scritte su tre tematiche fondamentali: grazia divina,
giustizia divina, vittoria ottenuta dalla morte. Gli eroi sono giusti, umili e buoni, che
combattono contro gli ingiusti, i superbi e i malvagi.
- IV leggenda: Pelagio, con 413 esametri. È una storia contemporanea, nel quale il
ragazzo respinge la seduzione carnale, questo lo porta alla morte. E quindi rende
sacra e venerata la sua tomba.
- V e VI leggenda: Teofilo e Basilio; il tema è quello del patto con il diavolo. Nella
prima Teofilo per vendetta sottoscrive un patto con il diavolo, i cui effetti sono
immediati, improvvisamente prova grande rimorso e invoca la Vergine per ottenere
il perdono di Dio. Teofilo nel racconto è psicologicamente poco approfondito, agisce
come una marionetta. Nella seconda leggenda Basilio firma il patto con il diavolo
essendo uno schiavo e volendo conquistare l’amore della sua padroncina; questo
patto è invece mosso dalla lussuria, ma il protagonista si pente come nel primo.
- VII leggenda: martirio di Dionigi, in 266 esametri; il cui tronco decapitato si drizza in
piedi e porta la sua testa fino alla collina dove oggi sorge Montmartre.
- VII leggenda: la virtù di Agnese, scritta in 459 esametri, che racconta la storia di
una nobile fanciulla romana che subì il martirio al tempo di Diocleziano per aver
rifiutato dapprima di sposare il figlio di Sinfronio.

II libro: dialoghi drammatici


- La conversione al cristianesimo di Gallicano; divisa in due parti: la prima è appunto
la conversione al cristianesimo del protagonista e la vittoria della battaglia; la
seconda parte è il martirio dei due ufficiali che favorirono la conversione di
Gallicano.
- La resurrezione di Drusiana e di Collimaco: il giovane Collimaco cerca di sedurre
Drusiana, moglie del nobile Andronico, ma lei invoca la morte per non cadere nel
peccato e lascia il disperato marito al conforto dell’apostolo Giovanni, con il quale
provvede alla sepoltura di Drusiana.
Gallicano e Collimaco sono i componenti dell’humanitas, Costanza e Drusiana sono
invece le eroine della divinitas.
La concezione misogina che vede la donna come l’oggetto del peccato, viene
totalmente ribaltata, perché la donna, soprattutto se fragile e apparentemente indifesa,
diventa strumento ideale della grazia divina.
- Caduta e ravvedimento di Maria, nipote dell’eremita Abramo: la giovane ed ingenua
ragazza vive per alcuni anni come prostituta in una locanda, lo zio Abramo volendo
redimerla si reca nella locanda, infondendole fiducia e assicurandole la possibilità di
garantirsi il perdono divino.
- Conversione della prostituta Taide: l’eremita Pafnuzio si reca in una città per
redimere Taide, riesce a convertirla e la convince ad assoggettarsi ad una
durissima penitenza, nella speranza di ottenere il perdono divino.
Le eroine di Rosvita reagiscono, soffrono e si battono contro i nemici fino allo stremo
delle forze: vogliono essere e sono, le artefici del proprio destino.
A confronto le vergines di Terenzio se ne stanno inerti e passive nella speranza di
ottenere un buon matrimonio.
- Dulcizio: tre sorelle convocate dall’imperatore Diocleziano, rifiutano di sacrificare
agli dei pagani, sono affidate alla custodia di Dulcizio, che incantato dalla loro
bellezza, viene avvolto da insane voglie.
Coma Gallicano ha il suo pendant nel Callimaco e l’Abramo nel Pafnuzio, così il
Dulcizio ha il proprio corrispondente nell’ultimo dramma: Sapienza (martirio delle sante
vergini Fede, Speranza e Carità, torturate e uccise una per volta, alla presenza della
madre Sapienza, perché rifiutano di piegarsi alle richieste dell’imperatore Adriano e del
suo prefetto.
Ultima opera di Rosvita:
Le origini del convento di Gandersheim, scritto in 594 esametri: la poetessa riesce a
calare il lettore in un’atmosfera un po’ rarefatta del convento, racconta infatti la felice
storia della fondazione; Rosvita si ferma mezzo secolo prima della sua epoca, questo
fa capire che i suoi non sono tempi di serenità e pace.
Ideale di vita: castità, raccontata al meglio nei Primordia, la sua degna conclusione di
attività letteraria, il suo frutto più maturo.

TROTULA il medico
Ha vissuto nell’ XI secolo ed è legata alla scuola salernitana. Per scoprire chi sia
davvero Trotula bisogna intraprendere una vera e propria ricerca.
Alle origini leggendarie della scuola salernitana c’erano 4 maestri: Elino, Ponto, Adela
e Salerno. Nella seconda metà del IX secolo vi operava Gerolamo, nel secolo
successivo i medici salernitani erano apprezzati e richiesti dai re e dai vescovi
d’Oltralpe.
Alla base dell’insegnamento della scuola salernitana c’era la terapia ippocratica,
dietetica e medicinale, che fu illuminato nel XI secolo dall’attività di Garioponto (autore
di un enciclopedico di 5 libri) e di Alfano (prima Monaco a Montecassino poi
arcivescovo di Salerno).
Nella realtà culturale molto aperta della scuola, erano presenti diverse donne.
Trotula era una di queste, definita sapiens matrona; della quale sono conosciute due
storie: la Trotula reale e la Trotula leggendaria. Scrive due opere: Trotula minor e
Trotula maior; il primo parla di cosmesi, bellezza e malattie della pelle; il secondo è un
vero e proprio trattato di ginecologia, ostetricia e puericoltura, di cui ne circolavano due
differenti versioni.
Tra il XIII e il XIV risale un manoscritto di utilizzo scolastico e di studio.
Si divide in due parti: nella prima si esaminano i diversi tipi di febbre; nella seconda
vengono proposte cure per varie malattie, presentate in successione ordinata “dalla
testa ai piedi”. In questa seconda parte più importante vengono riportate le opinioni di
sette celebri esponenti della Scuola: Giovanni Plateario, Cofone, Petronio, Afflacio,
Bartolomeo, Ferrario e ovviamente Trotula.
La celebrità di Trotula si diffuse presto anche fuori da Salerno e l’Italia.
Ad oggi sono noti un centinaio di manoscritti datati tra il XIII e il XIV secolo, contenenti i
tre trattati attribuiti a Trotula. Nelle teorie sviluppatasi tra il XII e il XIV Trotula sarebbe
destinata a cambiare sesso o addirittura a non esistere affatto.
Il nome latino Trota o Trocta era talmente diffuso nell’Italia meridionale, che nei
necrologi compresi tra XI e XIII secolo solo di Salerno si possono contare 70 nomi del
genere (Trotula era considerata una forma di diminutivo di questi nomi).
A Trotula va attribuito senza alcun dubbio il breve e semplice trattato di pratica
terapeutica tramandatoci dal manoscritto di Madrid.
La Trotula reale e quella leggendaria sono fuse in una sola persona nell’opera
scientifica a carattere enciclopedico di un autore anonimo francese della seconda metà
del XIII secolo.
Rimane sorprendente e paradossale il fatto che, mentre i trattati attribuiti a Trotula
godevano della più ampia diffusione e celebrità, l’unica opera autentica a noi nota, la
Practica, era praticamente ignorata.
Lei dimostra un atteggiamento privo di preconcetti che la porta a trattare di frigidità
femminile o di impotenza maschile con lo stesso tranquillo distacco con cui tratta dei
disturbi agli occhi o della sordità.
In Trotula quindi storia e leggenda, scienza e magia, si confondono e insieme
contribuiscono ad alimentare il fascino misterioso che ancora circonda la sua
enigmatica figura.

ELOISA l’intellettuale
Una contesa legale
Nel 1129 Sigeri, consigliere del re di Francia, entra inconsapevolmente in un grande
intreccio amoroso e vi gioca una parte decisiva. Nel monastero dell’Argenteuil all’inizio
del XII secolo fu istruita una ragazza di nome Eloisa; nel 1129, quando Sigeri entra
nella storia, Eloisa quasi trentenne viveva già da tempo nel monastero.
La donna più tardi divenne nella storia letteraria una eroina amorosa, sull’episodio si
sorvolò, perché nessuno avrebbe potuto tollerare l’immaginazione di una Eloisa meno
che perfetta e meno che mai ammettere che fosse stata fra le peccatrici prese di mira
nel racconto di Sigeri; dopo questa azione legale promossa appunto da egli, dopo anni
e anni, due amanti, separati tragicamente, hanno potuto riavvicinarsi.

Gli anni del silenzio e del ricordo


Nell’autobiografia del maestro e filosofo Aberaldo, la presenza di Eloisa con il suo
amore e i suoi discorsi sottili e appassionanti, occupa un quinto dell’opera: poco, se
misurata con il metro dei romantici per i quali è la vicenda d’amore a dare grandezza ai
due personaggi; tanti, se lo misuriamo sull’egotismo dell’autore e sulla tendenza
misogina di quei tempi.
Gli altri ricordi della donna durante quei dieci anni, sono scritti nel 1132, e si riferiscono
ai primi anni di vita sigillata nel silenzio, ricordando però che Eloisa non poteva
dimenticare.
Ai tempi Eloisa era ancor giovane ed una facile preda, lei aveva 16 anni mentre
Abelardo era vicino ai 40.

Un solo anno d’amore


Una coppia come loro, maestro e allieva, non era così rara; i due si amarono di fronte
alla città senza discrezione, anzi con spavalderia; ciò ha portato a delle conseguenze.
Abelardo spontaneamente e imprudentemente dichiarava ni canti il suo amore per la
ragazza. Questo scatenò la reazione della famiglia di lei, lo zio tutore li scoprì e li
separò. Eloisa aspettava un bambino, e piena di gioia scrisse a Pietro. Abelardo
rapisce Eloisa e la porta in Bretagna in casa della sorella. Dopo la nascita del bambino,
lo zio Fulberto, impazzito dalla vergogna, pensa di uccidere l’amante colpevole, poi
accetta la richiesta di perdono fatta da Abelardo e l’offerta del matrimonio riparatore.
Ci fu una tragica conclusione, Eloisa si rassegna al matrimonio che non vuole, non
essendo comunque al sicuro essendo clandestino, esasperato Aberaldo rapisce ancora
una volta Eloisa e la porta al fatale Argenteuil vestita da monaca. Fulberto ritiene il
ripudio della nipote offensivo e tramite dei sicari gli fa tagliare lo strumento del suo
peccato.
Abelardo viveva in una posizione sociale privilegiata, e la vendetta nei suoi confronti
non fu approvata.
Molti anni dopo Abelardo ha dimenticato i primi momenti di collera e sublima la tragedia
nel significato positivo che doveva avere nel disegno divino per la sua salvezza.
Eloisa giudicherà il delitto ingiusto e incomprensibile.
Abelardo si rifugia in un monastero.
Si ritrovano così entrambi nello steso stato sociale del monastero.

Gli anni quasi felici al Paracleto


A distanza di dieci anni dalla loro separazione, i due sposi si incontrano e riprendono a
vedersi con una certa frequenza.
La giovane donna che aveva ormai quasi trenta anni, visse giornate serene, quasi
felici: per la prima volta dopo una lunga separazione riascoltava l’insegnamento del suo
maestro e amante.
Abelardo accetta di divenire abate in un monastero lontano, fuori dalla Francia, nella
Bretagna dove era nato. Le lettere che i due si scambiano sono fra le più celebri
testimonianze di amore e di filosofia.
Lettere d’amore
È difficile considerare queste lettere, solo ed esclusivamente lettere d’amore. Nel
linguaggio curato, ricco di citazioni, di finezze stilistiche e di astuzie logiche, si riflette
tutto l’universo della cultura del secolo.
Eloisa era consapevole della colpa e dell’inutilità del su lamento.
Abelardo, in tutta risposta, è più triste e freddo.
Lei è ancora una donna integra, giovane, lui si sente vecchio, è malato e dirige i suoi
pensieri, alla salvezza ultraterrena.
Eloisa continua a definirlo il suo unico e insiste nel suo rimprovero a Dio.

Monaca e filosofa
Un libro amato all’epoca era dell’amicizia di Cicerone.
Da Cicerone ai tempi di Eloisa, amicizia diventa amore, termine e concetto in verità più
ampio, che segnava anche un passaggio da cultura a cultura.
Eloisa protesta che il suo amore è vero perché disinteressato, volto al bene dell’amato,
eccellente oggetto di desiderio, la sua passione è autentica perché motivata non da
ragioni esterne, ricchezze, fama, posizione sociale dell’amato, ma dal bene di lui fino
all’oblio di se stessa e al sacrificio. Questa è una delle complesse motivazioni
all’opposizione del matrimonio offertole da Aberaldo; il matrimonio è il rimedio alla
concupiscenza, un rimedio che facilmente più scivolare verso il male che dovrebbe
rimediare.
Abelardo scriveva: soltanto se utilizziamo il termine peccato in senso lato potremmo
chiamare peccato tutte le nostre azioni errate. Io ritengo invece che si dica peccato nel
senso proprio soltanto ciò che non può compiersi senza che ci sia consapevolezza.
Eloisa risponde; sono colpevole, colpevole sotto ogni aspetto, ma sono anche
innocente, completamente innocente e tu lo sai bene, perché la colpa non sta alle
azioni che si vedono, ma nel pensiero che ha ispirato l’agire: la gente loda la mia
castità, ma non sa che sono un’ipocrita.

Il monastero: l’uomo e la donna


Nella risposta di Abelardo alla lettera più amorosa di Eloisa, troviamo due ammissioni.
Il vecchio abate, sgomento per la passione ancora così viva nella donna, ritratta
l’amore di un tempo e insieme riconosce di essere una cosa sola con Eloisa; ma lui non
ha più battaglie da vincere.
Abelardo vedeva il monastero come un convegno di filosofie il monaco era un vero e
proprio filosofo.
Eloisa chiede allo sposo una lezione sull’origine e il carattere dei monasteri femminili e
una regola per lei e le sorelle, perché Eloisa vuole piacere a Dio.
Abelardo morì, e fece portare il corpo dell’amato nel cimitero del piccolo Paracleto.

La storia nella storia


Questa bellissima storia è vera?
L’autenticità essenziale dell’epistolario è confermata.
Si tratta con tuta probabilità fi un dossier organizzato da Eloisa, ma comunque
autentico.

ILDEGARDA la profetessa
Ad Ildegarda si oscurava la vista, cadeva vittima di fortissimi dolori, passava da
momenti esaltanti a tristezze abissali e umiltà deprimenti. (donna melanconica)
Malgrado questo visse una lunga vita, 80 anni, al contrario del tipo melanconico,
possedeva una straordinaria resistenza fisica, ed era capace di scrivere con dolci
pensieri ed accorgimenti.
Ildegarda era nata alla fine del XI secolo in una famiglia nobile e numerosa nella
regione renana e nel suo ottavo anni venne affidata a dio. Al monastero incontrò Jutta
von Sponhiem, che insegnò alla piccola il latino dei Salmi. Nel 1136 morì e le sorelle
elessero Ildegarda al suo posto. Qualche anno più tardi riconobbe e rese pubblico il
suo dono profetico, compose allora Scivias con l’aiuto del monaco Volmar e
l’incoraggiamento di una giovane monaca amata come una figlia di nome Riccarda.
Nel 1147 scrisse a San Bernardo, che ammirava moltissimo, richiedendogli un
consiglio e una preghiera. Bernardo risponde cautamente e brevemente con 12 righe
ben pensate, non è così chiaro se riconosce il dono profetico della badessa.
Nell’anno 118 il pontefice Eugenio III, compose una commissione che visitò e interrogò
la monaca; egli approvò gli scritti di Ildegarda e la incoraggiò a scrivere tutto ciò che lo
spirito santo le avrebbe dettato.
Da questo momento lei intensifica la sua corrispondenza con i grandi della terra e
decide di spostarsi e fondare la nuova comunità del Rupertsberg, un luogo a lei
indicato da una visione.
A metà degli anni 50 il Barbarossa la invitò al suo palazzo, più tardi Federico le scrisse
“voglio che la tua santità sappia che ciò che tu hai predetto durante il corso nel nostro
incontro, è avvenuto”. Ildegarda scrive all’imperatore nel 1164 quando elegge per la
seconda volta un antipapa, Pasquale III e quattro anni dopo ne elegge un altro.
Tra il 1158 e il 1161 Ildegarda viaggia per tutta la regione del regno.
Ormai settantenne, dopo una malattia particolarmente lunga e dolorosa, intraprende un
ultimo viaggio in Svevia, visitando città e cattedrali, nel frattempo aveva composto
molte opere, fondato e diretto due monasteri, preso parte a controversie, scritto
centinaia di epistole e molti sermoni.
Gli ultimi dieci anni della vita della monaca sono pieni di eventi dolorosi, quando il
solerte Volmar muore nel 1173, i monaci di san Disibodo si rifiutano di mandare ad
Ildegarda un altro segretario, arriva infine Goffredo, che ha modo di comporre la vita,
dopo la sua scomparsa; arriva Gilberto, che dopo averla aiutata nella scrittura si sente
in dovere di servirla ed assisterla, e passeranno insieme gli ultimi due anni della vita di
Ildegarda.

La luce
A Gilberto Ildegarda spiega in modo esauriente, spinta dal fervore delle sue domande
così precise, non soltanto sulla modalità delle sue visioni, ma anche i suoi pensieri sula
vita e sulla scienza.
L’anno prima della sua morte Ildegarda affrontò una prova durissima, era costume che
molti ricchi desiderassero essere seppelliti nel monastero facendo una donazione alla
comunità. Nel 1178 un nobile era stato sepolto in terra consacrata al monastero; ma
anni prima su di lui si era abbattuta una scominica.ad Ildegarda venne ordinato di
disseppellire e gettare il cadavere, la disobbedienza sarebbe stata punita con la
scomunica del monastero; la badessa rispose alla sfida, con il bastone tracciò una
croce nell’aria sopra la tomba e cancellò poi dal terreno ogni segno che potesse
identificare il sepolcro. Ildegarda afferma di aver visto la luce vivente della visione.
Più tardi l’arcivescovo da Roma le comunicò la rimozione dell’interdetto.

Il vento
La grande spiritualità di Ildegarda, quel suo veder dentro la luce divina, non cancellano
l’altro aspetto del personaggio, l’osservatrice della natura, la scienziata, il medico.
Il libro della semplice medicina contiene un erbario, un bestiario e un lapidario, ed il suo
Causae et curae è una specie di manuale di medicina pratica e farmacologia.
Descrive quattro tipi di donne; la donna sanguinosa (con sangue puro, fertile, che non
genera molti figli e accanto al marito stanno bene) la donna collerica (di colorito pallido,
vive senza malattie accanto al marito), la flemmatica (ha un aspetto severo e colore
nerastro, è molto fertile e genera molti figli) la melanconica.
Quattro erano anche i tipi di uomini: collerico, melanconico, invernale e primaverile.
Il vento per Ildegarda era un elemento importante nella sua vita, le disseccava le ossa,
la rendeva debole e nervosa e in un anno lo sentì arrivare come non mai; il vento alla
base di una metafora bivalente, materializzazione dell’aria che circola fra le cose e le
unisce, ma anche forza che le può annientare.
Lo scenario del mondo
I testi di fisica, dove per Ildegarda non ci sono visioni ma solo osservazioni e
ricostruzioni di fenomeni, ospitano anche ampie digressioni su miti più generali; il mito
della cosmologia e quello della lotta fra bene e male. Attraverso queste pagine
Ildegarda vuole spiegare il mondo fisico con le sue carenze e brutture, ma anche con le
sue cose splendide.

Il microcosmo
L’uomo è microcosmo per Ildegarda, possiamo vederlo in una miniatura di un
manoscritto del liber divinrum operum, che insieme a scivias e al liber vitae meritorum
costituisce la trilogia delle visioni di Ildegarda,
al centro delle sfere celesti l’uomo sta diritto con le braccia stese ai lati del trace, in
questa posizione la sua altezza è uguale alla sua larghezza.

La musica
La Caduta non è stata solo una tragedia umana, ma per i legami sottili e invisibili fra
uomo e universo appare un dramma anche cosmico.
Luce vento e musica sono tre grandi temi per Ildegarda; la prima domina l’ambito della
visione quando Ildegarda è persuasa di non parlare in prima persona; il vento soffia nel
mondo fisico, nel grande cosmo, come anche all’interno del corpo umano. La musica,
come luce e vento si diffonde nelle cose.
La monaca che non aveva studiato esprimeva idee precise e avanzate sulla musica,
accogliendo la musica strumentale come parte integrante di quell’arte insieme al canto
umano

Profetessa e filosofa
Ildegarda viene anche considerata filosofa, pur essendo una donna e non avendo
avuto un maestro.
Per lei la scienza poteva essere anche malvagia.
Alcuni hanno considerato una semplice astuzia l’espressine “son una povera piccola
donna”, lei però si sentiva così solo davanti al maestro divino, non davanti ad altri
uomini come si sentivano così altre donne intellettuali.
La sua teologia non è soltanto ricca di simboli femminili, è tutta declinata al femminile.
La sua capacità profetica era alta perché dovuta alle visioni.
L’episodio di Riccarda: nel 1151 viene offerto a Riccarda un postp di badessa al
monastero di Bassum, Ildegarda pianse lacrime amare e si rivolge al papa Eugenio che
conferma però la scelta di Riccarda, la badessa così scrive alla diretta interessata, ma
lei comunque parte per Bassum e muore poco dopo.
CATERINA la mistica
Nel 1347 nasceva a Siena Caterina, durante una pandemia di peste nera che colpiva
tutta Europa, da Giacomo Benincasa e dalla moglie Lapa; erano 25 figli.
Caterina ben presto si distinse per la sua inclinazione spirituale, ancora bambina
cominciò a praticare dure forme ascetiche, digiuni, penitenze, veglie e a isolarsi, pur
dentro la sua abitazione.
Caterina si sentiva motivata dall’assolutezza dell’annullamento di una assolutezza di
felicità, è quello che nella tradizione cristiana si chiama l’esperienza di Dio, l’esperienza
mistica. Caterina non sentì mai il desiderio di ritirarsi in un monastero, né di chiudersi in
uno dei nuovi conventi di suore.
Tra i 15 e i 16 anni Caterina esce dal suo isolamento e si dedica ad opere di
misericordia. Viene iscritta alle Mantellate, laiche che aderivano al terz’ordine di san
Domenico, si impegnavano a seguire un certo regime di vita basato su assistenza e
elemosina.
Fino verso il 1370, quando Caterina avrà 23 anni, la sua vita fu spartita tra i rigori
ascetici e le consolanti visioni in casa e la dedizione fuori, nella sua città. Questa
duplicità di esperienze non si può dire sia un fatto unico e nuovo, anche se Caterina lo
vive con singolare intensità e totalità. Esempi: Margherita da Cortona, Umiliana de’
Cerchi, Angela da Foligno, Vanna da Orvieto. Questa figura femminile è una novità nel
Duecento, essa è essenzialmente dovuta al grande segno impresso da Francesco
d’Assisi alla Chiesa romana. Egli non aveva certo elaborato delle dottrine, egli
apparteneva ad una famiglia di mercanti ed era stato naturalmente avviato all’attività
del padre, che accompagna nei suoi viaggi; egli partecipava alla vita del Comune, fino
a prendere le armi negli scontri che piuttosto spesso si verificavano tra città e città. La
sua conversione viene a interrompere questa vita e questa coscienza. Francesco
aveva incontrato dei lebbrosi, e ne aveva avuto un profondo ribrezzo. Ma un giorno
sentì in sé un’attrazione verso di loro e poté guardarli, vide in quei volti sfigurati dal
male il volto stesso di Dio.
Non a caso il monachesimo è la grande espressione religiosa dell’alto medioevo: il
rifiuto del mondo, la rinuncia del sesso e al possesso, è vista come una condizione
necessaria per salire verso Dio. E quando il clero tende a sostituirsi o ad affidarsi alla
figura del monaco come figura di perfezione, gli si impone il celibato, e la chiesa viene
considerata una corporazione che ha sì la forza storica di non soggiacere al potere
politico, ma entro cui occorre inserirsi per poter conoscere salvezza e perfezione.
Francesco è molto obbediente riguardo alla figura papale.
Egli pur rimanendo laico, con lui la coscienza cristiana conosce una nuova vita.
Nel 1370, quando il papa si trasferisce da Roma ad Avignone, la vita di Caterina
cambia radicalmente, ella ha una visione che è segno della sua piena trasformazione
mistica. Caterina gode di una certezza psicologica mai prima conosciuta, ora il suo
stato eremitico è solo interiore. Il signore nella sua visione le aveva detto che sarebbe
uscita dalla sua cella, lei è perfettamente cosciente del suo cambiamento
Caterina tra il 1370 e il 1380, quando muore, tra i 23 e i 33 anni, del tutto ignorante,
affronta con la paura, le lettere, con l’azione politica i maggiori problemi del momento
con coraggio e audacia, il titolo che meglio la definisce è quello di profeta.
Caterina aveva prima usato il suo fascino per convertire i cuori, ma da questo momento
il suo intervento ha un oggetto molto preciso: la chiesa del suo tempo.
Si può dire che Caterina è la profetessa della chiesa di Avignone.
A Rom operava da qualche anno un’altra singolare donna: Brigida di Svezia, una volta
rimasta vedova, va a Roma. Ella si riferisce specialmente ai popoli europei, mentre
Caterina alla Chiesa.
Caterina fa la predica al papa, lo esorta a mettere mano ad una drastica riforma della
Chiesa, gli dice esplicitamente che deve attendere alle cose spirituali più che alle
temporali, lo esorta come se fosse un figlio.
La chiesa del medioevo, si presentava come un corpo storico massiccio, in cui si era
elaborato e potenziato un insieme di poteri giuridici e sacramentali, che il diritto
canonico veniva via via registrando e sistemando. Tuttavia la tradizione che indicava in
Cristo e non nel papa, il vero capo della Chiesa, non era mai venuta meno, e la
distinzione fra le due era sempre presente e operante.
Caterina propone un piano in tre atti:
-ritorno del papa a Roma, ha lo scopo evidente di sottrarre il papato all’influenza
francese.
-la pace e la riforma dei costumi, è predicata e richiesta con uguale veemenza. La
Chiesa non potrà essere un corpo sociale a significato universale se i popoli che si
riconoscono in lei sono l’uno contro l’altro armati, e se la chiesa si porrà come un
potere accanto o contro un altro potere, se si porrà semplicemente come un corpo
sociale che riconosce nella guerra il modo di regolare i contrasti, e nel possesso dei
beni il modo di garantirsi il successo.
-la crociata: per Caterina ha un significato diverso rispetto quello classico (togliere la
terra agli infedeli), per lei serve a portare anche l’Islam alla vera fede. Per lei l’idea di
crociata si associa continuamente a quella di riforma della chiesa.
Caterina contribuì senza dubbio a trasferire la sede papale da Avignone a Roma, ma
l’unità della chiesa andò subito dopo in frantumi e la possibilità stessa di un papato a
significato universale venne totalmente meno.
Alla crociata intesa con l’idea di Caterina, non c’era assolutamente alcuna possibilità
che il papato potesse pensarci.
A Siena Caterina si era costruita attorno a lei una comunità di uomini e donne laici, una
sorta di monastero misto. L’ordine dominicano decise di assegnare lei un confessore e
un consigliere e un controllore, Raimondo da Capua.
Si era occupata di liti e di politica senza il più piccolo interesse al potere.
Il suo solo scritto mistico, il dialogo della divina dottrina, è il risultato di una dettatura da
parte di Dio, e il tema unico è l’amore.
Caterina, stremata dalle visioni, dagli impegni politici, dal desiderio del cielo, dal contrasto
tra la visione e la realtà, morì a Roma il 29 aprile 1380, avendo sulla sua bocca le parole
“Dolce Gesù”.
Con Caterina il medioevo ha compiuto il suo tentativo di fare dell’esperienza cristiana
un’esperienza spirituale e storica, che è appunto il grande legato dell’epoca.
Francesco è rimasto seguace di Cristo di una qualità insuperata, e come tale ha riparato la
chiesa in distruzione, Caterina ha retto e guidato la Chiesa cattolica con un carisma
insieme petrino e profetico, l’ha guidata nella sua dimensione più spiritualmente reale, e
ha mostrato come una donna in cui operasse la forza stessa di Dio, pur senza istruzione e
senza potere, potesse condizionare i poteri e apostrofare i pontefici romani: segno di una
realtà della Chiesa futura più legata al carisma che all’istituzione.

Potrebbero piacerti anche