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TORQUATO TASSO

La vita
Torquato Tasso nacque a Sorrento, era figlio di Bernardo, autore del poema cavalleresco
“l’Amadigi”. Insieme al padre si trasferì alla corte della Rovere ad Urbino, dove venne a contatto
con l’ambiente cortigiano che segnò la sua esperienza. Poi, seguì il padre a Venezia e iniziò a
scrivere un poema epico sulla prima crociata, il Gierusalemme. Passò a Padova per frequentare
un’università prestigiosa e lì gettò le basi della sua cultura filosofica. A 18 anni scrisse un poema
cavalleresco, il Rinaldo, e compose rime d’amore per Lucrezia Bendidio e per Laura Peperara.
Importante per la sua formazione, fu anche l’accademia: fu in rapporto con l’Accademia degli
Infiammati e poi con quella degli Eterei. Infine, fu assunto al servizio del cardinale Luigi d’Este e si
trasferì a Ferrara. Qui trascorse gli anni più sereni e più produttivi. Passò al servizio diretto del duca
e si dedicò interamente alla poesia. La corte ferrarese era amante della letteratura cavalleresca e
infatti, Tasso fu stimolato a lavorare al poema epico sulla crociata.

Gli anni tormentati


Egli concluse il suo poema, ma non era soddisfatto e voleva renderlo perfettamente aderente ai
canoni letterari e religiosi. Allora, si recò a Roma, dove sottopose il poema al giudizio di letterati, i
quali lo criticarono pesantemente. Tasso, difese la sua opera, anche se quelle critiche lo resero
ancora più incerto e si sentiva impegnato ad apportare tagli e modifiche per renderlo conforme alle
regole. Agli scrupoli letterari si collegarono quelli religiosi: aveva dubbi sulla propria ortodossia
nella fede cattolica e si sottopose all’Inquisizione di Ferrara. A tutto ciò, si unirono le manie di
persecuzione, tanto che scagliò un coltello ad un servo. Il duca lo fece rinchiudere nel convento di
San Francesco, ma riuscì a scappare. Giunse a Sorrento e si presentò dalla sorella, ma tempo dopo
svelò la sua identità e trascorse dei giorni sereni con lei.

La reclusione a Sant’Anna
Dopo il periodo passato con la sorella, tornò a Ferrara, dove non ebbe l’accoglienza che si aspettava
perché si stavano celebrando le terze nozze del duca. Allora, Tasso ebbe degli scatti d’ira e il duca
lo fece rinchiudere nell’ospedale di Sant’Anna dove ci rimase per 7 anni. Successivamente gli fu
concessa la libertà, ma poteva solo ricevere visite, studiare e scrivere. Tuttavia, subì gravi
sofferenze fisiche e psichiche, era turbato da incubi ed era convinto che un folletto gli mettesse in
disordine le carte e che un mago lo perseguitasse. Non si è capito il motivo che spingeva il duca a
tenere prigioniero una persona di tanta fama. L’unico motivo può essere che Alfonso, alla sua
morte, voleva che Ferrara tornasse alla Chiesa per evitare sospetti di eresia sulla sua corte. E proprio
gli scrupoli del poeta potevano offrire il pretesto per accuse del genere.
Quando il poeta era rinchiuso a Sant’Anna, la Gerusalemme fu pubblicata senza il suo consenso e
ciò lo turbò. Nonostante il successo di pubblico, il poema scatenò una polemica, così il poeta scrisse
un’Apologia della Gerusalemme. Infine, Tasso concluse la prigionia quando il duca di Mantova
ottenne che potesse essere affidato alla sua custodia. Negli ultimi anni, alternò soggiorni a Roma e a
Napoli e compose molta poesia encomiastica e molta poesia di ispirazione religiosa. Rifece anche il
poema, che pubblicò con il nome di Gerusalemme conquistata. Il papa Clemente 8 gli propose
l’incoronazione poetica, ma Tasso era ammalato e morì nel 1595.

Il poeta cortigiano
Tasso raffigura perfettamente il poeta cortigiano del 500. La sua vita si svolge nell’ambito della
corte, e lui ci è legato materialmente e intellettualmente. Da un lato, grazie ai favori dei principi, ha
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l’esistenza materiale; dall’altro ritiene che solo nella corte il poeta si possa realizzare e solo quel
pubblico è in grado di apprezzare la sua poesia. Invece, Ariosto, era anche lui un poeta cortigiano,
ma era convinto che la sua realizzazione umana dovesse avvenire fuori dalla corte.
Comunque, Tasso era molto contraddittorio, perché celebrava la corte ma allo stesso tempo provava
una segreta avversione, che si esprimeva con le sue fughe o i suoi atteggiamenti violenti.

L’epistolario
L’epistolario è una raccolta delle lettere del Tasso che ci forniscono importanti informazioni in
merito alla vita dell’autore, specialmente riguardanti la sua vita tormentata all’interno della corte,
non solo una corte fisica ma una corte ideale, il luogo della cultura e della magnificenza, dove il
poeta vuole affermare il proprio status di uomo di lettere. Non vengono messi di parte i temi della
sofferenza umana, il costante bisogno e la supplica incessante ai potenti, che vanno di pari passo
con l’abbandono spirituale, anche se questo risponde più che altro al desiderio di avere certezze
nella vita. Importanti da ricordare sono le lettere scritte dall’ospedale di sant’Anna dove viene fuori
tutta la sua inquietudine.

Il Rinaldo
Iniziato dopo il tentativo di un poema cavalleresco, tasso si cimenta nel romanzo epico cavalleresco,
trattando il periodo giovanile del paladino di Carlo Magno Rinaldo, ispirandosi sia ai poeti classici
che ai contemporanei (Ariosto). Tuttavia a contrario di quest’ultima preferisce incentrare la vicenda
su unico personaggio ed elimina l’aspetto ironico. È un’opera tipicamente giovanile, anche se
traspariranno i temi e i toni che verranno usati in età più matura, dai palesi riferimenti
autobiografici, con il desiderio dell’autore di gloria. Paesaggi estatici si fondono a rappresentazioni
della passione, anticipando in un certo senso la Gerusalemme liberata.

Le Rime
Le rime sono una per Tasso una costante della sua intera vita, e verranno riunite solo durante il
ricovero a sant’Anna, in due diverse parti, dato che la 3 e la 4 non furono realizzate. Sono
principalmente un esercizio letterario, che si manifesta principalmente nelle rime amorose, con temi
ricorrenti per dare sfoggio di virtuosismi e immagini musicali. I paesaggi naturali sembrano
fondersi alle immagini femminili, mostrando un mondo fresco e ricco di colori e profumi. Tasso, in
aderenza al pensiero della controriforma, è attratto dal potere e dal mondo dei re, e per questo si
lancia in descrizioni delle forme più appariscenti di questo mondo nelle liriche encomiastiche.
Quelle a sfondo religioso invece mostrano soprattutto la precarietà e l’inquietudine della vita e la
ricerca di pace e conforto attraverso la preghiera, mostrando più che altro aspetti etici.

L’Aminta
Aminta venne composta nel 1573 e rappresentata nello stesso anno nei giardini dell'isoletta
Belvedere a Ferrara. Ricalca il genere drammatico della favola pastorale. Un tipo di favola basata
non su figure ed episodi mitologici, ma su vicende amorose a lieto fine tra semplici pastori,
ambientate in un'Arcadia indefinita e senza tempo. Questa forma raggiunse un perfetto equilibrio
nell'Aminta del Tasso, che utilizzò gli schemi della lirica petrarchistica per rappresentare le forme
della vita naturale e si impose subito come modello del nuovo genere. 
Suddivisa secondo i canoni stabiliti da Aristotele nella Poetica (cinque atti preceduti da un prologo
con l'aggiunta di un coro), la vicenda, messa in scena attraverso il dialogo tra i personaggi, sfiora e
respinge la tragedia, nel gioco convenzionale delle morti apparenti degli amanti: il giovane pastore
Aminta è innamorato della ninfa Silvia, ma questa sembra interessata soltanto alla caccia.
Inutilmente Dafne esorta Silvia a ricambiare l'amore per il giovane, mentre Aminta comunica a
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Tirsi il proprio proposito di uccidersi. Arrivati ad una fonte questi ultimi sorprendono un satiro
intento a legare Silvia ad un albero per usarle violenza. Messo in fuga il satiro, Aminta libera la
ninfa che tuttavia fugge senza mostrargli gratitudine. Dafne, che impedisce ad Aminta di uccidersi,
dialoga con lui quando sopraggiunge la ninfa Nerina ad annunciare il ritrovamento dei resti di
Silvia, morta sbranata dai lupi durante una battuta di caccia. Aminta corre via per mettere in atto il
suicidio, mentre Silvia ricompare viva e scampata al pericolo. Alla notizia del possibile suicidio di
Aminta, la ninfa rivela il proprio turbamento, svelando così il suo amore. Nella scena conclusiva il
pastore Elpino narra come Aminta si sia salvato cadendo da un burrone su un fascio d'erbe.

Il Galealto e il Re Torrismondo
Tasso aveva iniziato a comporre, tra il 1573, una tragedia dal titolo “Galealto re di Norvegia”,
lasciandola interrotta al secondo atto.
Dopo una lunga segregazione in Sant’Anna, egli riprese il testo e vi introdusse vari cambiamenti
trasformandolo ne “Il re Torrismondo”.
La tragedia, in 5 atti, intende presentare un ambiente nordico, dove la crudeltà e la barbarie dei
personaggi trovano una corrispondenza nell’orrore della natura selvaggia. Il re di Svezia Germondo
si innamora di Alvida, che il re di Norvegia ha cresciuto come una figlia. Quest’ultimo non
acconsente alle nozze e allora Germondo si rivolge all’amico Torrismondo, principe dei Goti,
perché chieda in sposa la fanciulla col patto di passarla a lui. Ottenuta la mano di Alvida,
Torrismondo, s’imbarca con lei per la Gotia, deciso a rispettare la parola data all’amico. Ma i due
giovani, gettati da una tempesta su un’isola deserta, cedono alla passione. Torrismondo viene a
sapere che Alvida è sua sorella e che, pertanto, egli ha commesso un incesto. Alvida non regge la
rivelazione della verità e si uccide, seguita dall’amato.
Se l’Aminta rappresentava il vagheggiamento dell’illusione giovanile d’amore, il Torrismondo
segna il crollare di quella illusione. Qui, al contrario della favola pastorale, prevale una lingua rotta
e aspra, punteggiata da esclamazioni e interrogazioni.

La Gerusalemme liberata
Tasso, sin da giovane pensava di comporre un poema epico sulla liberazione del Santo Sepolcro;
infatti, aveva composto le 116 ottave del Gierusalemme. Poi, riprese il suo progetto nel 1565 e
completò il poema, che uscì con il titolo di Gerusalemme Liberata.
Tasso si era formato in un’età in cui dominava un concezione normativa e precettistica della
letteratura, infatti accompagnò i suoi poemi con la riflessione teorica. Inoltre, aveva elaborato 3
discorsi dell’arte poetica e in particolare del poema eroico.

Il verisimile, il giovamento e il diletto


Tasso si occupa di delineare l’immagine di un poema “eroico”, che si uniformi ai canoni della
precettistica contemporanea. Egli afferma che la storiografia tratta del “vero”, di ciò che è realmente
avvenuto; invece, la poesia tratta del verisimile, cioè di ciò che sarebbe potuto avvenire. Il poema
epico deve trarre materia dalla storia, ma deve riservarsi in margine di finzione. Però, riconosce che
la poesia non può essere separata dal diletto (una forma di piacere). Il diletto deve essere finalizzato
al giovamento. Nonostante ciò, Tasso rifiuta il meraviglioso fiabesco e fantastico del romanzo
cavalleresco, poiché comprometterebbe il verisimile. La sua soluzione sarà il meraviglioso
cristiano: gli interventi di Dio, degli angeli e dei demoni.

Lo stile
Tasso rifiuta il modello ariostesco, perché ci sono troppe azioni intrecciate, che
comprometterebbero l’unità dell’opera. Il poema deve essere vario, ma il tutto deve essere legato in
una struttura unitaria.
Infine, tratta il problema dello stile; tra sublime, mediocre e umile, quello che conviene è lo stile
sublime, perché i concetti devono riguardare le cose più grandi, Dio, gli eroi e le gesta.
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L’argomento e il genere
Egli abbandona i temi cavallereschi e romanzeschi di Ariosto e si rivolge ad una materia storica.
Essa è molto lontana nel tempo da consentire al poeta un margine di libertà nell’invenzione poetica,
ma anche abbastanza vicina da interessare il pubblico moderno. La necessità di una nuova crociata,
era divenuto attualità con l’avanzata dei Turchi nel Mediterraneo e con la battaglia di Lapanto.
Quindi, il materiale di Tasso, non è una favola, bensì una storia vera che deve stimolare i cristiani
davanti a problemi urgenti come questi. Tasso fa riferimento a poemi epici classici, invece che a
poemi moderno.
Oltre, all’intento celebrativo delle idealità religiose, il poeta mira anche ad un fine didascalico e
padagogico.
Abbiamo detto che Tasso mira ad una rigorosa unità, dove è presente un’unica azione, l’assedio di
Gerusalemme, e un eroe centrale, Goffredo. Quindi, quella della Gerusalemme è una struttura
chiusa, che ha un inizio, un mezzo e una fine. Invece, l’azione del Furioso non ha inizio (perché
riprende la narrazione del Boiardo) e ha una fine parziale (il matrimonio di Ruggero).

L’intreccio del poema


La materia del poema è distribuita in 20 canti, in ottave. Tratta di Dio, che al sesto anno si guerra
decide di mandare l’arcangelo Gabriele da Goffredo di Buglione, affinché incoraggi i compagni al
compimento dell’impresa. Così, i crociati giunti sotto le mura di Gerusalemme, iniziano l’assedio.
Si verificano i primi scontri tra i cristiani Tancredi e Rinaldo, e i pagani, Clorinda e Argante. Satana
vuole contrastare l’impresa dei crociati e manda in aiuto dei pagani le sue schiere di demoni. Viene
usata Armidia per far innamorare di sé i guerrieri. Intanto, Rinaldo deve lasciare l’esercito crociato
perché ha ucciso Gernando. Argante vuole risolvere con un duello le sorti della guerra, e si sfida
contro il cristiano Tancredi, che si ferisce e viene curato da Erminia, la principessa. Ella si traveste e
uscita dalle mura, viene sorpresa da dei crociati e così fugge. Tancredi inizia a seguirla, credendo
sia Clorinda.
Giunge nel campo cristiano Carlo e narra che il re danese Sveno è stato ucciso dal turco Solimano.
Quest’ultimo assalta il campo cristiano, ma intervengono dei guerrieri cristiani, tra cui Tancredi.
L’arcangelo Michele interviene a cacciare i demoni. I cristiani scatenano l’assalto contro
Gerusalemme. Clorinda e Argante escono dalle mura per incendiare la torre, che rappresenta una
minaccia. Però succede che Clorinda non riesce a rientrare nelle mura e Tancredi la uccide, senza
riconoscerla. Il mago Ismeno getta un incantesimo sulla selva di Saron. Dio decide che le sorti della
guerra devono andare a favore dei cristiani, e manda a Goffredo una visione, incitandolo a
richiamare Rinaldo. Egli venne trovato nel giardino incantato di Armida, e quando vide la sua
immagine, si vergogno e si allontanò dal giardino incantato. Così, Rinaldo rompe l’incantesimo
della selva. Finalmente comincia l’assalto finale a Gerusalemme, dove Argante viene ucciso da
Tancredi; Solimano si getta in battaglia ma viene ucciso da Rinaldo; Goffredo uccide il capo
dell’esercito egiziano, Emireno, e la battaglia si conclude.

Gli intenti dell’opera


Tasso si presenta come il perfetto poeta cristiano, il cantore degli ideali della Controriforma. Vuole
essere il celebratore della religione e del potere regale. Con la Gerusalemme vuole dare, non solo il
perfetto poema cristiano secondo i canoni controriformistici, ma anche il poema obbediente
all’autorità di Aristotele e alle leggi della sua Poetica.

La realtà effettiva del poema


Nel poema sussiste un’ambivalenza per quanto riguarda gli atteggiamenti di Tasso nei confronti
della corte.
Se da un lato celebra la sfarzosità di questo ambiente e la maestà del potere, dall’altro egli si
dimostra contrario nei confronti della falsità, dei conflitti e degli intrighi della corte. Questo
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atteggiamento di contrarietà si concretizza nell’episodio di Erminia, la quale incontra un pastore che
le parla della sua esperienza all’interno della corte. Questo episodio, in concomitanza con quello
della guerra, apre una parentesi distaccata e introduce una nota di quiete.
In secondo luogo in contrapposizione con l’esaltazione della fedeltà dei guerrieri nel raggiungere i
loro fini, abbiamo l’attrazione per il voluttuoso, per un amore rivolto solo ad un piacere dei sensi.
L’episodio cardine è quello del giardino di Armida, dove si avverte una nostalgia per l’edonismo,
impossibile nel clima della Controriforma.
In altri casi troviamo anche l’amore come sofferenza, rappresentato dagli amori impossibili
(Erminia per Tancredi, Tancredi per Clorinda, Armida per Rinaldo).
La sofferenza d’amore tuttavia non è rappresentata con tragicità, ma con un leggero patetismo.
In entrambi i casi comunque, l’amore compromette il poema epico, perché allontana i guerrieri dai
loro doveri.
La stessa ambivalenza si trova nel tema della guerra, da un lato vista come manifestazione di
eroismo, ma dall’altra, vista in modo più doloroso, portatrice di sofferenza e morte.
I personaggi stessi, come Solimano e Argante, nel poema, fanno considerazioni sulla guerra e sui
danni che essa porta e, nell’ultimo assalto, anche il poeta dimostra compassione per i vinti.
Si pensi invece all’Orlando Furioso in cui le stragi compiute dagli eroi sono contemplate, come se
volesse far percepire al lettore, attraverso lo straniamento, che ciò che racconta è pura finzione e che
solo attraverso tale straniamento si arriva a riflessioni più serie.

Religiosità esteriore
Contraddizioni si rivelano anche dal punto di vista religioso. Alla celebrazione della maestà
religiosa, si contrappone una religiosità più intima e sofferta, a causa dell’avvertimento della
precarietà dell’esistenza causata dal peccato e del bisogno di purificazione (episodio collegato è
quello di Rinaldo sul Monte Uliveto nell’atto di penitenza per purificarsi, collocato in antitesi con la
fastosità della processione che si svolge nello stesso luogo).
Poi, alla religione fondata su verità teologiche, si contrappone un’attrazione per un sovrannaturale
magico e demonico, come negli episodi in cui intervengono forze infernali.

Il “bifrontismo spirituale” di Tasso


Queste ambivalenze si trovano anche a livello formale: se Tasso aspira ad un’opera stilisticamente
sublime, ciò è comunque negato dalle note idilliche e da forze che, dal centripeto, tendono al
centrifugo, come nelle vicende di Rinaldo e Tancredi, i quali si allontanano dalla guerra per seguire
i loro impulsi.
La struttura unitaria, perciò, sembra sul punto di dissolversi, proprio come accadeva nei poemi
cavallereschi, che Tasso si proponeva di superare.
Ciò va sotto il di “bifrontismo spirituale”, ovvero contraddizioni che non riguardano esclusivamente
il Tasso, ma sono di tutta un’epoca, che sta vivendo un periodo di transizione.

L’opposizione tra visione rinascimentale e visione controriformistica


Questo “bifrontismo” si rileva anche nello scontro tra pagani e cristiani.
In realtà non si tratta dello scontro tra due religioni diverse, ma tra due codici morali diversi.
I pagani sono portatori dei valori rinascimentali: l’individualismo, la forza dell’uomo, che è artefice
del proprio destino, esclusione di un’ottica trascendente, pluralismo delle concezioni, edonismo.
I cristiani invece sono portatori dei valori controriformistici: ogni cosa ha un fine religioso,
imposizione di un’unica verità, respinta del pluralismo, repressione dell’edonismo.
L’antagonista quindi della religione cristiana non è tanto la religione musulmana, ma il male in sé.
Infatti, contro Dio vi è Satana, e i valori rinascimentali vengono visti come prodotti di forze
demoniache, che minacciano il mondo cristiano.
Infatti, questi valori sono presenti anche nel campo cristiano: alcuni eroi si allontanano dai loro
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scopi primari, per perseguire gli scopi individuali al fine del piacere dei sensi.
A riportare sulla retta via i cristiani cosiddetti “erranti” vi sono i rappresentanti dei valori religiosi
cristiani, Goffredo, che aiuta Rinaldo a difendere il suo onore dopo un omicidio e che lo perdona
per perseguire la missione cristiana, e Pier l’Eremita, che aiuta Tancredi sofferente a rimettersi in
sesto dopo aver ucciso Clorinda.
Cedendo ai loro impulsi, i cristiani si collocano in un certo senso nel campo della paganità.

Uno e molteplice nella struttura ideologica della Gerusalemme


Nel poema è in atto uno scontro che si svolge su tre piani:
1) Cielo contro Inferno
2) Cristiani contro pagani
3) Il “capitano” contro i “compagni erranti”: Goffredo che riporta sulla retta via i “devianti”
Il rapporto che si stabilisce tra questi piani è un processo di riduzione dal molteplice all’uno.
Il mondo pagano e quello dei cristiani “erranti” rappresenta il campo del vario e del diverso; a
questa molteplicità si contrappone l’unità rappresentata da Goffredo, ovvero il personaggio in cui si
incarnano gli ideali controriformistici di autorità e unità.
La contrapposizione molteplice-uno ha radici profonde nel poeta. In Tasso sussiste un convinto
atteggiamento conformistico, di adeguazione ai canoni politici, religiosi e letterari della sua epoca,
che negano ogni tipo di devianza e diversità, ma si contrappongono anche atteggiamenti insofferenti
nei confronti dell’autorità.
Tasso, anzi, è attratto dalla devianza, quindi da quelli che sono i valori rinascimentali, la
molteplicità, l’individualismo (affermazione di sé), l’edonismo.
Questa attrazione si manifesta anche con un atteggiamento di simpatia verso i “devianti”, ovvero i
nemici e gli sconfitti, ma che sono ricchi di dignità, come ad esempio gli eroi “erranti” Rinaldo e
Tancredi.
Insomma, anche se il Tasso condanna questi valori, la condanna pesa comunque su quelli che
rappresentano le forze dispersive del poema, unico modo per ammettere quei contenuti nell’opera.

La struttura narrativa
La struttura narrativa è uguale a quella ideologica: vi è una tensione tra molteplicità e unità.
Tasso respinge la struttura del poema cavalleresco, per costruire, in virtù della poetica aristotelica,
un’opera unitaria; ma in realtà dalla vicenda principale divergono molto altri fili narrativi, costituiti
dalle forze individuali di desiderio da parte dei personaggi.
Tuttavia la struttura unitaria non si disgrega mai veramente.
Come Goffredo riesce a contrastare le forze dispersive, così il poeta fa dal punto di vista narrativo.
Il rapporto molteplicità-unità della Furioso è diverso da quello del Gerusalemme: nel primo la
molteplicità delle azioni è prevista fin dall’inizio ed è comunque alla base di un equilibrio
armonico, mentre nella Gerusalemme questa molteplicità è negata, ma non è alla base di nessun
equilibrio ed è in continua tensione con l’unità.

Il punto di vista
Il “bifrontismo” è presente anche nel punto di vista. Anche se il poema vuole celebrare la religione
cristiana, più che quella pagana, il punto di vista non è unico, ma si alterna sia nel campo cristiano,
che in quello pagano.
Anche il punto di vista degli eroi si alterna tra cristiani e pagani, a riprova di come Tasso conferisca
a questi ultimi un profondo spessore psicologico e un’alta dignità.
Questa alternanza di punti di vista conferma ancora una volta che il codice controriformistico non è
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assoluto e si traduce con quella “simpatia” che il poeta rivolge per i nemici e gli sconfitti, quindi
come un’accettazione di quelli che sono i valori laico-rinascimentali.
Quindi nel poema il ruolo che ha il codice cristiano-controriformistico assume circa lo stesso valore
di quello laico-rinascimentale.

L’organizzazione dello spazio


Il “bifrontismo” è presente anche nella struttura spaziale: si alternano uno spazio orizzontale,
ovvero il campo dello scontro tra cristiani e pagani, e uno verticale, diviso in due piani contrapposti,
il cielo e l’inferno, che rappresentano il bene e il male, Dio e Satana.
Questa contrapposizione tra bene e male rappresenta quello tra uno e molteplice: il cielo è portatore
dei codici cristiani e unificatori, l’inferno rappresenta la dispersione e la molteplicità.
Lo spazio orizzontale è dato da Gerusalemme, dove risiedono i pagani, e il campo dei crociati, che
anche qui rappresenta una contrapposizione tra bene e male, uno e molteplice.
Lo spazio terrestre è limitato: non si ha più, come nel Furioso, lo spazio labirintico, ma uno spazio
ristretto, come a voler indicare la tendenza del poeta all’unità. Ma a queste tendenze si oppongono
le forze centrifughe: gli spazi centrifughi sono quei luoghi dove si dirigono i personaggi spinti dal
desiderio individuale e che quindi si allontanano dal centro della guerra.
Maggiore è la trasgressione del personaggio, maggiore è la distanza del luogo dove si dirige il
personaggio “deviante” rispetto al teatro della guerra.
Lo spazio della devianza, oltre ad essere lontano fisicamente, è diverso da quello della guerra, come
quello di Erminia o Armida, che sono spazi idillici e ameni.
Questi spazi, però, come anche le azioni centrifughe, a differenza del Furioso, non disgregano
l’unità spaziale e finiscono per essere neutralizzati o eliminati.

Il tempo
Anche lo sviluppo temporale nella Gerusalemme è unitario, vi sono solo brevi flash-back. Si tratta
di un arco temporale limitato entro dei confini, infatti Tasso non narra tutta la prima crociata, si
concentrerà solo sul breve periodo finale e risolutivo.
La lingua e lo stile
Nel tessuto poetico si nota una tensione verso il grande, il sublime. A ciò, contribuisce l’uso di
figure retoriche e il poeta predilige un lessico con parole lontane dall’uso comune. A livello della
sintassi, sono presenti periodi lunghi e complessi e frequenti enjambements tra un verso e l’altro. Al
sublime, si oppone la ricerca di una suggestività indefinita. Il prevalere dell’emotività si esprime
nell’uso sovrabbondante degli aggettivi. Inoltre, i frequenti enjambements creano sia un effetto di
magnificenza, ma assumono anche un valore lirico. La stessa funzione è assunta da versi spezzati da
pause forti, che esprimono il pathos.

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