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CANTO XIII INFERNO

La prima terzina, che funge da cerniera con il canto precedente, inizia con un “non” che introduce un
clima negativo che caratterizza tutto il bosco infatti non ci sono elementi positivi perché siccome
uccidersi va contro la natura il bosco, essendo un luogo simbolico, anch’esso va contro natura.

SPAZIO: settimo cerchio (secondo girone), bosco dei suicidi (uno dei tre boschi presenti nella
Commedia oltre alla selva oscura e all’eden) descritta attraverso artefici retorici, sintattici e fonici,
infatti la seconda terzina è costruita su tre coppie oppositive nelle quali il primo termine ha valore
positivo mentre il secondo negativo a causa del “ma”. La prima opposizione riguarda la luminosità,
chiarità, verde - oscurità, fosco, in quanto il verde non può assumere il carattere di speranza in
quanto contrapposto al fosco, colore che implica l’assenza della speranza stessa. La seconda coppia
è diritto, schietti – storto, nodosi e ‘nvolti, riguardante la tortuosità del cammino che in senso morale
è il peccato in cui l’anima rimane intrappolata. La terza coppia, infine, fertilità, pomi - sterilità,
stecchi con tosco, riguarda la fertilità dei pomi (alberi che producono frutti, come quello biblico noto,
il pomo proibito) in opposizione alle spine con il veleno che danno idea di improduttività dannosa
che porta alla morte dell’anima. Nella descrizione del bosco dei suicidi è presente anche una
componente animalesca, le Arpie, cioè mostri mitologici con volto di donna e corpo di uccelli rapaci.
Sono citate in un passo delle Eneide nel quale esse insozzano le mense di Enea e dei suoi compagni,
una volta giunti alle isole Strofadi, e una di esse, inoltre preannuncia loro future sventure. Oltre alle
Arpie, inoltre, ci sono anche i cinghiali che vengono cacciati da cani e cacciatori. Durante il canto
vengono proposti suoni aspri e una monotonia ritmica che si adattano perfettamente al contesto
stesso. Tutta questa negatività è data proprio dal peccato commesso da loro, il suicidio, con il quale
si sono privati della loro vita, il più grande dono divino.

TEMPO: alba del sabato santo del 9 aprile 1300.

PECCATORI E PENA: violenti contro sé stessi: contro la loro stessa persona (suicidi) e contro le
proprie sostanze (scialacquatori). I suicidi sono trasformati in sterpi lacerati dalle arpie; gli
scialacquatori sono inseguiti e dilaniati da cagne.

CONTRAPPASSO: per analogia, i suicidi, che nella loro vita hanno disprezzato il loro corpo fino a
volersene privare, sono trasformati in un essere di natura inferiore e, dal momento che hanno
straziato sé stessi, sono ora tormentati dalle arpie; gli scialacquatori, che hanno dissipato i loro beni,
sono invece lacerati da cagne fameliche.

PERSONAGGI:

 Dante (auctor e agens)


 Virgilio
 Pier delle Vigne: nacque a Capua intorno al 1190 da una famiglia disagiata. Compì gli studi a
Bologna e nel 1220 fu accolto nella corte di Federico II come notaio della corte imperiale.
Ricoprì anche delicati incarichi diplomatici per conto dell’imperatore e divenne suo primo
segretario e portavoce. Due anni dopo, però, fu privato di tutte le cariche, arrestato e
accecato col ferro rovente a Cremona e nell’aprile dello stesso anno si uccise in cella. La sua
storia è molto nota a causa di un grande dibattito, infatti, mentre la storiografia guelfa,
appoggiata da Dante, riteneva Pier delle Vigne innocente e attribuiva a Federico II la sua
morte come sua ennesima nefandezza in quanto a causa di una congiura di nobili di palazzo
invidiosi del rapporto tra i due lo avrebbero spinto al suicidio, i ghibellini, invece,
giustificavano il comportamento dell’imperatore e ritenevano invece il rimatore siciliano un
traditore, anche se pare che siano state ritrovate delle lettere o si è saputo di un colloquio
segreto avuto con Innocenzo IV che potette accreditare il suo ruolo di traditore. Un aspetto
importante della sua personalità è quello letterario, testimoniato da un ricco epistolario in
una artificiosa prosa latina tipica della corte di Federico II. Fu anche rimatore in volgare ma
Dante in questo canto tende a rendergli omaggio come maestro di ars dictandi, ovvero di
quel complesso di norme per scrivere in latino. Per questo motivo, infatti, nella rievocazione
di Piero ricorre ad una prosa complessa ricca di metafore, perifrasi e latinismi.
 Lano da Siena: Arcolano di Squarcia Marconi, era un uomo molto ricco che faceva parte di
una brigata spendereccia e che aveva consumato tutti i suoi soldi in spese folli. Nel 1288
partecipò alla spedizione senese contro gli aretini, ma al ritorno i senesi furono vittime di un
agguato al valico di Pieve al Toppo, dove morirono la maggior parte, compreso Lano stesso.
 Iacopo da Sant’Andrea: Giacomo di Sant’Andrea, padovano, della famiglia dei da Monselice
che dissipava il suo denaro facendo incendiare i casolari dei suoi contadini per illuminare agli
ospiti il percorso che conduceva alla sua villa e gettando monete nelle acque del Brenta. Fu
ucciso nel 1239 per ordine di Ezzelino da Romano, signore della Marca Trevigiana.
 Un fiorentino suicida: non si sa nulla di preciso sull’identità dei questo personaggio, a parte
che è originario di Firenze, ed è probabile che Dante abbia voluto lasciarlo nell’anonimato.

IL TRAGICO EPISODIO DI PIER DELLE VIGNE: Dopo la descrizione del bosco, Virgilio lo avvisa sulla
condizione attuale in cui si trovano ed attua una sorta di anticipazione su ciò a cui Dante dovrà
assistere. Inoltrati nel bosco inizia a sentire urla alle quali non ha una corrispondenza visiva. Smarrito
si fermò e Virgilio quindi con il suo intervento chiarisce a Dante il suo dubbio sulle voci che
provenivano dagli alberi invitandolo a staccare un ramoscello. Il poeta fiorentino si accinge a farlo e
subito dopo iniziano ad uscire parole e sangue, episodio che richiama la storia di Polidoro narrata
nell’Eneide (Polidoro, figlio di Priamo, quando venne trafitto da frecce dagli abitanti della tracia per
ordine di Polimestore, suo cognato, viene trasformato in una pianta di mirto e quando Enea,
sbarcato nel Lazio, era in cerca di rametti per un’ara votiva ne stacca uno da una pianta di mirto da
cui esce sia del sangue che una voce). Dante spaventato lascia cadere a terra il rametto e Virgilio si
scusa con il dannato e gli chiede cortesemente di presentarsi affinché potesse anch’egli rinnovare la
sua fama nel mondo. Il tronco con piacere dopo aver ribadito la fedeltà nei confronti dell’imperatore
Federico II che possiede le chiavi del suo cuore per aprirlo e chiuderlo e pur mantenendo verso di lui
una fedeltà assoluta, pagò con la sua stessa vita l’invidia altrui da cui derivarono le accuse calunniose
per le quali si è suicidato. L’imperatore (che scrisse anche un trattato sulla caccia) viene citato prima
come “Federigo” per evidenziare il rapporto d’intimità tra i due, poi come “Cesare” e “Augusto”
quando è rievocato a corte vittima dei cortigiani ed infine come “mio segnor” quando si tratta di
riaffermare il vincolo di fedeltà. Secondo Dante, infine, Piero voleva dimostrare con la sua morte la
sua innocenza ed invece è stato il contrario passando dalla ragione al torto.

LA PIETA’ DI DANTE E IL PROCESSO DI AUTOIDENTIFICAZIONE CON PIERO: La pietà che coglie Dante
tanto da non gli fa proseguire il colloquio è simile a quella già provata nel canto V con Paolo e
Francesca, in quanto è in atto un processo di autoidentificazione col destino di Piero. Dante come lui
ha provato dolorose conseguenze dall’ingiustizia umana, come lui ha nutrito profonda fiducia nei
confronti dell’autorità imperiale e infine come lui è stato vittima di invidia che ha segnato
dolorosamente il suo destino. Dopo di ciò Virgilio, per conto di Dante perché troppo commosso,
chiede allora a Pier delle Vigne com’è possibile che le anime si tramutino in piante e se c’è la
possibilità che ne fuoriescano. Il dannato risponde che le anime dei suicidi germogliano in piante
selvatiche non appena giungono al VII Cerchio e che, nel giorno del Giudizio Universale, esse
riprenderanno i propri corpi ma non potranno rivestirli bensì le appenderanno ognuna all’albero
dove è imprigionata.
GLI SCIALACQUATORI: sono coloro che hanno dissipato i loro beni per fini folli e sono ben diversi dai
prodighi del VII canto in quanto mentre i primi sono consapevoli delle loro azioni (intemperanza) gli
altri non ne hanno il controllo (incontinenza). In questo canto abbiamo Lano da Siena e Iacopo da
Sant’Andrea. I due poeti dopo aver sentito dei rumori di una caccia infernale vedono due dannati
che corrono e che rompono rami e frasche. Quello davanti (Lano da Siena) è più veloce, mentre
quello dietro (Iacopo da Sant'Andrea) è più lento e si nasconde accanto a un basso cespuglio. Poco
dopo è raggiunto da delle cagne nere, che fanno a brandelli lui e l'arbusto dove ha tentato di
nascondersi. Virgilio allora prende per mano Dante e lo conduce accanto al cespuglio, dal quale esce
sangue e insieme ad esso la voce del suicida imprigionato all'interno. Da notare il fatto che questi
dannati vengono puniti ma allo stesso tempo sono punitori proprio perché quando corrono spezzano
i rami degli alberi i cui sono trasformati i suicidi. Il dannato rimprovera lo scialacquatore che gli ha
causato danno e dolore, poi Virgilio si rivolge al suicida e gli chiede di manifestarsi. Egli chiede
anzitutto ai due poeti di raccogliere i suoi rami spezzati ai piedi dell'arbusto, quindi rivela di essere
originario di Firenze, città che mutò il proprio protettore da Marte a san Giovanni Battista e per
questo è vittima di continue guerre (solo la statua del dio pagano sull'Arno, di cui sopravvive un
frammento, la preserva dalla totale distruzione e secondo Dante, inoltre, Firenze scomparirà con lo
scomparire del frammento rimasto). Il dannato conclude dicendo di essersi impiccato nella propria
casa. Queta immagine angoscia talmente tanto Dante da rafforzare il pensiero di una sorte di
maledizione divina che vede incombere su Firenze.

Da notare il tema della caccia ripetuto frequentemente nel canto in quanto era la principale fonte di
svago nell’età medievale . Pier delle Vigne, infatti, ricorre a metafore tratte dall’ambito venatorio ed
inoltre, lo stesso imperatore Federico II oltre a cacciare scrisse anche un trattato sull’argomento, De
arte venandi cum avibus.

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