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canto V:

- Dante non giudica, ché non è compito suo, ma osserva e descrive.

- Achille: Non è l’amore sensuale a travolgere l’anima di Achille, ma la


passione per il combattimento, di cui lui era forse il massimo interprete
del suo tempo. Era quello il suo “talento”.

- contrappasso per analogia: I peccatori situati in questo cerchio sono i


lussuriosi ossia tutti coloro che preferirono l'amore carnale rispetto a Dio.
La loro pena è stabilita secondo la legge del contrappasso: sono
condannati a vivere all'interno di una bufera infernale che li sbatte su e giù
come stormi, così come in vita preferirono la bufera della passione.

- dopo gli ignavi, e i non battezzati del limbo, si incontrano dannati che
hanno violato una norma morale
- i personaggi impersonano i diversi aspetti della lussuria: seduzione, il vizio
insaziabile, l’infedeltà, la debolezza morale
Canto XIII:

Arpie: sono gli uccelli mitologici dal volto di donna già citati nel libro III
dell'Eneide come i mostri che cacciarono i Troiani dalle isole Strofadi
preannunciando loro una terribile fame una volta giunti nel Lazio, profezia che si
sarebbe rivelata mendace. Le Arpie nidificano nella selva e si nutrono delle foglie
degli alberi, producendo dolore alle anime dei suicidi che vi sono imprigionate.

La scena di Dante che, indotto da Virgilio, spezza il ramo dell'albero di Pier della
Vigna da cui esce sangue è ovviamente modellata sul libro III dell'Eneide, anche
se l'episodio di Enea e Polidoro (vv. 42 ss.) è rielaborato e ampliato da Dante, che
trasforma l'immagine della pianta sotto cui è sepolto il figlio di Priamo in
un'allucinante selva

Come spesso accade nell'Inferno dantesco, i dannati si mostrano tenacemente


attaccati a ciò che rappresentava per loro la vita terrena, quindi Pier della Vigna
parla come se fosse ancora il primo consigliere del sovrano,

Egli si presenta come colui (Pier della Vigna) che fu intimo collaboratore di
Federico II di Svevia, tanto fedele da diventarne il solo depositario di tutti i
segreti. Aveva svolto il suo incarico con lealtà e dedizione, al punto da perderne
la serenità e la vita: infatti il suo zelo aveva acceso contro di lui l'invidia dei
cortigiani, i quali sobillarono il sovrano e lo indussero ad accusarlo di
tradimento. In seguito Pier della Vigna si era tolto la vita, credendo in tal modo
di sfuggire allo sdegno del sovrano e finendo per passare dalla ragione al torto.
L'anima conclude il racconto giurando sulle radici della pianta in cui è rinchiuso
di essere innocente dell'accusa rivoltagli a suo tempo, pregando Dante di
confortare la sua memoria se mai ritornerà nel mondo. Pier delle Vigne: (il
suicidio lo ha fatto sembrare colpevole agli occhi del mondo, mentre in realtà lo
ha condannato alla dannazione eterna). Il personaggio non comprende
pienamente la natura del suo peccato e si mostra assai più interessato alla
possibilità che Dante restauri la sua fama nel mondo terreno, mentre nulla può
fare ovviamente per il suo destino ultraterreno.

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