Nesso non è ancora tornato sull'altra sponda del Flegetonte, quando Dante e Virgilio si incamminano per una orribile selva, in cui il fogliame è oscuro, i rami sono contorti e al posto dei frutti ci sono spine velenose. I luoghi più selvaggi della Maremma non hanno una boscaglia così aspra, mentre qui le Arpie nidificano tra gli alberi e hanno grandi ali, visi umani e zampe artigliate, con cui producono lamenti tra le piante. Virgilio spiega a Dante che si trova nel secondo girone del VII Cerchio, dove la selva si estende sino al sabbione infuocato del girone seguente. Lo invita poi a guardare bene ciò che si trova nel bosco, perché vedrà cose incredibili a sentirne parlare.
Incontro con Pier della Vigna (22-54)
Dante sente levarsi dei lamenti da ogni parte e non vede chi li emette, perciò si ferma e rimane confuso. Egli crede che degli spiriti si nascondano tra le piante, ma Virgilio (che ha intuito l'errore del discepolo) lo invita a spezzare un ramoscello da uno degli alberi. Dante obbedisce e appena ha spezzato il ramo di un albero, dal tronco esce la voce di uno spirito che lo accusa di essere impietoso, mentre dal fusto esce sangue nero. Dal tronco spezzato escono le parole, simili ad un soffio, e insieme il sangue, cosa che induce Dante a lasciar cadere a terra il ramo e a restare in attesa, pieno di timore. Virgilio prende la parola e dice all'anima imprigionata nell'albero di essere stato costretto a indurre Dante a compiere quel gesto, perché solo così egli avrebbe compreso ciò che lui stesso aveva cantato nei versi dell'Eneide. Quindi invita il dannato a manifestarsi e a raccontare la sua storia, affinché Dante, tornato sulla Terra, possa risarcirlo del danno subìto restaurando la sua fama. Racconto di Pier della Vigna (55-78) A questo punto il dannato dichiara che l'offerta è troppo allettante per rifiutarla, quindi inizia a raccontare la sua storia. Egli si presenta come colui (Pier della Vigna) che fu intimo collaboratore di Federico II di Svevia, tanto fedele da diventarne il solo depositario di tutti i segreti. Aveva svolto il suo incarico con lealtà e dedizione, al punto da perderne la serenità e la vita: infatti il suo zelo aveva acceso contro di lui l'invidia dei cortigiani, i quali sobillarono il sovrano e lo indussero ad accusarlo di tradimento. In seguito Pier della Vigna si era tolto la vita, credendo in tal modo di sfuggire allo sdegno del sovrano e finendo per passare dalla ragione al torto. L'anima conclude il racconto giurando sulle radici della pianta in cui è rinchiuso di essere innocente dell'accusa rivoltagli a suo tempo, pregando Dante di confortare la sua memoria se mai ritornerà nel mondo.
Spiegazione di come i suicidi si tramutino in piante (79-108)
Virgilio resta un attimo in silenzio, quindi invita Dante a rivolgere altre domande al dannato. Il discepolo si dice troppo turbato per rivolgere la parola allo spirito, quindi è Virgilio che chiede a Pier della Vigna in che modo l'anima del suicida venga imprigionata dentro gli alberi sella selva e se accade talvolta che qualcuna di esse ne fuoriesca. Il tronco emette nuovamente un soffio d'aria, quindi la voce spiega che quando l'anima del suicida si separa dal corpo e giunge davanti a Minosse, il giudice infernale, questi la manda al VII Cerchio. Qui essa cade in un punto qualsiasi e germoglia formando una pianta selvatica. Le Arpie, poi, nutrendosi delle foglie dell'albero, producono ulteriore sofferenza alle anime. Il giorno del Giudizio Universale, spiega ancora il dannato, essi andranno a riprendere le loro spoglie mortali ma non le rivestiranno: porteranno i corpi nella selva, dove ciascuna anima appenderà il proprio all'albero dove è imprigionata, poiché non è giusto riavere ciò che ci si è tolto violentemente.
Apparizione degli scialacquatori (109-129)
Dante e Virgilio sono ancora accanto all'albero di Pier della Vigna, quando entrambi sentono dei rumori all'interno della selva, simili allo stormire del fogliame quando, in un bosco, c'è una battuta di caccia al cinghiale. Subito dopo vedono due dannati che corrono tra la boscaglia, nudi e graffiati, che rompono rami e frasche. Quello davanti (Lano da Siena) è più veloce, mentre quello dietro (Iacopo da Sant'Andrea) è più lento e si nasconde accanto a un basso cespuglio. Poco dopo è raggiunto da delle cagne nere, che fanno a brandelli lui e l'arbusto dove ha tentato di celarsi, quindi ne portano via le carni maciullate.
Un fiorentino suicida (130-151)
Virgilio allora prende per mano Dante e lo conduce accanto al cespuglio, dal quale esce sangue e insieme ad esso la voce del suicida imprigionato all'interno. Il dannato rimprovera lo scialacquatore che gli ha causato danno e dolore, poi Virgilio si rivolge al suicida e gli chiede di manifestarsi. Egli chiede anzitutto ai due poeti di raccogliere i suoi rami spezzati ai piedi dell'arbusto, quindi rivela di essere originario di Firenze, città che mutò il proprio protettore da Marte a san Giovanni Battista e per questo è vittima di continue guerre (solo la statua del dio pagano sull'Arno, di cui sopravvive un frammento, la preserva dalla totale distruzione). Il dannato conclude dicendo di essersi impiccato nella propria casa.