INTRODUZIONE
I pensieri maligni non hanno a che fare con la profondità del cuore, essi hanno forza su di noi
solo se noi rimaniamo ad un livello superficiale di noi stessi, più uno entra in se stesso in maniera
sincera e onesta più le tentazioni diventano provvisori.
Quando si rientra in se stessi (figlio prodigo) si viene in contatto con la Verità, con la Bellezza,
e la tentazione è incompatibile con la Bellezza che deriva dalla verità.
Come si riconosce un pensiero maligno?
Normalmente genera ansia, fretta dalla pressione. Se questo pensiero viene accettato e
ripetuto, diventa un vizio. Questi pensieri diventano barriere di accesso alla Verità. Non ci
permettono di andare al nocciolo delle questioni.
Quali sono i sistemi dell’inganno che distruggono la nostra vita, ossia le relazioni famigliari,
tra amici ecc?
Esse vengono rovinati da processi che partono prima del momento in cui uno fa un errore nel
confronto del prossimo. Ci sono dei meccanismi principali vediamoli:
a) Il primo sistema è quello della rimozione ossia i pensieri maligni vogliono nascondere
qualcosa della realtà, ossia cancellano qualche dato importante della vita.
Si dà assenso alla rimozione perché così un pensiero appare più comodo, è una
lettura più veloce dei fatti, ma quello che viene rimosso in realtà sta ancora lì. Ossia,
un pensiero viene semplificato e questo conduce ad una assolutizzazione: si guardano
le cose in superficialità dimenticandosi delle altre cose legate a quel pensiero. A questo
punto uno crede di essere a contato con la realtà ma in realtà stiamo in contato con ciò
che ci fa comodo della realtà. Ad es uno dice: questo collega è insopportabile, è un
pensiero facile, ti viene cosi, e per sostenere questa posizione cominci ad assolutizzare
dimenticandoti magari di tanti aspetti positivi di questo collega, delle tante volte che
magari ti ha aiutato… quindi, uno consente una lettura molto facile da sposare, pero
quello che uno ha rimosso di questo collega rimane comunque lì sotto, e a questo punto
si ha un malessere che si deve coprire con una maggiore violenza del pensiero.
Questo lo facciamo tutto il giorno, è una lettura facile della realtà che sembra darci un
benessere operativo immediato, ma la realtà è che questa rimozione rimane lì e uno la
sente, di conseguenza produce un malessere.
b) Una seconda tecnica di inganno che usa il maligno sono le PROEZIONI
Questo significa appiccicare ad una realtà un dato che parte da me – Cioè io ho
delle cose in me irrisolte o dolorose e inizio ad appiccicare questo mio problema sulle
cose, sulle situazioni o sulle relazioni. Questo inganno è pericolosissimo distrugge le
relazioni. Non si può scendere a patì perché questo fenomeno ci fa vedere la realtà
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distorsinata, ossia ciò che io vedo non corrisponde alla realtà. Questo fenomeno si
chiama anche AFFEZIONE cioè è una forma di avvicinarsi alle cose secondo un modo
interiore e non secondo i datti oggettivi del reale.
Ex: uno si sente perseguitato ovunque vada – ma come mai ci troviamo sempre
nella stessa situazione? dovrebbe domandarsi, come mai ti senti sempre escluso? Se
questo ti capita in diverse situazioni è più che probabile una tua proiezione.
San Ignazio dice che questo ci porta a non stare davanti alle cose ma in rapporto con noi stessi e
basta. L’altro spiega, interpreta, resta come una parte della mia rabbia, e non entro con lui in
relazione. Qui si deve combattere vedremmo come, ma importante è capire che le proiezioni
vengono spezzate alle radici ossia non sono cose che si possono mantenere come parte della
lettura della realtà. Tante volte uno dice: ma io lo vivo cosi… ma questo è il problema… il viverla
cosi… se uno vuole avere la pace, arrivare alla liberta di figli di Dio bisogna proprio rompere ogni
alleanza con questo mio modo di vivere le cose. Questo è una esigenza esistenziale, cosi non si
arriva mai alla pace. Le proiezioni sono pervasive per qui si finisce per vivere sempre la ripetizione
dei propri dolori ovunque ci si stia.
Che bisogna fare adesso di fronte a queste due cose?
Non basta la nostra volontà, ossia, scordartelo di farcela con le tue forze, questi non sono
informazioni, per deliberarti si richiede un aiuto esterno, dietro a queste trappole sta il maligno
che è più intelligente di noi. Quindi abbiamo bisogno di allearci con Dio abbiamo bisogno di
preghiera, bisogna entrare in relazione con Dio.
VEDIAMO IN DETTAGLIO LE TECNICHE DEL MALIGNO
Le proiezioni in genere vengono applicate alle cose, proiettare la propria identità sugli oggetti.
Tipico della nostra realtà somatica ossia nelle cose ci si rivede.
Un secondo livello è la proiezione sui pensieri per qui si diventa affezionati a dei pensieri che
sono ASSOLUTI (es dei due monaci molto servizievoli ma che finiscono a fare a botte perché
non concordano su un uccello, uno diceva che è di una razza e l’altro che è un'altra razza, nessuno
è disposto è rinunciare a suo pensiero a una sua idea a una sua visione delle cose, finendo di fare
a botte) dunque si rompe i rapporti perché ci si sente offesi profondamente dalla contradizione di
una propria idea fino ad a rompere un rapporto.
Un altro sistema è quello di lavorare sui punti deboli ossia dove uno spesso ci si affezione a delle
cose ben fatte, e così il demonio avvolte permette di vincere qualche battaglia proprio per perdere
l’attenzione su altri livelli. Una tecnica tipica del maligno è di sottovalutare i conflitti fraterni
ossia non dare importanza alle rotture nelle relazioni, perdere la comunione con le persone e
dire che va be non è successo niente, invece questo è più importante di ogni ascesi digiuno o
qualsiasi altra cosa perché la carità fraterna è la più importante. (il demonio tenterà sempre di
isolarti, credendo che così si è liberi dagli affetti, gli affetti sono buoni è l’affettività malata che
bisogna curare).
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LE TENTAZIONI SONO DI TRE LIVELLI:
• Tentazione delle passioni fisiche: questi non possiamo negarli abbiamo bisogno di
mangiare, di vestirci, abbiamo un corpo sessuato, abbiamo bisogno di possedere. Se
abbiamo un’anima che ha degli appetiti, i pensieri saranno collegati a gola, lussuria,
avarizia.
• Tentazione delle passioni interiori – qui sono gli stati dell’animo, molto più difficili del
primo stadio. Se abbiamo un’anima psicologica avremo vizi come ira, tristezza, accidia.
• Tentazione del profondo dell’essere: qui sono i vizi più difficili e più devastanti,
vanagloria e orgoglio sono indomabili, si può diventare pazzi. Se abbiamo l’anima
spirituale abbiamo i vizi più grandi: la vana gloria, invidia, orgoglio, superbia.
Dunque primo punto bisogna pregare.
Bisogna iniziare ad interrogare i nostri pensieri, a ripeterli, ad analizzare per vedere cosa si muove
nel nostro cuore, è troppo importante.
Bisogna distinguere tra suggestioni e ispirazioni.
Le suggestioni hanno la caratteristica di imposizione. Ossia è un pensiero che si impone.
Mentre le ispirazioni vengono da interno e ci lasciano liberi, sono proposte, offerte, aperture del
cuore che vengono dallo Spirito Santo.
Dunque è obbligatorio saper discernere se un pensiero è ispirazione o suggestione.
1) LA GOLA
L’origine di ogni tentazione è un falso amore ossia un amore disordinato di sé.
Di che queste pietre diventino pane: la tentazione del mangiare, dell’ingordigia. Questa è una
suggestione mentre la risposta di Cristo è una ispirazione: non di solo pane vivrà l’uomo.
Nela vita spirituale si comincia sempre da un digiuno da un’ascesi, l’inizio delle passioni è la gola
e se vogliamo iniziare a dare spazio alla vita spirituale dovremo digiunare sicuramente.
Se vuoi pregare la mattina dovrai digiunare dal sonno. Se vuoi pregare la sera dovrai digiunare dal
televisore, o non cercare letture futili.
Dunque bisogna creare uno spazio di silenzio questo implica dunque una rinuncia a qualcosa
altro ossia un digiuno da qualcosa.
Primo passo è avere una disciplina sul proprio corpo, iniziare a combattere dalla gola.
Antropologia cristiana dell’uomo
• Noi abbiamo una anima concupiscente legata al corpo, agli sensi.
• Un’anima razionale dove troviamo il mondo dei pensieri, gli sentimenti.
• Un’anima spirituale, dove è il io profondo della persona.
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Il maligno inizia sempre dai pensieri relativi al corpo e ai sensi, ci spinge a preoccuparci
troppo delle nostre pulsioni fisiche ossia concertarsi solo sui bisogni materiali. Perciò è
fondamentale il digiuno ossia fare spazio, questa arma toglie l’alienazione, perché la gola occupa
spazio ci aliena, ci intontisce, è uno scapare dalla vita (tv, cellulare, cibo, alcool, droga ecc..)
che è un fuggire in un mondo irreale. Si cerca la felicità attraverso il piacere dei sensi. Si
comincia a vedere il mondo in funzione di sé, dove l’appetito diventa il padrone della nostra vita,
le voglie diventano insopprimibili, privi di regole, nell’illusione di darsi piacere si scapa dalla
realtà.
Il digiuno infatti significa dare regola all’appetito – qui non si tratta di negare i bisogni,
noi stiamo parlando di non alienarsi, di non fuggire dalla realtà, non essere ingannati. Il
pervertimento della nostra vita inizia dalla mancanza di vigilanza sul nutrimento. Noi mangiamo
molto di più del necessario per nutrirci.
La gola fa pervertire la funzione delle cose ossia imporre alla realtà di cambiarsi
diventare cibo: di che queste pietre diventano panne.
Ad esempio quando ad uno non piace studiare, scapa dalla realtà andando a mangiare, a fumare, a
chiacchierare ec.. Di fronte ad una sofferenza si cerca un piacere (masturbazione). Questo è tornare
ad una fase infantile, uno stato auto consolante, riempirsi perché quello che stai facendo non ti dà
soddisfazione.
Quale è il prezzo di tutto questo?
Non si raggiunge gli obiettivi, si diventa persone discontinue e infantili, questo peccato ci costa
il rapporto con il reale, diventiamo persone obese esistenzialmente con un peso addosso che
doveva essere una soluzione ed invece diventa sempre più un problema.
I salutisti ad es sono degli idolatri perché è un rifiuto delle difficolta della propria vita è una
idolatria del benessere, una idolatria dello stato di piacevolezza e di appagamento. Tutto questo
sgretola la nostra capacita dell’amare. Se io sono schiavo del mio confort, se io sono una persona
che sopravvive solo se si appaga perché deve scapare della tensione, come entrerò ad es nella
paternità, nel perdere la vita? Eccetto se non faccio anche di questo uno sistema di appagamento
ossia il bambino è un capriccio. Dunque tutto può essere pervertito. La realtà è che il nutrimento è
necessario, ma nel distorcere tale funzione, farlo diventare centro dell’essere, distrugge la vita.
Cosa ci sta rubando?
Ci rende incapaci di relazionarci, siamo centrati sul nostro stato fisico di appagamento. Il
digiuno qui non è una opera ascetica, qui il digiuno è necessario per amare, non si può entrare in
una relazione senza entrare in combattimento con la freccia verso noi stessi, il usare tutto in
funzione del proprio io, dobbiamo negare, anzi governare questo meccanismo auto distruttivo
perché al appagamento non c’è mai fondo, perché anche se ti lasci cadere nel piacere, mangiare,
tv ec… dopo di risveli e la vita ti dice di nuovo: e ora?
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Cosa possiamo fare?
Il digiuno. Il problema è che noi lo vediamo come qualcosa di negativo invece è qualcosa di
positivo. Quando Gesù risponde: non di solo pane vive l’uomo, che vuol dire? Gesù non oppone
al problema dell’appetito il non mangiare per non mangiare. Il digiuno nella vita spirituale non è
ascesi desertica, vuota di cibo, ma è ricerca di altro cibo: non di solo pane vive l’uomo cioè:
quello che mi stai proponendo è poco, è solo pane, io cerco qualcosa di più grande. Quando Gesù
evangelizza la samaritana dice agli apostoli: io devo mangiare un pane che voi non conoscete….
Ossia noi non possiamo vincere il combattimento della gola con la semplice negazione, ma
abbiamo bisogno della affermazione - cioè il goloso perde la realtà mentre il digiunatore si tufa
nella realtà ed entra in qualcosa di più bello di ciò che la tentazione li sta offrendo; in un certo
senso si tratta di mangiare meglio, di più. Dunque Dio ci dice di mangiare di meglio: non di solo
pane vive l’uomo. Quando uno fa una dieta soffre, ma dopo un po’ di tempo si da nel mio corpo
un benessere perché il cervello funziona meglio, mi muovo meglio ecc; e qui trovo un piacere
ossia provo il piacere di prendermi cura di me stesso ossia non è più intontimento ma è cura.
Dunque Gesù non rifiuta il mangiare, ma dice che vuole mangiare altro, ossia si tratta di aprire lo
spazio al rapporto con Dio, questo è possibile quando il mio corpo è lucido, solo adesso Dio può
alimentare il mio cuore, percepisco le cose con profondità, la scrittura, la liturgia, la preghiera…
tutto questo ci fa vedere le situazioni con una altra luce. Dunque il goloso è quello che non arriva
alla metta dell’amore mentre colui che combatte contro il demone dell’ingordigia è colui che arriva
fuori di sé stesso al altro.
Dove possiamo vedere in maniere nitida questo combattimento della gola?
Quando Cristo viene posto sulla croce, quando satana si scatena contro il corpo di Gesù in una
maniera feroce. Quando gli si offre l’accetto mescolato col fiele che serviva per dare sollievo, per
instupidirlo e Gesù la nega, ossia, egli aveva sette per tutto il sangue che aveva perso, ma si astiene,
questo è il digiuno, se no, quella sarebbe stata una bevanda appagante (sono le droghe), uno si può
scandalizzare, ma povero con tuto che ha sofferto. Ma se lui prendeva questa bevanda avrebbe
perso coscienza e non avrebbe più detto: perdonali perché non sano quello che fanno; in verità io
ti dico oggi sarai con me in paradiso; donna ecco tuo figlio; padre nelle tue mani affido il mio
spirito; tutto è compiuto…. Che testamento avremo perso per una droga.
Il dolore è un luogo che molto spesso rappresenta l’apice dell’amore. Non potremo mai compiere
la nostra opera più grande da rimbecilliti!!! Questo combattimento contro la schiavitù degli
appetiti è il combattimento della nostra nobiltà, grandezza, della nostra capacità di amare.
2) LA LUSSURIA
La lussuria è la deriva della gola. Alla lussuria li diamo tanto importanza ma cioè che la
scatena è la gola, ossia dall’appagamento del bisogno del piacere (sessuale, affettivo).
Per combattere questo spirito si usa le stesse tecniche della gola. Ossia, se tu cerchi di
affrontare una frustrazione dandoti un piacere, la frustrazione in realtà non diminuisce ma
aumenta, quindi devi darti un piacere più grande e quindi c’è un meccanismo di morte auto
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distruttivo. È chiaro che noi abbiamo bisogno di regole, di limiti, di disciplina. Se un bambino
mangiasse quanto desidera si ammazzerebbe.
Qui dobbiamo evocare la virtù cardinale della temperanza, per cui si sa tagliare, temperare,
moderare le pulsioni. Nella temperanza rientra il contrario della lussuria che è la castità che
deriva dal castigare ovvero saper punire un impulso disordinato, ovvero saper governare, è
la disciplina, se il cuore è casto uno è padrone di sé stesso, sa governare dunque sa chiudere o
aprire le porte delle passioni secondo il suo vero bene. Se uno asseconda tutti i desideri sessuali
porta ad una impossibilita di avere relazioni continuative, e mancherebbe di rispetto per le altre
persone, noi simo chiamati a vivere bene perciò occorre dei limiti al desiderio.
Chi non si pone limiti, quando un padre non si pone limiti o una madre non si pone un limite
del suo territorio e invade ogni zona di esistenza della vita dei figli, il figlio cresce con una
grande confusione e non trova la sua identità, non sa cosa è buono per sé, cosa li piaccia o no.
Dunque se il punto di partenza della vita spirituale è il digiuno, il secondo punto è la castità. Essere
padrone della sessualità non significa negarla. Come prete uno non nega la identità sessuale ma
si afferma una nobiltà dell’identità sessuale, noi non siamo stati chiamati a negare la sessualità ma
affermarla nel modo dell’amore, essere padre e sposo secondo quella forma che è profondamente
appagante. Cosi come uno si spossa deve equilibrare la sua sessualità e non andare con altre donne,
cosi da prete si tratta di canalizzare questa energia della sessualità all’atto della seduzione che
diventa capacità di parlare al cuore. Quanti uomini sanno parlare con una donna, comprendendola,
ascoltandola? Oggi si parla di sedure, conquistare, dominare. Una persona non è appagata
perché ha tanti rapporti sessuali ma e appagata perché ama, è appagata per la felicita che ha
procurato nelle persone, una felicita duratura e non superficiale, infantile. L’appagamento è saper
amare tanti cuori e non andare a letto con tante donne.
Cosa abbiamo nella gola e nella lussuria? il pervertimento delle cose: che le pietre diventino pani.
Quindi si tratta di pervertire il corpo e le relazioni. Cosi come le pietre devono diventare panne, il
corpo dell’altra persona diventa strumento di piacere. Cosi la sessualità non è per amare l’altro ma
amare se stessi. La sessualità invece è l’incontro del diverso, l’incontro della vita.
Contro un pensiero che pretende di coltivare la terra spirituale trascurando pero la fatica
del digiuno ossia l’idea di entrare nel combattimento spirituale senza usare la arma principale del
digiuno, Evagrio cita Genesi 49 – ossia se vedi una cosa bella, tu sai che per quella devi lavorare.
Quindi non si può crescere nella vita spirituale senza digiuno. Ogni artista prima di essere tale deve
essere artigiano. Ogni vero artista conosce la materia che deve manipolare. Per fare il bello e per
fare il bene bisogna faticare. E cosi non si arriva ai risultati del dominio di se, senza passare a
piegare le spalle al lavoro servile della piccola noiosa obbedienza.
Ci sono due canali fondamentali dell’inganno della lussuria cioè della distruzione della
lussuria. Siamo sotto l’egida della gola che è un suicidio larvato, un modo di non essere. Questo
si applica anche alla lussuria.
Il motore di questa auto distruttività ha due componenti principali:
• la curiosità
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• e la fantasia.
Soltanto l’Amore autentico da felicità al cuore umano.
Ci sono due tipi di demoni: quelli che ci portano fuori dalla strada buona, e il secondo vuole
distruggere questa strada in se stessa.
Con la lussuria abbiamo a che fare con il primo tipo.
Lussuria viene da “lussa” ossia deviare da qualcosa, scivolare, andare sul bordo, non andare dentro.
Una foresta lussureggiante ha più di quello che serve, il lusso è quando si ha più di quello che
serve, è un scivolamento verso un esagerazione che è superficialità. Dunque la lussuria è
superficialità. La lussuria desidera una persona solamente per la sua epidermide (corpo). Lo
sguardo del lussurioso offende, è uno sguardo predatore. Non si riconosce più nel altro una persona
con il suo mondo interiore.
Come si alimentano questi pensieri distruttivi e umilianti?
Con la fantasia e la curiosità. La fantasia è già la seconda fasi ossia è l’attardassi su una
immagine, ossia uno sottolinea l’immagine che ha lasciato entrare nel proprio cuore e comincia a
elaborarla, cosi si stacca dalla realtà ed entra in un mondo che prescinde dalla relazione.
La curiosità - è un guardare l’altro come un oggetto che lo si deve possedere, avere, ottenere.
Mentre l’alternativa è la relazione con la persona, è il dialogo, la conoscenza. È considerare l’altro
nel suo intero. Il maschio tende a catturare l’oggetto mentre la femmina tende a catturare
l’attenzione.
Quindi combattiamo la curiosità con la conoscenza, e non indugiare sui pensieri curiosi con la
fantasia passando cosi dalla fantasia alla realtà. Quindi la lussuria la si combatte con il reale, con
il dialogo, con il conoscersi, con entrare nella realtà.
Per combattere la lussuria si deve seppellire l’egiziano nella sabbia, che è terra secca, essa
rappresenta la sobrietà. Ci si libera delle occasioni nella sabbia che non è fertile per il peccato.
L’era cresce introno all’acqua, chi non si tiene lontano dalle sorgenti della lussuria, cadrà in essa.
3) L’AVARIZIA
Quale è la caratteristica dell’avaro?
L’avarizia fondamentalmente rende cechi nel discernimento, ossia l’avaro non sa scegliere,
dunque non riesce a distinguere la strada buona per lui perché è incapace di rinunciare, ossia
l’avaro ha il problema del possesso, per qui la perdita per lui è sempre una tragedia. Un uomo
guidato dallo Spirito Santo, quando deve prendere una decisione, sa che dovrà compiere una
rinuncia. L’avaro invece ha il problema di voler ottenere un guadagno in ogni atto della propria
vita - molte persone non riescono a capire la volontà di Dio perché non sono predisposte a perdere
qualcosa. Qualunque cosa ci dirà Dio infatti, tutto il resto sarà perso.
Noi pensiamo che l’avarizia sia legata solo ai ricchi e ai beni, invece riguardo tuti e tutti gli
aspetti della vita.
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Con la avarizia siamo nella parte concupiscente dell’anima. L’avarizia è la peggiore dei due
vizzi visti sopra. Infatti la gola e la lussuria hanno a che fare con bisogni oggettivi che presi in se,
sono buoni in quanto naturali, il problema è il loro eccesso.
Dall’avarizia derivano molti mali anzi, nella Scrittura ci dice che da essa partono tutti i mali.
Il giovane ricco, non riesce a scegliere, vivrà una fede triste, se ne andrà triste, è inserito in una
logica mediocre. In greco vita si dice bios, interessante che anche i beni materiali vengono chiamati
bios, ossia la scelta è tra una vita falsa e una vera. I ladri dicono o la borsa o la vita. Noi pensiamo
che senza soldi non si vive. Questa mentalità proviene da una menzogna diabolica che in fondo
ci dice che senza Dio si può vivere ma senza soldi no. Da questa menzogna derivano tutte le
scelte sbagliate nella vita e tutte le idolatrie. Noi pensiamo che senza pregare si vive
tranquillissimamente ma senza soldi andiamo in ansia. Purtroppo ci viene l’ansia solo per i
beni materiali che sono una bios falsa.
Dunque la caratteristica tipica dell’avaro è l’ansia ossia la preoccupazione. Infatti dicevamo
che la scelta richiede perdita, quindi si non si disobbedisce ai beni non si può avere
discernimento. L’avaro è dunque un ansioso, un ansioso è il vero atteo perché non crede nella
provvidenza. Caratteristica dell’avaro è la fatica perché gli manca sempre qualche cosa, deve
sempre prendere qualcosa, si sente sempre minacciato. Non può mai fare una cosa sola: mentre
prega risponde al telefono, ha sempre la testa impicciata da qualcosa altro e va costantemente in
multi tasking, ossia quando il figlio li parla lui controlla il telefonino, o accende il Pc, ha l’ansia
della perdita. L’avarizia è proprio la posizione più contraria alla fede. Infatti nel vangelo non
dice non potete servire Dio e l’orgoglio ma Dio e il denaro. Il denaro è posto come l’anti Dio. Il
problema dell’avaro è che non conosce il distacco, dunque non ha discernimento. Per avere
discernimento bisogna essere distaccato dalle cose, libero dalle cose. Interessante come Abramo
deve uscire dalla sua terra, dalla parentela, e dagli affetti. Ossia Abramo per essere il padre della
fede deve vivere dei distacchi, fino all’ultimo distacco quello del figlio perché dovrà generarlo
nella fede. Nessuno si può illudere, nessuno potrà amare veramente se ha qualcosa da
difendere, perché entrerà in asia per quel qualcosa. La fede infatti richiede distacco. Con
l’avarizia stiamo toccando il tema dell’autentica fede. Perché la fede è appoggiarsi in Dio
vincendo sul possesso e sulle sicurezze. Mammona viene dalla parola aman che vuol dire credere.
Cioè uno crede in mammona – è una fede. Infatti per il denaro si esercita una fede eroica, si
rinuncia alla pace, ad avere figli, a sposarsi, ci si prostituisce, si va in lussuria, si sfruttano gli altri,
si è disonesti, si è falsi. L’avaro per il suo dio fa atti eroici. Il dio sicurezza, il dio possesso.
Il comunismo e il capitalismo: entrambe avevano la stessa antropologia: l’uomo è felice in base al
possesso. Le famiglie vengo distrutte dall’avarizia, il terrore della insicurezza economica. I mali
della terra vengono alimentate da questa sette di guadagno. L’avarizia ci divide dall’amore. Si
dimentica che l’amore è una verità più grande, dove con l’avarizia la bellezza diventa guadagno,
commercio.
Come lavoro in noi il demone dell’avarizia?
L’avarizia è impastata di ansia, così il demone dell’avarizia ci presenta immagini di problemi,
di crisi, di carestie, ci fa immaginare dipendenza dai altri e in base a ciò argomenta e giustifica
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l’accumulo, motivandolo come un giusto rimedio contro una possibile povertà contro un
possibile disaggio. Insieme alla gola e alla lussuria, l’avarizia è nell’ambito di quei demoni che
spingono fuori della via del bene, distraggono dal bene. Pero a differenza della lussuria, l’avarizia
è una distrazione argomentata razionalmente, è logica. L’avaro è come un tossico dipendente
che ha sempre motivi per drogarsi e che ti sa spiegare perché lo fa. L’avaro è un filosofo, un fine
ragionatore. I motivi sono tutti contro la sobrietà cioè il senso dell’essenziale. Il demone avaro
attacca l’idea che ci possiamo accontentare oppure accetta la sobrietà ma diventa implacabile:
se tochi un bene ad un avaro sia esso materiale, o che sia il suo tempo, il suo spazio, ti aggredisce
senza pietà. L’avaro alla fine in realtà è un pusillanime cioè spezza mille volte l’impulso a donare,
domina l’impulso amorevole. L’avaro si ritiene dotato del senso della realtà, ma vagli a dire che
dovrà morire, che non porterà nulla con se, uhh come agirà male. La morte per l’avaro viene
considerata solo in relazione al fatto che si deve sistemare, che deve accumulare, salvaguardarsi.
Tutto questo è primordiale nell’uomo, il combattimento contro l’avarizia è molto serio, molto
grave perché ha a che fare con una necessità che risponde alle prime paure del bambino: la paura
dell’abbandono, dell’incertezza. La prima parola che dice il bambino non è mamma, ma mio.
L’avarizia è la falsa risposta alla ansia della vita che inizia dal primo pianto infantile. Finche
l’avarizia non viene bastonata non può essere dominata. I peccati muoiono tutti di morte violenta.
L’avarizia richiede bastonate scientifiche date al momento giusto e senza esitazione. Bisogna
colpire con la donazione con l’elemosina, perché fino quando l’avarizia non viene frustrata
non può essere governata perché l’avaro ha una logica espansiva che permiana tutti gli spazzi.
Inno di Evagrio: l’avarizia è la radice di tutti i mali e nutre come maligni ramoscelli le rimanenti
passioni e non permette che inaridiscono quelle fiorita da essa. Chi vuole recidere le passioni ne
estirpi la radice; se infatti poti per bene i rami e l’avarizia permane, non ti gioverà a nulla, perché
essi, nonostante siano stati recisi, subito rifioriscono.
Si non si ingaggia un combattimento nitido, l’avarizia riscappa fuori sempre e i suoi germogli
vengono segnalati dall’ansia e della paura.
Evagrio descrive così l’avarizia:
• è il risparmio degli idoli – l’avaro crede di guadagnare ma in realtà a guadagnare è solo
l’idolo.
• la profezia del volgo: quei consigli da quattro soldi che riceviamo da altri sono
fondamentalmente avarizia, sono consigli basati sulla ricerca del miglior vantaggio.
• un voto di ristrettezza: L’avaro è uno che siccome è in asia e deve guadagnare, vive in
ristrettezza malgrado stia guadagnando, c’è gente che vive in povertà e ha il materasso
pieno di denaro, mangia male ed è peno di soldi.
• un calcolo di accumulazione: cioè la mente dell’avaro sta sempre lavorando per
risparmiare. Non si gode la vita, ha un retro pensiero che è un pensiero di calcolo.
• ricchezza da prigionieri: l’avaro è catturato dai suoi sistemi di rassicurazione, ne diventa
schiavo e non sa cose è la vita, non sa godere dei beni, è un prigioniero mentre cercava la
libertà.
• una specie di ingiustizia: l’avaro ansioso per il possesso delle cose a un dato momento non
si rende conto di cadere nell’ingiustizia.
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• opulenza di malanni: perché per queste cose ci si ammala, ci si distrugge, non si è mai in
un vero benessere.
• predizione di lunga vita: l’avarizia è un inganno rispetto alla durata della propria vita ossia
la nostra vita è breve, fare conti con il fatto che le cose un giorno le si deve lasciare, questo
l’avaro non lo può ascoltare.
• allettamento al fare: cioè non ci si riposa mai, sempre bisogna fare qualcosa.
• consigliere di veglie: cioè è un demone che ti fa stare svegli, pensare ai problemi che uno
deve risolvere.
• vuotezza di stomaco: l’avaro non è mai sodisfatto,
• frugalità di cibi: tutto deve essere risparmio, l’avaro mangia male.
• una follia insaziabile: ti porta fuori dal reale ed è insaziabile.
• preoccupata malvagità: essere talmente preoccupati da diventare malvagi, fino a vedere
nemici da per tutto, vedere una perdita da per tutto fino a diventare aggressivi.
Andiamo al senso positivo: ossia la povertà cristiana. Essa è una bellezza che possiamo
perseguire, è sradicamento dell’avarizia. Quando uno accetta di perdere le cose, fa tutto con calma.
Quando uno accetta la propria povertà ci si accorge di quante cose già possiede, si sente di
possedere il mondo intero. Un atto di povertà e di rinuncia stronca alle radici tanti pensieri neri.
Gen 14,23 contro coloro che sono alla caccia di grandi vincite (loto) cioè Dio sa che quello che ti
serve ce l’hai già.
Il demonio ti mostra che sarai povero e nessuno ti aiuterà in quella situazione allora Evagrio citta
Genesi 28, 20 – ossia lasciamo fare a Dio, i pensieri disperati cozzano contra una realtà, ma che
ne so io del mio futuro di come Dio disporrà le cose. Dio sa ciò di cui abbiamo bisogno.
Per uno che fa le cose solo per sé citta Mt 22 – accumulare per se stessi e basta e non per la
fraternità, significa perdere anche se stessi, se io faccio le cose per amore la mia vita ha senso. A
che serve guadagnare soldi e non avere amore nella vita.
Il problema è sempre dimenticare la paternità di Dio e dimenticare l’amore. L’avarizia ci separa
da Dio, dall’Amore. Il rapporto con Dio passa per l’amore per i fratelli. La povertà è la protezione
della nostra libertà è la protezione del nostro rapporto con Dio, è la protezione del nostro amore.
4) L’IRA
Evagrio nel trattare i pensieri malvagi, in alcuni casi dopo l’avarizia pone la tristezza, in altri casi
invece l’ira.
La tristezza è l’ottavo pensiero malvagio rispetto ai nostri sette vizi capitali. Cercheremo di capire
se viene prima l’ira o la tristezza, e perché questo ordine qualche volta si inverte.
Che cose è l’ira?
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Evagrio ne dedica più spazio perché le sue conseguenze sono terribili (ricordiamo il caso di Mose,
che fu definito l’uomo più mansueto della terra, proprio lui perde la terra promessa a causa di un
atto di ira, non considerando la misericordia di Dio).
L’ira per sua natura fa perdere il Paradiso. A causa della collera si perdono le cose più belle.
Puoi avere i doni spirituali più straordinari con uno scatto di ira puoi perdere tutto.
Se la gola, la lussuria e la avarizia sono dei demoni che ti portano fuori dalla giusta via, con il
demone della ira e altri, sono quelli che tengono dentro la via ma la pervertono dall’interno, ma
l’ira ha una peculiarità ancora maggiore perché fa parte degli ambi tipi dei demoni. L’ira è l’unico
che fa parte dagli ambi tipi di demoni ossia fa perdere la via del bene ma anche distorce la via
dall’interno. Per la collera uno perde le staffe, non si ricorda quello che deve fare, ossia esce dalla
via del bene. Ma l’ira frequentemente agisce anche dentro la via del bene, si serve ad esempio della
giustizia per aumentare la rabbia. Ossia uno entra in colera in nome di un argomento a favore della
giustizia o del bene, giustifica atti gravissimi, orribili. Se l’ira viene giustificata da un qualche
motivo non se ne esce più. L’ira dice San Paolo non compie la volontà di Dio. E la giustizia è
uno dei motivi principali per qui uno si dona al colera.
Da ricordare che esiste anche una ira buona, non c’è niente da fare, per uscire da un vizio bisogna
avere un po’ di ira/rabbia, ma questa ira si chiama zelo – esso è la ira contro il peccato mentre
l’ira è una reazione incontrollata. Occorre attenzione pero perché anche lo zelo può sfociare in
ira se si dimentica che le persone sono più importante delle idee.
Come si scatena l’ira?
La lussuria ad esempio è un demone improvviso, mentre l’avarizia è molto razionale, lenta.
Anche l’ira è un demone improvviso come la lussuria, colpisce in un attimo ma la sua
peculiarità è che ha un bacino d’incubazione. L’ira è incubata dalla tristezza, è per questo che
Evagrio pone la tristezza prima dell’ira. Queste due cose si alimentano reciprocamente.
La collera si prepara alla battaglia, tanto zucchero nel sangue per avere più energie a disposizione
perciò è altamente non raccomandata ai diabetici. La collera è quindi affannare il respiro. Con l’ira
si imbestialisce è una passione velocissima e genera violenza.
I vizi dell’anima irascibile ricordiamo sono l’ira, tristezza e accidia. Essi hanno a che vedere
con gli stati d’animo, e chi è schiavo dei propri stati d’animo è infantile. L’anima irascibile
reagisce agli stimoli emotivi, cioè senza motivi.
L’atto dell’ira è un’assolutizzazione di una percezione. Vedi un fatto è lo assolutizzi ma non
vedi tutto, non ricordi tutto, non sai mai tutto, dunque le percezioni vengono sovra dimensionate.
Sotto l’ira c’è chi aggredisce, offende, picchia. La peggiore è l’ira froda quella che si incastra
nell’anima che diventa rancore, quella ira che non scatta ma che è un calcolo nascosto di vendetta.
Allora questo è sempre derivato dalla assolutizzazione di un dato, l’iroso non ha mai tutti i dati
alla disposizione, crede di aver capito tutto, di fatti poi dice: non mi sono reso conto, non sapevo,
non ho visto ecc… l’ira è tendenzialmente pretestuosa, l’ira tende a nascere da una spinta
occasionale ma scatta cosi veloce perché ha un bacino ossia sotto è già caricata, non è che uno
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parte con l’ira, ma comincia con una cosa piccola che poi viene alimentata fino ad esplodere è
come una pentola a abolizione, più aumentano i fatti contro qualcuno, prima o poi scatta.
Da dove viene l’ira?
Viene dalla frustrazione di un bene non raggiunto o da un piacere non goduto, è radicato in
una frustrazione. Questa frustrazione genera tristezza, la tristezza si incuba, si coltiva
interiormente e poi esploderà.
È necessario perciò focalizzare le nostre riserve di ira per impedire che esse esplodano.
Dobbiamo svuotare il serbatoio dell’ira. (Efesini 4- 26-27) – non dare occasione ossia spazio al
diavolo dice Paolo. Se l’ira è preparata dalla tristezza, in realtà è preparata dall’avidità voler
possedere qualcosa, fare qualcosa, voler qualcosa. E il non poterlo fare genera tristezza e quindi
arriva l’ira. Questi sono i meccanismi che preparano l’ira è un nascosto senso di ingiustizia, senso
di mancanza, questo brontolio. È quello che succede a Caino, lo uccide perché ha coltivato la
tristezza, ha coltivato la frustrazione di un atto. Invece di esaminare la sua condotta, che non offriva
le primizie ma frutti del suolo. Caino coltiva questo vittimismo che lo porta a diventare iroso fino
alla uccisione del proprio fratello. Finche c’è questo spazio di infelicità in noi, finche brontoliamo,
stiamo per diventare degli assassini anche se non uccideremo fisicamente, comunque attaccheremo
la vita di qualcuno.
Dobbiamo stare molto attenti alle cose che non accettiamo, soprattutto ai nostri limiti. Se non
diciamo un bel si a Dio, un bel atto di affidamento, anche stare al suo cospetto con la nostra
tristezza magari per non aver raggiunto alcuni obiettivi, per aver visto che la vita ci ha detto dei
no, dobbiamo stare davanti a lui, piangere davanti a lui se è necessario, ma non dobbiamo
sbrogliarsela da soli con quel brontolio, quella lamentela che non si riesce nemmeno
razionalizzare, nella collera si canalizza questo residuo di infelicità. Dobbiamo riflettere di che
cosa è fatto il nostro spazio di insoddisfazione, ciò che coltiviamo come tristezza certe volte fin
dai bambini. Bisogna riconciliarsi con la propria vita, accettare i no della vita altrimenti quella
infelicità pretestuosamente cercherà quando esplodere.
Il dono dello S. Santo che si oppone all’ira è il dono della pietà. È il ricordo della dolcezza
con cui Dio ci ha trattato. È la gratitudine per qui uno ricevendo tanti doni, dal dono ci si apre
al perdono. Avere magnanimità significa aver capito che perdere una casa è meno importante che
perdere un fratello. Non perdere le cose che contano per una ingiustizia.
L’ira è collegata a vittimismo, giustizialismo e sadismo. L’iroso parte dal vittimismo, vede la
giustizia come un assoluto e diventa feroce. Per combattere contro l’ira si devono rifiutare i
pensieri vittimisti, ricordare i nostri peccati che non siamo meglio di nessuno. Si tratta di
rinunciare al giustizialismo ricordare che non siamo noi a dover fare giustizia su questa
terra, la si deve lasciare a Dio. Dobbiamo perciò fuggire con orrore il sadismo (salmo 130 – se
consideri Signore le colpe chi si potrà salvare).
La maturità di un’anima cristiana la si riconosce dalla sua mansuetudine mentre
l’immaturità di un’anima cristiana dalla sua implacabilità e dalla sua intolleranza.
Noi sappiamo che la tristezza genera l’ira e l’ira genera la tristezza.
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Col ira, noi ci diamo un diritto, ed è quello di fare del male, di distruggere qualcosa. Preso
dall’ira l’anima guarda solo quello che sta perdendo e non guarda quello che sta distruggendo.
Il contrario dell’ira è la mitezza. Il mite ossia l’arrendevole, il quale non si arrende perché è un
remissivo ossia un codardo, il mite è estranio alla combattività perché mira ad una terra più
grande. Ossia anziché guardare ciò che gli sembra di avere in pericolo per la giustizia altrui,
difende un bene maggiore ossia una eredità più grande (la comunione) è la terra che da Dio,
accetta di perdere quello che li toglie l’uomo per tenersi stretto ciò che gli da Dio.
Il dono dello Spirito Santo che si oppone all’ira è il dono della pietà ossia si combatte l’ira con la
gratitudine, ossia il ricordo della dolcezza di ciò che Dio ha fatto per noi. Cosi si difende i doni
ricevuti e dal dono ricevuto si passa al perdono. E questo è un atteggiamento magnanimo, per qui
io non guardo una solo piccola battaglia ma guardo la guerra interra. Ricorda che Dio è il mio
protettore e la cosa più importante è avere Dio della propria parte, il quale fa giustizia ai poveri.
Ricordiamo che qui si tratta di combattere tre impulsi ossia il vittimismo, il giustizialismo e il
sadismo ossia: uno parte con il sentirsi vittima, esige giustizia e poi diventa sadico perché si sente
in diritto di punire l’altro che gli ha fatto del male. Questo gusto di fare il male al altro diventa
qualcosa di sanguinoso, perdendo il controllo delle cose.
Il magnanimo non seleziona i buoni dai cattivi, meritevoli da non meritevoli è gentile verso tutti,
benedice quelli che li maledice.
Noi invece dobbiamo essere certi della fedeltà di Dio. Rimanere in un rapporto profondo con Dio.
5) LA TRISTEZZA
Il demone della tristezza: è una passione terribile. In ciascuno dei vizi si snatura e si
perverte qualcosa di buono. La tristezza è differente da tutti gli altri vizi perché non è collegata
al piacere ossia il suo piacere è il dispiacere ossia gode del dispiacere. La tristezza spoglia
l’anima per la ricerca dell’autocommiserazione che produce il godimento del dispiacere. Il vizio
gemello della tristezza è l’invidia. Questo demone è molto diffuso. La nostra epoca esalta la
tristezza, apprezza gli atteggiamenti malinconici, è uno scivolamento verso l’infelicità.
Evagrio la mette in relazione con la collera, la sua caratteristica infatti è che genera l’ira ed è
generata dall’ira. Dalla frustrazione del desiderio di vendetta nasce la tristezza e a sua volta
la tristezza genera un nuovo stadio di suscettibilità che porta al colera. Perciò Evagrio la
chiama la bocca del leone che facilmente ingoia.
Essa divora il cuore che lo ha coltivata fino a renderlo freddo, insensibile ai problemi degli altri,
essere chiusi in un vittimismo indifferente a tutto. Questo è una forma di freddezza. Tale freddezza
è talmente disgustosa che Evagrio neanche la descrive perché ne ha un disprezzo molto grande,
dice infatti che questa è la peggiore delle passioni perché è quella che spegne completamente
l’amore. Il dramma della nostra epoca infatti è questa mancanza di voglia di vivere. E allora si
diventa incapaci di combattere, incapace di definirsi, e si diventa sazi di tutto e insoddisfatti
di tutto, nella nostra cultura la tristezza è lodata, dove i suicidi vengono come una sorte di eroismo.
Invece di avere compassione per questa gente, li si vede come eroi che scapano. La tristezza è il
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rifiuto della vita, il non trovare più interessante se stessi, il prossimo, la vita stessa. Quante canzoni,
film tristi, ma che padre potrà mai essere un vittimista? che compagno di vita può essere uno che
non ha voglia di vivere? Dice San Paolo: rallegratevi nel Signore sempre! È un imperativo, ci
ordina la gioia, come si può fare questo? Come si può comandare l’amore? io vi dico amatevi gli
uni gli altri dice Gesù… l’amore come la gioia sono opzioni profonde dell’animo, si scelgono,
CI SI APRE ALLA GIOIA ALL’AMORE, non siamo condannati alla tristezza, ci possiamo
liberare.
La tristezza ci opprime, è una commiserazione che forse abbiamo imparato da bambini: piangere,
e da adulti si diventa amari, e ci si innamora di essere vittima.
Dobbiamo essere invece antipatici contra la tristezza, odiarla. Il primo triste della scrittura è
Caino perché è andato male un sacrificio, Dio non l’ha accettato, anziché mettere in questione il
suo sacrificio, e avrebbe trovato di che criticarsi, lui si sente una vittima, il suo volto è abbattuto,
da questa tristezza… non si rende conto dei suoi errori e centralizza la frustrazione di una cosa
andata male e cosi viene fuori un assassino. Si genera cosi l’ira e l’ira genera belve. Hitler ha
convinto un popolo: filosofi, professori ecc a sentirsi vittima di una minoranza letta come
demoniaca, arrivando cosi ad uccidere un popolo interro per vittimismo.
Cerchiamo DI RIDERE DELLA NOSTRA TRISTEZZA.
Come si fa a staccarsi dalla tristezza, ad non cadere nei pensieri neri?
Bisogna smettere di vedergli come innocui, non lo sono; bisogna ricordare che la tristezza non ci
mola finche non ci ha distrutti. La tristezza svuota sempre di più perché essendo frutto della
frustrazione produce maggiore frustrazione. Essa distrugge tutto perché non è logica, è
emotiva ed allo stesso tempo auto motivante per qui non la si domina perché non è basata su
un piacere, ossia su qualcosa di buono. La tristezza è collegata alla perdita di qualcosa alla
frustrazione di un possesso, al non raggiungimento di un obbiettivo, cosi si entra in una nebulosa
interpretazione della realtà dove la nostalgia, il ricordo di ciò che si ha perso, fa iniziare a far
vedere cose che non esistono, conseguenze che non si sono date e la vita cosi diventa insipida.
La radice dunque della tristezza è la frustrazione di un desiderio o di un possesso.
Il temperante ossia colui che sa mettere un limite sa che certe rinunce sono necessarie. Il casto
non è triste perché ha la pace nel cuore, la libertà, l’onesta dei suoi sentimenti. L’umile non è
triste perché sa che è nella verità.
Il mite non è triste perché non gli fanno vendetta perché sa che avrà qualcosa di più importante.
Il generoso non è triste perché sa che non è una perdita ciò che dono, ma è appunto un donno.
Un'altra causa della tristezza è l’abbattimento davanti ai no alle contrarietà della vita- i no
invece sono da valorizzare, sono momenti per crescere per diventare adulti.
La tristezza poi è generata da un rapporto storto con il tempo ossia non vivere l’oggi, si
idealizza piangendo il passato o progettarsi nel futuro idealizzando le sue ipotesi in un altrove
utopico.
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Di fatto ciò che causa le sofferenze della vita non sono i fatti ma le ipotesi ossia i fatti sono
nelle mani della Providenza, le interpretazioni possono pero essere sospirati dal demonio o dallo
Spirito Santo. Satana gioca sollo ipotesi, sui rimpiatti e sulle proiezioni.
Se la tristezza viene da una frustrazione di un desiderio, se alla tristezza non ci si oppone ci si
finisce male, perché la tristezza è un demone lento, non è come l’ira. Si comincia con una faccia
un poco triste e piano piano si finisce nell’ira.
Noi dobbiamo imparare a ridicolizzare la tristezza a guardare Gesù ed ad essere ironici con noi
stessi, a chiedersi se veramente a questo passo potrò mai amare a qualcuno. L’amore al mondo,
alle cose, alle proprie ipotesi, alle proprie aspettative, è sempre una assolutizzazione di una
percezione, la perdita di tutto il contesto oggettivo – questa è una delle tecniche fondamentale del
demonio, vedere solo una parte. Invece il magnanimo guarda di più, ha l’animo grande: dice il
salmo 119: corro sula via dei tuoi comandi perché hai allargato il mio cuore.
Solo l’amore cambia la situazione del cuore di un uomo. Se ho subito una ingiustizia, l’amore me
lo fa trasformare in un momento di accoglienza della povertà del fratello. Solo l’amore libera il
nostro cuore dalla tristezza.
La tristezza secondo Dio, è quella quando uno vede che le cose della vita non ti danno la
vita ossia che uno si trova fuori dalla verità. Come successe con il giovane ricco, la sua tristezza
era la cartina attorno al sole del suo errore, del suo vizio, è un sintomo che si è fuori della verità.
E un poco come la vergona di Adamo ed Eva che era l’indicatore del male commesso. È sbagliato
pero a questo punto identificare sé stessi con quella vergona. Ossia preso atto che le cose sono
sbagliate, la soluzione è uscire da lì. Ossia quella cosa mi procura tristezza allora devo uscire.
Invece molte volte la tristezza diventa una trappola, un meccanismo che è stato messo lì per
segnalare la perdita ma invece diventa culto della perdita. Il senso di perdita è utile se pero porta
al timore di Dio e al senso dell’importanza delle cose.
La tristezza è uno stato d’animo. Perciò facciamo un errore immenso quando
assolutizziamo uno stato d’animo. Lo stato d’animo è molto meno nobile di un sentimento che
sono relazionali mentre lo stato d’animo è solo un culto della propria chimica interiore.
Assolutizzarlo ci porta a perdere la ragione, uscire di seno, non entriamo nella anima razionale
perciò bisogna ridere DI SÉ STESSI. BISONGA distaccarsi da ciò a qui teniamo. Alla morte
non ci richiederà quanti piaceri abbiamo avuti, ci siamo dati, quanti beni abbiamo avuto, fama ecc,
ma ci chiederemo se abbiamo amato qualcuno, se c’è qualcuno felice a causa nostra.
Si può scoprire che il dolore è un luogo di amore e che un giorno potremo vantarci davanti al
trono di Dio di essere stati dalla parte sua nel giorno in qui abbiamo sofferto e di aver sfruttato il
dolore per crescere, amare, perdonare. L’amore è il nostro senso del vivere, e la tristezza lo
spegne totalmente.
La tristezza per Evagrio è un inquilino che dobbiamo cacciare. È nostalgia della famiglia, tante
volte di una famiglia che non hai mai avuta ossia una che l’hai ipotizzata, cosi non sei sintonizzato
nella realtà. È anche compagna nella angoscia, ossia non ci sono soluzioni. Essa ti porta alla
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inattività ossia non fare niente, non serve a niente. Un ricordo delle offese, ossia pensare a cose
passate cosi solo per essere triste, senza che uno si domandi ma perché penso a questo?
La gioia invece si sceglie, è un rendimento di grazie nelle avversità: si diventa adulti quando si
sceglie di essere allegri di fronti a qulcuno che vive amaramente come ha fatto T. Leseux. Da soli
non troviamo questo, la gioia è un frutto della intimità con Dio, lui ci da la scelta. La gioia è la
radice della rinuncia: ossia che mi importa a me perdere qualcosa qui sulla terra se io sto
andando verso cose più grandi. La vostra amabilità sia nota a tutti dice S. Pablo.
Il primo punto nel combattere la tristezza è riaccordarci che non siamo mai soli, destati Debora e
intona un canto, ossia non lasciarsi cadere nei sogni.
Quando abbiamo paura di chi combatte contro di noi o dei demoni che ci attaccano dobbiamo
ricordare il Salmo 2: se ne ride chi abita nei cieli, il Signore si fa beffe di loro”: il triste non sa
ridere perché assolutizza un dolore -- -noi dobbiamo ridere della risata di Dio ossia pensare: che
pensa Dio di questo, cosa è davanti a Dio questa tentazione? Gesù dice: avrete tribolazione ma
dice abbiate fiducia io ho vinto il mondo ossia non dice sarete forti, no, io vinco con voi.
Quando lo spirito malvagio attacca l’anima evocando i peccati passati bisogna ricordare Michea:
che dice: non gioire su di me mia nemica perché sono caduto, ancora mi realizzerò perché se siedo
nella tenebra il Signore mi illuminerà: Dio ci usa sempre tenerezza e ci rialza di qualsiasi cosa in
qui possiamo cadere se le chiediamo aiuto.
Contro i peccati della giovinezza: 2Cor: se uno è in Cristo è una creatura nuova le cose vecchie
sono passate, ecco ne sono nate di nuove … ossia essere in Cristo è il SEGRETO DEL
COMBATIMENTO CONTRA LA TRISTEZZA guardare le cose dalla sua prospettiva e
pensare che ogni perdita della nostra vita ci serve a crescere.
6) L’ACCIDIA
L’accidia è uno sgonfiamento dell’essere. È il demone più difficile da combattere, è un demone
devastante, il più perdurante, ma una volta vinto, lascia nell’anima una pace indicibile.
Il termine accidia viene dal greco “akedos” che significa “privo di cura” ossia l’accidioso è colui
che non ha cura delle cose, colui che scappa dalla fatica, è fondamentalmente indolente.
L’indolenza è una forma di paralisi, compagna della tristezza e del disordine. È una incapacità di
perseverare, è il no fare ciò che andrebbe fatto – ossia è quel tipo di demone che ci porta a
rimandare le cose importanti a restare bloccati nella futilità, a restare anche nelle cose noiose e
rimandare all’infinito le cose doverose e urgenti che bisognerebbe fare.
Il problema dell’accidia non è quindi il non fare qualcosa, oziare, ma è evitare qualcosa. È
dunque un non fare qualcosa. Dentro l’accidia c’è sempre una rimozione, per qui uno si sente
sposato al solo pensiero di fare certe cose che andrebbero fatte. Dunque è un odio per la sana
urgenza. La nostra società consumistica incoraggia l’atteggiamento del accidioso perché egli è un
consumatore fantastico, è un insoddisfatto che ha bisogno sempre di comprare qualcosa, mangiare
qualcosa ecc.. l’accidioso di fatti è sconfortato perché è indifferente a ciò che lo circonda ossia non
coglie la bellezza del reale crogiolandosi in questa mormorazione su tutto. L’accidia perciò è la
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depressione spirituale, è il nemico principale della preghiera, è il nemico principale di un certo
zelo, di una cura per le cose belle e importante per la propria vita.
Quali sono i sintomi dell’accidia?
Innanzitutto la paura esagerata degli ostacoli. Tutti gli ostacoli diventano dei mostri, ogni
problema la si assolutizza perciò tutto diventa drammatico. Inoltre è una avversione di tutto ciò
che consiste fatica, una ricerca costante della “scorciatoia” ossia si ha un atteggiamento dove
l’accidioso pensa che le cose si possono sempre evitare in qualche maniera.
L’altro sintomo è l’indolenza nell’osservare le regole. La negligenza nell’ordine e nelle cose
che sono stabiliti nei vari patti. Per qui l’accidioso vuole campare senza regole, senza limiti.
Altro sintomo è l’incapacità di resistere alle tentazioni. L’accidioso non oppone
nessuna resistenza. Cerca una spiritualità senza combattimento credendo che si esce dal peccato
cosi spontaneamente, ossia ti svegli al mattino e il vizio non c’è più. Mentre scegliere il bene
implica sempre un costo di qualche cosa.
Altro sintomo è l’antipatia verso le persone che fano le cose bene, verso le persone zelante.
Perciò mette bastone fra le ruote. Ossia l’accidioso vede l’altro come un atto di accusa verso la sua
vita mentre l’altro non fa altro che fare il suo dovere.
Un'altra manifestazione dell’accidia è la tendenza a perdere tempo, a perdere concertazione,
non perseverare nel fare cose, è un demone girovago, ti fa girare da una cosa all’altra senza
perseverare ossia non può fare le cose senza interromperle (cerca sempre una pausa per bere cafè,
sigaretta, ecc…)
Logicamente l’accidioso si da una liberta ai propri sensi, alla curiosità, al piacere di divertirsi,
di usare di tuto, di parlare su tutto. Si è in realtà molto superficiali.
Quali sono le radici dell’accidia?
L’accidia sicuramente deriva della tristezza, dall’invidia, dalla competizione, ma più
precisamente deriva dalla “filautia” ossia l’amore del proprio IO disordinato, una amore non
sano del proprio ego che si chiama appunto filautia. Questo ci porta ad esempio
all’assolutizzazione delle percezioni, dove non si mettono in discussione le proprie ricezioni
percettive e si crede alla prima impressione. Di fatto la filautia parte dalla auto esaltazione e
finisce nella noncuranza di sé stessi. Bisogna invece saper distinguere gli stati d’animo dai
sentimenti. I sentimenti anche se negativi sono un prodotto del nostro io. A differenza degli stati
d’animo che sono ondate inconsistenti del nostro io. Ma l’accidioso agli stati d’animo invece gli
dà una importanza totale perché da appunto una importanza esagerata a un falso se, a un ego che
non è quello vero ma è ego materiale, meccanico.
Nel meccanismo dell’accidioso sia nel caso dell’iperattivo che fa di tutto tranne ciò che
deve fare, o nel caso dell’ozioso che sposta tutto senza fare niente, tutto parte dalla rimozione di
una relazione, l’accidioso infatti è uno che è profondamente solo, perché ha rifiutato di confrontarsi
con la realtà. L’accidioso per la sua tendenza a sopravalutare i suoi statti d’animo, è uno che
non vuole essere relativizzato, quindi rifiuta profondamente la relazione con Dio. Dio è uno
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a qui egli chiede una cosa o meglio pretende o di qui si lamenta ma non uno invece con cui si
misura o con cui si fronteggia.
Per questo l’accidioso rimuove la relazione con Dio e con gli altri, per qui rimuove la preghiera e
l’amore. L’accidioso è dotato di poco senso pratico per le sue reali urgenze ed è di estrema
analisi degli atti altrui quando si tratta della critica, molto spesso si diventa un rimprovero
vivente perché si è concentrati sull’analisi della culpa altrui, perché il confine tra l’accidia e
il vittimismo è molto piccolo.
Logicamente l’accidioso è una compagnia sgradevole, è una persona insopportabile che evita
di entrare in vere relazioni, il pigro tra l’altro si pensa simpatico ma non lo è per niente. Stare
accanto ad una persona trasandata, distratta, sempre insoddisfatta, ingrata, indifferente, incurante,
smaniosa, vuol dire stare male.
Il pigro, l’accidioso pur di evitare di entrare nella verità farà di tutto, facendo anche
tranquillamente mille esperienze spirituale. Ci sono persone che li trovi in tutte le proposte
diocesane, in tutte le esperienze spirituali, fa tutti i pellegrinaggi, però non fa mai il salto nella
guarigione.
Quale è allora il nocciolo della vita dell’accidioso?
Dobbiamo ricordare che il triste è colui che ha un rapporto deformato con il tempo, cioè il triste
è quello che vagheggia un passato assurto a chimera e aspetta un futuro sognante, e comunque sia
il presente, lo disprezza. Oppure ricorda un passato triste e vede un futuro tinto di nero. Ha dunque
un rapporto malato con il tempo.
L’accidioso in cambio ha rapporto deformato con lo spazio, vorrebbe sempre essere altrove.
Lo spazio in qui sta, il posto dove la Providenza le mete, non lo accetta, e deve scappare.
L’accidioso sempre fugge, sia che si fugge nell’ozio o nella attività, l’accidioso non ha una meta,
ma ha qualche cosa da evitare.
Questo è il quadro in qui si muove l’accidioso. Perciò è fondamentale rilevare, registrare i propri
atteggiamenti accidiosi per cominciare a non avere più simpatia con essi. è molto importante
produrre una alterità fra questo falso ego dell’accidioso e il contatto con il vero IO con l’io
spirituale, che non è superficiale ma ama il bene e cerca il bene.
Vediamo un po’ i rimedi dell’accidia.
Va dichiarato guerra, non ci si può convivere perché distrugge tutto, svuota tutto dall’interno.
Proprio qui è il problema perché l’accidioso non combatte, è quello che è privo di zelo quindi
dichiarare guerra è già aver iniziato a vincere. Quindi il problema sarà ingaggiare il combattimento.
Dobbiamo pero tener conto di una cosa molto importante che è durissimo combattere ma quando
la si attacca smette di colpo, ossia sparisce. Ossia la vittoria è veloce pero bisogna superare una
terra di nessuno ossia l’amarezza di cominciare a lavorare.
La vittoria sulla accidia può essere conseguita solo dopo aver attraversato il deserto di una
amarezza che spinge a cedere, bisogna resistere con grande forza ad una voglia irrefrenabile
interiore di smettere di affrontare il problema. Anche perché si può pensare che non sta succedendo
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niente, che la lotta sta andando male invece si tratta solo di tenere, e neanche tanto, ossia l’accidia
è un mostro grande ma è un mostro di carta perché una volta che uno ha attaccato scopre che si
svuota perché? Perché è bello fare le cose belle: uno si lamenta che deve pulire la stanza, lo fai e
poi sei contento, studiare per l’esame ecc…
Bisogna dunque resistere alla tentazione di pensare di non farcela.
Come si fa?
Facendo le cose che bisogna fare a prescindere dal proprio stato d’animo, disobbedendo alle
proprie pulsioni superficiali (costanza, perseveranza – doni che bisogna chiedere) ma una vola
chiesti questi doni bisogna restare lì fermi in questi doni. Ossia si deve sottostare alle regole che
uno si deve dare per ricevere i doni della costanza e della perseveranza (ossia pregare secondo le
regole, studiare ai tempi precisi: è inutile chiedere a Dio la perseveranza per studiare se non ti metti
a studiare… ossia ti metti a studiare e stando lì non scapando, dopo 3 ore ti renderai conto che Dio
te la data. Ma questo non può avvenire se tu non ti fai violenza per stare lì seduto). Dunque è un
problema di contenitore- cioè: e come se tu vai a comprare qualcosa ma hai bisogno del sacco per
portare quello che comprerai, ecco il sacco c’è lo dobbiamo mettere noi, questo è il sacco della
grazia. L’accidioso invece spera di vincere il combattimento senza regole, ossia sperando che si
sveglia al mattino e gli andrà di fare le cose, questo non succederà. Mettersi a studiare è il
contenitore, è il sacco della grazia – la vittoria sulla accidia dunque non arriva vincendo la
nostra liberta ma con la collaborazione della nostra libertà.
Quali sono dunque questi contenitori della grazia?
Chi vuole vincere il combattimento con l’accidia deve ignorare i propri sentimenti inziali. Il cuore
è più profondo di questi sentimenti, per arrivare pero al cuore, alla profondità, bisognerà
disobbedire all’arte dell’accidia, bisognerà andare contra se stessi.
I contenitori per combattere l’accidia sono 7:
La perseveranza: ossia non smettere, se vuoi uscire del accidia devi durare, continuare.
La stabilità- non solo continuare a fare ma restare a combattere lì dove si è intrapreso il
combattimento (qui e ora) devi stare a lungo nello stesso posto
La preghiera – la preghiera fa entrare in relazione con Dio. Da dove si comincia a pregare?
Da quello che si sa fare, P Pio diceva: ognuno prega come può e sa. Non dobbiamo essere
perfezionisti su questo argomento, uno comincia da come sa pregare fondamentale è
soffermarsi. Leggere la parola di Dio e metabolizzarla è ottima.
La vigilanza cioè la cura della propria sobrietà (digiuno- ossia sottrazione da qualche cosa –
no tv, non telefono per 5 ore ecc.. questo fa spazio alla grazia). Non è la vigilanza che vince
l’accidia ma la grazia, ma la vigilanza è la condizione per ricevere la grazia.
Memoria mortis- ossia il tempo non è infinito, io devo sempre ricordarmi che sono limitato,
che devo morire. Dio mi da delle occasioni e bisogna sfruttarle.
L’apertura del cuore al padre spirituale. Avere lo stesso confessore devasta l’accidia.
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L’ultimo è principale rimedio dell’accidia è il lavoro manuale. Iniziare a fare ciò che va fatto
pero. Il vero combattimento è tutto all’inizio.
A cosa si contrappone l’accidia? La pazienza. Essa è il vero nemico. La pazienza è il saper
patire, saper portare le difficolta della vita.
7) LA VANAGLORIA
Siamo nel campo della nostra immagine con il nostro prossimo. La vanagloria significa “vuota
opinione” kenodoxia – fumo, inconsistenza, spocchia, arroganza, megalomania – stiamo parlando
di autoincensamento ossia di desiderio di manifestare la propria grandezza una forma di
superiorità. La vanagloria è uno dei pensieri più distruttivi dal punto di vista spirituale.
È un gonfiarsi di vuoto. È un vivere della vuota opinione. In ebraico si usa la parola “hevel”
che significa vapore umido. Vanità delle vanità dice Quelet – vapore di vapore, tutto è vapore,
ossia qualcosa che si perde che si spreca. Vivere per una cosa che dura un attimo, vivere per un
applauso, un’opinione che in un minuto cambia. La vanagloria è una trappola enorme che incastra
le persone a vivere fondamentalmente per un istante.
L’aspetto fondamentale della vanagloria è che da una energia enorme. La vanità può essere
un motore estraordinario per fare sacrifici incredibili, per fare atti eroici. Il vanaglorioso è uno
schiavo del giudizio altrui. La vanagloria spinge ad offrire ogni atto, anche più santo, a se stesso,
al proprio ego. Infatti il vanaglorioso si compiace del bene compiuto. Agisce e parla in fondo come
si fosse sempre davanti ad uno specchio. La nostra società è infettata di vanagloria: look,
apparenza, sport, moda, -- tutto per apparire belli. Per la vanagloria si perde l’anima per
guadagnare il mondo.
Bisogna considerare che esiste 2 tipi di vanagloria:
Quella bassa – è l’ossessione per l’onore, per il look, per l’immagine sociale.
Quella alta – la più pericolosa è quella che tocca la vita spirituale. Ossia si combatte gli altri
vizzi: gola, avarizia ecc.. solo per la propria immagine.
È difficile rendersi conto che uno sta facendo il bene solo per se stesso. La stima degli altri
sembra un indotto secondario del bene fatto. E invece alla fine uno scopre dentro di se che…
bellissima l’immagine di Evagrio che dice che la vanagloria è come una edera che circonda un
albero, l’albero è cresciuto, quello che conta veramente è l’albero, ma ad un certo punto l’albero
non si vede più perché l’edera lo soffoca, lo circonda. Questo ci dice che la vanagloria si introduce
di nascosto, nelle cose buone. Nessun bene giova al cuore se è fatto per vanagloria.
La vanagloria a ben vedere, è un problema di autostima malata, è un problema di ego. È un
problema di relazione con Dio. La gloria appartiene a Dio.
Se tu fai le cose per essere lodato degli uomini: hai già ricevuto la tua ricompensa. È questa è una
ricompensa che non vale niente, di tutto questo non ti rimane niente, perciò la vanagloria apre le
porte alla tristezza perché se non si è appagati si rimane tristi ma anche se è appagata si
rimane tristi perché di fatto non resta mai niente. Nello stesso tempo spalanca le porte
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all’orgoglio, perché quando si ha “successo” ecco che questo senso di affermazione diventa la
chiave per leggersi a se stessi ossia di identifichi con quel successo. Bisogna considerare che un
senso di frustrazione accompagna sempre la vanagloria perché il successo essendo vuoto non basta
mai, per questo bisogna compensare questa frustrazione ed è molto facile che la vanagloria si
accompagni alla lussuria. Cioè avendo avuto successo e non essendo appagati fino in fondo ci si
dà alla lussuria, gola ecc..
Quali sono i segnali della vanagloria?
Primo è la freddezza: quando si è freddi nell’agire, benché uno fa cose molto buone (catechesi,
servire ecc) ma resti glaciale nel cuore, questo è un segnale, la vanagloria si è mangiata l’opera
cristiana.
Altro segnale è il cinismo, che è una forma di analizzare con la razionalità amara le cose per qui
si è maliziosi ossia si tende a vedere il male da per tutto perché la vanagloria viene proiettata
sugli altri. Ossia essendo cosi famelica, la vanagloria convince che tutti vivono di vanagloria, per
qui uno non coglie il bene quando viene ricevuto.
Si diventa insensibili: cioè per riuscire a capire le cose devo sempre lavorare di ragione e non si
ha impulsi sentimentali. Cioè faccio le cose perché sono oggettivamente buone e non riesco ad
essere coinvolto personalmente in quello che faccio, quindi il segnale della vanagloria,
tristemente rende tutto distante scimmiottando addirittura la gioia dell’amore. Questo perché il
bene è stato svuotato del suo vero fine diventando amaro.
E infine accade che questo desiderio di vanagloria porta ad una indifferenza nel trasgredire i
comandi di Dio (un vanitoso mente facilmente per mostrarsi, è falso).
Non si è più pietosi perché visto che il bene lo facciamo esteticamente è svuotato del suo apporto
relazionale, quindi faccio le cose ma in realtà non sono appagato per il fatto che l’altro sia felice
perché la abbia servito, ma sto chiedendomi se la cosa si è risaputa, se tutti gli altri stano
guardando dalla mia parte mentre sto servendo questo fratello.
Bisogna fare molta attenzione. La vanagloria può vanificare tutti gli sforzi cristiani.
Chi patisce di più la vanagloria, curiosamente sono proprio coloro che sono più vicini al bene,
sono coloro che fanno le cose più belle su questa terra (avvocato del diavolo dopo che vince la
causa – sei una star le dice il demonio tranne la bocca del “amico” dopo che aveva “vinto” il
processo: “vanità”, (dice il demonio dopo che l’avocato si lascio convincere), decisamente il mio
peccato preferito).
Come si comate la vanagloria?
La soluzione: è chiaro che la prima fase è rendersi conto che si fanno le cose per vanagloria.
Attraverso i segnali che abbiamo visto: la freddezza, la distanza, il mancato senso di appagamento
per qui si fa il bene ma uno non è contento perché non c’è amore solo questo da appagamento.
Attenzione - La vanagloria spinge per se stessa a combattere se stessa con la sospensione del bene,
cioè l’idea è: si come sono vanaglorioso e faccio il bene per vanagloria, smetto di fare il bene –
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questa è una trappola della vanagloria stessa perché sono cosi schiavo della mia immagine da
non accettare di essere imperfetto, limitato, mai smettere di fare il bene a motivo della
vanagloria. Si tratta di colpire la vanagloria non il bene… anche se amiamo male, meglio amare
male che non amare, anche se faccio il servizio per vanagloria meno male lo si fa.
Che fare dunque se ci si rende conto che si sta rubando la gloria a Dio?
Non smettere di fare il bene dunque ma mettersi dinanzi al Signore, piangere dinanzi a lui
chiedendo di salvarci dal nostro cuore, il vero bene me lo puoi regalare solo tu. Si inizia cosi
un viaggio interiore che il vanaglorioso non conosce che si chiama intimità con Dio: essere da lui
consolati, essere a suo cospetto, dialogare con lui.
È vero che forse tante volte abbiamo compiuto un bene per un applauso ma magari una anima
l’abbiamo salvata, qualcosa di buono l’abbiamo fatto e magari questa persona prega per noi, e
questo ci può salvare, il vero problema dunque non è non fare il male ma fare il bene sempre
meglio.
Secondo strumento fondamentale, lo strumento principale per combattere la vanagloria è: IL
SILENZIO – cioè tacere il bene che si fa, la riservatezza, non parlare di ciò che uno fa. È un
digiuno che per tanti è impossibile. Quante scuse non troviamo per lodarci addosso, raccontando
le proprie cose pensando che aiuta gli altri. Anzi raccontiamo anche i propri problemi – di Evagrio
che raccontare le proprie vicende è come ripore le cose in una borsa bucata, con il racconto la
ricompensa diventa l’opinione altrui. Invece mantenendo il segreto del cuore e tenendo la
ricompensa nella poca verbalità, la vera ricompensa diventa appunto il bene altrui, l’amore per sua
natura è Segreto (il Padre tuo vede in Segreto Mt6) – il segreto è lo spazio di Dio, Lui è invisibile.
Il nostro motto è nascondere il male e mostrare il bene – cosi vivono gli uomini mentre per cristiani
è riconoscere il male fatto e nascondere il bene fatto per consegnarlo a Dio.
La vita cristiana è una vita fatta di opere buone nascoste, la preghiera è nascosta, l’elemosina deve
essere nascosta. Il digiuno deve essere nascosto. Tante volte conviene mordere la lingua e non
raccontare qualcosa perché dobbiamo a tutti costi ad essere apprezzati, ci dara di crescere
interiormente, ci renderà più stabili, più forti, più autentici, più veri, a vivere secondo le cose
interiori e non secondo lo sperperio esteriore.
Il contrario della vanagloria è la umiltà.
Vediamo un testo di Evagrio:
• La vanagloria è una fantasia di incontri- ossia la vanagloria di dirà sempre che ciò che
farai è in fin dei conti un bene per la famiglia, comunità ecc…
• È simulazione di operosità- ossia è un operare ma l’importante non è l’operare ma
l’essere visti operare.
• È il contrario della verità – la vanagloria essendo un problema di opinione non è la
verità perché la verità non ha bisogno dell’opinione.
• È aspirazione a occupare i primi posti.
• La vanità sta in mezzo tra superbia e invidia.
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Che cos’è la non vanagloria ossia l’umiltà?
• La non vanagloria è l’opera dell’umiltà ossia un’opera che parte dalla piccolezza.
• Distacco dalla compiacenza.
• È noncuranza delle lodi – le lodi preparano sempre un disastro, quando si è molto lodati
c’è sempre una botta, un nemico, un vizio ecc.. che ci sta aspettando.
• È contemplazione della scienza.
• L’umiltà percepisce il profondo del reale quindi non va in vano alla cosa secondaria.
• È opposizione al mondo ovvero sia il mondo non è più il nostro padrone perciò lo si può
deludere, si può dire al mondo: non mi interessa quello che pensi e fai.
• È buona sensibilità dell’anima – ossia l’umiltà rende i sensi interiori molto forti: avere
occhi spirituali, orecchie spirituali ec…
• È insegnamento di semplicità – ossia insegnare una sola cosa e non una molteplicità di fini.
• È nascondimento delle fatiche – ossia tenerle fra noi e Dio le cose faticose che abbiamo
fatto.
• L’umiltà è ostilità verso ogni celebrazione – ossia quando ti lodano ti dà fastidio, ti viene
una santa paura di essere una trappola
• È un tesoro nascosto in un corpo corruttibile – tutti saremo sempre molto deboli e cadremo
nella trappola della vanagloria ma c’è un tesoro. L’umiltà è quel ricordo della verità che
resta dentro di noi, ci libera da ciò che è vano.
8) LA SUPERBIA
È il pensiero più pericoloso di tutti. Non nasce da esigenze esterne o da meccanismi psicologici,
ma nasce dal rapporto con il proprio Io, è legata alla struttura radicale dell’essere, è UNA
ESIGENZA di GRANDEZZA.
Dall’accoglimento della superbia nascono tutti i peccati. Tutti i peccati in fondo nascono dalla
superbia e portano alla superbia.
La superbia è un pensiero che produce un vuoto interiore che deve essere riempito, cosi facendo
chiama gli altri vizi per riempirla. G. Magno dice che la superbia non appena conquista un cuore
lo consegna ai vizzi.
Da dove deriva la superbia?
È una non accettazione della nostra natura di creature. Non accettiamo la nostra fragilità della
nostra creaturalità, e questo conduce necessariamente al peccato.
Quando si pensa di aver sconfitto la superbia, allora è forse quello il momento quando si è
più dominati. Perché anche il desiderio di non sbagliare è frutto della superbia. Molto spesso
la pena del superbo sono i suoi errori e quindi odia i suoi errori, e quando li vince cade in realtà è
cascato in un baratro più grande di superbia.
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La superbia è prepotenza, energia, arroganza. Significa essere al di sopra per mezzo di una energia,
esercitare una forza per essere sopra agli altri. Il superbo è un arrogante che con una grana forza
interna è capace di compiere tanti servizi, opere che possono essere anche nel campo del bene per
costruire se stessi innalzandosi.
La superbia va temuta con tutto il cuore perché è la strada che conduce alla solitudine, è la via
principale del isolamento (torre Babele che aveva la finalità per farsi un nome, questo era il vero
fine del atto ossia la identità io me la costruisco con le mie forze – questo fallisce perché è il
preludio della solitudine cioè si parte dalla ricerca del se, del proprio nome, e si arriva a non
conoscere più le parole per parlare con gli altri cioè a non conoscere più il nome altrui – certò
chiunque è occupato con se stesso trascura il prossimo e alla fine un solco profondo lo divide dagli
uomini)
La superbia dunque è il peccato fondamentale di Satana che non accetta il limite di creatura e
quindi vuole equipararsi a Dio (Is 14,12) dove si vede che la radice è questo: mettersi a posto di
Dio - in questo coinvolse anche Eva.
Quindi qual è il problema?
Il problema è il rifiuto dei propri limiti, i propri confini. Questa è la tragedia umana, l’uomo
non può capire tutto, non può capire il bene e il male. Il limite è la natura umana. Il rifiuto di
quel No è superbia e porta alla distruzione di se. In questo modo si supera il limite della vita. Infatti
Dio avverte: non fare questo atto perché morirai. Mentre il serpente al contrario dice: fallo, cosi ti
affermi. Chiaramente una delle affermazioni è falsa. E purtroppo quando ci troviamo limitati noi
iniziamo a patire per superbia.
La stessa cultura degli ultimi secoli ci ha spinti alla trasgressione come se io non ci sono se non
trasgredisco qualcosa. E da questo deriva il rapporto con il prossimo.
Dapprima si parte con il non acetare di non essere Dio, poi non si accetterà che qualcun altro sia
uguale o migliore di noi, quindi parte l’invidia, questo porta a non acetare l’autorità.
Tra il rifiuto della autorità esterna e il rifiuto dei limiti interni, ecco la base della nostra tragedia.
I superbi non hanno maestri. Rifiutano di essere ammaestrati. Ci sono molti che vogliano
imparare molto ma è un atto narcisistico di auto edificazione e non di vero apprendimento. Al
superbo vano molto bene le parole di Gesù: quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo
intero ma perderà la propria anima? O che cosa potrà dare un uomo in cambi della propria anima?
(Mt16)
La radice è il nostro rapporto con Dio. Non acetare le sue decisioni su di noi. Il capo è Dio e
io non sopporto che ci sia un capo perciò inizio a mettere in discussione tutto ciò che è imposto.
Perciò il superbo può non acetare il proprio corpo, la propria identità sessuale, la propria storia, i
limiti che gli hanno posto ecc.. si giudica con asprezza tutta la realtà, nulla va bene, tutto è mal
fatto, il superbo si lamenta sempre. Il problema di fondo è che non ci si può fidare di nessuno. La
frenesia di trovare ciò che lo innalza lo porta in una grande insoddisfazione anche e soprattutto di
se stesso.
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Ma l’interessante è che il superbo non si concepisce come tale. Tutti si accorgano della superbia
del superbo tranne lui stesso. Anzi, l’indizio della superbia, l’essere costantemente critici su ciò
che fanno gli altri è il pensarsi umili. Perché alla fine al superbo piace soltanto quello che fa lui.
Il mito classico del superbo è Narciso – colui che non ama nessuno e che finisce per amare se
stesso cioè un falso Io riflesso nel acqua – finisce morendo affogato nella propria immagine.
Solovev descrive l’anticristo come un cristiano: amante delle cose spirituali che pero ad un certo
punto deve profondamente scegliere se amare Cristo veramente, ma non può perché deve amare
di più se stesso. Preferisce se stesso a Cristo. Tutti siamo in questa battaglia.
O l’Io è relazionale ossia si apre al Tu, o l’Io è fallimentare ossia non si è. La Trinità è relazione,
paternità, figliolanza, amore. Fuori dell’amore noi siamo l’ombra di noi stessi. Se non usciamo
dalla nostra centralità per entrare nella comunione la nostra vita è destinata ad una fredda
solitudine.
Dunque quali sono i disturbi tipici del superbo?
• Un senso grandioso di se
• Pensieri rivolti ai propri successi
• Pensare di essere speciale e pensare di essere capiti solo da pochi solo forse dalle
persone speciali
• Sete di ammirazioni – ci si gode quando ci ammirano
• Forte sentimento dei propri diritti – avere la convinzione che è molto grave non
rispettare i nostri diritti, quando non lo sono produce in noi una rabbia.
• Tendenza di usare gli altri e non provarne un grande rimorso.
• Carenza di empatia – non riuscire ad entrare in rapporto con gli sentimenti altrui
• Provare sentimenti di rivalità con qualcuno ed essere convinti che gli altri ci guardano
con invidia
• Affettività tendente al predatorio ossia esigere che il sentimento del altro sia puro senza
stare molto a guardare quando sia puro il nostro.
In questo ci troviamo tutti. Sono i sintomi del narcisista. Il superbo quindi avendo rifiutato i propri
limiti è un COMPLESSATO ha paura di essere inferiore per qui è un permaloso infinito anche se
non lo da a vedere, ci resta male e gli piace un sacco parlare male degli altri, ci gode quando può
dire il difetto di qualcuno (l’esempio classico è la parabola del fariseo e il pubblicano dove il
fariseo dice: io non sono come gli altri). La superbia si insinua con facilitò tra i religiosi, nelle
persone che sono molto letterate. Il superbo sprofonda nella autosufficienza.
Qui dobbiamo ricordare che l’inferno è la solitudine irreversibile degli autosufficienti di
coloro che non chiedono aiuto, di coloro che pensano di correggere da soli i propri difetti.
Quale è l’antidoto principale della superbia?
L’UMILTA – l’accettazione della propria fragilità. Infatti il superbo non conosce la realtà, il
culmine della superbia è il rifiuto dell’aiuto di Dio e l’esaltazione dei propri sforzi –
comportamento diabolico.
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Cerchiamo ora di mettere ordine e ricordiamo che secondo l’antropologia biblica le zone
dell’io sono tre.
Le pulsioni fisiche – che mira alla sicurezza del corpo, a questa realtà sono legati i pensieri della:
gola, della lussuria, dell’avarizia e dell’ira. Badare bene, queste pulsioni non possono essere negate
ma moderate perché se noi neghiamo il bisogno di mangiare o il nostro istinto sessuale in maniera
disequilibrata o in maniera opprimente, aggressiva, possiamo finire con gravi patologie della
mente. Ci si modera per un sano principio di auto protezione.
Le pulsioni psicologiche – qui sono i pensieri della accidia, tristezza e vanagloria – qui si tratta di
fare i conti con il proprio falso se, con la propria ombra. Qui occorre un sano egoismo: l’attività
anziché l’accidia, la gioia anziché la tristezza, la serenità con se stessi anziché la vanagloria –
questi sono atti di cura di se.
La terza pulsione è quella che combatte con la superbia – o l’io profondo va verso il bene, verso
Dio, verso l’Amore, o si muove verso il proprio Ego.
E se si va verso l’autoaffermazione, ovviamente, si perde la relazione con Dio. È molto interessante
vedere nella vita come il combattimento spirituale non è mai un combattimento individuale.
Il vero combattimento contro il male non è UNA DISCIPLINA DI AUTODOMINIO perché
questo è cadere nella superbia. Ma è una vera apertura al rapporto con Dio. Si può combattere
ogni vizio della superbia in giù e in fondo essere soli. Invece superbi come siamo, accidiosi, tristi,
vanagloriosi, si può cercare Dio della Misericordia. Mettersi davanti a Dio comi si è, il punto è
essere con Lui perché è da lì che si sciolgono i cattivi pensieri.
Nella prima parte della nostra vita spirituale noi in genere cerchiamo di migliorare.
Nella parte adulta invece cerchiamo di aggrapparci a Dio, non abbiamo più bisogno di essere bravi,
ma siamo passati dal non voler cadere a non voler stare più lontani da Dio.
I padri del deserto dicevano: per null’altro motivo io trovo che è giusto non peccare che non, non
allontanare mai da me la presenza di Dio.
Stare al cospetto del Padre e vivere della Sua Misericordia è la radice della libertà.
Perciò l’antidoto fondamentale contro la superbia è l’umiltà.
L’accettazione della nostra limiteza, i nostri limiti ci aiutano ad aggrapparci a Dio e lì si vince la
superbia, questo produce l’umiltà. Con l’aggrapparci a Dio si vince la superbia. L’umiltà è capire
che siamo piccoli.
Altro antidoto è riconoscere le proprie opere buone come un dono di Dio,
altro antidoto è accogliere le umiliazioni giuste e ingiuste come medicina.
Un altro antidoto è sospettare di noi stessi quando ci giustifichiamo.
Perciò acetare le critiche quando ci fanno male vuol dire che sono vere.
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E quindi il combattimento contra la superbia è fondamentalmente esercitarsi nell’unico
grande carisma che è l’Amore. Questo è l’unico carisma che ci trova tutti principianti. Tutti
sappiamo di aver amato ancora poco. Tutti siamo debitori di tanto amore rispetto a quelli che ci
circondano. Dobbiamo pensare a noi come persone che stano ancora alla scuola dell’amore. Se
sono bravo in tante cose, con l’amore sono sempre principiante, qui mi si può sempre rimproverare.
Ossia mi si può sempre dire che non ho amato ancora abbastanza, che non ho amato bene. questo
è un santo pensiero e questo combatte frontalmente la superbia.
9) Conclusione
Solo la misericordia ci può salvare. Se vogliamo arrivare al bene, mangiamolo, riceviamolo,
coltiviamo la memoria della misericordia di Dio. Come si fa?
Riconosciamoci che siamo schiavi di tutti questi peccati. È inutile dire: io non sono goloso perché
mangio poco, magari siamo golosi ad un livello molto più profondo, quello esistenziale.
L’ideale, e questa è la cura, è l’umiltà ossia vedere i propri limiti e avere più simpatia verso
chiedere l’aiuto. Perciò aggrappiamoci al Signore nella preghiera, viviamo al suo cospetto per
vivere di Misericordia.
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