Ci spostiamo al nord seguendo Donatello, che negli anni 40 lascia Firenze e raggiunge Padova,
dove resta un decennio.
Donatello, “Monumento al Gattamelata”, 1447-1453, Padova; è
stata una delle sue prime opere a Padova nella piazza del Santo, dove vi è la basilica dedicata a Sant’Antonio.
Donatello non si smentisce, il monumento ricorda la statuaria
antica (sembra un imperatore romano a cavallo), anche per come è percepito: sotto c’è una base (specie di sarcofago) decorata da bassorilievi. Riesce a dare movimento perché c’è interazione con lo spazio circostante ed inoltre il cavallo è al trotto. Donatello riesce a conferire all’uomo autorevolezza, gravitas.
Donatello, Basilica del Santo, altare maggiore,
1446-1448; porta a Padova parte del linguaggio che gli è proprio, e stando a Firenze, ripropone la sacra conversazione. Lavora anche con artisti locali, ed è un buon modo per lasciare il segno, è un modo di diffondere.
Ciò che vediamo oggi non è quello che Donatello
aveva realizzato, perché dopo poco è stato smantellato e questo è una ricostruzione 800esca. Il crocifisso non era legato all’altare, lo ha realizzato sempre Donatello ma erano due elementi separati.
Abbandona il marmo per lavorare il bronzo, ma non perde la tecnica dello schiacciato.
L’altare è composto dal crocifisso, sotto c’è la madonna in trono con il
bambino e intorno vi sono i santi (Daniele, Francesco e Antonio). Nella parte sottostante vi era una sorta di predella dove vi erano raccontati i singoli miracoli, e di lato pareti con la vita di Cristo. La disposizione dei santi è a semicerchio, ma non sono disposti sulla stessa fila, in modo da dare la profondità (più sono in profondità più sono bassi, più sono vicino più sono alti).
Come modello ha la pala d’altare: la predella corrisponde alla parte sotto e la
parte curva sopra assomiglia alla cimasa; le colonne servono per distribuire spazio e personaggi. Facendo appello a delle descrizioni dell’altare, i critici hanno ricostruito un grafico che si avvicina a quello che doveva essere in origine l’altare. C’è una sorta di cua granda, una specie di semiarco che poggia su dei pilastri laterali e centrali e colonne, tutto ha una profondità, sopraelevata da alcuni gradini. Il fedele è sollecitato a girare intorno all’altare per osservare anche le numerose raffigurazioni di pannelli in bronzo, come Cristo in pietà e la Deposizione nel sepolcro. Alcuni pannelli:
➔ “Miracolo del cuore dell’avaro”; la
storia dice che un uomo avaro quando muore gli si apre il cuore che però non c’è. L’arte del rinascimento fiorentino è esportata a Padova.
Lo stiacciato consente di dare
prospettiva. Ci sono elementi che rimandano a Brunelleschi: volte a botte cassettonata, pilastri scanalati, capitelli, oculi. Il pannello è tripartito e la scena principale è al centro.
Donatello rappresenta l’energia, viene tradotto in un grande caos, folla incontenibile
perché sta accadendo un fatto importantissimo.
➔ “Miracolo del neonato”; spazio
tripartito, con al centro un miracolo, la reazione dei personaggi si sviluppa nei reparti laterali; spazio all’antica che aiuta e favorisce la prospettiva.
I personaggi hanno reazioni
scomposte, vi sono delle grandi fughe, un movimento incontenibile, fa capire come questi artisti giocano con i confini tra spazio reale e spazio rappresentato, tutto delimitato; i personaggi nelle colonne sembrano quasi uscire da questo spazio, questo è un gioco di grande effetto illusionistico rivoluzionario, che diventerà poi un elemento abbastanza tipico.
➔ “Miracolo della Mula”;
disputa sul sacramento, scommessa di portare una mula a digiuno per un tot di giorni per poi metterla davanti un’ostia consacrata, che si rifiuta di mangiare perché riconosce la sacralità.
Ci sono personaggi che si
arrampicano per poter vedere cosa sta accadendo, persone che gravitano in questo spazio tripartito e in grande prospettiva, che connette il punto di fuga verso il miracolo.
Donatello, “Crocifisso”, 1443; leggiamo il linguaggio pieno di pathos, sofferenza,
dolore, corpo devastato, merita una lettura autonoma, rispetto all’altare.