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NUOVI STUDI

RIVISTA DI ARTE ANTICA E MODERNA

17

2011 anno XVI


REDAZIONE
ANDREA BACCHI DANIELE BENATI ANDREA DE MARCHI FRANCESCO FRANGI
GIANCARLO GENTILINI ALESSANDRO MORANDOTTI

Si ringrazia Milvia Bollati per l’aiuto nella redazione di questo volume

COMITATO CONSULTIVO INTERNAZIONALE


KEITH CHRISTIANSEN EVERETT FAHY MICHEL LACLOTTE JENNIFER MONTAGU
MAURO NATALE SERENA ROMANO ERICH SCHLEIER ANNE MARCKHAM SCHULZ

TABULA GRATULATORIA
Adolfo Ambrosetti Silvana Bareggi Antonio Barletta Ezio Benappi
Edoardo Bosoni Luigi Buttazzoni e Roeland Kollewijn Maurizio Canesso
Carlo Cavalleri Giancarlo e Andrea Ciaroni Ferdinando Colombo
Giovanni Cova Minotti Fabio De Michele Gerolamo Etro Gianni e Cristina Fava
Richard Feigen Paola Ferrari Enrico Frascione con Federico e Sasha Gandolfi Vannini
Marco Galliani, Profilati spa Luigi Gambaro Matteo Lampertico Silvano Lodi jr.
Mario, Ruggero e Marco Longari Jacopo Lorenzelli Silvio Maraz Sascha Mehringer
Alfredo e Fabrizio Moretti Gianna Nunziati Carlo Orsi Walter Padovani
Andreas Pittas Huberto Poletti Luca e Patrizia Pozzi Davide Sada
Alvaro Saieh Simonpietro Salini Giovanni Sarti Tiziana Sassoli
Pier Francesco Savelli Mario Scaglia, Sit spa Bruno Scardeoni
Rob e Paul Smeets Edoardo Testori Marco Voena

Si ringrazia per il sostegno


Intesa San Paolo

© 2012 TIPOGRAFIA EDITRICE TEMI S.A.S. - Tutti i diritti riservati


Direttore responsabile: Luca Bacchi
Registrazione nr. 912 presso il Tribunale di Trento
Pubblicazione annuale. Euro 60,00
Progetto grafico: Paolo Fiumi e Gabriele Weber. Realizzazione a cura della redazione
Selezioni colore e bicromia: Tipolitografia TEMI - Trento
Redazione: 20121 Milano - Via Fatebenefratelli, 5 - Tel. e Fax 02/6599508
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Tel. 055/8228461 Fax 055/8228462 e-mail: massimo@libroco.it
ISBN 978-88-97372-22-6
INDICE

5 99
MATTEO CERIANA - ANNE MARKHAM SCHULZ SUSANNA ZANUSO
New Works by Cristoforo Solari and His Shop Il Bacco-Sileno “fatto di sua fantasia”
da Giovanni Andrea Pellizzone
19 per il giardino di Antonio Londonio
GIUSEPPE SAVA
Giovanni Antonio Falconetto pittore 119
di “belli animali, e frutti”: DANIELE BENATI
una pergamena miniata a Rovereto Guercino a Sassari

29 123
ANDREA DE MARCHI MASSIMO FRANCUCCI
“Per che, cresciutogli l’animo…” Giuseppe Puglia: una pala a Sassari
Il Cristo e l’adultera da Tiziano e il tirocinio
di Giulio Clovio verso la maniera moderna 129
ALESSANDRO ROSSI - ISABELLA FOGLIANI
37 Per il ciclo di Santa Caterina
MARCO CAMPIGLI al Collegio dei nobili di Parma.
Girolamo da Treviso, Perin del Vaga, Documenti e note su Francesco Stringa
Pordenone e Beccafumi.
Quattro artisti per un ciclo di affreschi genovese 141
DEBORA TOSATO
51 La decorazione barocca della sala del capitolo
RAFFAELE NICCOLI VALLESI nella Scuola grande di Santa Maria della Carità
Virgilio illustrato. a Venezia
Domenico Beccafumi, l’editoria veneziana
e una serie misconosciuta di xilografie 155
ALESSANDRO AGRESTI
79 La chiesa del SS. Nome di Maria
LUCA SIRACUSANO alla Colonna Traiana:
“Cose tutte piene d’invenzioni, un crocevia dei linguaggi della scultura romana
capricci e varietà”. intorno al 1740
Proposte per Tiziano Minio a Padova e altrove
LUCA SIRACUSANO

“COSE TUTTE PIENE D’INVENZIONI, CAPRICCI E VARIETÀ”.


PROPOSTE PER TIZIANO MINIO A PADOVA E ALTROVE

“Il capitan Giovanni di Naldo all’impresa di Santo Angelo con cavalli et pedoni vi mandaro-
no, il quale quel luogo rivedendo, per puoter a quello l’artigliaria a suo maggior danno piantare,
fu miseramente da un’archevusata della vita privo” 1. Nel grande affresco delle guerre d’Italia
del Cinquecento, la morte di Giovanni Naldi, capitano della Serenissima caduto il 28 agosto
1528 nei pressi di Pavia, non fu che un episodio marginale, ma che non mancò di colpire l’atten-
zione dei cronisti dell’epoca. Forse la vicenda del condottiero dei Veneti, trapassato nel petto da
una “plumbea massa”, sembrò emblematica di quei mesi avversi alla compagine antiasburgica
che, incassato il colpo del sacco di Roma, dovette inghiottire pure i bocconi amari degli insuc-
cessi nella campagna napoletana e del passaggio della Genova di Andrea Doria sotto i vessilli
imperiali. Per altro verso, alla risonanza dell’episodio contribuì di certo la fama del personaggio
e del suo casato, quei Naldi da Brisighella che nel XVI secolo furono una autentica dinastia di
capitani al soldo di Venezia 2.
Un colpo d’archibugio, l’arma protagonista di quelle guerre, poneva dunque fine alla ven-
tennale leva di Giovanni presso la Serenissima, avviata al tempo della Lega di Cambrai sotto la
buona stella della vittoriosa difesa di Padova. In quella circostanza, il Naldi, assieme ai fratelli
Babone e Guido, si era distinto per valore e il doge Andrea Gritti mostrava la propria gratitudi-
ne, conferendo loro una casa requisita ai ribelli filoimperiali di Padova 3. Un ramo della famiglia
si radicava quindi nella città veneta, dove gli ultimi eredi di Giovanni si estinsero nel secolo
successivo. È stato possibile rinvenire presso l’Archivio di stato di Padova copia del testamento
del militare, rogato a Montagnana il 29 ottobre 1524, in cui compare un lascito in favore di un
sacerdote affinché celebrasse per l’anima del militare “divina offitia Padue in Ecclesia Carmi-
num ad eius capellam” 4. Ecco spiegato perché più tardi fu scelta proprio la chiesa dei Carmini
di Padova, fresca di rinnovo 5, quale sede del monumento alla memoria di Giovanni Naldi. 93.
L’edicola fu eretta “decreto publico” 6, come dice un biografo anche sulla scorta della chiosa
dell’epigrafe, in cui il condottiero in prima persona ci informa che “VRBS PATAVI SEPELIT
ME GEMIT ITALIA” 7. La Serenissima si era dimostrata per altro verso riconoscente dei buoni
uffici del militare defunto, operandosi “per la sua sustentation di tutta essa fameglia”, composta
dalla vedova e da sei figli in minore età 8.
Bernardino Scardeone nel 1560 registrava per la prima volta il monumento nella controfac-
ciata della chiesa padovana “super portam meridionalem”, ovvero nell’ubicazione odierna 9.
L’opera non sembra aver dunque patito cambiamenti di sede né sostanziali interpolazioni, se si
eccettua un restauro tardosettecentesco della statua, ricordato dall’abate Gennari 10. Quest’ul-
timo incappava in un lapsus frequente nelle guide di Padova, poiché riteneva che la scultura
effigiasse Babone, il fratello di Giovanni più sopra menzionato, morto nel 1544. Babone era
pure sepolto nella chiesa dei Carmini, dove riposava “cum ceteris suae familiae” ed era comme-
morato da un’epigrafe rimossa nell’Ottocento dalla medesima parete 11.
Se si prescinde da una fugace citazione in un volume sul tempio carmelitano 12, il monumen-
80 LUCA SIRACUSANO

to di Giovanni Naldi non ha fin qui destato alcun interesse negli studi storico-artistici, sebbene
nel XVII secolo Frans Scotto menzionasse, fra le cose memorabili all’interno della chiesa, “i
monumenti delli Naldi capitani famosi” 13. A dispetto della poca fortuna riscossa, l’opera, di
qualità non modesta, può costituire una valida testimonianza dei radicali cambiamenti intercor-
si nella plastica veneta del secondo quarto del Cinquecento ed offre l’occasione per riconside-
rare alcuni episodi di scultura a Padova in quel torno d’anni. Il 1528 sull’epigrafe Naldi si pone
infatti sul crinale di una nuova stagione. Antonio Minelli 14 sarebbe morto l’anno successivo e
Giammaria Mosca 15 si apprestava a lasciare per sempre la città natale, con la quasi simultanea
dipartita dei due scultori padovani più legati alla maniera del vecchio Tullio Lombardo, ancora
operativo a queste date. Discendente era anche la parabola dell’altro grande maestro del primo
Cinquecento veneto, Andrea Riccio, che per oltre un ventennio aveva dominato la scena artisti-
ca cittadina. A calare su questa scena come un autentico deus ex machina è Jacopo Sansovino,
attestato per la prima volta a Venezia nel 1527. La celebre lettera del 5 agosto, indirizzata da
Lorenzo Lotto ai confratelli della Misericordia di Bergamo, racconta dell’arrivo in Laguna dello
scultore in fuga dal sacco di Roma, accompagnato da un “giovine et molto valente, unico et
solo discipulo di Michelangelo”, identificabile forse in Silvio Cosini 16. Già nel 1529, agli albori
della sua lunga carriera veneta, il Tatti fu chiamato a Padova per completare, nella cappella di
Sant’Antonio nella basilica del Santo, il rilievo con il Miracolo del bambino Parisio, avviato da
Minelli 17.
93. Il monumento Naldi si colloca a pieno diritto in questa nuova stagione. La superficie color
mattone che a tratti affiora sotto alla pellicola pittorica denuncia trattarsi di scultura in terra-
cotta, ambito in cui Padova poteva vantare una gloriosa tradizione 18. Ma le vibranti ciocche
95, 99, 105. dei capelli e delle barbe, le mani affusolate delle figure femminili e le vesti bagnate che queste
indossano sono trattate con la libertà e la rapidità di tocco degne di un lavoro in stucco, tecnica
propria della ‘maniera moderna’. Fra i primi specialisti veneti di questo materiale vi fu uno scul-
tore dalla breve carriera, il cui percorso è per certi versi ancora da mettere a fuoco. I dati docu-
mentari di cui disponiamo oggi su Tiziano Aspetti detto Minio sono in larga parte merito delle
ricerche di Erice Rigoni, irrinunciabile punto di partenza per lo studio della scultura a Padova
tra Quattro e Cinquecento 19. Tiziano era figlio di Guido, un fonditore di origine bolognese
soprannominato Lizzaro, poiché fabbricava pettini per la cardatura. Quest’ultimo fu visitato
da Marcantonio Michiel, che registrava nella sua abitazione cinque terrecotte di Giammaria
Mosca, scultore per il quale il Lizzaro curò almeno una fusione 20. Tiziano dovette apprendere
proprio dal padre l’arte della toreutica e di recente si è appurato che, alla scomparsa di Guido
nel 1528, Minio finì a lavorare per qualche mese come “garzon” del Mosca, prossimo alla par-
tenza per la Polonia ed intento a compiere il rilievo con il Miracolo del bicchiere per la cappella
antoniana 21. Dopo questa prima attestazione, Tiziano scompare dalle carte per un triennio.
Secondo Antonio Sartori, l’artista si sarebbe allontanato dalla città nel 1529, ma è possibile che
si tratti di un refuso, poiché i documenti cui lo studioso si riferisce trattano in realtà dell’anno
1539 e dei viaggi di Francesco, un fratello dello scultore 22. È ad ogni modo sicuro che Tiziano
avesse raggiunto la maggiore età nel 1536, poiché alla morte della madre non fu posto sotto tu-
tela come i suoi fratelli. In quell’anno, Minio poteva inoltre già testimoniare alla stesura del con-
tratto di Jacopo Sansovino per l’altare della confraternita mariana in Santa Maria Mater Domini
TIZIANO MINIO 81

a Venezia 23. Ne consegue che il biennio 1511-1512 va assunto quale terminus ante quem per la
nascita dello scultore. A favorire il suo inserimento nella cerchia di Sansovino fu forse “la molta
prestezza” ammirata da Vasari 24 o più probabilmente la grande versatilità dell’artista. Minio
viene infatti lodato quale bronzista da Bernardino Scardeone 25 e da Pietro Aretino, che in una
lettera assicura di amarlo e tenerlo “in luogo di proprio figliuolo” 26, ma fu di certo artefice abile
anche nell’intaglio della pietra così come nel modellare l’argilla e lo stucco 27.
Va subito precisato che, in mancanza per ora di documenti più puntuali, a candidare Tiziano
Minio quale autore del Monumento Naldi può essere la rilettura della notizia, per certi versi 93.
davvero spiazzante, con cui Filippo Baldinucci 28 apre la vita di Tiziano Aspetti il Giovane, ni-
pote ex fratre del nostro artista, suo omonimo e come lui dedito alla scultura. Questo secondo
e più giovane Tiziano era nato a Padova poco prima del 1560, a circa otto anni dalla scomparsa
dello zio, e si era guadagnato un posto nelle Notizie de’ professori del disegno grazie alle opere
realizzate nella tarda maturità a Firenze e a Pisa, dove lo scultore era morto nel 1606 29. Scarso
è però l’interesse dimostrato dal biografo per i circa tre decenni di attività veneta di Tiziano
il Giovane: Baldinucci si limita a ricordare che l’artista “fece nella città di Venezia, ove assai
tempo dimorò, molte opere in bronzo e in marmo, e tra queste la statua equestre di Gattame-
lata, e di Giovanni Naldi da Berzighella” 30. Baldinucci sembra in realtà riferirsi qui a due opere
padovane, anche se non possiamo certo identificare nella prima delle due il prodigioso bronzo
eretto sul sagrato della basilica di Sant’Antonio, che Baldinucci sapeva per certo essere di altro
e più celebre maestro 31: il rimando alla “statua equestre di Gattamelata”, dunque, sarà messo in
questo saggio tra parentesi ed è forse da ricondurre ad un perduto lavoro svolto nella cappella
del condottiero, la prima a destra nel tempio antoniano. Risulterà invece ben più interessante ai
fini del nostro discorso la seconda delle due opere menzionate, poiché nella statua di “Giovan-
ni Naldi da Berzighella” dobbiamo riconoscere, con ogni evidenza, l’oggetto di questa shorter
notice.
È allora da pensare che Baldinucci inauguri qui quella sorta di goldoniana (tanto per ri-
manere in ambito veneto) commedia degli equivoci che ha portato ad uno scambio di opere
e di notizie fra i due Tiziano Aspetti scultori del XVI secolo: zio e nipote padovani, quasi due
Gemelli veneziani avanti lettera. Un equivoco, come vedremo in calce a queste pagine, che si è
ripresentato anche in tempi assai recenti. L’equazione fra l’opera citata da Baldinucci e il mo-
numento della chiesa carmelitana di Padova non era mai stata proposta, se si eccettua la rapida
nota di uno scrupoloso erudito ottocentesco di Brisighella, interessato in prevalenza a celebrare
il suo concittadino Giovanni Naldi ma, evidentemente, anche lettore attento delle pagine baldi-
nucciane 32. Nella Storia di Brisighella, per la quale veniva persino tirata un’incisione dell’opera
in esame, si finiva però col prendere alla lettera il lapsus di Filippo Baldinucci e, cronologia
di Tiziano il Giovane alla mano, la statua dei Carmini veniva presentata come un’aggiunta di
fine Cinquecento al monumento del militare. Sarà tuttavia chiaro ai lettori di questa rivista che
effigie ed edicola sono un complesso unitario, realizzato diversi decenni prima dello scorcio
del XVI secolo: Bernardino Scardeone, come s’è detto, già nel 1560 poteva peraltro leggerne
l’epigrafe “sub statua armata” 33.
Le terrecotte del monumento Naldi si prestano in effetti a confronti con alcuni brani meno
scopertamente sansovineschi e più squisitamente bizzarri del catalogo del più anziano fra i due
82 LUCA SIRACUSANO

Aspetti. Abbiamo lasciato Minio, nei mesi a cavaliere fra il 1528 e il 1529, intento ad assistere
Giammaria Mosca nell’intaglio di un rilievo per la cappella antoniana: è nello stesso cantiere,
affidato a Giammaria Falconetto 34, che Minio ricompare poco dopo, una prima volta nell’aprile
1532 per lavori non meglio specificati 35, e, finalmente, nel 1533. Il 28 gennaio di quell’anno
i massari della Veneranda Arca commissionavano a Falconetto la copertura della cappella del
97. Santo, destinata ad una superba decorazione in stucco 36. Con Vasari, riconosciamo all’artista
veronese il ruolo di precoce importatore delle novità tosco-romane nell’architettura del nord
Italia, ma Falconetto ci interessa qui in special modo perché fu tra i primi che in Veneto “fece
lavorare di stucchi [...] et insegnò a mettergli in opera” 37: non è quindi imprudente pensare
che Minio avesse appreso già prima del 1533 i rudimenti dell’arte dello stucco nella sua città
natale, nella cerchia di Falconetto. Proprio nei cantieri padovani condotti da quest’ultimo negli
anni trenta del Cinquecento abbiamo, come vedremo, significative attestazioni dell’impiego di
questa tecnica. La documentazione contabile dell’Arca registra, quali scultori impegnati sulla
volta, Tiziano Minio, gli ancora misteriosi Ottaviano e Provolo, figli di Falconetto, un artista
della scuderia sansoviniana come Danese Cattaneo, presto però licenziato, e il già citato Silvio
Cosini, reduce dalla prima, proficua esperienza genovese 38. Lo stretto legame di quest’ultimo
con il Tatti è testimoniato dal fatto che, nello stesso 1533 in cui si apriva il cantiere della volta
antoniana, Cosini mettesse mano alla perduta sepoltura di Sansovino da destinare alla chiesa
di San Geminiano a Venezia 39. Gli stucchi dell’Arca dovevano essere pronti nel giugno 1534,
ma lo scultore d’origine pisana si sarebbe trattenuto in Veneto per un triennio, durante il qua-
le, nella stessa Padova, realizzò altre due opere. Fra il 1534 e il 1537 Cosini completò, sempre
per i padri del Santo, il riquadro marmoreo con Sant’Antonio che risana una donna, lasciato
incompiuto da Giovanni Dentone 40, e nel 1534 modellò il rilievo in stucco con il Cristo in Pietà
sostenuto da angioletti per la facciata del Monte di Pietà, altro cantiere falconettiano 41.
A ben vedere, il solo artista rammentato da Vasari e da tutta la letteratura cinquecentesca
a proposito del soffitto della cappella dell’Arca è proprio Minio 42. Non è questa la sede per
affrontare una difficile (e forse infruttuosa) divisione delle mani, ma basterà rimandare agli
stucchi del Palazzo di Andrea Doria a Genova per porre rimedio alla rimozione operata dalle
fonti 43: a Cosini va restituito nel cantiere del Santo un ruolo di primo piano, se non nell’esecu-
zione, per lo meno nell’invenzione delle vibranti figure e dell’ornato fantastico delle lunette e
96-97. della volta. Gli stucchi padovani ripropongono quasi alla lettera alcune soluzioni genovesi e le
fantastiche grottesche sono perfettamente in sintonia col visionario repertorio di putti, sfingi,
draghi e “fregiature di maschere che gridano” 44 messo in opera da Cosini anche nelle sepoltu-
re toscane, fra cui la Sagrestia michelangiolesca in San Lorenzo a Firenze, così puntualmente
vagliata da Marco Campigli 45. Ad attestare questa preminenza di Silvio nel cantiere patavino
è anche la paga mensile di “ducati 8 d’oro in oro” per un totale di ben duecentosettanta lire,
di contro al salario giornaliero di ventotto soldi riservato ai suoi tre colleghi, che riscossero nel
95, 105. biennio 1533-1534 una somma prossima alla metà della parcella del pisano 46. Le slanciate figu-
re femminili che siedono sul fastigio del monumento Naldi di Minio sembrano per l’appunto
94. risentire della lezione impartita da Silvio Cosini nell’intenso patetismo dei volti resi con rapidi
tocchi, nelle ciocche dei capelli vibranti alla luce, nella veloce esecuzione dei panneggi e nelle
105. profonde gore d’ombra delle cavità di occhi e bocche. Lo stesso vaso all’antica che poggia alle
TIZIANO MINIO 83

loro spalle, rapidamente abbozzato e caricato di due teste d’ariete, serba una traccia del sog-
giorno a Padova dello scultore toscano.
Trasferito nel 1931 ai Musei civici di Padova, dove è stato oggetto di un restauro appena
concluso che ne prevede la ricollocazione nella sede primigenia 47, il primo lavoro autonomo 92, 98, 100.
documentato di Minio certifica questo rapporto con Cosini e poggia su coordinate cronologi-
che sicure. Il 25 maggio 1535 la confraternita di San Rocco richiedeva “a Tizian del quondam
maestro Guido Lizaro de far el novo altaro […] de stucho videlicet la palla con tre figure”,
commissione probabilmente portata a termine entro il 25 agosto 1536, quando Minio è atte-
stato per la prima volta a Venezia 48: l’opera segue di poco i lavori alla volta del Santo, come
denuncia dal canto suo l’assimilazione del repertorio di Cosini, a lungo taciuta dalla critica 49.
Si susseguono vivaci, sui pilastri che inquadrano le tre nicchie, sfingi alate, satiri e maschere
che potremmo incontrare, ad esempio, sui piedritti del cosiniano Monumento Maffei in San
Lino a Volterra 50. È pur vero che questo vibrante repertorio viene meno nel Monumento
Naldi, ma non per questo mancano i nessi fra la prima opera sicura di Minio e l’edicola dei
Carmini: possiamo ad esempio confrontare il leggio da cui la Madonna annunciata s’affaccia,
sull’attico del dossale di San Rocco, con il vaso che corona il monumento del condottiero, si-
milmente drappeggiato e ornato da testine d’ariete; o, più semplicemente, mettere a paragone
l’effige bronzata del militare con il santo eponimo dell’oratorio di San Rocco. Le due statue 99-100.
sono apparentate dai tratti robusti del viso barbuto, dalla bocca pronunciata e dagli occhi
bombati, privi di lavorazione sulla sclerotica. Quanto invece all’inserimento del nostro artista
nella temperie antiquaria patavina, già Andrea Moschetti 51 rilevava, in due putti ignudi che 92.
sostengono l’architrave dell’altare, una memoria del ravennate Trono di Saturno, i cui genietti
romani giunsero a Venezia forse nel primo Quattrocento e che proprio al tempo di Sansovi-
no trovarono posto nell’organo di Santa Maria dei Miracoli. Si potrà precisare che solo uno
dei due spiritelli di Minio, quello alla sinistra dello spettatore, deriva dai rilievi ora al Museo
archeologico veneziano: il fanciullo sulla destra, le braccia alzate dietro la nuca, da cui cala
un drappo aperto a ventaglio, riprende semmai letteralmente i genietti col tridente sul Trono
di Nettuno, i cui rilievi rimasero a Ravenna, dove si conservano ancora nel presbiterio di San
Vitale 52. Rappresentano viceversa un omaggio alla tradizione padovana di Andrea Riccio le
quattro erme imprigionate ai modiglioni dell’altare di San Rocco, memori del Candelabro
pasquale. Di particolare interesse sono, ai fini del nostro discorso, quelle poste alle estremità 98.
laterali, dai volti marcatamente satireschi, che ricordano l’erma alla destra di chi guarda la 99.
controfacciata dei Carmini.
Com’è noto, il dossale dell’oratorio reca anche una puntuale citazione dal catalogo di Ja-
copo Sansovino, poiché la Santa Barbara di Minio riprende quasi alla lettera, dalla testa in giù,
la Madonna col Bambino della berlinese Sacra Conversazione del Tatti 53. Il 1536, data della
probabile consegna dell’altare, segna dopotutto il definitivo ingresso dello scultore padovano
nella cerchia di Sansovino a Venezia: nell’autunno di quell’anno Tiziano figura già sul libro
paga di Jacopo, per aver eseguito nella basilica di San Marco i perduti “stuchi che vanno
attorno al musaico dietro alla porta” 54 e, alla fine dell’anno successivo, lo scultore ricompare
nella contabilità del Tatti per l’assistenza nella fusione dei tre rilievi bronzei della prima can-
toria (o ‘pergolo’, vulgo veneziano) con le Storie di San Marco per il tempio marciano 55. Forte
84 LUCA SIRACUSANO

di questa esperienza, Minio poteva quindi tornare ad operare, ancora una volta, in stucco
nella sua città natale.
Alvise Cornaro aveva già commissionato a Giammaria Falconetto una Loggia nei pressi della
basilica di Sant’Antonio, che l’architetto veronese firmava e datava nel 1524 56. Non disponiamo
di fonti o documenti che ci soccorrano in modo così puntuale per la datazione del secondo edi-
ficio patrocinato dal Cornaro, l’Odeo, che Vasari vuole progettato dal committente medesimo,
con Falconetto nel ruolo di capocantiere 57. Dobbiamo a Wolfgang Wolters il primo studio
dell’ornato in stucco degli ambienti interni, ricordati da Vasari non a caso nella Vita di Falconet-
to di seguito a quelli della basilica di Sant’Antonio 58. Secondo la ricostruzione di Wolters, la de-
corazione dell’edificio doveva esser cominciata all’inizio del quarto decennio del Cinquecento,
forse in questa fase iniziale con una preminenza dei più sopra menzionati Ottaviano e Provolo
Falconetto. Nella seconda metà degli anni trenta, subito dopo la morte dell’architetto veronese,
sarebbe però divenuto Minio il protagonista della decorazione plastica interna. Del rapporto
privilegiato fra lo scultore ed il mecenate abbiamo peraltro numerose prove documentarie, che
certificano l’ospitalità ed il sostegno offerti in quegli anni all’Aspetti dal ‘Vita sobria’ e dal suo
genero Giovanni Cornaro 59.
L’ornato in stucco di questi ambienti, oggetto di un lungo restauro concluso solo nel 2005,
meriterebbe un riesame approfondito, ma ci limiteremo a prendere in considerazione i rilievi di
due sale, con maggiore sicurezza riconducibili a Minio 60. Nel primo ambiente, subito a destra
varcato il vestibolo, corre sull’innesto della volta un fregio di difficile interpretazione icono-
grafica con Scene di un trionfo. Già Wolters poteva rilevare puntuali citazioni dalla Tempesta
del primo ‘pergolo’ di San Marco 61, al quale, come si è detto, Tiziano aveva collaborato quale
fusore. Ne consegue, per questi stucchi padovani, una cronologia prossima al 1537 in cui Minio
veniva liquidato per la sua assistenza al Tatti. Il fregio mostra lo scultore ancora memore del
lavoro svolto al fianco di Cosini per il tocco impressionistico ed il risentito chiaroscuro delle
cavità oculari delle figure, ma Tiziano si rivela ora pienamente sedotto dal classicismo di Jacopo
Sansovino. Per quanto concerne il rapporto con il monumento dei Carmini qui presentato,
102. possiamo portare l’attenzione, fra gli attori di questo corteo, sull’uomo dalla folta zazzera ri-
partita in pesanti ciocche intrise, ripetuto sulla sinistra di due delle quattro scene che corrono
103. sulle pareti: forte è la consonanza, nella conduzione della chioma, con l’erma a mancina di chi
guarda il Monumento Naldi.
108, 110. A testimoniare però la persistenza della lezione di Cosini sono in questa sala soprattutto i
flessuosi draghi che sovrastano il fregio nella parete d’ingresso: le creature teratomorfe dal lun-
109. go collo parlano di un repertorio alieno alla cultura sansovinesca e l’affinità morfologica con le
107. fantastiche grottesche delle volte genovesi di Andrea Doria è impressionante. Se i draghi non
fossero un episodio isolato di così stretta osservanza cosiniana all’interno dell’Odeo, si sarebbe
tentati di parlare di un diretto coinvolgimento nel cantiere dello scultore d’origine pisana, che
proprio nel 1537 riceveva gli ultimi pagamenti dai padri della basilica antoniana, per poi lascia-
re il Veneto e ripartire alla volta della Toscana 62.
Di poco successivi sono gli stucchi di Minio per l’ambiente posto oltre la sala ottagonale
che fa da perno alla pianta dell’Odeo. Rimarca Wolters 63 come le vele angolari riprendano lo
schema della sala di Cesare in Palazzo Te a Mantova, su cui si stagliano però rilievi riconducibili
TIZIANO MINIO 85

alla mano dell’Aspetti. Minio è infatti l’autore sia dei riquadri di soggetto mitologico votati ad
Ercole, sui lati lunghi del soffitto, sia delle quattro grandi figure agli angoli della volta, in atto 101, 104, 106.
di svelare altrettanti stemmi. Sappiamo che la prima figura, un irsuto guerriero, offre un im- 101.
portante indizio cronologico, poiché mostra l’arme di Pietro Bembo coronata del cappello da
cardinale, conferito all’umanista veneziano solo il 13 marzo 1539. I rapporti d’amicizia fra l’au-
tore degli Asolani ed il mecenate padovano sono ben noti e possono risalire fino ad una lettera
vergata da Bembo il 4 luglio 1528 64. Più curioso, tuttavia, che gli altri tre stemmi della sala non
siano mai stati interrogati. È pur vero che uno di questi scudi, troncato in banda, è affetto da
cadute di colore che ne inficiano la lettura, ma è viceversa ben conservato lo stemma Cornaro, 106.
esibito da una figura femminile. Lo scudo si riferisce non tanto al padrone di casa quanto alla
figlia Chiara e al già ricordato marito di lei Giovanni Cornaro, lui sì patrizio e che quindi poteva
fregiarsi dello stemma. I due si erano uniti in matrimonio il primo luglio 1537 65. Di interesse
ancora maggiore è, infine, l’arme mostrata dal secondo dei due barbuti soldati di stucco, rico- 104.
noscibile quale blasone dei Della Rovere di Urbino 66. Guidubaldo II, quinto duca urbinate,
ebbe forse i primi contatti con l’ambiente padovano in età giovanile, al tempo del suo esilio
presso i Gonzaga 67. I suoi legami con Alvise sono un capitolo ancora da esplorare, ma possiamo
ricordare una celebre ed eloquente lettera del gennaio 1546, in cui l’Aretino scrive al più volte
citato Giovanni Cornaro “che la Eccellenza de l’ottimo duca Guido Baldo degnò menarmi ad
alloggiar seco ne la regia vostra” a Padova 68: la presenza dello stemma Della Rovere nell’Odeo
costituisce dunque un’ulteriore traccia per le indagini future sulle relazioni fra i due Cornaro, il
Bacci ed il duca di Urbino ed è, come vedremo oltre, la chiave più immediata per interpretare il
più tardo viaggio marchigiano di Minio del 1548. Ai fini della cronologia degli stucchi si potrà
poi ricordare che Guidubaldo prese definitivo possesso delle sue terre dopo la morte del padre
nell’ottobre 1538 e che, nel luglio successivo, ottenne dalla Serenissima conferma del comando
di un esercito di fanti e cavalleggeri. Può forse essere significativo, infine, che il buffone della
corte roveresca Atanasio Monaldo da Cagli registri in apertura del suo diario, in data 16 marzo
1539, il passaggio da Padova del suo signore 69. Tiziano si trovava presso Alvise Cornaro il 14
luglio 1539 ed il 2 aprile di quell’anno aveva preso bottega assieme ad Andrea da Valle, altro
artista legato a doppio filo al mecenate 70. Se è per ora imprudente spingersi oltre, possiamo ag-
giungere che a definire la cronologia di questi stucchi concorre pure la forte prossimità stilistica
con le Vittorie che sostengono lo stemma Contarini sul palazzo municipale patavino, segnato
dal millesimo 1541 e giustamente attribuito al nostro scultore già da Venturi 71.
Sono proprio queste quattro grandi figure modellate nell’Odeo a prestarsi ai paragoni più
stringenti con il monumento Naldi. La fanciulla, che nella sala svela lo stemma Cornaro, si erge 106.
su un busto dalle eleganti proporzioni allungate, ricoperta da un morbido panneggio che la
apparenta alle due slanciate prefiche dell’edicola dei Carmini: tipica di questo momento stili- 105.
stico di Minio è pure la maniera delle figure di stringersi nelle spalle, che possiamo incontrare
anche nel catalogo di Sansovino, anzitutto nel secondo rilievo eseguito dal Tatti per la cappella
antoniana di Padova 72. Va rilevato in questo senso come verso il 1540 Minio compisse un deciso
passo in avanti nell’adesione ad un classicismo di matrice sansovinesca. Per quanto concerne
invece il rapporto fra gli stucchi e le terrecotte Naldi, il militare barbuto che nella residenza
padovana svela lo stemma Bembo va messo a paragone con l’erma alla sinistra del condottiero, 99, 101.
86 LUCA SIRACUSANO

per l’espressione caricata e la lavorazione fluida della barba e dei lunghi baffi ondati. La stessa
99. tipologia della corazza ed il modellato del misterioso armato richiamano l’effigie d’argilla bron-
zata di Giovanni Naldi.
Possiamo dunque concludere che, se si accoglie l’attribuzione in favore di Minio del monu-
mento della chiesa carmelitana, sarà necessario postulare un ritardo di alcuni anni nell’esecuzio-
ne dell’opera rispetto alla scomparsa del condottiero. È da pensare che il 1528 sull’epigrafe vada
semplicemente considerato come la data di morte o di sepoltura del militare, che sappiamo per
certo essere caduto il 28 agosto di quell’anno. Il millesimo inciso in calce all’iscrizione sembra
in effetti una data davvero troppo precoce per la cultura figurativa messa in campo nell’edicola:
una cronologia troppo alta che precluderebbe gli stessi influssi cosiniani, dal momento che lo
scultore toscano non vantava in quell’anno alcuna opera veneta ed era ancora impegnato ad
intagliare gli angeli per il Duomo della sua città d’origine 73. Difficile spiegare allo stato attuale
degli studi uno sfasamento grossomodo decennale fra la morte di Giovanni Naldi e l’esecuzio-
ne del suo monumento, ma il legame dei Naldi con la città, il loro patronato di una cappella
all’interno della chiesa dei Carmini ed il duraturo servizio di uomini d’arme di quel casato per
la Serenissima non rendono certo impossibile una memoria leggermente posticipata da parte
del consiglio cittadino. Il condottiero fu infatti un eroe nella difesa di Padova del 1513 e, do-
cumenti alla mano, va considerato come il vero patriarca del ramo patavino della sua famiglia:
le carte reperite presso l’Archivio di stato di Padova mostrano come proprio dalla discendenza
di Giovanni avesse proliferato per oltre un secolo la linea veneta dei Naldi 74. Andrà a questo
proposito ricordato che altri membri della dinastia trovarono sepoltura in quel torno d’anni
nel tempio carmelitano, come Pietro Francesco, deceduto nel febbraio 1549, e che l’epigrafe
di Giovanni era in origine accompagnata dall’epitaffio di Babone, morto nel 1544, aspetto che
testimonia di un continuativo interesse dei Naldi per questa chiesa 75.
93. L’opera sembra ragionevolmente trovare posto nel catalogo di Minio in una data assai pros-
101, 104, 106. sima agli stucchi dell’ultima sala dell’Odeo Cornaro, databili al 1540 circa, e ci ha permesso di
svolgere alcune riflessioni sul primo decennio di attività dello scultore. Fra i suoi colleghi veneti,
l’Aspetti appare infatti l’unico, grazie all’incontro cruciale sui ponteggi del Santo, a risentire
degli anni padovani di Silvio Cosini. La rapidità di tocco e l’impressionismo delle figure model-
late da Tiziano può essere spiegata solo attraverso il rapporto con lo scultore d’origine pisana,
attivo nei cantieri falconettiani come il Monte di Pietà e, più estesamente, la cappella dell’Arca
di Sant’Antonio. L’Odeo Cornaro, il terzo cantiere avviato da Giammaria Falconetto negli anni
trenta, vedrà finalmente all’opera Minio in modo autonomo, e qui lo scultore si mostra in grado
di elaborare una personale sintesi fra la lezione di Silvio Cosini e quella di Jacopo Sansovino.
Il monumento dei Carmini sembra appunto mediare fra il tocco vibrante, la profondità chia-
roscurale e il repertorio fantastico del primo e le figure più ammanierate e classicheggianti del
secondo.
Si comprende allora come l’intenso patetismo e l’aria stralunata di alcune figure di Minio
giovane trovino una spiegazione solo parziale nella tradizione padovana e in quel filone espres-
sivo della scultura veneta che muoveva da Donatello e Bellano per giungere attraverso Riccio
fino al pieno Cinquecento 76. Fra Minio e Cosini vi fu forse una qualche consorteria spirituale.
Se per le stravaganze del “capriccioso e forse maliastro” pisano disponiamo della biografia di
TIZIANO MINIO 87

Vasari (davvero difficile scordare l’episodio del “coietto” d’impiccato) 77, le pagine di un pro-
cesso reso noto da Erice Rigoni sono dal canto loro una valida patente della condotta dell’ar-
tista patavino 78. Una causa del 1553, intentata poco dopo la morte di Minio, contrappone i
fratelli dell’artista alla famiglia del loro vecchio tutore, per questioni legate all’eredità paterna.
I testimoni chiamati ad evocare la figura dello scultore ne tracciano un profilo di uomo scaltro,
scialacquatore e ghiotto (ma anche “bon compagno” capace di “intratenirse fra gentilhomeni”),
che non stonerebbe nella galleria dei più irregolari e bizzarri artisti delle Vite di Vasari.
Possiamo forse dire che le fantasiose figure in stucco e in terracotta fin qui esaminate andran-
no intese come le degne anticipatrici di quelle “cose tutte piene di invenzioni, capricci e varietà”
che proprio Vasari ricordava e lodava come opera dell’Aspetti, quando quest’ultimo fu chiama-
to a Venezia nel 1542 a lavorare all’allestimento vasariano della Talanta di Pietro Aretino, altro
illustre estimatore del Nostro79. E non è improbabile che proprio le doti di artista dell’effimero,
“adoperato in ornamenti di scene, teatri, archi […] con suo molto onore”, abbiano giocato un
ruolo importante nel volgere a Minio il favore di Alvise Cornaro, data la proverbiale predilezio-
ne di quest’ultimo per il teatro e per Ruzante 80. Gli anni quaranta del Cinquecento segnarono
la definitiva consacrazione dello scultore nell’ambiente lagunare, anche grazie all’appoggio del
suo mecenate. Considerato infine l’inserimento dello stemma di Guidubaldo Della Rovere nelle 104.
sale dell’Odeo, di cui si è detto, possiamo concludere che fu con ogni probabilità il Cornaro
a suggerire Minio per gli apparati allestiti nel gennaio 1548 a Pesaro e Urbino in occasione
dell’ingresso nel ducato di Vittoria Farnese, sposa di Guidubaldo dal giugno precedente. L’im-
piego dello scultore è attestato dai versi contemporanei di Pietro Girolamo Figoli da Cagli e da
una ammirata lettera del Bacci, lui pure in stretto rapporto con il Della Rovere e che poté quindi
a sua volta favorire la chiamata nelle Marche dell’artista 81. Questo episodio registra dunque
Minio all’interno di una rete di relazioni tra figure cardinali della cultura veneta del tempo quali
l’Aretino ed Alvise (e Giovanni) Cornaro e Guidubaldo II Della Rovere.
Giustamente Adolfo Venturi rilevava che lungo quella decade “anche al maestro padovano
è giunta l’eco dei moduli parmigianineschi” 82, in anticipo su quanto eseguirà più tardi Alessan-
dro Vittoria, che di lì a poco sarebbe subentrato a Sansovino quale scultore di riferimento per
l’area veneta 83. Sul campo dell’adesione ai moduli proporzionali finemente allungati, desunti
dagli esempi grafici del Mazzola e già preannunciati dalle sfilate figure sul coronamento Naldi, 95, 105.
si giocano probabilmente le indagini future sullo scultore. In questo snodo nel percorso di
Minio un ruolo chiave dovette rivestire il dialogo serrato con Danese Cattaneo, per il quale
Massimiliano Rossi ha puntualmente illustrato l’interesse per i disegni di Parmigianino 84. Tizia-
no collaborò a più riprese con lo scultore carrarese, grossomodo suo coetaneo, sull’attico della
Loggetta in piazza San Marco a Venezia 85 e, come consociati a partire dal 1543, nell’incompiuta
impresa della cancellata bronzea per l’Arca di Sant’Antonio nella basilica del Santo 86. È un
lavoro, quest’ultimo, che viene lodato dalle fonti, i cui modelli in cera furono ricercati da un ar-
tista più giovane come Francesco Segala ma di cui, purtroppo, nulla è giunto sino a noi 87. Minio
moriva improvvisamente, ad una età di circa quarant’anni, nella primavera 1552, troncando lo
slancio impresso alla sua carriera e lasciando senza esito la commissione, peraltro sospesa dai
padri francescani l’anno precedente 88. I possibili sviluppi ulteriori di quel lavoro si intuiscono
nel coevo coperchio del fonte battesimale di San Marco a Venezia, incarico di straordinario 111.
88 LUCA SIRACUSANO

prestigio siglato dall’Aspetti nel 1545 assieme a Desiderio da Firenze, ancora una volta sotto
l’egida di Alvise Cornaro 89: nelle scene del Precursore, l’allungamento proporzionale delle
figure raggiunge il culmine.
112. Può essere confrontata con questa impresa veneziana una graziosa Madonna con il Bambi-
no di collezione privata, opera lapidea nata con ogni probabilità per la devozione domestica,
date le minute dimensioni 90. L’ampio velo che cala dal capo della Vergine, la posa irrequieta
del Bambino in atto di benedire e la disposizione fuori asse del gruppo scultoreo, concepito
per tagli diagonali, parla di una rielaborazione dei fortunati prototipi mariani della maturità
di Sansovino, che alla metà del Cinquecento colpirono l’attenzione non solo degli scultori, ma
anche dei pittori della Serenissima 91. Tali elementi contribuiscono a collocare l’opera in area
veneta a ridosso del 1550 e, nello specifico, è possibile mettere a paragone l’elegante busto della
106. Madonna con la già citata figura femminile dell’Odeo, la cui veste è percorsa da analoghe pie-
111. ghe a “V” ripetute. Ma è forse con il San Matteo del battistero marciano che possiamo istituire
i confronti più calzanti, per il peculiare modo di stendere le sciabole dell’ampio panneggio in
lunghe pieghe falcate. È pur vero che attendono di essere ricostruite molte delle personalità che
ruotavano a quel tempo attorno a Sansovino, aspetto che richiede prudenza circa la paternità
della Madonna; nondimeno, è possibile accostare tentativamente la piccola scultura agli ultimi
lavori documentati di Minio.
Resta lo spazio per una proposta in favore dell’Aspetti bronzista. Ricorda Vasari che per
coronare il coperchio di San Marco “aveva costui fatto la statua d’un San Giovanni […] per
gettarla di bronzo” 92, mai fusa per la sopraggiunta morte dello scultore. Non disponiamo oggi
di documenti utili per saggiare la bontà della notizia, ma è certo che il fonte potrà dirsi compiu-
to solo diversi anni dopo la dipartita di Tiziano, quando nel 1565 Francesco Segala consegnò
il suo San Giovanni 93. Sopravvive tuttavia di Minio una effigie del Battista, certamente non
113. quella destinata a San Marco poiché lapidea e probabilmente in pietra di Nanto, finora trascu-
rata dagli studi. Quando nel 1937 il Nelson-Atkins Museum di Kansas City entrò in possesso
di questa statua, siglata sulla base OPVS TITIANI [...]I F(ECIT), la scultura fu resa nota non
come lavoro di Minio, ma come opera di suo nipote Tiziano il Giovane, sebbene lo stile ed i
rimandi sansovineschi parlassero in favore della cronologia del più anziano fra i due artisti 94:
ecco ripresentarsi, nel cuore del Novecento, lo scambio d’identità fra i due Tiziano Aspetti scul-
tori padovani del XVI secolo, da cui abbiamo preso le mosse. Sebbene i successivi cataloghi del
museo ponessero rimedio al lapsus 95, l’equivoco iniziale sembra aver contribuito a mantenere
a margine degli studi quella che, ad oggi, è l’unica opera firmata di Minio 96. Se non è per ora
possibile ancorare la scultura ad alcun documento o alle fonti, è tuttavia stretto il rapporto con
114. un bronzetto di identico soggetto entrato nel 2001 nelle collezioni di Hans-Adam II di Lie-
chtenstein. La statuetta, alta poco più di cinquanta centimetri ed esibita nelle sale del viennese
Liechtenstein Museum, ha goduto di una recente fortuna espositiva 97 e viene correntemente
assegnata a Jacopo Sansovino 98, sebbene fosse stata pubblicata per la prima volta da Wilhelm
Bode con una attribuzione solo dubitativa in favore del Tatti 99, rifiutata una prima volta da
James D. Draper 100.
Secondo le recenti schede del bronzetto Liechtenstein, il brano naturalistico del tronco d’al-
bero alle spalle del Battista risulta superfluo ai fini della statica e denuncia il legame con una
TIZIANO MINIO 89

scultura in pietra di più grandi dimensioni, il cui modello in cera sarebbe a monte della statuet-
ta 101. Anziché pensare ad un perduto prototipo sansoviniano, del quale non abbiamo alcuna
notizia, possiamo forse più semplicemente rimarcare come, dal capo in giù, il Battista viennese 114.
riproponga con poche varianti proprio la scultura di Kansas City firmata da Minio. Nel bronzo, 113.
l’omaggio alla scultura donatelliana di identico soggetto ai Frari appare nelle corde dello scul-
tore padovano, che nell’ultima opera documentata, la Giustizia sul Palazzo municipale di Pa-
dova, decise di rifarsi proprio a Donatello, nello specifico alla Madonna sull’altare maggiore del
Santo 102. La chioma dalle pesanti ciocche bagnate, l’intenso patetismo del viso e le proporzioni
sfilate del bronzetto parlano ancora una volta di una parentela con gli ultimi stucchi Cornaro,
con una datazione forse di poco posteriore: i dati stilistici non precludono anzi una sostanziale
contemporaneità ai lavori del battistero marciano, quando lo scultore doveva riflettere sulle
modalità di raffigurazione del Precursore. La proposta in favore di Minio dell’opera viennese
vuole essere un contributo alla ricostruzione di un artefice che, secondo i contemporanei, era
in grado di porre nella fusione di un bronzo tanta perizia “ut candelabro aeneo Andreae Crispi
nihil prorsus invideat” 103.

* Questo contributo deve molto ai dialoghi con Andrea Bacchi, Franco Benucci, Marco Campigli (davvero generoso anche
nel donarmi le immagini ‘cosiniane’), Giancarlo Gentilini e Claudia Kryza-Gersch: rivolgo a loro un sincero ringraziamento.
Desidero inoltre ringraziare il personale del gabinetto fotografico e il direttore dei Musei civici di Padova Davide Banzato.

1
G. F. FORESTI, Supplemento alle croniche del reverendo padre frate Iacopo Philippo da Bergamo, Venezia 1540, c.
CCCXVIr.
2
Per questi temi cfr. ad esempio Magnificenza dei Naldi: Dionigi e Vincenzo Naldi capitani delle fanterie venete del
secolo XVI, atti degli incontri di studio (Venezia, 12 novembre 2005-Brisighella, 22 aprile 2006), Faenza 2009. Si pensi alla
“Statua pedestre di Dionisio Naldo da Brisighella, scolpita da Lorenzo Bregno” in San Zanipolo a Venezia, ricordata da F.
SANSOVINO, Venetia città nobilissima e singolare, Venetia 1581, cc. 20r-v. L’effigie del condottiero, attribuita da Sansovino
a Lorenzo Bregno, è più probabilmente opera di Antonio Minelli, come ha dimostrato A. MARKHAM SCHULZ, Giambattista
and Lorenzo Bregno: Venetian Sculpture in the High Renaissance, Cambridge 1991, pp. 203-206, cat. 31.
3
Si tratta di una casa sita in contrada Sant’Agnese a Padova, confiscata a Nicolò Trapolin. Il documento, datato
26 agosto 1513, viene riportato da G. ZAULI NALDI, Cenni storici della famiglia Naldi di Faenza, Faenza 1875, pp. 14-15. Si
conserva copia dell’atto nei documenti del ramo padovano della famiglia Naldi, conservati in Padova, Archivio di Stato,
Corporazioni soppresse, Santa Maria Mater Domini, b. 15, c. 26.
4
Il testamento si conserva in copia in ASPd, Corporazioni soppresse, Santa Maria Mater Domini, b. 15, cc. 43-44.
5
Dopo la rovina del tempio del 1490, la ricostruzione della chiesa dei Carmini fu avviata ad opera di Lorenzo da
Bologna e Pietro Antonio degli Abati da Modena e conclusa da Biagio da Ferrara, che portò a compimento l’edificio entro
il 1523. A. PORTENARI, Della felicità di Padova, Padova 1623, p. 459; E. RIGONI, Pietro Antonio degli Abati da Modena e
Lorenzo da Bologna ingegneri architetti del XV secolo, in ‘Atti e memorie dell’Accademia di scienze, lettere ed arti in Pa-
dova’, L, 1933-1934, pp. 391-416, ora in L’arte rinascimentale in Padova. Studi e documenti, Padova 1970, pp. 141-151; C.
GASPAROTTO, S. Maria del Carmine di Padova, Padova 1955, pp. 176-178, 401, doc. XXIX.
6
G. VIVIANI MARCHESI, Monumenta virorum illustrium Galliae togatae olim Occidentalis Imperij sedis, Forlì 1727,
p. 134.
7
In questa sede non è stato possibile reperire ulteriore documentazione d’archivio sulla commissione del monu- 93.
mento, forse anche a causa di una lacuna che interessa per gli anni 1520-1529 gli atti dei Deputati ad utilia nel fondo Civico
Antico dell’Archivio di stato di Padova. L’epigrafe cita per esteso “NALDVS EGO HIC IACEO MONVMENTVM ET
GLORIA BELLI / NON LEVIS AVSONIOS INTER HABENDA DVCES / ASSVETVS BIS CENTVM EQVITES IN
OMNE PERICLVM / BIS TERNAS PEDITVM DVCERE CENTVRIAS / FLAMINIAM MEDIO FVRIBVNDI ARDO-
RE GRADIVI / INGENIVM REXIT TEXIT AB HOSTE MANVS / DVM PREMEREM ANGLIVM ATQVE INTVS
90 LUCA SIRACUSANO

PREMERETVR HIBERI / TRANSIFIXIT PECTVS PLVMBEA MASSA MEVM / VIXI LVSTRA NOVEM GEN-
VITQUE FAVENTIA MATER / VRBS PATAVI SEPELIT ME GEMIT ITALIA MDXXVIII”.
8
Racconda Marin Sanudo che “vene in Collegio 4 puttini et do puttine fo de Zuan di Naldo fo amazato sotto
castel Sant’Anzolo, vestiti di negro, ricomandandosi al Serenissimo. Et la madre è graveda; voriano li fosse data qualche
provisione”. M. SANUDO, I diarii, Bologna 1960-1970, 58 voll, XLVIII, coll. 465-466. Il Senato non mancò di accordare il
sostentamento economico che consisteva in “ducati trecento da lire sei soldi quatro per ducato al anno, quali siano pagati
dalla camera nostra di Padoa”; ai figli maschi, per favorirli nel “seguir li paterni vestigij nel exercitio militare, sia preso che
alli doi maggior quando serano in idonea et conveniente età sia data condutta di cavalli leggieri cinquanta per uno”; alle due
figlie femmine “per coadiuvamento del maritar suo” vengono infine riconosciuti quale dote “ducati trecento per una da lire
sei, soldi quatro per ducato”. Venezia, Archivio di Stato, Senato, Deliberazioni, Terra, reg. 25, c. 85.
9
B. SCARDEONE, De antiquitate urbis Patavii, Padova 1560, p. 429.
10
Alcune memorie scritte dall’abbate Giuseppe de Gennari sopra varie chiese di Padova, Padova, Biblioteca del Se-
minario, Ms. 679, s. n. p.
11
La citazione è da Jacopo Salomoni, che tramanda la sepoltura nella medesima chiesa di Pietro Francesco Naldi,
morto nel 1549. J. SALOMONI, Urbis Patavinae inscriptioines sacrae et prophanae, Padova 1701, pp. 158-159, 164-165, nn. 50,
52. Cfr. per il lapsus fra Babone e Guido S.a., Descrizione della Chiesa di Santa Maria del Carmine, in Diario o sia giornale
per l’anno 1760, Padova 1760, pp. 104-114, speciatim 113; G. B. ROSSETTI, Descrizione delle pitture, sculture et architetture
di Padova, Padova 1780, p. 223; G. MOSCHINI, Guida per la città di Padova all’amico delle belle arti, Venezia 1817, p. 57;
P. SELVATICO, Guida di Padova e dei principali suoi contorni, Padova 1869, p. 112, che notava la statua “attorniata da buoni
ornamenti” e giudicava il monumento “non ignobile”.
93. 12
GASPAROTTO, S. Maria... cit. (nota 5), pp. 214-215. Il monumento vi è presentato come “opera di tendenza san-
soviniana, ma di stile più vigoroso di quello, leggiadro, del grande scultore fiorentino” e veniva dubitativamente assegnato
“per alcuni caratteri stilistici e per il tipo della corazza” a Danese Cattaneo.
13
F. SCOTTO, Itinerario overo nova descrittione de’ viaggi principali d’Italia, Venezia 1645, p. 62. Si tratta di un adden-
dum che manca, ad esempio, nella precedente edizione vicentina del 1615.
14
Sullo scultore, cui dobbiamo il celebre Mercurio un tempo di Marcantonio Michiel e oggi al Victoria and Albert
Museum di Londra, cfr. J. POPE-HENNESSY, A Statuette by Antonio Minelli, in ‘The Burlington Magazine’, XCIV, 1952,
pp. 24-28; A. MARKHAM SCHULZ, Four New Works by Antonio Minello, in ‘Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes
in Florenz’, XXXI, 1987, pp. 291-236; M. PIZZO, Sculture di Antonio Minello nella basilica del Santo, in ‘Bollettino del
Museo civico di Padova’, LXXIX, 1990, pp. 155-176; A. MARKHAM SCHULZ, Two New Works by Antonio Minello, in ‘The
Burlington Magazine’, CXXXVII, 1995, pp. 799-808; A. SAVIELLO, Tugendhafte Eva: die Frau-Kind-Gruppen in den Reliefs
der Grabmalskapelle des heiligen Antonius von Padua, in ‘Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz’, XLIX,
2005, pp. 232-352; P. LÜDEMANN, Ein mythologisches Relief von Antonio Minello: Überlegungen zu Ikonographie und Prove-
nienz, in ‘Wallraf-Richartz-Jahrbuch’, LXX, 2009, pp. 291-304.
15
Per lo scultore cfr. la monografia di A. MARKHAM SCHULZ, Giammaria Mosca called Padovano: a Renaissance Scultor
in Italy and Poland, University Park 1998, 2 voll.; EAD., A Newly Discovered Work by Giammaria Mosca, Called Padovano,
in ‘The Burlington Magazine’, CXLVI, 2004, 1219, pp. 656-664.
16
Su Silvio Cosini cfr. M. CAMPIGLI, Silvio Cosini scultore di marmo e di stucco, tesi di dottorato, Università degli
Studi di Udine, a. a. 2005/2006. Per la lettera, Lettere inedite di Lorenzo Lotto su le tarsie di Santa Maria Maggiore in Berga-
mo, a cura di L. CHIODI, Bergamo 1962, p. 46, nr. 19. La proposta di identificazione spetta a Charles Davis. Cfr. M. HOCH-
MANN, Venise et Rome 1500-1600. Deux écoles de peinture et leurs échanges, Genève 2004, p. 248, nota 9. Non si è tuttavia
riscontrata l’affermazione in C. DAVIS, La grande Venezia a Londra. Ancora note in margine della mostra (con alcune schede
veneziane), in ‘Antichità viva’, XXIII, 1984, 6, pp. 45-52, cui Michel Hochmann rinvia in nota.
17
Jacopo Sansovino compare per questa commissione sul libro di spese dei massari dell’Arca fino al 1536. Per i do-
cumenti sul rilievo, cfr. B. GONZATI, La basilica di Sant’Antonio di Padova, Padova 1852-1853, 2 voll., I, p. CIV, doc. XCVIII.
Sulla decorazione della cappella di Sant’Antonio, autentico manuale tridimensionale della scultura veneta del Cinquecento,
cfr. S. BLAKE MCHAM, The Chapel of St. Anthony at the Santo and the Development of Venetian Renaissance Sculpture,
Cambridge 1994 (speciatim 52-54, 213-216, per il rilievo in oggetto). Sul rilievo, cfr. inoltre PIZZO, Sculture... cit. (nota 14),
speciatim 159; B. BOUCHER, The Sculpture of Jacopo Sansovino, New Haven 1991, 2 voll., I, pp. 94-95, II, pp. 336-337.
18
Per questi aspetti, cfr. G. GENTILINI, La terracotta a Padova e Andrea Riccio, “celebre plasticatore”, in Rinascimento
e Passione per l’antico. Andrea Riccio e il suo tempo, catalogo della mostra di Trento a cura di A. BACCHI - L. GIACOMELLI,
Trento 2008, pp. 59-75.
TIZIANO MINIO 91

19
Il soprannome “Minio” compare la prima volta in SCARDEONE, De antiquitate... cit. (nota 9), pp. 376-377, cui
dobbiamo il più antico profilo biografico dell’artista. Cfr. RIGONI, Notizie sulla vita e la famiglia dello scultore Tiziano Aspetti
detto Minio, in ‘Arte veneta’, VII, 1953, pp. 119-122, ora in L’arte rinascimentale... cit. (nota 5), pp. 201-215. Per un aggior-
nato profilo biografico dello scultore, cfr. M. LEITHE-JASPER, Tiziano Minio, in “La bellissima maniera”. Alessandro Vittoria
e la scultura veneta del Cinquecento, catalogo della mostra di Trento, a cura di A. BACCHI - L. CAMERLENGO - M. LEITHE-
JASPER, Trento 1999, p. 227; La scultura a Venezia da Sansovino a Canova, a cura di A. BACCHI, con la collaborazione di S.
ZANUSO, Milano, pp. 762-763; LEITHE-JASPER, Tiziano Aspetti detto Minio, in Donatello e il suo tempo. Il bronzetto a Padova
nel Quattrocento e nel Cinquecento, catalogo della mostra di Padova, a cura di M. DE VINCENTI, Milano 2001, pp. 239-242.
20
M. MICHIEL, Notizia d’opere di disegno, nella prima metà del secolo XVI, esistenti in Padova, Cremona, Milano,
Pavia, Bergamo, Crema e Venezia, a cura di J. MORELLI, Bassano del Grappa 1800, pp. 26-27. È Michiel a ricordare che la
Decollazione di San Giovanni battista nel Duomo di Padova “fu di mano di man di Zuan Maria Padoan, gettado da Mistro
Guido Lizzaro Padoano”. Ibidem, p. 29. L’opera si data al 1516 sulla base di ROSSETTI, Descrizione... cit. (nota 11), p. 147.
Per una scheda del bronzo, talvolta erroneamente ricondotto a Minio, cfr. M. DE VINCENTI, Giammaria Mosca detto il Pa-
dovano, in Donatello e il suo tempo... cit. (nota 19), p. 230, cat. 62.
21
MARKHAM SCHULZ, Giammaria Mosca... cit. (nota 15), I, pp. 34-35, 200-202, docc. 7, 9. La studiosa propone in
modo convincente l’identificazione di Minio nel “Tician” pagato come “garzon” in data 15 giugno 1528 e 22 febbraio 1529.
Si potrà aggiungere che di un certo interesse è anche la presenza di un “Agostino suo lavorante”, pagato il 17 marzo 1528,
identificabile con ogni probabilità nel giovane Agostino Zoppo. Si tratterebbe del più antico documento su questo scultore.
Per gli atti, si veda Padova, Archivio dell’Arca, reg. 392, c. 76; reg. 394, c. 62.
22
A. SARTORI, Documenti per la storia dell’arte a Padova, a cura di C. FILLARINI, con un saggio di F. BARBIERI, Vicenza
1976, p. 164; ID., Archivio Sartori. Documenti di storia e arte francescana. IV. Guida della basilica del Santo, varie, artisti e
musici al Santo e nel Veneto, a cura di G. LUISETTO, Padova 1989, p. 217, nr. 295.
23
Il documento del 25 agosto 1536 viene pubblicato da P. PAOLETTI, L’architettura e la scultura del Rinascimento in
Venezia, Venezia 1893, p. 116, nr. 108. Lo scultore padovano viene menzionato come “Thicianus quondam ser Guide sculp-
tor de Aspectis”. Cfr. per l’opera BOUCHER, The sculpture...cit. (nota 17), I, pp. 60, 149-150. La paternità della Madonna con
il Bambino, al centro dell’ancona, viene solo dubitativamente assegnata da Bruce Boucher a Minio. L’opera non si presta
in effetti a stringenti confronti con le opere sicure dello scultore e lo stesso studioso americano propone come possibile
alternativa Antonio Buora, impegnato ad intagliare l’altare su disegno di Sansovino.
24
G. VASARI, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori ed architettori, nelle redazioni del 1550 e 1568, testo a cura di
R. BETTARINI, commento secolare a cura di P. BAROCCHI, Firenze 1966-1987, 6 voll., VI, p. 189.
25
SCARDEONE, De antiquitate... cit. (nota 9), p. 428.
26
Due celebri lettere del poligrafo attestano il rapporto con lo scultore. Lettere sull’arte di Pietro Aretino, a cura di
E. CAMESASCA, Milano 1957-1960, 3 voll., II, p. 115, nr. CCLXXVIII; pp. 246-247, nr. CDLVI. Nella prima lettera, spedita
nel novembre 1545 da Venezia, l’Aretino dichiara il suo amore e i suoi obblighi verso Minio dovuti tanto ai “presenti che sì
spesso da Padova mi fate” quanto alla virtù di valente bronzista dell’Aspetti; nella seconda, inviata dalla Laguna nel giugno
1548, il Bacci conferma l’apprezzamento del fonditore e con parole ammirate dichiara di aver visto il “pubblico schizzo che
lo stile de la fama ha tolto da tutte quante le belle cose d’intaglio vero e finto che avete fatte in Pesaro e Urbino nel nuziale
trionfo de la signora Vittoria e del duca Guidobaldo”, per cui si veda ultra e nota 81.
27
Si presta a confronti con lo stile di Minio anche una scultura in legno quale il San Paolo pubblicato da BACCHI,
Scultore veneto. 1550 ca., in Opere scelte, a cura di M. VEZZOSI, Firenze 2002, pp. 33-37, cat. 3.
28
F. BALDINUCCI, Notizie de’ professori del disegno da Cimabue in qua, Firenze 1681-1728, 6 voll., V, p. 164.
29
Per un profilo biografico aggiornato su Tiziano Aspetti il Giovane, cfr. C. KRYZA-GERSCH, Tiziano Aspetti, in “La
bellissima maniera”... cit. (nota 19), pp. 417-421; La scultura a Venezia... cit. (nota 19), pp. 689-690; KRYZA-GERSCH, Tiziano
Aspetti, in Donatello e il suo tempo... cit. (nota 19), pp. 343-349.
30
BALDINUCCI, Notizie... cit. (nota 28), V, p. 164 (corsivo mio).
31
Dell’errore di Baldinucci si era avveduto, ad esempio, ROSSETTI, Descrizione... cit. (nota 11), p. 35.
32
A. METELLI, Storia di Brisighella e della Valle di Amone, Faenza 1869, p. 113.
33
SCARDEONE, De antiquitate... cit. (nota 9), p. 429.
34
Nel 1532 i registri della Veneranda Arca di Sant’Antonio riportano l’architetto veronese in qualità di soprastante.
Padova, Archivio dell’Arca, reg. 397, c. 77r. Per il documento cfr. A. SARTORI, Archivio Sartori. Documenti di storia e arte
francescana. I. Basilica e convento del Santo, a cura di G. LUISETTO, Padova 1983, p. 363, nr. 482; BLAKE MCHAM, the Cha-
pel... cit. (nota 17), p. 233, doc. 94.
92 LUCA SIRACUSANO

35
“Maestro Tician” risulta sul libro dei conti per la sua opera prestata fra il 30 marzo e il 15 giugno 1532. Padova,
Archivio dell’Arca, reg. 397, c. 85v-86r. Per altri pagamenti di maestranze, si veda SARTORI, Documenti... cit. (nota 22), p. 236.
36
Padova, Archivio dell’Arca, reg. 182, cc. 34r-v; SARTORI, Documenti... cit. (nota 22), p. 95; ID., Archivio Sartori.
Documenti di storia e arte francescana. I... cit. (nota 34), p. 363, nr. 483; BLAKE-MCHAM, The Chapel... cit. (nota 17), p. 233,
doc. 93. Per il restauro della volta, cfr. La Basilica di Sant’Antonio a Padova. Il restauro al Santo. Documenti e testimonianze
dal cantiere, a cura di M. COGOTTI - M. SILVESTRI, Roma 2004, pp. 100-138.
37
VASARI, Le vite... cit. (nota 24), IV, p. 593.
38
Si è proposto di individuare nel San Pietro e nel San Giacomo maggiore della cappella antoniana la prima attività
di Bartolomeo Ridolfi. Per questa ipotesi cfr. L. ATTARDI, La decorazione “all’antica” nella Vicenza di Palladio. Alessandro
Vittoria in Palazzo Bissari-Arnaldi, Vicenza 1999, p. 55, nota 71; EAD., Alessandro Vittoria e l’origine dei “cimieri ornati” nel
camino veneto, in Alessandro Vittoria e l’arte veneta della maniera, atti del convegno internazionale di studi (Udine, 25-27
ottobre 2000), a cura di L. FINOCCHI GHERSI, Udine 2001, pp. 41-56, speciatim 50. La proposta non trova però riscontro
nella puntuale contabilità del cantiere, dove, al di fuori di Cosini, Minio, Cattaneo e dei due Falconetto, vengono tutt’al più
registrati pagamenti in favore di un misterioso “Alovise lavorante et garzon”, a partire dal 23 agosto 1533. Per i documenti,
si rinvia alla nota 49.
39
SANSOVINO, Venetia... cit. (nota 2), c. 44r; BOUCHER, The sculpture... cit. (nota 17), I, pp. 125, 233-234, cat. 256.
40
E. RIGONI, Su uno dei quadri marmorei della cappella del Santo, in ‘Il Santo’, III, 1931, pp. 321-331, ora in L’arte
rinascimentale... cit. (nota 5), pp. 239-253; BLAKE-MCHAM, The chapel... cit. (nota 17), pp. 54-56, 216-219.
41
E. RIGONI, Un rilievo di Silvio Cosini sulla facciata del Monte di pietà di Padova, in ‘Rivista d’arte’, II, 1930, pp.
485-495, ora in L’arte rinascimentale... cit. (nota 5), pp. 279-283.
42
SCARDEONE, De antiquitate... cit. (nota 9), p. 377; VASARI, Le vite... cit. (nota 24), VI, p. 189; V. POLIDORO, Le reli-
giose memorie, Venezia 1590, pp. 18r-v.
43
Per il primo soggiorno genovese di Cosini cfr. almeno E. PARMA ARMANI - F. RENZO PRESENTI - R. LOPEZ TORRIJOS,
Il secolo d’oro dei genovesi: il Cinquecento, in La scultura a Genova e in Liguria. I. Dalle origini al Cinquecento, Genova 1987,
pp. 265-381, speciatim 275-282 (E. PARMA ARMANI); E. PARMA, Perin del Vaga. L’anello mancante, Genova 1997, ad indicem;
S. DESWARTE-ROSA, “Genoa... toda a cidade è pintada de dentro e de fora”. Francisco de Holanda à Gênes en juin 1538, in Perin
del Vaga prima, durante e dopo, atti delle giornate internazionali di studio (Genova, 26-27 maggio 2001), a cura di E. PARMA,
Genova 2004, pp. 44-53, speciatim 48-51; CAMPIGLI, Silvio... cit. (nota 16).
44
VASARI, Le Vite... (cit. nota 24), IV, p. 259.
45
M. CAMPIGLI, Silvio Cosini e Michelangelo, in ‘Nuovi studi’, XI, 2006, 12, pp. 86-116; ID., Silvio Cosini e Michelan-
gelo. II. Oltre la Sagrestia Nuova, in ‘Nuovi studi’, XIII, 2008, 14, pp. 69-90.
46
Minio riscosse complessivamente 149 lire e 16 soldi, Provolo Falconetto 134 lire e 8 soldi mentre suo fratello
Ottaviano 128 lire e 16 soldi. Un ruolo significativo avrebbe ricoperto anche Danese Cattaneo, cui sarebbero andati “6
ducati d’oro in oro” al mese, ma lo scultore fu licenziato dopo tre mesi “per esser troppo fastidioso”. Cfr. Padova, Archivio
dell’Arca, reg. 398, cc. 62v-63v, 67r (trascrizione parziale in GONZATI, La basilica... cit. [nota 17], I, p. 163, XCVII-XCVIII,
doc. LXXXIX) e Padova, Archivio dell’Arca, reg. 399, c. 48r, dove si annota lo stipendio di “Maestro Silvio fiorentino”,
reso noto da RIGONI, Su uno dei quadri... cit. (nota 40), p. 248, doc. IV. BLAKE MCHAM, The Chapel... cit. (nota 17), pp. 81-
83, 219, 235-236, docc. 101-102.
47
Il restauro è stato condotto dalla ditta RVS con il Dipartimento di Scienze chimiche e il Dipartimento di Archi-
tettura, urbanistica e rilevamento dell’Università di Padova e l’ICIS CNR.
92. 48
Per il documento veneziano, cfr. nota 23. Per la commissione dell’altare, cfr. ASPd, Notarile, b. 3618, c. 434.
L’opera fu pubblicata con la giusta attribuzione da G. FIOCCO, La prima opera di Tiziano Aspetti detto Minio, in ‘Dedalo’,
XI, 1930-1931, pp. 600-610. Per una scheda dell’altare, cfr. M. PIZZO, Tiziano Aspetti detto Minio, in Dal Medioevo a Cano-
va. Sculture dei Musei Civici di Padova dal Trecento all’Ottocento, a cura di D. BANZATO - F. PELLEGRINI - M. DE VINCENTI,
Venezia 2000, pp. 127-128, cat. 51.
49
Va riconosciuto a Manfred Leithe-Jasper il merito di aver portato l’attenzione su questo fondamentale aspetto
della cultura figurativa di Minio. Si veda LEITHE-JASPER, Tiziano Aspetti, detto Minio, in “La bellissima maniera”... cit. (nota
19), p. 227.
50
G. DALLI REGOLI, SIC ITUR AD ASTRA. Viatico per un umanista, in R. CIARDI - G. DALLI REGOLI - F. A. LESSI,
Scultura del ‘500 a Volterra, Siena 1988, s. n. p.; EAD., Silvius Magister. Silvio Cosini e il suo ruolo nella scultura toscana del
primo Cinquecento, schede a cura di G. DALLI REGOLI e S. TACCINI TURCHI, Galatina 1991, pp. 45-50; R. BAGEMIHL, Cosini’s
Bust of Raffaello Maffei and its Funerary Context, in ‘The Metropolitan Museum Journal’, XXXI, 1996, pp. 41-57. Per la
TIZIANO MINIO 93

proposta di una collaborazione di Bartolomeo Ridolfi giovane nella cornice dell’altare di San Rocco di Tiziano Minio cfr. 92.
ATTARDI, La decorazione... cit. (nota 38), p. 55, nota 71.
51
A. MOSCHETTI, Una preziosa ignota opera di Jacopo Sansovino nel Museo Civico di Padova, in ‘Bollettino del Museo
civico di Padova’, XXIII, 1930, 1 (supplemento), p. 18.
52
Per i rilievi ravennati cfr. almeno C. RICCI, Marmi erratici ravennati, in ‘Ausonia’, VII, 1909 (estratto), pp. 5-15;
L. BIESCHI, I rilievi ravennati dei “troni”, in ‘Felix Ravenna. Rivista di antichità ravennati, cristiane e bizantine’, CXXVII-
CXXX, 1984-1985, pp. 37-80; M. GREGORI, The First Models: Putti and Maenads, in In the Light of Apollo. Italian Re-
naissance and Greece, catalogo della mostra di Atene, a cura di M. GREGORI, Cinisello Balsamo (Milano) 2003, 2 voll., I, pp.
114-118, speciatim 114-116 (e la scheda di F. PAOLUCCI, Roman art. Relief with putti and sceptre-Relief with putti and sickle,
ibidem, I, p. 129, cat. I.1a-I.1b).
53
Tanto che il dossale fu in un primo tempo creduto proprio del Tatti: MOSCHETTI, Una preziosa... cit. (nota 51). Per 92.
la Sacra conversazione del Bode Museum di Berlino cfr. BOUCHER, The sculpture... cit. (nota 17), II, p. 329, cat. 20.
54
ASVe, Procuratie de supra, busta 77, fasc. II, proc. 181, c. 4r (7 ottobre 1536; Minio riceve un pagamento anche
in data 14 ottobre). Il documento è pubblicato in Documenti per la storia dell’Augusta ducale Basilica di San Marco in Ve-
nezia dal nono secolo fino alla fine del decimo ottavo, a cura di F. ONGANIA, Venezia 1886, pp. 34-36, nr. 199; BOUCHER, The
sculpture... cit. (nota 17), II, pp. 191-194.
55
ASVe, Procuratie de supra, busta 77, fasc. I, proc. 181, c. 10r. Il documento è pubblicato in Documenti per... cit.
(nota 54), p. 43, nr. 22. Per l’opera cfr. BOUCHER, The Sculpture... cit. (nota 17), I, pp. 56-60; II, p. 194, doc. 88.
56
Sulla Loggia cfr. almeno G. SCHWEIKHART, Studien zum Werk des Giovanni Maria Falconetto, in ‘Bollettino del
Museo civico di Padova’, LVII, 1968, pp. 17-67; G. BRESCIANI ALVAREZ, Le fabbriche di Alvise Cornaro, in Alvise Cornaro
e il suo tempo, catalogo della mostra, a cura di L. PUPPI, Padova 1980, pp. 36-57, speciatim 43-48; M. BERTI, Architettura e
tecnologia nella corte Cornaro, in Ruzante. Tempi di casa Cornaro, a cura di G. CALENDOLI - M. BERTI, Padova 1995, pp. 28-
46; C. SEMENZATO, La Loggia e l’odeon Cornaro, in ‘Padova e il suo territorio’, XII, 1997, 67, pp. 18-23.
57
VASARI, Le vite... cit. (nota 24), IV, p. 592. Per Alvise Cornaro trattatista di architettura, si veda G. FIOCCO,
Alvise Cornaro e i suoi trattati sull’architettura, in ‘Memorie della Accademia Nazionale dei Lincei. Classe di Scienze
Morali, Storiche e Filologiche’, VIII, s. IV, 1952, 3, pp. 196-222; ID., Alvise Cornaro. Il suo tempo e le sue opere, Venezia
1965, pp. 155-167; A. CORNARO, Scritti sull’architettura, a cura di P. CARPEGGIANI, Padova 1980. Sull’Odeo, cfr. almeno
FIOCCO, Alvise Cornaro. Il suo tempo... cit. (nota 57), pp. 44-53; SCHWEIKHART, Studien... cit. (nota 56); E. SACCOMANI, Le
“grottesche” venete del ‘500, in ‘Atti dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti. Classe di Scienze Morali, Lettere ed
Arti’, CXXIX, 1970-1971, pp. 293-343; G. SCHWEIKHART, Un rilievo all’antica sconosciuto nell’Odeo Cornaro a Padova,
in ‘Padova e la sua provincia’, XXI, 1975, 7-8, pp. 8-11; BRESCIANI ALVAREZ, Le fabbriche... cit. (nota 56), pp. 48-57; W.
WOLTERS, Architettura e decorazione nel Cinquecento veneto, in ‘Annali di architettura’, IV-V, 1992-1993, pp. 102-110; A.
M. SPIAZZI, Dalle decorazioni a grottesca alla pittura di paesaggio nell’Odeo Cornaro, atti del convegno internazionale di
studi sul Ruzante (Padova-Venezia, 5-7 maggio 1997), in ‘Quaderni veneti’, XXVII-XXVIII, 1998, pp. 77-90; V. SGARBI,
L’Odeo Cornaro, Torino 2003; WOLTERS, Schiebetüren und Schiebefenster im Odeo Cornaro in Padua, in ‘Architectura’,
XXXVIII, 2007, 2, pp. 218-221.
58
WOLTERS, Tiziano Minio als Stukkator im “Odeo Cornaro” zu Padova, in ‘Pantheon’, XXI, 1963, 1, pp. 20-28; 2, pp.
22-30; VASARI, Le Vite... cit. (nota 24), IV, p. 593: “Giovan Maria […] fece di stucco lavorare la volta della capella del Santo
in Padoa a Tiziano da Padoa et a molti altri, e ne fece lavorare in casa Cornara, che sono assai belli”.
59
Per il rapporto con Alvise Cornaro, documentabile fra il 1538 e il 1548, cfr. P. SAMBIN, Altre testimonianze (1525-
1540) di Angelo Beolco, in ‘Italia medioevale e umanistica’, VII, 1964, pp. 221-247 e ID., I testamenti di Alvise Cornaro, in
‘Italia medioevale e umanistica’, IX, 1966, pp. 295-385, ora in ID., Per le biografie di Angelo Beolco, il Ruzante, e di Alvise
Cornaro. Restauri di archivio, rivisti e aggiornati di F. PIOVAN, Padova 2002, pp. 59-86 e 121-214, speciatim 67 e 155-160.
Si ricorda a titolo d’esempio che il 14 giugno 1539 Minio si trova presso Alvise Cornaro. ASPd, Notarile, b. 1679, c. 33v.
Una conoscente dello scultore, nell’ambito di una causa giudiziaria per cui si rimanda a nota 78, racconta inoltre che Tizia-
no “fino che il magnifico messer Zaneto Cornero è stato qui in questa terra sempre ha mangiato et bevuto in casa di esso
magnifico messer Zaneto” (dove per “Zaneto” si intende Giovanni Cornaro Piscopia, genero di Alvise). ASPd, Notarile, b.
935, c. 351. Altri documenti attestano l’artista in rapporto con Giovanni: ASPd, Notarile, b. 4172, c. 244v; b. 4175, c. 306v.
Si vedano anche RIGONI, Notizie... cit. (nota 19), pp. 206-207, 215, doc. VI; SARTORI, Archivio Sartori. Documenti di storia e
arte francescana. IV... cit. (nota 22), p. 217, nr. 295. Per il documento, ASPd, Notarile, b. 2125, c. 474r.
60
Per l’ipotesi di estendere l’intervento di Minio alla decorazione esterna dell’Odeo, cfr. PIZZO, La decorazione della
facciata dell’Odeo Cornaro, in ‘Padova e il suo territorio’, V, 1990, 23, pp. 22-24. Per la lunga vicenda dei restauri della
94 LUCA SIRACUSANO

Loggia e dell’Odeo e della loro decorazione in stucco, a partire dal 1982, quando l’edificio versava in precarie condizioni,
cfr. il recente D. BARTOLETTI - G. COLALUCCI - A. M. SPIAZZI, La decorazione e il restauro della Loggia e dell’Odéo Cornaro a
Padova, in Passaggi a nord-est. Gli stuccatori dei laghi lombardi tra arte, tecnica e restauro, atti del convegno di studi (Trento,
12-14 febbraio 2009), a cura di L. DAL PRÀ - L. GIACOMELLI - A. SPIRITI, Beni artistici e storici del Trentino. Quaderni. 20,
Trento 2001, pp. 87-111.
61
WOLTERS, Tiziano Minio... cit. (nota 58), p. 23.
62
Per il pagamento del maggio 1537 cfr. RIGONI, Su uno dei quadri... cit. (nota 40), pp. 252-253. Per la presenza
toscana dello scultore, prima di recarsi nuovamente a Genova, cfr. DALLI REGOLI, Silvius... cit. (nota 50), pp. 25, 53.
63
WOLTERS, Tiziano Minio... cit. (nota 58), pp. 26-27.
101. 64
Campo, d’azzurro, al capriolo d’oro accompagnato da tre rose dello stesso, G. B. CROLLALANZA, Dizionario storico-
blasonico delle famiglie nobili e notabili italiane estinte e fiorenti, Pisa 1886-1890, 3 voll., I, p. 112. Per la missiva, P. BEMBO,
Lettere, a cura di E. TRAVI, Bologna 1987-1993, 4 voll., II, p. 530, nr. 892.
106. 65
Campo dello scudo partito d’oro e d’azzurro, alla corona dell’uno nell’altro. CROLLALANZA, Dizionario... cit. (nota
64), I, p. 322. Per Giovanni Cornaro del ramo Piscopia cfr. SAMBIN, Per le biografie... cit. (nota 59), ad indicem; V. VIANELLO,
In margine alla “Canace” e a Ruzante. Per una biografia di Giovanni Cornaro, in ‘Quaderni veneti’, I, 1985, pp. 41-56. Per
le nozze fra Chiara e Giovanni Cornaro, F. L. MASCHIETTO, Elena Lucrezia Cornaro Piscopia (1646-1684), Padova 1978,
pp. 237-238, doc. I. Giulio Bresciani Alvarez poneva peraltro in relazione la tematica di Ercole, nei due rilievi più sopra
menzionati, con l’Accademia degli Infiammati, che nel 1540 aveva eletto a proprio principe Giovanni Cornaro. Ercole era
considerato nume tutelare dell’istituzione. BRESCIANI ALVAREZ, Le fabbriche... cit. (nota 56), p. 54.
104. 66
Campo dello scudo inquartato: in 1, d’oro, all’aquila di nero, rostrata, membrata e coronata d’oro; in 2, d’azzurro,
alla rovere sradicata d’oro, coi rami passati in doppia croce di Sant’Andrea; in 3, bandato d’azzurro e d’oro; in 4, partito;
a destra interzato in pala, a) fasciato d’argento e di rosso; b) d’azzurro, a quattro gigli d’oro, ordinati in palo; c) d’argento
alla croce di Gerusalemme d’oro; a sinistra d’oro, a quattro pali di rosso. CROLLALANZA, Dizionario... cit. (nota 64), II, pp.
452-453.
67
“Si racconta che Guidobaldo fosse stato inviato all’Università di Padova prima che fossero trascorsi i cinque anni
d’esilio in Lombardia”. J. DENNISTOUN, Memoirs of the Dukes of Urbino, Illustrating the Armas, Artes and Literature of Italy,
from 1440 to 1630, London 1851, 3 voll., trad. it. Memorie dei Duchi di Urbino (1440-1630), a cura di G. NONNI, Pesaro-
Urbino 2010, 3 voll., III, p. 70.
68
Nel gennaio 1546, Aretino scrive da Venezia a Giovanni Cornaro ricordando “che la Eccellenza de l’ottimo duca
Guido Baldo degnò menermi ad alloggiar seco ne la regia vostra”. Lettere sull’arte... cit. (nota 26), II, p. 139, nr. CCCXV.
SAMBIN, I testamenti … cit. (nota 59), p. 159.
69
La notizia è ripresa da F. PIPERNO, L’immagine del duca. Musica e spettacolo alla corte di Guidubaldo II duca d’Ur-
bino, Firenze 2001, p. 48, che cita A. ANATAGI, Diario, Città del Vaticano, Biblioteca apostolica vaticana, ms. Urb. lat. 810,
c. 3r. Per il Diario e per il suo autore cfr. G. BOZZI, I diari di Monaldo Atanasio Atanagi, buffone della corte di Guidubaldo
II Della Rovere, in I Della Rovere nell’Italia delle corti. III. Cultura e letteratura, a cura di B. CLERI - S. EICHE - J. E. LAW - F.
PAOLI, Urbino 2002, pp. 63-73.
70
Per il documento del 14 luglio 1539 cfr. SAMBIN, I testamenti... cit. (nota 59), p. 155 (ASPd, Notarile, b. 1679,
c. 33v). Per il documento del 2 aprile cfr. RIGONI, L’architetto Andrea Moroni, Padova 1939, pp. 39-40 (ASPd, Notarile,
b. 4031, c. 1r). Per una proposta in favore di Minio architetto, cfr. W. ARSLAN, Un’architettura di Tiziano Minio?, in ‘Pro-
porzioni’, III, 1950, pp. 178-184. L’ipotesi attributiva in favore di Minio del cortile dell’Università di Padova fu contestata
già da RIGONI, Notizie... cit. (nota 19), p. 209. L’attribuzione del cortile, probabilmente opera di Andrea Moroni, è ancora
oggetto di discussione. Cfr. ad esempio S. ZAGGIA, L’Università di Padova nel Rinascimento. La costruzione del palazzo del
Bo e dell’Orto Botanico, Venezia 2003 e la relativa recensione di G. BELTRAMINI, S. Zaggia, L’Università di Padova nel Rina-
scimento. La costruzione del palazzo del Bo e dell’Orto Botanico, Venezia, Marsilio 2003, 127 pp., 16c. di tav., ill.., in ‘Annali
di architettura’, XVII, 2005, pp. 239-240.
71
A. VENTURI, Storia dell’arte italiana. X. La scultura del Cinquecento, Milano 1935-1937, 3 voll., III, p. 44.
106. 72
La posa della figura femminile che nell’Odeo svela lo stemma Cornaro trova rispondenze nel giovane alla sinistra
di chi guarda il sansoviniano Miracolo della fanciulla Carilla nella cappella dell’Arca, per il quale cfr. BOUCHER, The Sculptu-
re... cit. (nota 17), II, pp. 337-338, cat. 30. Jacopo Sansovino firmò il contratto per questo secondo rilievo il 3 giugno 1536.
L’opera ebbe tuttavia una lunga gestazione ed il Tatti vi pose mano probabilmente a partire dal 1542. Il rilievo fu murato
nella cappella soltanto nel novembre 1563.
73
P. BACCI, Gli “Angeli” di Silvio Cosini nel Duomo di Pisa (1528-1530) con documenti inediti e commenti relativi alla
TIZIANO MINIO 95

sua vita, in ‘Bollettino d’arte del Ministero della Pubblica Istruzione’, XI, 1917, pp. 111-132; DALLI REGOLI, Silvius... cit.
(nota 50), pp. 37-39; CAMPIGLI, Silvio Cosini e Michelangelo. II... cit. (nota 45), p. 74.
74
ASPd, Corporazioni soppresse, Santa Maria Mater Domini, bb. 15-18, speciatim b. 15.
75
Cfr. anche nota 11.
76
Basti qui ricordare che i calchi in gesso dai rilievi di Donatello sull’altare maggiore della basilica di Sant’Antonio
a Padova erano oggetto di collezione e studio all’interno delle botteghe padovane del secondo Cinquecento. Il secondo
inventario dei beni del defunto scultore Agostino Zoppo, stimati il 29 maggio 1573 dal suo allievo Marcantonio De Surdis,
menziona “di zesso: quattro quadri di Donato”. ASPd, Notarile, b. 4067, cc. 217r-217v. Per gli altri documenti relativi al
patrimonio dello Zoppo, cfr. E. RIGONI, Intorno ad un altare cinquecentesco nella chiesa dei Carmini di Padova, in ‘Atti e
memorie dell’Accademia di scienze, lettere ed arti in Padova’, LIII, 1936-1937, pp. 51-69, ora in L’arte rinascimentale... cit.
(nota 5), pp. 301-317, speciatim 312-317 e G. BODON, Veneranda Antiquitas. Studi sull’eredità dell’antico nella Rinascenza
veneta, Berna 2005, pp. 146-147. Non è improbabile che i quattro calchi di gesso siano più tardi confluiti nella bottega di
Francesco Segala, che nel proprio testamento lasciava in eredità al tutore dei suoi figli “li quattro quadri di Donato delli
miracoli del glorioso padre Sancto Antonio di Padua”. ASPd, Notarile, b. 4295bis, c. 71. Il documento è reso noto da L.
PIETROGRANDE, Francesco Segala (estratto dal ‘Bollettino del Museo civico di Padova’, XXXI-XLIII, 1942-1954; XLIV,
1955; L, 1961), Padova 1963, pp. 71-82.
77
“E perché abitò Silvio qualche tempo con tutta la famiglia in Pisa, essendo della Compagnia della Misericordia,
che in quella città accompagna i condannati alla morte insino al luogo della iustizia, gli venne una volta capriccio, essendo
sagrestano, della più strana cosa del mondo. Trasse una notte il corpo d’uno, che era stato impiccato il giorno inanzi, della
sepoltura, e dopo averne fatto notomia per conto dell’arte, come capriccioso e forse maliastro, e persona che prestava fede
agl’incanti e simili sciocchezze, lo scorticò tutto, et acconciata la pelle secondo che gl’era stato insegnato, se ne fece, pensan-
do che avesse qualche gran virtù, un coietto, e quello portò per alcun tempo sopra la camicia, senza che nessuno lo sapesse
già mai”. VASARI, Le vite... cit. (nota 24), IV, p. 260.
78
ASPd, Notarile, b. 935, cc. 351v, 363v, 364r, 365v, 367r, 412r, 414v; RIGONI, Notizie... cit. (nota 19), pp. 201-214,
doc. IV.
79
“Il medesimo Tiziano, quando il Vasari fece il già detto apparato per i signori della Compagnia della Calza in
Canareio, fece in quello alcune statue di terra e molti termini, e fu molte volte adoperato in ornamenti di scene, teatri, archi
et altre cose simili, con suo molto onore, avendo fatto cose tutte piene d’invenzioni, capricci e varietà, e sora tutto con molta
prestezza”. VASARI, Le vite... cit. (nota 24), VI, p. 189.
80
Per la citazione, si rimanda alla nota 79. Sulla passione di Alvise Cornaro per il teatro e per il suo rapporto con
Ruzante, cfr. almeno SAMBIN, Per le biografie... cit. (nota 59).
81
Per la lettera di Aretino cfr. nota 26. Per il poema: P. G. FIGOLO, Li gran triomphi fatti per la venuta della Illu-
strissima et Eccellentissima Signora, la Signora Vittoria Farnese duchessa d’Urbino. Da Roma per insino alla Città di Pesaro,
Fossombrone 1548. L’opera è citata da PIPERNO, L’immagine... cit. (nota 69), pp. 57-58, al quale si rimanda anche per i
rapporti fra Guidubaldo e l’Aretino (ad indicem).
82
VENTURI, Storia... cit. (nota 71), p. 48.
83
Per Alessandro Vittoria collezionista dei disegni di Parmigianino, cfr. almeno V. AVERY, Alessandro Vittoria colle-
zionista, in “La bellissima maniera”... cit. (nota 19), pp. 141-151, speciatim 146-147.
84
M. ROSSI, La poesia scolpita. Danese Cattaneo nella Venezia del Cinquecento, Lucca 1995, pp. 138, 150-153, 179-
180, 193, 201; ID., Danese Cattaneo, in “La bellissima maniera”... cit. (nota 19), pp. 237-243, speciatim 238, 240.
85
Per il rapporto con Danese Cattaneo cfr. anche Lettere sull’arte... cit. (nota 26), p. 115, nr. CCLXXVIIII: Pietro
Aretino scrive da Venezia a Minio nel novembre 1545 con la chiosa “raccomandandomi al Danese, spirito gentile da do-
vero”. Per la divisione dei rilievi dell’attico della Loggetta cfr. G. LORENZETTI, La Loggetta al campanile di San Marco, in
‘L’arte’, XII, 1910, pp. 108-133, speciatim 117-119; L. PLANISCIG, Venezianische Bildhauer der Renaissance, Wien 1921, pp.
393-395, 442; J. POPE-HENNESSY, The Relations between Florentine and Venetian Sculpture in the Sixteenth Century, in Flo-
rence and Venice. Comparisons and Relations. II. Il Cinquecento, a cura di S. BERTELLI, Firenze 1980, pp. 323-355, speciatim
329; BOUCHER, The Scultpure... cit. (nota 17), II, p. 335; ROSSI, La poesia... cit. (nota 84), pp. 25-38. A Minio spetta il rilievo
alla sinistra di chi guarda con Giove e la tomba del dio a Creta, come argomentato per la prima volta da Lorenzetti; Pope-
Hennessy riconduce a Sansovino stesso il rilievo centrale con Venezia come Giustizia (ritenuto da Lorenzetti e Planiscig di
Minio); a Cattaneo si deve il rilievo con la Venere ciprica, per il quale si rimanda alla monografia di Rossi.
86
Per la vicenda dei serragli di bronzo, commissionati nell’aprile 1543 al solo Cattaneo, e poi, nel dicembre di
quell’anno, al carrarese assieme a Minio, cfr. RIGONI, Notizie... cit. (nota 19), pp. 207-209; ROSSI, La poesia... cit. (nota 84),
96 LUCA SIRACUSANO

pp. 39-40. Gli atti testimoniano che dal dicembre del 1543 al 1551 i due artisti collaborarono a questa impresa incompiu-
ta. Come sostiene Massimiliano Rossi, è probabile che il coinvolgimento dell’Aspetti fosse dettato dall’esigenza dei padri
del Santo di avvalersi di uno scultore esperto nella fusione del bronzo, non garantendo a quel tempo Cattaneo sicurezze
sufficienti nel campo della toreutica. L’11 giugno 1544 i due scultori riparano inoltre “la figura dela pilla” dell’acquasanta.
Padova, Archivio dell’Arca, reg. 409, c. 76v, citato in SARTORI, Archivio Sartori. Documenti di storia e arte francescana. IV...
cit. (nota 22), p. 217, nr. 295. Si tratta con ogni probabilità della perduta statua di Pirgotele, già frammentaria nel pieno
Cinquecento e sostituita dalla Santa Giustina di Agostino Zoppo. Cfr. ID., Le acquasantiere della basilica del Santo, in ‘Il
Santo’, IV, 1964, 2, pp. 177-195, speciatim 184-187, 190-194, doc. IV.
87
Si riferisce evidentemente ai serragli della cappella dell’Arca la più volte citata prima lettera dell’Aretino del 1545.
Il poligrafo desiderava tornare a Padova per vedere “l’opre vostre lodate, e proprio degne che si dedichino nel tempio
mirabile del Santo”, tanto più che il Bacci concludeva raccomandandosi al socio di Minio, il “Danese, spirito gentile da
dovero”. Lettere sull’arte... cit. (nota 26), II, p. 115, nr. CCLXXVIII. Cfr. inoltre SCARDEONE, De antiquitate... cit. (nota 9),
p. 377. VASARI, Le vite... cit. (nota 24), VI, p. 189. Per l’interessamento di Francesco Segala, si veda ASPd, Notarile, b. 2458,
c. 138v. Il documento è reso noto da GONZATI, La basilica... cit. (nota 17), I, p. CXXXI, doc. CXXII.
88
Per la sospensione dei lavori, si veda Padova, Archivio dell’Arca, reg. 3, c. 39r, documento reso noto da SARTORI,
Documenti... cit. (nota 22), p. 165. Quanto alla scomparsa di Minio, lo scultore risulta ancora in vita il 2 aprile, mentre è già
morto il 21 luglio 1552. Cfr. RIGONI, Notizie... cit. (nota 19), pp. 205, 215, doc. VII. Vasari dice lo scultore morto “d’anni
trentacinque”. VASARI, Le vite... cit. (nota 24), VI, p. 189. Come si è più sopra detto, il biennio 1511-1512 costituisce tuttavia
il terminus ante quem per la nascita dell’artista.
89
Non è possibile determinare con precisione il ruolo di Desiderio da Firenze “suo compagno”, che con ogni proba-
111. bilità dovette assistere Minio nella fusione. Allo stato attuale degli studi possiamo riconoscere al padovano l’invenzione dell’o-
pera, tanto più che nel contratto si ribadisce che sarà Tiziano a dover consegnare il coperchio “in termine de anno uno pro-
ximo”. Alvise Cornaro compare in calce alla stipula quale garante del metallo e degli 80 ducati anticipati agli scultori. ASVe,
Procuratie de supra, b. 77, proc. 180, fasc. I, c. 13r (18 aprile 1545). Il documento viene trascritto da L. CICOGNARA, Storia della
scultura dal suo risorgimento in Italia fino al secolo di Canova, Prato 1823-1824, seconda edizione, 7 voll., V, pp. 262-264, nota 1;
Documenti per ... cit. (nota 54), p. 43, n. 222; BOUCHER, The Sculpture... cit. (nota 17), I, p. 199, nr. 104. Dovettero sorgere delle
controversie riguardo all’operato dello scultore, se poco prima di morire, Minio nominò suo procuratore Bernardino Cazzolari
“in lite et causa” contro i procuratori di San Marco. Si veda RIGONI, Notizie... cit. (nota 19), p. 215, doc. VII.
90
52,5 x 24,5 x 20,7 cm.
91
BOUCHER, The Sculpture... cit. (nota 17), I, pp. 100-111.
92
VASARI, Le vite...cit. (nota 24), VI, p. 189.
93
Il 10 aprile 1565 Francesco Segala si impegnava a consegnare la statua del Battista. Il documento era già noto a
CICOGNARA, Storia... cit. (nota 89), V, p. 296, nota 1.
94
P. GARDNER, A Venetian Statue for Kansas City, T.A., in ‘Art News’, XXXVI, pp. 14, 22; H. COMSTOCK, The Con-
noisseur in America. A signed Renaissance sculpture for the Nelson Gallery, in ‘The Connoisseur’, C, 1937, pp. 328-329; The
William Rockhill Nelson Collection, Kansas City (s.d.), p. 117; Handbook of the Collections in the William Rockhill Nelson
Gallery of Art and Mary Atkins Museum of Fine Arts, a cura di R. E. TAGGART, Kansas City 1956, p. 68.
95
Handbook of the Collections in the William Rockhill Nelson Gallery of Art and Mary Atkins Museum of Fine Arts,
a cura di R. E. TAGGART - G. L. MCKENNA, Kansas City 1973, 2 voll., I, p. 87.
113. 96
L’opera, a quanto mi risulta, viene ricordata nella bibliografia sullo scultore dal solo Andrea Bacchi in La scultura
a Venezia... cit. (nota 19), p. 763.
97
A. KUGEL, Jacopo Sansovino, in Le bronzes du Prince de Liechtenstein. Chefs d’oevre de la Renaissance et du Baro-
que, catalogo della mostra di Parigi, a cura di A. KUGEL, Parigi 2008, p. 87, cat. 5.
98
LEITHE-JASPER, Jacopo Tatti gen. Sansovino, in Neuerwebungen unter Hans-Adam II. von und zu Liechtenstein, a
114. cura di J. KRÄFTNER - R. BAUMSTARK, Wien 2010, p. 82, cat. 29. Si rimanda alla scheda dello studioso viennese per i passaggi
di proprietà del bronzetto e per la bibliografia precedente.
99
“Dass Jacopo Sansovino der Künstler sei, wage ich nicht mit Bestimmtheit zu behaupten”. W. BODE, Die Kunst-
sammlungen des Herrn Alfred Beit in seinem Stadthause in Park Lane zu London, a cura di W. BODE, Berlin 1904, p. 41; ID.,
Die italienischen Bronzestatuetten der Renaissance, Berlin 1907-1912, 3 voll., II, p. 23, cat. 46.
100
J. D. DRAPER, in W. BODE, The Italian Bronze Statuettes of the Renaissance, ed. a cura di J. D. DRAPER, New York
1980, p. 102, cat. XCVI. Non può essere tuttavia accolta la proposta alternativa di considerare il bronzetto come opera
norditaliana sei-settecentesca.
TIZIANO MINIO 97

101
KUGEL, Jacopo Sansovino... cit. (nota 97); LEITHE-JASPER, Jacopo Tatti gen. Sansovino... cit. (nota 98).
102
Per una traccia sulla fortuna di Donatello a Padova nel pieno Cinquecento, cfr. nota 76. La scultura è ricordata
come opera di Minio da SCARDEONE, De antiquitate... cit. (nota 9), p. 377. Secondo il biografo, la Giustizia rimase incom-
piuta alla morte dell’artista: “sculpebat tunc forte ex saxo justitiam, inter duos leones sedentem in novo praetoris palatio,
quamvis morte praeventus alterum leonem ad unguem perficere non potuit”.
103
Ivi. Scardeone riferiva queste parole al coperchio del fonte battesimale di San Marco. Per Andrea Riccio come 111.
metro di paragone per la scultura padovana contemporanea, si veda anche la lettera con cui nel 1564 Francesco Segala si
propone ai padri del Santo per la Santa Caterina da porre su un’acquasantiera della basilica antoniana. ASPd, Notarile, b.
2458, c. 138v. Il documento fu pubblicato in GONZATI, La basilica... cit. (nota 17), I, p. CXXXI, doc. CXXII.
92. TIZIANO MINIO: Altare di San Rocco. PADOVA, Oratorio di San Rocco.
93. TIZIANO MINIO (?): Monumento di Giovanni Naldi. PADOVA, Santa Maria dei Carmini.
94. SILVIO COSINI: Genietto funebre. VOLTERRA, San Lino.
95. TIZIANO MINIO (?): Figura dolente. PADOVA, Santa Maria dei Carmini.
96. SILVIO COSINI: Scena di sacrificio. GENOVA, Palazzo del Principe, Salone dei Giganti.

97. SILVIO COSINI (con TIZIANO MINIO e OTTAVIANO e PROVOLO FALCONETTO): Scena di sacrificio. PADOVA, basilica di Sant’Antonio,
cappella dell’Arca.
98. TIZIANO MINIO: Satiro imprigionato.
PADOVA, Oratorio di San Rocco.
99. TIZIANO MINIO (?): Monumento di Giovanni Naldi, particolare. 100. TIZIANO MINIO: San Rocco, particolare. PADOVA,
PADOVA, Santa Maria dei Carmini. Oratorio di San Rocco.
101. TIZIANO MINIO: Figura reggistemma. PADOVA, Odeo Cornaro.
102. TIZIANO MINIO: Scena di un trionfo, particolare. PADOVA, Odeo Cornaro.

103. TIZIANO MINIO (?): Erma. PADOVA, Santa Maria dei Carmini.
104. TIZIANO MINIO: Figura reggistemma. PADOVA, Odeo Cornaro.
105. TIZIANO MINIO (?): Figura dolente. PADOVA, Santa Maria dei Carmini.
106. TIZIANO MINIO: Figura reggistemma. PADOVA, Odeo Cornaro.
107. SILVIO COSINI: Draghi. GENOVA, Palazzo del Principe.

108. TIZIANO MINIO: Drago. PADOVA, Odeo Cornaro.


109. SILVIO COSINI (?): Drago. FIRENZE, San Lorenzo, Sagrestia nuova.

110. TIZIANO MINIO: Drago. PADOVA, Odeo Cornaro.


111. TIZIANO MINIO: San Matteo. VENEZIA, San Marco, battistero.
112. SCULTORE VENETO (TIZIANO MINIO?): Madonna con Gesù Bambino. Collezione privata.
113. TIZIANO MINIO: San Giovanni battista. KANSAS CITY, The Nelson-Atkins Museum of Arts.
114. TIZIANO MINIO (?): San Giovanni battista. VIENNA, Liechtenstein Museum.

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