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DONATELLO E MASACCIO

DONATELLO

Di modestissime origini, inizia il suo apprendistato artistico fra il 1404 e il 1407 presso la bottega del
già affermato Lorenzo Ghiberti, dal quale acquisisce sia le tecniche del cesello e della fusione in
bronzo sia l’amore per l’arte classica.

Agli inizi del Quattrocento compie con l’amico Brunelleschi un primo viaggio a Roma, soggiorno che
si rivela fondamentale per la sua formazione, in quanto ha l’opportunità di ammirare opere scultoree
della tradizione classica.

Molta dell’attività di Donatello si svolge a Firenze soprattutto per la realizzazione di cinque statue per
il Campanile di Giotto e tre per i tabernacoli esterni della Chiesa di Orsanmichele. Questo non toglie,
naturalmente, anche numerosi spostamenti: a Pisa, a Prato, a Ferrara e a Siena.

Straordinaria importanza, infine, assume il decennio padovano nel corso del quale lo scultore
fiorentino si trasferisce nella città veneta diffondendovi le novità rinascimentali.

Con Donatello la scultura giunge a risultati irripetibili non solo perché l’artista è stato il primo a
sapersi riallacciare alla tradizione scultorea greco-romana ma anche perché per primo ha saputo
superarla. Nel corso di oltre un sessantennio di intensa attività, Donatello sperimenta tutte le possibili
tecniche e tutti i possibili materiali, riuscendo ogni volta a dare alle proprie opere un’impronta
assolutamente riconoscibile e innovativa.

SAN GIORGIO DI ORSANMICHELE

Il San Giorgio è stato commissionato a Donatello nel 1417 dall'Arte dei Corazzai e Spadai, per
l’ornamentazione del relativo tabernacolo esterno di Orsanmichele.

Nel decorativismo del panneggio la statua presenta ancora qualche traccia di un gusto gotico ormai al
tramonto. L’orgogliosa postura e la tranquilla gravità del volto, al contrario, già prefigurano la nuova
sensibilità donatelliana. San Giorgio, infatti, appare solido e ben sicuro di sé, con le gambe
leggermente divaricate e il grande scudo crociato romboidale che funge da ulteriore punto d’appoggio.

Alla fermezza fisica fa adeguato riscontro la fermezza morale, espressa da un volto sereno e
consapevole. Rispetto ai lineamenti convenzionali o antichizzanti preferiti dai suoi contemporanei
fiorentini, Donatello conferisce al suo San Giorgio dei tratti pensosi, con le sopracciglia contratte e la
fronte aggrottata, come per esprimere una certa inquietudine interiore.

Nel basamento della statua Donatello realizza anche un bassorilievo con San Giorgio e la principessa.
In esso l’artista mostra la piena padronanza delle tecniche della rappresentazione prospettica. La linea
d’orizzonte è posta all’altezza della testa della principessa e il punto di fuga centrale in
corrispondenza del dorso del santo cavaliere. Questo sta trafiggendo il drago, simbolo del peccato e
della barbarie, ed è rappresentato in modo molto verosimile, nel pieno della lotta. Il suo mantello si
agita al vento, mentre il piede sinistro di San Giorgio stringe con grande realismo la pancia del cavallo
che avrebbe altrimenti potuto disarcionarlo. Sulla destra la principessa (personificazione della Chiesa)
osserva il combattimento a mani giunte. Alle sue spalle vi è un portico classicheggiante emblema di
razionalità. Nonostante la lunga permanenza all’esterno abbia parzialmente abraso il marmo e il
graduale passaggio dal bassorilievo dei personaggi principali allo stiacciato del bosco, non ubbidisce
solo alle regole della prospettiva geometrica. Esso, infatti, crea anche dei suggestivi effetti di
chiaroscuro in tutto simili a quelli ottenibili in pittura.

I PROFETI GEREMIA E ABACUC

L’importanza degli effetti prodotti dal chiaroscuro emerge anche nelle statue marmoree del Profeta
Geremia e del Profeta Abacuc destinate a due nicchioni esterni del Campanile di Giotto. Luce e ombra
sembrano impigliarsi tra le pesanti pieghe dei mantelli, come se la stoffa avesse una rigidità
innaturale, quasi metallica. Questo contribuisce a dare alle figure un’imponenza e una dignità che non
si erano più viste.

Per realizzare le statue, del resto, Donatello si ispira a dei modelli vivi. Il volto di Geremia, infatti, è
un vero e proprio ritratto e raffigura un uomo non più giovane, con una barba rada, le guance
infossate, il labbro inferiore sporgente, gli occhi incavati e le sopracciglia aggrottate. Analogamente
anche il vecchio Abacuc è rappresentato completamente calvo, con un volto scavato e un corpo
magro. In entrambi i casi si tratta di quello che è stato opportunamente definito «naturalismo
integrale», intendendo con ciò una piena e convinta adesione al «vero naturale».

Nella forte espressività di questi volti si concentra tutta la grandezza della nuova concezione artistica
di Donatello. I lineamenti contratti e quasi disarmonici, infatti, non vogliono nascondere i segni del
tempo, in quanto la bellezza sta nella grandezza d’animo e nella dignità morale. La grande stagione di
rinnovamento iniziata da Donatello prende le mosse proprio da questa sua evidente avversione nei
confronti della serena idealità del Gotico e delle sue raffinatezze formali, spostando la propria
attenzione verso una verità specifica e sempre riscontrabile nell’esperienza reale.

IL BANCHETTO DI ERODE

Tra il 1423 e il 1427 Donatello è chiamato a collaborare alla realizzazione del fonte battesimale del
Battistero di Siena. In quest’occasione egli realizza una straordinaria formella in bronzo raffigurante Il
banchetto di Erode.

La scena mostra in primo piano, a sinistra, un servo inginocchiato che offre a Erode un vassoio
recante la testa mozzata del Battista. Il vecchio sovrano è rappresentato da Donatello nell’atto di
ritrarsi, con le palme delle mani aperte, in un gesto quasi di orrore di fronte a quella terribile vista. Il
racconto, così, assume aspetti di drammatico realismo e l’allegro banchetto sfocia in turpe delitto.

Anche altri partecipanti al banchetto si ritraggono agghiacciati dalla crudele esecuzione e solo
Erodiade, a sinistra, si protende verso di lui, indicandogli il macabro trofeo. Donatello rappresenta gli
effetti dello spregevole delitto sui partecipanti al banchetto, giustificando così una soluzione
compositiva alla quale avrebbe più tardi guardato Leonardo per l’Ultima Cena.

In tal modo, viene a crearsi un vuoto proprio al centro della scena e questo artificio compositivo crea
un senso di profondità e di realismo mai visti prima in un bassorilievo. Il geometrico succedersi degli
archi dello sfondo contribuisce a dare ulteriore profondità all’intera scena. Al di là degli archi, si
stanno svolgendo due altre fasi della narrazione. Al centro un suonatore di viola allude alla danza dei
sette veli che Salomè, raffigurata a destra. In fondo a sinistra, invece, ritorna la raffigurazione del
servitore che, in un momento precedente, mostra la testa del Battista anche a Erodiade e a due ancelle.

Mediante tale invenzione, Donatello definisce con la lontananza nello spazio quello che è anche
lontano nel tempo e, viceversa, vicino nello spazio ciò che è vicino nel tempo. Questo nuovo modo di
scandire la narrazione sostituisce il ciclo narrativo medievale.
DAVID

La scultura è stata evidentemente pensata, oltre che per la vista frontale, anche per quella tergale e,
soprattutto, per quella dal basso.

Essa presenta alcuni tratti singolari, come lo strano copricapo e i calzari, tanto che è stato anche
proposto di identificarla con il giovane Hermes della mitologia greca. In questo caso il dio sarebbe
colto nell’atto di osservare con pacato distacco la testa mozzata di Argo, il leggendario gigante dai
cento occhi da lui ucciso per ordine di Zeus. Partendo da uno spunto classico, Donatello conferisce al
suo personaggio un’espressione di naturale pensosità, con la testa ruotata e lievemente inclinata verso
il basso, in vivace contrasto con l’innaturale postura del corpo di derivazione policletea.

La luce è impiegata da Donatello come strumento di modellazione delle masse e finisce poi per
addensarsi ai suoi piedi, ove crea ombre profonde sulla testa di Golia/Argo.

MADDALENA PENITENTE

Nell’ultimo decennio di vita Donatello ha ormai maturato una concezione artistica che va al di là degli
stessi ideali rinascimentali, diventando spesso incomprensibile anche per i suoi contemporanei. In
quest'ultimo periodo è ascrivibile la Maddalena penitente intagliata in tenero legno di pioppo bianco.

Riallacciandosi ai concetti giovanili già espressi nei Profeti Geremia e Abacuc, Donatello abolisce
ogni riferimento alla statuaria classica e concentra le proprie energie nella direzione di una profonda
analisi psicologica del personaggio.

La Maddalena penitente appare non solo sfigurata nel fisico ma anche fortemente dilaniata
nell’animo. Il volto ossuto e sofferente, le mani dalle dita lunghe e nodose, congiunte nella preghiera,
il corpo mortificato da un’informe cascata di capelli che la ricopre come un lungo saio, i piedi
scheletrici modellati sul terreno come delle vecchie radici, esprimono tutta la grandezza interiore della
peccatrice convertita a una vita santificata dalla penitenza. Anche la scelta di utilizzare il legno non
appare casuale. Si tratta, infatti, di un materiale umile e al tempo stesso vivo.

I restauri hanno inoltre evidenziato tracce di policromia e fra i capelli anche qualche suggestivo filo di
doratura. Il testamento artistico di Donatello sta, dunque, proprio qui, nella rivoluzionaria volontà di
trasgredire ogni schema precostituito per arrivare a comprendere e a rappresentare, attraverso la
scultura, i valori più profondi della dignità umana.

MASACCIO

La formazione artistica e culturale di Masaccio avviene a Firenze dove egli si trasferisce con la madre
e i fratelli forse già nel 1417. Le notizie sulla sua biografia sono molto scarse e non si conoscono di
preciso neanche quali furono i suoi maestri.

L’ambiente fiorentino del tempo è ricco di stimoli artistici di ogni tipo e proprio in questo fervore
creativo generale il precoce talento del giovane Masaccio trova il terreno di sviluppo più fertile e
stimolante. Riallacciandosi alle grandi intuizioni di Giotto e dei suoi seguaci, egli concepisce una
pittura radicalmente nuova, arrivando subito a porsi come il terzo, fondamentale punto di riferimento
della rivoluzione artistica del primo Quattrocento.

Attivo soprattutto a Firenze, Masaccio lavora anche a Pisa e a Roma, dove inizia un polittico per la
Basilica di Santa Maria Maggiore. Proprio a Roma Masaccio muore, appena ventisettenne, nel 1428.
SANT’ANNA METTERZA

Con Sant’Anna Metterza inizia la fortunata collaborazione artistica tra il giovane Masaccio e il più
maturo Masolino.

Il dipinto rappresenta la Madonna in trono con il Bambino e Sant’Anna, madre di Maria, messa come
terzo personaggio (da cui l’appellativo di «Metterza»), circondati da cinque angeli. A Masolino si
attribuiscono concordemente sia l’esecuzione della Sant’Anna, sia quella di quattro angeli: i due
turiferari in primo piano e quelli reggicortina centrale e di sinistra. A Masaccio si deve, invece, la
realizzazione dell’angelo reggicortina di destra e della Vergine con il Bambino.

Il corpo di Maria, infatti, è definito con grande sicurezza e assume una massiccia compattezza
piramidale. Tutti i personaggi masacceschi, del resto, grazie a un sapiente uso del chiaroscuro, paiono
sempre dotati di un volume proprio. Anche il piccolo Gesù, infatti, nudo e sodo nella sua robusta
conformazione da Ercole bambino, presenta un chiaroscuro molto accentuato, che plasma con
vividezza sia i lineamenti del volto sia l’anatomia del corpo.

Masolino, verosimilmente colpito dalla nuova e straordinaria concretezza della pittura del collega,
cerca di imitarla con la sua Sant’Anna. In questa, però, il senso del volume è molto meno accentuato e
la convenzionalità dei panneggi nasconde le difficoltà di una prospettiva ancora incerta. La mano
sinistra risulta quasi priva di un braccio al quale congiungersi realisticamente e l’imbarazzo di uno
studio anatomico non ancora sufficientemente approfondito è evidenziato anche dalla mancata
rappresentazione della gamba sinistra.

POLITTICO DI PISA

Il tema della definizione volumetrica dei personaggi, della loro illuminazione naturale e del loro
corretto inserimento prospettico in uno spazio misurabile di tipo brunelleschiano è ulteriormente posto
in evidenza nel grandioso Polittico di Pisa. La pala, progettata in funzione di una complessa struttura
lignea in forme tardo-gotiche è stata purtroppo smembrata nel corso del Seicento.

La tavola centrale era quella della Madonna in trono con il Bambino e quattro angeli. Anche in essa la
Vergine non nasconde affatto la propria fisicità che, al contrario, è messa in particolare e realistica
evidenza da un panneggio pesante e fortemente chiaroscurato. Maria non è rappresentata secondo i
consueti canoni di giovinezza e il suo volto appare stanco e segnato. È evidente, quindi, che il giovane
Masaccio abba preferito ispirarsi alla copia dal vero.

Il Bambino è colto nell’atto di mangiare un acino d’uva da un grappolo che la mamma gli sta
porgendo con la destra. L’allusione è naturalmente al vino, simbolo eucaristico del sangue di Cristo.
Anche la sua aureola, del resto, ubbidisce alle stesse regole prospettiche del mondo reale circostante,
come se Masaccio fosse riuscito a materializzarla in un solido disco metallico. In tal modo essa
appare, per la prima volta, di forma ellittica.

Anche in questo caso la prospettiva del massiccio trono marmoreo è tracciata con grande rigore. Ne
consegue che la linea d’orizzonte coincide con la superficie della seduta.

La struttura stessa del trono è, del resto, assolutamente innovativa e dimostra l’interesse che Masaccio
nutriva nei riguardi dell’architettura dell’Antico. Il grandioso seggio, infatti, ha quasi la
conformazione di un edificio monumentale e anticipa, addirittura, temi architettonici che saranno di
grande attualità solo alla metà del Quattrocento.
Del tutto originale, invece, è l’impiego delle colonnine di diversi ordini, che denuncia un’acuta
curiosità per il rinnovamento architettonico che, proprio con la ripresa degli ordini antichi,
Brunelleschi andava sperimentando in quegli anni.

Nella Crocifissione, posta nella parte superiore della pala, i quattro personaggi si stagliano contro un
irreale fondo oro, che ne esalta ulteriormente le volumetrie. Essi sono composti in modo
geometricamente rigoroso. Maria, a sinistra, di profilo, piange di dolore, immobile e severa, avvolta
nel pesante mantello azzurro. A destra, San Giovanni, frontale e rivolto verso l’esterno del dipinto, ha
un’espressione sconfortata e attonita, mentre appoggia la testa sulle proprie mani giunte.

Al centro, alto sulla croce del martirio, il Cristo è rappresentato nella dolorosa immobilità della morte.
La vista dal basso in alto gli scorcia innaturalmente il collo, insaccandoglielo nelle spalle. Le braccia
tese nello spasimo, il corpo pesante, il ventre gonfio e le gambe tozze ricordano continuamente la
natura umana del Cristo.

In basso avvolta in un mantello arancione, ecco infine la Maddalena, della quale non si vede che una
cascata di biondi capelli e due mani disperatamente protese verso quelle del Cristo. Di lei Masaccio
riesce a fare intuire lo straziante dolore anche senza mostrarne il volto. È Giovanni, infatti, l’unico a
guardarla in viso così che l’espressione dell’Apostolo prediletto diventa anche specchio psicologico
dello sgomento della donna.

TRINITA’

L’affresco presenta una struttura narrativa prospetticamente ripartita su diversi piani. Tale artificio
crea un effetto di grande profondità spaziale, come se la cappella non fosse solamente dipinta, ma
quasi scavata oltre lo spessore del muro.

In primo piano, in basso, Masaccio raffigura un sarcofago con sopra uno scheletro. La scritta
esplicativa «Io fu già quel che voi sete e quel ch’i’ son voi a[n]co sarete» allude simbolicamente alla
transitorietà delle cose terrene.

Sopra allo scheletro vi sono le due figure inginocchiate in preghiera dei committenti, dietro alle quali
si apre la cappella dipinta vera e propria. Al suo interno vengono rappresentati la Vergine che rivolge
verso di noi uno sguardo severo, indicandoci il figlio con la destra, e San Giovanni, con le mani
giunte. Cristo è simbolicamente sorretto, alle spalle, da Dio Padre che si colloca in terzo piano, al
vertice più alto della piramide compositiva. Tra il volto impassibile del Creatore e quello doloroso di
Cristo, Masaccio inserisce anche la candida colomba dello Spirito Santo.

Quello che maggiormente colpisce in quest’affresco è la monumentalità dei personaggi. All’interno


della complessa struttura architettonica della cappella le decise volumetrie dei personaggi
contribuiscono a chiarire i rapporti spaziali. Esse, infatti, scandiscono fisicamente i vari piani
stabilendo nello stesso tempo anche una gerarchia crescente di valori. Dalla morte del corpo (lo
scheletro) ci si eleva, grazie all’intercessione (Maria e Giovanni) e per mezzo della preghiera (i
committenti), fino alla salvezza dell’anima e alla definitiva sconfitta della morte stessa (la Trinità).

È comunque soprattutto l’architettura a parlare un linguaggio nuovo: in parte brunelleschiano, in


parte frutto di Masaccio. La cappella, infatti, è introdotta da una coppia di paraste corinzie. Alle
paraste sono accostate due colonne ioniche sormontate da un arco che è tangente all’architrave
soprastante. Dei tondi occupano lo spazio dei timpani c . Non è difficile vedere in questo complesso il
riferimento, quasi puntuale, all’architettura dello Spedale degli Innocenti.
Ma il piccolo fregio a meandro e l’architrave superiore con i dentelli sono innovazioni introdotte dallo
stesso Masaccio. L’interno della cappella è costituito da una volta a botte cassettonata. L’arco frontale
è ripetuto nel fondo della cappella, che si conclude con una piccola abside.

Con Masaccio, dunque, possiamo considerare definitivamente superata la tradizione pittorica del
Gotico Internazionale. Le intuizioni di Giotto vengono infatti riprese, sviluppate e potenziate dando
origine a personaggi efficacemente realistici, modellati dal chiaroscuro e resi credibili dalla perfetta
aderenza delle loro espressioni alle situazioni che stanno vivendo.

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