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Paolo Veronese (1528-1588)

Paolo Veronese inizia la sua formazione tramite Mantegna che gli trasmette il classicismo, con Giulio
Romano che gli insegna il manierismo, che con Correggio e il pre-barocco, avendo quindi un’alta
preparazione pittorica e amore per l’antico.
L’artista predilige la giustapposizione di più colori invece che la graduazione tonale di una stessa
tinta, ottenendo di conseguenza un risultato più luminoso e squillante, abolendo quasi
completamente il nero puro, e usando in modo parsimonioso il bianco. Questo perché aveva già
intuito che nero e bianco non sono veri e propri colori, e, invece che fare un uso spropositato del
bianco per fare i punti luce, utilizza piuttosto colori complementari accostandoli in modo che
esaltino a vicenda, evitando il chiaroscuro e la scala tonale, che invece tenderebbero ad incupirli.
IL DISEGNO: Paolo era un esperto in ogni tecnica, aggiungendo un gusto manierista per la fantasia
delle invenzioni e la difficoltà nel realizzarle. Egli realizza anche soggetti finiti e chiaroscurati
concepiti per essere espressioni artistiche autonome.
Un esempio lo troviamo ne” L’angelo che appare a Zaccaria”, con l’uso di carta preparata azzurra e
un uso sapiente delle luci e delle ombre che danno subito al disegno un effetto pittorico. Il disegno
rivela anche una grande attenzione verso l’architettura.

AFFRESCHI DI VILLA BARBARO

Nel 1560 due fratelli patrizi veneziani commissionano a Veronese di affrescare gli interni della loro
villa, costruita da Andrea Palladio. Gli affreschi rappresentano una complessa allegoria della vita
campestre, essa è stata dipinta sullo sfondo di un incantato Olimpo mitologico, nel quale uomini e
dei sono immersi nella medesima atmosfera di scintillante luminosità. La pittura è adattata alla
semplicità dell’architettura palladiana, riallacciandosi alla pittura illusionistica di epoca romana, con
sfondamenti prospettici che simulano la presenza di aperture reali, come il realismo nell’apertura
delle finestre.
Mentre i soffitti hanno un aspetto più divino dato dalla presenza di divinità, le pareti hanno invece
un linguaggio quotidiano, per dimostrare come la sapienza e la virtù divine si riflettano nella vita di
ogni giorno della famiglia Barbaro.
Nella sala a crociera, si trova una bambina vestita di verde che si affaccia da una gran porta appena
socchiusa, a grandezza reale. Allo stesso modo si trova un giovane paggio che arriva da un’altra
porta, e oltre le finte balaustre dove si estendono dei paesaggi, dalle nicchie affrescate ci sono 4
suonatrici dipinte.
Troviamo molte architetture dipinte che ornano realisticamente varie parti delle sale, che fanno
intendere la dettagliata conoscenza degli originali romani di capitelli e trabeazioni.

Nella “Sala dell’Olimpo” però troviamo il massimo dell’espressività, dove alla sommità di una delle
due pareti d'imposta della volta, l’artista rappresenta, affacciate a un ballatoio, Giustiniana
Giustiniani in compagnia di una nutrice. La balaustra dipinta in modo da sembrare marmo bianco,
troviamo un cagnolino e un pappagallo bianco, che significano serenità della vita domestica. La
nutrice sta indicando con molta discrezione alla padrona un gentiluomo intento alla lettura.

Giustiniana ha un incarnato pallido tenuamente aranciato, complementare all’azzurro del vestito,


mentre la serva ha la pelle rossastra abbronzata, che fa da contrasto al verde intenso della sua veste.

Dietro di loro troviamo due bianche colonne che sfondano il senso di profondità, che pone ancora
più in risalto le due donne, la cui nitidezza porta a cercare il punto luce che le illumina, che
ovviamente non esiste. Infatti, la luce della pittura del veronese sta nella pittura stessa, grazie alla
contrapposizione dei colori complementari e nell’accostamento di caldi e freddi.

Giulio Romano (1499-1546)

Giulio ha disegnato arazzi di soggetto allegorico o mitologico, come “L’allegoria della Reggenza del
cardinale Ercole Gonzaga” (andato perso). Nello sfondo vediamo un paesaggio lacustre con una
cittadina sulle sponde, che potrebbe alludere a Mantova, un puttino guida un carro trainato da 4
aquile imperiali, e sopra di lui ci sono altri due puttini che portano in volo un cappello cardinalizio e
uno stemma dei Gonzaga con due leoni rampanti. Il carro fa riferimento a Ercole Gonzaga, che
simboleggiano il ducato di Mantova. Due alberi inquadrano la scena formando un arco a sesto acuto,
in relazione con quella giustificazione naturalistica che Raffaello aveva dato dell’architettura gotica.

PALAZZO TE

Il palazzo è stato costruito su un’isola a Mantova chiamata isola Tejèto, e ha la funzione di luogo
delle delizie e di svago extraurbano. Esso ha la forma quadrata, si compone di un solo piano e di un
mezzanino, e si articola attorno a un cortile interno, prendendo come esempio architettonico quello
di una domus romana.

A est troviamo un grande giardino delimitato su un lato dalle stalle, e si conclude con un’esedra ad
arcate. Il palazzo non ha una facciata uguale all’altra, tuttavia quella nord e ovest, entrambe
bugnate, sono determinate assemblando gruppi modulari delimitate da paraste che stringono delle
nicchie.

L'edificio infine è coronato da una trabeazione dorica con un fregio a metope e triglifi. La facciata
settentrionale ha un accesso composto da tre aperture affiancate da lesene doriche giganti che
intendono suggerire un unico piano. Le lesene definiscono anche le campate che ospitano delle
finestre bugnate, le bugne dei cui architravi invadono la cornice marcapiano con un motivo a greche.

La facciata occidentale, ha un unico accesso inquadrato da lesene binate intercalate da nicchie, ed


immette un vestibolo tripartito per il tramite di colonne rustiche.

La facciata orientale si apre sul retrostante giardino, è regolarmente divisa ad arcate, lesene e
colonne trabeate. La porzione centrale è sormontata da un timpano, mentre i due sostegni centrali
per i tre profondi archi sono costituiti da quadruplici colonne.

Le quattro facciate sono scandite da semicolonne piuttosto che da paraste, qui i timpani delle grandi
nicchie e finestre risultano volutamente spezzati, mentre porzioni di trabeazione vengono fatte
scivolare in basso.
SALA DEI GIGANTI

Giulio in questo dipinto riesce ad integrare il pensiero architettonico, la profonda conoscenza


dell’antico e l’esperienza pittorica degli anni trascorsi a fianco di Raffaello.

È raffigurato l’episodio di Giove che punisce i giganti che si erano ribellati, assalendo l’Olimpo dopo
aver accatastato i monti l’uno sull’altro, e li punisce colpendoli con i fulmini, facendoli precipitare
nelle viscere dell'Etna.

La rappresentazione pittorica si accorda con l’architettura, le aperture si mimetizzano con le pietre


dipinte. Alle pareti, con i giganti schiacciati sotto le macerie di montagne di montagne sgretolate, fa
seguito la volta dove stanno gli dei a difesa dell’Olimpo. Al centro, sostenuto dalle nuvole grigio-
azzurre, si erge un edificio con 12 colonne che sorreggono una cupola emisferica cassettonata.
All'interno della cupola pende un baldacchino a ombrello, sotto al quale, su un trono, si manifesta
l’aquila di Giove con le ali spiegate.

Pochi seppero concepire un’opera di così coinvolgente tragicità.

Caravaggio

Prima formazione legata all’ambiente lombardo e veneto, grande sensibilità per luci e ombre, si
distingue subito per la straordinaria bravura nel dipingere nature morte.

BACCO degli Uffizi. Si notano già le sue nuove e personalissime finalità espressive, è la fine di una
serie di dipinti di adolescenti con natura morta. Il giovane è parzialmente avvolto in un lenzuolo a
imitazione di un’antica veste romana, una ghirlanda di tralci di vite fanno da corona a una testa di
capelli neri ricci. Volto ruotato di tre quarti e inclinato in avanti è arrossito, espressione enigmatica e
trasognata. Con la mano sinistra regge una coppa piena di vino versato dalla bottiglia sul tavolo.
Natura morta in primo piano anticipa i temi del canestro di frutta, frutti marci e foglie secche sono
simbolo del tempo che tutto corrompe e dissolve. Atmosfera fosca, travestimento mistico, giovinetto
può essere visto in un’ottica cristiana controriformista, egli allude al Salvatore e i vari elementi
decorativi sono simboli della passione di Cristo. Ideologia e gusto seicenteschi tendenti a ristabilire il
primato della realtà su quello della ricercatezza tardo-materialista.

CANESTRA DI FRUTTA

Oggi alla pinacoteca ambrosiana di Milano, è un olio su tela di piccole dimensioni. Il soggetto non
rappresenta che un pretesto mediante il quale Caravaggio si pone in condizione di osservare
minuziosamente la realtà, composizione studiatissima in ogni sua parte, visione perfettamente
centrale sul cesto che occupa un ideale semicerchio, questa scelta rese difficile la rappresentazione
di una profondità prospettica, che Caravaggio risolve facendo sporgere leggermente la base del
canestro, avvicinandolo all’osservatore; allontana la percezione dello sfondo, neutro e caldo per far
risaltare i toni freddi delle foglie.

Nella CAPPELLA CONTARELLI Caravaggio realizza tre tele:

nella VOCAZIONE DI SAN MATTEO l’artista precisa e approfondisce le sue tematiche figurative. È
rappresentata la scena in cui Gesù sceglie il pubblicano Matteo come apostolo, ambientata in un
locale oscuro. All’estrema destra ci sono Cristo e San Pietro, aggiunti in un secondo momento,
Matteo fa cenno con la mano per accertarsi di essere lui il prescelto. I 5 personaggi attorno la tavola
sono tutti allineati lungo la mediana. Non tutti si accorgono della presenza di Cristo, chiamata di Dio
sempre rivolta a tutti, ma ciascuno è libero di ascoltarla o respingerla. Vera protagonista della tela è
la luce che proviene da una porta del dipinto, ma corrisponde anche a quella effettiva della cappella,
luce dà alle figure volume e risalto. Realismo evidente nella definizione dei caratteri, nelle posture e
negli abiti.

SAN MATTEO E L’ANGELO. 2 versioni, la prima rifiutata perché il santo aveva piedi sporchi e gambe
accavallate. Nella nuova San Matteo indossa un abito rosso e si rivolge all’angelo. La prospettiva
sghemba del tavolo, la rotazione del libro e la posizione dello sgabello animano il dipinto, come se
l’azione potesse fuoriuscire. Intenso gioco di sguardi.

MORTE DELLA VERGINE. Conservata al Louvre, era stata ritenuta irrispettosa della figura della
Vergine. Personaggi crudamente realistici e fuori dagli schemi iconografici tradizionali, tanto da
essere ritenuti indegni. La scena raffigura la madonna subito dopo la morte, mentre la Maddalena e
gli Apostoli le si stringono intorno. Il particolare di scandalo fu il volto della vergine, per il quale
sembra essere stato utilizzato il volto di una cortigiana. Corpo pallido e già irrigidito dalla morte,
ventre visto come scrigno sacro della divinità, grande religiosità in questo dipinto. Composizione
asimmetrica, la luce viene dal retro e percorre la tela obliquamente.

DAVID CON LA TESTA DI GOLIA si rifà al tema della morte, uno fra i dipinti più drammatici di
Caravaggio. Dal buio dello sfondo emerge con crudo risalto la figura di David che osserva con
distacco la testa mozzata di Golia, i suoi occhi sbarrati guardano senza vedere, mentre la bocca
sembra aver appena pronunciato l’ultimo grido. Inteso in chiave controriformista rappresenta il
trionfo di Cristo sul male.

Gian Lorenzo Bernini (1598-1680)

era scultore, architetto, disegnatore, pittore, commediografo e scenografo; la sua carriera artistica si
svolse all’interno della corte papale. Inoltre, è considerato colui che portò alla massima fioritura il
linguaggio barocco (nell’arte barocca la fantasia e la libertà di espressione trasgrediscono quasi tutte
le regole imposte dal Classicismo.)
APOLLO E DAFNE

è un gruppo marmoreo della Galleria Borghese, in esso le due tematiche fantasia e classicità
compaiono in modo evidente. La scena rappresentata consiste in Apollo (dio greco della musica e
profezie) che raggiunge Ninfa Dafne di cui si era innamorato a causa di una freccia scagliata da Eros,
Dafne però non ricambiando il suo amore chiede al padre Penéo di tramutarsi in alloro (Daphne in
greco). Bernini riesce a conferire alle figure un senso di disperazione, agitazione, foga e movimento.
La gamba sinistra di Apollo è sollevata dal suolo e il braccio destro è posto all’indietro per equilibrare
lo slancio della corsa; invece, il corpo di Dafne è posto in avanti, la sua bocca è dischiusa, ciò fa
pensare stia urlando, mentre le sue mani, capelli e gambe iniziano a trasformarsi in radici e rami di
alloro.

IL BALDACCHINO DI SAN PIETRO

(costruita tra 1624-1633) è un’opera architettonica piena di armonia costruita fondendo le varie
diverse arti, Bernini scatenò tutta la sua creatività e grazie a questo venne fuori una costruzione del
tutto diversa dalle altre in forma e materiali. Voluta dal papa Urbano VIII Barberini, Bernini dovette
inventare una tipologia nuova e complessa che riunisse l’idea del baldacchino in legno e tessuto.
Struttura del Baldacchino: Su 4 enormi piedistalli di marmi policromi e ornati con stemmi pontifici a
rilievo, sono poste 4 colonne in bronzo dorato che donano un grande slancio verticale, alte circa 11
metri e riempite in calcestruzzo per aggiungere robustezza. Sono costituite da tre rocchi incastrati e
sovrapposti, decorate con scanalature spiraliforme, rami di alloro (simbolo di gloria), lucertole
(resurrezione), e api (richiamo allo stemma della famiglia Barberini e allusione al profumo di santità);
mentre all’apice sono coronate da imponenti capitelli sui quali si appoggiano 4 alti segmenti di
trabeazione. La fascia superiore della cornice in fusione di bronzo dorato prosegue verso l’interno e
appare leggera e preziosa, termina inferiormente imitando i pendoni e attribuendogli un senso di
morbidezza. La copertura fu opera della collaborazione con Francesco Borromini, e convergeva
diagonalmente verso il centro sorreggendo un elemento di unione dei quattro sul quale poggia un
grande globo sormontato da una croce. La straordinaria unicità del Baldacchino sta proprio nel
riuscire a integrarsi all’interno della basilica senza ingombrare, pur essendo colossale perché resa
slanciata e fine, leggera dai suoi elementi architettonici e dal colore bronzeo in contraddizione con il
colore chiaro dei marmi.

IL COLONNATO DI PIAZZA SAN PIETRO

fu commissionato da papa Alessandro VII Chigi nel 1657. Il colonnato si compone di 284 colonne e 88
pilastri disposti su quattro file. Il coronamento invece è sorretto da enormi capitelli di ordine
tuscanico, ed è presente uno spesso architrave sormontato da una cornice marmorea. La copertura
per finire è a capanna, ma all’altezza della grondaia si innalza una balaustra sulla quale sono
collocate simbolicamente 140 statue di santi. La pianta ha una forma a ellisse che si congiunge grazie
a due ali alla facciata della Basilica Vaticana. Un ulteriore intendo di Bernini mai realizzato e
anticipato da Giovan Battista Falda era quello di includere una terza porzione di colonne in modo da
creare due portici e far stupire gradualmente il visitatore dell’immensità della piazza. Il colonnato
assume un valore simbolico, oltre ad essere complesso strutturalmente e geometricamente: essendo
San Pietro “madre” di tutte le chiese, doveva dare un senso di accoglienza per i Cattolici e per gli
infedeli (per illuminarli alla vera fede), è questo il senso che Bernini attribuisce ai due rami curvi del
colonnato che sembrano concretamente accogliere “a braccia aperte” le persone, dando una forma
inclusiva (abbraccio simbolico).

Francesco Borromini (1599-1667)

Francesco Castelli, noto come Borromini, fu un architetto, grazie a lui nacque il concetto di
“specializzazione” che consisteva nel concentrare tutte le proprie energie e capacità in un unico
campo in cui si tende ad eccellere.

CHIESA DI SANT’IVO ALLA SAPIENZA

è considerata come la massima espressione della libertà inventiva di Borromini. Questa è costituita
dalla chiesa a pianta centrale (che prosegue in alto senza variazioni) di Sant’Ivo alla Sapienza
(realizzata fra il 1642-60). Egli generò uno schema planimetrico (piano) mai impiegato prima,
costituito da: 3 ampie absidi lobate alternate a tre nicchie introdotte da pareti che convergono con il
fondo convesso. In questo modo Borromini abbandona la regola rinascimentale delle proporzioni
che generava l’edificio tramite ripetizioni di moduli uguali e propone una preziosa progettazione per
schemi geometrici. Il complesso andamento formato da vari archi di curve e segmenti rettilinei
termina nell’anello del serraglio della lanterna, dove le facce sono tutte convesse. L’esterno risponde
alla stessa logica compositiva, specialmente nell’alto tiburio e nelle gradinate che costituiscono le
nervature. Dei contrafforti radiali stringono la cupola e vanno a sorreggere la lanterna che ha facce
concave separate da colonne binate concluse da candelabre fiammanti. La lanterna termina con
un’elica scultorea che si restringe verso l’alto e dona un senso di movimento rotatorio a lungo
andare più vorticoso. La fabbrica, si accende nella corona formata da lingue di fuoco sulla quale la
pelle e la croce sembrano miracolosamente sospese.

Andrea Palladio (1508-1580)


Andrea di Pietro della Gondola ebbe l’occasione di studiare le architetture del Bramante, Raffaello e
Michelangelo, studiò anche i monumenti classici.

TIPOLOGIA DELLE VILLE PALLADIANE

Ville nella campagna veneta, tipico modo di vivere dei patrizi veneti. Considerato luogo di svago e
delizie, ma anche di produttività.
La pianta era solitamente di forma quadrata, o rettangolare con la presenza di uno o più loggiati, il
salone centrale è l’ambiente principale dell’edificio, attorno al quale si dispongono simmetricamente
le scale e tutti gli ambienti abitativi e di servizio.

VILLA BARBARO
1550, esempio notevole di villa palladiana, commissionata dai fratelli Barbaro. È costituita da un
grande corpo centrale avanzato. La facciata è trattata a bugnato dolce, ma con l’utilizzo di un ordine
ionico gigante e alla solenne terminazione del timpano assume il fronte di un tempio tetrastilo. Gli
stucchi vistosi del frontone e le decorazioni interne (tranne i festoni) si devono a Paolo Veronese. I
volumi porticati laterali, le cui ali nel retro determinano i margini del giardino, con un ninfeo ad
esedra, costituiscono le ampie barchesse.

VILLA ALMERICO-CAPRA
Meglio conosciuta come La Rotonda, commissionata da Paolo Almerico, costruita tra il 1566 e il
1567, fuori Vicenza. È stata costruita non solo come luogo di abitazione ma anche come luogo di
piacere e intrattenimento. Si tratta di un edificio a pianta quadrata, gli ambienti interni simmetrici,
sono raggruppati intorno ad un salone circolare coperto da una cupola. In ognuna delle 4 facciate del
compatto blocco cubico, si apre un accesso preceduto da un classico pronao esastilo, al quale si
perviene mediante una scalinata. La villa, perciò, è al pari di un tempio romano, sollevata su un
podio. I loggiati danno la possibilità di godere sempre della natura circostante.

LA CHIESA DEL REDENTORE - Venezia


Un imponente edificio votivo, edificato durante l’epidemia di peste. Eretta sul Canale della giudecca,
presenta una facciata costituita dall’intreccio di due schemi templari: d’ordine corinzio (più piccolo),
e d’ordine composito (più grande), ambedue poggianti sullo stesso piano. Lo schema dominante è
quello maggiore, si compone di due grandi semicolonne collocate tra due paraste angolari che
sostengono un frontone triangolare. Lo schema minore è impostato allo stesso livello di quello
maggiore, avvolge l’intera lunghezza dell’edificio, è articolato da paraste che sostengono due semi
timpani dentellati con il geison e la Sima che si interrompono contro le grandi paraste terminali. La
trabeazione prosegue dietro l’ordine maggiore e riaffiora in corrispondenza delle due semicolonne
corinzie che affiancano il portale dell’edificio sacro. Il frontone si staglia contro il muro verticale che
sostiene una falda del tetto, si crea così, un tema che riprende quello del frontone del pantheon.
L’interno dell’edificio è a una sola navata rettangolare, con tre profonde cappelle per lato. Il
presbiterio ha forma accentrata e ci si accede mediante un arco. Delle tre esedre che circondano il
vano del cipollato, due costituiscono i bracci del transetto, mentre la terza, con quattro colonne
libere delinea un’abside.
La grande volta lunetta corrisponde esattamente alla tipologia vista nelle terme romane. I riferimenti
al mondo classico sono importanti per palladio, in modo originale e libero. Spesso sostituisce i
materiali come il marmo (antica Roma) con materiali più poveri come il legno o mattoni, poi
adeguatamente ridipinti e intonacati. Inoltre, fa preparare alcune parti separatamente per poi
assemblarle al corpo principale una volta finito—> costruzione rapida, minimo costo e impiego dei
mezzi.

TEATRO OLIMPICO
1580 l’architetto comincia a Vicenza la costruzione, non completata da lui. Una ripida cavea
semicircolare è conclusa in alto da un colonnato trabeato, sormontato da statue che ne esaltano la
verticalità. Essa racchiude l’orchestra e fronteggia il palcoscenico, dietro al quale si apre uno scenario
architettonico fisso, la scaenae frons. La scena si struttura in due ordini sovrapposti (corinzi) e un
attico. Nell’ordine inferiore la trabeazione aggetta sulle colonne libere che poggiano su piedistalli e
che si articolano con un insieme di paraste. Nell’ordine superiore le membrature verticali si limitano
alle semicolonne trabeate affiancate da semi paraste. La struttura è coperta, a differenza dei tipici
teatri romani, ma il soffitto è dipinto simulando cielo e nuvole. Una delle grandi invenzioni di Palladio
furono le prospettive plastiche; infatti, dalle tre aperture sul fronte architettonico si dipartono
cinque strade che sembrano lunghissime a causa dell’illusionismo prospettico. Sono state realizzate
leggermente in salita, restringendosi man mano più lontani dell’osservatore.

I CARATTERI DEL BAROCCO


Il Seicento, secolo della Controriforma cattolica. L’arte è il principale strumento per la diffusione di
massa delle idee controriformiste; gli artisti sono il tramite mediante il quale arrivare a toccare con
efficacia l’animo dei fedeli.
Quest’arte per imporsi sugli eretici deve essere grandiosa: imponenza, spettacolarità ma soprattutto
capacità di penetrare a fondo nelle coscienze, e dunque sedurre e commuovere, al fine di
conquistare il gusto grazie alla capacità di suscitare emozioni e sentimenti. In architettura. il gusto
seicentesco si esprime attraverso la ricchezza e monumentalità delle costruzioni. Nelle chiese si
prediligono la navata unica, la pianta centrale, la copertura a cupola, la volta a botte. Negli interni e
nelle facciate si sperimentano spettacolari soluzioni spaziali: ai motivi architettonici si
sovrappongono spesso anche quelli pittorici e scultorei. La presenza ornamentale di statue, fregi,
false finestre e altri elementi puramente decorativi arriva a essere più importante della stessa
struttura architettonica, cosicché la forma (l’ornamento) ha il sopravvento sulla funzione (la
struttura).
Insistita ricerca d’un effetto scenografico. A Roma, nel tentativo di ripristinare l’immagine di potenza
e ricchezza dell’antica caput mundi, si tracciano nuove strade e si costruiscono nuovi palazzi, chiese e
fontane.
Il giardino trova ora il suo più significativo sviluppo come luogo privilegiato di delizie ed evasione.
Con il termine Barocco si individua lo spirito dominante del Seicento e le sue principali modalità di
espressione artistica. La parola ha origini incerte: deriva forse dallo sp. barrueco, un raro tipo di perla
di forma irregolare e non perfettamente sferica, dunque di per sé particolare e preziosa. Poiché il
gusto barocco si diffonde molto rapidamente, partendo da Roma, in tutti gli Stati cattolici d’Europa,
le forme artistiche con le quali si manifesta sono varie e differenziate. Nato come esplicita risposta al
protestantesimo, arriva in breve a diffondersi anche negli stessi Paesi protestanti.

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