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Come il Pontormo, anche Rosso Fiorentino è animato dal desiderio di rinnovamento e cerca
un’alternativa alla “forma chiusa” della tradizione toscana. Inoltre facendo riferimento ai suoi
grandi contemporanei, da Michelangelo a Durer, avvia un recupero della deformazione epressiva
con effetti caricaturali.
DEPOSIZIONE DALLA CROCE (1521, Volterra, Pinacoteca)
L’opera venne commissionata dalla Compagnia della Croce di Notte per la Cappella
della Croce di Giorno a Volterra, nella chiesa di San Francesco. Più tardi i conti Guidi,
nuovi intestatari della cappella, trasferirono la tavola in esame nella cappella di San
Carlo in Duomo.
La novità dell’opera è sicuramente l'eliminazione di qualsiasi gerarchia tra la Vergine e i santi: essa infatti non è come spesso si
vede in posizione dominante, ma si trova al centro del gruppo in uno spazio circoscritto. Inoltre, a differenza di Pontormo,
Rosso tese a chiudere la composizione su sé stessa, anziché aprirla verso l'esterno o, tantomeno, mantenere la classica
scansione ritmata, ma come per Pontormo la spazialità appare compressa, con una forte riduzione della profondità.
I santi hanno volti incupiti da ombreggiature molto marcate, con sguardi privi di serenità, ora interrogativi, ora attoniti, con un
senso generale d'inquietudine, sottolineata anche dalla gestualità. Nel san Girolamo ad esempio si notano già caratteristiche
che verranno sviluppate nelle opere future, come l'espressività caricata nella posa e nel volto e una sfaccettatura dei volumi
che esaspera le forme. A una ricerca in tale senso va aggiunta anche l'accentuazione delle ombre attorno agli occhi, così
antinaturalistica: nel caso del Bambino tale evidenza è però dovuta al riaffiorare di un pentimento, forse corretto all'epoca
della risistemazione dei santi: di occhi, infatti, il Bambino Gesù ne ha ben quattro.
Tali caratteristiche sottilmente inquietanti appaiono però mitigate dalla dolcezza di alcune figure, come quelle degli angioletti,
o dalla ricchezza cromatica, con effetti cangianti.
CRISTO MORTO COMPIANTO DA QUATTRO ANGELI (1525-26; Boston, Museum of Fine Arts)
La tradizione che risale a Vasari ricorda l'opera come eseguita per il
vescovo di Sansepolcro Leonardo Tornabuoni, uno dei prelati fiorentini
alla corte papale di Clemente VII.
Cristo morto, col costato ferito, è raffigurato nella sua nudità, seduto
sul sepolcro-altare su un sudario blu intenso e retto da quattro angeli.
Due di essi, quelli in primo piano, illuminati più fortemente, tengono in
mano due grossi ceri: in quello di destra la veste assume originalissimi
toni cangianti, tra il rosso e l'azzurro. In terra si trovano gli strumenti
della Passione (i chiodi e l'asta con la spugna imbevuta di aceto),
mentre in testa Cristo ha ancora la corona di spine.
PIETà (1530-35- Parigi, Musèe du Louvre) Il corpo di Cristo, ormai cadavere, è seduto sopra ad un
cuscino rinascimentale decorato con delle nappe. Le gambe
poi sono flesse leggermente e il busto sollevato. La mano
destra invece è appoggiata alle ginocchia di Maria, come
anche il suo avambraccio. Il volto infine ricade verso sinistra
esanime con le labbra leggermente dischiuse.
Nella parte sinistra si trovano le scene che rappresentano passioni eccessive e comportamenti
sconsiderati sono:
La battaglia fra centauri e lapiti
La perdita della gioventù perpetua
La vendetta di Nauplio
La morte di Aiace
L’educazione di Achille
Il bagno di Pallade
Nella parte a destra del Ritratto del sovrano, verso la testata ovest, sono rappresentate scene che
illustrano comportamenti virtuosi:
I gemelli di Catania
Cleobis e Biton
L’unità dello Stato
L’Elefante reale L’illuminazione di Francesco I Il Sacrificio di Elia