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Quando si parla di Manierismo si fa riferimento ad uno stile che si diffonde, in Italia prima e in tutta

Europa poi, nei vari decenni del Cinquecento. Manierismo vuol dire ricerca di una forte sperimentazione
che trova risposte in soluzioni anticlassiche. Cosa significa proporre un linguaggio anticlassico agli inizi
del Cinquecento in Italia? Vuol dire superare la lezione dei grandi maestri rinascimentali, non in senso
qualitativo, ma proponendo un’arte che possa scardinare alcune certezze. Nel Giudizio Universale
Michelangelo ha proposto possenti figure umane dalle pose innaturali e contorte, gli artisti manieristi
esasperano questa ricerca con figure serpentinate, abbandonando in primis la proporzionalità delle
figure stesse, sospese in uno spazio senza una razionale prospettiva. Il rifiuto della classicità si
trasforma quindi nel rifiuto di ogni forma di equilibrio, proporzione, creando un'arte unica, originale, forse
troppo anticonformista per i tempi.
In realtà la produzione manierista è stata molto eterogenea e appare quasi improprio dare una stessa
etichetta ad artisti diversi tra loro. Una cosa sembra accomunarli però ed è l’idea che l’arte può essere
suggestione e spettacolo, non sempre ricerca di verità assoluta o strumento di una
comunicazione didascalica.
A causa di giudizi spesso sfavorevoli, fin dal Seicento il Manierismo veniva visto come un’arte vuota e
bizzarra. Solo nel XIX e soprattutto nel XX secolo, la critica lo rivaluta, individuando in questa corrente
artistica un'estetica anticipatrice di molte avanguardie pittoriche perchè svincolata dall’imitazione
realistica e quindi più contemporanea.
Rosso Fiorentino, Deposizione, 1521, Pinacoteca di
Volterra
La Deposizione fu dipinta da Rosso Fiorentino (Giovan
Battista di Jacopo) nel 1521 per la Cappella della
Confraternita della Croce di Notte, annessa alla Chiesa di
San Francesco a Volterra.
L’opera è, secondo la critica, l’espressione più stilisticamente
esasperata di tutto il filone anticlassico del primo
Cinquecento; questo per l’invenzione compositiva, la
complessa gamma cromatica, ancora più cangiante e
astratta di quella michelangiolesca, la resa delle anatomie, i
lineamenti contorti di certi volti, il trattamento dei panneggi e
una modellazione delle forme particolarissima. Anche la luce
svolge un ruolo fondamentale: il cielo del crepuscolo, cupo e
senza nubi, crea uno sfondo uniforme, più luminoso nella
parte inferiore verso l’orizzonte e più intenso verso l’alto.
Rosso Fiorentino sembra mosso da un profondo desiderio di
rinnovamento. Nella sua “Deposizione” scompare
quell’ordine, quelle certezze che hanno popolato a lungo i
quadri rinascimentali.
Rifacendosi ai testi sacri, illustra il momento preciso della
discesa del corpo di Gesù dalla croce, una croce che
domina la scena, sulla quale poggiano due scale, tutto in un
apparente precario equilibrio. Propone quindi una scelta
inconsueta, dove ci appaiono due situazioni in
contrapposizione: in alto personaggi che si affannano per
deporre il corpo di Cristo costretti a delle torsioni
acrobatiche, un affanno che trova un contrapposto nelle pose
disperate e meno prosaiche dei personaggi che occupano la
parte bassa del dipinto.
Gli uomini arrampicati con fare incerto sulle scale dalle diverse inclinazioni sono numerosi ma in primis
notiamo Giuseppe d’Arimatea che indica urlando di sostenere Cristo, prossimo a cadere; in alto il vecchio e
canuto Nicodemo che, in modo instabile, cerca appoggio e affacciato con il viso contratto come una maschera
contribuisce a creare una situazione al limite della farsa. Tutta questa concitazione dà proprio uno strano
effetto comico tanto che lo stesso Gesù sembra sorridere della paradossale situazione.
In basso, la parte tragica e intensa, enfatizzata da Maria che assume gli stessi colori del figlio, unendo
idealmente le due figure e sembra quasi scomparire, chiusa in se stessa, a fatica sorretta da due donne. Ai
piedi della croce e prostrata alle ginocchia di Maria vi è la Maddalena, in un abito rosso in contrasto con i
panneggi della Vergine. A sinistra, solitario, c'è Giovanni che ricorda l'immagine di Adamo cacciato dall'Eden di
Masaccio, volgendo le spalle alla scena e nascondendo il volto con le mani, pietrificato dal dolore. Sullo
sfondo, in basso a destra, si intravedono, piccolissimi, dei soldati che si allontanano, identificabili con gli
aguzzini che crocifissero Gesù. Il paesaggio è quasi invisibile ma è importante la scelta del colore plumbeo
dato allo sfondo, sembra quasi amplificare il senso di spaesamento e precarietà che caratterizzano l'opera.
Pontormo, La Visitazione, 1528- 1530, Chiesa di San Pontormo (Jacopo Carucci) affronta un percorso
Michele a Carmignano, Firenze stilistico simile al Rosso Fiorentino. E' un artista pervaso
da una latente malinconia mista a tormento che lo
accompagnerà per tutta la vita: il confronto con
Michelangelo ed il desiderio di superarlo diverranno per
lui una vera e propria ossessione.
“La Visitazione” rappresenta un passo del Vangelo, la
visita di Maria, incinta di Gesù, alla più anziana cugina
Elisabetta, che a sua volta porta in grembo Giovanni
Battista. L’evangelista Luca scrive che, appena
Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino
sussultò nel suo grembo.
Le due donne si scambiano un abbraccio e uno sguardo
intenso, alla presenza di due figure femminili che invece
tengono gli occhi fissi sullo spettatore. Pontormo elimina
ogni elemento superfluo, riducendo la scenografia ad
accenni di edifici non in scala, e concentra la nostra
attenzione sull’evento principale, in primo piano, nella
massima prossimità dello spettatore. I quattro corpi, con
i mobili panneggi delle vesti, occupano tutto lo spazio
della tavola, illuminati da una luce limpidissima.
L’intensità degli sguardi che si scambiano Maria ed
Elisabetta, è riorientata verso di noi dallo sguardo,
enigmatico e fisso, delle altre due donne. Ecco che così
l’opera trova un'altra lettura: le due donne in secondo
piano sono più che due semplici astanti, sono i doppi
delle due protagoniste, figure con gli stessi volti,
tramite le quali l’evento della storia oltrepassa i limiti del
quadro ed entra nello spazio dello spettatore,
chiamandolo a partecipare. Se i due profili fanno vivere
allo spettatore la storia dall’esterno, i due volti frontali lo
accolgono e lo coinvolgono.
Ma la grandezza dell'opera sta nello
sguardo che si scambiano queste
due donne; il loro fissarsi
intensamente equivale ad un muto
colloquio che mette in risalto la loro
intesa psicologica, l’accettazione
incondizionata e serena, da parte di
entrambe, di una volontà suprema,
divina. La loro emozione è grande
perché condividono l’esperienza di
una gravidanza miracolosa e il loro
abbraccio non è formale, ma carico di
affetto.
Sono vestite con abiti e ampi mantelli
in una soluzione statuaria che non
appesantisce però le figure;
Pontormo ha la capacità, pur
rappresentando forme piene e
rotonde, di dare un’impressione di
leggerezza, sembrano levitare sulle
punte dei piedi. L’opera infatti
trasmette l’idea del movimento,
grazie ad una sorta di vento che soffia
all’interno del quadro, gonfiando le
vesti, animando i panneggi e dando
l’impressione che si muovano. La
modernità di questa rappresentazione
è immediatamente evidente quando la
si confronta con opere coeve,
nonostante il rispetto, da parte di
Pontormo, dell'iconografia.

Raffaello, 1517, Museo del Prado Domenico Ghirlandaio, 1491,Louvre


Parmigianino (Francesco Mazzola)
Madonna dal collo lungo, 1534-40, Uffizi
L’opera di Parmigianino, Madonna con il Bambino e Angeli,
comunemente detta “Madonna dal collo lungo”, è una delle tele
più note del Manierismo italiano.
Elena Baiardi Tagliaferri, sorella del protettore dell’artista, gliela
commissiona per destinarla alla Chiesa dei Servi di Parma, ma
l’opera rimane incompiuta per la precoce morte dell’autore; lo
sfondo infatti ed altri particolari sono incompleti. Parmigianino
esprime una bellezza particolare, tra una dolcezza mariana e
una visione elegante ed aristocratica di una donna
rinascimentale.
Un aspetto tipicamente manierista è lo sconvolgimento delle
proporzioni umane: qui non solo il collo è più lungo del
normale, ma anche le dita, e il corpo di Maria ha un busto
molto corto rispetto alle gambe. Inoltre è grande circa il doppio
rispetto agli angeli, posizionati sulla sua destra. Questo
incredibile allungarsi delle figure è lontano dal canone
equilibrato delle opere tipicamente rinascimentali, è una
deformazione tesa a dare un aspetto forse, paradossalmente,
più sofisticato. Parmigianino ottiene in effetti questo risultato: lo
spettatore non è disturbato dalla scelta di queste sproporzioni,
anzi ,quello che riceve è l'immagine di una donna raffinata. Il
collo potrebbe essere anche un riferimento alla colonna sulla
destra, poiché nel Cantico dei Cantici, nell'inno mariano, si
riporta questa frase: Collum tuum ut colonna ("Il tuo collo come
una colonna"), simbolo di fortezza e dell'integrità della Vergine
che ha contribuito alla costruzione della civiltà cristiana.

Spaesante è l’ambientazione abbastanza vaga, non si sa se sia


un interno o un esterno perché a sinistra c’è un drappeggio ma
dietro alla Madonna un paesaggio, pare anche che nessun
elemento del quadro si accordi con un altro, oggetti che
sembrano non adempiere alla funzione che gli verrebbe
assegnata di norma; c'è sicuramente un'intesa tra il pittore e la
committenza.
La Madonna si presenta con una posa ambigua, instabile, non si capisce bene dove sia seduta, anzi non si sa se sia
realmente seduta o solo appoggiata su un invisibile seggio. Ha un’ acconciatura raffinata, tipica delle donne
dell'epoca, con questa sua bellezza più aristocratica che trascendentale; la veste bianca aderisce sensualmente
all’anatomia del corpo, tanto da vedersi l’ombelico e il manto blu le scivola sulle spalle, quel manto che
nell'iconografia è disposto sul capo (come si vede nell’Annunciata di Antonello da Messina per esempio). La mano
destra, dalle dita marcatamente affusolate, tocca lievemente il cuore in modo elegante e sensuale nello stesso tempo; il
suo sguardo è rivolto verso il basso con un leggero sorriso. Questa bellissima madre tiene in grembo un “inquietante”
bambino dal fisico molto allungato, addormentato, dorme ma sembra morto. Con questo corpo nudo e pallido, le
braccia cadenti e la posa abbandonata, l’artista vuole anticipare il suo futuro , un preludio della sua morte; la
posizione richiama il “Cristo deposto”, morto sulle gambe della madre, della Pietà di Michelangelo, della quale
raccoglie altri elementi descrittivi, come la posizione della Vergine e la fascia in diagonale sul suo busto. La preziosa
anfora ovale, che uno degli angeli assiepati sulla sinistra tiene fra le mani, è simbolo della Vergine, considerata il “vaso
mistico” in cui avvenne la concezione, ossia l’incipit del processo che avrebbe portato Cristo sulla croce; ed infatti,
sulla superficie convessa dell’anfora, si specchia miracolosamente una esaustiva croce. Le figure più dinamiche della
composizione risultano questi sei angeli che si affollano accalcati in uno spazio ristretto, tanto che uno di loro è quasi
schiacciato (si intravede sotto il gomito della Madonna). Evocano, in realtà, più la vivacità e la curiosità di bambini
comuni che non di esseri celesti.
Nel lato inferiore destro, davanti alla serie di colonne prive di capitello, un minuscolo uomo srotola una pergamena; gli storici sono
concordi nell'identificarlo in San Gerolamo con in mano la sua opera intitolata Adversus Helvidium, dove critica il teologo Elvidio, il
quale pensava che la Vergine avesse avuto altri figli dopo Gesù. Accanto a lui doveva trovarsi un secondo personaggio, di cui l'artista
fece in tempo a dipingere appena un piede: una probabile sinèddoche di San Francesco, anche lui, come San Gerolamo, convinto
assertore della verginità di Maria.
Nel 1542 l’opera venne trasportata nella cappella Baiardi, all’interno della chiesa di Santa Maria dei Servi di Parma e il giorno della
consacrazione fu aggiunta una piccola scritta sulla parte centrale della scalinata: “FATO PRAEVENTUS F. MAZZOLI PARMENSIS
ABSOLVERE NEQUIVIT” (“F. Mazzola Parmigianino è morto fatalmente e non riuscì a completare”); morì infatti a Casalmaggiore nel
1540 a soli 37 anni. Nel 1948 il quadro arriverà agli Uffizi.
Lo storico dell'arte Ernst Gombrich scrive : “Il pittore voleva essere non ortodosso. Voleva dimostrare che la classica soluzione
dell'armonia perfetta non è l'unica esistente; ci sono modi meno diretti per ottenere effetti interessanti agli occhi di sofisticati amanti
dell'arte. Sia che ci piaccia o no la strada che ha scelto, dobbiamo ammettere che aveva buone ragioni. In effetti, Parmigianino e tutti
gli artisti del suo tempo che deliberatamente cercarono di creare qualcosa di nuovo e inaspettato, anche alle spese della bellezza
"naturale" stabilita dai grandi maestri, sono stati forse i primi artisti moderni”. A confermare l’idea del Manierismo come anticipazione
dell’arte contemporanea, le opere di artisti come Amedeo Modigliani ( 1864-1920) con i suoi celeberrimi ritratti di donne dai colli lunghi
e Giorgio De Chirico (1888-1978) i cui paesaggi metafisici sembrano sorprendentemente ispirati a questa opera del Parmigianino.
Fortunato in vita, imitato da artisti e celebrato da intellettuali del
suo tempo, già dalla metà del XVII secolo, Giuseppe Arcimboldo
venne rimosso dalla memoria e considerato, erroneamente,
niente più che un bizzarro creatore. Solo all’inizio del XX secolo
venne riabilitato da surrealisti e dadaisti che videro nella sua
creatività onirica, i segni distintivi di un loro lontano predecessore.
Arcimboldo nasce a Milano nel 1526 e grazie alla bottega di
famiglia intraprende la sua carriera, collaborando ai lavori per la
Fabbrica del Duomo e diventando per gli Sforza il primo maestro
scenografo, stesso ruolo che ebbe nella città ambrosiana
Leonardo; c’è infatti nel suo operare un’evidente influenza
esercitata dal grande genio toscano, in particolare dai disegni di
teste grottesche e mostruose unitamente agli apparati
carnevaleschi in voga in quegli anni.
Ciò che lo ha tramandato alla storia dell'arte, sono in assoluto la
serie infinita delle famose ‘Teste Composte’, che realizzerà
soprattutto per gli Asburgo alle corti di Vienna e di Praga. La
capacità del pittore era di creare meraviglia e allo stesso tempo
offrire occasione di studio, permettendo all’osservatore non solo di
guardare con stupefacente curiosità queste creazioni, ma anche
di approfondire la sua conoscenza di elementi naturali ed artificiali;
la ricerca e la realizzazione dei singoli esemplari che vanno a
comporre l’insieme, infatti non è mai superficiale. Nei suoi quadri
possono essere presenti frutti e ortaggi o animali comuni accanto
alle nuove scoperte provenienti dall’America e dall’Oriente. In
Ritratto allegorico dell’Acqua sono per esempio riconoscibili la
razza che compone la guancia, il pesce luna che presta il suo
occhio, la murena del naso, lo squalo che forma la bocca, e la
molva occhiona che costituisce la barba. La perfezione delle sue
immagini deriva sia dallo studio della pittura leonardesca ma
anche dall'arte fiamminga che, nel Cinquecento, aveva trovato
adepti in tutta la penisola, ribaltando i concetti classici del bello,
introducendo l’interesse per il grottesco e per gli oggetti della
realtà quotidiana. A questo si aggiunge uno studio e un’analisi
Arcimboldo, Ritratto allegorico dell’acqua , (collage di pesci meticolosa di testi illustrati: i lavori del pittore sembrano
del Mediterraneo ed altri esemplari esotici), 1566, Olio su legno, direttamente collegati allo spirito scientifico del tempo, dove
50.5 x 66.5 cm, Vienna, Kunsthistorisches Museum protagonista era il botanico Ulisse Aldrovandi (1522 – 1605),
fondatore di uno dei primi musei di storia naturale a Bologna.
Proprio quest’ambientazione fantastica, in parte inquietante, che punta a
sorprendere lo rende un precursore del dadaismo e del surrealismo. Non a caso le
sue opere vengono riproposte al MOMA di New York nel 1936 all’interno della
mostra Fantastic art, dada, surrealism, nella sezione dedicata all’arte fantastica del
XV e XVI secolo. A renderlo un dadaista ante litteram è la sua volontà di attribuire
importanza all’oggetto rappresentato e la capacità di stravolgerne il senso primo
attribuendogli un nuovo significato d’insieme; il surrealismo emerge invece dalla
inclinazione a stupire attribuendo spesso ai quadri ‘forme doppie’, una sorta di
palindromo, come in Ortolano/Ciotola (conservato nella Pinacoteca di Cremona) .
Nel quadro, apparentemente una raffigurazione di natura morta, se osservato in
maniera reversa, è riconoscibile una figura antropomorfa composta con la verdura.
Al soggetto è stato dato anche il nome di "Priapo", poichè la composizione
richiamerebbe l'organo genitale maschile. Questa suggestione della doppia lettura
sarà seguita da Magritte e Salvador Dalì. Ma sarebbe davvero limitante vedere nella
sua opera un semplice divertissement. Le teste composte non rappresentavano un
solo per quanto geniale, puzzle artistico, avevano più significati allegorici, come ad
esempio esaltare l’universalismo e la potenza degli Asburgo.
“Un operaio del linguaggio”: così il semiologo francese Roland Barthes ha
definito Arcimboldo, istituendo un parallelo fra la sua pittura e la scrittura, due
strumenti comunicativi diversi, che, nelle teste composte, trovano però elementi in
comune. “La sua pittura ha un fondo linguistico, la sua immaginazione è poetica:
combina i segni, li permuta, compie, insomma, il lavoro di ogni operaio della
lingua”. Barthes esamina la grammatica e la sintassi dell’artista e boccia la
semplificazione che lo vorrebbe ingabbiare nello schema del pittore stravagante.
Tutt’altro. In Arcimboldo ci sono sapienza, magia, intelligenza, raziocinio.
“Arcimboldo parla una lingua doppia, chiara e imbrogliata insieme, è un offrire
metafore: i singoli segni hanno un valore compiuto, ma l’insieme determina un
secondo significato”.
Come il Vertumno, che ritrae Rodolfo II, ma all'imperatore non parve affatto
irriverente l'essere presentato come un assemblaggio di alimenti, anzi gli era chiaro
l'intento celebrativo, visto che Vertumno era una divinità pagana, protettrice dei
giardini, degli orti e dei frutteti e del cambiamento delle stagioni. C'era poi l'obiettivo
encomiastico che non si esprimeva solo nell'aver fatto vestire all'imperatore i panni
di un dio, ma nell'aver scelto generi di verdura e frutta che illustrano tutte e quattro le
stagioni dell'anno proponendo l'Imperatore come il signore del tempo. La
celebrazione non finisce qui. La pannocchia di mais e il peperoncino erano in
quell'epoca prodotti di recente importazione dal Nuovo Mondo. Così Vertumno-
L’imperatore Rodolfo II in veste di Vertumno Rodolfo II è presentato come signore del tempo e dello spazio come si conviene a
(1591), Skoklosters slott di Stoccolma
chi governa l'impero su cui il sole non tramontava mai.
El Greco, Il martirio di San Maurizio, 1580, cm. 448 Il Manierismo permette, come abbiamo osservato, il mancato rispetto
x 301, Monastero dell' Escorial, Madrid delle divine proporzioni del classicismo e tende ad autorizzare uno
sviluppo eccentrico del corpo. El Greco (pseudonimo di Domínikos
Theotokópoulos) si trova pertanto ad operare in un clima che è in grado
di accogliere, pur con sconcerto, una nuova frontiera, le figure altissime,
con la riduzione della linea del disegno. In una sala gremita di altri
quadri, è impossibile non notare i suoi dipinti caratterizzati da una
sorprendente modernità.
El Greco è un artista geniale. Nato e formatosi a Creta, in ambiente
dove si dipingevano ancora figure austere su sfondi monocromatici, si
perfezionò a Venezia osservando le opere dei maestri veneti (l'ultimo
Tiziano e Tintoretto). Subisce influenze diversissime, che lui rielabora in
maniera del tutto originale. La maggior parte della sua produzione la
realizza in Spagna, a Toledo e i protagonisti dei suoi quadri sono
personaggi pallidi, olivastri, con forme allungate, (si parla di pittura
ascensionale), vestono con colori fortissimi, quasi fastidiosi: il verde
acido, rosso sangue, nero, giallo, viola. Le sue opere risultano pervase
da una luce strana, come se ci trovassimo nel pieno di una tempesta,
con il cielo plumbeo, quasi surreale; luce e colori nuovi, decreteranno
il suo successo, soprattutto postumo. Per El Greco, come per
Tintoretto, l'uso della luce è fondamentale.
Come nota lo storico dell’arte inglese Jonathan Brown, «ogni figura
sembra avere la propria luce dentro di sé oppure riflette la luce che
proviene da una sorgente invisibile».

Di carattere infiammabile, non era un personaggio conciliante. Criticò


pubblicamente Michelangelo inimicandosi la corte pontificia, e quando
approdò a Toledo tentò sì di ingraziarsi il re Filippo II di Spagna
(impegnato a far decorare l'immenso Escorial), ma fu un autentico
fallimento, perché impose un modo di dipingere complesso, sinuoso,
quasi allucinato. Questo lo portò a non avere vita facile, la sua arte era
vista come troppo “fuori dagli schemi” per una committenza in gran parte
formata da chierici e aristocratici vicini alle alte sfere ecclesiastiche. A
conferma di ciò, nel 1581, re Filippo II fece rimuovere una pala del
Martirio di San Maurizio dall’Escorial perché, a suo dire, proprio non
riusciva a raccogliersi in preghiera davanti a quelle figure inquietanti.
.
El Greco, Laocoonte, 1610, National Gallery of Art di Washington. Marc Chagall, Dedizione a Cristo o Calvario, 1912,, Museum of
Modern Art, New York

El Greco - "Cavaliere
con la mano sul Amedeo Modigliani - "Ritratto
petto" - 1580 di Paul Alexander" - 1913
Madrid - Museo del Ruen - Museés de Beaux Arts
Prado
Affrontò furibonde lotte per affermare una certa indipendenza artistica, e nonostante alcuni lo apprezzassero, alla morte calò
l'oblio, El Greco venne dimenticato. Ci si accorse della sua grandezza solo a partire dalla metà dell'Ottocento. Il primo atto della
riscoperta si compì al Louvre nel 1838: il re Luigi Filippo d'Orleans vi aveva fatto approntare una Galleria Spagnola esponendo nove
quadri di El Greco. Il passaparola fu veloce e fu una riscoperta clamorosa non solo perché si comprese finalmente l'originalità del
suo stile, ma ci si rese conto della sua incredibile modernità. El Greco si trasformò in un modello da cui trarre idee, linfa e
ispirazione. La Visione di San Giovanni fulminò Picasso e Cezanne e ha continuato a esercitare il suo potere di attrazione fino a
Pollock A lui guardarono con avidità anche artisti come Manet, Modigliani, Chagall, Kokoschka, Schiele, Dix, Giacometti e
Bacon.

Jackson Pollock, Mural, 1943, olio su tela, 247 x 605 cm. Iowa City,
University of Iowa Museum of Art

El Greco, Visione di San Giovanni ,1608–1614, olio,


Cezanne, Le grandi Bagnanti, 1910, Barnes Foundation
225 × 193 cm., New York, Metropolitan Museum of Art
Filadelfia

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