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STORIA DELL'ARTE MODERNA (LEZONI 7-8-9)

LEZIONE 7

Volta scorsa: dal momento della varietas al momento dell'unitas, cioè questa disposizione non più
narrativa ma di opere da contemplare in modo tale che lo sguardo si distenda e abbia un senso di
profonda pace e non di continua sollecitazione. E come questa varietas trovi come centro la firenze
laurenziana = Lorenzo poeta e filosofo che adibisce a questa forma d'arte per esprimere le profondità
di sé stesso, ovvero le due anime che risentiva in sé: una attratta dalla bellezza sensibile e quindi
immersa nello scorrere del tempo e questa anima è perfettamente indicata nella pittura del
Perugino, a livello artistico ovvero con una bellezza di colore e superficie che non ha una struttura
interna che abbiamo imparato essere la sostanza dell'anima formante il corpo. Nella distinzione che
fa il Ficino tra le due anime che l'anima umbratile, che non forma il corpo, come invece il Ficino dice

Aspetto di malinconica contemplazione è espresso dalla Villa di Poggio a Caiano attraverso un


bellissimo porticato che inizia e termina dall'Ocicidente e quindi dal momento in cui il sole muore e
che conduce al suo interno ad un'anima più quieta, calmata in questo grande salone con questa
grande volta a botte che però è come chiusa entro un carcere che lorenzo vedrà aprirsi nella
meravigliosa Santa Maria delle Carceri dove quelle volte si aprono alla luce superiore. E questa anima
più trascendente, che vede una sostanza di anima che vivrÀ nell'eternità e che è quella ficiniana del
"De immortalitate animarum" (ideologia platonica), è presente in Benedetto da Maiano dove vedete
c'è una forza interna che preme verso l'identificazione dell'uomo con la divinità come viene espresso
nel bellissimo giovane alato che si lancia in un'aria calda che sale, come dicono i suoi capelli e la tela
gonfia. Questa attenzione verso la figura nuda che esprime, come diceva Petrarca, l'anima dell'uomo
non oppressa dalla carne dell'istinto, è un tema molto forte nella firenze laurenziana e poi diventerà
un tema prelibato per Michelangelo, che si forma in questa firenze. Di questo è molto interprete Luca
Signorelli, che a firenze esegue per il Magnifico un suo ideale ritratto in forma di un Pan in trionfo,
con tutte queste persone che suonano e che lo circondano. Pan è una delle figure mitologiche tipiche
dei Medici: anche il nonno del Magnifico, Cosimo, si appellava a Pan così come il padre, Pier. Pan = la
divinità del tutto, non per indicare un potere, ma piuttosto per indicare in lorenzo un'anelito all'unirsi
al tutto e quindi al tutto DIVINO, che comprende la totalità. Il Signorelli ( a differenza del suo maestro
Perugino) fa sì che la struttura di questi corpi nudi, e quindi nel disegno, quasi annulli la superficie
transitoria di essa: esprime, questa nudità, una sostanza di anima immortale che proprio in questa
collegiale lode al Pan, al tutto, vivrà nella totalità futura ed eterna. (Quest'opera si trovava a Berlino,
fu distrutta dai bombardamenti della seconda guerra mondiale e ora ne abbiamo solo due immagini,
una in bianco e nero e una in colori molto flebili) Questa esaltazione dell'anima immortale, il
Signorelli la esegue nella Capella che già l'Angelico avviò e che fu poi completata dal Signorelli --->
con queste poderose immagini di nudi in cui prevale il disegno e la forza geometrica che squadra le
parti del corpo piuttosto che la superficie, e questa fa sì che anche queste immagini di questi risorti
che affettuosamente si abbracciano o ballano fra persone dello stesso sesso o di sesso opposto,
perdono completamente ogni aspetto sensibile e di tenerezza sensibile per diventare semplicemente
delle immagini di gioia nella ritrovata identità eterna, e quindi di ammirazione per la bellezza
reciproca che ritrovano in questa dimensione di eternità. Questo aspetto è letto proprio dal Vasari,
che nel terzo volume delle sue Vite racconta come quando gli fu ucciso l'amato figlio, egli senza
piangere fattolo spogliare lo ritrasse e ritrasse il suo essere bellissimo di volto e di persona, e quindi
lo ritrasse perché nudo ne vedeva quella anima eterna che sarebbe sopravissuta al trascorrere e
quindi al dolore della morte, e questa anima eterna è quella che raffigura in tutte le sue
rappresentazioni. Anche nel bellissimo tondo, agli uffizi, dove egli costruisce con disegno possente il
nudo di cristo e il nudo di quelle figure alle spalle e la figura di Maria, possentemente statuaria e
poco incline alla tenerezza superficiale e domina l'interezza dell'immagine. Questo si trova poi
nell'opera che eseguì nella Cappella Sistina che rappresenta gli ultimi giorni di Mosé: anche qui
insistenza sulla geometria e sulla struttura di tutto. Signorelli esegue anche la decorazione di una
delle due sagrestie della Chiesa di Loretto, che custodisce la santa casa nella quale arrivata per mani
angeliche Maria ricevette lo spirito dell'annunciazione e in questa sagrestia vediamo come Signorelli
insista su questa pittura retta dal disegno e da una forte geometrizzazione delle figure degli apostoli,
degli angeli e dei profeti. Questa si affianca alla geometrizzazione delle bellissime tarsie che
raffigurano oggetti di culto e oggetti liturgici, e che, come quelli del Brunelleschi nella sagrestia di
Santa Maria del Fiore, rimandano, con la loro geometrizzazione, più che all'oggetto nel suo transitus
terreno all'idea che esso incarna. Vediamo quindi che Signorelli è un artista ascetico, che ha bisogno
di questa geometrizzazione per salire all'eidos (= idea) corrispondente, e quindi ha bisogno, come
mostra la figura di Tommaso, di riconoscere Gesù non per un'immediata risposta del cuore, ma
piuttosto a straverso dei gradi conoscitivi che in questo caso sono il riconoscere le stimmati ( sul
petto) in colui che è risorto. In questa situazione di Loretto, arriva dall'Emilia un grande pittore,
Melozzo da Forlì, un pittore che esegue l'altra bellissima sagrestia, simmetrica che si trova dall'altra
parte delle navate e del transetto in questa grande chiesa (alla quale Lorenzo mandò a lavorare
anche Giuliano da San Gallo) dalla quale si può vedere la costa che si apre sul mar Adriatico, e dalla
quale si può vedere, a volte con il cielo sereno, la costa dall'altra parte ---> da questo senso di
dilatazione estrema dello sguardo, quasi nel "Pan", nel "tutto" che ci circonda. In quest'altra sagrestia
lavora Melozzo, che pur partendo dalla lezione di Piero e quindi di quella forma a colore tipicamente
epicurea vediamo che la riscatta del suo essere immanente secondo la tradizione epicurea, facendola
lumeggiare dall'interno di qualcosa di più trascendente; e questo lo si vede nella immagine del cristo
che arriva a gerusalemme che è quella raffigurata negli archi, i quali alludono (come nella sagrestia di
Signorelli, dove invece sono finestre) ad una espansione in orizzontale che poi diventa un'espansione
in verticale in questa cupola con le finestre aperte verso l'eterno. In questa egli prosegue questa
immagine di espansione che è nel cielo degli altri archi, con questa grande unitaria ed equanime
espansione dell'occhio nella profondità ed introduce queste figure che sebbene non abbiano una
struttura geometrica come nel signorelli, presentano una luminosità intrinseca e fa sì che i loro colori
risplendano di questa luce e crea questa immagine di grande quiete, di gesti, di volti, di capigliature
per dare il senso di un'apparizione d'eternità, e nella quiete dell'eternità pur nella contingenza. Ciò si
vede nelle meravigliose figure di profeti che alludono alla passione di cristo e di angeli che reggono i
chiodi e i martelli, le spugne le cui azioni cristo subì. E vediamo come questa forma a colore abbia un
volume intrinseco che la fa risplendere e che da a queste figure questo senso di quiete e di
espansione. Quest lo si vede anche nell'opera più famosa di Melozzo per Papa Sisto, all'ingresso della
Biblioteca Sistina che il Papa fece costruire ed organizzare e che è questa bellissima immagine in cui
torna questa situazione di quiete di gesti e di sguardi e colori irradiati: immagine di un prónau che
immette in quel luminosissimo ambiente della biblioteca. Per uno dei Cardinal nipoti di Sisto, il
cardinale Riario, nella chiesa dei santissimi apostoli (sempre a Roma) fece fare l'affrescatura del
grande catino absidale con una grandiosa immagine di cristo risorto, purtroppo molto danneggiata,
ne restano solo lacerti come *immagini* che mostra bene questa forma di colore intrisa e irradiante
o questi volti di apostoli che seguono la salita al cielo di cristo o questi straordinari angeli che fanno
lume nell'oro e negli occhi e nella trasparenza di quei volti.
Torniamo a Firenze. Il pensiero di questa unità contemplativa e trascendente di Lorenzo si esprime
attraverso due grandi pittori: il Ghirlandaio (anche lui: geometria che si sottende alle forme, come
Platone) e il Botticelli (che sembra invece riferirsi al disegno poderoso donatelliano che si sottende
non geometricamente ma seguendo la varietà e la complessità dei corpi e delle cose che sono nel
mondo). Vediamo appunto come accanto a questa adesione ci sono invece due artisti che diverbiano
da queste linee: Leonardo e Piero di Cosimo.

Il Ghirlandaio = di solito rappresentato come un narratore, forse il più grande del momento ma
secondo il Prof (!!) e la linea interpretativa del Braviana non è affatto un narratore BENSÌ un
contemplatore proprio perché sotto la superficie dei volti e dei corpi e degli ambienti che
rappresenta sottende un ferreo disegno geometrico che è ciò che invita a guardare attraverso
l'aspetto transitorio del colore e delle forme che queste geometrizzazioni soreggono. Questo ce lo
spiega il Pasani che dice del Ghirlandaio nel testo del terzo volume del Vasari che era dotato di uno
spirito perfetto; usa il termine "perfetto" perché era interiormente regolato, perché a occhio senza
regolo o sesto o misure azzeccava le proporzioni e le geometrie. Gli attribuisce quest'anima
geometrica che gli permetteva di perspicere nei modelli che raffigurava senza alcun uso di strumenti
la loro geometria. E questo lo si comprende fin dall'inizio nel Ghirlandaio, da due opere che sono la
Cappella Vespucci a Onnissanti e l'immagine (da cercare NOI su internet, non c'è su moodle) che si
trova nella chiesa valdombrosana ( che è il monastero benedettino) di Passignano in Val di Pesa
dell'"L'ultima cena". E qui vediame come questo allievo della forma a colore di Baldovinetti immetta
su questa forma a colore questa possente geometria, che si sottende ai ridenti ritratti di figure
geometrizzandole e geometrizzando lo spazio in cui avviene permettendo di estendere la
contemplazione fino ai punti più lontani e al cielo, però accompagnati da quest esimmetrie che
individua nella città di Gerusalemme in modo da creare un triangolo di architetture che spingono
l'osservatore fino a quella montagna lontana che unisce il tutto. Questo aspetto si rtirova anche nel
drammatico momento centrale che manca di ogni lacrima, di ogni lacerazione del volto e di ogni
scomposizione perché ogni figura è come dilatata negli sguardi e nei gesti composti da un'anima
trascendente ---> questo si vede anche nel corpo di cristo che, benché scomposto nella morte, si
raccoglie in questa specie di "L" o triangolo che rimanda ad una immagine di eternità; e questo stesso
è più implicito nell'immagine della Madonna delle misericordie a superiore, che è fatta in modo di
costituire un possente perno intorno al quale ruota il Pan, il tutto, con il suo mantello che con grande
attenzione viene fatto aprire da degli angiolini in modo tale che siano le sue braccia ad allargarsi e a
comprendere quell'insieme di tutti, che con questa regolarità della loro posizione con la quiete che
traspare dai loro grandi occhi e dalle grandi ciglia che fanno come da archi di un chiostro si aprono
alla contemplazione. E quest'aspetto potete vederlo intriso nella luce trascendente nell'"Ultima
Cena" di Passignano.

+Storie francescane che si trovano nella Cappella di Santa Trinita (senza accento) nel transetto destro
della grande chiesa valdombrosana (come è valdombrosano il monastero di Passignano) dove lavora
per la famiglia Sassetti, famiglia di banchieri per il banco mediceo. Vediamo la scena della consegna
della regola dei francescani e l'approvazione da parte del papa ambientata però in una ripresa senza
regola, ma solo ad occhio, perfetta della Piazza della Signoria a Firenze, con lo sguardo che si dilata
non solo nella contemplazione di queste figure colte nella quiete e nella grande armonia del
momento principale, ma anche nelle lontananze della loggia dei Lanzi e dei colli che si alzano verso
quello che ora è Piazzale Michelangelo e delle figure nella piazza. Vediamo che in questa situazione
così importante per la regola francescana salgono i figli del Magnifico e da quest'uomo con i capelli
scuri e lunghi che è il grande poeta e filologo greco e latino Poliziano che li conduce a Lorenzo
(Sassetti è raffigurato perché di nome faceva Francesco). DA RICORDARE altra ultima cena (non di
Passignano che è degli anni '70) che si trova nel convento francescano di Ognissanti, nello stesso
convento in cui ci fu l'immagine della cappella Vespucci. Questa geometrizzazione dei volti (come
dice Vasari somiglianti al soggetto che fece da modello) si ritrova in questo volto bellissimo del
Battista che era nella grande pala per l'Altar Maggiore di S. Maria Novella (ora a Monaco di Baviera).
E qui vediamo che la figura del Battista ha un volto indubbiamente di un fiorentino di quell'età,
sostenuto da un disegno che fa da colonna (il naso) a due arcate, e fa sì che questa geometria sia
innervata da questi raggi splendidi d'oro dei capelli che indicano il suo essere vicinissimi allo
splendore che è il grado supremo, chiaramente quel Gesù a cui rivolge questo sguardo d'amore e di
comprensione. Ricordate che alla cappella Sistina esegue un tema importantissimo: Gesù che chiama
gli apostoli.

Botticelli: due ritratti di giovani (uno a Londra uno a Washington) in cui non segue questa linea
geometrica ma un poderoso disegno che sorregge il particolare, l'individualità irrepetibile dei volti. E
vediamo come interpreti il pensiero laurenziano delle due anime, delle bellezze una sensibile e una
eterna. Questi due ritratti sono due bei giovani che sono messi nel tempo colpiti dalla luce contro lo
scuro, e quindi nell'attimo (hic et nunc) e subito dopo quindi non saranno più così; sono però diversi
nell'anima che sostiene i loro corpi. Una più materiale e sensibile, l'altra più spirituale: sono due
persone di fronte a qualcuno che li viene incontro, ma si pongono in modo diverso rispetto a chi è
loro di fronte, che si trova interno all'immagine (non si parla del pubblico generale quindi). Questi
occhi interloquiscono con uno che viene loro incontro. Il prime è molto diretto nel venirgli incontro,
diretto col petto che offre, con questo volto che va verso e questi occhi che lo guardano dritto.
Mentre l'altro è più sfumato, lui declina gli occhi da questo contatto troppo diretto, fa piuttosto un
cenno con la mano indicando il cuore come sede di questo incontro piuttosto che la vista. E quindi in
questo senso è per un rapporto più profondo, oltre la sensibilità. È un immagine di due bellezze
diverse, una da ammirare nella sua transitorietà, l'altro per la sua anima, una bellezza che trascende
il mero incontro sensibile. Essendo in un ambiente platonico, i rapporti sono d'amore perché l'amore
platonico è l'amore verso la bellezza. Infatti le sue molte opere si incarnano su due punti, che sono
due immagini diverse: quella della Venere e quella di Maria. Due immagini diverse di bellezza e di
amore. Però sono due bellezze che rispondono a due principi diversi, ovvero quelli che animano
questi stessi giovani. A partire dalla stessa forma che botticelli da nelle immagini: nella famosa
Venere è una forma orizzontale, che rimanda nel percorso. Nella madonna: una forma circolare, che
rimanda all'eternità. La figura di Venere è un'immagine canonica della suprema bellezza femminile,
posta sì nel momento della nascita nella conchiglia, ma la immette in una dimensione transitoria, che
è sottolineata dal fatto di essere sul mare, il simbolo della massima transitorietà, sospinta dai venti
che generano nel mare onde che trascinano la figura di Venere verso terra dove la accoglie Flora in
un manto di fiori, simbolo di ciò che è più transitorio (una volta colti, muoiono). Venere = suprema
forma del transire, quindi che si perde e che scompare. Maria la raffigura completamente inscritta
nell'eternità e oltretutto sotto un altro disco di fuoco e luce dorata della divinità che la sovrasta e la
irradia, perché lei presenta questo bambino che schiccola una melagrana aperta e se andiamo a
vedere nel dizionario del Battaglia della lingua italiana o del Picinelli l'immagine della melagrana
rappresenta molti in uno, multum in uno, ovvero la figura di colui che è uno ma che abbraccia tutti,
perché è il tramite tra lo splendore supremo di Dio e colui al quale fa rivolgere il botticelli con lo
sguardo e la manina. Rivolge lo sguardo ad altezza sua: a Giovanni Battista, che in malachía III, I è
detto come "angelum meum ante facem tuam quae praeparabit viam tuam ante te". È l'angelo che
vanati alla faccia tua ti prepara alla via davanti a te.
Vedete che questa immagine è un'immagine di bellezze trascendenti che uniscono il transitorio che si
avvaicina all'eterno di cui Gesù è il tramite. INFORMARSI sulla primavera delle opere che Botticelli
esegue alla Sistina come le tentazioni di cristo, le prove di mosé, che sono paralleli, e infine la rabbia
con cui mosé punisce coloro che non seguivano le leggi.

Questo insieme di pittori che seguivano convintamente la pittura platonica laurenziana trova però
due artisti che non appartengono a questa linea, piuttosto una visione stoica di provvidenzialit'a e di
conoscenza catalettica ed etica della virtù: Piero di Cosimo e Leonardo. Loro comunque interpretano
questa ricerca di unità senza però un disegno interno da intelligere. Partiamo da Piero:

Due immagini sue: il primo è un musicista della cattedrale di firenze, in cui blocca il suo volto, ferma
le vene un po' affioranti e le rughe, gli attribuisce uno sguardo catalettico che punta e ferma le cose,
inserendolo in questa dimensione di sguardo che si stende nell'osservare questa figura fino agli
estremi orizzonti. L'altra opera è questa visitazione in cui vedete che il pittore crea tre piani che
corrispondono a tre tempi diversi: piano centrale, con l'incontro fra Maria e Elisabetta che si trovano
coi bimbi, con alle spalle due immagini che preludono ad eventi che accadranno in futuro ovvero la
natività di Gesù (che nel dipinto Maria porta ancora nel ventre) e la strage degli innocenti che porta
alla fuga in Egitto. In primo piano due santi, S. Nicola con le palle di oro che diede alle fanciulle che il
padre stava per prostituire, e Sant'Antonio Abate. Nicola legge la natività e la visitazione e la strage, e
Antonio che scrive ciò che vede. In questo scenario, con una prospettiva creata dai due edifici che
creano un canale ottico che ricongiunge i due piani. È una prospettiva che esige ciò che avviene, e i
due santi tolgono, così cataletticamente presi da ciò che stanno vedendo. Questo soicismo di Piero di
Cosimo è presente altrettanto nel grande Leonardo, allievo del Verrocchio.

Leonardo scrive queste frasi "O mirabile o stupenda necessità, tu costringi con le tue leggi tutti gli
effetti a partecipare delle loro cause", una frase stoica quasi identica a Zenone quando dice che il
cosmo è diretto da mente e provvidenza (Leonardo la chiama "necessità") in quanto penetra in
qualsiasi parte del cosmo. Quindi Leo crede in una provvidenza che costringe la vita nel suo
trascorrere. Come allievo del Verrocchio, segue il suo amore verso il turgore della natura colta nel
tempo che lo consuma e infatti nell'immagine di Ginevra de Medici è chiaramente una riflessione
sulla dama del Mazzolino. È presentata da Leo da questa attenzione con la quale accoglie la natura
come il ginepro che gli fa creare una zona di ombra dove la testa della donna è come potenziale ma
che si attua alla luce, e nella luce cataletticamente coglie quei ricciolini stupendamente raffigurati,
quel volto, quelle lievi occhiaie, quel candore e quindi dimostra questa sua attenzione alla natura,
che per gli stoici è quel grande libro da leggere, e le sue minime particolarità e complessità,
compreso il particolare alla sinistra del volto di Ginevra, quella valle + ruscello che curva tra gli alberi
e si perde nella lontananza che la catalettica visione di Leo vede sfumare nelle nebbie lontane. Quindi
questo uomo che crede nella provvidenza, anche dal Vasari indicato come filosofo delle cose naturali
partendo dall'esperienza e rifiutando ogni idea precostituita, "non accostandosi a qualsivoglia
religione stimando di più lo esser filosofo che esser cristiano". Quindi filosofo della natura e della
provvidenza che la regola, come per gli stoici, rifiutando la visione cristiana che vede la provvidenza
come volontà della Trinità che per Leo non sussiste. E infatti, anche relativamente a Gesù, egli li da
delle immagini di uomo figlio della natura eccelsa e non dello spirito e questo ce lo dice sulla natività
umana e di Gesù come uomo la prima importante opera che fece, l'Annunciazione (DA CERCARE PER
QUALE CHIESA FU FATTA PERCHÉ IL PROF NON SE LO RICORDA), nei primi anni '70, dove vediamo
immerge nella maestosa bellezza della natura sia del prato che della prospettiva di siepi di alberi
diversi si distende non per rette o geometrie ma per natura stessa verso le lontananze. In questa
dimensione di natura che sovrasta la scena, rappresenta l'Annunciazione, quando l'angelo annuncia a
Maria la roba, che stava leggendo, che tiene il segno della pagina con una mano e con la mano
sinistra fa questo gesto che corrisponde alle parole che si leggono in Luca I, 34 "Quo modo fiet ist ut
quoniam virum non coniosco?" Come può succedere questo che l'angelo mi annuncia se io non
conosco uomo (sono vergine). Il discorso si ferma qui, perché non compare lo spirito santo nel cielo
che rimane pieno di nuvole. Non come nell'Annunciazione di Baldovinetti che lo spirito entra nella
donna. Qui = silenzio, questo fermarsi e serve a dirci che per Leo Gesù è figlio di un uomo e non dello
spirito, e perciò nelle madonne che dipinge nel primo momento fiorentina e poi in quello milanese
(dal 1482), lo raffigura come fanciullo tenero, sveglio e agile che cerca i piaceri sensibili. Questo si
vede in due Madonne.: in quella di Benoit e quella di San Pietroburgo, dove il bambino si comporta
normalmente, quando viene incuriosito da qualcosa che gli viene presentato dalla mamma, che con
questo sguardo attento proponendogli un fiore facendo protendere il bambino. Nella seconda
madonna che ha raccolto lui stesso il fiore e si distacca per vedere i petali del fiore, con il volto della
madonna che si scioglie in un sorriso di partecipazione a questa vita del bimbo, che vedete ha
bisogno dei sensi, di percepire con la vista e con la manina ciò che tiene, è bambino a tutti gli effetti.
Tuttavia ce lo rappresenta come figlio dell'eccelsa natura, e si vede nel capolavoro suo dipinto a
Milano per i francescani in cui vedete la famosa madonna delle rocce, nel quale Leo divide il quadro
in due piani distinti, nel primo è la madonna ammirata con quella mano posta sul bambino e inivta il
cuginetto ad avvicinarsi, e il bambino è mirabile pur nella sua infanzia perché benedice il bambino
che si avvicina, e questa meraviglia sottolineata anche dall'angelo è paragonata sul fondo a
quest'altra meraviglia che raffigura Leo, questa grotta con le stalagmiti e stalattiti che scendono e
salgono, dove crea un canale che distende lo sguardo attraverso l'architettura della natura. E questo
confronto lo nota in Seneca che nella lettera a Lucilio fa questo confronto " Se ti trovi ad ammirare
una spelonca ampiamente scavata non dall'uomo ma dalle forze naturali che sostiene con le rocce la
montagna, l'animo tuo è preso da un senso di religioso mistero; ebbene non ti sarai preso da un
senso di venerazione quando vedrai un uomo superiore?" stessa situazione di ammirazione per un
uomo superiore che ti porta al bene. NON CONFONDERE le vergini delle rocce del Louvre e di Milano,
la prima portata via da Leo e non consegnata ai francescani di S. Francesco Grande di Milano e data
in Francia dove rimase. Da non confondere perché fece completare per i francescani l'opera facendo
aggiungere angeli e padre eterno che lui non aveva eseguito, e fece fare a due suoi allievi milanesi, i
fratelli De Pretis, che ridipinsero la scena centrale della madonna delle rocce aggiungendoci anche
quello che Leo non aveva fatto nell'altra; da notare gesto dell'angelo che in Leo addita il Battista, in
quello al Louvre non lo fa. RACCOMANDAZIONE DI ATTENZIONE!

Ritorniamo a questa natura che Leo anche disegna. Questa attenzione per la natura e la sua potenza
architettonica, è ribadita a Milano nella sala delle assi del castello sforzesco dipinta per Ludovico il
Moro che è il grande esponente Sforza che accoglie Leo. Qui crea questa dilatazione laurenziana
verso l'esterno e questa volta, senza colonne o volte o articolazioni geometriche, ma attraverso la
natura, attraverso questo intrigo, cogliendo foglia dopo foglia, ramo dopo ramo, intrigo dopo intrigo,
così da creare questo ambiente naturale che si completa con quei tronchi che fa da colonna e l'idea
di fare il basamento con il sottoterra e quindi rocce e radici che si abbarbicano ad "S". E quindi anche
qui capacità di vedere la natura e cogliere l'attimo in cui essa sta. Per Milano esegue anche il
capolavoro molto sfinito dal tempo che è la "Ultima Cena", una immagine fatta per S. Maria delle
Grazie, dove per l'unica volta fa riferimento alla geometria per creare l'ambiente nel quale
rappresenta la dinamica degli affetti presenti. Vedete che invece crea una fuga prospettica
implacabile data dagli arazzi appesi e dal cassettonato che serve a creare come un controaltare rigido
e chiuso a dinamica dei sentimenti, e quindi creando come un carcere, una chiusura che si
contrappone alla sala delle assi che si apre con quella grandiosa foresta dalla quale sfugge solo Gesù,
L'unico inquadrato nella finestra centrale con la natura. Gesù è al centro e con immensa dolcezza e
pace e con immensa serenità apre con la sua sinistra la mano come a dire "la provvidenza si attua" e
a coglierla come qualcosa di necessario di non imposto e con la destra prende il pane. Fra gli apostoli
si indurisce e rifugge solo Giuda, alla calma di Gesù corrisponde negli apostoli il marasma delle
tensioni e delle incomprensioni e dei sentimenti più vari. In un generale stupore, dolore,
commozione dalla quale si distoglie il solo Giuda in una posa quasi statuaria.

Andando avanti, rimanendo nel Ducato di Milano che è dominato da Ludovico il Moro che chiama
artisti per qualificare la grandezza della città in modo che essa si dilati liberandosi di un aspetto
frammentario trovando quell'unità che pertineva a una città che era anche capitale dell'impero
romano e della Chiesa grazie alla presenza di Sant'Ambrogio . Ludovico chiama anche Bramante da
Urbino il quale diventa un grande maestro di estensione degli spazi orizzontali e verticali,
dimostrandolo nel contrasto dell'opera di S. Maria di San Satiro. C'è una grande unità e desiderio di
estensione, che deve ricavare creando un'immagine speculare e simmetrica con stucco e colore e a
questa estensione straordinaria ottenuto in orizzontale corrisponde quella del verticale con la volta
dipinta e a stucco che imita una cupola cassettonata alla romana come il Pantheon che mira a
portare a un centro di luce che è la divinità irradiante. E questa poderosa capacità estensiva la
ottiene in un'altra opera che deve integrare che è la chiesa di S. Maria delle Grazie che andava
completata nella parte presbiteriale e vediamo che in questa estensione che fa anche qui permette
un estensione dello sguardo in orizzontale e verticale. L'area presbiteriale è un ambiente
straordinario in cui si aprono nicchie cappelle e altre cappelle che estendono lo sguardo
nell'orizzonte e richiamano alla loro circolarità verticale che termina nella cupola centrale dove
Bramante seguendo la tradizione lombarda che amava la decorazione fittile delle strutture, la fa
usando solo forme circolari. Bramante poi lascia Milano e va a Roma dove verrà chiamato da Giulio II
per iniziare la ricostruzione della chiesa paleocristiana di S. Pietro. Bramante prima di ciò fece
un'altra figura di S. Pietro in Montorio come prova. Iniziò a lavorare giardini e città vaticana. Qui
vediamo che egli crea una pianta centrale straordinaria sostenuta dal cilindro che si estende in una
loggia anch'essa circolare e questo insieme serve a creare un'espansione di quel centro nella periferia
che avrebbe voluto ricevere risposta nel loggiato di cui rimangono poche tracce, in modo da creare
una immagine pietrina della chiesa cattolica universale che si espande per essere accolta dalle logge
dei popoli da un centro irradiante. E vediamo che a Milano sul fronte pittorico la tradizione della
varietas interpretata dal Foppa viene superata da artisti lombardi come Bergognone il quale è un
pittore che lavora particolarmente nella certosa di pavia per decorare l'interno della chiesa e poi
nella chiesa dell'incoronata a Lodi. E qui vediamo la Crocifissione a Pavia dove la pittura contratta e
senza espansione del Foppa viene riscattat da questo pianolargo del paesaggio che distende lo
sguardo. Figure non disperano, ma accolgono e contemplano Cristo, che il Borgognone disegna quasi
nudo nella sua purezza di lineamenti e muscoli, e questa estensione contemplativa che il Borgo
introduce nella pittura lombarda e che è contemplativa che si estende nell'orizzonte lontano, è
confermato da questo meraviglioso risorto che è a Washington che egli rappresenta come una figura
perno che crea un centro di bellezza nel passo deciso col quale emerge dal sepolcro con quella nudità
e vive quel volto con quella chioma che guarda alla divinità della quale è partecipe che riscalda il
bianco del suo corpo. Ed è una visione che trionfa nelle tele dell'Incoronata di Lodi, costruita dal
Battaggio per un miracolo simile a quello delle carceri avvenuto in quegli anni; quadro di Maria che
piange in quella area, nella quale c'erano i postriboli della città piangendo quindi la brutta
interpretazione dell'amore. E quindi quest'immagine fu raccolta e venerata e conservata in questa
chiesa. Il Borgo dipinge anche la presentazione al tempio, con figure con grande bellezza e purezza
nei volti. Qui c'è anche un altro quadro "L'Annunciazione", dove vediamo esigenza di creare un perno
centrale nell'angelo e nella madonna che si impone come qualcosa di più alto di ciò che circonda e
che crea un asse diretto con lo spirito che scende irradiando e che si alza sul tempo, dichiarato dalla
clessidra simbolicamente e visibile nel particolare di sfondo con la luce occidua con quel giardino che
si perde nel tempo che passa.

Incominciamo ora a considerare l'altra grande città che conosce questa grande dilatarsi: Venezia, che
è per eccellenza una città scettica, nata in base alle isolette affioranti o poco profonde sui quali
furono create le prime palafitte, perché nella cultura veneta c'è questo scetticismo di chi non
concepisce l'astrazione ma ha bisogno della aderenza delle cose alla casualità delle situazioni che
cambiano. CAMBIAMENTO DI TENDENZE: attraverso il momento degli anni'80 grazie all'architetto
Coducci, il pittore Giovanni Bellini e lo scultore Tullio Lombardo, dei quali il pittore e lo scultore
beneficeranno delle dilatazioni spaziali di cui era capace il Coducci. Un'estensione che avviene in
modo più emmanente rispetto a quella fiorentina, basta sul colore sensibile che sul disegno
intellettivo.

Facciata dell'Ospedale di Venezia diventa un susseguirsi di logge (Coducci) nella parte bassa, a volta o
trabeate, che diventano poi finestre, in modo da creare una struttura bucata così da estendere lo
sguardo nell'orizzonte e così che si allarghi la vista. Lo fa anche nella Chiesa di S. Zaccaria, alle spalle
del palazzo dogale, dove si trova ad intervenire per fare una facciata e un coro. Un ambiente molto
corto in cui espandere la chiesa, e lui ha un'idea, quella di espandere in verticale invece che
orizzontale, attraverso una crescita delle strutture delle colonne che portano alle circolarità della
chiesa perché vedete che dalla base quadrata si arriva a questo ottagono di facce del basamento
della colonna che diventa una panonna circolare che porta gli archi e quindi ai cerchi. In questo
modo, con questa sequenza di immagini diverse, crea una salita che si vede anche nel grande scalone
di accesso alla scuola di S. Giovanni Evangelista dove con il marmo bianco dell'Istria crea un percorso
che mena alla grande fonte di luce che proviene dai finestroni all'ingresso della scuola. Questa scala
salendo arriva a questa suprema immagine di luce in cui siamo in un certo senso nel tutto.

LEZIONE 8

Ultima volta: unitas degli ultimi 20 anni di questo secolo.

Grande protagonista degli ultimi 40 anni del XV secolo: Bellini, che all'inizio degli anni '60 era legato
al maestro Mantegna e quindi alla visione catalettica che blocca anche la minima verità che viene
presentata. E che implica una grande attenzione alla varietas e il salto tra primo e ultimo piano.

Bellini dagli anni '80 ha un cambiamento notevole, opera: "Pala di San Giove" dove si assiste a un
cambiamento della considerazione spaziale e dell'etica filosofica. vedremo come egli prosegue con
dilatazioni orizzontali e verticali del Coducci attraverso un pensiero di epicureismo cristiano, che
come dice il Valla parla di piacere orizzontale come un anticipo a un piacere incomparabilmente
superiore. Questo lo si capisce alla pala, alla quale arriva grazie alla venuta a Venezia di Antonello da
Messina ---> due opere sue: Ritratto (Metropolitan di New York) in cui è debitore della pittura
fiamminga che influenzò l'arte siciliana e risente della cultura della varietas nel disporre la figura su
uno sfondo scuro. Adotta la pittura di forma a colore senza disegno. A Venezia lascia quest'altro
capolavoro, la Pala per la chiesa di S. Cassiano, che si trova a Vienna (anni '70), qui passa a un'unità
dimensionale e quindi di grande quieta armonia senza il senso attimale di un incontro ma piuttosto di
un abbondono contemplativo che è dei santi rispetto al bambino e alla madonna. Vediamo che
questo è ottenuto dalla forma a colore senza disegno, perché predilige questa rotondità che per gli
epicurei mostra una struttura umana fatta di atomi morbidi, lisci, che sono pronti ad abbracciare e ad
accogliere. Su questa lezione, Bellini crea la Madonna di S. Giove, di cui resta solo la pala centrale che
però comprendeva tutta la navata. Qua vediamo come celebra in questi santi la quiete, l'abbandono
contemplativo a un senso di amicizia nei confronti di Gesù e della Madonna, amicizia che genera
sentimenti di pienezza, anche nei santi di solito sofferenti S. Giove e S. Sebastiano, che è
un'immagine di abbandono all'amicizia verso Gesù e totale indifferenza verso le frecce che sembrano
non ferirlo o procurargli dolore. Sebastiano qui mostra nello sguardo un sentimento di piacere e di
sorriso. Domina la forma a colore e la temporalità in cui questo incontro avviene, con la luce che
entra dal lato destro con questa luce inclinata e dolcissima nella quale si sospendono i gesti. E vedete
come ha giocato su questa luce facendola riverberare e nel finto mosaico al vertice dove all'amicizia
nella comunione dei santi risponde una frase che recita: "Ave verginei flos, intemeritate vergini
pudores" Ave fiore incontaminato della vergine pudica. Mostra quindi quella gioia dei santi a un
livello eterno e paradisiaco di oro e abbandono totale della purezza di questa vergine, e gli angeli
sotto mostrano nel petto una pietra preziosa circondata dalla lode della Madonna. Qui si hanno
veramente due contemplazioni, degli uomini che sono nel tempo e del divino nell'eternità.

Stesso percorso si nota nel capolavoro degli anni '90 del Bellini che è il "Francesco Beato". È un
momento di estasi che Francesco vive nella natura come mostra il ricovero nella grotta con una
staccionatina con sedile e leggio, solitudine che lui riconosce nella bellissima immagine di paesaggio
intorno. Si apre a questa meraviglia e scopre una luce ulteriore (non del sole) che è quella della
divinità, senza tempo, che si rivela e impressa dalla natura. Bellini finisce la sua attività nel 1510 con
questa immagine di Madonna con Bambino, anch'essa immersa nella natura come ad affermare che
la bontà della divinità che traspare dalla nudità del bambino si incarna nella natura e si incarna in
essa. Questo momento del Bellini è molto fecondo per la pittura veneziana, che trae molti esempi da
lui. Molti allievi adottano la forma a colore, ma con significati diversi.

Incominciamo da un Veneziano "de Tera", il Cima da Conegliano, pittore nato a Conegliano-Veneto ai


piedi delle Alpi, che mostra (nella Madonna che si trova a Vicenza) di aderire alla dilatazione
contemplativa del bellini, con però ancora un retaggio di durezze nelle spigolature delle vesti e nei
cambi di luce e ombre che nel capolavoro conservato nell'Accademia di Venezia, la "Madonna
dell'Arancio", è invece superato perché nel comporre il rapporto tra i santi e la terra vedete come se
li lasciasse sospesi in una sorta di scetticismo, ovvero di costante dubbio ed incertezza che non
corrisponde al sentimento di totale abbandono alla divinità. Tutto questo avviene in questa scena di
luce di alba.

L'altro grande pittore che esce dalla scuola del Bellini è Vittore Carpaccio, come mostra l'immagine
del Redentore, con caratteri però diversi dalla seconda opera di Cima, ovvero non questa scettica
stabilità delle figure quanto piuttosto una forma a colore che è dominata da una geometria, un
triangolo, che rende molto più limpido lo stacco dal fondo, che crea questa immagine della divinità
che allude a qualcosa di ulteriore. E quest'aspetto di Vittore si trova nei grandi teleri della Vita di
Sant'Orsola che erano quelle raffigurazioni che venivano messe nelle scuole, queste istituzioni
veneziane. Riferisce a Sant'Orsola alla consegna delle chiavi del Perugino, sostituendo al tempio
classicheggiante del Perugino una tipica architettura veneziana, in modo che ci sia quest'estesa
contemplazione verso il centro e che rilancia anche oltre.

Terzo pittore, ma allievo di Bartolomeo Vivarini, è il Montagna. Lui va nella profondità della terra
influenzato dall'idea leonardesca esibita nella sala delle assi. Nella Madonna col Bambino, a Belluno,
c'è la stessa attenzione come nel raffigurare la terra nel volto della madonna, nella cuffia del
mantello che la ricopre.

Altro veneziano, strettamente legato alla raffigurazione del S. Sebastiano della pala di S. Giove, che è
uno scultore, è Tullio Lombardo, che succede a Rizzo e che è l'interprete della dilatazione tardo
quattrocentesca e inizio cinquecentesca sempre con questa forma a colore, come mostra l'Adamo
che è una figura monumentale dove è difficile distinguere forma e colore, dove la forma è la
superficie, ma vedete che non c'è la ricerca di una struttura come nel S. Sebastiano di Benedetto da
Maiano. Anche se c'è questo senso di pressione dall'interno, con l'anima che dunque modella la
scultura. Tullio era uno scultore che sempre presenta queste figure sospese mai in un momento di
attività, ma in situazioni contemplative. E in un certo senso alla base di questo c'è una cultura
epicurea quando rappresenta Bacco, e si capisce che è Bacco perché tiene il serto di edera in testa, e
Arianna. E vedete come coglie questa unità dei due nello sguardo e sprofonda nella bellezza di forma
a colore delle due figure. Diversamente da Rizzo, che, uomo della varietas, tendeva a cogliere
l'aspetto minerale della figura.

Passiamo ora a considerare un altro centro della unitas di fine secolo, che è Ferrara, sotto Ercole
D'Este che pensa ad un allargamento della città in un senso contemplativo come dimostra il progetto
della "addizione erculea", che è l'opposto dell'intrigo di strade e piazze della città vecchia. In questo
modo fa come Lorenzo de' Medici, nel riempire la città. Architetture e giardini, grandi vie
contemplative. In questa situazione di grande estensione, al crocicchio centrale Biagio Rossetti
edifica il Palazzo dei Diamanti, che si distende con i suoi due piani divenendo parte della
contemplazione che si osserva dalla strada. Terrazzino = aspetto contemplativo. Questo senso
contemplativo nell'estensione naturale è rilanciato dalla conformazione della parte muraria che
giustifica il nome di Palazzo dei Diamanti ovvero di questi piramidi che costellano la parete muraria, i
quali sono uno strumento per captare la luce del sole che da senso di un'immissione di luce e
rimandano con questo aspetto a un ordine superiore che tutto domina.

Due chiese del Coducci a Ferrara: la chiesa di S. Francesco (dal 1494) e S. Maria in Vado (dall'anno
successivo). Entrambe sono chiese a sviluppo longitudinale che per un allargamento contemplativo
che portano a un centro. Partendo da quella di S. Francesco, con le colonne che creano un peristilio
che circonda un centro, e fa continuare le colonne anche all'ingresso che sembra avere
un'estensione, perché allude ad un oltre. Nelle navate fa in modo che la estensione si abbia in questa
immediata corrispondenza tra la luce del colonnato esterno e della luce tra i pilastri interni che
aprono sulle cappelle. Dall'esterno: una luce che crea sui marmi effetti di bellezza straordinaria, che
tuttavia vediamo essere trascesa nelle cupole dove la luce ondivoca che entra dalle cappelle si ferma
e allude al cerchio. Nell'interno della navata la luce non entra più dalla sua orizzontalità orizzontale
(??) ma scende da dei cerchi che alludono alla luce eterna che si stampano su quei cerchi che
costituiscono i vari momenti delle campate attraverso cui la chiesa sviluppa il suo essere orizzontale.
Anche nella chiesa di S. Maria in Vado, vediamo che crea illusioni di ulteriorità nello sguardo
orizzontale, in modo che le navate siano sospese da due file di colonne, una per parte. E questo fa sì
che il colonnato sembra che sospenda queste volte su due vuoti opposti. Senso dell'orizzontalità
sottolineato da queste immagini del sole che sfiora i capitelli, e vedete che queste colonne sono su
base rettangolare alta invitando a un salire oltre e a cogliere la luce delle finestre superiori. La cultura
di Ercole influenza anche la pittura e quelli della scuola del Tura e del Cossa che avevano questa
adesione alla varietas che si esprimeva nella mancanza di unità tra piani. Dal Cossa è allievo Ercole de
Roberti che riprende dal maestro l'amore per l'architettura bianca, non più posta come un
frammento ma la fa costituire una grandiosa volta che si apre da tutti i lati alla contemplazione, che è
doppia: uno è ciò che si vede attraverso la base del trono che è rialzata per permettere l'immersione
nella temporalità delle nebbie e delle nuvole che allude alla temporalità di Gesù. Questa si
interrompe alla base del trono. Un invito a contemplare il paesaggio mortale ma anche a superarlo
con una contemplazione superiore. Questo aspetto passa poi in un altro pittore, che è Lorenzo Costa.

Anche lui si forma col Cossa, e inizia con opere che seguono il magistero del de Roberti, come in
questo caso in cui è chiaro il riferimento alla madonna portuense di Ercole de Roberti, se non per
un'aggiunta di un elemento, che influenza il Costa che toglie l'asprezza formale di Ercole e si
riconosce nell'immagine della madonna con bimbo e paesaggio: influenza del Perugino, che da al
Costa questa morbidezza dello sguardo che si è aperto in quest'opera + forme a colore e forme
rotondeggianti ed epicureismo.

Altro Pittore è Francesco Francia che risente dell'influenza del Perugino come mostra bambino e il S.
Sebastiano con questa dolcezza e insensibilità tipica del Perugino.

Due pittori che sono appunto Francia e Costa diventano poi protagonisti di una grande impresa
pittorica che si svolge a Bologna, dove nell'oratorio di Santa Cecilia e Valeriano, vicino alla chiesa di S.
Giacomo Maggiore, tra il 1506 e 1507 creano la narrazione dei fatti di questi santi come a Roma era
stato fatto a Roma da Sisto IV per le vite di Cristo e di Mosè alla Sistina. Grandi visioni di paesaggio e
azioni di personaggi. Vediamo che il Costa esegue alcune opere come la conversione di Valeriano
dove si avverte il Perugino in questo equilibrio dei sentimenti che sembrano non raggiungere alcun
eccesso e nella scena della seppellitura di Santa Ceciclia.

Ultima parte di unitas nelle città, ora: Siena.

A Siena protagonista: Francesco di Giorgio Martini, pittore, plastico ed architetto come il Vecchietta
suo maestro. Pala della Chiesa di Monte Oliveto Maggiore, sede dell'ordine benedettino, vediamo qui
che supera la costrinsione la preziosità per aderire all'estensione dello sguardo che inizia dalla
concezione del trono fatto da essere sorretto da angelo in modo da mostrare la sua circolarità e
quindi la profondità della situazione. In questa estensione dello sguardo, di Giorgio guarda molto alla
cultura fiorentina, in questa chioma bionda a Botticelli. Fece angeli da essere messi sul duomo di
Siena per illuminare una navata. Senso di libertà dell'angelo in cielo, con le ali che si stanno aprendo,
in un momento di movimento. Di Giorgio era un architetto e abbiamo la Madonna del Calcinaio ai
piedi di Cortona, e questa è progettata intorno al 1484 in contemporanea con i progetti di S. Maria
delle Ceneri a Prato. C'è una situazione dove c'era una vasca dove calzaioi tenevano le pelli, e la notte
questo luogo diventava un luogo di incontri postribolari dove c'era una madonna che faceva miracoli.
Situazione di nuovo di degrado umano e presenza della divinità che lo riscatta. È una chiesa
longitudinale con una grande navata a botte, che con una fila di finestre verticali che continua anche
nel presbiterio. Fa un grande percorso che porta all'altar maggiore, che è costellato dalla luce del
tempo che scorre che entra dalle finestre verticali e conqtinua in quelle del presbiterio, superata da
questi motivi a botte che si aprono alla grande luce che scende dall'alto.
Finiamo l'analisi della pittura degli ultimi 20 anni del secolo dicendo che comunque c'è sempre
qualcuno che cambia, dimostrando che gli elementi di varietas e unitas rappresentano morfologie
espressive che possono benissimo essere coetanee nello stesso momento. A distinguersi è un allievo
del Perugino, il Pinturicchio, il quale vedete che in questa opera della Madonna della Pace di San
Severino (1490) parte da forme dolci ed espressive del Perugino e invece carica di particolari ed
elementi usati per dipingere e maggiori sentimenti. Paesaggio molto più presente rispetto a quello
sospeso del Perugino, e scende più nei dettagli emotivi e non delle figure principali della pala. Tutto
questo culminerà nell'appartamento di papa Borgia (tra 1492 e 1494), espresso da varietas negli
spazi e nelle architetture con immissione di elementi impastati di stucco per dare rilievo. Piene di
particolari che impediscono una contemplazione distesa anche perché gli sguardi sono attivi e
presenti in un continuo negotium.

Veniamo a considerare ora il nuovo secolo che si affaccia con 5 grandi giganti dell'arte come
Michelangelo, Leonardo, Raffaello, Giorgione ed Andrea del Sarto. 5 colossi grazie ai quali a Firenze,
Venezia e Roma si da forma a una grande riflessione sulla bellezza e sull'amore con la quale l'anima
può bramarla. E quindi questo avviene attraverso un'indagine profondissima dei corpi umani che
costituiscono un momento supremo dell'arte di tutti i tempi, raggiunto sia per la civiltà ma anche per
la genialità dei personaggi. È un momento che effettivamente rappresenterà un esempio per i posteri
in Italia e al di fuori di essa. I grandi temi trattati sono quelli relativi alla sostanza dell'uomo, cioè
l'anima contrapposta ai sensi/intelletto come strumento conoscitivo, quelli relativi all'amore sensibile
o trascendente. Considerato sempre come ricerca di procreazione benigna, che dipende dalla lettura
del Simposio di Platone 206, B e 209, A nel quale la sacerdotessa Diotima fa due discorsi a Socrate,
dicendo in 206, B: "L'amore è il desiderio di possedere il bene per sempre" e distingue che sia
trovato, ed è un desiderio di possedere il bene per sempre attraverso la procreazione del bello che
può avvenire tramite anime o corpo. Dal punto di vista storico, questi anni di passaggio tra '400 e
'500 sono costituiti da un rivolgimento storico a Firenze, ovvero nel 1494 la caduta dei Medici e la
cacciata del figlio di Lorenzo, Piero, l'istituzione della repubblica e questo dal punto di vista artistico
rappresenta un carattere chiaro dell'arte di questi decenni, ovvero un ritorno al primo '400 e all'arte
dell'ultima stagione della repubblica prima dei Medici e quindi il tempo delle opere pubbliche, come
la decorazione della facciata di S. Maria del Fiore o le sculture del campanile di Orsanmichele ed
infatti si riprende a fare queste imprese. Una è quella dell'apostolato nel duomo, ovvero delle figure
degli apostoli che si affacciano dalle nicchie lungo le navate, e l'altra la decorazione di statue nella
piazza della signoria.

Incominciamo da Michelangelo. Egli si forma col Ghirlandaio, un pittore strutturante le sue immagini
col disegno geometrico e vicino a Benedetto da Maiano. Si sa che soprattutto inizia sotto la
protezione di Lorenzo, se il Vasari dice che mentre lavorava un satiro Lorenzo arrivò notando la
mancanza dei denti del satiro. Nasce in un clima di forte platonismo che caratterizzerà l'asse portante
del suo pensiero. Anche se nei primi anni di vita lui mostra di essere un giovane in ricerca della
sostanza effettiva della propria anima. E vedremo che le sue opere e i suoi sonetti provano la
dialettica che vede in lui prevalere una parte sensibile dell'amore e della bellezza, e solo dopo
conosce un riscatto da questa sensibilità. Questo lo dice un sonetto, il 39, nel quale scrive quando un
"messo d'amore mi disse: io son colui che nei primi anni tuoi gli occhi infermi volsi alla beltate che
dalla terra al cielo tu mi conduci" dichiarazione di aver poi superato questa infermità, volgendosi al
cielo. Infatti nei primi anni '90 fa opere in cui elogia i piaceri sensibili, come nella "Lotta tra centauro
e Lapita" e "Madonna della Scala", che in relazione al disegno dei maestri dimostra una potenza
strutturante che anima le figure dall'interno. Sviluppa dei pensieri cirenaici, un filosofo di Cirene, che
come ci dice Diogene Laerzio II, 66 ha come strumento la percezione e quindi la sensibilità, e
Aristippo diceva "col tatto distinguo il vero dal falso", con il fine del piacere dei beni presenti che
sono diversi da come dice Diogene, come il piacere interiore come la calma per gli stoici. Sono i beni
della carne, del cibo, del denaro e del potere. Del Bravo ci fa notare nella lotta tra centauri e lapiti
che ci sono dei giovani che piangono il centauro morto o si slanciano per evitare che ne muoia un
altro o si interpongono fra il lapita e il centauro. Questa fa pensare a Del Bravo che i giovani fossero
amici di questo essere e portati ad un amore felino. Vediamo come Michelangelo pone in modo
positivo questo coraggio. "Madonna della Scala", sviluppa un'iconografia cristiana, ovvero la
madonna è la scala che conduce a Dio. Ma qui fa sì la madonna della scala, ma introduce figure che
nell'iconografia non ci sono tipicamente, ovvero quelle di fanciulli che sono sulla scala e intenti alla
ricerca di un piacere: il piacere del gusto rappresentato da Gesù che vuole succhiare il latte, quello
della vista dal giovanetto che sbircia un altro bambinetto che dorme e quello infine del tatto dagli
abbracci dei 2 bimbi in alto. Questa lode del piacere nei bimbi si ritrova in Aristippo, per dimostrare
attraverso bimbi la giustezza di ammirare il piacere sensibile: "Una volta trovato il piacere non lo
lasciano più, e nulla evitano tranne il dolore". Da quegli stessi anni c'è un cambiamento nelle statue,
come si vede nell'angioletto reggicandelabra nel sepolcro di S. Domenico. Qui vediamo che non c'è
più quella dimensione di avido guardare o negotium ma piuttosto una straordinaria immagine di
bellezza che nel contemplare si offre alo sguardo di chi si pone su di lui. Bellezza formata dall'anima
di quest'angelo. Per questo senso di incantamento, sembra il messo d'amore di cui ci parla nel
sonetto 39. A questa rivelazione che egli subisce, ecco che lui sembra meditare fortemente su questa
bellezza contemplativa ponendosi il problema di ciò che distoglie lo sguardo dalla bellezza e
cercandone i suoi gradi. Cosa rende ostile la bellezza è realizzata dal "Bacco", "David" e "Battaglia di
Cascino". 3 opere che esprimono ciò che ci distrae. Partendo dal primo, vediamo che è una figura che
come dice il Vasari è maschio e femmina, introduce una curiositas che impedisce l'abbandono. Lo
rappresenta del guardare in modo incerto la coppa del vino, nel calpestare la pelle di leone, e ad
accentuare l'aspetto di negotium, piacere ed ebrezza e sessualità è il satirello che si abbandona al
desiderio di succhiare quei grappoli con grande avidità. Qui Del Bravo dice che è una bellezza che
distrae dal superiore.

Anche il "David": gli da una morbidezza di pelle che lo addolcisce, ma osservando vediamo come
David si distoglie dallo sguardo di chi contempla di fronte, toglie l'occhio che è la parte dell'anima.
Infatti vediamo come Michelangelo lo fa mentre si distrae dall'otium ed entra in una fase di negotium
vedendo avvicinarsi Golia. Ecco quindi che la violenza è ciò che distoglie dall'otium contemplativo.

"Battaglia di Cascino", di cui rimangono solo disegni di altri autori. Ricorda le lotte della repubblica
per imporsi sulla Toscana. Evidentissimo l'elemento di otium e negotium che uccide l'aspetto
contemplativo. Durante la guerra di Pisa, i soldati fiorentini spogliandosi si fermano e si distendono in
questo luogo sulle rive del fiume e si immergono. E quindi è quel momento che si chiamerà
"Momento del riposo del soldato", l'immagine del soldato sempre nel negotium e nella violenza e nel
momento di riposo è il momento dell'otium. Vediamo che sono nudi e si stanno affannosamente
rivestendo per l'arrivo dei nemici. Lo stesso Vasari dice che l'affresco è pieno di storcimenti col
tumulto dei soldati e delle grida, un'improvvisa accellerazione di azione violenta che distrugge la pace
contemplativa sia chi contempla tutto questo. In questi ragionamenti ragiona sulla difficoltà che la
violenza e la libidine faccia per la contemplazione. È completato dai tre tondi che esegue a metà
decennio, che sono il tondo pitti, il tondo taddei e il tondo doni, due di scultura e uno di pittura.
Nel primo ci sono gli aspetti positivi di questa ricerca, c'è Giovannino che vuole attrarre il bambino
suo cugino per fare un gioco, che fugge e si rifugia tra le braccia della mamma per cercare la pace.
Nel tondo pitti la madonna guarda che Giovannino non disturbi il figliolo, impegnato nel pieno otium
contemplativo. Nel tondo doni, infine, vedete come i due genitori stanno portando il bambino via da
oltre quel separatorio che li divide da quei giovani belli e forti i quali si dice sono come gli atleti che
sono immagine dell'uomo virtuoso che vuole rendere il proprio corpo perfetto. Vediamo che loro
portano via il bimbo che si vede stava allenando il proprio corpo. (Tondi ripresi da quello del
Signorelli)

Poi cristo e sua morte con la Madonna "Sistina" che si abbandona alla contemplazione, con quella
testa di purissima bellezza. Ciò porta alla decorazione della Cappella Sistina.

LEZIONE 9

Ultima volta: conclusione della grande stagione dell'unitas fine '400 + Michelangelo

Volta della Cappella Sistina = qui esprime la sua scala immaginativa e contemplativa facendo
riferimenti alle arti che dipinge, perché la Sistina è un'insieme di arti diverse su una scala che dal
fondo va verso chi guarda. Fatta per Giulio II, per il quale contemporaneamente avviava la
"Sepoltura" che però rimase inconclusa. Vediamo secondo del Bravo, lui faccia riferimento alla scala
immaginativa di Plotino ripresa da Ficina e versificata poi dallo stesso Michelangelo. È una scala
immaginativa interessante, perché dice di cose che si possono verificare col nostro rapporto con la
percezione e la successiva elaborazione che facciamo di essa. Plotino dice: "Immaginationem
inferiorem superiori cedere" l'immaginazione inferiore deve cedere a quella superiore, quindi quella
più legata al senso deve cedere a qualcosa di più profondo. Questo corrisponde a quello che dice
Michelangelo nel sonetto 44, quando in 4 versi chiarisce tutto questo: "Mentre c’alla beltà ch’i’ vidi in
prima appresso l’alma, che per gli occhi vede" Quindi mentre la prima percezione attraverso gli occhi
che faccio e "l’immagin dentro cresce , e quella cede" l'altra, quella fatta dalla beltà fatta in prima,
cede e "quasi vilmente e senza alcuna stima." (cede senza alcuna stima = dantismo, per l'efficacia con
cui esprime il concetto in poche parole) Michelangelo dice che il primo momento (dei sensi) è
superato da un secondo momento che invece è più interiore, quell'andare oltre la prima percezione.
Del Bravo capisce in questa struttura che è una struttura di arti diverse: pittura di pittura, pittura di
architettura, pittura di scultura ---> le quali Michelangelo sovrappone in modo da creare un fondo
esteriore ad un apice interiore che è quello che sporge maggiormente verso chi guarda. Dimostra il
favore che Michelangelo mostrava a queste pitture.

Non amava tanto la pittura (infatti quella sta più in fondo), perché è fatta di colori che sono
l'immagine dell'occasionalità. La pittura di architettura, che è costituita dalle innervature strutturali
che si sovrappongono alla pittura sul fondo, la disegnava e la seguiva tramite la pratica come dice lui,
e quindi un negotium per migliorare la vita degli altri. La pittura di scultura, che interessa i putti posti
più a fuoriuscire dalla struttura architettonica o i medaglioni di bronzo, è per Michelangelo la prima
arte che rappresenta per gradi, è più tenuta cattiva quando va verso la pittura, e più buona quando
va verso l'altorilievo (come dice lui stesso). E qui vediamo che la pittura di scultura a basso rilievo è
più lontana, quella ad alto rilievo (i putti) è più vicina.
A questa scala di arti si aggiunge un'altra scala, che è di natura, di queste figure che si sovrappongono
alla pittura di scultura e a quella di architettura e vedete che non sono più bianchi o bronzei come la
scultura ma colori naturali, e che rappresenta, come dice Del Bravo, "la natura bella", perché la
rappresenta in queste figure di bellissimi giovani e interiormente modellati, che rappresentano un
grado spirituale superiore. Immagine dei profeti = rappresentano la natura infusa di spirito, che attua
quindi una fecondità spirituale, riprendendo dal Simposio 208, E e 209, A (già letti in una lezione
precedente). Si vede che affianca ai profeti quei fanciulli legati a ciò che fa il profeta, sono
quell'anima bella che si attacca e si affeziona all'anima nobile e infusa di spirito del profeta.
Rappresenta il parto spirituale dell'anima bella. E Michelangelo sviluppa anche il fatto (sempre del
Simposio) che quelli fecondi nel corpo si attaccano alle donne sperando di procrearsi l'immortalità
mediante la procreazione dei figli. E allora si vede che fuori dalla scala immaginativa e conoscitiva che
dalla percezione arriva alla natura infusa di spirito pone invece gli antenati di cristo, posti a corona
delle finestre sui muri laterali e da a queste figure un aspetto di forte tensione e mancanza di libera
espressione di sé che si vede di sopra, perché sono diversi dalla salita verso l'assoluto. La bellezza
infusa di spirito la sviluppa nel giovane morente, che faceva parte del sepolcro di Giulio II, che era
posto nel laterale della cupola di S. Pietro e quindi immerso nella luce che scendeva dalla cupola, che
si sta slacciando le fasce che lo imbrigliano come chi si slaccia delle briglie dei sensi e consegna
l'anima alla luce che scende dall'alto. Qui suonano bellissimi i versi di Michelangelo quando scrive:

Veggio nel tuo bel viso, signor mio,


quel che narrar mal puossi in questa vita:
l’anima, della carne ancor vestita,
con esso è già più volte ascesa a Dio.

Ovvero l'anima della figura ascende e con lei chi contempla questa bellezza. Questa doppia possibilità
di amore o sensibile e generativo sul piano dei sensi o infuso di spirito comporta che nella Firenze in
cui inizia Michelangelo si creino delle tendenze che seguono la via più sensibile della vita.

Ciò lo vediamo dal ritorno di Leonardo a Firenze, nel 1501 e 1505, e che lo porterà di nuovo a Milano
e poi a Parigi. L'altro è Raffaello che matura a Firenze.

Leonardo torna per aiutare il giovane suo allievo Rustici per fondere e plasticare la predica del
Battista (ora su una delle porte del battistero), e si vede quanto di Leonardo c'è in quell'opera. Come
stoico qual era, egli proclama la positività e la necessità dell'amore sensibile, che diventa prova
dell'amore della natura, maestra di bontà, come dice Seneca nel De Ira, nel quale lui mette a
confronto natura alla razione dell'uomo, perché la natura induce alla bontà e all'amore, la razione
all'odio. E questo lo dimostra Leo in due opere: nel salone dei 500 "Battaglia di Anghiari", anche se
praticamente scomparsa, ma trascritta un secolo dopo da Rubens, e la "Gioconda". Con questa
immagine (la "Battaglia") (no abbandono contemplativo come Michelangelo) fa una distinzione tra
bontà naturale dei cavalli e l'ira dei cavalieri. Infatti l'odio è quello dei cavalieri, non dei cavalli, che si
riconosce negli sguardi degli uomini ma non in quelli come impauriti dei cavalli. Leo ha fatto in modo
che questi uomini siano coperti da un apparato fortemente esteriore di elmi e drappi che servono a
dare l'apparenza della grandezza che non corrisponde alla grandezza interiore.

"Gioconda": posta su una loggetta come dimostrano ai lati questi rigonfiamenti che sono le basi delle
colonne che sorreggono la loggetta. Stava contemplando il paesaggio dietro, straordinario perché
mostra il benigno scorrere del fiume che diventa nuvola e poi pioggia. Vedete che è come sia stata
interrotta in questa contemplazione da qualcuno al quale sorride, che è messer Giocondo, il marito.
Dimostra di essere in gravidanza (mani sul grembo). Vedete che Leo esalta questa figura immersa
nella continua creazione della natura che come essa si genera nell'amore e reciprocità d'amore che
presenta quello sguardo. Questa esaltazione della natura comporta che anche Gesù (come detto
nell'annunciazione di Monte Oliveto) non è figlio di Dio ma della natura che ha di essa in sé tutto
l'amore e che però è l'eccelso figlio perché prediletto della provvidenza che è la macchina che tutto
regola. Che sia figlio della natura lo dimostra con l'immagine di Maria con Sant'Anna e il piccolo Gesù.
E vedete come fa in modo che la seduta di Maria fra le gambe della madre esprime questa nuova
generazione che dagli sguardi e natura che tutto guida si dimostra come immagine della bontà. Esalta
il piacere e il divertimento che il bimbo prova ad accarezzare l'agnellino. Quindi è un bambino che
però l'altra opera che fece per la Madonna Sant'Elisabetta, Gesù e Giovannino, mostra l'aspetto
eccelso della natura e la provvidenza di essa. La madonna lascia che il bimbo che si sporga facendo la
benedizione e Elisabetta indica il cielo dicendo che il bimbo è figlio della necessità che indirizza verso
la bontà.

A questo segue "San Giovanni Battista cresciuto", immerso nell'attimo in cui lo coglie la luce nell'atto
dell'incontro di Gesù che con la sinistra dice essere nel proprio cuore e quindi nell'intus maggiore di
sé e ne indica la provenienza dalla provvidenza. Leo continua nella sua ispirazione stoica di amore
nella natura e nell'uomo che segue la natura.

Terzo gigante che si manifesta: Raffaello, Vasari lo chiama maestro della grazia e della dolcezza della
pittura e del comportamento suo. Questa grazia si radica nella via naturale della conoscenza non più
con l'attenzione alla provvidenza stoica ma piuttosto al piacere epicureo per raggiungere la calma
interiore ed evitare la tarassía, quell'accelerazione che invece è dipendente da un'interiorità
piuttosto accellerata dai sentimenti e quindi lontana dalla calma (atarassía). Lo si capisce fin
dall'inizio, perché riprende questo epicureismo dal suo maestro Perugino col quale si forma, e lo
vediamo nell'opera per il Magnifico "Apollo e Dafni". Da questa immagine inizia la vita artistica sua,
con quest "Cristo benedicente" (accademia carrara di bergamo), riconosciamo la forma a colore che
toglie ogni presenza di struttura portante anche se riesce a dare un senso di plastica che va verso la
grazia e dolcezza. Con questo volto pulito e dolce, come il petto, dice bene agli amici intorno attratti e
disciolti nel proprio sentimento da questa dolcezza che promana dalla figura di Gesù. Questa ricerca
del piacere fa sì che egli vada verso l'approvazione della generazione sensibile come l'immagine
dell'amore e del bene che svolge nella "Gravide del Pitti", che vedete è posta nel tempo e in una
situazione dove la potenzialità di essa è attualizzata quando la luce la colpisce. Gonfiore proprio della
gravida, di quell'amore per il figlio in grembo e quello maritale. Rappresenta la gravida in uno stato di
dolce piacere interiore, e vedete che da buon epicureo con la forma a colore non distingue una scala
a colori facendo ciò che è naturale come la pelle o i capelli, e invece ciò che è artificio dell'uomo
come la trina di fili d'oro che tiene i capelli. Epicureismo perché non fa una scala di valore tra
percezione e immaginazione, ma li pone come momenti della verità entrambi. E questo amore come
momento supremo di felicità è espresso nei coniugi "Doni" che sono pensati non per essere posti di
fianco ma piuttosto uno di fronte all'altro: egli fa in modo che i loro sguardi siano rivolti uno
nell'altro, in questa dimensione immersa nel tempo, segnalato dalle nuvole, c'è un amore che genera
natura che trionfa alle loro spalle.

Anche Gesù diventa estremo rappresentante del piacere interiore e della calma che la natura da.
Raffaello lo rappresenta figlio della natura. Se scorriamo le immagini delle tre Madonne, vediamo
come egli lo rappresenti come figlio sensibile di Maria che lo solletica a prendere i fiori che sta
guardando, stringendo le dita della mamma a conferma della percezione come momento
fondamentale della conoscenza. Lo rappresenta legato molto ai sensi, come nella seconda madonna,
dove col tatto cerca la poppa e si rivolge con uno sguardo d'intesa al padre Giuseppe probabilmente.
Vedete come a questo dialogo di occhi risponde la madre che sembra approvare il desiderio
gustativo verso il latte del figlio. Nella terza, lo esalta per la sua grazia, che si rappresenta a un grado
supremo. Grazia e dolcezza nel paesaggio, percorso da un fiume e coronato da nuvole di giorno
sereno con questi alberelli. Vediamo infatti che qui Gesù è considerato pieno di grazia, leggeva le
preghiere. E però è dolcissimo nel degnarsi a soddisfare il più animalesco Giovannino, che nella posa
non ha questa grazia gentile e leggera, ma ha il passo più pesante, l'occhio di chi punta di più,
immerso nella tarassía.

Vediamo che questa attenzione verso la dolcezza della natura e artificio trionfa nella "Velata", dove
vedete che egli sprofonda con una capacità di creare la levità e la stoffa, e la diversità del colore oro e
argento che connota la velata, che è colta nel tempo, anche lei cerca con gli occhi l'amicizia e la
bontà, grande canone dell'epicureismo. Questa attenzione verso la non distinzione tra ciò che è
percepito con l'occhio e quello con la mente, come ci dice Diogene Laerzio X, 32 "Perché anche ciò
che è immaginato è vero e non è un fantasma" è alla base dei capolavori romani e nella stanza della
Segnatura nei palazzi vaticani (1509-1511), dove dispone tre aspetti diversi del momento
immaginativo dell'uomo: dal pensiero, con la Scuola di Atene, dove pone i filosofi e al centro Platone
e Aristotele che con grande bontà convivono, ma accanto a questo pensiero (naturale) pone la
disputa del Sacramento e quindi quello trascendente che lo pone come qualcosa di astratto ma
comunque vero e al tempo stesso pone il parnaso con tutti i poeti che convivono.

Questa straordinaria sintesi della umanità e delle sue "immaginazioni" viene a iniziare questa serie
delle stanze nelle quali interverranno gli allievi in seguito. Sempre di questa dimensione è il Trasporto
del corpo di Cristo, dove immerge il trasporto nell'immensità del paesaggio e nella sua dolcezza. Il
paesaggio è ciò che da l'assenza di dolore, la quiete profonda con la quale contemplano il corpo
senza lacerarsi però. Dal '17 continua nella pittura a forma a colore incupendo i colori e complicando
le strutture, come si vede nel dipinto su cartone per la Sistina che completa nella parte bassa facendo
fare gli arazzi con le storie di cristo. Vediamo qui che accentua questa artificiosità di queste immagini
che i suoi allievi apprenderanno. Ed è il tempo che esegue le Logge che sono strutture nate per
essere percorse e vedere dalle luci degli archi estesamente i giardini vaticani e al tempo stesso per
vedere due visioni, una di pittura di natura e una di artificio, messi parallelamente sullo stesso valore.
In alto storia della Genesi, pittura di pittura; nelle colonne e negli archi fa eseguire da Giovanni da
Udine (allievo di Giorgione) le bellissime grottesche, fatte con stucco misto a marmo misto a farine
per far risplendere le immagini delle grottesche che riprende il motivo decorativo degli antichi.
Giovanni lo accompagna anche nella loggia di Galatea dove Raffaello dipinge la Galatea, e Giova
rappresenta queste immagini di cieli e di fiori immersi da giorgionesco nella temporalità che scorre
come ci dice la luce molto varia che si pone sulle piante e sulle foglie ma soprattutto dall'uccello che
attraversa la scena ed essendo in volo da senso dell'attimo. Giovanni fa poi quei festoni da frutti fra i
più vari, con pittura di forma a colore che si attualizza nella luce su uno sfondo scuro. Non
dimenticare come questa forma a colore che reca questa grazia Raffaello la ottiene anche
nell'architettura, quando subentra al Bramante nella costruzione di S. Pietro e nella costruzione di
due gioielli architettonici che sono Sant'Eligio degli Orefici e la Cappella Chigi che verrà completata
del Bernini. Nella prima vediamo che ottiene lo stesso effetto della forma a colore con queste lesene
che sono ridotte ad essere senza spessore, come dei colori giustapposti al bianco che disegnano
come in acquarello questo complesso, ottenendo questi ambienti di sospensione e quieta
beatitudine. Lo stesso vale per la cappella per i banchieri senesi, inventando una quadruplice
archeggiatura che si sospende sulla quale si sospende la cupola lineare come se fosse ad acquarello,
composta da 3 circoli, uno per indicare, più in basso, ciò che si svolge nel tempo indicato dalle
finestre che ricevono la luce e dalle pitture della Genesi; sopra al secondo c'è cosa c'è oltre il tempo,
e sono i segni zodiacali che danno una cronologia oltre lo scorrere del tempo e quindi a livello di
cosmica, al quale sovrintende l'ultimo cerchio con Dio che benedice il tutto.

Ultima opera che egli eseguì, che è la" trasfigurazione" per Giulio de Medici che era vescovo della
zona (zona da cercare perché non si capisce). Un'opera che il Vasari dice dipinse "da sé solo",
attuando due modi di dipingere: in alto è il Raffaello della beatitudine e dello splendore, in basso è
l'immagine della tarassía e dell'incapacità. Si dice che in verità che la conclusero gli allievi, ma la fece
solo lui per esprimere due passi di Matteo XVII, I, 20 dove i discepoli non riescono a curare un
indemoniato e XVII, I, 9 = la trasfigurazione quando "è splenduta la sua faccia come il sole". In basso
quindi il momento successivo di I, 20 dove le figure invano non curano l'indemoniato e nella figura
dietro c'è la ragione per cui non hanno la grazia di sopra: Pietro tiene un libro e recita le formule da
dire per sanare il tipo, che però è simbolo della loro incredulità e di seguire i precetti senza avere la
grazia. E quindi in questa immagine lascia l'immagine di sé. Stanza di Eliodoro: dipinge ancora
Raffaello, quelle successive fatte degli allievi che però deludono il maestro in quanto mancava
dolcezza e grazia. NON USARE PER RAFFAELLO LA PAROLA CLASSICISMO, perché questo concetto è
tipicamente ottocentesco, anche se i manuali parlando di Raffaello gli attribuiscono questo
fenomeno. A concludere queste considerazioni dei primi unitari del primo 500 vediamo gli altri due
che segnano l'arte del tempo: a Venezia Giorgione, a Firenze Andrea del Sarto.

Loro sono grandissimi poeti il primo del tempo che consuma, il secondo della verità cristiana oltre il
tempo. Giorgione si forma col Bellini, con questa epicurea immersione nella natura. È anche il
momento in cui a Venezia arriva il Verrocchio e Leonardo (1500) che pone l'immagine nell'attimo in
cui si sviluppa. Sembra legarsi molto a queste visioni, anche perché è da tenere in conto la cultura
veneziana, legata molto all'aristotelismo e al passaggio fra atto e potenza come immagine della
dinamica temporale dell'esistere. Vedremo infatti come Giorgione, nell'immagine della "vecchia col
cartiglio col tempo", è il grande poeta della malinconia del trascorrere e la rappresenta nella sua
umanità. Vediamo come pone la vecchia nell'attimo in cui la luce la attualizza dalla potenza
dell'oscurità in cui era e quest'attimo mostra gli aspetti della sua vecchiaia, nelle rughe, nei denti radi,
nell'aspetto gobbo e trasandato, e lei si addita e collega quel "col tempo" a sé stessa che la corrode.
Ciò ci porta al capolavoro (palazzo venezia a roma) dove vediamo la malinconia del tempo che scorre
diversamente per 2 figure: in primo piano c'è un giovane nobile in una zona di potere, vedendo
banco e colonna, con lo sguardo tipico del malinconico, una tristezza che non corrisponde al suo
status, e in mano tiene un arancio, e alla malinconia di questo subentra un incalzare con un occhio
più volitivo di un altro giovane. Convivono due momenti diversi. Immagine dell'arancio: il
malinconico è come il frutto, è destinato a cadere, mentre il giovane sarà il fiore dell'arancio che
vuole fiorire ma che diventerà anch'egli frutto per poi cadere. Questo è presente anche nel
"Concerto", dove pone nello stesso attimo di tempo 3 età diverse, bimbo, uomo, anziano, tutte
impegnate ad eseguire uno spartito musicale, con il vecchio che guarda in fuori e al limite del dipinto,
e il giovane uomo sta additando per invitare il giovane a cantare che lo sta per fare. Anche loro
ruoteranno come i giovani dell'arancio.

"Tempesta" = ultimo raggio di sole che risplende l'albero contro l'oscurità che gli sta intorno, in una
situazione di continuo divenire. Il passare delle acque, il loro scorrere perpetuo, il ponte che indica il
passare da una riva all'altra, una dinamica continua, si rifà al "Wanderer" (tedesco, l'uomo che
cammina) che intrinsecamente è un uomo immerso nel transire che si ferma davanti alla colonna
spezzata che è l'immagine del tempo che passa, donna che allatta = momento in cui tutto cambierà
con la crescita.

A questa malinconia corrisponde con Andrea del Sarto a Firenze la verità oltre il tempo, espressa
nell'"Annunciazione" che si trova nella Palatina (in teoria per la chiesa di San Gallo), fatta nel 1510.
Dal punto di vista del contenuto c'è una contrapposizione tra ciò che è transitorio e ciò che è eterno.
Transitorio = le scale, situazione di passaggio ma si contrappone in primo piano con l'eternità con lo
spirito che scende e la madonna che lo accoglie. Questo aspetto corrisponde a quello che dice il
Vasari che con il del Sarto che l'arte diventa "semplice e pura, ben intesa e senza errori nel raffigurare
le cose naturali". Una semplicità interiore dell'artista che ricrea semplicità. Corrisponde a quanto dice
il Savonarola (de puritate vitae), quando esalta l'essere semplici e puri come condizione di purgato da
fatti terreni. Aggiorna a un dibattito religioso i principi sostanziali dell'arte quattrocentesca: la
varietas come immagine dello sforzo, l'unitas come immagine della purezza. Questo lo si conosce
anche nell'altro capolavoro di Andrea, "Madonna delle arpie", in cui c'è la madonna che si erge sul
piedistallo dove si trovano delle arpie, immagini del transitorio e di ciò che è brutto, e quindi si erge
su questa transitorietà in questa forma senza errori e pura con questo senso di equilibrio. Questa
naturalezza è ciò che si vede nell'Evangelista e S. Francesco che accompagnano o è rappresentata
anche nella bellissima immagine a Londra di quest'uomo che vedete come dice Del Bravo è colto nel
momento in cui prima era rivolto verso l'oggetto tenuto in mano, una forma cubica di marmo a base
quadrata = immagine costante e dell'eterno, colto nel momento in cui si volge verso il fuori; è
l'immagine in un certo senso del pittore che raffigura questo tizio che in un breve momento si gira e
per trasmettere uno le cui contemplazioni le trasmette agli altri seppur per berev momento.

Si vede nella pittura di Andrea, che è una di contemplazione come nella "Pala di Gambassi", mostra la
purezza di bimbo santi e madonna, mentre S. Sebastiano si abbandona alla contemplazione della sua
anima e Giovanni Battista volge l'occhio all'esterno. Da questa pittura savonaroliana si forma Fra
Bartolomeo che in questa bellissima adorazione del bambino (Chicago) mostra un abbandono alla
purità dei gesti e delle vesti di tutti, per esprimere il frutto della propria contemplazione.

Rispetto all'arte di oggi queste considerazione sono diverse perché non concepiscono la frattura tra
l'idea e la carne, ma cercano un continuo interagire tra queste due attraverso l'anima che è eterno e
che si ferma nella transitorietà del corpo.

Passiamo ora a introdurre le altre generazioni di artisti formatisi con questi giganti, che ci porteranno
fino agli anni '60 del 500, dove c'è una crisi. "Classicismo" vs "Manierismo" (SEMPRE in virgolette o
all'esame da precedere con COSIDDETTO calssicismo o manierismo), nascono a fine 600 che sono da
tradurre come il Vasari, che dice che a proposito dei manieristi lavoravano "alla maniera di",
nell'indicare una nuova maniera del proprio tempo e della contemporaneità. Senza alcune di questi
concetti in "-ismo" perché sono poco corrispondenti al tempo. 1545 Benedetto Varchi, scrive un libro,
"La maggioranza delle arti", raccogliendo le risposte che gli artisti mandavano quando chiedevano
loro quale fosse l'arte più importante, avendo opinioni e caratteristiche dei vari artisti.

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