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FIRENZE LAURENZIANA E BOTTICELLI

Nel secondo ‘400 a Firenze sono in gestazione fatti di enorme portata per il secolo successivo.
Un incentivo al cambiamento veniva dal pensiero neoplatonico di Landino, Ficino e Pico
della Mirandola.
In esso si esalta la concezione umanistica dell’uomo come copula mundi, integrazione di
anima e corpo, artefice del proprio destino.
L’aspirazione umana alla felicità non conduce più all’azione, soprattutto politica, ma alla
speculazione.
Il pensiero neoplatonico immaginava il mondo organizzato in sfere concentriche i cui
estremi Dio e la Materia: l’uomo, essere materiale ma dotato di ragione, è l’unico
vivente in grado di scegliere consapevolmente se elevarsi verso Dio, di scendere al rango
degli animali o mantenere una calibrata equidistanza. Rinnegando totalmente i propri
istinti, l’uomo d’intelletto nobilita la sua vita.
In questa scelta è nodale il ruolo dell’amore e della bellezza.
“Amore è desiderio di bellezza” ed è l’amore nelle sue varie forme (bestiale, umano,
divino) a guidare l’uomo nell’ascesa o discesa rispetto a Dio, fonte della bellezza vera e
perfetta.
Questa filosofia che collega il Cristianesimo a una delle più alte espressioni della
filosofia pagana è il più serio tentativo fino ad allora condotto di saldare Cristianesimo
e cultura classica.
Nell’arte figurativa portò l’ingresso dei miti antichi, portatori di arcane verità, recuperati
e riletti in chiave cristiana o fatti rivivere come testimonianza di una armonia perduta.
Lorenzo De Medici, oltre ad assicurare un periodo di pace, promosse la diffusione della
cultura fiorentina, sia letteraria, sia figurativa attraverso l’invio degli artisti più prestigiosi
presso le varie corti italiane.
Interessato agli ideali neoplatonici, collezionista e conoscitore del mondi classico, amava
circondarsi di filosofi, eruditi, poeti, musicisti.
L’arte si distacca dalla vita pubblica, civile, diventa sogno di una umanità ideale, di un
mondo mai esistito o perduto, evasione dalla realtà.

SANDRO BOTTICELLI
- decorativismo esuberante, derivante dall’arte del cesello
- linea di contorno, contorni frementi dei veli e delle capigliature
- atmosfera psicologica sospesa tra malinconia e inquietudine
- nei ritratti accurata caratterizzazione fisionomica
- i personaggi presentano forme allungate e flessuose
- mancata accentuazione dei volumi
- assenza di prospettiva

“Perviene ad una stilizzazione del dato naturale che lo porta ad intensificare le qualità
ritmiche del segno e a tesservi un elaborato contrappunto di compensi e variazioni
armoniche.
L’amore per la pura liricità della linea si afferma fino al sacrificio della terza
dimensione, conquista storica del Rinascimento toscano; e le forme appena modulate
nella luce avvolgente, svuotate del loro contenuto corporeo, si stagliano nette e improbabili,
configurando il modulo di una bellezza nuova e smaterializzata.” Guido Cornini-Art Dossier

Viene considerato l’ultimo dei grandi maestri del Quattrocento e Leonardo il primo
grande ingegno del Cinquecento.
Alessandro Filipepi, figlio di un conciatore di pelli e fratello di un abile orafo medaglista al
quale deve l’appellativo Botticelli (da battiggello, battiloro), è l’artista più legato alla cerchia
medicea, al suo sogno di armonia, alla drammatica crisi che si aprirà con la morte di Lorenzo.
Una delle sue prime opere è la Fortezza nella quale i modelli di artisti precedenti sono
rielaborati in un linguaggio personale ed è già presente la caratteristica evidenza data
al contorno delle immagini. Il suo personalissimo stile lo porterà ad un crescente distacco
dal dato naturale.
Per Sandro la verità si esprime solo con il linguaggio cifrato del mito e si coglie solo nel
silenzio della contemplazione.
Quest’aderenza agli ideali del circolo laurenziano è totale nella Primavera.

LA PRIMAVERA
E’ un quadro complesso destinato ad un pubblico elitario e coltissimo.
Tra le interpretazioni più convincenti quelle che individuano i legami dell’opera (insieme alla
Nascita di Venere) con le immagini poetiche di Poliziano: le due opere sarebbero state parti
di un dittico che raffigurava Venere nei momenti successivi della nascita e dell’arrivo nel suo
regno.
La scena rappresentata, che ha assonanze con i versi delle Stanze per la giostra del più influente
poeta della cerchia medicea, Àgnolo Poliziano, è stata tratta, probabilmente, da un passo
dell’Asino d’oro, il romanzo di Lucio Apulèio, uno scrittore latino del II secolo d.C. Nel brano in
questione viene narrato come il protagonista del romanzo, mutato in asino, in attesa di riconquistare
il suo aspetto umano, assista a una rappresentazione del Giudizio di Pàride nella quale compaiono
tutti i personaggi dipinti dal Botticelli.

Illustra uno dei cardini del sistema ficiano: l’amore che nei suoi diversi gradi si stacca
dal mondo terreno per volgersi a quello spirituale.
Zefiro, Clori e Flora sono la forza sensuale e irrazionale dell’amore che tuttavia è fonte di vita
e che grazie alla mediazione di Venere/Humanitas (incarnazione mitologica del concetto di
equilibrio e armonia, virtuose attività intellettuali che elevano l’uomo dai sensi) e di Eros si
trasforma in amore perfetto ( Le tre grazie nel rinascimento rappresentano i tre aspetti
dell’amore oblativo dal lat. tardo oblativus «dato, offerto spontaneamente», del più alto livello di
maturazione psichica e affettiva, caratterizzato dalla capacità di amare e offrire senza attendersi alcun
contraccambio).
Un’allegoria della giovinezza, età dell’amore e della riproduzione, la stagione della vita
più felice ma più fugace. Le tre Grazie sono anche identificate con le Ore, allegoria
dunque del tempo che passa.
Zefiro-Clori-Flora i sensi, attraverso la ragione (Grazie-Ore) sino alla contemplazione
( Mercurio).
Anche se i particolari sono resi attentamente, sull’esempio fiammingo, l’insieme appare
idealizzato. Tutti i personaggi presentano forme allungate e flessuose e camminano e
danzano sul prato puntinato da 190 diverse piante fiorite, leggeri e incorporei. Lo spazio è
privo di profondità .
Le tre grazie che danzano aggraziate al ritmo di una carola, sospese nel ballo, fissano un
tipo di bellezza muliebre, biondo e longilineo, divenuto paradigmatico del canone
estetico quattrocentesco.
Il vento che si ingorga nei pepli, scuotendone e frastagliandone la superficie in increspature
ora arricciate, ora aderenti ai corpi, è universalmente considerato il capolavoro
botticelliano di quella poetica degli “attributi mossi” che anche l’Alberti, nel De Pictura,
raccomanda di trattare.
LA FORTEZZA
Il pannello doveva inserirsi in una serie di sette, raffiguranti le Virtù teologali e cardinali
(Fede, Speranza, Carità , Fortezza, Giustizia, Prudenza e Temperanza).
La Fortezza è accolta all’interno di un trono nicchiato a edicola: una specie di scranno
marmoreo sormontato da un baldacchino di complicato disegno, rialzato da una pedana e
sorretto ai lati da peducci intagliati.
Le imposte d’arco sono rette dai riccioli di due mensole di sostegno decorate sottili cespi
d’acanto.
Il trono è una forma fantastica allegorica: allude alle qualità morali inerenti l’esercizio della
magistratura.

LA NASCITA DI VENERE
L’atteggiamento della dea, nella posa della Venere pudica esprime la duplice natura
dell’amore, sensuale e casto, di cui i ministri della dea rappresentano, separatamente,
aspetti diversi e complementari: il gruppo con Zefiro e Clori e Ora che si accinge a proteggere
la nudità di Venere. Da tutti i personaggi emerge la triade concettuale della convergenza
e compresenza degli opposti nella natura umana: corpo e anima.

I tragici avvenimenti dell’ultimo decennio del secolo troveranno eco nell’attività del maestro,
il fervore religioso delle ultime opere è in relazione con le incertezze e le lacerazioni
del tempo.
La predicazione moralizzatrice e pauperistica del Savonarola influenzano la produzione
artistica di Botticelli e mutano radicalmente la sua pittura. Morì vecchio e infermo.
Citazione Vasari pag.47

Calunnia di Apelle

ADORAZIONE DEI MAGI


Aperta celebrazione della famiglia Medici, i cui componenti usavano sfilare come sovrani
orientali il giorno dell’Epifania.

SAN SEBASTIANO
La diafana figura del santo botticelliano, assorta nell’enucleazione della propria
interiorità, non ha nulla dei contorni allusivi e dei tratti enigmatici delle figure
leonardesche, eroi inquieti della ricerca empirica, votati e come consumati dalle pene
dell’esperienza; e nulla neanche della tesa umanità michelangiolesca, agitata nelle
menbra e nelle coscienze dagli spasimi di una conflittualità titanica.
La dimensione suggerita dall’immaterialità dell’immagine è quella contemplativa, del
mondo delle pure idee: qui ogni smarrimento etico e ogni impeto di furor si placa nella
fissità immota dell’icona. La stessa commozione morale si traduce in un cordoglio estetico
per l’oltraggiata bellezza del martire.
Non c’è esaltazione dell’eroe, ma malinconia per la sua bellezza offesa o ferita.

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