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I movimenti culturali del primo Novecento 

I primi decenni del Novecento costituiscono un periodo estremamente vivace e ricco anche per
quanto riguarda la produzione poetica, narrativa e artistica. 
I primi intellettuali a non riconoscersi nelle tendenze positivistiche dell’Ottocento sono i
decadentisti, come hai studiato nelle pagine precedenti, ma altri fenomeni culturali nascono in
questi anni. Correnti di rottura e di innovazione sono i movimenti d’avanguardia come
l’Espressionismo in Germania, il Futurismo in Russia e in Italia, il Dadaismo e il Surrealismo in
Francia. 
All’inizio del Novecento, come hai già potuto apprendere, i poeti decadenti hanno espresso una
visione pessimistica della vita, un senso del mistero e l’esaltazione della pura bellezza, mentre, a
seguito delle teorie freudiane, Pirandello e Svevo hanno analizzato in modo profondo la psicologia
dei loro personaggi. 
In questi stessi anni si fanno largo nuove correnti molto diverse l’una dall’altra, tutte però alla
ricerca di nuovi valori e di un modo nuovo di far poesia.
Il Crepuscolarismo 
La sensazione di vuoto e di smarrimento propria del Decadentismo viene ripresa e interpretata da
alcuni poeti chiamati crepuscolari. L’espressione “poeti crepuscolari” fu usata per la prima volta
nel 1910 dal critico letterario Giuseppe Antonio Borgese per definire “la voce di una gloriosa poesia
che si spegne”. Il termine “crepuscolo”, infatti, indica la luce del cielo nei momenti successivi al
tramonto del sole: allo stesso modo i poeti di questa corrente letteraria rappresentano la fine della
tradizione che ha avuto tra i massimi esponenti D’Annunzio e Pascoli. La loro è una poesia umile,
la poesia delle piccole cose, della vita quotidiana che viene raccontata per mezzo di un linguaggio
semplice e vicino al parlato. 
Caratteristica principale dei poeti crepuscolari è un atteggiamento di costante rinuncia non soltanto
a ogni impegno sociale e politico, ma anche a ogni tentativo di conquistare un proprio rinnovamento
spirituale. Ai toni alti, alla fiducia negli ideali filosofici, scientifici o religiosi, essi contrappongono
un’inquietudine nostalgica, una sincera malinconia, temperata da una sorta di ironia verso il reale
e la storia. Il senso della morte incombente si traduce in un atteggiamento che coinvolge tutta la
realtà. 
Così il poeta crepuscolare si ripiega verso strade deserte, grigi giorni di pioggia, case antiquate e
polverose, vecchi mobili, fiori appassiti; sente la tristezza dei pomeriggi domenicali, ascolta
nostalgici suoni di organetti, si innamora di pallide donne provinciali. Egli ama una vita
comune, semplice, povera, in contrapposizione alla vita eccezionale e inimitabile del superuomo
dannunziano. 
Per creare questa atmosfera, i crepuscolari usano un lessico ricco di diminutivi e vezzeggiativi
(alberino, timidetta, omettino, solicello); l’aggettivo piccolo è spesso scelto per attenuare e
ridimensionare il significato delle parole, in voluta opposizione all’enfasi retorica delle altre
tendenze dell’epoca, quali il Futurismo e il dannunzianesimo. La sintassi è lineare, con frasi brevi e
coordinate. 
Tra i principali esponenti ricordiamo: Sergio Corazzini, Ada Negri, Marino Moretti, Guido
Gozzano e, nelle sue prime raccolte poetiche, Aldo Palazzeschi.

Il Futurismo 
All’inizio del secolo assistiamo a un vivace tentativo di “svecchiare” la cultura italiana. Il
movimento futurista si propone, infatti, una rottura violenta e completa con il passato e con tutta
la “polverosa” tradizione. 
Il Futurismo esalta la velocità, il dinamismo, la forza e spesso anche l’azione violenta fino al punto
di esaltare e giustificare la guerra: «Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia
febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo e il pugno». I futuristi vedono
nella macchina il simbolo dei tempi nuovi: essa diviene il nuovo ideale di bellezza. Vanno, invece,
dimenticate e addirittura distrutte tutte le forme della bellezza tradizionale: l’arte greca e romana, i
musei, i centri storici e persino le bellezze naturali. 
L’artista futurista è dunque colui che si fa interprete e portavoce delle profonde trasformazioni
introdotte nella vita quotidiana dalle nuove tecnologie della Seconda rivoluzione industriale e, in
particolare, dalla produzione industriale. 

Di qui, il rifiuto per la sensibilità romantica e decadente e per tutta la letteratura che conteneva la
tradizione poetica di secoli a favore, invece, della sperimentazione di nuovi modi di comunicare,
che portano a esprimersi con “parole in libertà”. I testi dei futuristi ignorano volutamente le regole
tradizionali della sintassi, dell’ortografia e della metrica. Il loro intento è destrutturare la forma
stessa della poesia, attraverso alcune tecniche come l’abbandono delle regole metriche e del ritmo,
la presenza di frasi slegate, l’eliminazione di ogni pausa, l’uso di suoni onomatopeici.
Ecco che cosa scrivono nel Manifesto tecnico della letteratura futurista (11 maggio 1912):
• Bisogna distruggere la sintassi disponendo i sostantivi a caso, come nascono. 
• Si deve usare il verbo all’infinito, perché si adatti elasticamente al sostantivo e non lo sottoponga
all’io dello scrittore che osserva o immagina. Il verbo all’infinito può, solo, dare il senso della
continuità della vita e l’elasticità dell’intuizione che la percepisce. 
• Si deve abolire l’aggettivo, perché il sostantivo nudo conservi il suo colore essenziale.
L’aggettivo avendo in sé un carattere di sfumatura, è inconcepibile con la nostra visione dinamica,
poiché suppone una sosta, una meditazione. 
• Si deve abolire l’avverbio, vecchia fibbia che tiene unite l’una all’altra le parole. L’avverbio
conserva alla frase una fastidiosa unità di tono. 
• Ogni sostantivo deve avere il suo doppio, cioè il sostantivo deve essere seguito, senza
congiunzione, dal sostantivo a cui è legato per analogia. Esempio: uomo-torpediniera, donnagolfo,
folla-risacca, piazza-imbuto, porta-rubinetto. 
• Siccome la velocità aerea ha moltiplicato la nostra conoscenza del mondo, la percezione per
analogia diventa sempre più naturale per l’uomo. Bisogna dunque sopprimere il come, il quale,
il così, il simile a. Meglio ancora, bisogna fondere direttamente l’oggetto coll’immagine che esso
evoca, dando l’immagine in iscorcio mediante una sola parola essenziale. 
• Abolire anche la punteggiatura. Essendo soppressi gli aggettivi, gli avverbi e le congiunzioni, la
punteggiatura è naturalmente annullata, nella continuità varia di uno stile vivo che si crea da sé,
senza le soste assurde delle virgole e dei punti.

L’arte, per Marinetti, è interprete e portavoce delle profonde trasformazioni tecnologiche che hanno
cambiato radicalmente la vita degli uomini, introducendo la velocità, il dinamismo e un
individualismo (in continuità con gli ideali dannunziani e decadenti) portato fino al disprezzo per la
democrazia. Non a caso Marinetti è acceso sostenitore dell’entrata in guerra dell’Italia (suo è anche
il manifesto politico del Futurismo, dal titolo Guerra sola igiene del mondo) e combatte come
volontario nella Prima guerra mondiale; successivamente aderisce al fascismo e in quegli anni
ottiene importanti riconoscimenti e cariche ufficiali. Nonostante l’età avanzata, partecipa
nuovamente come volontario alla spedizione in Russia durante la Seconda guerra mondiale. Muore
a Bellagio, sul lago di Como, nel 1944. 

L’Ermetismo 
Tra gli anni Venti e gli anni Quaranta si sviluppa la corrente letteraria dell’Ermetismo. A differenza
del movimento futurista, che si riconosceva fin dalle origini in un programma preciso espresso in un
Manifesto, l’Ermetismo si caratterizza come una tendenza poetica che accomuna nella sensibilità
scrittori anche molto diversi tra loro. Il termine «Ermetismo» viene coniato dal critico letterario
Francesco Flora per indicare una poesia oscura e indecifrabile (il cui significato è chiuso in
maniera ermetica).
In realtà, i poeti ermetici scelgono un linguaggio difficile da comprendere perché vogliono
esprimere una realtà che è ritenuta misteriosa, nascosta dietro le apparenze, non comprensibile
attraverso le normali categorie razionali dell’uomo. Inoltre questo tipo di scrittura, rivolta a pochi e
tutta centrata sull’interiorità, è una risposta al clima culturale creato dalla dittatura fascista, in cui
trionfano parole roboanti ma vuote di significato. Per sottrarsi a questa retorica imperante, i poeti
ermetici scelgono di chiudersi in uno spazio interiore: partendo da luoghi, situazioni e oggetti
appartenenti al proprio quotidiano, giungono all’essenza segreta del reale, scoprendo i lati più
nascosti dell’animo umano e delle cose. I temi centrali dell’Ermetismo sono il senso di solitudine in
un mondo ostile, l’angoscia che deriva dal non riuscire a comprendere il significato della vita,
l’impossibilità di stabilire un rapporto armonioso con l’universo e con gli uomini. Di qui la ricerca
della parola essenziale, cioè il tentativo di concentrare in pochi scarni vocaboli tutto ciò che si
vuole esprimere, eliminando ogni elemento decorativo. 
Tra gli aspetti principali del linguaggio ermetico troviamo: 
■ frequenti analogie, che accostano parole abitualmente distanti tra loro, costringendo il lettore a
riconoscere invisibili e misteriosi fili che le uniscono (acqua colomba; luna animale); 
■ ellissi dell’articolo (amoroso silenzio / lambiva la sera); 
■ plurali indeterminati al posto dei singolari (Sopori scendevano dai cieli / dentro acque lunari); 
■ sintassi nominale (amore, mio scheletro; fumo dalle capanne / secche); 
■ accostamenti inusuali di aggettivo e sostantivo (scoscesa tortora; montuoso esulta il capriolo; i
cavalli trascorrono scabrosi); 
■ utilizzo insolito di termini astratti (cautela d’aria); 
■ verbi intransitivi che diventano transitivi (prigionieri stormiti di luna). 

I principali poeti ermetici sono: Vittorio Sereni, Leonardo Sinisgalli, Salvatore


Quasimodo, Alfonso Gatto, Mario Luzi. Uno dei più grandi poeti del Novecento, Eugenio
Montale, è influenzato dall’Ermetismo nelle sue prime opere, ma sviluppa poi una poetica propria
del tutto distinta; Giuseppe Ungaretti è invece considerato anticipatore e modello per gli ermetici
nella sua produzione iniziale, mentre – a partire dagli anni Trenta – ritorna a forme e modelli poetici
(rime, strofe, sonetti) tipici della tradizione letteraria italiana.

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