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STORIA DELLA MUSICA 2

CONTESTO STORICO E CULTURALE:

Il XX secolo è un’epoca piena di contrasti profondi, di grandi tensioni, connotati drammaticamente dalle due guerre mondiali,
caratterizzate da grande inumanità. Questi conflitti portano il mondo a cambiare velocemente, da punti di vista politici, economici e
sociali; per esempio con l’affermazione della società di massa.
Gli anni ante e post guerra sono caratterizzati da un senso di smarrimento, disillusione e incertezza per il futuro, e sostanziale
insoddisfazione per la società che aveva dissolto il sistema precedente. In particolare gli anni dopo la prima guerra mondiale furono
contrassegnati da gravi problemi economici e sociali, nonché da una delusione nei confronti della democrazia, motivo per cui si
formarono governi totalitari in Italia, Germania e in Russia (anche in tanti altri paesi dell’Europa centrale e orientale).
Furono anche questi gli anni però dello sviluppo scientifico e dell’intensiva industrializzazione. Di invenzioni e innovazioni scientifiche
citiamo A. Einstein con la “teoria della relatività”.
Il crollo di strutture statali e valori favorì il sorgere di movimenti artistici e filosofici miranti alla piena giustificazione e spiegazione della
nuova realtà. Si formarono quindi movimenti radicalmente innovatori che avviarono una lotta sistematica contro i mezzi espressivi
convenzionali ereditati dall’Ottocento; rivolta al passato e irriverenza verso la tradizione, necessità di sentirsi all’avanguardia.
Ci fu però anche chi reagì all’eccesso di radicalismo delle avanguardie, ritornando alla tradizione, lontana o vicina (il problema diveniva il
coniugare passato e presente).
Le correnti filosofiche del “nichilismo” moderno e dell’ “esistenzialismo”, sviluppatesi tra le due guerre, esercitarono una critica radicale
ai sistemi di pensiero totalizzanti e opprimenti l’individuo: l’intera esistenza è priva di senso (non hanno senso né la morale, né l’etica del
mondo esterno, quindi niente ha senso). I maggiori esponenti della corrente sono Heidegger e Sartre.
In campo letterario l’alienazione dell’individuo è studiata da Kafka, Musil e Mann.
Dal punto di vista dei movimenti pittorici d’avanguardia, ce ne furono diversi, tutti uniti dal comune denominatore di un un radicalismo
anarcoide, portato a distruggere i valori pittorici (la perfezione dell’immagine) dell’arte classica, attraverso la scomposizione della forma.
Avviato in Francia nei primi anni del secolo con l’intento di ritrovare nell’arte la schiettezza e l’impeto dei primitivi, il movimento dei
pittori Fauves (belve) si pose come obiettivo l’esaltazione dei colori vivi, violentemente contrastanti, il rifiuto della prospettiva, dello
spazio, dei valori cromatici dell’arte classica. Maggiori esponenti come Matisse influenzarono Picasso e l’espressionismo tedesco.
Insieme al pittore Braque, Picasso avviò poi la corrente del cubismo, quindi ricerca dello spazio, ridotto in poche forme geometriche e
compatte di angoli acuti. Agli oggetti in generale si vuole restituire solidità e densità. Fu un dei pochi movimenti a non avere un
manifesto teorico.
In Italia nacque invece il movimento pittorico letterario del futurismo, il quale voleva rompere totalmente i rapporti con la tradizione e il
passato, guardando solo al futuro e allo sviluppo. Fondatore Marinetti scrisse un Manifesto dove esaltava i massimi valori del
movimento (mito della macchina, della guerra, della violenza come affermazione dell’individuo ecc…). Queste sue teorie vennero
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trasposte anche in pittura, scultura e teatro. In musica scrisse un Manifesto futurista il compositore Balilla Pratella, che si impunta
contro il melodramma. Altro documento del futurismo musicale è l’Arte dei Rumori del pittore Russolo, in cui viene espressa la
necessità di ampliare il campo dei suoni a disposizione del compositore mediante l’introduzione del “suono rumore”, inventando gli
“intonarumori”.
Il movimento d’avanguardia denominato “dada” (ovvero, infantile), di carattere anarchico e dissacratorio sorse simultaneamente a New
York e a Zurigo nel 1916-1917, diffondendosi poi in tutta Europa. Fu un fenomeno di protesta contro la civiltà che aveva condotto alla
guerra e pertanto effettuò una critica sistematica e globale, contro ogni modello e valore, accettando solo opere scaturite dalla
spontaneità creativa o prodotte dalle “leggi del caso”. Il movimento si espresse attraverso manifesti. Le opere del dadaismo sono opere
non figurative, spesso ispirate al cubismo. All’interno del quadro ci sono degli elementi estrapolati dal loro contesto (collage). Maggiori
esponenti furono Arp e Duchamp. Molti componenti di questo movimento, che durò pochi anni, confluirono nel “surrealismo”, che
ricevette il suo primo impulso dal poeta e critico Breton che ne pubblicò un manifesto, in cui precisò l’intento dei surrealisti di uscire
dagli schemi della ragione per cercare di catturare, appoggiandosi alle scoperte freudiane, immagini dal sogno e dal profondo
dell’inconscio, al fine di rompere così la discriminazione tra immaginario e reale. Tra i pittori che figurano in questo movimento ci sono
Picasso, De Chirico, Mirò, Dalì.
Altro movimento culturale che interessò tutte le arti fu l’“espressionismo”, nato e affermatosi in Germani e in Austria dal 1905 al 1925
circa, con l’intento di contrapporsi sia al materialismo sia alle concezioni tecnico-formali dell’ “impressionismo” francese. Quindi si pose
come obiettivo la rappresentazione libera e soggettiva, senza il vincolo di regole e canoni estetici del mondo interiore dell’artista
attraverso immagini astratte, figure deformate, colori esasperati e violenti. Nel settore della pittura di esponenti ci sono Kandiskij, Klee,
Marx, Kokoschka. Uniti da un sentimento di protesta e ribellione, e dall’interesse per le questioni umane e sociali. Essi attribuirono
molta importanza alla musica, definendola fonte pura di espressione. Questo movimento si estese anche ad altre arti, come alla
letteratura con Kafka, al cinema, al teatro con Brecht.
Negli anni Venti l’espressionismo confluì nel movimento dadaista e quindi nel surrealismo, in parte in una nuova forma di realismo
esasperato e polemico che in Germania fu chiamato “Nuova oggettività”. Il nazismo avversò e liquidò questi movimenti d’avanguardia
come “arte degenerata”. Infatti durante il nazismo la maggior parte degli artisti se ne andò dalla Germania.
In campo musicale, esiste una pluralità di tendenze: ci sono compositori talvolta assai lontani nei loro mondi espressivi, con caratteri e
connotazioni ideologiche fra loro molto diverse, ognuno adotta metodi compostivi diversi, spesso più metodi sono messi in evidenza
nella produzione di un singolo autore o in una singola composizione; c’è la disposizione ad assumere e a provarsi con le più diverse
pratiche compositive.
La natura radicalmente sperimentale di molte composizioni scritte tra il 1900 e il 1930 circa, procurò a queste opere la definizione di
“Nuova Musica”, ossia musica che ambisce al rifiuto quasi totale dei principi che avevano fino ad allora regolato gli elementi costitutivi
del linguaggio musicale, inventando nuove condizioni espressive e comunicative. Una tendenza abbastanza generalizzata è la
preoccupazione di molti compositori di volersi costantemente riferire all’elemento logico e razionale che abita le grandi forme della
musica. Si ambisce ad aumentare la complessità della musica, a darle un esplicito significato spirituale e filosofico (ciò che è semplice
perde valore). Si tende a esaltare l’aspetto intellettuale dell’opera (per es. non si percepisce all’orecchio la dodecafonia, se non per via
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intellettualistica). Una simile concezione della creazione musicale affonda le sue radici negli artifizi costruttivi e negli intrecci polifonici,
adottati dai compositori franco-fiamminghi.
C’è stato chi ha reagito all’eccesso di cerebralismo che ha contraddistinto un filone di compositori contemporanei con un ritorno
consapevole a stilemi linguistici di un passato remoto o vicino, affrontando al contempo il problema di come coniugare quel passato col
presente. Altri compositori sono passati dall’estremo costruttivismo all’estrema libertà, all’alea, cioè al caso, basata
sull’improvvisazione.
Altri andarono alla ricerca delle proprie radici etniche attraverso lo studio e l’assimilazione di materiali folkloristici, ma in modo critico e
dialettico, per la formulazione di proposte linguistiche d’avanguardia.
Altri ancora si sono affidati alle potenzialità offerte dai mezzi elettronici, come generatori di nuove sonorità.

ARNOLD SCHOENBERG (1874, Vienna - 1951, Beverly Hills)

Espressionismo: ad aprire la strada a questo movimento era stata la corrente artistica del “decadentismo”.
L’arte espressionista rispecchiò quel particolare clima di crisi politica e sociale che stava invadendo la Mitteleuropa nell’ante e dopo
guerra: il collasso politico e morale aveva portato alla perdita di quel tradizionale senso di sicurezza e stabilità dell’impero austro
ungarico. Gli espressionisti non avevano un programma comune ma erano tutti accomunati dalla istanza di trascendere le limitazioni
pratiche e teoriche della vita materiale e della realtà quotidiana, per raggiungere un altro rapporto con la “vita del mondo”.
Tendenza del movimento era di ridurre al minimo nell’opera artistica lo spazio occupato dagli elementi formali o indicativi di
orientamento tradizionale, all’oggettività si oppone il soggettivismo: si voleva esprimere l’inconscio e la nevrosi.
La tematica principale nei drammi teatrali è l’esaltazione dell’irrazionale e dell’anormale di tipo sessuale-psicoanalitico, mentre l’azione
derivava dalla conflittualità spirituale e morale esistente nell’intimo del protagonista, molto spesso unico e solo.
Tra i procedimenti adoperati vi era il linguaggio aggressivo e grottesco, fatto di interiezioni di battute staccate come l’Urschrei (“urlo
primitivo”) che erompe dal silenzio. Con ciò il teatro espressionista ha creato una nuova originale sintassi linguistica che si basa
prevalentemente e spesso sui pronomi Io, Tu, Voi. Alla nuova sintassi fanno riscontro una nuova ortografia e interpunzione, con largo
impiego degli esclamativi, dei puntini e delle lineette di sospensione. Si tende a ridurre il ruolo delle parole, alle quali si sostituisce la
mimica. Esponenti dell’espressionismo nel teatro sono Kaiser, Kokoshka, Toller e a volte Brecht.
Quanto alla musica, l’espressionismo si individua nella seconda “Scuola di Vienna”, formata da Schoenberg e gli allievi Berg, Webern,
Wellesz, Stein e Rufer. Questi compositori viennesi non ebbero grande accoglienza dal pubblico della città, molto conservatore. Infatti
alcuni svolsero le loro carriere in Germania o negli Stati Uniti.

Schoenberg nasce nella Vienna di Brahms e Mahler (anche Wagner). Con Mahler, Schoenberg si scambia più volte punto di vista, ma
per quanto riguarda la scrittura Mahler va oltre la tonalità, Schoenberg invece si pone un limite. Infatti egli ha una visione storica della
musica, come un’evoluzione, un’elaborazione perpetua dell’elemento.
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Inizia lo studio del violino all’età di 8 anni, ma a seguito della morte del padre nel 1890, si trova costretto a lasciare gli studi e a
impiegarsi in una banca, intanto studiava da autodidatta e prendeva lezioni da Zemlinsky (compositore viennese tardo romantico del
poema sinfonico la Sirenetta, da Anderson, e delle opere il Nano e Una tragedia Fiorentina).
Nel 1895 diventa direttore della Corale dei Metallurgici a Stockerau e dal 1899 del coro maschile “Beethoven” di Heiligenstadt.
Tra il 1901 e il 1903 Schoenberg soggiorna a Berlino, torna poi a Vienna dove incontra ostilità e indifferenza nei suoi confronti.
Schoenberg sposa la sorella di Zemlinsky, lei poi lo tradisce col pittore Gerstl espressionista, con cui il compositore aveva instaurato un
rapporto di amicizia, che si suicida dopo essere stato lasciato da lei dal momento in cui il marito ha scoperto il tradimento.
Pure il compositore dipinge quadri, si piace, ma nessuno lo conosce perché compositore d’avanguardia, da un lato ne era contento da
un altro invece ne soffriva (memorie della figlia Nuria Schoenberg). Nel 1911 viene anche invitato da Kandiskij a partecipare a una
mostra, da questo momento tra i due si instaura una collaborazione e un buon rapporto di amicizia.
Tra il 1901 e 1902 Schoenberg compone per cabaret e negli stessi anni a Berlino insegna composizione; nel ‘03/‘04 scrive un articolo a
Vienna rendendosi disponibile per dare lezioni, da lui vanno quindi Berg e Webern, che sono gli allievi più importanti (anche Stein e
Wellesz ma meno importanti).
I tre, Schoenberg, Webern e Berg creano la seconda scuola di Vienna (scuola vera, non astrattamente, come la prima), da allievi
diventano insegnanti, si fanno lezione a vicenda, non si capisce chi è allievo di chi, si ispirano a vicenda. Seguono uno stesso percorso,
scrivono tutti in musica pantonaria e insieme entrano nella musica dodecafonica, hanno però tutti caratteri diversi, Webern ottiene più
successo di tutti dopo la guerra.
Schoenberg nel suo percorso poi inizia ad arricchire e abbellire tutto con ritardi, note di passaggio e ecc..., a forza di aggiungere
l’armonia però scompare, vedendolo come uno sviluppo della parola musicale, non vuole scioccare, vuole proseguire col linguaggio
della storia. Le prime opere di Schoenberg sgorgano dal cromatismo wagneriano e dai procedimenti di elaborazione motivica
riscontrabili in Beethoven, Liszt e Brahms.
A questo periodo risalgono i quattro brani tonali:
• 🎼 Verklarte Nacht (Notte Trasfigurata) 1899, per sestetto d’archi (negli anni ‘20 compone anche la versione per orchestra), brano di
grande tensione, prende come modello Brahms; categorizzato come poema sinfonico poiché racconta una storia presa dalle poesia
del poeta simbolista tedesco Richard Dehmel.
Trama: due amanti vanno in un bosco, situazione sensuale, buia, si amano, ma lei è incinta di un altro, decidono comunque di
crescere insieme il figlio; quindi tema dell’amore trascendentale, che va oltre l’odio e il tradimento.
Dal punto di vista tecnico, il brano è tonale, con un linguaggio cromatico (wagneriano), tardo romantico, carattere cupo e notturno che
ricorda molto Tristano o anche Metamorphosen, scrittura contrappuntistica, con molte formule che si ripetono, materiali che vengono
variati (simil Wagner e Brahms, Bach e fiamminghi), idea esposta nel saggio Il Brahms progressista. Brano mutevole, con poca
cantabilità, poca morbidezza, spigolato, con molti cambiamenti ritmici e di andamento, motivi che ritornano tipo Leitmotiv, intervalli
cromatici, settime, quinte diminuite, per creare maggior tensione.
• Pelleas e Melisande per grande orchestra, poema sinfonico, di grande impatto tardo romantico, riscuote tanto successo, scritta nello
stesso periodo dell’omonima di Debussy.
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• Gurre-lieder, composizione gigantesca per orchestra e coro, tonale, tipo sinfonia dei Mille di Mahler.
• Kameriensinfonie (1906), per 15 strumenti solisti, con questo brano ci avviciniamo sempre più al suo concetto di “sospensione della
tonalità, infatti pone un accordo di nona al quarto rivolto, questo sconvolge gli ascoltatori; da questo momento avviene il
cambiamento della tonalità. In questo lavoro c’è un tentativo derivato dalla Sonata per pianoforte in si minore di Liszt di amalgamare i
singoli movimenti di una sonata/sinfonia, eseguiti senza interruzione, in un unico vasto movimento, che osserva lo schema della forma
sonata. La coerenza dell’opera deriva dall’impiego, di continuo variato, degli stessi motivi. Le quarte sovrapposte costituiscono un
mezzo di unità strutturale.
Dal 1908 al 1913 è il periodo espressionista di Schoenberg in cui dipinge molto e viene influenzato dalla psicanalisi freudiana, nata
appunto in quei tempi a Vienna con Freud (1900, L’interpretazione dei sogni: i sogni rappresentano le fratture dell’anima, ti dimentichi il
dolore ma rimane la frattura). Caratteristica di questo periodo è la totale rinuncia alla tonalità: l’emancipazione della dissonanza, ossia la
liberazione dall’obbligo di far seguire un accordo consonante a uno dissonante. La fonte della dissonanza, in realtà, non è meramente
armonica, ma anche melodica; vale a dire che le melodie non comportano più relazioni tonali, fanno uso di intervalli dissonanti.
Altra significativa caratteristica di questo periodo è l’importanza del timbro come fattore espressivo e come elemento di coesione
strutturale. Oltre a Debussy, Ravel e Stravinsky, Schoenberg fu tra i compositori più attenti all’invenzione delle più svariate combinazioni
timbriche.
I quadri di Schoenberg riguardano il dolore della mente, della psiche, quindi stravolgimento delle forme e della tonalità, che diventa
atonalità o pantonalità (tutte le note e le tonalità hanno la stessa importanza). Con Kandinsky il compositore va di pari passo
stilisticamente, infatti in questo periodo il pittore pure si basa sull’astrattismo.
Gli artisti del periodo come Kandinsky, Schiele e Schoenberg rappresentano l’io, non la bellezza, il mondo e le persone fanno schifo;
opere a volte senza titolo, solo “composizioni”, dove bisogna ascoltare il suono dei colori, ogni colore è associato a un timbro, a uno
strumento. Idea metafisica dell’arte, il visivo diventa sonoro (succede anche nella seconda metà del ‘900). Kandinsky e Schoenberg
fanno parte del gruppo “il Cavaliere Azzurro”.
Una volta Schoenberg prova a comporre una partitura inserendoci colori suoni e luci La Mano Felice (1909-13), in un atto suddiviso in
quattro quadri, per voce maschile, due mimi e coro di sei voci maschili e femminili, si distingue per un sottile rapporto di luci e colori;
anche altri sperimentano (pure con vestiti): in poche parole è una rielaborazione del ‘900 dell’arte totale di Wagner.
Schoenberg, come Kandinsky è un artista sinestetico, poiché unisce più arti, la partitura parla, anche un dipinto ha una sua partitura, la
musica si vede, non solo si ascolta, però può essere anche il silenzio, concetto greco pitagorico.
Parallelismo in arte e musica: astrattismo in arte, non è più importante la figura e tutti i colori sono importanti allo stesso modo; atonalità
e pantonalità tutte le tonalità sono importanti alla stessa maniera, non ci sono più armonie e melodie chiare.
Gran parte delle composizioni ultimate da Schoenberg negli anni 1908-1913 è costituita da musica vocale, tra cui, oltre ad alcuni Lieder
per voce e orchestra, il monogramma per soprano e grande orchestra Erwartung (“Attesa”, composto nel 1909) op. 17; il dramma con
musica, per voce maschile, coro e orchestra Die glückliche Hand (La mano felice, 1910-1913) op. 18; il ciclo di 21 brani per voce
femminile recitante e complesso da camera Pierrot Lunaire (1912) op. 21. L’importante saggio intitolato “Il rapporto con il testo” (1912),

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conferma l’interesse da lui coltivato in quegli anni per la musica vocale: egli riteneva che, in mancanza delle norme costruttive del
sistema tonale, l’articolazione di un brano potesse dipendere dal testo.
Erwartung e Die glückliche Hand sono scritti in una maniera somigliante al melodramma settecentesco (quindi recitazione parlata
accompagnata e/o inframezzata dall’orchestra): la maggior parte dell’azione viene presentata attraverso la musica, il mimo, i gesti e gli
effetti scenografici.
A questo periodo appartengono composizioni come:
• Fünf stücke per orchestra op. 16 (1909), molto importanti, in uno di questi, Farben teorizza la Klangfarbenmelodie, ovvero la melodia
dei colori e dei timbri: un accordo viene diviso tra tanti strumenti, stessa melodia e armonia passata tra i vari strumenti, quindi con
timbri diversi. Il quinto movimento, Farben, è costruito su un accordo di cinque note, totalmente ambiguo; esso cambia
continuamente colore strumentale, trasferendo le note da uno strumento all’altro, con molta delicatezza, il cambiamento è graduale.
Questi pezzi sono brevi, non connessi tra loro da legami ciclici, non è per niente sinfonico, non c’è un’architettura, né una struttura,
soltanto un seguirsi di colori, ritmi e stati d’animo differenti. Molte sono le analogie tra questa scrittura musicale e le fantasie di colori
che caratterizzano i dipinti di Kandinskij. In questi pezzi, Schoenberg inserisce per la prima volta dei segni speciali per indicare con
chiarezza il cammino della Haupstimme (voce principale) e della Nebenstimme (voce secondaria) del tessuto polifonico, mentre tutto il
resto deve rimanere nello sfondo.
• George-Lieder op. 15 (1909).
• 🎼 Drei Klavierstücke op. 11, 3 pezzi (1909), primi brani atonali, rinuncia alla melodia e all’armonia, non significa che non c’è
espressività o emozione, sono sentimenti struggenti, anima complicata. La durata di questi brani è breve, come per tradizione: la
struttura del Klavierstück viene usata anche da Brahms e Beethoven, molto pratica, titolo vago e con poco coinvolgimento. Questi
brani sono stati una sorta di manifesto della pantonalità, con i brani dopo sarà più radicale.
Nel primo Klavierstück, Schoenberg usa del contrappunto, c’è un tema che riappare, così anche degli intervalli cromatici e delle linee
melodiche.
• Sechs kleine Klavierstücke op. 19, (1911), rispetto ai precedenti la scrittura è cambiata: 🎼 n.1, durano pochissimo, in tutto 4 minuti,
vuole togliere il romanticismo, tutto molto ridotto, vuole andare a distillare la materia melodica; nel primo in particolare viene molto
usata la sincope per non dare stabilità, ritmo poco concepibile, rappresenta l’instabilità della psiche. Usa il divieto come norma (per
es. il divieto armonico). Egli si muove per analogia, non c’è una forma, come i sogni e l’anima, struttura libera.
• Erwartung (l’Attesa, 1909), si tratta di un’opera lirica di stampo espressionista, la librettista e la psicanalista è Marie Pappenheim, dura
50 minuti, è ad atto unico. È un monodramma in un atto per soprano e orchestra, c’è solo una donna in scena, persa nella foresta,
che canta con vocalità tellurica, sta cercando, in una sempre più “spasmodica” attesa l’amato, alla fine lo trova morto; questo
rappresenta un percorso psicologico, lei è persa nell’animo. Viene quindi messo molto in mostro la rivelazione dell’inconscio,
l’esaltazione dell’irrazionale, la nevrosi, il tema della patologia sessuale, dell’angoscia esistenziale, degli stati di allucinazione mentale
che portano alla pazzia. La musica fluisce ininterrottamente e il cromatismo è esasperato fino a scompaginare la struttura armonica
totale, regna l’atematismo. Inoltre la mobilità psicologica-emotiva è evidenziata dal repentino mutamento ritmico, dinamico e timbrico
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dell’orchestra. Le mutevoli sensazioni della donna di ansia, timore, terrore, incubo e ricordo della felicità passata, sono rappresentati
con la miriade di cambiamenti, talvolta bruschi di timbro, registro, dinamica strumentali, di tempo e di struttura metrica. La linea
melodica è estremamente frantumata, distribuita tra strumenti di timbro diverso e riflette le fortissime suggestioni del testo e delle
immagini sceniche. La scrittura vocale è anche molto frastagliata, caratterizzata da ampi salti. Qui Schoenberg raggiunge l’estremo
limite dell’atonalità: non vi sono triadi perfette, maggiori o minori; alcuni accordi sono utilizzati per creare centri di stabilità. inoltre,
quasi tutti gli accordi sono di sei notte posseggono una sonorità cromatica. L’accordo di settima, così costante e onnipresente, per
Schoenberg non è più una dissonanza che deve essere risolta, ma un punto di riposo, senza tuttavia raggiungere mai una stabilità
assoluta. L’asprezza delle dissonanze viene attenuata, a volte, con lo spaziare, come in Debussy, le note dissonanti. In campo ritmico,
due tipi di strutture si alternano nel corso della composizione: sezioni di figure continuamente ripetute (“ostinati”), trattate come
simboli della paura e materiali in continuo cambiamento. Questo crea una tensione insopportabile. Erwartung non solo è atonale, ma
anche atematica, non si torna mai a materiali precedentemente esposti; l’eliminazione di ogni ripetizione tematica sarà il
procedimento base delle successive composizioni dodecafoniche. Storicamente quest’opera può considerarsi un’estensione della
tradizione della forma “Fantasia”, al di fuori di ogni logica costruttiva. “Un’assenza di freni e una libertà nel modo di esprimersi che
oggi è lecito soltanto in sogno”.
• 🎼 Pierrot Lunaire (1912), pietra miliare del ‘900, opera che apre il secolo insieme alla Sagra della Primavera di Stravinsky, per la
mancanza di uno sviluppo e struttura additiva, c’è chi aggiunge anche Prelude a la pres midi d’un faune di Debussy per la metrica e il
colore. Composizione importante quindi per la sua carica espressiva, la novità degli impasti timbrici e della particolare tecnica vocale,
essa venne apprezzata molto da Berg e Stravinsky. Questa composizione è un ciclo di Lied, ensemble da camera (con organico
pianoforte, flauto/ottavino, clarinetto/basso, violino/viola, violoncello e voce, “/” significa che si alternano i due strumenti) e
Sprechstimme (voce parlante femminile, simile a quella recitante, tanto che nella partitura scrive “recitation”). L’organico è mobile,
cambia a seconda dei brani, c’è una diversa strumentazione per ogni brano e quindi una ben distinta sonorità. Il Pierrot è una raccolta
di 21 liriche (1884), tratte da poesie francesi di P. Girauld, simbolista belga, Schoenberg le prende in traduzione tedesca, fatta da
Hartleben, che le elabora anche, facendole diventare più crude. Il protagonista Pierrot passa da essere una maschera triste e
malinconico della poesia a un personaggio drammatico; ci sono molti richiami alla tradizione della commedia teatrale italiana. La
trama quindi tratta di un Pierrot, visto quasi come un vampiro, molto sanguinolento, tanto sadismo, immagine rosse, di sangue,
grottesche. I brani - Melodramen, chiamati così dal compositore - sono divisi in tre parti: 3x7 liriche, numeri importanti, si vede
l’importanza della tradizione religiosa, biblica (lui ebreo). Ciascuna delle tre parti è nettamente diversa: nella prima, l’antica maschera
italiana si presenta nella sua veste di poeta della disperazione e della sofferenza, incantato dal pallido chiarore della luna, che gli
evoca immagini seducenti ed erotiche, ricche di macabra ironia, vagamente morbose; nella seconda parte, pervasa da un tono
angoscioso, Pierrot ricompare nella notte in preda alla più disperata follia, vittima di fantasie paranoiche, di visioni di morte; nella terza
parte, è permesso al clown di sfuggire quest’incubo, per abbandonarsi alla buffoneria grottesca e farsesca, alla sdolcinata
sentimentalità, alla nostalgia per i tempi più felici del passato. Nella prefazione ci sono appunti per come il cantante deve cantare
questa nuova scrittura musicale, non è un canto realistico, deve dare l’impressione di essere lontana dagli animi degli altri, non ci si
deve immedesimare, la voce tecnicamente deve essere simile a quella da cabaret (attori che cantano). Schoenberg parla quindi di uno
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Sprechgesang (canto parlato), differenzia così canto cantato, conserva immutata la sua altezza dal suono parlato che dà sì l’altezza
della nota ma l’abbandona subito scendendo o salendo. Quindi, per realizzare il rapporto stretto, mimetico, della musica con il testo, il
compositore sostituisce al canto la tecnica vocale che egli definì Sprechsstimme (“voce parlata”) o Sprechgesang. È un sistema di
declamazione stilizzata; per questo effetto Schoenberg inventa quindi dei simboli come la “x” sul gambo delle note, che significa di
prendere appunto le note la nota dal basso, toccarle e poi lasciarle andare, quindi deve appena intonare la nota vera e propria e poi
subito abbandonarla, di solito passando alla nota successiva con una specie di glissando; dove non si trova il simbolo si deve cantare
normalmente. Egli aveva usato già questo tipo di canto nei Gurrelieder (“Canzoni di Gurre”) del 1901 e poi nel coretto della Gluckliche
Hand, ma in modo meno preciso. In Pierrot lo adopera sistematicamente. Con questa tecnica vocale, palesemente gestuale,
Schoenberg contribuì all’ampliamento delle possibilità espressive cella voce umana. Dotata di grande flessibilità, la voce recitante si
insinua nell’intenso tessuto polifonico della materia strumentale: partecipa all’esposizione dei temi musicali, alle ripetizioni, alle
variazioni strutturali. Il rapporto con il testo è definito soprattutto nelle combinazioni strumentali quanto mai eterogenee. Il ritmo deve
essere perfetto, isoritmico; presenza anche di una struttura e di un contrappunto. Nella prima parte del ciclo prevalgono sonorità
leggere e trasparenti; la seconda parte caratterizzata da effetti timbrici cupi, da tessuti omofonici, o quasi, perfettamente adatti alle
atmosfere più scure e all’incremento dell’intensità emotiva delle poesie; la terza parte è dominata dalle sonorità densamente
contrappuntistiche: l’ultimo brano impiega l’intero ensemble. Protagonista di tutto il ciclo è il pianoforte. In alcuni brani Schoenberg fa
uso di procedimenti contrappuntistici complessi (fughe, canoni). Il brano all’epoca venne considerato molto trasgressivo, ostico e
noioso; Casella, molto aperto al nuovo, porta l’opera in Italia nel ‘24, con complesso austriaco e Schoenberg dirige. Firenze è la
tappa più importante perché lì vennero esponenti importanti della musica, come Pizzetti, Castelnuovo Tedesco, Puccini, Dalla Piccola,
musicisti del conservatorio e compositori. Finito il brano fallimento totale, Pizzetti e Casella litigano, Puccini indifferente (ma poi parla
con Schoenberg, non sappiamo niente della conversazione, ma probabilmente il primo l’ha disprezzato, stranamente però
Schoenberg da quel momento si innamora di Puccini e lo cita in molti suoi trattati. Dalla Piccola sarà l’unico a seguire il compositore
austriaco e porterà quindi la dodecafonia a Firenze. Schoenberg stava male perché più faceva tournée più veniva fischiato, non era
apprezzato da molti.
Oltre a dedicarsi all’insegnamento privato Schoenberg viene assunto al Conservatorio Stern di Berlino (1902-3 e 1911) e all’Accademia
di Vienna. Tra il 1910 e il 1911 inoltre scrive un manuale di armonia, Harmonielehre , una sorta di ricostruzione del linguaggio armonico
tonale dal Settecento fino ai primi del Novecento; inoltre riguardo la tonalità dice che non la ritiene una legge naturale e eterna della
musica. I numerosi excursus storici, filosofici, morali, culturali, fanno di questo libro ben più di un semplice metodo di insegnamento
artigianale, e così costituisce un vero e proprio attacco frontale alla didattica dell’armonia. Schoenberg realizza con quest’opera una
sorta di fenomenologia del linguaggio armonico tradizionale, dalle sue origini sino al cromatismo wagneriano. Già vi si parla di accordi
per quarte, Klangfarbenmelodie (melodia dei timbri), di “atonalità”, o meglio “pantonailtà”, così preferisce il compositore (quindi uso di
tutte le relazioni tonali possibili nell’ambito del nostro sistema musicale, ossia l’assenza di una tonalità univoca e pertanto ambiguità
tonale permanente. Schoenberg pubblicò altri saggi teorici, critici e analitici, quali furono raccolti nel volume Style and idea.
Il compositore si considerava il vero erede e prosecutore dei grandi compositori della musica tedesca, inoltre oltre a rispettare le legge
si pone anche come inventore di queste. La carriera artistica di Schoenberg è segnata da una continua, sofferta, conciliazione delle
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antinomie di scelta tra rinnovamento e conservazione, tra sfogo e regola. Egli cerca di indirizzare il suo sforzo maggiore verso la
risoluzione del rapporto dialettico tra l’ “espressione” e la “forma”. L’esigenza soggettiva è essenziale, ma necessità la ricerca di nuovi
rapporti formali, tali da mantenere l’unità dell’opera musicale. Per Schoenberg questi rapporti devono realizzarsi in primo luogo nel
proprio intuito inconscio. “Quando compongo decido solo in base al mio sentimento; ogni accordo che scrivo obbedisce a
un’impellente costrizione, alla spinta della ma costrizione espressiva, ma forse anche a quella di una logica inesorabile, ma inconscia,
insita nella costruzione armonica.
Il principe formale che regola l’arte di Schoenberg, e dei suoi discepoli, è essenzialmente quello della variazione continua e
dell’elaborazione motivica. È un espediente tecnico ampiamente adoperato nei secoli precedenti per ottenere l’unità e la varietà di una
composizione. Schoenberg applicò questo procedimento in contesti nuovi, specialmente nelle composizioni dodecafoniche,
congiungendo la variazione al concetto di “germinazione motivica” secondo il principio che definì entwickelnde Variation (“variazione in
divenire o in sviluppo”): un unico motivo o tema da sviluppare contiene elementi “generativi”; è cioè costituito da un materiale ristretto,
cosicché la variazione stessa diventa sviluppo e lo sviluppo variazione. La graduale metamorfosi del compatto materiale di base,
irradiato nelle fitte trame del testo contrappuntisti, condiziona la struttura di un intero tempo o composizione. La variazione di un’unità
d’origine produce tutte le formulazioni tematiche che danno luogo alla scorrevolezza, ai contrasti, all’unità della composizione.
Fondamentale è la dimensione “cumulativa” di questo processo ed è ciò che la distingue dalla tecnica della trasformazione tematica di
più motivi romantica.
Tra il 1913 e il 1923 Schoenberg si prende un periodo di pausa creativa e di ripensamento dell’esperienza atonale, egli sente l’esigenza
di tornare all’ordine, scrivendo meno liberamente, poiché la libertà diventa un problema dal momento in cui non ti permette di costruire
strutture fisse e, eccessiva, toglie l’espressività (Webern fa lo stesso). Questo dovuto al fatto che con la prima guerra mondiale c’era
stata la distruzione totale, la morte ovunque, quindi molti artisti sentono questa necessità (Stravinsky per esempio torna al passato
come modo di scrivere, Kandinsky disegna invece figure geometriche astratte).
Organizzò dei concerti a Vienna per far ascoltare la nuova musica, il Verein fur musikalische Privatauffuhrungen (Associazione per
esecuzioni musicali private).
Diede quindi un ripensamento della propria esperienza atonale, e sentì il bisogno di dare una nuova coerenza alla costruzione musicale.
Nacque così l’idea di un “metodo di composizione con dodici note poste in relazione soltanto l’una con l’altra”, ovvero quello che
veniva chiamato “dodecafonia” o “musica seriale”. Schoenberg spiega questo metodo in un articolo del 1923 intitolato “Composizione
con dodici note”: si tratta di un procedimento competitivo inteso a garantire l’unità dell’opera, la coerenza del linguaggio musicale, così
da colmare il vuoto lasciato dalla sparizione delle funzioni strutturali dell’armonia tonale. In conclusione egli afferma che “nella musica
non c’è forma senza logica e non c’è logica senza unità”. Per lui però l’uso della serie di dodici note doveva costituire non una “rottura”
con il linguaggio musicale del passato, ma essere un tentativo nuovo per integrare le sue conquiste del periodo espressionista
nell’eredità della grande tradizione.
In un primo tempo Schoenberg (anni Venti) applicò la nuova tecnica entro modelli formali settecenteschi brevi, semplici e simmetrici,
molto spesso di una sonorità delicatissima per tutta la durata della composizione. Una simile tendenza colmava nel

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“neoclassicismo” (parallelo in effetti al movimento del “serialismo”, dimostrato dalla facilità con cui dei compositori come Stravinsky
riuscirono a conciliare i due movimenti).
Il metodo dodecafonico consiste nell’uso costante ed esclusivo per ogni composizione di un’unica serie di dodici note differenti della
scala cromatica, in un ordine prescelto dal compositore; quest’ultimo cerca di avere la più ampia varietà di intervalli diversi all’interno
della serie. Quasi sempre vuole stabilire determinate corrispondenze entro la serie, oppure frazionarla in segmenti o microserie anche
capaci di uno sviluppo autonomo. La serie è ad un tempo un mezzo per ricavare linee melodiche attraverso l’elaborazione continua di
motivi (secondo il principio della variazione in divenire) e una coerente ossatura le cui funzioni strutturali possano surrogare a quelle
della tonalità.
La serie quindi non è una melodia o un motivo, ma un criterio ordinatore che investe di norma la tonalità della composizione. E infatti
non si riconosce a orecchio la serie, la sua identificazione è un’operazione puramente intellettuale.
La teoria dodecafonica prevede che una sola serie debba essere impiegata in una composizione e che nessuna delle note della
successione seriale debba ripetersi prima dell’esaurimento della successione stessa, a meno che non si tratti di una ripetizione
immediata. Questo divieto non viene sempre seguito, riguarda solo il ritorno di una nota che nel contesto possa causare una rottura
della serie. Ogni altezza ha quindi la stessa importanza di tutte le altre. La serie è presentata sia in successione (melodia) sia
simultaneamente (armonia), in qualsiasi ottava e con qualunque ritmo: ciò significa l’assoluta equivalenza dell’aspetto orizzontale e
verticale nella musica. Non si richiede tuttavia che l’ordine delle note sia sempre monotonamente identico in ogni frase o periodo
musicali. Si devono evitare i raddoppi di ottava e l’impiego di armonie iterate di accordi tonali (terze e seste parallele).
Nasce quindi la serie dodecafonica, il metodo per comporre 12 suoni, l’idea alla base è uguale a quella della pantonalità, del
comunismo dei suoni, che sono tutti uguali. Questo metodo consiste nell’usare i 12 suoni della scala cromatica per creare una serie, le
varie note vengono disposte secondo un ordine che decide il compositore, non ci sono regole per la loro disposizione (per es.
Schoenberg evita intervalli tonali, Berg li predilige invece, Webern basa la serie su calcoli matematici).
Quindi dalla serie fondamentale O derivano automaticamente tre serie (metodo usato anche dai fiamminghi):
1. L’inversione I (intervalli ascendenti della serie O diventano discendenti);
2. Il retrogrado R (dall’ultimo suono della O al primo);
3. L’inversione retrograda RI (serie retrograda invertita).
Nessuna nota deve essere ripetuta, a meno che non sia ribattuta, prima che tutte le altre della serie non siano state dette, sorta di gioco
di montaggio che toglie però le melodie.
Le altezze dei suoni non sono importanti, non la nota, solo l’intervallo.
Le quattro serie (O, I, R, RI) possono essere trasposte su un altro degli undici gradi restanti della scala cromatica, mantenendo sempre
le stesse relazioni intervallari; così otteniamo 48 possibilità serie. Inoltre si può scrivere anche per esempio O-8, O-5, ecc per dire che la
serie è stata trasposta all’ottava, alla quinta ecc. Il compositore può anche cambiare l’ordine stabilito da lui stesso grazie alle
“permutazioni”. Nell’inventare una serie molto spesso egli si lascia guidare dall’ispirazione e dall’istinto personale.
In alcuni casi era anche consentito cambiare l’ordine stabilito dalla serie grazie alle “permutazioni”. La serie può inoltre essere
presentata sotto forma di accordi.
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In seguito ci sarà anche il serialismo, il quale crea serie di ritmo, dinamiche, timbri, ecc ... sempre serie di 12, diventato un numero
magico.
Tra il 1920 e il 1923 nascono alcune raccolte dove Schoenberg presenta la dodecafonia:
• Fünf stücke op. 23 per pianoforte, il cui ultimo pezzo gode di solito della reputazione di essere il primo pezzo seriale, si tratta però di
un impiego elementare della tecnica seriale;
• Serenata per ensemble op. 24, di cui solo il quarto movimento può essere definito interamente dodecafonico: la parte vocale ripete le
stesse dodici note dodici volte, ma dal momento che i versi sono endecasillabi, ogni verso comincia con una nota diversa della serie;
in questo caso la serie è spunto che si potrebbe definire “premelodico”, fornisce cioè la materia per la melodia vocale.
• 🎼 Suite op. 25 per pianoforte, prima elaborazione interamente dodecafonica, vige la regola per cui non si possono ripetere note già
pronunciate a parte se ribattute; essa si rifà al barocco: Preludio, Gavotta, Musette, Intermezzo, Minuetto con Trio e Giga (non si
intuisce la danza). La scelta di una forma settecentesca denota la volontà di Schoenberg di un rinnovamento che affondi però le sue
radici nel passato. I cinque movimenti impiegano un’ unica serie fondamentale suddivisa in tre gruppi, la sua inversione e due
trasposizione di essa. Qui Schoenberg raggiunge il suo dichiarato scopo di unità della composizione e dimostra al contempo la
flessibilità e le svariate possibilità costruttive del nuovo metodo seriale.
• Anche nel Quintetto per strumenti op.26 a fiato (1923-1924) Schoenberg applica il metodo dodecafonico alle forme tradizionali
classiche: nel Quintetto il primo movimento è in forma sonata (scopare la risoluzione tonale, ma presente la struttura tematica e o
tessuti musicali contrastanti), il secondo è uno Scherzo (con trio centrale), il terzo è un Adagio in forma di Lied ABA e il quarto un
Rondò dove la ripetizione del tema è ripresentata in forma sempre variata, quindi usa forme classiche.
• nel Quartetto per archi n. 3 op.30 (1927), usa quattro tempi: il primo in forma sonata, il secondo Adagio, in forma di tema e tre
variazioni, il terzo è in forma di Minuetto con Trio, il quarto è un Rondò.
• Nel 1928 applica questo metodo all’orchestra con le Variationen op. 31, riallacciandosi di nuovo alla forma classica con il tema con
variazioni; ritornando a un organico piuttosto ampio, si richiede una densità polifonica sconosciuta nelle composizioni da camera.
Peculiarità di quest’opera è che ogni agglomerato sonoro si presenta privo di raddoppi di ottava. Da ciò deriva una fisionomia
timbrica assolutamente particolare: i raddoppi avvengono solo all’unisono.
Con l’avvento del nazismo nel 1933 Schoenberg, da ebreo, scappa in Francia dove si riconverte all’ebraismo (dopo essere stato
luterano) e da lì va negli Stati Uniti (1933), dove starà fino alla morte.
In questo periodo scrive Elementi di composizione musicale, un testo per studenti e insegnanti desiderosi di approfondire lo studio delle
forme musicali. Si intensifica anche la sua attività stilistica che approda nel 1950 con la pubblicazione di Style and Idea, ampia raccolta
dei suoi saggi.
A questo periodo inoltre appartiene la Suite im alten Stile (Suite in stile antico) in sol maggiore (1934), la sua prima opera espressamente
tonale dopo molti anni. Infatti negli ultimi anni della sua vita Schoenberg si ammorbidisce con la tonalità, insegna infatti l’armonia
classica in America e sostiene che ognuno debba trovare il proprio stile.
Negli anni ‘60 molti iniziano a scrivere con serie dodecafoniche perché va di moda (Adorno poi criticherà tutto ciò) e venivano
disprezzati i tonali; questo modo di scrivere per fare carriera diventa conformismo, diventa appartenente al potere e alla politica, l’arte
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viene finanziata dallo stato, un’arte di regime; scrivere in questa maniera ti garantiva di entrare nei circoli che contavano. I compositori
che scrivevano musica diversa da questa erano considerati dei “fascisti”, fino agli anni ’80.
Composizioni di questi anni:
• Ode to Napoleon op. 41, su testo di Byron, per voce recitante, quartetto d’archi e pianoforte, chiara accusa a Hitler;
• 🎼 A Survivor from Warsaw op. 46 (1947), per voce recitante, coro maschile e orchestra (che fa da tessuto), parla di un uomo
scampato al gigantesco massacro del ghetto di Varsavia. La voce solista si esprime con lo Sprechgesang. Brano teatrale
dodecafonico pieno di drammaticità. I tedeschi parlano in tedesco, viene usato anche l’ebraico, la voce narrante è in inglese. Libretto
di Schoenberg. Non brano completamente atonale, è dodecafonico seriale. Si chiude con un urlo.
• Moses und Aron (dal 1926), di cui ha scritto il libretto, opera incompiuta, di tema ebraico, biblico antico testamento, parla della
nascita di un paese solo per gli ebrei, il loro sogno. Schoenberg vuole tradurre un’idea biblica per cui c’è il fratello di Mose che parla
in maniera semplice traducendo il fratello che balbetta avendo visto Dio (rappresenta l’artista progressista del ‘900?). Tratta in
particolare del dissidio tra Mosè e Aronne: il primo si esprime in Sprechgesang ed è il portavoce del pensiero di Dio, non visibile e non
raffigurabile, mentre Aronne canta e crede nella necessità di trasformare il verbo divino in elementi visibili. La necessità estetica di dire
qualcosa è diversa dalla capacità di dirla e farla capire; Schoenberg fa in modo che i due protagonisti siano una persona sola. Il
compositore sostiene che ogni rapporto umano è incomprensione poiché tradisci la verità del tuo pensiero e la persona che ascolta
riceve quello che vuole capire. Finisce al III atto. Brano costruito interamente su un’unica serie, sulla quale vengono ricavati i diversi
temi dell’opera, quindi dodecafonico.
Boulez, direttore d’orchestra, saggista e compositore francese, scrive un articolo di avanguardia sulla rivista The Score contro
Schoenberg Schoenberg è morto (1952) e Stravinsky è vivo, dove sostiene che Schoenberg non abbia cambiato niente, che sia ancora
un musicista romantico (dal momento in cui c’è dell’emozione all’interno dei suoi brani), toccante nell’aspetto introspettivo.
Sempre nell’articolo, Boulez sostiene che il compositore non si sia mai scervellato per trovare dei limiti nella sua dodecafonia, è un
male, lo ritiene arcaico, un’idea morta, poiché usa forme antiche e classiche con un linguaggio nuovo. Quindi per Boulez è un
paradosso, le due cose si annullano.
Sostiene che manchino l’intensità di suono e di ritmo, che i fraseggi siano ancora di stampo tardo romantico, per Boulez dopo aver
creato una serie la musica si deve evolvere da sola. Quello che fa Schoenberg per lui è sbagliato poiché dice che non può essere messa
dell’espressività in una serie matematica. Quindi sostiene una teoria per cui all’uomo venga tolto il potere dell’arte e lasciare che questa
si crei da sola (pensiero interessante perché rende la musica perfetta e assoluta, dall’altro lato però è qualcosa che nasce dal post
guerra e dalla dittatura). In seguito a questo pensiero di Boulez nascerà la musica elettronica, creata dal computer, l’uomo è troppo
legato a un interesse personale, quindi deve essere privato dell’arte, essa è pura, va al di là dell’uomo, quindi si crea da sola.
In seguito il metodo seriale fu esteso a tutte le componenti del discorso musicale, quali ritmo, timbro e dinamica.

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LA SECONDA SCUOLA DI VIENNA

Tra il 1903 e il 1904 Schoenberg, che si trova intanto a Vienna, scrive un annuncio su un giornale viennese in cui si propone come
insegnante di composizione ; i due allievi più importanti che vanno da lui sono Berg e Webern, altri invece come Stein e Wellesz.
Quindi con Berg e Webern, Schoenberg decide di fondare una vera e propria scuola (ispirandosi a quella così definita di Haydn, Mozart
e Beethoven, ma istituendola concretamente); si fanno lezione a vicenda e prendono spunto dai loro stessi lavori.
Berg e Webern sapevano già comporre quando sono andati a studiare da Schoenberg, però sono andati comunque da lui perché si
erano resi conto che stava facendo qualcosa di importante e rivoluzionario: appena arrivano compongono musica pantonaria e poi
insieme al maestro entrano nell’ambito di quella dodecafonica.
Seguono quindi uno stesso percorso con caratteri diversi nella musica dodecafonica:
• Berg rimane più tonale, post mahleriano, con contrappunto molto elaborato;
• Webern ragiona in maniera invece più scientifica, riduce ai minimi termini l’espressività, toglie l’essenza alla musica, quasi arrivando al
silenzio (come Michelangelo che voleva far uscire la figura dal marmo), dopo aver citato tutte e 12 le note della serie, non sa più cosa
aggiungere.
• Schoenberg più semplice e libero, rimane molto connesso alla tradizione.
Nei primi lavori di Berg e Webern si palesano le ascendenze romantiche della loro formazione (Brahms, Wagner e Mahler); notevole
anche l’influsso alla musica di Schubert. Inoltre essi adottarono le profonde innovazioni e le idee suggerite della musica del loro
maestro, sviluppandole nel modo più personale. Ma l’influenza divenne presto reciproca.
Le composizioni di Berg e Webern scritte tra il 1908 e il 1913 sembrano proporsi come fine estetico di trasmettere quell’inquietudine
estrema, quell’ansia esasperata, spirituale ed emozionale, che sono i tratti più caratteristici dell’espressionismo musicale.
L’interesse dei due compositori sembra rivolgersi verso la ricerca della massima concentrazione espressiva in pezzi di breve, a volte
brevissima, durata. Questa tendenza ad una contrazione aforistica è più visibile in Webern.
Berg e Webern cominciarono a realizzare le prime composizioni dodecafoniche negli anni Venti (W. 1924, B. 1926). I due inoltre erano di
indole riservata e introversa, scrissero pochi articoli di critica musicale. La loro musica non ottenne tanto successo, salvo il Wozzeck di
Berg; la sua musica tra l’altro venne pure proibita, definita “musica degenerata” , in Germania e in Russia.
La carriera dei due si svolse prevalentemente a Vienna.

ALBAN BERG (1885, Vienna - 1935, Vienna)

Allievo di Schoenberg (1904-1910) con cui ha un importante rapporto di stima e confronto. A causa della sua salute cagionevole, Berg
non poté svolgere un’opera intensa di esecutore e di interprete; i soldi di famiglia inoltre gli permisero di dedicarsi esclusivamente alla
composizione. Da una concezione di tonalità allargata (riscontrabile nel suo primo lavoro, la Sonata op. 1 per pianoforte, 1908), Berg si

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incammina verso l’atonalità (Altenberg Lieder op. 4 per voce e orchestra, 1913) e la musica di tipo aforistico (Vier Stücke per clarinetto e
pianoforte op. 5, 1913 e i quattro Lieder op. 2, 1909-1910 per canto e pianoforte, caratterizzati da un’atmosfera tenebrosa).
Il primo dei quattro Lieder “Dormire, dormire, null’altro che dormire” su testo di Hebbel, definisce in sole trenta battute, un clima oscuro,
di lirica introspezione. I successivi tre Lieder, su testo di Mombert, si riferiscono al mondo dell’inconscio, sono brevissimi. L’ultimo
“Tiepida è l’aria” è il più importante, caratterizzato da una linea vocale, priva di ogni simmetria. Berg infrange in questo Lied per la prima
volta i limiti della tonalità, in un clima espressionista, mentre nei primi tre Lieder egli si attiene di più alla tonalità segnata in armatura.

🎼 Wozzeck: composizione e opera più importante di Berg, di filone operistico literateroper (quindi con testo letterario pre esistente),
composta tra il 1917 e il 1921, ispirata al dramma Woyzeck (1836) di Büchner, riscuote molto successo in Europa e in America, viene
però proibita durante il nazismo, considerata “musica degenerata”. Berg rielabora il testo (rimanendo principalmente attaccato al testo),
che diventa espressionista.
Prima rappresentazione nel 1925 all’Opera di Stato di Berlino, successo immediato.
Il dramma di Büchner, per la crudezza del linguaggio e la forte componente ideologica, è un dramma espressionista ante litteram.
Il tema dell’opera è lo sfruttamento delle classi subalterne da parte di altolocati (prima della rivoluzione del 1848): Wozzeck è un povero
soldato che viene sfruttato per certi esperimenti che gli vengono sottoposti addosso. Quindi il protagonista viene trascinato in uno stato
di progressiva alienazione mentale che lo conduce a uccidere per gelosia la sua compagna Maria (in parte prostituta e lo tradisce),
soprano tonale; finale tragico con lui che muore annegato nel fiume e suo figlio che gioca sul cavallo a dondolo. Tema del soldato
sfruttato ardente poiché era appena finita la prima guerra mondiale. Opera che sfrutta il tema dei vinti.
Il nucleo tematico del dramma di Buchner è la condanna di una società che non ha saputo riscattare i personaggi dalla loro miseria
morale e materiale, li ha sfruttati e quasi costretti fatalmente a compiere atti delittuosi. Il misero soldato protagonista, si trova chiuso tra
un mondo feroce e ingiusto e la sua personale disintegrazione psichica. Questa tematica risponde pienamente agli ideali etici ed estetici
dell’espressionismo.
La musica di Berg possiede uno straordinario potere di commozione.
Struttura: costituito da tre atti di cinque scene ciascuno, denominati Esposizione, Peripezia e Catastrofe. La musica è continua per tutta
la durata di ciascun atto, e le diverse scene sono tra loro collegate per mezzo di interludi orchestrali. Per dare una ferrea logica
costruttiva, Berg si avvale di un procedimento leitmotivico diramassimo e sottile ma soprattutto di una organizzazione in forme chiuse
ripresa dai modelli della musica classica. Berg ha cercato di dare un’unità all’opera attraverso l’impiego di strutture tipiche della musica
strumentale; ogni scena ha una “gabbia formale”.
Per esempio il primo atto, di funzione espositiva è formato da scene, di cui ogni pezzo corrisponde ai rapporti del protagonista con gli
altri personaggi del dramma e con il suo ambiene:
1. Suite, persa nel tessuto musicale (il Capitano);
2. Rapsodia (Andres);
3. Marcia militare e Berceuse (Ninna nanna cantata da Maria, quindi rapporto con lei)

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4. Passacaglia (tema con 21 variazione su stesso giro armonico, tema dodecafonico), la usa per dare un’ossessività al carattere del
personaggio (Dottore)
5. Rondò (il Tamburmaggiore)
Il secondo atto invece è definibile una sinfonia a 5 tempi e racchiude la peripezia:
1. Forma sonata
2. Fantasia, fuga a tre soggetti
3. Largo
4. Scherzo
5. Introduzione e rondò marziale
Il terzo atto invece formato da 5 invenzioni, prendendo quindi un materiale di partenza per poi variarlo, esso vede la catastrofe finale e
l’epilogo concretati musicalmente da questa costruzione:
1. Tema con 7 variazioni e fuga a due soggetti;
2. Invenzione sulla nota “si” con ossessione (Wozzeck impazzisce);
3. Su ritmo di polka (quando si trovano al bar);
4. Invenzione su accordo morboso composto da sei note;
5. Basata su movimento uniforme di crome.
All’interno di queste costruzioni musicali Alban Berg inserisce tipo dei Leitmotive, atti a indicare un personaggio o una particolare
situazione. Lo stile musicale del compositore è estremamente composito: la scrittura è complessivamente atonale, attraversata da
passaggi tonali, musiche da osteria, canzoni popolari, danze e sezioni in stile dodecafonico; molteplici sono anche gli stili di canto, si
passa dal canto puro di Maria allo Sprechgesang di Wozzeck.
La grande orchestra partecipa attivamente allo svolgersi del dramma, ora con sonorità massicce, aggressive e violente, ora con inediti
effetti cameristici di estrema trasparenza e delicatezza (sonorità magiche e spettrali). La scrittura vocale presenta stili eterogenei che
vanno da una distesa vocalità nei momenti di malinconica tenerezza, al puro e semplice parlato, allo Sprechgesang, a linee melodiche
estremamente spezzate, fatte di scatti e sussulti, di improvvisi mutamenti espressivi, talvolta di salti amplissimi.
🎼 Atto 1, scena 1: Wozzeck fa la barba al capitano che lo umilia ma il primo non controbatte, sa che non migliorerebbe affatto le cose,
canto post-wagneriano, la struttura dell’atto intero non si ferma mai, canto quasi grottesco.
🎼 Scena 3: In questa scena in cui Maria canta, Wozzeck ha allucinazioni, vede figure rosse, al momento dell’omicidio di Maria, la luna
diventa rossa (analogie con il Pierrot Lunaire). Cita spesso la Bibbia, come scienza popolare. Il dottore vede che Wozzeck ha
un’ossessione, felice lo paga di più.
🎼 Atto 3, scena 2 Wozzeck parla dell’infedeltà di Maria, conduce la fidanza nel bosco vicino e la uccide, qui vede la luna rossa: la
musica non si ferma fino alla fine dell’atto, tenore grottesco, Sprechgesang, musica espressionista, molto materialismo, dei bisogni
vitali, pensiero Feuerbach.

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🎼 Atto 3, scena 3, nel bar c’è pianoforte scordato: musica di scena, quindi con strumenti che a volte sono in scena, musica reale.
Sempre in questa scena la prostituta Margot si rende conto che Wozzeck ha le mani piene di sangue, egli dice di essersi tagliato, poco
dopo però viene scoperto l’omicidio e viene immediatamente incolpato.
🎼 Scena 4, come ha vissuto senza coscienza, Wozzeck muore senza accorgersene: va in acqua per cercare il coltello con cui ha
ucciso Maria e annega senza rendersene conto. In questo momento vede l’acqua in forma di sangue, tutto rosso. In seguito passano di
lì il capitano e il dottore e vedono qualcuno affogare, lo sentono morire, fino al silenzio della morte.
🎼 Scena 5, casa di Maria, la musica torna espressionista (tipo Mahler), bambino ormai orfano, gioca, gli annunciano la morte dei
genitori, ma lui continua a giocare, indifferente, come il padre, il bambino schiacciato dalla vita, non agisce.

Alban Berg introduce l’ “Hauptstimme”, ovvero la voce principale, essa viene messa maggiormente in risalto, è una melodia che ha
sotto altre melodie, ma questa è più importante (queste sono notazioni per l’orchestra).

Dal 1928 al 1935, Berg compone Lulu, il cui libretto risulta una fusione di due drammi di Franck Wedekind: Lo spirito della terra e Il vaso
di Pandora. L’opera doveva essere in tre atti, ma il terzo rimane incompiuto. Il secondo, costituito da solo due scene, è inframmezzato
da una proiezione cinematografica.
Se nel Wozzeck Berg denuncia lo sfruttamento del proletariato, in Lulu viene messa in discussione la falsa morale borghese che tende a
reprimere gli impulsi naturali sessuali, favorendo in questa maniera la mercificazione del sesso; Lulu rappresenta l’incarnazione del
degrado della morale, vittima di uno spietato ingranaggio sociale. Quindi tema drammatico, amaro ed espressionista.
Le varie scene in Lulu sono collegate da interludi strumentali, e la struttura è in gran parte basata su forme strumentali classiche,
nonché su stilemi di musica da circo e di danze moderne. Inoltre l’opera è costruita su un’unica serie dodecafonica che determina i temi
di Lulu; i temi degli altri personaggi sono a loro volta derivati dalla serie dedicata alla protagonista.

Nelle composizioni i della maturità Berg seguì il “metodo dodecafonico” di Schoenberg, mitigando spesso le crude dissonanze con
elementi armonico tonali tradizionali, anche di sapore diatonico. Nelle serie dodecafoniche scelte, infatti, sono spesso sottintese quelle
venature tonali che costituiscono una delle costanti di tutta la sua musica. È questa una tendenza che si manifestò poi in molti lavori
dell’ultima fase compositiva di Schoenberg (Ode to Napoleon per es. 1942).

Oltre al Kammerkonzert (1925) per pianoforte, violino e tredici fiati e alla Lyrische Suite (1926) per quartetto d’archi, Berg nel 1935
compone il Violinkonzert. In queste opere il compositore impiega la tecnica dodecafonica in maniera assai originale, ricorrendo spesso a
intervalli che richiamavano la tonalità.
Il concerto è diviso in due parti, a loro volta articolate in due tempi ciascuna: I, (“Andante” e “Allegretto”) e II (“Allegro” e “Adagio).
Nell’Andante che si mantiene in un colore orchestrale di estrema delicatezza, la serie fondamentale è tratteggiata nelle 10 battute
introduttive; viene subito presentata poi nel registro grave dei contrabbassi e negli accordi sincopati delle viole e dei fagotti. Di lì a poco
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il solista intona il rovescio della serie in successione discendente. La forma dell’Allegretto è quella di uno Scherzo, con movenze di
danza, costruito su schema A-B (quasi Trio I) - C (quasi Trio II) - B’ - A’. Il riferimento alla danza è palesemente segnato in partitura con
le indicazioni “scherzando” o “alla maniera viennese” e “rustico”. Il successivo Allegro è caratterizzato dalla serrata contrapposizione di
solo e tutti: il solista impegnato in grandi virtuosismi, mentre nell’orchestra appare più volte un ritmo di base, di inesorabile rigidezza.
L’Adagio finale è un movimento colmo di intensa espressività, basato su un corale luterano, dopo citato. Questa melodia del corale è
citata all’inizio dell’Adagio e poi sottoposta a due variazioni, scritte in uno stile arcaicamente rigoroso. L’intero tempo si articola in
cinque sezioni: A - A’ - A’’ - A’’’ - Coda. Si noti la coincidenza delle prime note del corale con le ultime quattro della serie, probabilmente
significato simbolico (passaggio dalla vita alla morte). Il concerto infatti è dedicato “Alla memoria di un angelo”, essendo concepito
come un ideale di requiem per la scomparsa della figlia di Alma Mahler.
È pervaso da un forte simbolismo strutturale: costruito su una serie costituita da otto terze ascendenti e tre toni interi. Le prime nove
note danno origine a quattro triadi, le cui note fondamentali corrispondono alle corde vuote del violino. Le ultime quattro note della serie
formano un tritono, quindi quattro gradi di una scala per toni interi, e costituiscono l’inizio della melodia di un celebre corale luterano (Es
ist genung) nella armonizzazione di Bach. Il finale ci porta di nuovo in una dimensione simbolica, il violino suona il sol sovracuto, suono
con cui aveva cominciato il concerto quattro ottave sotto.

ANTON WEBERN (1883, Vienna - 1945, Salisburgo)

Studia con Schoenberg dal 1904 al 1908, dopodiché, fino al 1920, si dedicò a vari incarichi di maestro sostituto e di direttore
d'orchestra a Vienna, a Teplitz, a Danzica, a Stettino e a Praga. Nel 1927 venne nominato direttore stabile dell’orchestra di Radio
Vienna. Dal 1922 al 1934 diresse inoltre le associazioni sinfoniche e corali degli operai viennesi. A seguito dello scioglimento di queste
istituzioni e alla messa al bando del partito da parte del governo austriaco, Webern visse in un isolamento che diventò quasi totale dopo
l’annessione dell’Austria alla Germania attuata da Hitler nel 1938. Diede qualche lezione privata e lavorò come trascrittore.
Molto importante per l’evoluzione del linguaggio di Webern fu il corso di studio in musicologia (1902-1906) tenuto da Guido Adler, che
frequentò all’università di Vienna, conseguendo il dottorato in filosofia nel 1906 con una tesi sulla seconda parte del Choralis
constantinus del compositore fiammingo Heinrich Isaac (1450-1517). Questo ha comportato per Webern l’apprendimento dei più
complessi procedimenti contrappuntistici. Nella prefazione all’edizione infatti Webern si diffonde ampiamente sulla maestria del
compositore fiammingo nella realizzazione delle più intricate tecniche canoniche, che assumeranno poi un ruolo basilare nella propria
musica, soprattutto nelle opere dodecafoniche.
Le sue prime composizioni si contraddistinguono per la massima concentrazione espressiva all’interno di uno stile aforistico.
A questa prima fase espressionista appartengono i brani di breve durata, come:

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• I Fünf Sätze (Cinque movimenti) op. 5 (1909) per quartetto d'archi, brani caratterizzati da forti contrasti dinamici e da effetti timbrici
particolari; brevissimi.
• I Sex Stücke (Sei pezzi) op. 6 del 1909, per grande orchestra mahleriana, facendo uso di una ricchissima percussione, formata da
strumenti a suoni indeterminato, largo impiego di ottoni in uso anche solistico. La violenza sonora di questi pezzi è un’ eccezione nella
musica di Webern, poiché lui preferisce usare un organico da camera e dinamiche che si muovono dal mf al ppp.
• I Fünf Stücke (Cinque pezzi) op. 10 per piccola orchestra in cui i singoli strumenti suonano in zone sonore diverse brevissimi incisi,
differenziandosi per dinamica e timbro e dando vita a una sorta di “puntillismo”musicale. La concentrazione espressiva culmina nel
quarto pezzo costituito da sole sei battute.
• 🎼 Le Six Bagatelles op. 9 (1911-1913), per quartetto, di durata di 3 minuti e mezzo, brano con cui l’astrattismo di Webern messo in
relazione con la pittura di Klee raggiunge la sua massima espressione; componendo le sei bagattelle, il compositore afferma che una
volta esaurita l’esposizione dei dodici suoni, anche il pezzo dovesse considerarsi finito. Egli era comunque ancora lontano
dall’individuazione della tecnica dodecafonica, ma iniziava a intuire le potenzialità della serie. In generale è un pezzo semplice che si
rifa alla tradizione di Beethoven, per es. il fatto di scrivere per quartetto, formazione raffinata, intima, ermetica (tradizione austro-
tedesca). Quindi Webern rimane legato alla tradizione nonostante la sua innovazione: ha riscritto a modo suo per esempio il Choralis
Costantini di Isaac Heinrich (tema con cui si è laureto insieme ad Adler).
Dal punto di vista del linguaggio invece si vuole staccare dal passato, vuole scrivere l’essenziale, ridurre tutto ai minimi termini.
Stilisticamente quindi le bagatelle sono un brano radicale: pieno di pause, note che arrivano all’improvviso e così anche se ne vanno,
non c’è un’idea di melodia, non c’è una stessa linea, timbri e suoni differenti che arrivano di colpo (Klangfarbenmelodie). Schoenberg
definisce le sei bagatelle delle “romanze di un sospiro”. Presente un cromatismo melodico non wagneriano. Inizio del grafismo,
bellezza anche visuale della musica.
Dal 1914 al 1927 Webern compone soltanto Lieder per voce e più strumenti. È a partire dall’op. 17, Drei Volkstexte (Tre canti popolari)
del 1924, che egli inizia ad applicare la tecnica dodecafonica in composizioni come:
• Il Trio per archi op. 20 (1927);
• Il Quartetto per clarinetto, sassofono, tenore, violino e pianoforte op. 22 (1930);
• 🎼 Il Konzert per nove strumenti (flauto, oboe, clarinetto, corno, tromba, trombone, violino, viola, pianoforte) op. 24 (1934), dedicato ai
60 anni di Schoenberg: tutto nasce da un intervallo, note prese a 3 a 3, rapporto speculare; la serie usata viene divisa in 2 gruppi da 6,
collegati da un rapporto speculare, al loro interno c’è un altro rapporto ancora. Concerto viene dalla voce “Concertare” quindi
combattere, contrapporsi, strumenti che si mettono contro, oppure l’opposto, mettere insieme voci diverse. Riprende quindi il
concetto bracco, ma strutturalmente usa il concerto italiano.
• Le Variationen per pianoforte op. 27 (1936);
• Le due Cantate op. 29 e op. 31 per voci, coro e orchestra;
• Le Variationen per orchestra op. 30.

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A differenza di Berg, Webern evita riferimenti alla tonalità all’interno della serie e si concentra soprattutto sulla musica senza supporto di
un testo letterario. La ricerca dell’essenzialità e della massima concentrazione espressiva lo spinge in più occasioni a sviluppare un
intero brano da una micro cellula, dalla quale scaturiva la serie attraverso l’impiego degli artefici del contrappunto franco-fiammingo.
Webern recupera inoltre in certe sue composizioni anche delle grandi forme della tradizione, calate però in un contesto dodecafonico: la
Symphonie, ad esempio, è costituita da due movimenti di cui il primo è un doppio canone per moto contrario mentre il secondo è un
tema con variazioni. Infatti non compone lavori teatrali né usa la tecnica della Sprechstimme. Per ottenere una massima concentrazione
espressiva in brani di brevissima durata, abbandona radicalmente tutto ciò che vi può essere di ornamentale, ripetitivo e ridondante
nella musica. La tendenza è di sviluppare tutto un pezzo da una sola idea principale, specialmente attraverso il contrappunto imitativo,
spesso canonico. La forte coerenza formale che ne deriva rivela una certa parentela della musica di Webern con le opere dei maestri
franco-fiamminghi del XV secolo, dove il motivo di ogni singola voce veniva sottoposto ai più svariati e complessi procedimenti
contrappuntistici, in particolare quelli di tipo canonico.
La ricerca dell’essenzialità si manifesta in Webern nell’impiego di melodie composte di segmenti brevissimi (max cinque note); anche
ogni singolo intervallo arriva così a caricarsi a volte di una incommensurabile tensione espressiva e ad acquistare una autonoma
funzionalità tematica. Ciò porta a una scrittura atomizzata: le singole note sono distribuite nello spazio e differenziate trimbricamente,
nella dinamica, nei modi d’attacco. Il suono, ricco di gradazioni dinamiche, supera raramente il mf, arrivando spesso ai limiti del silenzio.
Egli tuttavia non mira a spezzare la continuità del discorso musicale, ma al contrario a porre in luce la connessione dei motivi di cui è
composto un brano. La generale, rigorosa economia costruttiva è ottenuta attraverso le variazione e la permutazione continua di un
singolo motivo “germinale”, che di solito trae origine dalla serie stessa.
Webern quasi sempre costruisce una serie che gli fornisca le simmetrie assolute di cui ha bisogno per conseguire, in un brano, la
massima concentrazione motivica. Egli predilige spezzare la serie in due - tre segmenti di sei - quattro note ciascuno, alternandoli
liberamente in modo che essi sembrano costruire l’unità di base del brano in luogo della serie. Spesso usa una serie nella quale il
secondo esacordo è l’esatto riflesso del primo. Questo succede nella Symphonie op. 21 (1928) per nove strumenti - il suo primo lavoro
dodecafonico per orchestra - è basata su un’unica serie costruita in modo che le note 7 - 12 siano il retrogrado, trasposto di un tritono,
delle note 1 - 6. Si danno pertanto soltanto 24 forme della serie invece delle 48 usualmente disponibili. Il pezzo è ripartito in due
movimenti, uno lento e uno mosso. Il primo, molto complesso, è composto come un canone doppio per moto contrario, quindi a
quattro voci, ad eccezione della Coda che è concepita come un canone semplice (a due voci) per moto contrario.
Webern spezza ogni linea polifonica e la fa eseguire da più strumenti successivamente. È un metodo di scrittura che ricorda la “melodia
dei timbri” di Schoenberg. Il secondo movimento è un “Tema con Variazioni” ed è costruito sulla versione della serie di base per moto
contrario, trasposta di una terza maggiore. Tutto è costruito su un gioco a specchio. Lo stesso principio di simmetria ordinatissima si
irradia dal Tema alle variazioni: la variazione 4 costituisce il punto centrale del movimento, dopodiché tutto il resto procede a ritroso
rispetto all’asse centrale.
Successivamente nel Konzert op. 24 e nelle Variationen op. 30, si accentua la propensione di Webern verso quell’oggettivismo
costruttivista che costituisce il tratto saliente della sua arte. Fin dai primi schizzi Webern costruì la serie base del Concerto op. 24 in
modo tale che i suoi elementi potessero essere letti secondo diverse visuali. Essa è composta da quattro “micro-serie”, ognuna delle
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quali contiene al suo interno gli intervalli di una seconda minore e di una terza maggiore soltanto. Tra queste serie applica le tecniche
fiamminghe. Ciascun gruppo di tre note può essere letto in quattro modi diversi: lo paragona infatti a un antico motto latino scritto
all’interno di un quadrato, peculiarità per cui si può leggere la stessa cosa da quattro punti di vista diversi.
Tutto il concerto è generato dalla micro serie di tre note, che compare nel corso dei tre movimenti nelle più diverse combinazioni
melodiche, ritmiche e timbriche. Questo procedimento si ritrova con l’esigenza weberniana di dare il massimo di unità alla
composizione.
La serie delle Variazioni op. 30 per orchestra è ancora più ricca di micro strutturerei concerto: essa è costituita di tre gruppi simmetrici di
quatto note per cui all’interno valgono le regole fiamminghe. Anche queste serie sono tutte imposte di seconde minori e terze minori.
L’intera composizione è un tema con variazioni e insieme una ouverture (il tema da cui derivano le variazioni).
L’idea di far discendere l’intera composizione da un nucleo motivino “germinale” trova indubbiamente in quest’opera la manifestazione
più esemplare. La concentrazione di Webern sul motivo è così intensa che si potrebbe dire che i suoi motivi non sono derivati in realtà
dalla serie: la generano. Questa tendenza a dare un ordine estremamente rigoroso del linguaggio dodecafonico, dimostra quanto l’arte
di Webern sia vicina al movimento neoclassico.
In queste ultime opere si viene determinando la tendenza verso l’oggettivismo costruttivista che affascinerà le avanguardie del secondo
dopoguerra. Webern viene considerato, a differenza si Schoenberg e Berg, l’unico che avesse tagliato i ponti con la tradizione.
C’è una grande questione su come interpretare la musica di Webern, lui sosteneva che non andasse interpretata la carta, ma che si
dovesse trovare un’espressività tra le linee; usa un linguaggio nuovo, ogni nota è diversa dall’altra, importante è la ricerca dei timbri,
quindi una musica molto dettagliata e gestuale, teatrale. È il compositore del silenzio, minimalista e ripetitivo, molte pause e voci che
cadono nel vuoto, molta alternanza tra gli interventi. Usa anche delle serie diverse sovrapposte (pensiero che precedere il
pluriserialismo degli anni ’60), per ogni strumento una serie diversa (per esempio), mantenendo comunque le regole della dodecafonia
all’interno di ogni serie, non tra di loro.
Teoria della sovrapposizione minima, quindi visionismo e puntinismo, i punti tutti insieme creano qualcosa, agogica mobile, dà
importanza alla partitura visiva.

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IGOR STRAVINSKY (1882, Lomonosov - 1971, New York)

Vita di pellegrinaggio nel mondo, Stravinsky scappa dalla Russia con la rivoluzione d’ottobre, poi anche dall’Europa (abita a Parigi per
molto e anche a Ginevra), lo stesso a causa della guerra, e andrà negli Stati Uniti, fino alla morte. In Europa ottiene molto successo e
compie numerose tournées come interprete delle proprie opere.
Egli u un artista sempre attento a tutto ciò che accadeva di nuovo nel mondo della cultura, spinto sempre da un bisogno costante di
incorporare materiali musicali preesistenti.
Stravinsky studia con Rimsky-Korsakov (1903-1908), quindi grande orchestrazione, suoni vellutati e sensuali, gusto russo, melodie
tradizionali popolari (insieme a Prokofiev), viene notato da Djagilev con una delle sue prime composizioni, Feux d’artifice (Fuochi
d’artificio, 1908). L’impresario suggerisce al compositore di scrivere alcune musiche per balletto da far rappresentare a Parigi. Una delle
prime coreografie proposte è Les Sylphides di Chopin, orchestrato da Stravinsky.
Nascono così: L’oiseau de feu (L’uccello di Fuoco, 1910), Petruška (1911) e Le sacre du printemps (La sagra della Primavera, 1913).
Djagilev aveva fondato nel 1909 a Parigi la compagnia dei Balletti Russi che avrà vita fino al 1929; essa si differenzia dal balletto
tradizionali per il connubio singolari di coreografia (quasi dimensionali poiché riprendono le arti antiche), scenografia e musica (spiccano
pittori come Picasso, Matisse… e compositori come Stravinsky, Ravel e Debussy). Inoltre egli voleva presentare balletti su elementi
perlopiù esotici o orientaleggianti, stimolando così creazioni originali in campo artistico nei balletti (in tutti i suoi aspetti). Si avvalse
infatti di artisti importantissimi.
Il periodo dei balletti sopra citati è detto Periodo Russo, sia per i richiami musicali al folklore della terra d’origine sia per la
collaborazione con i Balletti Russi (quindi orchestrazione ricca e brillante, propulsione ritmica degli ostinati e dei disegni ritmici
asimmetrici, le strutture melodiche e armoniche riconducibili a scale modali e alla scala “octatonica” (tono-semitono), e infine trae
elementi tematici dal folklore russo, poesie e melodie):
• L’uccello di fuoco, rappresenta uno dei primi successi del compositore; esso si mantiene sulla linea dei balletti russi dell’Ottocento,
ma comunque si distingue per il colorismo orchestrale, basato sullo stile del suo maestro e per il dinamismo ritmico. Il soggetto
attinge alle fiabe slave. Trama: il principe Ivan con l’aiuto del magico uccello di fuoco
vince il malvagio mago Kašej e conquista l’amore di una delle principesse da lui tenute prigioniere. Dal punto di vista musicale l’autore
differenziò la sfera dell’umano da quella del magico, contrapponendo la scrittura diatonica e cromatica.
• 🎼 Petruška, rappresentata per la prima volta nel 1911; ha come protagonista la marionetta della tradizione popolare russa Petruška.
Trama: a San Pietroburgo, durante la festa del Carnevale (idea di metateatro, rappresentazione di una fiera/teatrino nel teatro stesso,
in un balletto), un Ciarlatano presenta al pubblico tre marionette: Petruška, il Moro e la ballerina. Il primo si innamora della ballerina,
ma quest’ultima preferisce il Moro che alla fine, nella confusione del carnevale, uccide Petruška con la scimitarra. Il Ciarlatano allora
rassicura il pubblico che si tratta solo di una zuffa tra marionette quando, al di sopra del teatrino, compare minaccioso il fantasma di
Petruška. È da notare che il protagonista del balletto poco assomiglia alla marionetta russa, un ribaldo manesco e insolente, mentre si
avvicina più alla figura del Pierrot (andava di moda in quegli anni).

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Il balletto, suddiviso in quattro quadri, prevede un grande organico, molte percussioni; si aggiunge anche un pianoforte, usato
principalmente in maniera percussiva, emergono così tantissimi timbri diversi, colori accessi affiancati da una grande vitalità ritmica
(realizzata dall’iterazione di semplici cellule melodiche ogni volta rappresentate con continui spostamenti di accento). Quindi grande
ricerca di timbri violenti, squillanti, che spiccano; dei critici hanno parlato di partitura fauve per le assonanze con le opere dei
contemporanei artisti fauve (il fauvismo è un movimento artistico durato pochissimi anni, 1905-1908, che si concentra sulla
rappresentazione dell’io, delle proprie emozioni, usando forme semplificate e il colore invece in maniera suggestiva, ne fa parte
Matisse). La tonalità inoltre è abbandonata nel balletto di Stravinsky e al suo posto subentrano scale modali “difettive”, dalle quali
sono dedotti semplici motivi che vengono ripetuti, oppure sovrapposti ad altri motivi dando vita ad episodi dissonanti. Il compositore
inoltre nelle varie scene del balletto imita melodie o strumenti tipici, deformandoli a suo modo. In altre parole, la musica delle scene
della fiera è di carattere diatonico, fortemente impregnata di elementi desunti da motivi popolari russi, mentre la musica dei burattini si
sviluppa su aggregazioni accordali dissonanti. L’esempio più famoso è il “tema di Petruška”, costituto da due accordi sovrapposti,
distanti una quarta eccedente l’uno dall’altro. Molte idee melodiche sono semplici e diatoniche: con questo linguaggio Stravinsky
intendeva citare, o ricostruire, i procedimenti tipici del folklore russo. I temi, in genere, sono sviluppati ripetendo e disponendo in
nuovo ordine le note, alterano i valori di durata, così da evitare la sia pur minima ripetizione letterale. Stravinsky tende a variare in
continuazione un dato ordine di accenti ritmici, talvolta a sovrapporre simultaneamente metri diversi della partitura. L’orchestrazione
di Petruška è molto brillante e ricca dei più svariati effetti coloristici.
• 🎼 Sagra della Primavera, quadri della Russia pagana, rappresentato per la prima volta nel 1913 al Theatre des Champs-Elysees
suscitando un grande scandalo e diventando l’emblema della musica moderna. Per questo balletto Stravinsky impiega un’orchestra
ben nutrita, grandissimo organico. Il soggetto non segue un vero e proprio percorso narrativo e si ispira ai riti dell’antica Russia
pagana, con la celebrazione dell’avvento della primavera (Adorazione della terra) e il sacrificio di una adolescente che danza fino alla
morte (Il Sacrificio). Lo stimolo che condusse Stravinsky alla creazione della Sagra derivò da una fugace visione che il compositore
ebbe a San Pietroburgo nella primavera del 1910. Non c’è una vera e propria trama, il culmine del balletto è la scelta della ragazza
vergine e bella che viene sacrificata, dove brevi pause diventano concentrati di energia e si frappongono tra le strappate nel ff
dell’orchestra. Il piano scenico del balletto in due parti è costituito di vari “quadri” staccati, senza una trama narrativa, riproducenti
una serie di cerimonie pagane dell’antica Russia, che avvengono con il rinnovarsi della natura in primavera. Grandissimo scandalo:
partitura che sconvolgeva i parametri condivisi di bellezza ed esternava una violenza inaudita, evocava istinti selvaggi e una forza
primordiale, in evidenza l’idea di mostrare una Russia barbarica, primitiva, sanguigna, precristiana; salta subito all’ascolto l’ossessiva
ripetizione di ritmi a cui vengono mutati continuamente gli accenti e la stratificazione di fasce sonore che si differenziano per il ritmo
oppure per l’impiego di scale. Nonostante ciò, Stravinsky non abbandona le funzioni tonali: temi generalmente diatonici o derivano da
scale difettive (scala con meno di 7 note), esaltata inoltre la funzione percussiva degli archi, mentre nei fiati preminente è il suono
asciutto, privi di lirica espressività. Inoltre, gran parte dell’armonia della Sagra deriva da un’aggregazione di note formata dalla
sovrapposizione di due accordi con la fondamentale a un semitono distanza, ciò crea grande tensione armonica (infatti Stravinksy
userò un accordo fondato così nel balletto per 212 volte). Tipica è la ripetizione di una melodia entro un contesto dapprima tonale, poi
improvvisamente bitonale; comunque temi molto semplici e brevi come in Petruška, nella Sagra però non c’è più alcuno spazio per
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l’ironia; l’unica melodia che troviamo è quella in apertura al balletto, suonata dal fagotto, melodia lituana. Il colore cambia ma si sente
che è lo stesso autore di Petruška, mette in evidenza gli strumenti, li sottolinea, come i dipinti di Matisse. L’organico è comunque
enorme, la struttura di piccoli frammenti che tornano e si sovrappongono. Usa inoltre molti suoni acuti (fagotto), utilizza gli archi come
fossero percussioni, si distacca dal romantico. Caratteristica è la successione di misure ritmiche di continuo diverse, che dà alla
musica una vertiginosa vitalità, fino a raggiungere l’apice del più orgiastico parossismo della “Danza sacrificale”. In alcuni episodi il
fenomeno stilistico più importante è la comparsa di un “tema ritmico”, dotato di esistenza propria all’interno di una verticalizzazione
sonora statica e immobile. Quindi la Sagra è caratterizzata da una vertiginosa vitalità ritmica, violente sonorità e un’audacia armonica;
tutto ciò fece scandalo. L’opera inoltre venne definita da Cocteau “fauvista” come il movimento che c’era in quei tempi a Parigi.
La musica di Stravinsky è anche visiva, non c’è inoltre sviluppo, nega l’dea della musica romantica, è molto chiaro e netto; caratteristica
del distaccamento dal romanticismo accomuna molti dei compositori del ‘900, ognuno a modo suo nega l’idea dello sviluppo e della
forma. Per Stravinsky la musica è un oggetto e lui è l’artigiano che la modella (pensiero simile a Ravel), gli oggetti non possono avere
espressività, quindi lui non vuole arrivare al pubblico, idea antispiritualista. Il suo scopo è quello di mettere insieme materiali, questa è la
sua visione (ovviamente la musica trasmette qualcosa di suo, dal punto di vista estetico).
Egli dice “io considero la musica impotente ad esprimere alcunché, la musica non è espressione, è materiale”.
Come per Rossini che sosteneva che se vengono aggiunte delle parole alla musica, allora acquista espressività, è un oggetto fine a se
stesso, serve un contesto perché esprima qualcosa.
Stravinsky ha da affrontare delle volte il problema della coreografia, poiché non mette molte annotazioni nella partitura; egli non è un
tecnico, scrive molte cose contrastanti.
Boulez accusa Stravinsky di aver messo accordi sbagliati nella Sagra , quindi insieme correggono la partitura (?), probabilmente
Schoenberg non l’avrebbe mai fatto.
“La musica non è l’espressione del sentimento del compositore, è la maestra”, così nega il fatto che la musica debba esprimere
qualcosa; la musica esprime solo se stessa. Egli non nega che la musica possa suscitare qualcosa nel pubblico, solo che non gli
importa.
In Petruška appare l’idea di metamusica: musica che riprende temi e li rielabora a piacer suo (simile a Mahler), come per es. la musica
da giostra, l’organetto, la musica popolare. Non esiste musica “nuova”, essa è una rielaborazione costante di materiali preesistenti;
ragiona sulla musica di altri e la rende propria. In molti sostengono che la musica di Stravinsky non si debba ascoltare, se ne è succubi,
si subisce.
Adorno nel 1940 scrive “Filosofia della musica moderna”, divisa in due capitoli:
• Stravinsky: servo del potere, piace al pubblico, conservatore e fascista;
• Schoenberg: apre all’orrore, la sua musica ti mette davanti a te stesso, è per questo che non piace al pubblico, esso non vuole avere
certezze, e nemmeno la realtà. Schoenberg comunista, anche per la sua teoria della pantonalità per cui tutti i suoni sono uguali,
hanno lo stesso valore.
Politonalità: linee melodiche sovrapposte (come in Mahler), tratto caratteristico di Stravinsky, si trova sia nella Sagra che in Petruška.
Le singole linee sono tonali, ma sovrapposte diventano politonali, quindi di tonalità diverse.
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La tonalità è l’anima (un barattino non ha un’anima), non si sente molto la dissonanza, essa viene usata anche in maniera percussiva:
• In Sagra utilizza accordi politonali, solo che la dissonanza ogni non risulta perché suonati in maniera percussiva;
• in Petruška è un tratto molto importante la tonalità, rappresenta l’anima, con la politonalità si annulla l’anima. Molte linee melodiche
elaborate in maniera contrappuntistica, ogni battuta cambia metro.
Stravinsky possedeva antologie su temi popolari russi che poi ha rielaborato; anche i balletti rappresentano la fisicità, con piccoli
frammenti che si ripetono, utilizza scale modali.
I Balletti Russi sono l’evento più sfolgorante del ‘900 a Parigi, coinvolge tutti i più importanti artisti; dura fino alla morte di Djagilev (’29):
• Le Sylphide, libretto di A. Nourrit, coreografia di F. Taglioni e musica di J. Schneitzhöffer (1909);
• Petruška;
• Uccello di Fuoco;
• L’Apres midi d’un faune, Debussy, coreografia di Nižinskij (1912);
• Daphnis et Cloé, Ravel, coreografia di Fokine;
• Jeux, Debussy, coreografia di Nižinskij;
• Sagra della Primavera;
• La Leggenda di Giuseppe, R. Strauss (1914);
• Parade, Satie con Massine, scene di Picasso (1917);
• La Boutique Fantasque (Respighi rielabora musica di Rossini, 1919);
• Il Cappello a tre punte, de Falla (1919);
• Le Chant du Russignol, Stravinsky con scene di Matisse (1920);
• Pulcinella, Stravinsky con Massine e Picasso (1920);
• Renard, “volpe”, Stravinsky con Nižinskij e Gončarova (1922);
• Les Noches, Stravinsky con Nižinskij e Gončarova (1923);
• Le Train Bleu, Milaud, Nižinskij, Picasso, Chanel (1924);
• Apollo Musagete, Stravinsky, Balanchine, Chanel (1928).

Dal 1914 al 1920 Stravinsky si trasferisce sul lago di Ginevra e si dedica alla composizione del balletto Les Noces (Le nozze, 1923), di
Renard (1916) e di Histoire du Soldat (1918). In queste opere oltre al richiamo alla tradizione russa, si palese un modo nuovo di
intendere lo spettacolo che porta la critica a parlare di periodo cubista, la cui caratteristica principale è la scomposizione dell’oggetto
(Picasso e Braque); nel caso dello spettacolo musicale, lo spettatore non è più chiamato a immedesimarsi nell’opera ma a guardarla da
un altro punto di vista.
• Les Noces, in parte tratto da una raccolta di poesie popolari russe, quindi folklore salvo-orientale, consiste in conversazioni tipiche di
una festa di matrimonio. Il balletto, costituito da quattro quadri, prevede un insolito organico (quattro solisti, un coro, quattro pianoforti
e percussioni), si distingue per lo stile essenziale la dissociazione che si viene a creare tra testo e musica e soprattutto tra ruolo
scenico e intonazione vocale (a volte le parole dello sposo sono intonate da basso, altre volte dal tenore). All’interno dei quadri si
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susseguono senza interruzione una serie di citazioni e discorsi tipici che si scambiano sempre durante un matrimonio di contadini
russi. Il materiale è totalmente originale, salvo due o tre arie derivate da canzoni popolari russe. Tutti i temi sono assai semplici, brevi
ed incisivi. L’orchestra ha un ruolo subalterno rispetto alle voci. Dei pianoforti Stravinsky lavora al balletto tra il 1914 e il 1917 e
completa la partitura solo nel 1923.
• Renard, storia burlesca cantata e suonata, con cui Stravinsky giunge alla realizzazione di un teatro musicale assolutamente moderno:
arriva infatti alla totale dissociazione di poesia, musica, scena e azione: i cantanti solisti sono in orchestra non interpretano sempre lo
stesso personaggio, mentre gli attori mimano l’azione sulla scena. Il soggetto è attinto dalle fiabe popolari russe di Afanas’ev; a un
organico orchestrale piuttosto scarno, aggiunge il cymbalom, ritenuto adatto a evocare un antico strumento popolare russo, il gusli.
• Histoire du soldat, opera da camera articolata in 19 numeri musicali e comprendente narrazione, mimica e danza, nasce dalla
necessità di realizzare uno spettacolo facilmente trasportabile nei piccoli centri della Svizzera (durante i periodi difficili della guerra);
da qui la scelta di un organico essenziale, che si richiama a quello della jazz band. Il soggetto si ispira sempre alla raccolta di
Afanas’av e narra la storia di un soldato che vende l’anima al diavolo, in cambio di ricchezza e potere, e poi ne rimane vittima (simil
Faust). Dal punto di vista strutturale, il balletto è costituito da numeri chiusi in cui osserviamo la commistione di stili dal tango, al
valzer, al ragtime, al corale baciano. La voce recitante si alterna o si sovrappone alla musica. Stravinsky rinuncia a servirsi in
quest’opera di melodie del folklore russo. La partitura mescola elementi e brani più svariati, talvolta trattati ironicamente, della
tradizione occidentale: una canzonetta popolare francese, un “paso-doble” spagnolo (Marcia reale), un ragtime, un tango argentino,
un valzer, due corali luterani. Come organico il balletto comprende solo sette esecutori che rappresentano le principali famiglie di
strumenti nei registri estremi (clarinetto e fagotto, violino e contrabbasso, cornetta a pistoni e trombone, più una batteria di
percussione). Di ciascuno di questi strumenti vengono sfruttate le spiccate differenze di altezza, timbro e colore per raggiungere effetti
fuori dal comune. Gli strumenti inoltre sono messi a contrasto, non amalgamati tra loro. Il materiale melodico è basato sui modi
maggiori e minori, senza però che si possa sempre determinare chiaramente la tonalità di ogni movimento o frase, perché ci sono
parecchi passaggi politonali. Anche se predominano le figure di accompagnamento ostinato, il lavoro è talmente ricco di strutture
metriche irregolari da smentire spesso la funzione della sbarretta di battuta. Spesso inoltre Stravinsky elabora dei veri e propri
“contrappunti metrici”.

Negli anni dell’esilio in Svizzera Stravinsky, come altri compositori del suo tempo a Parigi, comincia a usare forme tipiche della
tradizione musicale dell’Europa occidentale, cerca un ritorno alla classicità e una ri-orchestrazione di brani “antichi” per esigenze di
moderni allestimenti. Questo orientamento stilistico viene definito “neoclassicismo”. In Stravinsky questa nuova tendenza si sente
principalmente in Histoire du soldat.
Infatti in quegli anni, con la nascita della musicologia, vengono riscoperti tutti i Bach, i canti gregoriani, Vivaldi, Handel, Rameau,
Couperin e Palestrina. (Respighi compone la Boutique Fantasque, ispirato a Rossini).
Djagilev affida quindi in quegli anni a Stravinsky il compito di orchestrare brani di Pergolesi per quello che diviene il balletto Pulcinella
(Parigi, 1920). Il compositore assume il compito in maniera così originale che oggi si attribuisce al Pulcinella l’onore di aver aperto una
nuovissima fase neoclassica e modernista: un ritorno al passato per niente nostalgico e pieno di spunti rivolti al futuro.
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🎼 Pulcinella: Stravinsky lavora su spartiti che pensa siano di Pergolesi, le Biblioteche d’Europa però sono piene di brani
settecenteschi, quindi attinge, senza saperlo, a brani di diversi autori del periodo. Adesso è ben noto che dei 18 brani che compongono
il balletto, solo alcuni sono autentici: gli altri sono attribuiti a vari autori, più o meno sconosciuti (Gallo, Chelleri; Wilhelm van Wassenaer).
L’organico del balletto prevede anche parti vocali (i cantanti però sono collocati in orchestra, senza relazione con i ballerini in scena) e
comprende: fiati a 2 senza clarinetti, tromba e trombone, archi divisi alla maniera settecentesca in “concertino” (quintetto di archi soli) e
“concerto grosso” (ripieno). Ognuno dei 18 movimenti è concepito da diverse combinazioni di strumenti.
L’intervento di Stravinsky non si limita alla orchestrazione ma anche a una serie di rintocchi che lo portano ad essere accusato da critici
di sacrilegio; in risposta a ciò lui afferma di aver scartato il rispetto per questa musica (poiché paralizza), preferendo l’amore, elemento
motore.
Le scelte timbriche subito allontanano dal settecento: in ogni brano le combinazioni di strumenti sono mutevoli e sorprendenti, con
predilezione al suono dell’oboe. Stravinsky evidenzia oltre elementi tipici del settecento italiano, come il dialogo soli-tutti, le frequenti
progressioni, le ripetizioni in eco delle cadenze, ma d’altra parte cerca di evitare le simmetrie troppo scoperte.
Quindi ciò che contribuisce maggiormente all’effetto di stranimento sono i piccoli rintocchi alla partitura, piccolo contrappunto, accordi
dissonanti, posti come piccole macchie: dato che la melodia principale e il basso raramente sono modificati, il risultato non è una
completa deformazione, ma una trasformazione che riguarda più la prospettiva di chi lo guarda/ascolta che l’oggetto stesso - e qualche
critico ha azzardato paragoni con il Cubismo.
Vediamo inoltre uno sviluppo della Metamusica: se prima lavorava sulla musica altrui, prendendola come spunto e rendendola sua,
adesso la prende, la imita e fa solo piccoli rintocchi.
La versione di Pulcinella in suite da concerto, realizzata circa nel 1922, è concepita per la stessa piccola orchestra (senza parti vocali) e
consiste in 11 movimenti. Il linguaggio neoclassico di Stravinsky ingloba i modelli della tradizione musicale europea con originalità:
infatti effettua spesso scambi dialettici tra il passato e il presente.
Il balletto Pulcinella va in scena il 15/05/1920 all’Opera di Parigi con scene di Picasso e coreografia di Massine, successo strepitoso (a
parte per la critica, da cui riceve proteste). Quindi Stravinsky adesso va di moda a Parigi, partecipa a feste, incontra gente famosa
(relazione con Chanel) e continua la sua fase neoclassica con:
• Le Symphonies pour instruments à vent furono la prima composizione di Stravinsky ad essere definita “neoclassica” dalla stampa; in
un articolo infatti il compositore viene contrapposto al decadentismo romantico e wagneriano della musica di Schoenberg. Le
Symphonies (termine usato con il suo significato originario, quindi del “suonare insieme”) sono costruite su materiali musicali
contrastanti, intestati in velocità differenti, ma in stretta relazione; sono trattati con grande abilità contrappuntistica.
• L’opera buffa Mavra (1922);
• l’Ottetto per fiati, definito da lui “oggetto musicale”;
• Il Concerto per pianoforte e fiati (1924), che inizia con un’ouverture neo-barocca alla francese;
• La Sonata per pianoforte (1924), esplicito omaggio a Bach;
In questi lavori Stravinsky semplifica in genere le strutture metriche, pur mantenendo la tendenza a scansioni ritmiche ripetitive;
considerati dai critici del tempo, lavori di contrappunto lineare vicini allo spirito di Bach. Quest’ultimo infatti negli anni Venti veniva
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sentito come un punto di riferimento per un antipsicologico “oggettivismo” costruttivo, segnato da sonorità chiare e asciutte
dell’organico, come nell’Ottetto, dove gli ottoni sono privati di ogni brillante squillo.
Nel Programma di sala sulloOttetto , Stravinsky dichiara che nel movimento finale di questa composizione (e nell’ultimo della Sonata per
pianoforte) egli aveva avuto come punto di riferimento ideale “la stringatezza e la trasparenza” delle Invenzioni a due voci (BWV
772-786) di Bach. Stravinksy non li cita, ma a Bach e a Scarlatti si richiama il primo tempo del Concerto per pianoforte, caratterizzato
da un dinamismo incessante e da certi spigolosi andamenti toccatitici.
Un caso di riferimento diretto alla musica di Bach si ha all’inizio del Concerto in mi bemolle (Dumbarton Oaks) per orchestra da camera
(1938). In Themes and conclusions (Temi e conclusioni”, 1972) osservò che il primo tema del suo Concerto somigliasse a quello del
Terzo concerto Brandeburghese. Si tratta però di un Bach del tutto estraniato, come si avverte grazie al carattere stravinksiano della
scansione ritmica. Diversamente da Bach, Stravinsky presenta una situazione armonica statica, così da stravolgere completamente la
logica formale del discorso bachiano.
• 🎼 l’opera-oratorio Oedipus Rex (1927), in due atti per voci soliste, narratore, coro di voci maschili e orchestra, in latino arcaico (per
dare un’idea di lontananza nel tempo, arcaicità della vicenda e di sacralità all’antica tragedia dell’impotenza umana di fronte alle fatali
forze del destino); libretto di Cocteau e Stravinsky, poi tradotto da Danielou, con i cantanti trasportati in scena da pedane mobili; in
questa composizione il pubblico non deve identificarsi, non deve parteggiare per qualche personaggio, è necessario guardare l’opera
con meccanismo teatrale. L’uomo non è libero nelle azioni, il fato comanda tutto, più l’uomo combatte, più il fato lo mette in difficoltà.
Trama di Sofocle, trasformata un po’ più in un giallo: Edipo deve scoprire chi è stato a commettere tutti i guai. Struttura a blocchi,
forme chiuse (arie, duetti, cori), non c’è uno sviluppo regolare, narratore asettico, che sintetizza tutti i blocchi prima che accadano.
Tessuto musicale molto ricco di riferimenti e stilemi del passato; certi passaggi ricordano il primo stile di Stravinsky con melodie di
gamma ristretta basate su variazioni e permutazioni metriche. Molto curato il ritmo (anche molta attenzione agli accenti della prosodia
latina), orchestra grande, mancanza di contabilità, coro di polifonia omoritmia (rimanda al Boris o a argomenti comunque antico,
sacro), colori contrastanti, puri ma a blocchi. A volte riprende anche elementi dal canto gregoriano, ma non cita niente, riprende e
basta. La presenza della monodia sacra, invece rimanda all’orientale, al sinagoghismo (per esempio il Gloria a fine del I atto risente
l’influenza del canto della Chiesa Ortodossa russa). I cantanti sembra che narrino il vangelo. Mentre canta il coro, suona una una
tromba una melodia contrastante (poi stessa cosa fanno altri strumenti), quindi da un lato c’è il coro che rimanda all’antico, dall’altro
c’è questo tema suonato dalla tromba che riporta al moderno. Inoltre dal punto di vista armonico, il compositore rimane sul
tradizionale, tutto caratterizzato dalla presenza della tonalità minore, che prevale su tutta l’opera.
🎼 Aria di Giocasta vagamente riprende la solita forma, l’aria d’opera ‘800esca italiana. Epoca del primitivismo in arte.
• Il balletto Apollon Musagète (1928), balletto in due scene per orchestra d’archi, che recupera quello bianco tradizionale.
• Persefone, mélodrame in tre scene per tenore, narratore, coro misto, coro infantile e piccola orchestra.
La Symphonie de psaumes (Sinfonia dei Salmi, 1930), per coro di voci miste e orchestra, afferma una nuova tendenza si Stravinsky
verso la musica religiosa, che egli coltiverà principalmente nel secondo dopoguerra. In quest’opera il linguaggio musicale di Stravinsky,
raggiunge un alto grado di austera severità, mai raggiunto in precedenza, senza dubbio dovuto alla tematica religiosa del lavoro. Per il
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testo dei tre movimenti egli scelse dalla Vulgata della Bibbia il Salmo 38, il Salmo 39 e tutto il salmo 150. Per rinforzare il carattere
austero della Symphonie, Stravinsky adotta una tavolozza di timbri “puri” e una sonorità orchestrale “asciutta”. Mette in evidenza i
caratteri timbrici dei singoli strumenti con frequenti interpunzioni di brevi accordi. Nel secondo movimento usa una scrittura
contrappuntista, in forma di “doppia fuga”.
L’interesse e l’esplorazione del passato continua a lungo: durante la guerra Stravinsky emigra negli Stati Uniti (1939) e li concepisce, per
la Biennale di Venezia del 1951, la sua ultima grande opera neoclassica, il lavoro teatrale The Rake’s Progress, concepito per
un’orchestra mozartiana, con recitativi e arie settecentesche (c’è anche un assolo di tromba che rimanda al Don Pasquale di Donizzetti).
Compone inoltre:
• Ebony concert jazz;
• Dumbarton Oaks, tipo concerto brandeburghese;
• 🎼 Circus Polka, anni ’40, parla di una polka ballata da elefanti per un circo, quindi revisione di J. Strauss con citazione di Schubert
(perché viennese); così Stravinsky diventa un prodotto commerciale.
• Concerto per violino in re (1931);
• Sonata per violino e pianoforte in cinque movimenti che chiamò Duo concertant, dal carattere bucolico dell’antichità: già all’inizio
esprime uno spirito pastorale nell’eclogue, col violino che imita la zampogna; nell’esultante Gigue e Dithyrambe finale Stravinsky si
esprime con una scrittura contrappuntistica.
• The rake’s progress, maggior contributo del compositore al teatro lirico, primo lavoro nella storia ad essere ispirato a un’opera
pittorica, una serie narrativa di acqueforti (1735) di William Hogarth (1697-1764). Il libretto di H. Auden e Chester Kellman fu modellato
su fonti del XVIII secolo (giovane che si fa distruggere dalle tentazioni) e dal punto di vista musicale fa ricorso alle forme del
Settecento.
Stravinsky tenne inoltre sei lezioni-conferenze all’università di Harvard (USA) negli anni 1939-1940 nel quadro delle famose “Harvard
Lectures”, che per la musica porteranno al campus stimati conferenzieri, tra gli altri Hindemith, Copland, Bernstein, Berio.
In dei testi riguardanti queste lezioni il compositore sottolinea il fatto che la musica sia impotente a esprimere qualsiasi cosa; egli vuole
affermare il lato artigianale dell’attività artistica e nello stesso tempo mettere l’accento sui valori costruttivi più che espressivi.
Perciò l’atto della composizione è il risultato da parte dell’artista di un rigoroso processo razionale, non emotivo.

L’itinerario creativo di Stravinsky è stato spesso accostato a quello di Picasso per la presenza di nette fasi diverse. Tra gli anni
1952-1962 Stravinsky è infatti capace di un altro cambiamento: comincia ad adottare la tecnica dodecafonica, dalla quale si è sempre
tenuto lontano. Inizia ad avvicinarsene dal momento in cui essa perde la sua carica rivoluzionaria e diviene una pura tecnica
compositiva (prende come modello Webern), oppure la adotta quando ormai anche essa faceva parte della satira della musica (quindi
un altro “ritorno a”). Inoltre la scrittura seriale offriva il mezzo compositivo più idoneo alla realizzazione di strutture architettoniche
altamente simmetriche, dotate di una coerenza interna. Osserva infatti nei dettagli i principi costruttivi di proporzione, equilibrio,
chiarezza delle strutture melodiche. Stravinsky si avvicina al metodo dodecafonico gradualmente, dapprima in modo frammentario:

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viene applicata in alcune parti soltanto della composizione ed è caratterizzata da forti implicazioni tonali. Stravinsky stesso ammette
che gli intervalli della sua serie sono attratti dalla tonalità: egli compone verticalmente, quindi in qualche modo tonalmente.
In questa fase ci sono composizioni tipicamente scritte su testi sacri come
• I “Canoni Funebri” In Memoriam Dylan Thomas (1954), in cui Stravinsky sceglie una serie di sole cinque note racchiuse nell’ambito di
una terza maggiore.
• Il Canticum sacrum ad honorem Sancti Marci nominis (1955 per Venezia), pezzo seriale, riprende la struttura della cattedrale di S.
Marco che fa parte anche della serie di grandi opere di ispirazione religiosa già iniziata in epoche anteriori (dalla Sinfonia dei Salmi,
1930) e continuata poi negli anni ’50-’60. Qui per la prima volta usa una serie di dodici note, ma solo nei primi tre movimenti.
Strutturalmente è una cantata per voci soliste, coro e orchestra, dedicata appunto alla città do Venezia. I cinque movimenti che la
compongono sono ciclici, nel senso che l’ultimo movimento è quasi una precisa versione, in moto retrogrado, del primo. Questi due
movimenti i inoltre sono scritti in un linguaggio che ha forti implicazioni tonali. Stravinsky conosce poi le qualità particolari
dell’acustica della Basilica di San Marco e usa espedienti sonori ispirati all’antica tradizione poligonale veneziana.
• 🎼 Threni (da trenodia, canto mortuario), “lamenti del profeta Geremia”, brano interamente dodecafonico, tutto basato su un tema di
dodici note (dodecafonia molto arcaica), metrica della sagra, molto libero, accenti spostati, non si capisce dove si trovi il battere,
polifonia molto studiata, lucido. Molto sviluppata inoltre è la trama contrappuntistica, vi sono molte somiglianze con le tecniche
adoperate da Webern.
• In Movements (1958-1959) per pianoforte e orchestra, il procedimento seriale raggiunge una concentrazione maggiore; tutti i cinque
movimenti, separati da quattro brevi interludi strumentali sono basati su una serie di dodici suoni. Molte sono le implicazioni tonali che
emergono dalla serie, specialmente attraverso l’uso di note o di accordi ripetuti o sostenuti. In un suo scritto Stravinsky sostiene che il
linguaggio ritmico del brano è il più avanzato che egli avesse fino ad allora usato. Egli osserva anche le sue combinazioni poliritmie.
Anche qui possiamo vedere il comune di interesse, come di Webern, per la musica dei maestri franco-fiamminghi del XV secolo.

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MUSICA IN GERMANIA TRA LE DUE GUERRE

Nel periodo tra le due guerre i centri di maggior vivacità culturale sono molti, accanto a spettacoli ormai consolidati come l’operetta o il
circo, infatti, appaiono e scompaiono moltissimi centri artistici alternativi quali i cabaret.
In una situazione sociale e politica a tratti molto tesa, la vita artistica presenta spinte verso la novità e la sperimentazione destinate a
scontrarsi con le censure del nazionalsocialismo. Gli anni venti, però, sono un periodo di effervescenza creativa: una caratteristica
specifica era l’idea di accorpare modelli e stili proveniente dal mondo del varietà (musica da ballo e di “jazz”).
Questo accade nel medesimo periodo anche a Parigi, ma in ambito tedesco accanto ai fenomeni di puro divertimento si fa strada l’idea
di un intrattenimento impegnato, volto anche alla satira di costume e di politica.
Appaiono in questo periodo molti gruppi e associazioni (formali e non): per esempio la Società Internazione di Musica Contemporanea
SIMC (1922) e il Festival di Musica da Camera di Doneaueschingen (1921), o il Festival di Salisburgo (1920), più conservatrice.
Vengono fondate nuove riviste musicali. La ripresa della vita concertistica dopo la guerra, è un motivo di orgoglio, viene infatti eseguito
“il grande repertorio” della Cultura tedesca (anche il melodramma italiano comunque continua ad avere successo).
Berlino città simbolo di tutti i fermenti culturali e delle aperture cosmopolite dell’epoca. Verso il 1927 sono inoltre attivi quattro direttori
d’orchestra: Furtwängler, Kleiber, Walter, Klemperer.

FERRUCCIO BUSONI (Empoli 1866 - Berlino 1924)

Il peso storico di Busoni si esercitò attraverso il pensiero critico ed estetico piuttosto che con le sue composizioni. I suoi principi estetici
trovarono poi eco presso gli altri musicisti che operarono su fronti apparentemente opposti, quali quello della dodecafonia, del

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cosiddetto “neoclassicismo” e fianco della musica elettronica. La mentalità di Busoni, le sue basi culturali, le sue idee sull’arte in genere
e sulla musica in particolare, furono irrimediabilmente germaniche, profondamente radicate nell’estetica musicale romantica.
Artista multiforme (eccelso pianista, compositore, direttore d’orchestra e anche insegnante, organizzatore, saggista), che come su di sé
il contrasto tra due identità culturali, italiana e tedesca, e tra due epoche: può essere considerato infatti erede del Romanticismo e
dell’Idealismo tedesco ma anche modernista, troppo in anticipo rispetto ai tempi italiani, quindi si stabilisce in Germania, anche se i suoi
orizzonti sono decisamente internazionali.
Nato a Empoli da padre triestino e madre di origine tedesca, Busoni passò l’infanzia a Trieste, che era parte viva della Mitteleuropa;
studiò, visse e operò tutta la vita all’estero, principalmente a Berlino, in quel tempo uno dei centri più importanti della musica europea.
Diversamente da Casella, che da Parigi torna in Italia, Busoni non riesce mai a stabilirsi in patria. L’unica occasione in cui torna è nel
1913, anno in cui dirige il Liceo musicale di Bologna, dopo pochi mesi però cede, quindi nel 1914, allo scoppio della guerra va in esilio
volontario a Zurigo. Torna poi a Berlino nel 1920.
Con i compositori dell’Ottanta ha in comune l’impegno in favore della musica contemporanea e il rinnovamento di quella italiana; fu
amico di Malipiero e Caslla fu suo ammiratore. Busoni era un formidabile pianista, un trascrittore geniale e uno straordinario didatta.
Importante fu la sua opera da lui svolta sul pianoforte: in qualità di interprete, revisore, trascrittore e compositore.
Le sue interpretazioni di Bach furono molto importanti. Una sua pubblicazione importante furono i sette volumi della Bach-Busoni
gesammelte Ausgabe (“Edizioni complete Bach-Busoni”, Lipsia, 1916-1920), comprendente sue composizioni originali su temi di Bach,
sue trascrizioni per pianoforte di opere di Bach (tra cui le due raccolte del “Clavicembalo ben temperato”. La cosiddetta Busoni-
Ausgabe (“Edizione Busoni”, Lipsia, 1894-1921) raccoglie in 25 volumi unicamente opere di Bach per la tastiera, rivedute per il
pianoforte moderno in parte da Busoni, in parte dai suoi collaboratori Bruno Mugellini e Egon Petri.
L’apporto di Busoni consistette nel provvedere quelle musiche di stravaganti indicazioni di tempo, segni d’espressione e diteggiature.
Nel trascrivere Bach sul pianoforte fu aiutato dagli esempi lasciati in questo campo da coloro che lo avevano preceduto, in particolare
Liszt. Come puntualizzo nel saggio Wert Der Bearbeitung (“Valore della trascrizione”), per Busoni tutto in musica è trascrizione, in
quanto ogni notazione è già trascrizione di un’idea astratta. La musica del passato va attinta nella sua sostanza attraverso una ri-
creazione continua, poiché “una musica buona, grande, universale, resta la stessa qualunque sia il mezzo attraverso cui si faccia
sentire”. Nelle sue trascrizioni egli non intende però annullare l’originale, ma ricomporlo su nuove, autonome basi. Come interprete
Busoni opponeva alla fedeltà del testo scritto un’esecuzione libera da costrizioni letterali e variabile, di volta in volta.
L’estetica di Busoni trova la prima formulazione organica nell’opuscolo Entwurtfeiner neuen Aestethik der Tonkunst (“Abbozzo di una
nuova estetica della musica”), scritto nel 1906.
Lo scritto costituisce il primo tentativo di delineare una onnicomprensiva teoria della musica contemporanea. Vi si propone una
revisione radicale della musica a programma da un lato e di quella assoluta dall’altro: solo dal superamento dell’antinomia tra contenuto
e forma potrà nascere quella unità di carattere superiore, quell’ordine formale e chiaro che appartengono alla vera essenza della
musica. Nel tentativo di arricchire il patrimonio linguistico della tradizione, Busoni ritiene necessario spogliarsi delle convenzioni e delle
formule, per ritornare all’originalità della musica e alla sua libertà primigenia. Passa poi a proporre tutta una serie di affrancamenti
linguistici: il superamento del sistema tonale; la rottura delle simmetrie formali, sino alla prospettiva dell’atematico assoluto. Denuncia
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inoltre l’insufficienza dei mezzi d’espressione musicale come un vincolo alla fantasia e all’energia creativa. Formula anche la necessità
di ordinare gli intervalli “della serie delle sette note in modo differente” (=serie dodecafonica dell’ottava) e intravede la possibilità di
usare una quantità di nuove scale, diverse dalle due tradizionali (maggiore e minore), attraverso l’impiego di terzi e sesti di tono.
Per liberarsi dei limiti invalicabili degli strumenti musicali prospetta l’avvento del “suono astratto, della tecnica senza ostacoli, della
illimitatezza sonora”: è quanto si realizzerà circa mezzo secolo più tardi con l’attuarsi delle tecniche elettroniche.
Secondo Busoni la musica è un patrimonio storico in movimento, sinora sfruttato compiutamente in parte minima, con mezzi limitati e
primitivi.
Donde la sua idea di junge Klassizitat (nuova classicità) espressa in un altro saggio: essa non è intesa come qualcosa che si rifà al
passato, nell’accezione del “neoclassicismo”, ma come continuità assoluta con la storia, per giungere a una sintesi tra vecchio e nuovo,
passato e futuro. “Per nuova classicità intendo il dominio e lo sfruttamento di tutte le conquiste di esperienze precedenti: il racchiuderle
in forme solide e belle”.
Ne risulta un edificio onoro articolato in più piani, ma globalmente unitario, dinamicamente proporzionato, dove ogni elemento
compositivo si elevi all’altezza della “classicità”, nel senso di “perfezione compiuta”. La musica di Bach e dei romantici tedeschi (Liszt in
particolare) formò il punto di partenza.
L’influsso di Bach si fa sentire soprattutto nella musica di Busoni destinata al pianoforte: non solo nelle sue magistrali trascrizioni di
opere bachiane, ma anche nelle sue musiche originali. Spiccata appare la predilezione per la forma del Preludio e Fuga (gli consentiva
di dire la spontaneità dell’ispirazione melodica con il rigore della costruzione contrappuntistica).
L’accostamento di Bach e insieme alla tradizione ottocentesca è evidente nelle sei Sonatine per pianoforte composte tra il 1910 e il
1920. La Sonatina seconda (1910) costituisce un esempio di ciò che egli intendeva per “nuovo” e necessario ampliamento del
linguaggio e delle forme della tradizione. Non mancano elementi di virtuosismo e brillantezza della scrittura imparati da Liszt, né il tipo di
polifonia sviluppata al massimo con l’impiego di complessi procedimenti canonici.
Dal lato formale il brano è articolato in una successione ininterrotta di brevi episodi disgiunti solida pause e corone. I riferimenti tonali
appaiono sospesi o occultati (tendenza verso un’equiparazione dei dodici suoni costituenti l’ottava), per l’uso di fasce di aggregazioni
armoniche politonali e poligonali piene di tensioni irrisolte. Nessuna tonalità principale è riconoscibile all’inizio o alla fine e i segni di
alterazione valgono soltanto per le note cui si riferiscono. Busoni mira inoltre al superamento delle tradizionali strutture metriche,
all’elisione di ogni periodicità e quadratura ritmica. Di fatto vengono abolite le indicazioni di misura e di metro e, per lunghi tratti, anche
le suddivisioni di battuta.
La sonatina n. 3 (1915), in cinque movimenti brevi, si ispira a uno stile clavicembalistica semplice e chiaro, sull’esempio di Bach. La
scrittura è perlopiù a due voci, e mancano segni espressivi e indicazioni dinamiche.
Il modello della sesta sonatina - la Kammer-Fantasie Uber Bizets “Carmen” (“Fantasia da camera sulla Carmen di Bizet”, 1920), è invece
una Fantasia su temi d’opera di cui Liszt era stato maestro insuperato. Il brano è caratterizzato da una elaborata e brillante scrittura
pianistica, ricca di sfumature armoniche e di immagini sonore contrastanti.
L’opera pianista che rappresenta il vertice del rapporto di creativo di Busoni con Bach è la Fantasia contrappuntistica, nata in origine
come tentativo di completare la grande fuga finale a più soggetti (Contrapunctus XIX) dell’Arte della Fuga. Il lavoro fu pubblicato in
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quattro versioni, l’ultima delle quali per due pianoforti. Scopo di quest’opera è lo sfruttamento dell’idea tematica principale fino al suo
totale esaurimento, senza restrizioni di regole, né schemi prefissati. Le proporzioni monumentali della costruzione architettonica, la
maestra suprema della scrittura pianistica e del linguaggio contrappuntisti fanno della Fantasia contrappuntistica uno dei monumenti
più grandiosi nel suo genere e costituisce un esempio luminoso dello stile maturo di Busni.
Segna inoltre il coronamento del suo ambizioso progetto di creare un’opera compiuta e perfetta.
Buoni si occupa principalmente di teatro musicale, anche sul piano teorico: il teatro, secondo il compositore, deve occuparsi di temi al
di fuori della realtà e lo spettatore deve sapere di assistere a una “piacevole menzogna” e non sta vivendo emozioni autentiche - anche
se il pubblico medio dell’epoca aspirava proprio a questo: vivere nella finzione forti emozioni e conflitti, senza subire i pericoli connessi.
Con questa posizione antirealista, Busoni prende le distanze dai più celebranti filanti italiani dell’epoca, sia quello verista di Mascagni
che quello sentimentale di Puccini.
Al tempo stesso però vuole riportarsi a modelli italiani e ricreare una nuova commedia dell’arte, compone infatti: Arlecchino e Turandot,
che propongono “un’idea solare” e comica del mito dell’italianità.

Suite Turandot op. 41: per orchestra, ispirata alla fiaba teatrale di Carlo Gozzi (1762), usata anche da Puccini; la Suite serve anche come
musica di scena per un allestimento del regista Max Reinhardt. Quando poi nel 1917 Busoni deve preparare un’operino da associare
all’Arlecchino, riprende e amplia la musica della Suite in un lavoro teatrale in due atti che comprende anche parti cantate e recitate (alla
maniera dei “Singspiel” mozartiano). Il libretto in tedesco, mantiene, a differenza di Puccini, i toni fiabeschi e la presenza comica delle
maschere. La versione oggi più nota della Turandot è quella della Suite in otto numeri per grande orchestra.
Il tema orientaleggiante è collegabile ai molti esotismi di fine Ottocento e ci sono varie testimonianze sulla vaghezza dell’idea orientale
perseguita da Busoni. Dal punto di vista musicale, il compositore si compiace di cercare motivi orientali originali e li trae dalla storia
della musica di August Wilhelm Ambros (1862). Utilizza però melodie indifferentemente indiane, persiane o turche: l’unica veramente
cinese è quella che corrisponde al tema di Turantot.

Un concetto importante per Busoni è quello di trascrizione (“Transkription”). Per il compositore ogni composizione è una trascrizione,
dato che la musica esiste come idea (platonica) che si concretizza in una miriade di forme imperfette. Per questo è possibile e legittima
la rielaborazione (“Bearbetung”) di brani suoi e altrui in forme diverse. Doktor Faust, per esempio, ingloba e riutilizza ben 23
composizioni autonome precedenti. Numerose e famosissime sono le rielaborazioni di Bach, che lo definiscono “neo barocco” (la più
celebre è la Ciaccona per violino trascritta per pianoforte), c’è anche l’elaborazione del brano pianistico di Schoenberg op.11 n. 2.
Quindi compositore inetto, tonale, monumentale, arcaizzante, stile eclettico e gigantesco, solido e pomposo, compositore tedesco
(italiano solo per nascita), che non cerca immedesimazione nella storia, ma estraniazione.

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L’ITALIA: TRA NEOCLASSICISMO E MITI NAZIONALISTI

Durate l’Ottocento era scomparsa la produzione di musica strumentale italiana. Già all’inizio del secolo la musica italiana era messa in
ombra da Haydn, Mozart e Beethoven, in seguito la presenza di Wagner fu molto importante, in Italia però contò sul personaggio di
Verdi. Quindi in seguito molti compositori di musica strumentale italiani, come nel settecento, dovettero espatriare, poiché in Italia non
c’era lavoro. Cherubini e Paganini, figure predominanti sull’Ottocento strumentale italiano, operarono principalmente all’estero. Il
melodramma era pressoché l’unico prodotto commerciabile. I principali compositori italiani del romanticismo, erano poco incentivati a
scrivere musica strumentale, orchestrale e cameristica e infatti si concentrarono su quella operistica. La tipicità musicale nazionale si
era così espressa completamente nel teatro d’opera.
Nel secondo Ottocento, una certa attività di diffusione e di educazione alla musica strumentale fu praticata direttamente da
compositori, esecutori e interpreti, come Bazzini, Martucci… quasi tutti si rifecero a stili musicali assimilati dal sinonimo germanico.
Si può parlare di un autentico rinnovamento della musica strumentale italiana nei primi anni del Novecento, con la cosiddetta
“generazione dell’Ottanta”, compositori accomunati dal medesimo obiettivo di riattivare la grande tradizione della musica strumentale
italiana, tra questi: Respighi, Malipiero, Casella e Pizzetti. Tutti questi musicisti, salvo Pizzetti, svolsero un periodo di studio di
perfezionamento all’estero. La loro azione ha travalicato il campo della composizione e dell’esecuzione musicale per estendersi in molti
altri ambiti, come quello dell’organizzazione musicale della critica, della didattica. Erano accomunati dai seguenti orientamenti eretici e
culturali:
- Atteggiamento fortemente critico nei confronti del melodramma italiano ottocentesco, specialmente del verismo;
- Rivendicazione del primato e della grandezza dell’Italia nel campo della musica strumentale;
- Riacquisizione e rivalutazione del patrimonio musicale antico, preottocentesco;
- Promozione di iniziative editoriali volte alla pubblicazione di testi musicali antichi e inediti;
- Rifondazione di un repertorio strumentale, orchestrale e cameristico;
- Impegno ad assicurare alla musica un posto di dignità;
- Spinta alla creazione di una musica nazionale italiana, con materiali folkloristici o pseudo folkloristici;
- Assimilazioni delle innovazione sostanziali che nell’ultimo Ottocento e nel primo Novecento erano state acquisite dalle scuole
nazionali francese, tedesca e russa;
- Tendenza ad attuare scelte linguistiche esplicitamente arcaizzanti in composizioni originali.
Diversamente da altri contesti nazionali, in Italia non era esistita una vera e propria musica folkloristica, era stata anzi sostituita dalla
“musica leggera” (valzer, polke, mazurche), e dai popolarissimi repertori delle canzoni d’autore in vernacolo. La canzone napoletana
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appartiene a una sfera culturale superiore; in essa la tradizione popolare si mescola con elementi derivati dal melodramma e dalla
romanza da salotto ottocenteschi. I suoi musicisti furono artisti perfettamente padroni della tecnica della composizione, come Luigi
Denza (1846-1922), autore di circa 600 canzoni napoletane tra cui Funiculì Funiculà, e Enrico De Leva (1867-1955).
Un altro aspetto di questo periodo fu il rinnovato interesse per il canto gregoriano e la polifonia rinascimentale, questa tendenza
ricevette il sostegno ufficiale del Vaticano con il “motu proprio” (1903) sula musica sacra, emanato da Pio X. Tra i compositori impegnati
a restaurare la musica da chiesa figurarono Giovanni Tebaldini (maestro di Pizzetti, a cui insegnò il canto gregoriano e la polifonia
rinascimentale a fondo, di cui fece molto uso principalmente nella raccolta i Pastori, su testi di D’Annunzio, caratterizzate da castigati
gregorianismi sopra armonie dissonanti di evidente derivazione debussiana) e Lorenzo Perosi, autore di molti pezzi sacri.
La generazione degli Ottanta inoltre fu spalleggiata da un drappello di critici e musicologi con in testa Fausto Torrefranca e Giannotto
Bastianelli. Il primo stava recuperando il Seicento e il Settecento strumentale italiano; rivendicava soprattutto al Settecento di essere
stato in Italia, il secolo del Concerto, della Sonata e della Sinfonia; mentre all’estero si considera che la cultura musicale italiana
consistesse soprattutto nel teatro d’opera lirica. Le sue ricerche erano mosse da un forte spirito nazionalistico (odiava Puccini, da
antioperista convinto, Torrefranca definiva il compositore un “falso artista”, poiché secondo lui egli si inclinava alla voga dominante
invece di cercare il sinonimo puro).
Dal 1909 al 1915 collaborò con la rivista La Voce di Firenze (vi si proponeva l’aggiornamento della cultura italiana); Torrefranca inoltre
ebbe rapporti di amicizia con Casella e Pizzetti, con quest’ultimo fondò nel 1914 Dissonanza, una sorta di emanazione musicale della
Voce e prima pubblicazione periodica italiana di musiche inedite contemporanee. Torrefranca e Bastianelli applicarono alla musica le
teorie estetiche del filosofo Benedetto Croce, di base fortemente idealista: canone guida dell’estetica di Croce è il concetto dell’arte in
generale come primo momento intuitivo dello spirito.
A risvegliare un interesse nuovo in Italia per la musica antica furono alcuni studiosi che seguirono l’esempio della musicologia tedesca
d’ispirazione positivistica e raccolsero i loro scritti nella Rivista musicale italiana, fondata a Torino nel 1894.
Quindi, la Generazione degli Ottanta, come già detto, affondava le radici nel passato italiano e alcuni di questi compositori si
occuparono molto dell’editoria e della revisione di questi brani antichi: Malipiero curò l’edizione di Monteverdi in 17 volumi ed è stato
dal 1947 direttore della Fondazione Cini di Venezia dell’Istituto italiano per la pubblicazione e la diffusione dell’opera di Vivaldi”; l’intera
attività di Casella, Pizzetti, Respighi è punteggiata di trascrizioni, elaborazioni, liberi restauri, semplici revisioni di musiche degli antichi
maestri. Siffatto interesse per l’antico non mancò di provocare ripercussioni su vari aspetti della cultura italiana del primo Novecento;
segni evidenti nei lavori di D’Annunzio, il più legato, tra gli scrittori, al mondo della musica (amante di Wagner). Egli si fece promotore di
alcune iniziative editoriali, patrocinò la pubblicazione degli opera omnia monteverdiani e ideò e diresse, insieme a Malipiero, Pizzetti,
Balilla Pratella e Perinello, la collana di musiche “antiche” italiane “I classici della musica italiana”, costituita da 150 volumetti.
L’indirizzo comune è rivolto alla restaurazione oggettiva di stili e forme remote della civiltà strumentale italiana del Sei-Settecento, in
funzione nettamente anti-romantica e antisentimentale.
Nella rivista di musica contemporanea Ars Nova, da lui fondata, Casella elenca tre qualità della “nuova musica” italiana: grandiosità,
severità, robustezza, condite di concisione, sobrietà, semplicità di linee, una specie di classicismo, ma basato su una instancabile
ricerca di novità.
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I tratti stilistici che caratterizzano molte composizioni italiane di quest’epoca sono simili a quelli adottati da Ravel e Stravinsky: ostinati
ritmici deformati, aggregazioni armoniche politonali e per quarte, secchezza timbrica, totale chiarezza del tessuto contrappuntistico.
Quest’orientamento stilistico, cui si è soliti assegnare il nome di “neoclassicismo” registrò in Italia molti consensi.
Ne gruppo dei compositori dell’Ottanta, Casella e Malipiero erano quelli più rivolti verso l’avvenire, più all’avanguardia, Respighi e
Pizzetti invece, assimilarono più ampiamente certi tratti stilistici di derivazione tardo-romantica.
Dopo la prima guerra mondiale questi compositori andarono alla ricerca di nuovi spazi esecutivi: Accademia di Santa Cecilia a Roma;
nel 1916 Casella, per diffondere le musiche contemporanee, fondò la Società italiana di musica moderna. Nel 1923 venne chiamata
“Corporazione delle nuove musiche” e nel 1924 divenne la sezione italiana della SIMC (Società internazionale di musica
contemporanea).
Il legame con il regime fascista con il gruppo degli Ottanta non fu del tutto negativo ma nemmeno di grande collaborazione: Mussolini,
al contrario di Hitler e Stalin, non restò fermo a nessuna coerenza culturale; in Italia non furono messe a bando le espressioni artistiche
“degenerate” dell’avanguardia. Egli promosse una pittura, un’architettura e una scultura ufficiali di regime (risultati catastrofici). In
musica invece non riuscì a svolgere alcuna vera azione di sostegno alla sua visione populistica e di massa dell’arte.
Questa musica comunque non poteva trovare echi apprezzabili nel pubblico: negli anni Venti il ministro Giovanni Gentile collocò la
musica marginalmente nella riforma scolastica, inoltre venne escluso l’insegnamento delle materie musicali dal curriculum di studio
delle scuole primarie e secondarie. La musica venne relegata in appositi istituti. Così si creò il tutt’ora presente solco tra musica e
cultura. In questa maniera c’è una totale incapacità di comprendere da parte di coloro dotati di una cultura “umanistica-letteraria” il
senso formale ed espressivo di una composizione e la pressoché totale mancanza dei musicisti di conoscenze storiche e letterarie e
culturali.

Il rifiuto del passato prossimo e l’irrisione del gusto del pubblico borghese si presenta in Italia con il Manifesto del Futurismo, pubblicato
da Marinetti nel 1909; i corrispettivi musicali, stilati da Pratella, non riescono però a stimolare un movimento musicale vero e proprio.
Le idee musicalmente più dirompenti possono essere quelle della simultaneità, del superamento della distinzione tra suono e rumore o
quella dello spettacolo come “performance” totale o “happening”. L’idea del rumore viene raccolta dal pittore L. Russolo (L’Arte dei
rumori, 1913) che costruisce strumenti adatti a realizzarla (intonarumori): nel 1914 vengono presentati a Milano, causando violente
reazioni del pubblico.
Comunque qualche effetto a seguito di ciò c’è: una certa componente macchinistica e umoristica è avvertibile in alcune composizioni di
Malipiero o di Casella che scrive anche Deux contrastes op. 31 (1916-1918) per pianoforte dal titolo Grazioson (Hommage à Chopin) e
Antigrazioso, in linea con la poetica marinettiana. Un più fecondo rapporto tra musica e Futurismo lo troviamo invece nella scenografia
teatrale.
Quindi il futurismo auspica una rottura radicale con il presente e il passato, mentre altre spinte culturali portano i musicisti a rompere col
presente (melodramma pucciniano) a cercare nel passato pre-ottocentesco, sia i caratteri di un’autentica civiltà strumentale italiana, sia
la giustificazione per un’esaltazione delle proprie radici. I compositori futuristi saranno i precursori di Cage, tipo Russolo e Pratella, per i

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quali la musica fa schifo, vogliono organizzare serate di performance di intonarumori, vengono anche recitate poesie; esse devono finire
con la gente, il pubblico che si prende a pugni, l’obiettivo è far alterare il pubblico.
🎼 Intonarumoris Russolo.
Nasce il concetto di “Musica concreta”: rumore, silenzio e suono sono la stessa cosa, essa nasce non da strumenti ma da rumori/suoni
quotidiani. Il musicologo Nattiez (canadese) studia la simbologia musicale di questi anni, pubblica per Einaudi il libro Il discorso
musicale, diviso in volumi, in uno di questi, intitolato Musica e Rumore, spiega che non c’è una definizione di musica.
🎼 Cinq Etudes de bruit di Schaeffer (brano del dopo guerra), rappresenta al massimo la musica concreta, concetto anche di “musica
acusmatica”, ovvero musica di cui non vediamo la sorgente sonora, ci sono solo delle casse), idea che si rifà a Pitagora, il quale faceva
lezione dietro a una tenda, quindi si sentiva la voce ma non se ne vedeva la sorgente, metodo per far concentrare maggiormente i propri
allievi sulla sua voce e all’ascolto.
🎼 Pour un Homme seul, Pierre Henri.
Il nazionalismo tipico della cultura degli anni Dieci (fascismo), trova espressione nella neonata musicologia italiana: ad es. Fausto
Torrefranca (professore di storia a Firenze che riscopre anche musica fiamminga) scrive articoli in cui rivendica le origini italiane del
quartetto d’archi o della forma santa (in polemica con i tedeschi). Tutto questo porta i musicologi al ritrovare dei tesori musicali custoditi
nelle biblioteche italiane: nel 1894 nasce la “Rivista musicale italiana”, prima rivista musicologia specializzata italiana e nel 1908 nasce
l’Associazione dei Musicologi Italiani (AMI), presieduta da Guido Gasperini. Da adesso si inizia quindi a trascrivere e pubblicare un gran
numero di opere di Scarlatti, Pergolesi, Monteverdi e Vivaldi (1939).
Gabriele D’Annunzio presiede a varie iniziative editoriali e attivissimi anche come trascrittori ed esecutori sono Toni, Pratella, Pizzetti,
Malipiero (di cui sono molto importanti le revisioni di Monteverdi, Venezia) e Longo; lo scrittore scrive inoltre 600 volumetti sul meglio
della musica italiana, rivisitata dai compositori del suo tempo, I Classici della Musica.
Quindi si presenta una necessità di staccarsi dalla musica operistica italiana verista, dei bassi fondi, dell’argomento popolari, di passioni
viscerali (c’è rispetto solo per Puccini e Verdi), e si vuole guardare al passato italiano poco conosciuto, tornare al Settecento
(Modernismo parigino che viene ripreso in Italia, dal momento in cui ogni novità musicale si presentasse a Parigi, gli italiani la
guardavano). Vengono quindi riscoperti Vivaldi (da Casella a Torino e rivisitato anche da Malipiero), la tradizione barocca, questo grazie
anche al Conte Chigi che fonda a Siena l’Accademia Chigiana e fine anni ’30 e organizza settimane estiva su questo tipo di musica,
cosicché tutti potessero conoscerla ed ascoltarla.

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ALFREDO CASELLA (1883, Torino - 1947, Roma)

Studia a Parigi, al Conservatorio negli anni di Fauré e Ravel ed ha una formazione internazionale. A Parigi conobbe Debussy, Stravinsky,
Mahler e saggiò le tendenze più importanti del tempo, quasi la musica di Schoenberg e dei russi.
Sua moglie, ebrea, pratica magia bianca (era andata a studiare in una scuola nella svizzera francese danza o musica e invece finisce in
una scuola di magia nera, da quella passa alla bianca).
In seguito torna in Italia nel 1915, portando quindi la musica espressionista tedesca e anche Stravinsky, nel 1915 come docente di
pianoforte al Liceo musicale S. Cecilia a Roma e diviene subito un attivo pianista, direttore e organizzatore, saggista.
La sua influenza si esercitò fortemente sul rinnovamento della didattica e della prassi pianistica, legata a un rinnovamento della musica
italiana. Nel suo insegnamento egli si diede all’eliminazione di numerosi residui di tendenze prevalenti nell’ultimo Ottocento, quali certe
retoriche tecniche (diteggiature prestabilite) e interpretative (abuso di rubati), errori tradizionali di trascrizione. Si dedicò inoltre al
recupero di obliate musiche italiane per riproporle. Il luogo che trova per farlo è l’Accademia Chigiana di Siena con le “settimane
senesi”, fondata nel 1932.
Come compositore, Casella dapprima saggiò le principali correnti stilistiche del suo tempo. Per raggiungere uno stile strettamente
italiano si servì di svariate citazioni id melodie e ritmi popolareggainti, tra cui Funiculì Funiculà., nella rapsodi orchestrale Italia
(1909-1910). Nel programma introduttivo della partitura Casella dice di averci voluto mettere l’Italia meridionale: il tragico della Sicilia e
l’allegro di Napoli.
Pur avendo sperimentato una fase che lo porta anche alle soglie del “dubbio tonale”, dimostra sempre uno spiccato talento per la
mimesi stilistica, esercitata in brani pianistici scherzosi come à la manière de… (1911 e 1914) o nel più impegnativo ciclo dei Nove pezzi
op. 24 (1915) in cui le dediche costituiscono anche riferimenti stilistici. In questa raccolta il n.8 In modo di tango, anche se somiglia a
un cake-walk, utilizza la musica di intrattenimento.
A partire dal 1915 circa Casella si rivolse al recupero di moduli espressivi plasmati dalle forme strumentali del Settecento, per ricostruire
uno stile moderno e insieme tradizionale italiano, ma di carattere dimostrativamente internazionale. La tendenza è verso la chiarezza e
la linearità della melodia, i ritmi ben marcati eppure mobilissimi. È un linguaggio scarno e lineare, non senza movimenti di sensibile
ironia e un forte senso di malinconia. Questi tratti stilistici sono presenti con maggior evidenza negli Undici pezzi infantili op. 35 per
pianoforte (1920).
🎼 Pezzi infantili (1920), tutto molto chiaro, politonale, poliarmonia di Stravinsky, Bartok.
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La dedica-omaggio ad altri compositori acquista significati diversi se rivolta ad autori italiani del passato: si sviluppa da qui in avanti un
filone di composizioni con il titolo che termina con -iana che unisce Neoclassicismo e riscoperta/esaltazione delle antiche glorie italiane.
Tra gli esempi più celebri ricordiamo la Scarlattiana del 1926 di Casella (che scrive anche la Paganiniana , 1942) e poi lavori di Malipiero
(Cimarosiana, 1921, e Vivaldiana, 1925), di Respighi (Rossiniana, 1925) fino a Dallapiccola (Tartiniana prima, 1951 e seconda, 1956).
Casella ha varie fasi compositive:
• Impressionista;
• Espressionista (anni ’10);
• Neoclassica (anni ’20), crede nell’armonia e nella melodia, nella strutturazione ritmica geometrica.
Il fascismo si differenzia dal nazismo e dallo stalinismo per lo stile: è tutto molto quadrato, anche dal punto di vista musicale, la musica
è pura, tonale (simili sono i Pezzi infantili anche se quelli sono stati scritti prima del fascismo).
Durante la guerra in Italia arriva il Wozzeck, quindi una musica degenerata, dalla Germania, dove non sarebbe passata con il nazismo;
quindi viene introdotta in Italia musica rivoluzionaria, anche grazie a Casella stesso, animatore della SIMC, il quale porta musica del
presente europeo in Italia.
Nel 1932 fa scalpore un manifesto di musicisti fascisti che sono contrari alla musica moderna (quindi anche del verismi crudi, dei
sentimenti viscerali dell’opera verista italiana), sono in favore della musica romantica, e odiano Casella poiché porta musica da fuori,
ebrea, bolscevica; c’è anche una componente di invidia poiché Casella ha un certo potere.
Casella ha un rapporto ambiguo col fascismo, il regime lo protegge perché lui riesce a farsi approvare tutto che quello che fa, d’altro
canto ha una mentalità molto aperta (in fondo la prima parte del fascismo era più progressista, dopo diventa più conservatrice).
Quindi questo manifesto fascista favorisce la musica di fine ‘800 italiana.
🎼 Scarlattiana. Divertimento su musiche di Domenico Scarlatti (1926), per pianoforte e piccola orchestra, eseguito la prima volta a New
York nel 1927 con Casella al pianoforte e diretto da Otto Klemperer; tema di Scarlatti (reso in maniera tardo romantica), che Casella, da
pianista, adora, anche dal punto di vista del carattere di “solarità” (considerato tipico della cultura italica) mescolato a qualche tocco di
ibericità (dato che Scarlatti era vissuto a lungo in Spagna).
Si tratta di una sorta di Suite in cinque movimenti (Sinfonia, Minuetto, Capriccio, Pastorale, Finale) che deve molto alla struttura del
Pulcinella di Stravinsky anche se l’interventi di Casella è diverso. Qui frammenti di sonate sono “cuciti” uno dopo l’altro in una specie di
rapsodia e si presentano a volte al pianoforte, a volte orchestrati. Il Capriccio come forma è una semplice forma sonata bipartita: il
modello formale che trova la sua origine nella forma scarlattiana.
🎼 Paganiana, anni ’40, capricci di Paganini arrangiati per orchestra.
Negli anni della guerra, Casella si avvicina all’EUR, allo stile romano, barocco, però pomposo e imperiale, sgargiante e austero di
carattere.
🎼 Concerto Romano per organo, pregiudizio di un barocco sfarzoso e solenne, di una Chiesa ricca e pomposa.
Altre composizioni di Casella: la Donna Serpente, tratto da una trama di Gozzi e Deserto Tentato, opera scritta a Firenze per il teatro del
Maggio (1937), opera politica, parla della conquista da parte dei fascisti dell’Etiopia e della caduta di un aereo; viene fischiata.
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Il fascismo rispetto al regime nazista è meno sistematico nella restrizioni e censure: chiunque eserciti funzioni pubbliche è obbligato
rima o poi a iscriversi al Partito fascista (quindi tutti i musicisti). Pochi preferiscono allontanarsi, tra questi Arturo Toscanini (nel 1931),
con le leggi razziali del 1938 emigrano negli Stati Uniti anche Castelnuovo-Tedesco, Fano e Finzi.
Quindi il Modernismo non viene perseguitato molto: il regime si compiace di una certa aura di modernità e di internazionalità e finanzia
a fini propagandistici anche manifestazioni come il Festival internazionale di musica contemporanea alla Biennale di Venezia (1930) o il
SIMC. Uno dei casi più noti di appoggio del Modernismo è la stagione di novità internazionali organizzata nel 1942 in collaborazione tra
la Scala di Milano (dove viene eseguito il Mandarino meraviglioso di Bartok) e l’Opera di Roma (dove viene eseguito il Wozzeck di Berg,
proibito in Germania). Durante il fascismo nascono inoltre il Maggio Musicale Fiorentio e l’Accademia musicale di Siena con la
Settimana Musicale Senese, promossa dal 1939 da Casella.
Il Maggio musicale nasce quindi nel 1933 dal fascismo, voluto da Pavolini, podestà di Firenze, che promuove inoltre molte opere
fiorentine artistiche e non: mostra artigianato, la Firenze-mare, calcio storico e il Maggio musicale. Al nuovo teatro fiorentine vengono
affidate opere che non sono più molto conosciute e vengono messi personaggi importanti in scena, come Vittorio Gui, direttore
d’orchestra antifascista (cosa che non fa differenza al regime). Quindi musica vecchia o non più conosciuta rivisitata in maniera
moderna, idea progressista all’interno del fascismo per ampliare la cultura (così come la biennale di Venezia, 1930, e la Chigiana, 1932).
Il Maggio inizialmente è sia teatro di prosa sia di musica, esso commissiona quindi anche opere moderne come Fra Gherardo di Pizzetti
e il già citato Deserto Tentato di Casella, tutte fischiate.

Casella fonda nel 1917, insieme a Respighi, Pizzetti e Malipiero la Società Nazionale di Musica (con la rivista “Ars Nova”), nel 1921
fonda invece, col patrocinio di D’Annunzio, la Corporazione delle nuove musiche (rivista “La Prora”, affiliata alla SIMC. La corporazione
rimane attiva fino al 1928 e organizza concerti memorabili, portando in tournée in Italia Schoenberg col Pierrot Lunaire, il Quartetto
Amar con Hindemith, Bartok come pianista e proponendo le principali novità internazionali. l’Italia esce dalla SIMC nel 1939, in piena
involuzione nazionalista (vi rientra nel 1946).
Accanto a Casella va segnalata anche la figura di Guido Maggiorino Gatti (1892-1973), critico e organizzatore, in contatto con i
principali artisti internazionali; fondatore di diverse riviste volte alla diffusione della musica moderna. Collabora all’organizzazione del
Teatro di Torino (1925-1931), in cui si hanno le prime italiane di qualsiasi cosa del momento (da Strauss, Schoenberg, al jazz ecc..).
Nel 1931, però. L’esperienza ha fine quando Riccardo Gualino, mecenate dell’iniziativa, viene arrestato in seguito a un tracollo
finanziario e condotto al confino.

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OTTORINO RESPIGHI (1879, Bologna - 1936, Roma)

Fra i compositori italiani dell’epoca, a Casella vengono accostasti Repighi, Pizzetti e Malipiero, i quali si impegnano molto alla riscoperta
dell’antico o nella promozione della nuova musica, ma gli orientamenti stilistici personali sono assai diversi.
Respighi, noto principalmente per i poemi sinfonici Fontane di Roma (1916), Pini di Roma (1924) e Feste Romane (1928), studia a
Bologna con Martucci; in seguito va a lavorare a San Pietroburgo, dove partecipa a lezioni di Rimskij-Korsakov (da cui prende l’abilità di
orchestrare), e a Berlino, dove si perfeziona con Bruch e conosce Busoni, venendo a contatto con la musica di R. Strauss.
Dal 1913 fissa la sua residenza a Roma dove dà vita a una fiorente scuola di composizione al Liceo musicale di Santa Cecilia, del quale
è direttore dal 1924 al 1926.
I soggetti romani vengono poi inseriti nel filone di esaltazione della città di Roma e della romanità che il regime appoggia per fini di
autoglorificazione, all’interno di questo ci sono anche: lavori teatrali quali, Nerone di Mascagni (1934), Giulio Cesare di Malipiero (1935),
Lucrezia di Respighi (1936), Orazi e Curiazi di Ennio Porrino (1939) e poemi sinfonici tra cui X Regio di Elena Barbara Giuranna (1936).
Anche Respighi è sensibile al tema della rielaborazione dei classici italiani, come vediamo con le orchestrazioni delle Antiche danze e
arie per liuto (tre Suite nel 1917, 1923, 1931) o con la Rossiniana, di impostazione però diversa da quella modernista, sentiamo infatti un
tono elegantemente nostalgico.
Nel Concerto gregoriano per violino (1921) e nel Concerto in modo misolidio (1924) per pianoforte emerge anche l’interesse per la
modalità arcaica, un ambito linguistico che lo accomuna con Pizzetti.
Quindi Respighi compositore più conservatore tra tutti quelli del suo gruppo, sensibile alla novità e al modernismo, ma si adagia
sull’antico (ne parla Casella nell’autobiografia La Giara), sul successo dovuto alla sua educazione avuta con Martucci.
La Fiamma (1934), ambientata nel mondo sanguinario bizantino, rispetto ai lavori precedenti di Respighi, segna un ritorno ai «confini
tradizionali del melodramma italiano, con assoluto dominio del canto e con l'orchestra in funzione complementare».
Ciò che ha reso famoso l’autore è però il ciclo romano, caratterizzato per la smagliante tavolozza orchestrale, esaltata dall’uso delle
combinazioni e degli insiemi strumentali:
• Pini di Roma;
• 🎼 Fontane di Roma, musica impressionista, con temi arcaeggianti di stampo italico (o citazioni di qualcosa di popolareggiante), si rifà
inoltre a Le Mer di Debussy, la composizione parla di 4 fontane romane prese nelle ore migliori durante la giornata:
- Fontana di Valle Giulia (all’alba);
- Fontana del Tritone (al mattino);
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- Fontana di Treni (al pomeriggio);
- Fontana Villa Medici (al tramonto).
• 🎼 Feste Romane, di durata di circa 26 minuti, caratterizzate da un diatonia massiccia e solenne, orchestra enorme; queste sono
composte a loro volta da:
- Circenses (gladiatore al Colosseo);
- Giubileo;
- Ottobraca;
- Befana, festa fascista;
In queste tre composizioni, Respighi mira al recupero di una particolare situazione espressiva europea che fa capo a Liszt, a R. Strauss
e ai sinfonici russi. Eppure questi lavori non hanno niente in comune con l’omonimo genere ottocentesco. Assente è quella continuità
del flusso orchestrale svolto in un unico, esteso movimento, in cui il discorso musicale è sviluppato. A Respighi interessa presentare
immagini emblematiche del mondo circostante, sotto forma di paesaggi, monumenti della storia, spettacoli naturali appartenenti al
passato o inseriti in una tradizione antica. Per trovare un antecedente bisogna far riferimento alla musica descrittiva dei secoli
precedenti l’Ottocento. Ma sarebbe altrettanto azzardato inscrivere i poemi sinfonici di Respighi nell’ambito della musica puramente
descrittiva. È più lecito vederli come esito assai speciale di quel movimento della musica italiana del primo Novecento che tese a
stabilire i legami con il passato in chiave moderna, mediante il rinnovamento dell’antico.
Nei tre poemi sinfonici Respighi mira ad evocare il glorioso mito di Roma, “città eterna”. Vuole tradurre in musica un paesaggio ideale, e
far rivivere sensazioni e visioni.
Ogni poema sinfonico è ripartito in quattro “quadri”o movimenti, separati, compiuti in se stessi - ricalcando forse l’insellatura di una
sinfonia classica - che si diversificano sia per carattere sia per l’atmosfera sonora. La loro struttura non segue però alcuno schema
formale prestabilito. Sono le visioni paesaggistiche e le rievocazioni di remote pagine di storia romana a influenzare le scelte
linguistiche, a determinare il ricco impiego di effetti orchestrali. Non mancano a questo proposito vere e proprie voci della natura
riprodotte: rintocchi di campane, canti di uccelli, echi di caccia, richiami del corno, ecc…
Caratteristiche sono anche le rievocazioni di antiche pagine di storia romana con i loro suoni e i loro strumenti: l’inno cristiano che si
diffonde solenne, la marcia trionfale con squillanti bùccine e ritmi marziali, motivi rusticani e canzoni popolaresche.
Ricorrenti un po dovunque sono certe inflessioni e allusioni melodiche gregoriane, per produrre un nuovo effetto coloristico.
Un’altra composizione importante di Respighi è La Campana Sommersa (1927): il mondo fiabesco del lavoro di Hauptmann ispira
Respighi e lo conduce a creare una partitura operistica riccamente e fantasiosamente orchestrata, che ricorda spesso all'ascoltatore i
suoi famosi poemi sinfonici.

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ILDEBRANDO PIZZETTI (1880, Parma - 1968, Roma)

Nella ricerca di spunti dalla musica antica Pizzetti si spinge ancora più indietro, fino alla musica greca, compositore con grande ruolo
d’influenza per i compositori successivi, molto conservatore, ascolta musica moderna, ma se ne distacca del tutto.
Pizzetti si forma al Conservatorio di Parma, insegna composizione al Conservatorio Cherubini e all’Accademia Santa Cecilia, e comincia
a farsi conoscere per la collaborazione con Gabriele D’Annunzio, cui si riferisce in molti suoi lavori: dalle musiche di scena per La nave
(1905-1907), alla lirica per voce e pianoforte I Pastori (1908), all’opera Fedra (1912), alle musiche per la Pisanella (1913); anche la
collaborazione nel film Cabiria (1914), gran Kolossal di Giovanni Pastrone con la Sinfonia del fuoco ha a che fare con D’Annunzio che
finanzia il film e ne scrive i sottotitoli. Il brano composto da Pizzetti è breve ma composto da una grande orchestra, tipico da film.
Pizzetti elabora anche una sua teoria drammaturgica: vuole creare un “nuovo dramma musical latino fuori da ogni pregiudizio
wagneriano”. In Fedra 🎼 , opera di D’Annunzio musicata da Pizzetti, presenta un declamato sillabico severo, quindi molto recitativo e
poca aria, che l’orchestra sostiene con armonie derivate dai modi antichi, anche il coro ha un ruolo importante (mostra una classicità
distante, a di là del tempo e dello spazio), alla maniera della tragedia greca. Musica di Pizzetti definita inerte (non troppo), è preziosa, di
ritmo lento, molto simile stilisticamente alla tragedia greca.
Afferma inoltre il concetto di “ethos” (l’efficacia emozionale che i teorici attribuivano ai singoli modi).
🎼 I Pastori (1908/09) dall’ Alcyone di D’Annunzio , musicata da Pizzetti, lirica da camera francesizzante, ma arcaizzante, a volte
greogoriano; notiamo un influsso dal Pelleas e anche dal Boris.
Un’altra opera composta insieme a D’Annunzio è La Figlia di Jorio (1954); Assassinio in Cattedrale invece c’entra poco con D’Annunzio
e prende spunto da Eliot.
Pizzetti distingue le necessità del dramma teatrale (realizzate dal declamato), da quelle della musica di dispiegare la sua propria
eloquenza: questo può verificarsi anche nel campo strumentale. Come esempio citiamo I canti della stagione alta (1933): in questo
lavoro per pianoforte ci sono elementi di contabilità piena di “pathos” e neobarocchi.
La presa di distanza da Casella (e da Malipiero) si esprime in Respighi e Pizzetti anche in maniera più esplicita: verso gli anni Trenta
Casella diviene il bersaglio di una polemica contro il Modernismo internazionalista che produce addirittura un Manifesto di musicisti
italiani per la tradizione dell’arte romantica dell’Ottocento (1932) contro la musica moderna.
Gli italiani, e nello specifico Pizzetti, guardano molto alla musica francese e a quella della tradizione italiana (canti gregoriani), negano
invece quella degli austro-tedeschi.

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GIAN FRANCESCO MALIPIERO (1882, Venezia - 1973, Treviso)

Considerato il più sperimentale e moderno, sviluppa itinerari molto personali di ricerca, influenzò molto i compositori italiani di
avanguardia (Maderna e Nono); inizialmente espressionista, crudo e oggettivo alla fine, non cerca l’immedesimazione del pubblico.
Malipiero è molto attivo sul palcoscenico, compone molto anche perché vive tanto; tra tutti gli altri del gruppo è il più isolato, distanziato
da un punto di vista psicologico e competitivo; ha come allievi Maderna e Nono, mentre lui studia con Bruch, infatti ha un’impronta
anche tedesca.
Studiò al Liceo musicale di Venezia e di Bologna, dove si diplomò in composizione con Enrico Bossi. Gli furono utili i contatti col
compositore Smareglia per la conoscenza di Wagner e dal 1906 con Busoni. Trascorsa inoltre brevi periodi di studio oltralpe: al
conservatorio di Vienna nel 1898-1899 e alla Hoschschule fur Musik di Berlino 1908-1909. Nel 1913 si recò a Parigi, dove conobbe
Casella, D’Annunzio e Rave, entrò in contatto quindi con le tendenze più avanzate della musica europea.
Dal 1921 al 1924 insegnò composizione al conservatorio di arma, nel 1938-1939 diresse l’Istituto di Padova e dal 1939 al 1952 il
Conservatorio di Venezia.
Importante nella sua vita fu lo studio delle musiche antiche italiane, di Monteverdi, Frescobaldi e altri.
Malipiero era un uomo di personalità estrosa e complessa e nella sua arte si ravvisano tendenze opposte e contrastanti: definito
“modernista antimoderno”. Alla base della sua attività creativa sta l’incontro tra antico e moderno. Ambiente determinante per il
formarsi della sua personalità fu Venezia, luogo di memorie e di precisi richiami culturali. Egli guarda a questo modello con nostalgia,
assumendo nella sua immaginazione l’aspetto di una remota Epoca d’Oro, insuperabilmente bella e irrimediabilmente perduta.
Frutto di questo nostalgico ritorno al passato sono i diffusi arcaismi: canzoni in stile italiano antico, inflessioni popolaresche, diatonico
modali alternati ad armonie prettamente novecentesche e spesso dissonanti, contrappunto liberamente imitativo ecc…
Gli aspetti più specificamente modernisti nella musica di Malipiero (triadi sovrapposte, passaggi aggressivamente dissonanti,
orchestrazione colorita, delicati arabeschi melodici, crescendi ritmici di violenza quasi diabolica) furono derivati dallo Stravinsky della
Sagra da Debussy e Ravel.
Un tratto stilistico di Malipiero è il carattere capriccioso, rapsodico e apparentemente improvvisatori delle strutture musicali. Attuata in
parecchi lavori è la tecnica costruttiva che è stata definita “a pannelli”, costituita da una serie di breve sezioni o episodi, ognuno di
carattere diverso, fantasiosi e improvvisatori nel contenuto, perlopiù senza relazioni tematiche tra loro.
Una delle sue caratteristiche è il rifiuto del tematismo e del concetto di sviluppo che derivano dalla trazione classico-romantico tedesca.
Questo provoca un tipo di costruzione “a pannelli” sia nella musica strumentale (Pause del silenzio, 1917) sia in quella teatrale (Sette
canzoni, 1918). Quindi nessuno sviluppo, ma un’invenzione musicale continua, alimentata da uno scaturire di idee tematiche prima
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esposte poi incessantemente rinnovate con piccole varianti. Molte melodie restano allo stato “atomico”, rifiutandosi di divenire melodie,
interamente articolate. È una costruzione volontariamente frammentaria, a mosaico, adatta per lavori concepiti su scala minuscola.
I brani di Malipiero inoltre durano pochi minuti per esempio Pause di silenzio I (1917) - “sette espressioni sinfoniche” -, diviso in sette
pannelli, brevi contrastanti, senza relazione tematica tra loro, ognuno però preceduto da una semplice fanfara di corno che sale di
grado ogni volta che si ripresenta.
Lo stesso metodo è seguito in Pantea, “dramma sinfonico”, in un atto per ballerina solista, coro fuori scena e orchestra (1917-1919); in
questo lo stile è più cromatico, ci sono sezioni che si avvicinano allo stile espressionista e altre che sviluppano un tipo di struggente
linea melismatica, nostalgicamente sinuosa e commovente.
In Sette Canzoni, ognuno dei sette minuscoli melodrammi, indipendenti, contiene una canzone, con inflessioni popolaresche, che ne
costituisce il nucleo principale. Ciascun brano presenta un carattere psicologico contrastante.
Caratterizzati da un’estrema libertà costruttiva sono anche alcuni lavori strumentali cameristici, quali i tre quartetti per archi Rispetti e
strambotti (1920), Stornelli e ballate (1923) e Cantari alla madrigalista (1931). Ogni quartetto si suddivide in una serie di piccole sezioni
contrastanti, fantasiose e improvvisatore nel contenuto e perlopiù senza relazioni tematiche tra loro. Alcune sono di carattere volubile e
ritmicamente capriccioso.
Molti lavori della maturità di Malipiero come concerti solistici per voce o strumento solista, solitamente di breve durata. Tra i più
rimarchevoli sono gli otto Dialoghi del 1955-1957, per strumento solista e piccoli complessi orchestrali, e le quattro “rappresentazioni
da concerto” del 1957-1960 per voci soliste e orchestra. In ciascuno di essi il compositore dimostra molta sensibilità nello sfruttamento
delle qualità speciali di particolari strumenti e del complesso orchestrale.
Il suo impegno nel recupero della musica antica porta spunti anche alla produzione compositiva, sia nella tecnica di costruzione, per
tasselli analogici, sia nell’ispirazione formale: ciò si evidenzia ad esempio nei titoli di alcuni dei suoi otto quartetti, i quali si rifanno molto
anche alla musica popolare (Rispetti e strambotti, 1920; Stornelli e ballate, 1923; Cantàri alla madrigalesca, 1931) e in altri brani
strumentali come i Ricercari (1930) e i Ritrovari (1926).
Riferendosi sempre alla musica del ‘400-‘500, compone le 7 Canzoni (7 operino da un atto, del 1918), esse fanno parte della trilogia
l’Orfeide:
• La morte della maschera;
• 7 Canzoni;
• Orfeo (ovvero l’ottava canzone)
🎼 Sinfonia n. 11 delle Cornamuse (1969), musica quasi espressionista.
Un altro tema caro a Malipiero è la nostalgia per un’antica Venezia idealizzata, che egli rievoca nelle Tre commedie goldoniane
(1920-1926).

In generale Malipiero non è mai entrato in repertorio, Pizzetti solo quando era in vita e Casella è tornato fuori solo adesso.

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MUSICISTI CECHI

Il rapporto con i repertori folkloristici è sempre risultato interessante, ha grandi sviluppi nel Romanticismo, saldandosi spesso con
motivazioni patriottiche o politiche. Nella prima metà del ‘900 il materiale folkloristico viene trattato in maniera diversa, specialmente da
Janáček e Bartók (poi anche da Szymanowski e Kodàly); questo si basa anche con un nuovo rapporto con le fonti: non più mediato
dalle raccolte già edite di canti popolari, ma attraverso la ricerca sul campo (col fonografo), svolta anche personalmente dai compositori
(nascita della moderna etnomusicologia).
Quindi questo interesse per il folklore si salda con il Modernismo ed evita di diventare simbolo di tradizionalismo nostalgico o di
conservazione (tipico del romanticismo invece).

La storia della musica dal XVII al XIX secolo offre numerosi esempi di musicisti boemi e moravi (Biber, Stamitz, Dussek) che oggi
consideriamo totalmente inseriti nel mondo musicale austro-tedesco. Solo con in romantici boemi Smetana e Dvořák si rilevano caratteri
chiaramente nazionali: elementi melodici e ritmici inseriti in un linguaggio beethoveniano in Smetana e brahmsiano in Dvořák.

LEOS JANACECK

Leoš Janáček (1854, Brno - 1928), appartenente alla generazione di Dvořák (1841-1901), di cui è amico durante gli studi a Praga.
Inizia gli studi da autodidatta (a causa dell’isolamento culturale in cui si trovava) e continua poi la sua preparazione a Lipsia e a Vienna e,
rientrato a Brno (Cecoslovacchia), fonda nel 1881 una scuola di organo e composizione che dirige fino al 1919.
Tra 1888 e 1906 si colloca i periodo delle ricerche sul campo: nonostante un interesse più musicale che etnomusicologo, pubblica
raccolte di canti moravi che hanno una certa importanza per lo studio scientifico. Janáček è interessato alle curve melodiche della lingua
ceca parlata, dalla sua rapsodia e metrica, dalla mobilità e varietà ritmica dei canti e delle danze morava: non mette quindi citazioni,
bensì aspetti linguistici e grammaticali, che forgiano uno stile nuovo. Nelle opere vocali impiega un gran numero di incisi melodici e brevi
temi, spesso ripetuti più volte con trasformazioni melodiche, ritmiche, timbriche, che si rifanno alle inflessioni più caratteristiche e agli
andamenti ritmici del linguaggio parlato. Il ritmo si avvale spesso di piccole unità metriche (2/8, 3/8, 4/16), mentre l’armonia evita la
relazione di tonica-dominante e privilegia il libero concatenamento degli accordi.
Contemporaneamente Janáček elabora una sua teoria dell’armonia, che rifiuta i collegamenti armonici della sintassi tonale e proclama la
“libertà degli accordi”.

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Janáček tocca il vertice delle proprie capacità creative negli anni Trenta: la parte migliore delle sue composizioni del periodo maturo è
costituita dai generi vocali e in special modo dalle sue cinque opere teatrali, impregnate di una forte carica di tensione drammatica, di
patriottismo e di un profondo senso religioso.
Esempi di questo stile si trovano nei suoi lavori teatrali più noti come:
• Jenůfa (Brno, 1904), opera che riscuote grande successo nella Mitteleuropa (quindi impero austro-ungarico); l’opera, ambientata in
Boemia, parla di questa donna che rimane incinta e le viene in seguito ucciso il figlio poiché è sola e abbandonata, quindi
composizione cruda, senza passioni, con molta freddezza, tragico racconto di vita contadina, di primitive e violente passioni;
• Kat’a Kabanová (1921), storia di una donna che vive von un marito che non la ama, poco affetto, lei infelice, in casa c’è pure una
suocera cattiva; quindi Katia tradisce il marito con il vicino di casa, tornano poi alle loro vite normali.
• 🎼 La volpe astuta (1923), fiaba tratta da dei fumetti per bambini, i protagonisti sono gli animali, ci sono anche degli uomini ma non
molto rilevanti. Parla del ciclo della vita. Stilisticamente viene usato un canto parlato, declamato, la musica è pensata per l’azione,
rapporto musica parole azione non troppo diverso dalle altre opere del ‘900 (tipo Puccini, di cui è quasi coetaneo). Inoltre Janáček
prende tante cellule ritmiche e non le sviluppa, bensì le sovrappone. Opera in tre atti:
- I atto, I scena: animali nel bosco, tasso che fuma la pipa, uccelli che danzano, arriva ad un certo punto il guardia caccia che si
addormenta nel bosco, grilli e cavallette iniziano a dargli noia, la lepre scappa dalla volpe, in questo momento lui si sveglia e cattura
la volpe, tutti tristi;
- II scena: a casa del guardia caccia la volpe viene messa insieme al cane, è triste, arrivano i bambini a dare noi, quindi lei dà un
morso; quindi decide di fare una rivoluzione e riesce a scappare grazie alle galline e al gallo. Trova una volpe (maschio) e insieme
hanno dei cuccioli. In seguito lei muore.
- III scena: il guardia caccia vede i volpacchiotti e li prende per allevarli meglio di come ha trattato la loro madre.
• Affare Makropulos, opera tratta da un dramma parlato, parla di Elena Makropulos, donna che non muore mai, storia ambientata nel
‘900 (lei nata nel ‘500); ogni tot di anni lei cambia identità, ma non le iniziali del nome e cognome, un’altra cosa che rimane è il suo
ruolo, sempre una cantane. Elena nasce dall’imperatore Rodolfo I, il quale dà alla figlia un elisir di vita eterna, doveva prenderlo lui ma
dato che non si fidava dell’alchimista, lo dà alla figlia. Alla fine Elena riesce a morire.
• Da una casa di morti, opera tratta da Dostoevskij.
In essi troviamo il tema della donna vista come scatenatrice di violentissime passioni e anche una concezione drammaturgica peculiare:
per Janáček tempo musicale e tipo psicologico tendono a coincidere, così da far saltare qualsiasi partizione formale predeterminata.
Idea vicina alla concezione wagneriana, Janáček però non usa Leitmotive, ma solo cellule motiviate ricorrenti che si ripresentano variate
nel timbro, nel ritmo e nell’articolazione. Accanto a queste, il canto semplicemente sviluppa i caratteri fonici del linguaggio in “melodie di
parole”, che possono presentarsi anche in forma più espansa di arioso, l’armonia si muove per libere concatenazioni, che sfruttano la
dissonanza espressiva con risultati di grande modernità.
Un altro tema favorito da Janáček è quello patriottico: il compositore stesso nel 1905 partecipa ai moti di rivoluzione di Brno per
l’indipendenza ceca dagli austriaci; questo tema si coniuga anche alla protesta sociale e alla critica contro certi borghesi praghesi ben
disposti verso gli austriaci.
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Quindi il suo nazionalismo assume a volte anche le tinte della fratellanza slava (questo lo vediamo in delle sue composizioni, per
esempio nella rapsodia-sinfonia Taras Bul’ba dove esalta un condottiero cosacco, anche se il tema principale è quello della morte come
sacrificio eroico).
Inoltre usa molto il tema del sacrificio sviluppato anche in senso religioso nella Messa glagolitica (o Messa slava, 1926), che intona le
consuete cinque parti dell’ Ordinarium Missae in lingua paleoslava. Janáček non è molto devoto, però vuole trattare la profonda
religiosità del popolo moravo, esaltandola come fondamento morale di una nazione.
Altre composizioni importanti di Janáček sono:
• Messa Glagolitica, composta nel 1926, per soli coro e orchestra, che fa uso del testo slavo antico, invece che del latino: incorniciata da
una introduzione ed una conclusone strumentali, la Messa è caratterizzata da uno stile semplice, con brevi motivi che ricompaiono
lungo tutto l’arco dell’opera, le melodie vocali spesso traggono origine dai ritmi della lingua slava;
• I due quartetti: Lettere Intime (dedicato a una giovane donna, 1928) e Sonata a Kreutzer, caratterizzati da una notevole ricchezza
d’invenzione;
• Taras Bulba, rapsodia sinfonica per orchestra (1918), ispirata all’omonima novella di Gogol (1834) e caratterizzata da stilemi melodici e
ritmici di forte sapore slavo;
• Sonata per Violino e pianoforte (1922);
• Sinfonietta: eseguita per la prima volta il 26/06/1926, suddivisa in cinque movimenti, a loro volta internamente articolati, che utilizzano
raggruppamenti diversi di un organico molto ampio; inoltre, oltre alla particolare timbrica, colpisce il carattere di brulicante vitalità dato
dallo sfruttamento intensivo di elementi iterati, in blocchi contrapposti: all’interno dei blocchi si avverte una granitica fissità data dagli
ostinati melodico ritmici e anche dall’insistenza pera mai tratti sulle medesime altezze polarizzate (ovvero quando un elemento
melodico o una nota si ripresenta esattamente sulla medesima altezza). Si avverte inoltre anche la matrice pentatonica (tipologia
comune nel canto popolare), su cui si basano gli spunti melodici proposti nei singoli blocchi. Hanno importanza anche le sonorità delle
quinte vuote e i tipi melodici che esaltano intervalli di terza minore o di quarta ed evitano generalmente i semitoni. Stile orchestrale di
massima trasparenza e di una scrittura concertante per quanto riguarda legni e ottoni;
• Sonata 1.X.1905 per pianoforte, divisa in tre movimenti, in seguito taglia il terzo; la data che dà il nome alla sonata ricorda una rivolta
popolare contro gli Asburgo (per l’indipendenza), quindi importante per il nazionalismo ceco.
Quindi in Janáček vediamo un’opera ancora di stampo italo-francese (come quelle precedenti nei suoi paesi, per es Rusalka, Dvořák),
con un’orchestra morbida, che sembra rispondere al canto (concetto del compositore che la melodia dipenda dal canto), impregnata
ancora dall’800; egli prende comunque elementi da Stravinsky, come l’idea di non sviluppare una particella.
Nell’ultimo periodo Janáček ottiene onori e riconoscimenti in patri, ma l’indipendenza nazionale raggiunta nel 191 non lo appaga e
nell’ultimo periodo preferisce una posizione relativamente appartata, sia dal puto di vista artistico (accostandosi all’espressionismo e alle
tendenze meno apprezzate dal pubblico) sia personale (trovando consolazione nell’amore di una giovane donna a cui dedica Lettere
Intime (1928).

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KAROL SZYMANOWSKI (1882-1945)

Rappresentante del nazionalismo in Polonia, spicca tra il gruppo di compositori chiamati “Giovane Polonia” nato nel 1905 con lo scopo di
introdurre la musica polacca in ambito europeo. Nella musica del compositore, influenzata da R. Strauss e Skrjabin, l’idioma nazionale si
manifesta con particolare forza nel balletto Harnasie (Praga, 1935), ispirato ai leggendari briganti dei Monti Trata; qui egli Isa mi certo
numero di danze e canti popolari di montagna, plasmando il proprio linguaggio di irregolarità ritmiche e inflessioni melodiche tipiche della
musica popolare dei Tatra.

ZOLTAN KODALY (1882-1967)

Personaggio importante per la rifondazione della cultura musicale nazionale (ungherese) anche attraverso la riorganizzazione della
didattica musicale. Dal 1905 egli si dedica con Bartok alla raccolta e allo studio sistematico del materiale folkloristico ungherese, romeno,
slovacco e di altri popoli vicini. Questo attraverso mezzi scientifici di ricerca, dapprima registrando sul campo per mezzo di rulli e
fonografi a imbuto migliaia di autentici canti di contadini, notandoli e classificandoli poi rigorosamente.
Nel 1923 Bartok e Kodaly pubblicano la prima raccolta di canzoni popolari ungheresi. Ambedue i compositori scrivono anche importanti
monografie e saggi sulla musica folklorica. Questa musica portò i due musicisti a utilizzare scale melodiche, combinazioni armoniche,
moduli ritmici inediti e del tutto diversi da quelli usati nella musica colta europea.
Come pedagogo, Kodaly opera ampiamente in modo da indirizzare le grandi masse al gusto per la musica attraverso l’abitudine al canto
corale e all’approfondita educazione musicale.
I suoi sforzi si concentrano sulla creazione di musiche corali e di opere teatrali, quali il Singspiel magiaro Hàry Jànos (Budapest, 1926),
nome di un vecchio soldato vissuto in epoca napoleonica, in cui troviamo elementi popolari e altre fonti; da qui trae una Suite sinfonica
(1927). La sua composizione più importante è il Salmo ungarico, 1923, per tenore, coro e orchestra, basato sul Salmo 50 e sulle parole
di un predicatore del cinquecento. Lavoro di straordinaria potenza espressiva, caratterizzato da uno stile melodico di estrema tensione, in
cui alcuni passi corali fanno uso di melodie pentatoniche.

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BELA BARTOK (1881, San Nicola a Mare Romania - 1945, New York)

Uno degli aspetti più significativi della musica di Bartok è la maestria con cui riuscì ad amalgamare certi caratteri tipici della musica
folklorica con gli altri elementi desunti dalla musica colta occidentale. “La parte più valida di questo scrigno di melodie sta nell’impiego
degli antichi modi greci ed ecclesiastici e in alcune scale ancora più primitive (per es. quella pentatonica), e nella varietà e nella libertà
dei ritmi. L’uso di questi modi rende possibili anche dove combinazioni armoniche. Il loro trattamento della scala diatonica conduce anche
alla liberazione dalla scala maggiore minore, e infine a un uso completamente libero di ogni note del nostro sistema cromatico”.
Molte caratteristiche dello stile di Bartok traggono origine dalla musica popolare dell’Europa orientale e dalla musica araba, che egli
studiò nell’estate del 1913 nella regione di Biskra, in Algeria. Spesso l’invenzione dei temi bartokiani conserva le caratteristiche
melodiche e ritmiche dei canti popolari; molti sono basati su scale pentatoniche e modali, ricorrono spessissimo ritmi di carattere libero e
improvvisato, come nei canti lenti ungheresi; altri schemi ritmici preferiti sono quelli irregolari, in cui predominano le sincopi e le
combinazioni poliritmiche. Nell’armonia di Bartok si verifica la commistione di elementi diatonici e cromatici, i primi attinti dal patrimonio
folkloristico, i secondi, pur sconfinando talvolta l’atonalità, si organizzano con una logica basata essenzialmente su relazioni d’indole
tonale, nel senso che un centro tonale c’è, solo che è offuscato dai cromatismi.
Ampia è la scelta delle combinazioni armoniche, molto spesso l’accordo bartokiano assolve compiti ora timbrici ora ritmico-percussivi.
La ripetizione ostinata di brevi figurazioni ritmico-melodiche e di singole note è una costituente di rilievo di molti suoi lavori o di parte di
essi. Da ciò deriva il carattere aggressivo e selvaggio di molta sua musica, un esempio lampante è l’Allegro Barbaro per pianoforte
(1911). Tra i compositori del Novecento, Bartok fu indubbiamente il più radicale dal punto di vista della tecnica pianistica. Egli sottolinea
pesantemente l’aspetto percussivo dello strumento, sviluppando qualità sonore tipicamente “da xilofono”.
Questo trattamento della tastiera spianò la strada agli esperimenti sui pianoforti cosiddetti “preparati” introdotti successivamente dai
compositori dell’avanguardia musicale.
All’inizio della sua carriera influenzato, come Kodàly, da R.Strauss e Debussy, ma la rivelazione dell’autentica musica rurale agisce su di
lui in maniera più profonda. Bartok era un ottimo pianista e si affermò molto virtuoso; si perfezionò all’Accademia Musicale di Budapest e
dopo il 1907 visse da concertista, carriera che lo mise in contatto con importanti centri musicali europei e americani. In seguito insegna
pianoforte all’Accademia di Budapest (dal 1907 al 1934), coltiva anche la carriera da pianista e d’estate continua i suoi amati viaggi di
ricerca: riceve così influenza dalla musica romena (Sonatina per pianoforte, Danze romene per pianoforte e poi per orchestra), slovacca
(molti brani della raccolta For Children), bulgara (Danze in ritmo bulgaro in Mikrokosmos 150 pezzi per pianoforte) e addirittura araba
(tema “arabo” del Secondo quartetto per archi) e nord Africa. Quindi etnomusicologo che con Kodaly va a registrare queste musiche, le
trascrivono e le utilizzano come lessico musicale (per es le scale modali).
Kodály lavora più sull’insegnamento pedagogico, quindi per bambini; Kurtag pure scrive brani semplici per bambini, raccolta colorata e
con immagini.

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In seguito, lo smembramento dell’impero austro ungarico e la completa indipendenza dell’Ungheria nel 1920, paradossalmente limitano
le sue ricerche, si dedica quindi il decennio successivo allo studio e alla catalogazione dei canti, ricevendone immediati stimoli
compositivi. Nemico di ogni dittatura, nel 1939 emigra negli Stati Uniti; lì morì nel 1945 in povertà stroncato dalla leucemia.
Per Bartok il rapporto con la fonte popolare può attuarsi in molti modi: dalla semplice presentazione del canto con un breve preludio e un
postludio, all’uso di uno spunto come motto caratteristico, fino alla completa ri-creazione dello stile popolare (traguardo più ambito,
immergersi nel mondo folkloristico). C’è anche una forte spinta spiritualistica: ammirazione per la ricchezza culturale del mondo popolare
e della dimensione della natura (in contrasto con la civiltà urbana).
Per conseguire la fusione organica degli stilemi del folklore con la tradizione colta occidentale, Bartok si avvale di tecniche competitive
raffinatissime e complesse. Nel suo stile sono riassunti: le tecniche contrappuntistiche di Bach, l’arte beethoveniana e lisztiana dello
sviluppo e della trasformazione dei temi, la sensibilità di Debussy nell’organizzazione dello spazio sonoro.
Le strutture bartokiane sono ineguagliate per logica formale, profondità di pensiero, forte coesione ed essenzialità di ogni elemento del
linguaggio musicale. Questo dimostra quanto la sua arte sia vicina al neoclassicismo.
Molto spesso le idee tematiche di più movimenti di una stessa composizione sono tutte riconducibili ad un’unica cellula germinale di
poche note, ingegnosamente sottoposta a frammentazione, inversione, retrogradazione, variata ritmicamente.
Per esempio: il primo e l’ultimo movimento del Quarto quartetto per archi (1928) ricavano tutto il loro materiale da una cellula di sei note
che appare per la prima volta nell’Allegro iniziale e che ritorna, in diverse permutazioni, nello stesso movimento e nell’ultimo.
Per dare una forte coerenza formale alle composizioni del periodo centrale della sua produzione, Bartok ricorre con frequenza alla
madreforma che egli stesso denominò “a ponte” o “ad arco”: un movimento centrale funge da perno mentre gli altri movimenti si
dispongono specularmente intorno ad esso. Questa severa struttura è introdotta nel Quarto quartetto, in quanto i cinque movimenti
seguono lo schema A - B - C - B’ - A’. Oltre che come schema di concatenazione di movimenti, la forma “a ponte” è applicata anche
all’interno di un movimento (per es. nel primo movimento della Musica per archi, percussione e celesta).
La serie dei sei quartetti per archi di Bartok, composti tra il 1908 e il 1939, costituisce il più importante apporto al repertorio di questo
complesso cameristico dall’epoca di Beethoven, e rappresenta un’affascinante summa delle qualità intrinseche e delle tendenze tipiche
dello stile del compositore ungherese. Egli sfrutta pienamente ogni possibilità timbrica, tecnica ed espressiva degli strumenti ad arco: dal
pizzicato alla sordina, dai vari colpi d’arco ad effetti particolari dei registri estremi. In certi movimenti, il fitto groviglio dei quattro strumenti
sembra suggerire sonorità quasi orchestrale (per es. l’ultimo movimento del quarto quartetto).
vi si fa ampio e sistematico uso di complessi procedimenti contrappuntisti quali il canone e la fuga (per es. nel terzo quartetto e nel finale
del quinto). Lo stile armonico è generalmente caratterizzato da combinazioni complesse, con aspre dissonanze generate dall’intreccio
polifonico delle parti. Nella maggior parte dei movimenti veloci la musica assume un carattere aggressivo e selvaggio (equivalente della
tendenza “barbarica” della percussione pianistica applicata al quartetto d’archi), a causa di ripetizioni persistenti di una stessa nota, di
ostinati senza fine, di estesi ritmi sincopati, di accordi percussivi, di figurazioni costantemente arpeggianti, ecc…
Al dinamismo ritmico dei movimenti veloci si contrappone l’immobilità estatica, la liricità espressiva dei movimenti lenti, tipicamente
ungheresi. L’organizzazione formale dei quartetti è estremamente elaborata, complessa, e si manifesta, nella massiccia presenza di

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tecniche contrappuntistiche, della forma-sonata, delle strutture simmetriche e delle corrispondenze tra un movimento e l’altro per dare
unità formale, perfettamente organica, all’intera composizione.
Bartok possedeva una grande padronanza dell’invenzione timbrica e dell’orchestrazione. In molti suoi lavori, quali il Mandarino
meraviglioso (1918-1919), prevalgono le sonorità più accese, sfavillanti, percussione, “espressionistiche”
Con la Musica per archi, percussioni e celesta (1936) e la Sonata per due pianoforti e percussione (1927), Bartok esplora tutte le
possibilità di inedite combinazioni strumentali.
Nelle due opere, come già nei primi due Concerti per pianoforte (1926, 1931), la percussione si inserisce come mezzo vitale nello spazio
sonoro, e lo xilofono spesso suona parti di fondamentale importanza melodica.
La “Musica” in realtà è una sinfonia da camera per doppia orchestra d’archi unita al pianoforte, arpa, celesta e strumenti percussione di
altezza definita e indefinita. L’intera composizione possiede un’unita eccezionale.
Il concerto per orchestra (1943) spicca tra i lavori dell’ultimo periodo di vita di Bartok trascorso negli Stati Uniti. È un’opera di altissimo
magistero tecnico, caratterizzata da un tessuto orchestrale più raffinato e trasparente rispetto alle composizioni precedenti, con un
impiego meno intenso di artifizi contrappuntisti. Invece di idee brevi e frammentarie si trovano temi ampi e cantabili. Bartok nel
programma di sala dice a proposito di questo: “il titolo di questo lavoro orchestrale simile a una sinfonia è spiegato dalla tendenza a
trattare ogni singolo strumento dell’orchestra in modo concertante o solistico. Il trattamento virtuosistico appare per esempio nelle sezioni
fugate dello sviluppo della prima parte o nei passaggi in guisa di “perpetuum mobile” del tema principale che gli archi espongono
nell’ultimo movimento, e soprattutto nel secondo movimento in cui coppie di strumenti si presentano con brillanti passi.
La struttura complessiva dei cinque movimenti si basa sulla forma “a ponte” con un movimento lento centrale e con il materiale tematico
del primo movimento che viene ripetuto, variato, nel finale.
Negli anni Venti Bartok si fa ascoltare a Londra e a Parigi (dove conosce Poulenc, Milhaud e Stravinsky) ed entra in contatto con le
nuove tendenze del Neoclassicismo e anche della musica schoemberghiana. Comunque, pur usando un linguaggio di avanguardia,
Bartok non abbandona mai la tonalità, anche in lavori che vengono definiti “espressionisti” come il balletto Il Mandarino meraviglioso,
mentre influssi neoclassici si possono avvertine nei Concerti per pianoforte nn. 1 e 2 (1926 e 1931). Su tutto prevale la forza del suo stile
personale che si esplica in un nuovo modo di trattare il pianoforte, facendogli esprimere la sua natura di strumento a percussione (nell’
Allegro barbaro, nella Suite op. 14, nella Sonata e nei pezzi All’Aria aperta fino alla Sonata per die pianoforti e percussioni).
Bartok dedica inoltre molta attenzione agli archi: a essi affida toni lirici con sfumature a volte zigane, ma anche la forza ritmica
proveniente dalle danze ungheresi e romene (Sonate e le due Rapsodie per violino e pianoforte, sei Quartetti e la Musica per strumenti a
corda, percussioni e celesta).
Importante inoltre è l’amore che Bartok ha per il contrappunto e per Bach, rivelato dalle scritture fugate (come nel primo movimento della
Musica) o uso di canoni e di procedure imitative nei quartetti.
Un’altra opera importante è la Cantata profana (1930) per tenore, baritono, doppio coro e orchestra, la quale intona un testo popolare
romeno, tradotto in ungherese (nove fratelli vanno in un bosco a caccia di cervi, poi diventano loro stessi dei cervi fatati). Il tema della
libera scelta dell’uomo civilizzato di tornare in seno alla natura va visto come l’uomo che va verso una dimensione originaria di più

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autentica responsabilità individuale e purezza morale. Essa doveva far parte di un progetto di tre lavori che dovevano testimoniare le
personali riflessioni di Bartok sulla fratellanza dei popoli del bacino danubiano.
Negli anni Trenta, a causa dei vari regimi per cui non si trova più bene in Europa, Bartok emigra negli Stati Uniti (1940), dove però non si
trova molto per la modernità delle città. Qui compone altre opere significative come Concerto per orchestra (1943), la Sonata per violino,
dedicata a Menuhin (1914) e lascia il Terzo concerto per pianoforte incompiuto e un abbozzo del Concerto per viola.
(?)Tre periodi di Bartok:
• I barbarico: periodo più legato al canto popolare, lo inserisce nelle sue opere, gusto della ritmica accentuatissima, folklore rumeno e
ungherese (brano significativo del periodo Allegro barbaro per pianoforte, 1911); molto simile a Stravinsky per il fatto che si ispiri al
popolo, il ritmo, la brutalità della canzone popolare.
- 🎼 Allegro barbaro (1911), brano modale/tonale, politonale; succedono due cose diverse nelle linee varie, stratificazione,
sovrapposizione di linee melodiche (come Stravinsky), caratteristica di Bartok che rimane. Questa composizione è un’imitazione
stilizzata della musica primitiva folklorica, realizzata per mezzo di scontri armonici duri e aspri, di ritmi martellanti e ossessivi, per
evidenziare la tensione ritmica del brano.
- Il Castello del Principe Barbablu (1911), opera a atto unico, sorta di mix tra Pelleas e lo stampo espressionista; Bartok vuole cercare
un linguaggio nuovo, tornando alle radici (come gli Italiani e Stravinsky).
- Il Mandarino meraviglioso (inteso come cinese), balletto violentissimo, musica cruda, trama riguardante la prostituzione, gli omicidi.
• II pseudo popolare, anni ‘20: prende la musica popolare e la rielabora, non la usa, prende le strutte e le fa sue, brani di questo
periodo:
- 🎼 All’aria aperta (1926), raccolte di suite per pianoforte, struttura a ponte, al suo interno c’è “la musica della notte”, un Mahler
alchemico, racconta il silenzio notturno, la natura che is muove lentamente, con timbri diversi (ricorrente in Bartok nei tempi lenti);
pianoforte usato in maniera percussiva, solo a volte alla maniera Debussiana, scrittura inoltre su tre righe. Ci sono rimandi anche a
Janáček e Stravinsky, non c’è sviluppo, basso ostinato, mattoncini connessi con sopra variazioni, molto popolareggiaante; chiarezza
e limpidezza invece come Ravel.
- Mikrokosmos (1926, 1932-1939): opera didattica per pianoforte, costituita da 153 pezzi di varia durata e di difficoltà progressiva,
divisi in sei libri. Quest’opera non mira solo a sviluppare ogni aspetto della tecnica pianistica, ma che zl contempo educa l’allievo alla
comprensione delle caratteristiche stilistiche della musica moderna.
- 🎼 Musica per strumenti a corda, percussioni e celesta, commissionata da P. Sacher, uno dei più grandi mecenati in musica, il
quale ha un’orchestra a Basilea, dove si trova una biblioteca in cui c’è tantissimo da studiare. La Musica è divisa in 4 pannelli i cui
estremi sono equivalenti, e così quelli centrali (per es. lento-svelto-svelto-lento), grande simmetria. Bartok infatti è molto matematico
e geometrico nella forma, costruisce le sue strutture sulla sezione area (preesistente in natura con questo rapporto matematico);
usa anche la serie “Fibonacci” (nelle strutture ritmiche di solito. Inoltre questo brano è a forma a ponte (o ad arco): 5 movimenti che
seguono una certa simmetria (per es. presto allegro adagio allegro presto). Gli strumenti vengono messi in maniera stereofonica, in
fila. Come nella Sagra di Stravinsky, Musica cambia tempo a ogni battuta. Inizia con una fuga: quindi soggetto, secondo soggetto
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ampliato e variato, e così via, con il soggetto sempre più ampliato. Le voci invece sono sempre a distanza di quinta. Il tema è
sempre lo stesso che gira, sorta di filo rosso, accostato da movimenti cromatici o moti contrari. Forma ciclica, costruzione a sezione
aurea (climax a 2/3).
• III: anni ’30, linguaggio tutto suo, rielabora il popolare e aggiunge elementi neoclassici:
- Concerto per orchestra;
- Contrasti, violino, clarinetto e pianoforte
- Sonata per due pianoforti e percussioni (1937);

I 6 quartetti che compone, invece ricoprono tutti e tre i periodi.

LA VIA INGLESE

Nel XIX secolo era mancata in Inghilterra una tradizione musicale autoctona nel campo del teatro d’opera e della composizione sinfonica:
l’attività principale dei compositori era la musica vocale sacra e di orari (tradizione corale rimasta viva) e di brani strumentali per il
consumo domestico. Durante il periodo della regina Vittoria (1819-1901), che segnò il trionfo degli ideali della tradizione puritana, la
borghesia non dimostrò alcun interesse nei confronti della musica popolare. Alcuni tra i principali compositori inglesi attivi negli anni tra
Otto e Novecento, furono soggetti all’influenza della musica tedesca di Brahms e poco di Wagner. Quasi tutti avevano in comune una
predilezione per il linguaggio tonale e per le melodie diatoniche, nonché il rifiuto del cromatismo e delle strutture complesse.
Tale indirizzo è evidente negli oratori e nella serie di composizioni per orchestra (per esempio le Variazioni Enigma, 1899), di Elgar.
Nella prima metà del ‘900 l’esigenza di creare una musica nazionale comincia comunque a diffondersi e trova spunti anche nelle raccolte
di canti popolari pubblicate dal folklorista etnomusicologo Cecil Sharp dal 1904 e nella musica antica inglese (Purcell in particolare).
Accanto alla riscoperta del canto popolare, si promossero attivamente anche l’esecuzione e la moderna pubblicazione delle antiche
musiche inglesi, del rinascimento e del XVIII secolo; già nel 1878 la Purcell Society aveva intrapreso l’edizione delle opere complete del
grande musicista inglese. Arnold Dolmetsch fu uno dei pionieri degli studi della musica antica e uno dei primi a definire un metodo
interpretativo che rispondesse a un’esogena di verità storica.
I modi del folklore britannico e dell’antica musica nazionale divennero fonte d’ispirazione. Sul loro stile influì anche la musica di Ravel,
Debussy, Stravinsky. Prima della rima guerra mondiale i “Balletti russi” compirono numerose tournees a Londra.
Holst e Williams furono tra le personalità più significative che assorbirono certi elementi stilistici delle correnti straniere più avanzate e
degli idiomi nazionali. Entrambi furono allievi di Charles Stanford (1852-1924), il quale aveva scritto una Sinfonia e sei Rapsodie per
orchestra su temi popolari inglesi.
Il più influenzato dal folklore inglese è Ralph Vaughan Williams, (1872-1958), che imparò l’arte dell’orchestrazione da Ravel, ad esempio
nelle due Norfolk Rhapsodies, 1905-1917; scrive anche nove sinfonie (1930-1957) che mostrano come dall’assimilazione del linguaggio
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austro-tedesco possano svilupparsi spunti diversi descrittivi, narrativi. Tra queste A London Symphony e A Pastoral Symphony, di
carattere prevalentemente pittoresco-naturalistico, con molti cambiamenti di colore strumentale, e adoperano motivi indici e folkloristici
(per esempio il III movimento della Pastoral).
Williams segue anche il filone del rapporto con l’antico (uso di triadi consonanti in movimento parallelo, unisoni, sonorità antifonali), ad
esempio usa un colorismo arcaico cinquecentesco con la Fantasia on a Theme of Thomas Tallis (1910, per doppia orchestra d’archi
basata), che elabora una melodia di Tallis del 1576, sfruttando le possibilità armoniche del modo frigio in maniera originale: interessante
è anche la “spazializzazione” dei tre gruppi strumentali che intervengono anti fonicamente, con riferimento alle prassi poligonali
rinascimentali.
Spunti di questo tipo sono riscontrabili nella produzione di Gustav Holst (1874-1934), il cui lavoro più noto è la sinfonia The Planets
(1916) in cui sono avvertibili diverse influenze stilistiche (dal tardo romanticismo tedesco allo Stravinsky russo). Il compositore usa
passaggi armonici particolarmente statici, di colore esotico che appaiono nell’ultimo movimento di Neptune della suite orchestrale in sette
movimenti The Planets.
Si definiscono così alcune caratteristiche inglesi: sostanziale attaccamento al linguaggio tonale, seppure con esplorazioni molli, uso
fantasioso della voce umana, tendenza all’eufonia, assorbimento di influssi diversi (eclettismo). A questo si unisce l’esigenza
comunicativa che lega i compositori al proprio pubblico e una generale fede nel valore etico e nella rappresentatività sociale della
musica. Oltre ai compositori citati ci sono anche William Walton (1902-1983, affermatosi con il melologo “Facciata”, 1922, per voce
recitante e piccolo complesso di strumenti; la sua produzione comprende musica sinfonica e da camera, l’oratorio “il banchetto fi
Baldassar, 1931, di ascendenza handeliana nel trattamento del coro, e varie musiche per film, tra cui quelle per i tre film su tragedie di
Shakespeare di L. Oliver) il cui itinerario conduce dal modernismo scanzonato (nello stile dei Sei) al tradizionalismo, Michael Tippett
(1905-1998, usa musica inglese antica e il patrimonio folklorisico nazionale, usa una scrittura essenzialmente contrappuntistica, talvolta
di gusto neoclassico di ascendenza stravinskiana, con una marcata propensione per lo sfruttamento delle combinazioni poliritmie e della
preziosità timbriche, predisposto al teatro musicale: dei dieci lavori teatrali scritti quasi tutti su libretto proprio, “il matrimonio di mezza
estate”, 1925, mostra una particolare ricchezza di’invenzione, basata sul predominio delle linee vocali; egli inoltre contribuì alla diffusione
della cultura musicale attraverso i programmi della BBC), Frank Bridge (1879-1941) e il suo allievo Benjamin Britten.

BENJAMIN BRITTEN (1913-1976)

Le caratteristiche inglesi sopracitate si ritrovano nella musica di Britten, unite a un’ampia disponibilità a tutte le esperienze compositive.
A partire dagli anni immediatamente precedenti la seconda guerra mondiale Benjamin Britten si impose come figura di primissimo piano
della musica inglese. Nel suo linguaggio musicale, fondamentalmente semplice e facilmente comprensibile, si fondono molteplici influssi.
Pur non avendo mai trascurato gli stilemi più disparati e “moderni”, non si è mai distaccato dall’armonia tonale, anche se talvolta fa uso di
accordi decisamente complessi (si serve spesso di triadi aumentate o con note aggiunte).
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Aveva una padronanza dell’orchestra come pochi altri, evidente in The Young perso’s guide to the orchestra (Guida del giovane
all’orchestra, 1946), una composizione scritta con l’intento di familiarizzare i giovani con tutti gli strumenti dell’orchestra; il titolo esatto è
Variations and fugue on a theme of Purcell. Vale notare che Britten scrisse molti lavori per ragazzi e che in gioventù era stato
particolarmente attratto dalla musica di Purcell.
Compositore di grande fecondità e dotato di una eccezionale natura musicale, studia a Royal College of Music di Londra (1930-1932)
con Bridge, si dedica fino dal 1939 alla musica per il cinema, documentari e per il teatro per necessità economiche. Conosce in questi
ambiti il poeta Wystan Hugh Auden e il tenore Peter Pears (suo compagno di vita), con i quali nel 1939 emigra negli Stati Uniti (ci resta
fino al 1942), dove ha un’intensa attività compositiva e compie numerose tournées concertistiche.
Tornato in Inghilterra, dal 1947 fissò la sua residenza a Aldeburgh, dove creò (1948) un festival musicale. Nel 1947 formò la Compagnia
d’opera inglese per rappresentare nuove opere inglesi e per riprenderne di antiche.
Carattere saliente dell’opera di Britten è l’importanza data alla nitidezza delle linee melodiche, sia vocali che strumentali; infatti trovò il
proprio mezzo ideale di espressione in musiche che si appoggiano ad un testo letterario.
Nella produzione di Britten grande preminenza ha avuto la musica operistica, nei suoi lavori teatrali ricorre a modi e stilemi linguistici di
operisti che lo hanno preceduto, da Debussy a Berg e financo a Verdi per quanto riguarda il predominio della vocalità e l’uso delle forme
chiuse. Egli ebbe la sua prima affermazione con l’opera Peter Grimes (Londra, 1945), lodata per la sottile individuazione psicologica dei
vari personaggi attraverso una sequenza di arie, recitativi, ariosi. Notevole importanza assumono il coro ed il colore orchestrale.
Seguirono a Peter Grimes, che ha le proporzioni di un grand opera, alcune opere da camera che richiedono un numero ridotto di cantanti
e strumentisti. The rape of Lucretia (1946), che si richiama al mondo classico, ha soltanto otto personaggi sulla scena e dodici
strumentisti in orchestra.
Opera singolare è Billy Budd (1951), tratta dall’omonimo racconto (1891) del romanziere americano Melville, opera limitata a un cast
composto di sole figure maschili. Britten ha usato una grande orchestra, ma l’ha trattata con estrema parsimonia, dando risalto alle
combinazioni di timbri puri e al settore dei fiati. Nel corso della partitura la vocalità è posta in primo piano, come il mezzo più idoneo per
evidenziare i conflitti interiori dei personaggi, sui quali si basa l’opera, come nel melodramma italiani dell’Ottocento.
Definita dalla critica come l’opera migliore e più ingegnosa di Britten, The turn of the screw (Il giro di vite, 1954), composta su
commissione della Biennale di Venezia. Il soggetto è tratto dall’omonima novella (1898) di Henry James, scrittore americano pioniere del
realismo psicologico. Presenta situazioni drammatiche imperniate su un clima di estrema ambiguità psicologica: si mettono in evidenza
gli aspetti più contraddittori della psiche, gli stati d’animo tormentati, i morbosi sensi di colpa. Il giro di vite è un’opera da camera, con
ruolo dominante delle parti vocali.
Importanza particolare assume l’uso della voce di un autentico fanciullo. Molto chiara e serrata è l’articolazione dell’opera: ciascuno de
due atti, consta di otto scene (più un prologo), collegate da interludi musicali (come in Wozzeck), i quali sono costruiti come variazioni di
un tema di dodici note.
Britten è un convinto pacifista, ma al tempo stesso ha anche un’acuta coscienza dei compiti dell’artista nella società e così nel 1942
vuole tornare in patria per responsabilità civile. La musica per Britten rappresenta sempre un servizio sociale e in questo spirito è sempre

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attivissimo come direttore d’orchestra, pianista e organizzatore (fonda l’English Opera Group e il Festival di Aldeburgh). Scrive anche
musica a destinazione didattica, tra cui il lavoro teatrale Let’s Make an Opera e The Young Person’s Guide to the Orchestra.
Dedica molti brani al coro di voci bianche (anche a destinazione didattica); Britten ama molto la musica vocale e va annoverato tra i
principali operisti del Novecento: Peter Grimes (1945), Billy Budd (1951), The Turn of the Screw (1954).
Egli usa con fantasia e sensibilità la voce anche in molti brani con strumenti e nel repertorio da camera.
Ottiene inoltre molti riconoscimenti e onori, tra i quali va ricordata la commissione dell’opera per l’incoronazione della regina Elisabetta II
(Gloriana, 1953): nel 1976 nominato Pari d’Inghilterra.
Nei suoi anni Britten non viene apprezzato molto poiché scrive nel ’900 come fosse nell’800.

AVANGUARDIA FRANCESE: IL GRUPPO DEI SEI

Dopo una serie di eventi quali la guerra franco-prussiana del 1870-1871, l’assedio da parte dei tedeschi, l’insurrezione della “Comune” e
la nascita della terza repubblica, Parigi godette fino all’inizio della prima guerra mondiale, di una relativa stabilità politica e sociale che
favorì l’evoluzione di nuove esperienze estetiche. Per la ricchezza della sua vita culturale, Parigi continuò ad esercitare un forte richiamo
sugli artisti di tutta Europa, i quali diedero avvio a movimenti di avanguardia che lasciarono una traccia indelebile sull’arte
contemporanea. Come era avvenuto in passato, la capitale francese accolse ed elaborò i portati artistici e culturali provenienti da altre
nazioni. Tra gli eventi che influenzarono la formazione dello stile musicale di molti compositori, figura l’Esposizione Universale (1889),
durante la quale viene conosciuta la musica spagnola, russa e orientale (sale pentatoniche e nuove sonorità che interessano Debussy).
Inoltre nel corso dell’Ottocento fu ridestata a Parigi la musica strumentale, così vennero fondate molte società mirate alla sua esecuzione
(classicismo viennese, Schumann, Mendelssohn).
Nel 1871, finita la guerra franco prussiana, si sentì però l’esigenza di recuperare la musica nazionale (per esempio Rameau e altri
compositori del XVI-XVIII secolo); iniziò quindi una serie di concerti dedicati alla musica francese (venne fondata una società da Saint
Saens per promuoverla, con il motto “ars gallica”, per esprimere orgoglio nazionale).
Questo fatto fu molto importante per la rinascita della musica strumentale in Francia, improntata su un interesse per il suono.
I nuovi compositori conoscevano le novità del tempo, grazie agli eventi parigini, quindi Wagner, da cui presero anche spunto.
Negli ultimi anni del XIX secolo in Franci fu forte l’interesse per la musica da chiesa soggetta alle pressioni del movimento “ceciliano”.
Quindi vennero fondate a Parigi per sostenere la causa del canto gregoriano e della polifonia tradizionale delle scuole, tra cui la Schola
Cantorum nel 1894 da Vincent d’Indy. Quest’ultimo teneva inoltre un corso di composizione che ebbe molta importanza; alla base del
suo stile compositivo sta il principio della forma ciclica, dove tutti i movimenti sono plasmati su uno o più temi ricorrenti. Prende molto
spunto da Wagner.

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L’avanguardia parigina rispetto a quella tedesca o italiana, è più leggera, dal momento in cui il suo unico fine è quello di èpater le
Bourgeois (scandalizzare il borghese), ovvero uno scherzo. Le spinte ideali sono però più complesse, forse è presente un fondo
nichilistico e autodistruttivo. A Parigi si parla di avanguardia storica già prima della guerra e anche durante questa vengono messi in
scena spettacoli pieni di novità e provocazione. Molti degli artisti coinvolti in questo sperimentalismo poi continuano su itinerari personali,
spesso accogliendo l’esigenza di rappel à l’ordre (richiamo all’ordine), che può essere rappresentato dal Neoclassicismo. Segue una
reazione anche a questo, con le tendenze neospiritualiste degli anni Trenta.

ERIK SATIE (1866-1925) ispiratore dell’avanguardia dal punto di vista musicale, Jean Cocteau (1889-1963) nel letterato, egli collabora
anche con Stravinsky, era poeta, filosofo, sceneggiatore; il compositore abbandonato il conservatorio (quindi poi autodidatta) frequenta i
cabaret di Montmartre e lavora come pianista di musica leggera allo Chat noir, frequentato da poeti simbolisti, chansonniers, umoristi…
Contemporaneamente coltiva interessi assai diversi: la grecità, l’arte gotica, il Medioevo e, con l’amico Debussy la cultura esoterica e
mistica. Nel 1911 Ravel scopre i lavori di Satie, li promuove provocando però un “caso Satie”.
Tra le prime composizioni di Satie figurano gruppi di pezzi per pianoforte che recano titoli singolarmente enigmatici, umoristici e
provocatori, improntati sul no sense.
La definizione Gymnopédies (nome di un’opera per pianoforte, Trois Gymnopédies, 1888, ovvero feste antiche greche dove ballavano,
opera mix tra arcaico e Debussy) non è che uno degli aspetti verbali sbalorditivi di Satie: si pensi a titoli come Trois morceaux en forme
de poire (del movimento del dadaismo, tre pezzi in forma di pera, per pianoforte a 4 mani, che in realtà sono sette, così chiamati per
rispondere a chi lo invita a “curare la forma”) o la Sonatine bureaucratique (sonatina burocratica, sulla cui parte c’è un testo con una
piccola storia, parodia di un pezzo di Clementi).
Nel periodo delle Trois Gymnopédies compone anche le 6 Gnossiennes 🎼 (1889-1897), parola che deriva dal greco gnosis
(conoscenza), quindi riferito allo gnosticismo, di cui inizia a frequentare sette (filone filosofico che come obiettivo si pone la conoscenza)
oppure si rifà al mito di Teseo e il Minotauro al palazzo di Cnosso (detto anche Gnossus appunto). Questi sono brani che sorprendono
per i tratti stilistici seguenti:
• Totale libertà formale;
• Le melodie quasi totalmente diatoniche, perlopiù a gradi congiunti;
• Le armonie con spiccate inflessioni modali;
• Le successioni di accordi senza rapporti tra di loro;
• La monotonia della pulsazione ritmica;
• L’assenza di uno sviluppo tematico.
L’intento è quello di giungere a staticità del movimento, l’impressione è di una musica che viene tenuta inchiodata sul posto. Concezioni
altamente romantiche del linguaggio musicale vengono così annullate da tecniche antiromantiche, non espressive. Inoltre in questi brani
iniziano ad apparire indicazioni particolareggiate, ironiche e umoristiche (caratteristico corredo della sua musica).

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Inoltre a partire dal 1891 Satie cominciò a scrivere musica senza indicazioni di ritmo; in alcune composizioni gli accordi si muovono per
moto parallelo e le armonie sono costruite su quarte sovrapposte (contrasto con le regole tradizionali). Scrittura che mira alla staticità e
alla ricerca armonica e timbrica.
Nel 1891 Satie entra appunto nella setta teosofica della Rose Croix, setta mistico religiosa, fondata dallo scrittore Joséphin Sar Péladan,
autore di molti romani eccentrici e d’impronta spiritualista. In questa setta ci rimane fino al 1895.
Nel 1893 compone Vexations 🎼 (torture), spartito che pare per pianoforte ma poi non specificato, consiste in una sola pagina
contenente due pentagrammi doppi più uno semplice in calce, che l’autore indica come “Tema” e “da suonare 840 vote di seguito, brano
musicale più lungo della storia (varia dalle 9 alle 24 ore); armonicamente non è atonale, usa accordi esistenti in maniera disfunzionale.
La prima viene eseguita nel 1963 a New York da Cage.
Questo continuum temporale, cioè l’iterazione dello stesso frammento con funzione statica, ipnotica, Satie lo usa sempre più spesso
(Vecchi zecchini e vecchie corazze per pianoforte). L’intento è quello di strutturare il tempo come mera pulsazione, eliminando i concetti
di metro e di ritmo. Questa è musica isola durata, che si misura nello scorrere di unità singole o complesse, quelle che Cage chiama
“strutture musicali a livello zero”, ovvero senza eventi. È un procedimento che Satie usa anche nella Musique d’ameublement.
All’interno dei brani si trovano poi indicazioni surreali rivolte all’esecutore (non tossisca…) per diffidarlo da ogni romantico abbandono
sentimentale. Ironia e distacco sono le caratteristiche principali di Satie; la posizione antiretorica arriva alla definizione della Musique
d’ameublement (Musica d’arredamento, 1920), da intendere come sottofondo innocuo di altre attività (altra grande anticipazione di
Satie). In quest’ultimo brano citato, Satie fa ripetere incessantemente a tre clarinettisti, un trombone e un pianoforte, motivi di musica da
ballo, di sapore popolaresco, che secondo il desiderio dell’autore, dovevano essere percepiti in margine ad altre attività e rientrare quindi
nella sfera del quotidiano. Molta musica del Novecento assumerà una funzione simile.
Tra il 1905 e il 1908 Satie si iscrive alla Schola Cantorum per studiare contrappunto e fuga (probabilmente anche questo fu un gesto
provocatorio). In seguito collaborò a numerose riviste che riguardavano il rinnovamento della vita artistica parigina.
A partire dal 1913 le sue opere più provocatorie e gli spettacoli-scandalo lo accomunano all’ambiente surrealista e alla nascente estetica
dada: è il caso di Parade (Parata, 1917), su soggetto di Cocteau, con scene di Pablo Picasso e coreografia di Massine, per i Balletti
Russi di Djagilev. Questa composizione suscitò grande scandalo per il carattere provocatorio della musica e l’impronta polemica,
elementi che lo accostano al dadaismo. È una satira pungente degli inutili sforzi di alcuni artisti di strada, i quali, con la loro bravura,
cercano di convincere la folla; ma quando si accorgono che le loro dimostrazioni sono senza effetto, cadono in delusione e
scoraggiamento. Nella musica di Parade Satie usa la tecnica del collage, allineando ripetizioni di un corale, un valzer, un ragtime, jazz,
motivi da cabaret ecc.. unendo anche rumori della città e della quotidianità.
Qui si afferma la “estetica del circo e del music-hall” che viene poi teorizzata da Cocteau nel 1918 nel famoso manifesto della nuova
musica francese, Le coq et l’Arlequin (il gallo e l’Arlecchino): in esso si rifiuta la musica tedesca, con la sua pesante consequenzialità
sviluppata (ma anche la superficialità della musica francese?); preferenza per la vitalità del jazz, una “musica per tutti”. Cocteau sostiene
che la composizione della nuova musica francese (quindi dei sei) debba essere colorata, allegra come un gallo, non come l’Arlecchino,
che porta la maschera. Il teatro quindi anche deve essere più semplice e diretto, meno pesante, la musica deve essere più libera e
semplice, non come quella di Wagner o Stravinsky anche.
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Nel 1920 Satie compone l’opera Il Socrate 🎼 , con organico di ensamble strumentale (o pianoforte) e una voce, che recita passi di
Platone riferiti a Socrate; assume l’aria di una cantata seria, esperimento che il compositore fa per vedersi “serio”.
Quindi Satie compone in una scrittura chiara, diretta ed espressiva, definito pre minimalista , anti accademico.
Il compositore occupa una posizione iconoclastica, ovvero di violenta polemica, dissidio nei confronti dell’opinione comune, poiché la sua
musica è basata sulla totale rinuncia ad ogni connotazione soggettiva ed emozionale, ad una qualsivoglia logica formale convenzionale,
un atteggiamento anti romantico. Questo suscitò il crescente interesse dei più disparati circoli artistici di avanguardia (per esempio dei
dadaisti) e in seguito di Cage; ma non si può dire lo stesso del pubblico, da cui anzi Satie, ricevette ostilità.
Per il suo temperamento bizzarro e irriverente verso la tradizione, egli pervenne ad intuizioni molto ardite per quanto riguarda l’armonia il
ritmo, il concetto stesso di composizione musicale.

I SEI: Louis Durey (1888-1979), Darius Milhaud (1892-1974), Arthur Honegger (1892-1955), Germaine Tailleferre (1892-1983), Francis
Poulenc (1899-1963) e Georges Auric (1899-1983). Un critico musicale nel 1920 li accosta ai cinque russi.
Essi amano i testi di Cocteau e Apollinaire, collaborano con Picasso e Braque e si lanciano nella battaglia per i valori moderni,
impersonati di volta in volta dal jazz, dal teatro di varietà. Si rifanno molto anche a Stravinsky(?), cercano colori, circo, musica che
principalmente intrattenga; essi sono felici e vogliono mostrarlo al pubblico, si credono inoltre anti accademici, ma lo sono abbastanza.
Il gruppo nasce circa negli anni ’20 e dura 5 anni, compongono una musica tonale, “un po’ sporca”, come riferimento hanno Satie.
Quindi li accomuna, oltre ad un’avversione alla tradizione romantica tedesca e ad ogni aulicità accademica, una propensione per il
linguaggio musicale semplice, di larga ed intensa cantabiltà, con allusioni alla musica Jazz, del circo, dei cabaret. Questo atteggiamento
colloca i sei nel movimento “oggetivista”.

HONEGGER: svizzero (entra nel gruppo dei 6 nel 1923), si distingue per la scrittura sinfonicamente solida (definito troppo tedesco) e il
gusto “macchinistico”, resta famoso per Pacific 231 🎼 (1924) in cui imita con l’orchestra tradizionale l’accelerazione di una locomotiva
(brano futurista, tonale) e Rugby (1928), in cui presenta un altro dei soggetti “moderni”, lo sport. Nel 1938 compone l’opera oratorio con
narratore Giovanna d’Arco al Rogo.

TAILLEFERRE: collabora con Auric, Honegger, Milhaud e Poulenc nel balletto Les mariés de la Tour Eiffel (i mariti della Torre Eiffel,
1921) e nella sua lunga carriera da compositrice si dedica a molti generi, anche musica da film.

MILHAUD (1892, Marsiglia-1974, Ginevra): ebreo che insegna per un periodo vicino a San Francisco; caratterizza il suo stile anche
grazie all’esperienza in Brasile (1917-1918, dove va come ambasciatore del poeta e ambasciatore Paul Claudel), testimoniata da
Saudades do Brasil (saudade concetto brasiliano incentrato sulla nostalgia) per pianoforte (1921) poi trascritte per orchestra, e il balletto
Le Boeuf sur le toit 🎼 (Il bue sul tetto, 1919, su libretto di Cocteau) che dà il nome al locale parigino dove si ritrovano i sei. Il balletto,

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che doveva essere un cabaret, musicalmente ha elementi sudamericani appunto e molta ironia, gioco, colori e poliritmico, ci sono inoltre
diverse melodie , non c’è una vera e propria trama, ma ci sono molte scene musicali unite come un montaggio cinematografico.
Quando Milhaud rientra a Parigi si getta subito nella sperimentazione: nel brano Cocktail (1921) una voce di “barman” intona liberamente
(come un recitativo) una ricetta di cocktail, mentre, con prassi aleatoria ante litteram quattro clarinetti suonano tonalità diverse e alla
velocità che preferiscono. Riceve ispirazione anche dal jazz, ad esempio nei Trois Rag Caprice (1922) e nel balletto La création du
monde (1923), basato su un mito africano della creazione del mondo, si ascoltano tra l’altro un fugato jazz e un episodio di blues.

POULENC (1899-1963): allievo di Ricardo Viñes che lo mette in contatto con Satie e Auric, porta con sé l’eco delle vacanze infantili in
campagna, a Nogent-sur-Marne, con la musica popolare, i bal-musettes e le orchestrine di paese. A Parigi frequenta i poeti
d’avanguardia e trascorre serate nei cabaret, music-hall, café-concerts, in cui si trova il modello di una musica semplice ma
comunicativa, che comincia a sperimentare nella sua produzione.
Gia alla fine degli anni Venti, Poulenc mostra una scrittura più densa e strutturata (definito parasettecentesco), ad esempio in opere
“neoclassiche”, come il delizioso Concerto champêtre 🎼 (Concerto campestre, 1928), per clavicembalo e orchestra commissionata dalla
clavicembalista Wanda Landowska, grazie alla quale viene riscoperta la musica per clavicembalo e viene riportata nelle sale (per cui
compone un concerto per clavicembalo anche Defalla). Poulenc si fa costruire un clavicembalo molto grande , quasi quanto un
pianoforte.
Negli anni Trenta la morte di due cari amici, lo avvicina ai temi religiosi che diventano un nuovo campo di creazione artistica, in cui il
compositore elabora uno stile personalissimo. La Messa in sol (1937), lo Stabat Mater (1950), il Gloria (1959), sono considerate tra le
sue opere più interessanti. Anche nel teatro accanto allo stile scanzonato de Lea Mamelles de Tirésias (da Apollinaire, 1947), troviamo
Les dialogues de Carmélites (da Bernanos, 1957, ambientato in convento), in cui Poulenc mostra di saper effettuare con la musica uno
sconvolgente scavo psicologico dell’universo femminile. Nel 1958 compone inoltre, La voix humaine 🎼 , literater oper su libretto di
Cocteau, ad atto unico e con una sola protagonista, il cui nome non viene mai fatto (chiamata Lei, Elle); ambientata a Parigi, la
protagonista viene svegliata dal suono del telefono, parla con l’uomo con cui si è appena lasciata, conversazione dolorosa (il pubblico
sente solo quello che dice Lei), egli si trova a casa della sua nuova amante che ascolta la conversazione dei due ex, finisce con Lei che
si suicida, scoperto il tradimento, con il filo del telefono, per il dolore della perdita dell’ex.
In quegli si collocano anche alcune famosissime sonate per strumento a fiato: per flauto 🎼 (1957), per clarinetto 🎼 (1962) e per oboe
(eseguita postuma nel 1963).

Quindi in questo periodo del ‘900 in Europa vediamo da un lato la seconda Scuola Viennese e dall’altro il gruppo dei sei (con
Neoclassicismo Stravinskiano), la cui tecnica viene insegnata dalla compositrice Stravinskiana Nadia Boulanger, per esempio agli
americani (Philipp Glasse e Aaron Copland), a cui viene spiegata anche a tonalità.

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L’INIZIO SECOLO NEGLI STATI UNITI

Anche il XIX secolo produce interessanti figure di musicisti “classici” nordamericani, a volte emigrati dall’Europa o autoctoni, ma certo il
modello europeo è inevitabile: Dvořák è l’unico a intuire che l’originalità americana può provenire dalla musica dei neri. Invita i
compositori bianchi a usare quei materiali e i musicisti neri a studiare in conservatorio. A seguito del periodo della segregazione razziale,
quando c’è una maggiore mescolanza tra bianchi e neri, nasce il jazz (infatti definita jazz age da Fitzgerald il periodo che va dalla fine
della prima guerra mondiale al crollo di Wall Street, 1929). La vera cultura autoctona però sarebbe quella dei nativi americani (i cosiddetti
“indiani” d’America) e non ottiene grandi sviluppi musicali.

Aspetto fondamentale della storia degli Stati Uniti d’America è che la nazione è stata formata in un “crogiolo” (melting pot) che fondeva
varie etnie di immigranti provenienti dall’Europa, nonché di schiavi neri deportati dall’Africa dal XVII secolo proclamati liberi da Lincoln nel
1863. Gli immigranti europei portarono con sé le loro tradizioni socioculturali, che trasmisero alle generazioni successive. La cultura
dominante fu naturalmente anglo-celtica e l’inglese divenne la lingua da studiare per europei e tutti gli altri.
Nella seconda meta del XIX secolo si ampliò notevolmente il flusso di immigranti provenienti dalla Germania; tra questi vi furono
numerosi musicist, alcuni dei quali conquistarono posizioni preminenti in importanti istituzioni musicali delle principali città.
Attivo diffusore di musica tedesca fu Bergmann (1821-1876), il quale contribuì notevolmente alla crescita qualitativa dell’orchestra della
Philarmonie Society of New York, fondata nel 1842 e della quale fu direttore dal 1855 al 1876.
I compositori più rappresentativi dell’Ottocento nati in America (John Paine, George Chadwick, Edward MacDowell e Horatio Parker)
facevano riferimento quasi esclusivamente ai modelli europei, specialmente del romanticismo tedesco. Questi musicisti andarono in
Europa, in Germani, per svolgere un periodo di studi di perfezionamento. Tornati in patria, stabilirono un modello di competenza
professionale e fornirono la base per l’educazione dei futuri musicisti. Paine divenne nel 1875 professore di musica all’università di
Harvard, occupando così la prima cattedra del genere in un’università americana. Parker ottenne un incarico simile all’università di Yalr r
MacDowell alla Columbia University.
La musica popolare era in America, espressione di una moltitudine di gente diversa ed estranea alle tradizioni della sala da concerto e
della musica sinfonica tedesca. Facevano parte del ricco patrimonio folkloristico dei canti religiosi e di lavoro, dei neri e dei bianchi,
musiche di suonatori ambulanti, musiche di banda, ballate d’autore composte da Stephan Foster (1826-1864), antiche melodie popolari
inglesi, francesi e di altre popolazioni di origine europea.
Tra i principali generi di canti popolari nati dalla fusione di stilemi europei e afro-americani, dai quali si svilupperà la musica jazz, figurano
i seguenti:

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- Gospel songs (“canti evangelici”), derivati dalla tradizione indica e salmodia corale, ebbero diffusione soprattutto urbana; aveva una
struttura responsoriale, articolata secondo lo schema domanda-risposta tra voce i solisti e coro; si prevedeva l’inserzione di un refrain
corale tra un certo numero di strofe;
- White spirituals (“canti spirituali bianchi”), coltivati dalla popolazioni bianche degli stati rurali e occidentali, erano spesso eseguiti
durante le riunioni di fedeli all’aperto;
- Negro spirituals, creati dagli schiavi neri dei territori meridionali, erano eseguiti in occasione delle cerimonie religiose, durante il lavoro
nelle piantagioni o durante le riunioni che si tenevano dopo il lavoro. I teti erano adattati perlopiù da passi della Bibbia, che fanno
riferimento alla crocifissione, al popolo ebreo perseguitato, alla sua schiavitù, alla liberazione ecc…; oppure riguardavano le
frustrazioni della disumana vita quotidiana. Per quanto riguarda la parte musicale, caratteristiche peculiari erano la struttura antifona e
l’elaborazione estemporanea, propria della tradizione orale, su frammenti di melodie, nonché l’uso di riti sincopati, sempre allineati da
movimenti del corpo;
- Blues (sentirsi blu, quindi malinconico), canti che traevano origine delle work songs degli schiavi neri degli stati meridionali, in
particolare dell’area del fiume Mississippi; malinconia e tristezza erano i caratteri fondamentali dei testi, legati alla sfera dei sentimenti
individuali, soggettivi; erano trattati prevalentemente temi d’amore e di protesta sociale. Nella forma più tipica, questi sono basati su
uno schema strofico e su giri armonici caratteristici; le strofe del testo erano strutturate di norma su tre versi, di cui il primo ripetuto. La
melodia era costituita da un ritornello di dodici battute, suddivise in tre frasi di quattro battute ciascuna, basate armonicamente su
accordi di tonica, dominante e sottodominante. Caratteristica propria dei blues era l’indeterminazione tra il modo maggiore e minore, a
causa delle blue notes, cioè i gradi III e IV della scala maggiore abbassati di un semitono o di un microfono inferiore. Lo schema
formale dei blues, un genere sorto come espressione esclusivamente vocale, fu tra quelli maggiormente utilizzati dai musicisti jazz.
Compositori dell’Ottocento americani usarono queste forme: Chadwick si distingue per l’impiego di melodie e ritmi che derivano dal
folklore bianco e afro-americani; MacDowell compone una Indian Suite su melodie degli indici d’America.
Così quindi sviluppò un’accresciuta coscienza nazionale soltanto a partire dai primi anni del Novecento, quando si decise di volgersi
verso nuovi stili e tecniche compositive che fossero di provenienza diversa dal tardo romanticismo tedesco.
Dopo la prima guerra mondiale, l’assurgere degli Stati Uniti al rango di potenza mondiale portò con sé un senso nuovo di
consapevolezza nazionale, unitamente ad un interesse e un’attenzione più immediati per le correnti europee contemporanee.
Dopo la guerra, i giovani compositori statunitensi, invece di andare in Germania, si recarono a Parigi e furono influenzati dalla “Nuova
Musica” e dalla corrente neoclassica. Alcuni tra i più votati si perfezionarono con Nadia Boulanger: Walter Piston, Virgil Thomson, Roy
Harris, Aaron Copland. Tutti questi ebbero ruoli importanti in varie università americane, inoltre, per creare uno stile di impronta
americana, cercarono di fondere elementi melodico-ritmici del jazz e del repertorio folkloristico nazionale con stilemi di origine europea
(Copland). Egli scrisse una serie di lavori sinfonici in stile neoclassico di ascendenza stravinskiana che fanno uso di autentiche
melodiche folkloristiche e di motivi popolari di danza (La taverna Messico, il Giovane Billy, Rodeo, Primavera appalachiana).
Altri compositori americani seguirono un indirizzo diverso: convogliarono le loro energie creative verso la messa a punto di un linguaggio
di sorprendente modernità, tra cui Charles Ives.

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Un altro compositore americano che elaborò un linguaggio musicale moderno fu Henry Cowell (1897-1965): tra il 1912 e il 1930
sperimento sul pianoforte sonorità nuove e introdusse tecniche esecutive che saranno alla base del pianino d’avanguardia:
1. Agglomerati armonici di suoni contigui che definì Tone clusters (“agglomerati di suoni”), la cui realizzazione richiede l’uso del pugno,
del braccio e del palmo della mano;
2. Manipolazione delle corde in vari modi: in Aeolian harp (1926) per pianoforte, una mando deve premere i martelletti dei tasti senza
suoarli, mentre l’altra mano mette in vibrazione le corde; in Piano Piece (1924) ricorrono sia cluster sia la manipolazione delle corde.
Inoltre Cowell svolse un ruolo di primo piano nel promuovere iniziative volte alla diffusione della nuova musica americana, soprattutto di
Ives. Nel 1927 fondò una collana di musiche contemporanee “New Music”, e pubblicò numerosi studi e saggi, frutto delle sue ricerche.

Con l’affermazione dei regimi totalitari e l’aggravarsi delle vicende politiche in Europa negli anni Trenta, diverse personalità, tra le più
importanti nel campo della musica, emigrarono negli Stati Uniti, dando un notevole contributo all’arricchimento della vita e dell’istruzione
musical e del paese (Schoenberg, Stravinsky, Hindemith e Bartok). Le loro idee avanzate stimolarono le tendenze musicali dei decenni
successivi. La musica di Stravinsky fu pressa a modello da numerosi compositori statunitensi, i quali diedero vita ad una vera e propria
corrente “neoclassica”. Diversi compositori adottarono il metodo dodecafonico Schoenberghiano. Tra quelli di maggior rilievo: Carter,
Weisgall, Perle, Babbitt.
Sull’esempio di Varese, altri compositori iniziarono indagini su moderni strumenti tecnologici, specialmente dei generatori elettronici e
calcolatori; tra i principali: Babbitt, Luening, Ussachevsky. Questo condusse alla nascita di studi di musica elettronica presso università
come la Columbia e Princeton.
Un posto particolare lo tengono i generi di musica in cui si fondono certi tratti stilistici della tradizione colta e la pratica della musica
d’intrattenimento e della facile comunicazione spettacolare: nasce così il genere della musical comedy, o musical, fiorito a Broadway:
sorta di adattamento al gusto americano dell’operetta europea. È un tipo di spettacolo teatrale di carattere brillante, misto di musica,
danza e dialoghi parlati. Ad un intreccio di ambientazione attuale, ora comico, ora sentimentale (anche motivi tragici), di norma legata alla
realtà popolare americana, si accompagnano brani musicali di facile comunicativa, alcuni di rara sottigliezza e qualità musicale: canzoni
di musica leggera, pezzi d’assieme, cori, balli, brani ispirati all’opera lirica.
Tra i più apprezzati compositori di musical figurano: Jerome Kern, Cole Porter, George Gershwin, Richard Rodgers, Leonard Bernstein.
Molte loro creazioni hanno acquisito ampia popolarità e sovente sono state realizzate anche in versione cinematografica.
I musical di successo: Oklahoma (1943) di Rodgers e West Side Story (1957) di Bernstein; quest’ultimo ispirato allo shakesperiano
Romeo e Giulietta trasposto in chiave contemporanea (narra delle faide giovanili, negli slum di New York), è caratterizzato da
un’orchestrazione brillante, vivaci ritmi jazz e di danze latino-americano.
Capolavoro del teatro musicale americano è Porgy and Bess (1935) di Gershwin. L’azione dell’opera in tre atti, che l’autore chiamò
“dramma musicale”, si svolge in una comunità nera e racconta la storia di un mendicante di Charleston (Porgy) innamorato di Bess. Nelle
canzoni, duetti, pezzi d’assieme - legati tra loro dal recitativo e dal dialogo - Gershwin attinge a elementi del patrimonio folkloristico e
jazzistico afro-americano (blues, spirituals, canti di lavoro ecc…), fondendoli con convenzioni vocali del melodramma pucciniano e con
stilemi “colti”, nonché con tratti stilistici personali.
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CHARLES IVES (1874-1954)

La sua produzione comprende un numero cospicuo di brani cameristici e per pianoforte, circa 150 Lieder per voce e pianoforte, opere
corali, quattro sinfonie e altra musica orchestrale.
Queste composizioni, scritte tra il 1895 e il 1917, rivelano una libertà fantasiosa, un’arditezza inventiva tipiche della sua mentalità. Senza
rifiutare totalmente la tradizione, egli elaborò una sintassi musicale tanto complessa quanto aliena da ogni sistematicità, aperta a ogni
struttura sonora che potesse soddisfare la propria ispirazione personale. Carattere tipico e originale della sua musica è il frequente
impiego di citazioni di motivi popolari, distorti armonicamente e spesso sovrapposti a contrastanti masse sonore, e combinanti con ritmi
intricatissimi e con densi tessuti contrappuntistici. Questo gusto avventuroso per lo sperimentalismo che interessa tutte le componenti del
linguaggio musicale (disegni melodici atonali, quarti di tono, politonalità accordi per quarte, poliritmi) indubbiamente affonda le sue radici
nel movimento filosofico trascendentalista americano di ispirazione fortemente libertaria (principali esponenti Emersone e Thoreau).
I trascendalisti ebbero una visione soprattutto particolare - panteistica e aut tempo umanitario democratica - della vita, basata su ideali di
libertà intellettuale e di fedeltà nelle capacità dell’uomo. Questo fu il canone dell’estetica di Ives.
Egli credeva profondamente nell’uomo, in ciò che di buono, di autentico vi è in lui. Nel saggio “The Majority” (1919-1920) esalta la “Mente
universale” di ascendenza emersoniana, libera dai condizionamenti e dal conformismo che la società impone all’uomo.
Ispirata ai filosofi trascendalisti è la Seconda sonata per pianoforte (1915). Ognuno dei quattro ampi movimenti della sonata sono
dedicati rispettivamente a Emerson, Hawthorne, Alcotts e Thoreau.
Il lavoro è caratterizzato da una scrittura rapsodica che elimina frequentemente le stanghette di attuta e raggiunge sulla tastiera effetti
timbrici e armonici inusitati, tra l’altro con l’uso di cluster.
L’intento del compositore di riempire la musica di contenuti filosofici è presente nella composizione “La domanda senza risposta” (1906).

Ives vive nel periodo del cosiddetto “Rinascimento americano” che vede nel New England l’affermazione della corrente filosofica del
Trascendentalismo Di R. Emerson: in musica questo Rinascimento produce il filone schumanniano-brahmsiano dei cosiddetti “Boston
classicists” (come Chadwick, Beach, Parker, insegnante di Ives a Yale).
Ives, istruito dal padre George direttore di banda, termina gli studi con Parler a Yale; rimane influenzato dal mondo musicale delle
cittadine di provincia, dalle feste, dai Camp Meetings (riunioni all’aperto), dagli inni ecclesiastici e dalle parate delle bande. Inizia quindi a
sviluppare intuizioni nel campo della musica sacra (lavora anche come organista), dove sperimenta politonalità, poliritmie,
sovrapposizioni spaziali del suono, ecc… La sua musica è di valori radicali, di purezza americana (eterosessuali, banda, machilismo,
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chiesa). Sperimenta anche molto, suo padre è direttore di banda e sperimenta molto, per esempio fa venire 3/4 differenti ed ognuna
suona un brano diverso.
A Yale approfondisce comunque le sue conoscenze filosofiche: dedica al Trascendentalismo una delle sue opere più note, scritta tra
1907 e 1915, la Sonata per pianoforte n. 2 Concord Mass. 🎼 (1840-1860). i cui quattro movimenti sono intitolati a eminenti esponenti di
quella corrente. Già in questa composizione si apprezza la capacità di sovrapporre gli elementi più diversi: questo evidente anche nel
brano The Unanswered Question (🎼 ), brano esistenzialista, dove si ascoltano i piani separati (orchestra in 3 blocchi) della tromba
(domanda fondamentale sull’esistenza), di un quartetto di flauti (atteggiamento superficiale degli uomini, espresso con fortissimi e
accordi dissonanti) e di un gruppo di archi (i quali tengono accordi modali lunghi, rappresenta il silenzio dei saggi Druidi); la tromba ripete
un motivo molto spesso e rappresentano le domande che vengono fatte dagli uomini, infatti questo tema viene fatto anche dai flauti ma
in maniera storpiata. L’eterna domanda rimane senza risposta.
Dopo la laurea (1898), Ives si impiega nelle assicurazioni, dove riscuote successo, compone infatti solo in vacanza e nel tempo libero.
Scrive ampi brani sinfonici in cui usa la tecnica “borrowing”, accumulando, mescolando eterofonicamente, ricucendo e fagocitando
elementi di provenienza diversa, con risultati a volte di cacofonia, a volte di inquietante disgregazione. Le sue opere vengono scoperte
negli anni ’30, quando lui si ammala.
Citiamo ad esempio i paesaggi della memoria Holidays Symphony (1904-1913) “reminiscenza delle festività di un ragazzo in una
cittadina rurale del Connecticut”: ogni movimento è riferito a una festività americana tele citazioni emergono e scompaiono dal magma
orchestrale come in un autentico “flusso di coscienza” joyciano.
🎼 Camping Band March (1905): caratterizzato da molti temi americani appiccitati, cambio ritmo quindi poliritmico, politonale,
Stravinskiano.
Egli sostiene di aver inventato l’atonalità, la politonalità, ecc.. prima degli europei, che lui sia stato il primo in tutto; inoltre aggiunge che
tutto ciò è dovuto dal padre, non sappiamo bene il motivo però dato che tutto quello che sappiamo su Ives l’ha scritto lui stesso.
Quando viene scoperto diventa automaticamente il padre fondatore della musica americana.
Un’altra composizione sperimentale è Halloween (1906) per quartetto d’archi e pianoforte, di 18 battute, di quattro tonalità diverse (una
per ogni componente del quartetto); il pezzo può essere suonato quattro volte di seguito, ogni volta variando l’organico strumentale. È
una concezione formale che sarà accolta dalle future generazioni dei compositori dell’avanguardia musicale.

GEORGE GERSHWIN (1898-1937)


Mette a frutto le sue doti di pianista e di improvvisatore, da autodidatta, proprio lavorando sui piani, sui dimostratori di Tin Pan Alley (casa
industriale di musica americana) e fa presto successo con le sue celeberrime canzoni (quindi canzonettista) e con i musical a Broadway.
Vuole diventare però compositore, quindi cerca lezioni da Ravel e Stravinsky, i quali però non sono molto convinti di fare lezione a un

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canzoniere. Il viaggio a Parigi (per cui poi compone An American in Paris), lo porta a conoscere la musica europea e si porta con sé la
musica di Berg (come fosse la Bibbia). Poi dato che muore presto non conosce approfonditamente la musica colta
Si impegna però anche nella mescolanza tra questo linguaggio musicale e la tradizione sinfonica europea, così nascono opere come:
• Rhapsody in Blue 🎼 (1924), per pianoforte e orchestra jazz di bianchi che “purifica” il jazz dei neri, all’inizio la improvvisa, poi la
compone e la fa orchestrare, è un aggregato di temi diversi di stampo jazz; Blue inteso com Blues.
• Concerto in fa per pianoforte (1925),
• An American in Paris (poema sinfonico orchestrale, ma molte canzoncine 1928), che uniscono una naturale comunicativa melodica, un
elegante senso dello Swing e una scrittura orchestrale che può consacrare il “jazz sinfonico”.
• Lady be Good (1924)
Stesso intento viene raggiunto nel campo teatrale con Porgy and Bess (1935): opera con protagonisti neri (black opera) che sfrutta
spunti del musical e anche del blues e degli spirituali in una vicenda molto drammatica; grane successo per l’unione di cultura “alta” e
cultura “bassa”.
Gershwin importante principalmente in America, in Europa non ottiene molto successo.

LEONARD BERNSTEIN (1918-1990)


Di famiglia di emigrati ebrei russi, famoso più come direttore che compositore, a parte per West Side Story che riscuote tantissimo
successo, sempre accusato di “eclettismo”, nella sua produzione sinfonica, per il teatro (l’opera Candide, 1956, soggetto di Voltaire) e di
ispirazione sacra (Chichester Psalms, 1965, o Mass, 1972).
Definito l’erede più accurato di Gershwin, egli sostiene però che il secondo non sia un vero e proprio compositore, ma un creatore di
temi; il compositore li manipola e li sviluppa.
Stravinsky può essere simile, poiché non sviluppa temi, ma sa che la musica si sviluppa, Gershwin proprio non lo sa fare).

AARON COPLAND (1900-1990)


Completa la sua formazione a Parigi con Nadia Boulanger (1887-1979), compositrice e organista francese di fede neoclassica
stravinskiana. Trascorre una lunga vita, quindi passa da tantissimi stili, fase sperimentale e fase dodecafonica.
In patria dal 1924, nel periodo della Grande Depressione (della crisi economica del 1929, risolta con Roosvelt che offre lavoro nel
costruire opere pubbliche, e finanzia anche artisti, che collaborassero alla crescita artistica della nazione, che influisse a sua volta sulla
società, stimolo sociale) manifesta simpatie comuniste, socialiste per Roosvelt. Copland compone musica per radio anche.
Viene inoltre invitato in Messico nel 1923 da Chávez (socialista) per analizzare la musica popolare: in seguito riporta le impressioni del
soggiorno nel poema sinfonico populista El Salón México (1936), con cui raggiunge il successo di pubblico che non gli avevano dato le
precedenti partiture moderniste (comunque continua a scrivere opere complesse che impiegano procedimenti seriali). Prosegue nella
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ricerca di uno stile musicale chiaro e comunicativo, ad esempio con Billy the Kid (1938-1939), Rodeo (1942), Appalachian Spring (1945),
in cui all’evocazione di vaste praterie si accosta la citazione di melodie da cowboy, ben rappresentando il nazionalismo e il populismo
dell’età roosveltiana, che dal lato jazzistico sviluppa la cosiddetta Swing era.
Fanfare for the common man (1940), brano importante per l’epoca, “il ventunesimo secolo sarebbe stato il secolo del common man”,
diviene la sigla dell’orchestra, tanti ottoni e timpani.

Quindi un pubblico capitalista che ascolta da Beeethoven a Sibelius, pubblico di professori e critici, internazionalista che ascolta musica
di avanguardia, e un pubblico urbano colto invece ascolta una musica on linguaggio accessibile come Bernstein.

JOHN CAGE (1912-1992)


Allievo di Schoenberg, che definisce ‘allievo un inventore, e di Cowell, viaggia in Europa. Artista di rottura, si ispira al dadaismo e all’arte
come gioco e provocazione; considerato un autore di nicchia, non cerca il bello, non esiste più il concetto di bello.
Lo sperimentalismo è sempre una sua caratteristica, alla ricerca di un concetto di arte totalmente nuovo. Già nel 1939 in Imaginary
Landscape n.1 Cage usa un grammofono fra gli strumenti musicali, facendo girare un disco con qualunque musica “classica” a velocità
variabile.
Un’altra celebre trovata è quella del pianoforte preparato. Cage ama le percussioni e fornisce musica per balletti, ma a volte sul palco
non c’è abbastanza spazio per gli strumenti e allora il compositore inizia a modificare il timbro del pianoforte, sistemando nella cordiera
oggetti diversi ((in realtà era già stato inventato). Questa pratica spersonalizza e de-storicizza il pianoforte che diventa adatto a riprodurre
- secondo quanto Cage afferma per le 16 sonate e i 4 interludi (1946-1948) - gli immutabili stati d’animo della tradizione indiana.
L’interesse per il misticismo orientale (la dottrina Zen in particolare, nella meditazione ti trovi da solo, immerso nel silenzio), insieme alla
contestazione della tecnologia e del razionalismo, fa parte degli anni Cinquanta dei filoni della cultura beat. Esso pone anche l’accento
sul gesto artistico in se stesso e sull’aspetto indeterminato e improvvisato dell’esperienza performativa: anche nell’arte figurativa tecniche
come l’action painting (J. Pollock) esaltano il processo artistico più del risultato. Cage è l’inventore dell’happening (momento che porta
alla contestazione), molto famoso in America, diventa poi la beat generation che in seguito si muta negli anni Settanta nel movimento
hippy.
Inventa inoltre il Toy Piano (pianoforte giocattolo), orientaleggiante, con scala pentatonica, semplificazione e purezza della musica, sorta
di infantilism.
Cage, prima di Pollock, apprezza Mark Tobey, il pittore dei grandi quadri bianchi: in musica è affascinato dal rumore, ma anche dal
silenzio. Inoltre, desidera liberare il suono dalle necessità di esprimere contenuti umani: a tal fine dopo il 1950 introduce sia
nell’esecuzione sia nella composizione il concetto di indeterminazione, usando vari procedimenti aleatori. Uno è l’utilizzo dell’I Ching (Il
libro sapienzale dei mutamenti, usato nella cultura cinese per ottenere previsioni interpretando il lancio di tre monete) per le scelte dei
parametri sonori da utilizzare per esempio nella Music of Changes per pianoforte; altri prevedono la casualità nei mezzi esecutivi o nella

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sequenza dei frammenti musicali da eseguire, in successione o in sovrapposizione. Quindi composizione basta sul caso, Cage dispone
delle carte, scrive note sulle carte e poi il resto lo fa il caso, pensiero molto orientale.
🎼 La fascinazione per il silenzio ha la dimostrazione più famosa nel brano 4’33 (1952) nella versione per pianoforte, non suona niente
per 4 minuti e 33 secondi. L’intento è quello di proporre l’ascolto di tutti i suoni che naturalmente si generano durante una performance
(sedie che scricchiolano, tosse del pubblico, ecc…). Inoltre il brano è stato “eseguito” con organici diversi, esso è una composizione
anche filosofica, si chiede cosa sia la musica, il silenzio non esiste in natura, quindi dove comincia e dove finisce la musica? La musica è
tale dal momento in cui la consideri musica e quando la inquadri in un contesto, in una cornice (palcoscenico).
Allo stesso anno (1952) risale la Water music, non ha un senso, vuole dimostrare che arte e musica hanno la fisicità di chi le fa, il
pubblico la riconosce come performance.
In performance di questo tipo si evidenzia la personalità di Cage come filosofo della musica: approcci come questo alla musica irritano i
tradizionalisti o i fautori di musiche anche sperimentali. Egli rompe una sintassi, vuole suscitare tanti sentimenti contrastanti: ribellione,
risentimento, ecc.., diventa una sorta di “Teatro dell’Assurdo”.
Quando Cage va a Darmstadt, determina una specie di rivoluzione: è uno dei primi americani che influenza la musica “colta” europea.
Nel 1956 compone la Radio Music per esecutore e radio, in partitura ci sono segnate delle frequenze, quindi basta sintonizzarsi.
Nel 1959 porta in giro una “conferenza sul niente”, il testo va letto ritmicamente, 4 colonne, ci sono domande con risposte già scritte.
• 🎼 Sonata 5 per piano preparato
• 🎼 Suite per toy piano;
• 🎼 Radio Musica;
• 🎼 Water Music.

MORTON FELDMAN (1926-1987)


Compositore americano che lavora sul tempo e le durate; scrive opere degli anni ’50, non come Cage che esegue solo performance.
Quasi compositore minimalista, deriva dalle meditazione originale. Per esempio il brano For Christian Wolff 🎼 che dura 3.20h con
pianoforte, flauto, celesta ecc… non c’è niente, i cambiamenti sono minimi.
La musica è l’arte del tempo, è giusto concentrarsi sul tempo. Guarda molto alla musica indiana e orientale che accompagna le
meditazioni.

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EDGARD VARESE (1883-1965)

Compositore che diede un decisivo contributo alla musica americana d’avanguardia.


Nato a Parigi da padre italiano, Varese abbandonò gli studi di matematica per dedicarsi alla musica; frequentò la Schola Cantorum d’Indy
a Parigi e il Conservatoire (190-1907). Si trasferì poi a Berlino, dove intrattenne intense relazioni con i più importanti esponenti della
musica mitteleuropea e dove guadagnò la stima di Mahler, R. Strauss e Busoni.
Da quest’ultimo ottenne aiuto e incoraggiamento, subendo fortemente l’influsso del suo pensiero estetico della concezione avveniristica
della musica. Dal 1915 fissò la sua definitiva residenza negli Stati Uniti della cultura avanguardista (movimento dadaista) e intraprese
una serie di iniziative intese alla esecuzione e alla diffusione della musica contemporanea. Delle opere composte in Europa non ci
rimane più niente, solo un Lied, andarono tutte smarrite o distrutte. Fin dalle prime opere “superstiti” si concentrò sull’esplorazione di
sonorità dove viene meno la netta distinzione tra “suono” e “rumore”, perseguite per mezzo di organici strumentali inconsueti, e per
mezzo anche delle registrazioni su nastro magnetico. In questo senso nel dopoguerra egli si impose come modello e come punto di
riferimento obbligato per le giovani generazioni di compositori di musica elettronica. Partendo dal presupposto che la musica è un “arte-
scienza”, e pertanto governata dalle leggi fisiche dell’acustica, considerava il suono non tanto come una nota legata a regole arbitrarie
(influsso Debussy), ma come una frequenza sonora precisa, organizzata in rapporto matematico ad altre.
Vale notare che Varese attribuiva alle sue composizioni titoli evocativi, presi in prestito dalla fisica e dalla matematica (Hyperprism,
Density 21.5, Ionisation, ecc…). In questo contesto l’elemento melodico-tematico viene a perdere una funzione determinante nella
dinamica espressiva, mentre il timbro e il ritmo diventano valori assoluti, molto più di quanto lo fossero in precedenza. Di qui la riduzione,
quasi totale, nella sua musica delle presenza tematiche (non vi è mai un vero e proprio sviluppo tematico), ridotte a motti aforistici, in un
continuo intreccio di comparizioni e sparizioni. La dimensione ritmica, invece è pienamente valorizzata, gli strumenti a percussione
svolgono infatti un ruolo fondamentale.
Del tutto anticonvenzionale è l’armonia: gli aggregati accordali sono concepiti all’infuori di ogni processo logico di relazioni tonali; di qui
l’eccezionale dissonanza della musica.
Nelle sue opere tra il 1921 e il 1936, sorprendenti per la loro modernità, Varese impiega uno straordinario assortimento di strumenti
percussione; 20 in Ameriques (Americhe, 1921), 18 in Hyperprism (1923), 17 in Integrals (1925).
Hyperprism è organizzata attorno alla ripetizione di una stessa nota (do diesis), innestata, con l’eventuale aggiunta di appoggiature
cromatiche, in un fitto intreccio di comparizioni e sparizioni di singoli strumenti o gruppi strumentali, cui sono affidate cellule ritmiche e
melodiche elementari. Del tutto singolare è l’organico di Ionisation (1931), che segna il radicale rifiuto del suono orchestrale tradizionale.
È formato da 41 strumenti a percussione suonati da 13 esecutori, più due sirene e un pianoforte trattato anch’esso percussivamente e
usato per produrre cluster nel registro grave. La composizione è basata sul contrasto di blocchi di suoni diversi e sulla sovrapposizione di
figure ritmiche differenziate.
Density 21.5 per flauto solo si riferisce alla densità del platino con cui era costruito il flauto di George Barrere, per cui fu scritto il brano;
brano punto di riferimento per i posteri: viene esplorata, con ampia varietà, la vasta gamma di possibilità melodiche, timbriche e persino
ritmica dello strumento.
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In Deserts per 14 fiati, pianoforte, 5 percussioni e nastro magnetico, la parte strumentale è interpolata con tre episodi di suoni elaborati
su nastro e trasmessi stereofonicamente. La composizione procede in una continua, fluida alternanza di aggregati sonori.
Varese realizzò il Poema elettronico, la sua unica composizione interamente elettronica, commissionata dalla Philips, da riprodurre in
425 altoparlanti simultaneamente alla proiezione di luci e di immagini. Suoni sintetici e suoni naturali, tra cui la voce umana, vengono
elaborati e tra loro perfettamente integrati su nastro magnetico.

RIVOLUZIONE DELL’ARTE, DALLA RUSSIA ALL’URSS

Possiamo dividere la storia dell’unione sovietica in più fasi: quella rivoluzionaria (dal 1917 alla morte di Lenin, 1924), quella dello
Stalinismo (1930-1953), quella di Chruščëv e infine Brežnev e Kosygin.
Gli avvenimenti della Russia del primo Novecento, oltre a influenzare il popolo russo, influenzano anche l’arte: dopo la fallita rivoluzione
del 1905, l’insurrezione di Pietrogrado del 1917 (rivoluzione di ottobre) costituisce un evento traumatico, ma anche foriero di nuove idee.
Gli anni della guerra civile (1918-1922, URSS), dell’affermazione di Stalin come segretario generale del partito comunista (1924) e del
primo piano quinquennale (1928-1932), sono un periodo di grandi fermenti culturali, in cui gli artisti si trovano di fronte a un nuovo
pubblico (non più solo gli aristocratici, anche massa popolare), al quale vogliono offrire l’arte più moderna e sperimentale.
Sono gli anni del Futurismo russo (ispirato a quello italiano), del poeta Vladimir Majakovskij, del mito della macchina e della glorificazione
della rivoluzione come spinta verso un futuro meccanizzato e felice. Quindi si vuole dimenticare l’800, desiderio di essere più “crudi”,
questo dovuto anche dall’ambito politico, Lunačarskij, ministro che rappresenta la sperimentazione sul campo sociale (fino a 1924).
Molti musicisti condividono l’entusiasmo di questa fase “libertaria”: tra questi Shostakovich.
L’affermazione dell’URSS e lo sviluppo economico cominciano a diventare tema centrale di ogni politica: attraverso i piani quinquennali
tutte le energie del Paese, comprese quelle intellettuali, devono aiutare a perseguire gli obiettivi economici fissati.
Nel 1934 quindi vengono definiti i principi del realismo socialista, “Estetica del realismo socialista”: in particolare a opera dello scrittore
Gor’kij e del potente funzionario Ždanov (che si occupa principalmente della musica).
Si chiede dunque agli artisti di essere “ingegneri delle anime”: di diffondere l’ottimismo rivoluzionario, di favorire il senso di appartenenza
alla comunità popolare, di fornire arte comprensibile al popolo, quindi parlando dell’esaltazione del lavoro, delle donne che devono avere
figli, dell’ottimismo e del progresso e tutto ciò che aiuta la razionalità, non c’è l’io, né sentimenti personali, no all’individualità, ognuno fa
parte di un ingranaggio della società: l’introspezione rappresenta il regresso, non serve.
In musica questo si esprime con l’uso della tonalità, della chiarezza, nell’arte del figurismo(?) e realismo.
Quindi ci si trova contro il Modernismo e le avanguardie, bollati come “formalismo”, che in Europa ha l’esatto opposto significato, ovvero
formalista, colui che segue le forme classiche; coloro che seguono le forme in Russia sono i realisti, che scrivono in un linguaggio che
tutti possono comprendere, quindi in forme classico-romantiche. Inoltre si preferisce nel campo musicale l’opera, la musica da film e il
balletto poiché comunicano tramite immagini e storia, quindi arriva in maniera più diretta al popolo.
Quindi carattere di ingiunzione politica: tutto viene sottoposto a censura (preventiva o successiva).
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La diffidenza nei confronti del Modernismo accomuna in modo tragicamente comico la censura sovietica a quella hitleriana: ciò che i
russi chiamano “formalismo borghese” è definito dai nazisti “bolscevismo culturale”.
Tutto ciò si verifica con le cosiddette “purghe” (dal 1936) e repressioni che durano per tutta l’era di Stalin (morto nel 1953): molti artisti
vengono deportati o messi in condizioni di non poter agire. I musicisti non hanno vicende così drammatiche invece, ma rischiano
continuamente l’ostracismo. Nelle purghe finiscono tutti coloro che si esprimono contro lo stato o se hanno qualche problema con
qualcuno all’interno dell’istituzione, a volte invece non c’era un vero e proprio motivo.
Negli anni Sessanta a poco a poco il controllo burocratico comincia ad allentarsi: molti lavori censurati in epoca staliniani vengono ripresi
(tra essi Lady Macbeth col titolo Katerina Ismaijlova nel 1962), cominciano le aperture verso l’Occidente e la sua arte modernista: nel
1962 Stravinsky pure ritorna in patria.
La politica culturale comunque ancora oscilla tra libertà espressiva e rispetto dei canoni, pur se allargati, del realismo socialista.
Gli anni Settanta vedono svilupparsi il “dissenso” di molti intellettuali di varia inclinazione, ma per quanto riguarda la musica sono anche
anni fecondi, in cui cresce una nuova avanguardia sovietica, capace di integrare le acquisizioni del linguaggio occidentale con la matrice
tradizionale russa; tra questi compositori di avanguardia abbiamo: Sofija Gubajdulina e Schnittke per esempio, che ottengono un’ampia
notorietà anche in Occidente.

Tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento quindi il linguaggio musicale dei principali compositori russi si arricchì di nuovi elementi,
in parte ereditati dal “Gruppo dei Cinque”, in parte dall’Occidente (musica del tardo romanticismo tedesco). Ampie ripercussioni ebbe in
campo musicale nella Russia dell’epoca, il movimento letterario simbolista a sfondo decadentistico; il simbolismo russo ebbe la sua più
importante espressione nelle speculazioni mistiche e teosofiche di pensatori e filosofi scrittori come Solov’ev e Merezkovskij (autore della
raccolta di versi “Simboli”, 1893). Quest’ultimo si sentì chiamato da una missione profetica. Divenne l’anima di raduni filosofico - religiosi,
durante i quali i laici e il clero si facevano interamente preti della vocazione messianica del popolo russo.
In campo musicale, il maggior interprete delle esperienze mistiche ed estatiche del decadentismo russo fu Skrjabin.

La situazione politica emersa dalla Rivoluzione bolscevica di ottobre del 1917 influì solo gradualmente sulla produzione dei singoli
compositori russi. Alcuni di essi, quali Stravinsky, Rachmaninov e Prokofiev preferirono lasciare il paese, mentre altri cercarono di
adeguare ai nuovi contenuti politici, ideologici e sociali l’espressione musicale.
Tra le personalità che riuscirono a distinguersi nella vita musicale dell’URSS, figurarono Glazunov, il quale conservò il suo posto di
direttore al Conservatorio di San Pietroburgo, Mkaskovskij, autore di una vasta produzione sinfonica; i suoi allievi Khachaturjan e
Kabalevskij. Quest’ultimo dimostrò un interesse costante nei confronti dell’educazione musicale e della composizione di musica per
ragazzi.
Nei primi anni dopo la Rivoluzione comparvero diverse organizzazioni che avrebbero svolto un ruolo importante nello sviluppo musicale
della nazione. Nel 1923 fu fondata “la Società dei musicisti proletari”, conosciuta come APM, ribattezzata nel 1929 “Società russa dei
musicisti proletari” (RAPM). Suo scopo principale era la divulgazione dell’ideologia marxista in campo musicale ed era ostile alla musica
dei classici, considerati “borghesi”. Nel 1924 fu fondata al “Società per la musica contemporanea” (ASM), particolarmente attiva a
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Leningrado (ora a San Pietroburgo), che rivolgeva invece molta attenzione ai movimenti d’avanguardia dell’Europa occidentale e
difendeva l’autonomia del musicista creativo.
In effetti la politica culturale di Lunacarskij era impostata sulla piena apertura a tutte le tendenze moderne e ambiva alla massima
divulgazione della musica tra il popolo. Negli anni Venti. Si mantenne, infatti, molto vivo in URSS l’interesse per i vari tipi di
sperimentazione musicale. Nel 1923 venne fondata la “Società per la musica a quarti di tono”. Vasta attenzione suscitò anche all’estero il
primo episodio (Zavod, la Fabbrica) della suite del balletto Stal (Acciaio, 1926), di Mosolov.
Ma già nel 1924 il regime sovietico cominciò a sottoporre ogni attività artistica a forme di pressione politica e di censura: le opere d’arte
dovevano essere comprese e amate dalle masse (quindi evitare tendenze moderniste) e dovevano asservire alla finalità dell’edificazione
socialista. L’artista non doveva isolarsi dal suo ambiente, ma doveva assoggettarsi, in totale subordinazione, alla politica culturale del
Partito comunista; si scoraggiò pertanto l’espressione degli ideali individuali e di emozioni soggettive.
Specialmente durante l’epoca della dittatura di Stalin (1922-1953), la cultura sovietica fu fortemente e ottusamente condizionata dalla
dottrina estetica del “realismo socialista”, additata dall’allora segretario del Comitato centrale del Partito Comunista Zdanov (1896-1948).
Realismo socialista: “presentazione fedele e storicamente concreta della realtà nel suo sviluppo rivoluzionario unita al dovere del
commento ideologico e dell’educazione dei lavoratori nello spirito del socialismo”.
Allo scopo di salvaguardare il realismo socialista nell’arte, il Partito comunista disciolse le società di scrittori e musicisti (per es la RAPM)
e le sostituì con associazioni di categoria che, nel campo musicale, assunsero la denominazione di “Unione dei compositori sovietici”.
Su alcune composizioni non ritenute adeguate ai canoni estetici del realismo, si abbatterono le pesanti censure della critica del regime:
l’opera Lady Macbeth nel distretto di Mtsenk (1934) di Shostakovich fu duramente attaccata in un articolo del 1936 sulla Pravda (giornale
ufficiale del Partito comunista) intitolato Caos anziché musica. Nonostante avesse riscosso successo per due anni, l’opera fu ritirata dalle
scene.
Tra le conseguenze della rigida politica culturale staliniana, ci fu la fioritura di generi musicali scenici )opera, balletto, musica per film),
opere vocali e sinfoniche celebrative e a programma improntate ad un gusto trionfalistico e retorico.
Bandita doveva essere ogni forma di modernismo linguistico, ed in particolare modo la dodecafonia. Per infondere alle opere musicali un
forte ottimismo rivoluzionario e un carattere patriottico celebrativo, si dovevano privilegiare le melodie vigorose, aperte all’influsso del
canto popolare russo, scandite da ritmi briosi, accompagnate da un linguaggio armonico essenzialmente diatonico. La musica da
camera, quella pianistica, e quella per canto e pianoforte, era un genere per pochi, per gente colta, e pertanto ne venne scoraggiata la
composizione. Tra i compositori russi della prima metà del Novecento che si distinsero per la produzione musicale copiosa e multiofrme,
di grande profondità espressiva, figurarono Prokofiev (1891-1953) e Shostakovich (1906-1975).

ALEKSANDR NIKOLAEVIč SKRJABIN (1872-1915)

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Nato a Mosca in una famiglia aristocratica, Skrjabin studia al Conservatorio di Mosca e si afferma come virtuoso pianista, sia in patria
sian Europa occidentale. Visse a lungo all’estero, a Parigi, a Bruxelles e in Svizzera. Si stabilì definitivamente a Mosca nel 1910. Sempre
interessato di filosofia, di quella di Nietzsche e di Merezkovskij, egli introdusse nella sua produzione una particolare concezione mistico-
teosofica, in composizioni come Le poema divin, il Poeme de l’extase e Prométhée: le poème du feu, un poema sinfonico per grande
orchestra, pianoforte, organo, coro senza parole e tastiera per luci (clavier à lumières), uno strumento concepito appositamente per
porre in relazione suoni e colori. Per l’esecuzione di questo lavoro il compositore aveva infatti progettato di fondere misticamente
elementi sonori e visivi. Azionando la “tastiera per luci” si sarebbe dovuta proiettare su uno schermo una luce intensa, colorata secondo
la sua corrispondenza con vari accordi della musica. In questa composizione Skrjabin tentò di realizzare una sintesi completa di tute le
arti (una sorta di Gesamtkunstwerk wagneriano, ma non teatrale come quello di Wagner), destinata a culminare in un capolavoro -
Mysterium, a lungo meditato ma mai completato - una sorta di rituale magico, in cui suoni, luci, profumi, danze avrebbero dovuto
portare gli spettatori a mistiche visioni. Per giungere ad una revisione radicale del linguaggio musicale, ideò un “accordo mistico”, che
fu introdotto per la prima volta in Prometeo e che è alla base di molte sue composizioni. Si tratta di un aggregato di sei suoni formato
sovrapponendo una serie di quarte di vario tipo (due eccedenti, una diminuita e due giuste).
Skrjabin era convinto che la musica fosse fondata sulla fisica, opinione molto diffusa nel 1900. L’accordo per quarte, in effetti, non è
altro che un accordo di nona di dominante con un’alterazione discendente della quinta e una sesta maggiore. Ma a differenza del
tradizionale accordo di nona, esso non va risolto, sa da sé e costituisce il “centro sonoro” dell’intera composizione, una sorta di tonica
“artificiale”. Dalle sei note che formano l’accordo vengono ritagliati accordi diversi variando la scelta delle note. L’impiego sistematico
delle quarte permette di eludere segnatamente il principio della relazione per quinte. Skrjabin tratta il “centro sonoro” liberamente,
spezzettandolo in figurazioni e frammenti melodici, alterando alcune note che lo compongono, introducendo note “estranee”, sotto
forma di appoggiature o note di passaggio. Si può dire che l’accordo mistico caratterizza fortemente l’intera composizione, oltre a
determinarne gli intervalli sia armonici che melodici. L’aspetto verticale della musica assume una grande importanza.
Tutti i suoni sono determinati esclusivamente da questo accordo di sei note, che costituisce la base armonica e melodica, di carattere
marziale, della parte acuta.
Rimarchevole è la produzione pianistica di Skrjabin, orienta dapprima verso la matrice virtuosistica lisztiana-chopiniana. Le sonate dalla
Settima alla Decima (1911-1913), tutte in un solo tempo, e gli altri lavori pianistici della maturità posteriori al Prometeo, sono
composizioni dai tratti stilistici inconfondibili, caratterizzati dall’impiego sistematico dell’accordo mistico.
Compositore dal grande fascino di portare ed esercitare sulla cultura russa e non solo della sua epoca le teorie spiritualiste o l’interesse
per l’occultismo, tanto importanti nella storia, quanto purtroppo ignorati.
Dopo la formazione al Conservatorio di Mosca, diviene, come il suo compagno di studi Rachmaninov, eccellente concertista di
pianoforte e dedica al suo strumento le dieci sonate (1892-1913), gli studi e numerosi preludi. Ammiratore di Chopin e Liszt, inizialmente
anche di Debussy, di cui imita i colori, matura un linguaggio che, sviluppando gradualmente una sempre maggiore complessità
armonica, raggiunge l’atonalità.
Nei suoi lavori orchestrali, il cui stile deve molto anche a Wagner, porta avanti l’idea dell’opera come unione sinestesica di tutte le arti,
finalizzata a una comunione spirituale con il divino, raggiunta attraverso l’ebbrezza mistica.
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Skrjabin attinge le sue idee visionarie da molti filoni culturali dell’epoca: ha contatti con gli ideali filosofico-religiosi di Vladimir Solov’ëv
(secondo cui l’arte potenzia la forza divina), uniti allo studio di Nietzsche. Queste idee si riversano nella Terza Sinfonia. Le poème divin
(Poema divino, 1902-1903): come spiega il testo che la correda (di Tat’jana de Schloezer), l’individuo si evolve e arriva a deificarsi
nell’estasi.
Durante il soggiorno in Svizzera (1904) e in Italia (dal 1905), Scrjabin, in un clima spirituale esaltato e messianico, scrive testo e musica
del Poème de l’extase (Poema dell’estasi), che sviluppa per grande orchestra uno schema di forma sonata estremamente dilatato. In
questo periodo il compositore si interessa di teosofia, attraverso gli scritti di Elena Blavatskij e del filosofo esoterica Rudolf Steiner.
Quindi è un russo non nazionalista, guarda molto alla musica francese, all’impressionismo, “uomo unito al cosmo”.

Il Prometeo: nel 1908 Skrjabin si stabilisce a Bruxelles, in contatto con vari circoli teosofici, ma il grande successo della tournée in
Russia nel 1909 (con il trionfo del Poema dell’estasi a Mosca), lo convince a rientrare in patria nel 1910.
In questo periodo percepisce un altro lavoro sinfonico Prométhée. Poème du feu (Prometeo. Poema del fuoco) per grande orchestra,
pianoforte, organo, coro e tastiera luminosa: in esso sviluppa le sue idee sulla corrispondenza luce-colori-suoni, prevedendo
l’esecuzione come un’esperienza sensoriale totale, grazie a un nuovo strumento chiamato “luce”.
Il tema di usare suoni-colori interessa molto anche Schoenberg e Kandinsky.
Il linguaggio musicale ha abbandonato la tonalità, si basa su un accordo sintetico (“mistico” o “del Prometeo”), generato da
stratificazioni di quarte: simbolo del caos originario, ma anche accordo naturale e centro di riferimento, dissonante ma stabile, che
annulla le funzioni di tonica e di dominante.

Nel 1910, insieme al direttore Kusevickij effettua una straordinaria tournée in vaporetto lungo il Volga con un’orchestra di 60 elementi e
famosi solisti: nelle fermate proponevano per la prima volta il grande repertorio russo ed occidentale in centri anche periferici.
In questo periodo Skrjabin è anche vicino ai poeti simbolisti russi (in particolare a Bal’mont che aveva coniato la parola svetozvuk, per
indicare la corrispondenza sinestesica tra suono zvuk e luce svet) e scrive le sonate per pianoforte VI e VII (Messa bianca); nel 1913 si
collocano le ultime tre sonate VIII, IX (Messa nera), X e vari preludi.
🎼 Sonata X, unico blocco di 10 minuti (tipo poema sinfonico di Liszt); stile di Debussy, fitto e dettagliato in quanto a commenti, sorta di
Leitmotiv che gira. Trillo caratteristica molto presente, funzione timbrica, “Sonata degli insetti”, i trilli rappresentano quindi i loro
movimenti con le ali. Ogni cosa ha un senso:
• cromatismo-stanchezza;
• fanfare-lotta;
• Accordi dissonanti-dispute;
• Trilli su note acute-anima che si innalza.
Erotismo d’Annunziano, sorta di musica a programma, scrittura su tre righi, simili a Liszt; sonata in climax, temi che ricorrono, musica
per aristocrazia russa.

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Nel 1914 a Mosca incontra il musicista-filosofo indiano Inayat Khan e si entusiasma per la musica e le sue danze, che avevano fama di
provocare estasi mistica: quindi Skrjabin comincia a coltivare l’idea di realizzare in India un tempio in cui eseguire la grande opera totale
che stava ideando (una sorta di Bayreuth indiana).
Nel 1914 scoppia la Prima Guerra Mondiale: Skrjabin la interpreta filosoficamente quasi come una necessaria scossa di energia, in
grado di rinnovare il mondo ed evolvere la razza.
Concentra le sue forze sull’Acte préalable (Atto preparatorio), per organico amplissimo, di cui lascerà solo pagine di appunti: esso
doveva introdurre la sua grande opera Mysterium, che avrebbe dovuto realizzare l’ideale alchilico di rigenerazione del cosmo e
dell’universo attraverso l’arte, usando sinestesia (idea wagneriana) di luce, colore, gesto, danza, profumo, in un’esperienza rituale
olistica da celebrare in una sorta di tempio (quello indiano, immerso nella natura, più fauna); dopo la rappresentazione dell’opera il
mondo sarebbe esploso e si sarebbe ricreato in maniera migliore.

Muore per malattia nel 1915, lasciando una grandissima impressione per i futuri, ritenuto il maggior rappresentante delle tendenze più
innovative. Egli è un compositore isolato, non fa parte di una nazione o di uno stile vero e proprio, inoltre non ha eredi.

SERGEJ RACHMANINOV (1873-1943)

Ai modelli del concertiamo romantico di derivazione lisztiana si collega la produzione pianistica di Rachmaninov. Dal 1918 in poi trasferì
negli Stati Uniti, dove raggiunse ampia notorietà come concertista. Fu conosciuto principalmente per i suoi quattro concerto per
pianoforte e orchestra (1891-1927), contrassegnati da un marcato virtuosismo di stampo romantico. Le sue qualità sono un distinto
sentimentalismo e una densità espressiva di derivazione romantica. La lezione del compositore influì su pianisti, come Horowitz.

DMTRIJ SHOSTAKOVICH (1906-1975)

L’arte musicale di Shostakovich fu influenzata moltissimo dagli eventi politici della storia sovietica. Musicista convinto della necessità di
lavorare per l’edificazione della società socialista, egli conformò le sue scelte compositore alle norme estetiche imposte dal regime, pur
riservandosi un proprio spazio di autonomia creativa.
Dopo gli studi al conservatorio di Pietrogrado (1915-1925), si fa conoscere come pianista e come compositore curioso di tutte le
avanguardie, caratterizzato da un particolare spirito ironico e corrosivo. La sua carriera artistica si svolse prevalentemente in patria.
Con la Prima Sinfonia (1925) si introduce nella vita musicale sovietica, all’interno del brano sono riconoscibili gli influssi del sinonimo
tardo romantico, di Mahler specialmente. Nella produzione cameristica e pianistica degli anni Venti (prima sonata per pianoforte op. 12,
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1926, e i 10 Aforismi per pianoforte op. 13 del 1927, caratterizzati da un lessico armonico decisamente dissonante), egli dimostra
un’adesione al linguaggio contemporaneo (di Prokofiev, di Stravinsky, ecc..). Nei lavori degli anni successivi rivolse le proprie energie nel
genere delle sinfonie a programma o descrittive di grandi dimensioni. Inoltre compone anche molta musica per fil (36 produzioni
cinematografiche, a partire da La nuova Babilonia, 1929)
Collabora con il famoso regista Mejerchol’d nel 1928 per l’opera Il Naso (da Gogol’) e nel 1929 per la Cimice (da Majakovskij).
Le quindici sinfonie (1925-1971) di Shostakovich occupano una posizione di particolare rilievo nel panorama musicale sovietico e
costituiscono uno dei monumenti più significativi della letteratura sinfonica del Novecento. Richiamano quasi sempre a grandi prove gli
ottoni e i legni e comprendono un gran numero di passi che affidano a singole parti orchestrali e ad uno strumento solista una funzione
protagonista. Salvo la Seconda e la Terza, composite di un singolo movimento con coro finale, quasi tutte queste infine presentato una
struttura ripartita in più movimenti (da 3 a 5). Solitamente i primi tempi veloci sono d’impianto monumentale e sono caratterizzati da una
complessa articolazione formale e da uno sviluppo magniloquente dei temi (per es. i primi movimenti in forma sonata della Quarta,
Quinta, Ottava e Decima sinfonia). Lo schema delle sinfonie contempla quasi sempre, dopo il primo movimento, uno Scherzo, animato
da grande vivacità ritmica, e un Adagio nella parte centrale, di impronta schiettamente mahleriana, che si snoda per linee melodiche di
intenso lirismo, in forte contrasto espressivo con gli altri movimenti. I tempi finali sono quelli che più risentono del tono celebrativo, e sono
tesi.a concludere l’opera in modo trionfalistico. Sono caratterizzati da vorticose giravolte sonore, di norma fondate su un movimento
ritmico perpetuo, propulsivo, ossessionante. Il linguaggio armonico delle sinfonie è essenzialmente diatonico.
Scrive anche sinfonie volte alla glorificazione della rivoluzione:
1. II Sinfonia:All’ottobre (nel 1927, a 10 anni dalla rivoluzione del 1917);
2. III Sinfonia:Al primo maggio (1930).
3. La Settima Sinfonia Leningrado composta a partire dal 1941 e completata durante l’assedio dei 900 giorni della città di Leningrado da
parte dei nazisti. La forma della sinfonia è stata particolarmente favorita dai sovietici per la sua capacità di comunicare contenuti
ideologici; negli anni ’30 si era anche diffusa la tipologia di sinfonia “a canzoni” e anche la variante folkloristica, arricchita da melodie
popolari delle regioni più remote. La struttura più efficace a fini propagandistici è comunque quella descrittiva, nello spirito del poema
sinfonico, cui possono essere riferite alcune delle 15 sinfonie di Shostakovich. Nella Settima anche i movimenti apparentemente più
descrittivi non hanno un’interpretazione univoca (a parte per l’ultimo movimento che dà l’idea finale di vittoria). L’enorme organico ben
si presta a dare soddisfazione a valentissime orchestre americane, infatti in America ottiene tantissimo successo. Ognuno dei quattro
movimenti è dilatato in modo da porre in massimo risalto il carattere patriottico e celebrativo dell’opera: ad ognuno di essi il
compositore intese dare in origine un titolo, che poi soppresse: “Guerra, “Rimembranza”, “Le immense pianure della nostra terra”,
Vittoria”. Particolarmente ed esplicitamente programmatici sono i movimenti estremi: il primo (Allegretto), si svolge in un progressivo,
impressionante crescendo (con ossessivo ritmo di marci, che rappresenta l’avanzata nazista); il finale (Allegro non troppo) vuole
comunicare l’immagine della vittoria con il dispiegamento di un’ingente massa orchestrale, di ostinati e di crescendi che culminano
nella ripresa trionfale del team iniziale della sinfonia.
4. Sinfonia XI. L’anno 1905 (1957).
5. Sinfonia XII. L’anno 1917 (1961)
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L’Ottava Sinfonia è una delle composizioni più potenti e ispirate di Shostakovich, presenta una singolare successione di movimenti:
Adagio tripartito (con un Allegro centrale), due Scherzi (Allegretto e Allegro non troppo), Largo (costruito su un tema di passacaglia) un
Allegretto che non ha niente di trionfale, si spegne in un progressivo diminuendo.
È il periodo in cui tutto si sta trasformando in chiave di glorificazione sovietica: la Tosca (Puccini) diventa La battaglia della Comune, Una
vita per lo zar (Glinka) si trasforma in Falce e Martello, gli Ugonotti (Meyerbeer) viene rinominata I decadresti.
Lo stile di Shostakovich sembra già un po’ troppo modernista e graffiante, ma nel 1932 ottiene grande successo con Una Lady Macbeth
del distretto di Mcensk, opera di tematica scabrosa.
Emblematica è la vicenda della Lady Macbeth (1932) per quanto riguarda la censura e l’ostracismo dei musicisti: il 26 dicembre 1936
Stalin va ad assistere a una rappresentazione dell’opera (che fino agli anni prima aveva riscosso successo) e lascia la sala dopo il primo
atto. Prima definizione di “pornofonia” in musica, poiché c’è la prima scena porno nella storia dell’opera.
Lady Macbeth, novella di Leskov che parla della degenerazione dei Kulati, maltrattati, si guarda all’aspetto emotivo.
Trama: Caterina, sposata con Sinovio, ricco mercante, non hanno mai fatto niente insieme, Caterina si lamenta di essere ancora vergine;
il suocero, Boris, prova attrazione per la nuora, lei patisce per non avere la sua soddisfazione erotica. Arriva poi Sergey, tenore, sorta di
“bullo”, molto semplice e basico, animalesco; tra lui e Caterina nasce un’energia erotica, si innamorano (lui si avvicina a lei più che altro
perché ha i soldi). Insieme avvelenano il suocero e il marito per prendersi i soldi, quindi si sposano, vengono scoperti e deportati in
Siberia. Qui Sergey la abbandona poiché Caterina non ha più soldi e si mette con un’altra, Caterina la va a picchiare quindi.
🎼 Scena di quando Caterina incontra per la prima volta Sergey, che insieme ad altri lavoratori stanno stuprando una serva, ella si mette
nel mezzo e così scatta la scintilla con l’amante. Ci sono interludi ‘900eschi che stanno tra le varie scene invece di stampo romantico.
Quando gli uomini stanno per violentare la serva, la musica è “buffa”, prende la parte degli uomini, è umoristica, fatto scioccante
pensando alla tragicità dell’atto. Sembra quasi una marchetta dai toni. Quando invece canta Caterina, l’orchestra suona una musica
densa, ‘800esca e romantica, ottica di eroina romantica appunto, Shostakovich si immedesima nella protagonista, c’è molta realtà
nell’opera e in Caterina (ciò che non piace a Stalin, anche perché ella è troppo “cruda” di carattere).
Quadro III: Caterina è a casa e arriva Sergey (musica umoristica), che canta in maniera rozza e la corteggia. Fanno l’amore, violento
erotismo (orchestra sempre umoristica), all’inizio lei non vuole concedersi, poi cede.
Poco tempo dopo un articolo sulla Pravda, intitolato Caos anziché musica (probabilmente scritto da Stalin) attacca pesantemente l’opera
accusandola di formalismo, nonché di volgarità. Tutte le composizioni di Shostakovich vengono criticate e il compositore si trova
impossibilitato a lavorare.
Dopo la critica di Stalin, Shostakovich sta malissimo, non dorme più, sta sempre con la valigia (pronto per essere deportato), riottiene
successo solo degli anni dopo con la Sinfonia Leningrado, a resistenza della guerra.
Negli anni di Lady Macbeth compone la IV sinfonia, ma ha paura che come non è piaciuta l’opera allo Stato, così non piacerà la sinfonia.
Riesce a reagire nel 1938 scrivendo la Quinta sinfonia dal sottotitolo Risposta creativa dell’autore alle critiche mossegli: un lavoro molto
classico, in linguaggio semplificato; il secondo tempo della sinfonia rappresenta delle “iconoteche della morte” (così definite da Franco
Puccini), ovvero quando la musica è triste, sono delle sorte di maschere, per rendere la musica e i suoi sentimenti attraverso le regole
(presente anche nei quartetti). Shostakovich infatti in Occidente lo giudicano falso e compositore di regime, ma non è così, a volte
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aderisce alla nomenclatura sovietica, la sua difficoltà è quella di trovare un compromesso tra lo scrivere quello che sente e quello che
può.
Dopo gli anni della seconda guerra, Shostakovich dimostra un’interesse crescente per la musica pianistica e cameristica; composizione
di straordinaria varietà di strutture formali, di trattai stilistici ed espressivi, che non fanno perno su quelle perorazioni trionfali e celebrative
comuni ad alcune sinfonie. I 24 preludi e fughe per pianoforte (1950-1951), ad imitazione di Bach, rivelano il desiderio del compositore di
accostarsi ai più solidi principi di struttura formale.
Intorno agli anni ’40/‘50 Shostakovich ottiene consensi anche nella musica da camera (il Trio op. 67 ottiene il Premio Stalin nel 1944), ma
una nuova tempesta si abbatte sul compositore con la nuova ondata di repressioni che si verifica durante il quarto piano quinquennale.
Nel 1948 nuove accuse di formalismo gli vengono mosse, e oltre a lui, anche a Prokof’ev, Khachaturian, Kabaleskij e Mjaskovskij.
Shostakovich perde il posto di lavoro, molte sue opere vengono messe al bando (a parte la Settima) e il compositore deve pronunciare
pubbliche autocritiche, in cui ringrazia il partito di avergli segnalato gli errori (così devono fare i compositori quando vengono accusati di
formalismo): documenti di questo tipo gli permettono di essere accettato in patria. La sua posizione è spesso molto difficile e tormentata:
viene mandato all’estero come ambasciatore della cultura sovietica e contemporaneamente in patria gli vengono poste mille difficoltà.
Shostakovich viene poi mandato in America a rappresentare la musica sovietica, nel periodo tra l’altro in cui la sua musica è vietata;
Stalin lo chiama dicendo che la sua musica in verità non è vietata: Shostakovich è una sorta di capro espiatorio, viene maltrattato di
fronte allo Stato (a parole), che sa che il compositore accuserebbe il colpo, arriva infatti a soffrire di nevrosi.
Nei Quartetti d’archi (15, composti dal 1938 - 1974) sembra che Shostakovich possa esprimere la sua natura privata, la sua espressione
dei sentimenti più intimi e forse della sua “vera personalità, al di fuori delle esigenze della propaganda e dell’esplicita adesione alle linee
del partito. Quindi notiamo la medesima maestria di scrittura, usata nelle sinfonie, unita però alla raffinatezza e alla cura dei particolari,
tipiche del repertorio quartettistico. Molti quartetti utilizzano la forma sonata (per es. i primi tempi del Secondo, Terzo, Quinto quartetto), i
fugati (aprono e chiudono l’Ottavo quartetto). Il linguaggio armonico si poggia quasi esclusivamente sulla tradizione tonale, senza un
eccessivo uso di agglomerati dissonanti. Non sono mai posti in primo piano particolari ricercatezze timbriche e i tipici espedienti tecnici.
Sono lavori che risaltano per la loro sobrietà espressiva, con molti movimenti caratterizzati da un senso di sottile malinconia (secondi
movimenti del Quarto e Sesto quartetto, e tutti i sei movimenti lenti dell’ultimo quartetto.
Stalin muore poi nel 1953; l’influenza dello stalinismo naturalmente non cessa improvvisamente: i comitati di selezione e i nemici di
Shostakovich continuano ad agire e lo stesso musicista patisce ancora molte amarezze, come ad esempio il completo silenzio della
critica ancora nel 1955, alla prima esecuzione del Primo concerto per violino, dedicato a David Oistrakh (che poi lo porta in tournée in
America, riscuotendo successo). È comunque il periodo del riscatto artistico, in cui il compositore apre, con la Decima Sinfonia, una
nuova fase compositiva.
Dopo il discorso di Chruščëv del 1956, che prende le distanze dallo stalinismo, Shostakovich appoggia il nuovo corso politico e propone
ancora sinfonie che, in altro modo, celebrano il partito e la rivoluzione. Il compositore viene reso una sorta di “Monumento nazionale”,
viene eletto nella DUMA (di questo ne soffre perché non si ritrova con i suoi ideali all’interno di questa)
Di quest’epoca (anni ’60) sono anche il Secondo concerto per pianoforte, scritto per il figlio Maksim, e il Primo concerto per violoncello.

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Shostakovich diviene poi “post-moderno”, tenendo conto che l’esistente è ampio, incastra nella proprio musica altra musica, pone delle
storie (molte volte autocitazione, tutto l’ottavo quartetto è così).
Nella XV Sinfonia cita molti compositori scrittori e opere, rendendole sue però, cioè non fa come Stravinsky che le copia, lui le imita e le
rende sue. Schnittke sarà l’estremizzazione di questa maniera di comporre, a tal punto che non si capisce più il suo stile.

SERGEJ PROKOF’EV (189-1953)

Al Conservatorio di San Pietroburgo considerato l’enfant terrible, quando studia con Rimskij-Korsakov rivela doti eccezionali di pianista e
di compositore. Prokofiev fece i primi viaggi a Londra e Parigi, dove si esibì come pianista e dove assistette ai “Balletti Russi” di Djagilev.
Tornò in Russia nel 1915. Dal 1917 al 1932 visse sempre all’estero, si recò più volte negli Stati Uniti e dal 1923 fissò la sua residenza a
Parigi. Tornò definitivamente in patri nel 1932, rimanendoci fino alla morte.
Djagilev lo nota, ma il balletto Ala e Lolly che Prokof’ev gli propone non parve abbastanza moderno all’impresario (quindi il compositore
ne trae la suite Suite Scite, in stile primitivista stravinskiano, eseguita nel 1916).
Prokofiev era dotato di una straordinaria capacità di assimilazione di ogni linguaggio stilistico, nazionale ed internazionale, che manifesta
in tutte le sue composizioni. Negli anni giovanili fu influenzato dalla musica orchestrale di Rimskij-Korsakov, R. Strauss e Skrjabin, del
quale trascrisse per pianoforte le Poeme divin. Nelle sue prime composizioni orchestrali e pianistiche, quali le Vision fugitives
(1915-1917), e nei primi tre concerti per pianoforte e orchestra (1911-1921), è presente un linguaggio personalissimo della tastiera, in
parte derivato da Ravel, con passaggi toccatistici, sequenze ritmiche brillanti e aggressive, frequenti alternanze di passi cromatici e
diatonici. Una certa tendenza all’ecletticissimo è dimostrata dalla pseudosettecentesca Sinfonia classica, n.1 ( 1916-1917), calcata su
modello del sinonimo di Haydn, essa rappresenta un momentaneo accostamento di Prokofiev al neoclassicismo. La sinfonia è articolata
in quattro movimenti (Allegro, in forma sonata, Larghetto ABA, Gavotta con Trio, Molto Vivace in forma sonata).
Il linguaggio musicale del compositore negli anni trascorsi lontani dalla Russia è caratterizzato da complessi ed improvvisi passaggi da
una tonalità all’altra, con armonie con implicazioni politonali, da melodie volutamente angolose, da ritmi dirompenti, spesso di carattere
propulsivo (per es. Quinta Sonata per pianoforte del 1923 e la Seconda sinfonia del 1925).
Nel 1918 il compositore, pur simpatizzando per la rivoluzione, si trasferisce in America, poi in Europa, dove viene apprezzato più come
pianista che compositore: a Parigi, in contatto con tutte le avanguardie, non è facile tenersi al passo coi tempi. Di questi anni sono i lavori
teatrali L’amore delle tre melarance (da commedia di Gozzi nell’adattamento di Mejerchol’d) e L’Angelo di fuoco (1919-1927).
Cosi nel 1933 torna in Russia, dopo aver ricevuto accoglienze trionfali nella tournée del 1927: il suo stile si avvia verso una “Nuova
semplicità” (o un Modernismo conservatore), e crede di poterlo coltivare con agio nella sua patria.
Quindi Shostakovich e Prokof’ev diventano le figure più rilevanti della musica sovietica (accanto a compositori come Khachaturian,
Kabaleskij, Mjaskovskij).

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Dopo il rientro in patria del 1932 Prokofiev aderì al socialismo che lo portò alla composizione di componimenti celebrativi e didattici, di
musiche per film e di scena.
Intorno agli anni ’30/’40 non ha vita facile, come Shostakovich, vengono accusati di “formalismo”, finiscono quindi nell’oblio; il primo
lavoro ufficialmente “sovietico” è il balletto in quattro atti e dieci quadri Romeo e Giulietta, scritto nel 1935. Le difficoltà e le critiche dei
funzionari sovietici sono il rituale di umiliazione cui i compositori devono essere sottoposti. Da questo balletto Prokofiev trae tre suites
sinfoniche.
Più veloce approvazione ottiene la celebre fiaba musicale Pierino e il Lupo (eseguita nel 1936), per voce recitante e orchestra, che si
inserisce nel filone didattico ritenuto utile dalle autorità sovietiche. La composizione infatti mira a far riconoscere ai fanciulli le diverse
caratteristiche dei singoli strumenti dell’orchestra.
Un altro genere che riscuote molto successo in Russia è la musica da film: anche qui le musiche che Prokof’ev scrive per l’Aleksandr
Nevskij del regista Ejzenstein ottengono grande plauso e vincono il premio Stalin nel 1941. La composizione esalta la vittoria (1242) del
popolo russo sui Teutoni.
Nel 1939 il compositore ne ricavò un’imponente cantata omonima per mezzosoprano, coro misto e orchestra.
Nel frattempo l’URSS entra in guerra e Prokof’ev lavora alla sua grande opera Guerra e Pace, che rievoca la lotta del popolo russo
contro l’invasione napoleonica (da Tolstoj 1869), la narrazione è ridotta in 13 quadri (nei primi 7 si parla del momento di pace, nei
successivi della guerra), vi sono ampie sezioni dialogate, grandi scene di battaglia, parti corali molto diatoniche, ispirate al canto
popolare russo, e anche sezioni animate da dissonanti scontri armonici e dalla violenza esplosiva di rimi vigorosi. ; alla Quinta sinfonia,
acclamata come una “sinfonia di guerra” e alle tre impetuose Sonate per pianoforte, nn. 6,7 e 8, destinate a grande successo; esse
rappresentano il vertice della produzione pianistica di Prokofiev.
🎼 Settima Sonata che Prokof’ev compone durante la guerra, rappresenta una situazione difficile in Unione Sovietica, ma anche
trionfante. Composta tra il 1939 e il 1942, eseguita per a prima volta da Richter e vince il premio Stalin nel 1942, di carattere bellico.
Strutturalmente è in forma sonata: con un primo tema molto aggressivo, un secondo cantabile ma non molto romantico (non c’è una
dolcezza naturale), quindi essa segue le forme della tradizione, molto chiara; sviluppa e mescola poi I e II tema. Rispetto alla forma
sonata, nella ripresa, invece di mettere I e II tema, pone II e I tema, in questa maniera è più simmetrica anche la struttura poiché così il
primo tempo inizia e finisce col I tema. Sonata tonale ma molto dissonante e cromatica, ci sono rapporti tonali, a tratti molto sporcata;
sviluppa ingegnosi ingranaggi ritmico-melodici. Formata da tre tempi: un Allegro di disegni melodici e ritmici molto stringati, essenziali; un
Andante caloroso con una linea melodica di grande cantabilità; un Precipitato di grande dirompente ritmica.
Nelle sue nove sonate per pianoforte (1909-1947) il compositore dà ampia dimostrazione delle sue doti innate di virtuoso, di marca
lisztiana, con atteggiamento, come in Liszt, non superficiale, inoltre caratterizzate da una solidità strutturale inattaccabile.
La Settima Sonata è composta da tre movimenti: Allegro inquieto, Andante e Precipitato (ultimo tempo asimmetrico, in 7/8, metro definito
oggi zoppo (aksak), affine ai metri bulgari che Bartok sperimenta in quel periodo).
Muore il 5 marzo 1953, stesso giorno di Stalin, quindi passa inosservata la sua morte.

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Prokof’ev e Shostakovich sono leggermente diversi tra loro, il primo è considerato molto freddo e solo a volte distaccato da quel che
compone, il secondo più umoristico e sempre distaccato (a parte nei quartetti). La cosa che più gli accomuna ovviamente è l’ambito
culturale e lo stile compositivo. Della tonalità non ci sono più le forme ritmiche, quindi in qualche modo è abbandonata.

IL SECONDO NOVECENTO

A seguito del secondo conflitto mondiale, fino al 1991 il mondo rimane diviso in due blocchi ideologici ed economici tra loro opposti: da
una parte quello comunista orientale controllato dall’URSS, dall’altra quello liberal capitalista capitanato dagli Stati Uniti.
Si intensificarono gli scambi artistici tra Paese e Paese, e i miti del nazionalismo, anche se non scomparvero del tutto, non
rappresentarono più un fattore stimolante nel panorama culturale postbellico.
I giovani nati a cavallo degli anni Venti e Trenta si trovarono ad operare in una dimensione non soltanto nazionale o europea, ma
mondiale, ricce di fermenti e nuove conquiste nel campo della tecnologia industriale e dei mezzi di comunicazione della cultura.
Nell’Europa, attraversata dai fervori della ricostruzione postbellica, l’idea di progresso, materiale ed artistico, raggiunse un punto di
massimo sviluppo. La guerra però aveva segnato profondamente le coscienze umane e l’atteggiamento prevalente delle giovani leve di
artisti e di intellettuali fu di scrollarsi di dosso il retaggio delle tradizioni culturali, anche recenti.
Si affermò la convinzione che l’elemento di “novità” e di “progresso” fosse più importante della conservazione e della continuità.
Questa situazione, nella quale coesistevano in modo singolare l’impulso allo sperimentalismo e all’individualismo esasperato, ansia della
ricerca e negazione scettica dei condizionamenti della storia, abbe notevoli conseguenze sul piano dei linguaggi artistici e del rapporto
arte/pubblico.
Molti compositori cercarono di realizzare un programma di un’arte d’avanguardia, talora in maniera polemica, provocatoria e con
motivazioni estetiche diverse, persino tra loro contrastanti. Per disegnare questo movimento artistico radicalmente sperimentale,
affermatosi nel ventennio del 1950-1970, si usa l’espressione “nuova avanguardia”, per distinguerlo dall’avanguardia detta “storica£ della
prima metà del secolo, che aveva comunque attuato in qualche maniera un contatto con la tradizione.

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Sul finire degli anni Sessanta si cominciò a diffondere un generale senso di saturazione, di stanchezza delle novità ad ogni costo, quali le
speculazioni sulle strutture compositore e le sonorità ipercomplesse che disorientano chi ascolta.
Si assiste ad un cambiamento di atteggiamento da parte di certi compositori nei confronti della tradizione: si mira al raggiungimento
dell’immediatezza comunicativa e della facilità d’ascolto, cioè al ripristino di una notevole semplificazione del linguaggio musicale, con
sconfinamenti nell’armonia tonale, l’uso di melodie cantabili, il ricorso alle forme chiuse.
Tra i principali indirizzi della nuova avanguardia: quello strutturalista della servilità integrale, l’alea (dal latino “dado” per indicare elementi
di indeterminatezza e casualità introdotti nella composizione musicale), la musica prodotta con i mezzi elettronici.

DARMSTADT

A causa delle censure imposte dal nazismo, i musicisti tedeschi non hanno potuto conoscere le tendenze più innovative della cultura
internazionale. Già nel 1946 nella città di Darmstadt, Wolfang Steinecke organizza per i compositori tedeschi corsi estivi volti a questo
fine. Anche la dodecafonia è poco nota, ma nel 1948-1949 vengono ammessi studenti stranieri, e giunge un gruppo di compositori pratici
nella scrittura seriale, i quali insegnano loro stessi ai docenti. I corsi estivi internazionali per la Nuova Musica durarono fino al 1990.
Essi fornirono l’occasione di importanti concerti, seminari e conferenze inerenti le problematiche della musica contemporanea. Furono
frequenti da compositori, critici musicali e interpreti di altissimo livello, specializzati nell’esecuzione di musica d’avanguardia e provenienti
da vare nazioni.
A Darmstadt non c’è mai stato un comune indirizzo artistico, se non per un periodo assai breve. È stato un luogo dove ciascuno arrivava
con un proprio bagaglio di idee e aveva imparato a realizzarle e a sostenerle con il massimo rigore.
Tra i principali protagonisti: Severino Gazzelloni, David Tudor, Cathy Berberian, Aloys Kontarsky, musicologi come Theodor Adorno,
Leibowitz e Dahlhaus, compositori come Messiaen, Xenakis, Ligeti, Stockhausen, Pousser, Kagel, Maderna, Togni, Nono, Evangelisti,
Castaldi, Bussotti.
Una fitta produzione di scritti teorici, estetici, analitici ha accompagnato costantemente l’attività dei musicisti di Darmstadt.
Personalità di rilievo nel guidare la rinascita della nuova musica d’avanguardia fu il direttore d’orchestra e organizzatore musicale
Hermann Scherchen; perseguitato dal nazismo, ritorno in Germania dopo quindici anni di esilio e alla sua presenza a Darmstadt sono
legate alcune realizzazioni tra le più importanti nella storia dei corsi.
Egli fu inoltre co-fondatore di Melos (1920), rivista deputata alla conoscenza migliore della musica contemporanea.
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Il pianoforte ha avuto un’importanza centrale nella letteratura di Darmstadt, ne vennero sfruttati al massimo tutti gli effetti sonori dello
strumento che in precedenza erano stati evitati o utilizzati parzialmente e che richiedono un’affilata tecnica d’esecuzione.
Tra le tecniche pianistiche usate:
- Impiego di complessi contrappunti, sia di linee melodiche sia di accordi che prevedono spesso l’incrocio delle due mani;
- Grande varietà di tocchi e di inediti modi d’attacco;
- Ricorso ricorrente al pedale di risonanza (per espressività) e del pedale tonale (quello di centro);
- Uso di raffiche di glissando, di cluster, si suoni armonici fatti vibrare per simpatia;
- Improvvisi trapassi di registro, verso l’alto o verso il basso, e violento scarti dinamici;
- Frequenti accelerazioni o rallentamenti del tempo;
- Azioni condotte direttamente sulle corde dello strumento (pianoforte preparato).
Le tre sonate di Boulez e i Klavierstucke I-XI di Stockhausen (anni ’40-’50), risultano essere i modelli più significativi della scrittura
pianistica contemporanea. Nella vasta gamma dei loro contrasti strutturali e delle sonorità espressive, hanno determinato un notevole
ampliamento delle possibilità del virtuosismo pianistico contemporaneo.
Determinante è l’apporto di Leibowitz (1913-1972), compositore e teorico della dodecafonia, docente di Boulez (1925-2016), di Henze
(1926-2012), Stockhausen (1928-2007). Boulez e Stockhausen sono i “denominatori” di Darmstadt, il primo molto severo con chiunque
non scrivesse con la tecnica serialista, specialmente con i francesi (in particolare Dutilleux).
Importante anche la presenza di Messiaen che nella sua sperimentazione sul concetto di modo comincia a elaborare la sterilizzazione
non solo delle altezze (come nella dodecafonia) ma anche dei valori e delle intensità (per es. nello studio pianistico Mode de valeurs et
d’intensités, 1948). L’idea trova precedenti in Webern, che diventa ben presto a Darmstadt un modello di tecnica seriale, preferibile a
Schoenberg (considerato troppo legato al passato). Di Webern interessa anche la tendenza alla testura rarefatta, al limite del silenzio: si
comincia quindi a sviluppare il “puntilismo post-weberniano”, rappresentato ad esempio con il brano Polifonica Monodia-Ritmica (1951),
del veneziano Luigi Nono.

TECNICA SERIALE INTEGRALE

Intorno al 1950 si era andata delineando una certa tendenza d’avanguardia che trovò il suo principale punto di riferimento ai corsi di
Darmstadt. Agli occhi di molti giovani, il principio di composizione seriale apparve com l’unica via percorribile per soddisfare quel
desiderio di rifiuto dei modelli ereditati dal passato. Bisognava però portare all’estremo limite il costruttivismo dodecafonico adottato da
Schoenberg alle altezze dei suoni; si volle estendere questo principio organizzativo a tutte le componenti del linguaggio musicale, quale il
timbro, la dinamica, le durate e i modi d’attacco. Boulez e Stockhausen furono i compositori che seguirono con più rigore e coerenza i
procedimenti della cosiddetta “serialità integrale”, iperstrutturalista, basata sul calcolo e la totale predeterminazione del materiale
compositivo. Boulez in particolare ha sostenuto, con opere e scritti, l’assoluta obbligatorietà della tecnica seriale integrale, se si voleva
riuscire nell’intendo di rinnovare radicalmente il linguaggio musicale.

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In un celebre saggio del 1952 “Schoenberg è morto” ha scritto che “qualsiasi compositore è inutile al di fuori delle ricerche seriali”. Pur
arrivando a concepire una “melodia dei timbri”, Schoenberg, secondo Boulez, non aveva saputo recidere, se non nelle prime opere
dodecafoniche, qualunque, anche esile, legame con il passato tonale.
Webern, invece, viene considerato come il compositore che ha esteso le potenzialità costruttive del metodo dodecafonico; viene ritenuto
il vero precursore della musica totalmente organizzata: perché le sue composizioni, specialmente le ultime, sono caratterizzate
dall’introduzione massiccia di cellule melodiche e di sonorità estremamente frammentate, eppur sottoposte ad un controllo ferreo. La
musica di Webern divenne pertanto il punto di riferimento della nuova avanguardia, che si qualificò inizialmente come post-weberniana.
Comunque questi compositori non si prefissero di imitare Webern, ma di prendere il suo esempio come punto di partenza per avviare il
discorso sui problemi della composizione contemporanea.
Nelle composizioni totalmente serializzate si realizza l’eliminazione di ogni possibilità discorsiva della musica, poiché la tendenza è di
isolare il suono singolo proiettato nello spazio acustico, donde il qualificativo di musica “puntillistica”. Già Satie e Debussy avevano
rifiutato un discorso musicale di tipo discorsivo: avevano messo in atto una sorta di immobilizzazione del tempo musicale mediante istanti
non connessi tra loro secondo la logica dell’armonia funzionale. Così la disintegrazione del tempo trova la massima realizzazione presso
i musicisti post-weberniani.
I suoni, privi di legami interni, tendono a diventare oggetti sonori proiettati nello spazio acustico e quindi bloccati nel loro singolare valore
e significato timbrico. Ne risulta un tessuto “atomizzato”, caratterizzato dal rifiuto radicale del tematimo.
E nonostante regni un ordine implacabile in queste composizioni, il quale governa il corso degli avvenimenti fin dei più piccoli dettagli, ciò
che si percepisce all’ascolto è il contrario di tale ordine: i materiali linguistici vengono totalmente stravolti e non possiedono
assolutamente alcun effetto di riconoscibilità. Gli strutturalisti si dichiaravano indifferenti, se non addirittura ostili, al problema della
comunicazione e comprensione dell’opera.
Lo scollamento tra produzione e ascoltatore è inevitabile e il rapporto diventa conflittuale.

OLIVER MESSIAEN (1908-1992)

Compositore che maggiormente contribuì a orientare sulla strada della servilità integrale i musicisti della nuova avanguardia, maestro per
esempio di Boulez e per poco anche di Stockhausen.
Messiaen tenne al conservatorio di Parigi, dal 1947 per vent’anni, corsi di analisi musicale.
Egli compone il primo brano serialista (Mode de valeurs ed intensites Modo di valori e intensità per pianoforte, il terzo delle Quattro
études de rhythme, Quattro studi sul ritmo) da cui tutti prendono poi spunto; ciò che lui scrive è ispirato a canti di uccelli (di ogni specie,
che specifica nei suoi spartiti), principalmente per la loro caratteristica della ripetitività, anche Cristo e la religione sono molto importanti
nella sua musica (compone infatti, come unica opera San Francesco D’Assisi dove ci sono sia i canti degli uccelli che la religione, San
Francesco inoltre è il santo più “naturalista”).
Importante sua composizione è anche il Quartetto per la fine dei tempi, scritto quando si trova nei campi di concentramento, brano molto
cantabile che già contiene innovazioni.
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🎼 Mode de valeurs ed intensites, per pianoforte, primo brano serialista, in cui usa uno schema da seguire, creando delle strutture, ci
sono poi momenti in cui mette insieme tre schemi, facendo dei “mix”, un montaggio. Non si cerca la bellezza, il brano deve essere un
risultato scientifico. Molto difficile rendere al pianoforte tutto quello che lui scrive, l’esecutore deve essere desensibilizzato e meccanico,
infatti molte volte viene eseguito da un computer, che è perfetto. L’intero pezzo, che dura meno di quattro minuti, è organizzato su quattro
“modi” per ciascun parametro:
- Uno per le altezze, costituito da 36 suoni, ossia tre insiemi melodici che si estendono ciascuno su più ottave e perciò incrociati tra loro;
- Uno per i valori di 24 durate, dalla biscroma alla semibreve puntata;
- Un terzo per dodici tipi d’attacco;
- E un modo di sette livelli diversi d’intensità, dal ppp al fff.
Nella prefazione Messiaen fornisce la disposizione delle quattro serie; la scrittura costantemente su tre pentagrammi, associa a ciascuno
una particolare serie di durate: i valori del pentagramma superiore sono ricavati - non rigorosamente - dal primo modo, quelli del secondo
pentagramma dal secondo, quelli del terzo dal terzo. Le altezze delle note sono disposte, liberamente, in ordine discendente.
Questa composizione viene quindi definita “il manifesto” della musica serialista di Darmstadt, che quindi cerca l’unione di tutti i parametri,
tutto basato su schema a base 12, diventato ormai numero perfetto in musica, quindi tutto viene “dodicizzato”.
Prima di sviluppare le tecniche seriali egli faceva parte del gruppo francese Jeune France (1936-1939) composto da Baudrier, Daniel-
Lesur, Jolivet e Messiaen. Essi sentivano la necessità che la musica tornasse all’istinto, all’emozione e all’irrazionalismo romantico,
avvicinandosi a Debussy. Messiean, organista importante, considera la musica “arcobaleno teologico”: arcobaleno perché il compositore
realmente vede determinati colori associati a determinate sonorità; teologico perché non vuole raccontare storie sacre, ma rappresentare
verità teologiche.

Al medesimo anno 1951 risalgono anche le prime opere che sfruttano la cosiddetta “serialità integrale”: esse utilizzano successioni
prestabilite, di altezza, ritmi, dinamiche, timbri… si tratta di Poliphonie X (non lettera dell’alfabeto, ma la forma incrociata) per 18
strumenti di Boulez (seguita da Structures I per 2 pianoforti) e di Kreuzspiel per 6 esecutori di Stockhausen.
In Poliphonie X l’intero spazio acustico è serializzato e il discorso musicale si presenta estremamente frammentato, tipico della scrittura
“puntillistica”: ogni più piccola cellula melodica è trattata come “punto” isolato, dissociato da ogni continuità temporale, ferma restando la
lucida e calcolata organizzazione dell’insieme.
Le Structures I (1952), si collocano sulla stessa linea, con un controllo ancor più ferreo dell’organizzazione formale globale, ottenuto
mediante mediante la serialità integrale. In omaggio a Messiaen, la seria fondamentale delle altezze in Structures I è ricavata da Mode
de valeurs.
La tendenza soprattutto di Boulez, è di eliminare qualsiasi soggettivismo (innanzitutto espressivo) dai procedimenti competitivi: essi si
basano su fattori oggettivi, su materiali predeterminati e rapporti numerici, che danno poi luogo a una sorta di generazione automatica
del risultato.

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🎼 Structure I, brano di Boulez strutturato, per due pianoforti, segue un sistema geometrico matematico. Si basa su una “matrice” e
diagonali. Non gli interessa il risultato acustico, ma la struttura; brano puro, come deve essere l’opera d’arte, caratterizzata
dall’autogenesi, è nata da sola in automatico. Boulez ritiene chiunque non scriva in questa maniera antiquato e fascista; Adorno critica
molto il compositore, sostiene che non è verità, è falsità la sua musica dal momento in cui usa una maniera, quindi la definisce “piatta” e
che rispetto a quella sono meglio le melodie e le “musichette”. Questa maniera di comporre vuole assecondare il periodo della rivolta di
questi anni, delle manifestazioni degli anni ’60.
Le posizioni di questo tipo e l’atteggiamento generale degli alfieri della Nuova Musica (così definita da Adorno), danno luogo a molte
interpretazioni: questa musica vuole tagliare i ponti con ogni espressività post romantica e ripartire da zero (forse per staccarsi anche dal
passato recente della guerra e i totalitarismi); vuole perseguire l’utopia di un totale distacco dal contesto storico, per un’esigenza di
libertà assoluta dell’artista da ogni vincolo di comunicatività: cerca di essere “nuova” e di reinventare un linguaggio per prendere le
distanze da uno uso mercificato della musica (propagandistico), quale si sta cominciando ad affermare nella cultura di massa.
Boulez (apprezzatissimo direttore d’orchestra) vive la contraddizione tra coerenza matematica e tendenza a un’istintività potente, che si
rivela ad esempio in Le marteau sans maître (il martello senza padrone, 1954, “cantata” per contralto e strumenti, su testo di Char).

Nei lavori di Stockhausen degli anni Cinquanta il processo del più rigoroso formalismo costruttivo costituisce il primo campo di
sperimentazione. Oltre a ciò, il compositore ha approfondito il problema della irradiazione del suono nello spazio acustico, con la
tendenza ad enucleare singoli aggregati di suoni, aventi una propria caratterizzazione complessiva, organizzati secondo relazioni globali.
Egli passò così da una musica puntillistica alla composizione per “gruppi” di suoni ampiamente spaziati. La disgregazione della materia
sonora è perseguita in Kontra-Punkte per 10 strumenti (1952), che mostra un interesse anche per l’aspetto puramente materico del
suono, dal puntillismo più rarefatto all’effetto di massa stratificata (che sviluppa poi con Gruppen-Technik, tecnica per gruppi, a partire
dal Gruppen, 1957, per 3 orchestre, ciascuna con un proprio direttore). L’insieme strumentale di Kontrapunkte raggruppa sei diversi
timbri e il discorso musicale si articola in una successione calcolatissima di grappoli di suoni contrastanti, anche per gradi di intensità
dinamica. I Klavierstucke I-IV, costituiti da brevi crani e pensati come esercizi di astrazione geometrica, realizzano ciascuno soluzioni
formali particolari: rarefazioni e addensamenti di durate (n.1), combinazioni armoniche (n.2), frammentazioni puntillistiche (n.3), intrecci di
contrappunti virtuali (n.4).
La disgregazione della materia sonora è udibile anche nella serie iniziale di Klavierstucke (1952-1953).
Quella di Stockhausen è una concezione statica del tempo, da cui trae la sua coerenza. Statica, ma non priva di tensione: al contrario,
tesa in ogni suo attimo, simile ad una linea retta comprendente l’infinita totalità dei punti sul suo percorso.
Ogni attimo è importante per sé stesso, uguale in ogni suo punto, uniforme e pressoché immobile.
Questa concezione del tempo, che nacque dall’attrazione del compositore tedesco per le filosofie orientali (in esse l’immobilità
contemplativa è vissuta come azione, o almeno com moto), si contrappone a quella romantico-espressionista fondata sul principio del
divenire, sull’inafferrabilità dell’attimo.
In Zeitmasse agli esecutori non viene chiesto di misurare il tempo s un metro comune a tutti; ognuno segue un suo tempo, è libero.

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Vi sono episodi in cui vengono sovrapposte differenti misure, dando luogo a strutture ritmiche estremamente complesse. L’intento è
quello di arrivare, attraverso la negazione della misura, ad un periodare fluttuante, ad un decorso flessibile e svincolato da ogni regolare
scansione ritmica. Così viene anche meno la necessità di una corrispondenza nelle sovrapposizioni verticali dei suoni.
Il risultato finale è una trama fittissima di eventi sonori che danno un’impressione di immobilità. L’organizzazione complessiva del brano è
comunque progettata sulla base di una “scala cromatica temporale”, con trattamento seriale.
In Gruppen Stockhausen applica il processo di “spazializzazione della musica, ossia l’idea di stratificazione di più decorsi temporali, che
è da considerare come espressione delle sue esperienze elettroacustiche.
Tre “gruppi” orchestrali indipendenti, di 109 esecutori, circondano l’ascoltatore: sono collocati in punti diversi, con un proprio direttore.
La posizione spaziale in cui la musica viene udita diventa importante: lo spiegamento spaziale del suono diventa funzionale e
l’ascoltatore si trova immerso in varie dimensioni temporali che si combinano per creare un ulteriore mondo temporale comune. inoltre, le
sorgenti sonore non producono più punti di suono; generano piuttosto gruppi di suoni, di rumori, di combinazioni tra suono e rumore,
ognuno dei quali è un’unità totalmente autonoma. I tre insiemi non possono mai fondersi, poiché restano spazialmente separati: le fasce
sonore sono dunque percepibili come un continuum pressoché immobile. La coesione formale del brano è ottenuta mediante la
serializzazione delle fasi sonore, ritmiche, armonico-intervallari. La tecnica del continuum temporale diviene uno dei tratti stilistici di
Ligeti.
Anche Nono segue itinerari personali, interessandosi a nuove possibilità comunicative collegate anche al suo costante impegno politico
(esponente di rilievo del Partito Comunista): ne il Canto Sospeso (per soli, coro e orchestra, 1956) il testo, tratto da lettere di condannati
a morte della Resistenza, frammentato, reso intellegibile all’ascolto, rappresenta anche una chiara presa di posizione morale.

La tendenza dei compositori a concentrarsi sulle complessità e tecniche costruendo strutture “chiuse” (e definita “strutturalismo”, giunge
presto a dover essere superata dai suoi stessi artefici: Boulez - che conosce i lavori di Cage - in una conferenza del 1957 comincia a
parlare di “alea controllata” e della forma come combinazione di elementi stabiliti sì dall’autore, ma scelti e sviluppati dall’interprete.
Quindi si insinua anche a Darmstadt l’idea di casualità (presente nella experimental music di Feldman e del suo ispiratore Cage).
Feldman si riferisce ai pittori astrattisti americani (Pollock, de Kooning) e realizza partiture astratte in cui non indica altezze, durate o
dinamiche, ma semplicemente i registri acuto, medio, grave di intervento. In seguito abbandona la notazione indeterminata e mantiene il
legame con l’astrattismo in composizioni che si estendono su sterminate superfici sonore, come For Philip Guston, 1984, che dura 4 ore.
Idee estreme come questa prevedono una quasi totale negazione dell’intenzionalità dell’autore, andando al di là dell’alea.
La presenza di Cage a Darmstadt nel 1958-1959 (preceduto dal pianista Tudor, interprete della sua musica) costituisce quindi un
salutare scontro di mentalità: se nel 1956-1957 Boulez (con la Terza Sonata) e Stockhausen (con il Klavierstück XI) hanno già proposto
le loro opere influenzate dall’alea. Le posizioni di Cage mettono in dubbio l’dea stessa di composizione, come era stata tramandata nella
storia della musica occidentale (opera scritta e conclusa, il cui risultato fonico è previsto dal suo autore). Strutturalismo e alea diventano
quindi le possibilità principali dei musicisti europei d’avanguardia degli anni Cinquanta e Sessanta: queste tendenze portano con sé
anche il pericolo di diventare nuovo accademismo (serialità) o, passato l’effetto-provocazione, puro gioco (alea).

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Fra gli Italiani, oltre a Nono, abbiamo Togni, Maderna, Berio, Manzoni, Clementi, Donatoni… oltre a Franco Evangelisti (1926-1980) che
si interessa molto all’alea e fonda a Roma nel 1961 il gruppo di improvvisazione Nuova Consonanza.
Non tutti i compositori di Darmstadt hanno condiviso pienamente l’ortodossia più radicale del metodo seriale di Boulez e Stockhausen;
vale notare che in effetti non è mai esistito un modo univoco di intendere la seriati. Alcuni compositori ritennero necessario adottare delle
“pratiche miste”. Pur senza rifiutare le tecniche dello strutturalismo seriale, essi non vollero escludere dalla propria musica le categorie
dell’affetto e dell’espressione ereditate dal passato. Questo atteggiamento di rinnovato interesse per la storia, emerge nella produzione di
Maderna e Nono, figure di primo piano nel panorama della nuova avanguardia musicale del secondo dopoguerra.
Sia Maderna che Nono, musicisti di ampi interessi (per la polifonia rinascimentale per esempio), dovettero molto agli insegnamenti di
Malipiero e del direttore Scherchen. Negli anni '50 parteciparono attivamente ai corsi di Darmstadt, ma il loro linguaggio competitivo non
aderì mai strettamente ad un rigore, astratto, di tipo sistematico-speculativo. Questo atteggiamento valse loro pesanti attacchi.
Bruno Maderna (1920-1973), molto attivo a Darmstadt, anche come direttore d’orchestra e promotore della nuova musica. Veneziano,
allievo di Malipiero, che lo coinvolge anche nelle trascrizioni della musica antica italiana; durante gli studi di direzione d’orchestra
conosce la dodecafonia grazie al maestro Scherchen. A Darmstadt, pur adottando la serialità, Maderna sfugge la totale
predeterminazione e coltiva pure la sua personale esigenza espressiva; anche nell’uso dell’alea mantiene una dimensione controllata e
poetica al tempo stesso. Quadrivium, del 1969, per 4 percussionisti e 4 gruppi orchestrali disposti in luoghi diversi, prevede sezioni
aleatorie; Serenata per un Satellite (1969), dello stesso anno, dispone liberamente su un grande foglio i pentagrammi per permettere agli
esecutori di decidere cosa suonare, in quale ordine e con quale strumento. Quindi dà delle indicazioni generali (anche di tempo).
In questi anni c’è lo sbarco sulla luna, brano quindi dedicato a un satellite specifico che va nello spazio, non ci devono essere basi
perché deve essere qualcosa di astrale.
Quindi la sua aleatorietà comunque è controllata: dà indicazioni varie, il grosso lo fa l’interprete (si dice componesse così per la
mancanza di tempo); questo modo di scrivere diventa anche di tendenza. Quindi si dice che l’interprete è co-autore, poiché può scegliere
per esempio di ripetere/saltare sezioni, o altre scelte comunque fatte tra delle opzioni (libertà dell’interprete diversa da quello di prima
che suon Brahms, Beethoven ecc… poiché la libertà di quest’ultimo è espressiva, del primo invece è quasi compositiva).
Maderna si occupa attivamente anche di musica elettronica e anche con essa sviluppa un discorso molto personale, sfruttando anche la
gestualità strumentale ad esempio nell’azione teatrale Hyperion (1964) o nell’opera aleatoria Satyricon (1973) sul libretto di Petronio.
In questi tempi la musica elettronica viene fatta dal nastro magnetico (non proprio dal computer) e c’è tutto un repertorio per questo.

In una conferenza a Darmstadt del 1959, Nono aveva fortemente criticato la tendenza, in particolare di Cage e di Stockhausen, a non
voler integrare il fenomeno artistico-culturale nel suo contesto storico, a considerarlo invece in sé per sé, come fine a sé stesso e solo in
relazione la preciso istante in cui si manifesta. Sosteneva che la musica fosse sempre una presenza storica, una testimonianza degli
uomini. Se questo passato ci interessa oggi, non possiamo però, secondo Nono, in nessun modo “attualizzarlo” o tradurlo mediante una
“ricostruzione”. La scoperta continua della tradizione non ha mai fine; è la scoperta di ciò che possiamo imparare, non solo
scolasticamente, ma approfondendone lo spirito, la forza creativa, il processo dell’invenzione durante i diversi momenti importanti della
storia.
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Si noti che i “passati” scoperti da Nono abbracciano anche la letteratura, la pittura, la filosofia, la politica e l’etnologia; comprendono le
diverse culture europee e soprattutto extraeuropee.
Uno degli aspetti fondamentali della musica di Maderna degli anni Cinquanta, che deriva dal legame strettissimo con la tradizione
musicale italiana, è l’inclinazione a coltivare l’espressione melodica, in una dialettica tra lirismo che appare spontaneo e determinante
costruzioni formali rigorose della materia sonora.
In certi suoi lavori orchestrali quali Composizione n. 2 (1950), Improvvisazione n. 1 (1952) e Composizione i tre tempi (1954) compaiono,
pur nella complessità delle tecniche seriali, reminiscenze, citazioni - di tempi di danza in Composizione n. 2 e in Improvvisazione n. 1, tre
canti popolari veneti in Composizione in tre tempi - è presente una certa propensione a privilegiare i valori melodici del discorso
musicale.
Nono ha lavorato con quel materiale eterogeneo che Boulez e Stockhausen cercavano di evitare o sopprimere (negavano alla musica
qualsiasi significato extramusicale). Le sue musiche posseggono sempre dei messaggi ben determinati, veicolati da una tecnica non fine
a se stessa. Per questo grande importanza ha rivestito l’uso della voce su testi di preciso valore umano e sociale e che esprimono una
presa di posizione culturale e politica rispetto alla vita. In essi è spesso presente la tematica della Resistenza, della lotta contro il
fascismo e contro ogni pensiero reazionario conservatore che dominò la vita musicale italiana del dopoguerra.
Impegno civile e ideologico, determinazione comunicativa unita al rigore della costruzione musicale e all’esplorazione di nuove regioni
della materia sonora sono gli aspetti fondamentali della poetica di Nono.
Ispirandosi senza dubbio a Schoenberg, egli indirizza ogni sforzo creativo verso la risoluzione del rapporto dialettico tra l’ “espressione” e
la “forma”. Già nelle opere più giovanili pagò il suo tributo al rigore costruttivo della tecnica dodecafonica. Il suo primo lavoro, le Varazioni
canoniche sopra una serie di Schoenberg (1950) per orchestra da camera, utilizza la stessa serie della Ode to Napoleon (1942); intende
essere un omaggio al padre della dodecafonia, la cui figlia Nuria doveva sposare nel 1955.
In polifonia-monodia-ritmica (1951), per sei strumenti e percussioni, è proposta un’efficace dialettica tra suoni singoli e aggregati
complessi, giocata sull’opposizione tra fiati e percussioni, che sarebbe divenuta una delle caratteristiche tipiche della sonorità di Nono, e
più in generale della scrittura puntillistica dei primi anni Cinquanta. Varietà di timbri e scale dinamiche, oltre all’impiego sistematico della
tecnica dodecafonica, è il tratto stilistico che contraddistingue Incontri (1955), per 24 strumenti (la composizione è basata su una serie
reiterata 41 volte e poi l’intera struttura è ripetuta a specchio).
In Il canto sospeso (1956) per voci soliste, coro e orchestra l’utilizzo della voce umana assurge ad un ruolo di primo piano. Compare per
la prima volta una tecnica basata sull’applicazione della polifonia puntillistica al testo verbale: le parole e le sillabe vengono spezzate,
distribuite tra le diverse voci trattate alla stregua di eventi timbrici isolati. Grande espressività, per comunicare in maniera diretta il pathos,
semplice ma tormentoso, dei testi letterari, che sono frammentati di lettere di condannai a morte della Resistenza europea.
Il divenire musicale dei nove brevi movimenti si sviluppa attraverso un continuo fluire e intrecciarsi di fasce sonore corali e insiemi
strumentali su blocchi di densità variabile con intensificazioni e distensioni delle durate.
La tecnica seriale, anche se non rigorosamente conserva in tutti i movimenti, è applicata a quattro unità di durata, alle dinamiche e alle
altezze. A differenza di Boulez e Stockhausen, nel Canto sospeso, non solo l’elemento tematico non scompare, ma l’intervallo è sempre

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significante. La serie dodecafonica su cui si basa la composizione contiene un’ampia varietà di intervalli, tra i quali anche una quinta
giusta, a quell’epoca evitata per le sue implicazioni tonali.
Nel quarto movimento Nono svela la struttura della serie in modo percettibile. Questo movimento costituisce uno splendido esempio della
ricerca timbrica impiegata in funzione espressiva. Dalla sonorità vibrante su un continuum di fasce di suoni ora armonici ora normali degli
archi, emerge una figurazione musicale lacerante. La scrittura orchestrale è caratterizzata da una grande varietà di modi d’attacco,
timbri, livelli d’intensità e posizioni nella tessitura sonora. In ogni movimento del Canto Sospeso l’ascoltatore è messo di fronte ad un
nodo di relazioni e di significati, di situazioni antitetiche - oppressione e rivolta, realtà e utopia, riflessione e spontaneità, intelligenza ed
emozione, ecc… - che richiedono una sua partecipazione attiva e non deve solo lasciarsi magicamente assorbire dal flusso sonoro.
I significati extramusicali e i molteplici “gesti” musicali/espressivi da cui hanno origine le forme sonore di Nono chiamano colui che le
percepisce a collocarsi egli stesso in un mondo di emozioni, di sensazioni, di evocazioni, dai quali egli è circondato.
Nei lavori posteriori al Canto sospeso, Nono pose sempre più al centro del proprio interesse competitivo l’esplorazione, in funzione
espressiva, delle potenzialità della materia sonora e delle sue possibili espansioni nello spazio acustico, facendo ampio uso dei mezzi
elettroacustici. Rimase costante il suo impegno etico e politico, evidente nelle scelte di testi di marcato peso ideologico, che costituì un
importante stimolo alla sua fantasia creatrice: la denuncia dell’imperialismo capitalistico nell’azione scenica Intolleranza (1960), del
flagello atomico in Sul ponte di Hiroshima (1962), per soprano, tenore e orchestra; la lotta operaia di liberazione in Occidente e nei Paesi
del terzo mondo in A floresta é jovem e cheja de vida (“La foresta è giovane e piena di vita, 1966)M la partecipazione femminile alla lotta
per il rinnovamento della società in Al gran sole carico d’amore (1975). Alcune importanti opere di Nono furono concepite in stretta
collaborazione con gli interpreti fino al punto di inventare una inedita dimensione di contatto creativo: il materiale composito viene scritto
insieme agli interpreti, dopo ore e ore di ascolto analitico del suono registrato. Dalla stretta collaborazione con l’amico Maurizio Pollini
nacque, per esempio, Sofferte onde serene (1977), per pianoforte e nastro magnetico.
Partecipatore attivo dei corsi di Darmstadt dal 1951 al 1957 è stato Camillo Togni, influenzato come Nono e altri musicisti dal rigore
costruttivo della scrittura puntillistica di Webern, Togni ha trattato la materia sonora in particolare con estrema sensibilità e indiscutibile
maestria tecnica. Questo lo vediamo nei tre Capricci op. 38 per pianoforte, e nei Rondeaux per dieci (1963).

Per gli italiani di Darmstadt è molto importante il rapporto con il testo, unito anche all’interesse per il teatro. Nono unisce all’attività
musicale la necessità dell’impegno politico: per l’azione scenica Intolleranza (1960) utilizza un collage di testi (Brecht, Eluard,
Maiakovskij) che riguardano vari episodi di intolleranza nella storia, vi è un’azione narrata, ma essa sta in rapporto dialettico (anche
negativo) con la musica, realizzando la dissociazione dell’elemento visivo uditivo; è prevista la proiezione di immagini con montaggi
particolari e viene usato anche il nastro magnetico, con diffusione in vari punti della sala. Nono teorizza un teatro in cui artisti diversi
collaborano sullo stesso piano di parità, in un “collettivo delle idee”.
Secondo Nono, inoltre, l’artista deve impegnarsi per formare un nuovo pubblico, diverso da quello borghese e composto anche da
studenti e operai, cui va proponendo la musica nelle fabbriche e nelle università, anche a rischio di essere duramente contestato.
Il tentativo di Nono rimane lontano dalle possibilità di comprensione di un pubblico sempre più attratto da altri modelli musicali.

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Il Partito Comunista infatti apprezza il compositore poiché parla molto contro i fascisti, il problema è che usa un linguaggio poco
comprensibile ai molti, quindi in qualche modo va contro il suo partito stesso, al quale vuole provare a parlare. Il popolo adesso ascolta
cantautorato, musica americana, ecc…
Quindi in generale la musica di avanguardia di questo periodo è in crisi per questo motivo, il popolo ascolta le nuove tendenze musicali,
più facili da capire e più orecchiabili. Nel ’68 c’è addirittura un’opposizione verso questi compositori poiché accusati di reggere un potere
(anche se piccolo), nonostante fossero contro un potere, essendo praticamente tutti del partito comunista: rappresentando la nuova
musica europea, per quanto possano essere in disaccordo con questa, reggono un potere.
Diventa più difficile per questi compositori farsi ascoltare dal popolo, Nono ne soffre molto per esempio, poiché questo era uno dei suoi
obiettivi maggiori. Anche quando va in Russia viene disprezzato dal Partito Comunista, perché viene anche accusato di formalismo, oltre
a non essere capito. Per Nono si deve andare avanti, non comporre più in maniera tonale, poiché sarebbe “antico”. Quindi il partito
comunista italiano lo tollera poiché sa di cosa parla, nonostante non lo capisca; il partito comunista russo invece non capendo cosa dica
e di cosa parli, usando inoltre un linguaggio di avanguardia, non lo tollera.
La ricerca di Nono, unita al suo interesse per la musica elettronica continua poi con Como una ola de fuerza y luz (Come un’onda di
forza e luce, 1927) e …sofferte onde serene (1976) per pianoforte e nastro magnetico (per Pollini).
Negli anni Ottanta troviamo un ulteriore cambiamento del suo linguaggio col quartetto Fragmente-Stille an Diotima (Frammento-Silenzio,
a Diotima, 1980), in cui il testo di Hölderin evocato dal titolo è presente sulla partitura, ma non deve essere pronunciato e il Prometeo.
Tragedia dell’ascolto (1984) per voci, orchestra e live elettronics, alla prima esecuzione veneziana partecipano molti artisti italiani.
🎼 Fabbrica Illuminata Nono(1964): musica elettronica unita a un cantante, un coro, e grande miscuglio di rumori di fabbrica, non piace
perché gli operai non vogliono vedere ciò che fanno durante tutto il loro tempo, aggiungendo anche la loro mancanza di diritti ecc.,
vogliono spensieratezza; non desiderano, quando vanno a rilassarsi, vedere ciò che li fa soffrire, diventa una sorta di “giramento nella
piaga”. Tecnicamente c’è un testo scritto molto frammentato, brano teatrale coinvolgente di espressività carnale.

Luciano Berio (1925-2003), ligure, condivide con i letterati del Gruppo 63 (Neoavanguardia di tutte le arti) l’esigenza della
teatralizzazione della parola e gli è vicino agli studi di linguistica anche Umberto Eco e al suo concetto di “opera aperta”: per Berio il testo
è significato , ma anche significante, sostanza fonico/musicale con cui giocare. Grazie alla collaborazione con la prima moglie cantante
Cathy Barberian, nascono opere come Circles (1960) e Sequenza III (1965), per voce, in cui la parola, spesso disgregata in singoli suoni
vocalici e consonantici, si teatralizza diventando puro strumento per musica.
🎼 Lo stesso accade in Sinfonia (1968, inteso come “suonare insieme”) per grande organico con l’ausilio del gruppo Swingle Singers,
commissionata da Bernstein (che nel mentre sta riscoprendo Mahler con la Filarmonica di New York): nel movimento dedicato a Martin
Luther King (sorta di Requiem) le sillabe del nome dell’attivista nero divengono il materiale musicale da sviluppare. Celebre è anche il
terzo movimento, basato sullo Scherzo della Seconda Sinfonia di Mahler e costruito come sistema di citazioni diorami diversissimi,
assemblati insieme a interventi parlati e cantati. Nel quarto movimento cita invece il Quarto Movimento della Seconda Sinfonia di Mahler.

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Anche Mahler nelle sue sinfonie pone più elementi di compositori passati, Berio compie lo stesso procedimento di Mahler, ma al
quadrato. Objective Trové: “oggetti smarriti”, Berio prende frammenti musicali e li mette insieme. Questo processo definibile Post-
moderno, quindi anche Mahler definibile così per l’atteggiamento che usa nelle sue composizioni (citando il passato).
Chiamata Sinfonia poiché questa è la sinfonia per eccellenza, come modello ha le sinfonie mahleriane con all’interno altri elementi della
musica occidentale: quindi grande vaso di storia della musica occidentale, frammentato, quasi irriconoscibili gli elementi che usa.
Inserisce inoltre anche frammenti di brani, di testi, diventati di culto negli anni ’60 come Beckett (Teatro dell’Assurdo, nuovo tipo di
letteratura basata sul “no sense”, che va molto di moda, nello specifico, testo Innomable) o Lévi-Strauss (più grande antropologo della
seconda metà del ‘900, creatore antropologia strutturalista moderna, testo Le Cru et le Cruit, il crudo e il cotto). Quest’ultimo parla anche
della differenza tra cultura e natura dell’uomo: quindi la natura è ciò che l’essere umano fa da animale, la cultura è ciocche fa con
razionalità. Lo strutturalismo è molto di tendenza negli anni ’60.
La riutilizzazione di materiali preesistenti è una costante dello stile di Berio, che rielabora musiche popolari (🎼 11 Folksongs, 1964, folk
vero, trascrizioni vere, per piccola orchestra, oppure inventate ma come se fossero scritte in certi posti precisi), canzoni dei Beatles
(Berio apprezza molto la musica “popular”, musica di Boccherini, Verdi e altri; si basa anche su abbozzi schubertiani per Rendering
(1990). Anche nel suo teatro musicale Berio spesso prende le mosse da opere preesisenti (Orfeo di Monteverdi per Opera, 1970; Il
Trovatore per La vera storia, 1982, su libretto di Calvino), mentre in Outis (1996) i molteplici riferimenti sono quasi tutti letterari (Omero,
Joyce, Brecht, Melville, Sanguineti…). Anche Berio si impegna (come Maderna e Nono) per la diffusione della cultura musicale: oltre alla
fondazione del periodico “Incontri musicali”, presenta nel 1972 la serie televisiva C’è musica & musica, fonda il centro Tempo Reale di
Firenze (1987) ed è presidente dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia (2000-2003).

Già nella Sequenza V di Berio possiamo vedere una notazione non convenzionale, personalizzata: questo rappresenta l’insufficienza
della grafica tradizionale in relazione alle esigenze della Nuova Musica. Nasce così un’ampia riflessione sul rapporto tra autore,
esecutore e notazione: quest’ultima super anche la tradizione prescritti e descrittiva, arriva a inglobare il gesto e diviene stimolo per
l’immaginazione dell’interprete, soprattutto in ambito aleatorio. Si giunge anche alle partiture grafiche, in cui incerto è il confine con l’arte
figurativa: si vedono numerosi esempi contenuti nel volume Notations a cura di Cage.
In Italia il caso più eclatante è Sylvano Bussotti (1931) che esprime la sua personalità attraverso fitti riferimenti culturali e autobiografici.
Tutto ciò è amplificato nell’esperienza teatrale che, dalla Passion selon Sade (1965), si sviluppa poi negli anni Settanta nel
Bussottioperaballett, progetto di “opera d’arte totale”.

Anche Franco Donatoni (1927-2000), dopo una vicinanza allo strutturalismo darmstadtiano (Puppenspiel I) inizia una riflessione che lo
porta a esperienze di musica gestuale e aleatoria, per togliere importanza all’intenzionalità del compositore sia a quella dell’esecutore.
Nel Quartetto IV Zrcadlo (1963) gli esecutori propongono i materiali musicali preparati dal compositore secondo i suggerimenti che
ricevono dai quotidiani del giorno, guardati durante l’esecuzione. Questa fase di auto negazione e di manipolazione automatica del
materiale preesistente è poi superata con il recupero del concetto di “figura”, come entità che, seppure variata e moltiplicata, mantiene
una sua identità (quartetto The Heart’s Eye, 1979).
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Donatoni ha molta influenza sui musicisti italiani nella sua posizione di docente al Conservatorio di Milano, all’Accademia Chigiana di
Siena, al DAMS di Bologna e al corso di perfezionamento di S. Cecilia.

Uno strumento sia elettronico sia classico (tastiera analogica monofonica) che va molto negli anni del secondo dopo guerra è le “Onde
Martenot”, specialmente in Francia; piace molto a Messiaen, l’interprete feticcio è Loriod.

GYORGY LIGETI

Anche György Sándor Ligeti (1923-2006) parte da esperienze darmstadtiane; di famiglia ungherese ebrea.
Nel 1944 viene condotto ai lavori forzati (quasi tutta la famiglia muore ad Auschwitz); riesce a fuggire e a rientrare a Budapest dove
continua gli studi. Dopo l’insurrezione ungherese nel 1956, repressa violentemente dai sovietici, fugge a Vienna. In questo periodo entra
in contatto con i repertori di avanguardia, frequenta i corsi di Darmstadt (intorno agli anni ’50) e in seguito il centro di musica elettronica di
Colonia. Ligeti mantiene la sua autonomia stilistica e sviluppo una tecnica definita “micropolifonia”: un intreccio di linee brulicanti in un
ambito intervallare ristretto, che danno l’impressione di una fascia sonora viva, ma quasi immobile, dal timbro particolarissimo.
Questa tecnica si rivela nelle grandi opere orchestrali Apparitions (1959), Atmosphères (1961) e Lontano (1967) o anche in opere vocali
come il celebre Lux aeterna (1966).
Ligeti usa la tecnica del continuum temporale come Stockhausen: la sua individuale ricerca sonora si compie specialmente in Apparitions
e Atmospheres, entrambe per un baso organico orchestrale.
🎼 Artikulation per computer (quindi uno dei primi esempi di musica elettronica), si toglie l’esecutore dalla paura dell’esecuzione, toglie
così l’elemento umano e creativo. Importante è anche la partitura visiva, non resa da Ligeti, ma da posteri; il compositore crea il brano
direttamente al computer e non lo scrive. Suoni non più reali ma sintetici.
Negli anni Ottanta Ligeti passa a uno stile un po’ diverso, in cui riemerge l’interesse per aspetti ritmici (anche grazie ai suoi giovanili
interessi etnomusicologi) e il linguaggio armonico si chiarifica per esempio negli Studi per pianoforte.
🎼 Poeme Symphonique per 100 metronomi
🎼 Lux aeterna
🎼 la Gran Macabre
🎼 Adventures e nouvelles aventures
🎼 Atmoshperes: in cui v’è un’assenza assoluta di ogni articolazione del ritmo e della melodia: non si distinguono voci individuali e non ci
sono contorni ritmici. Fasce di suoni disposti per intervalli di semitono subiscono ventuno fluttuanti varianti nello spessore e nel timbro,
con la tendenza ad espandersi nell’intero spazio acustico, in un equilibrio calcolatissimo d’impercettibili entrate e di silenzi.
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Nella parte centrale del pezzo si trova un canone a 56 voci, non discernibile dall’orecchio. Le diverse parti si muovono, ma l’effetto
globale rimane statico, immobile.

L’ALEA

Il vasto ricorso a procedimenti compositivi detti aleatori o casuali costituì, dal 1950 al 1970 circa, uno dei fenomeni più vistosi della nuova
avanguardia musicale. La pratica dell’alea trovò la sua prima esecuzione negli Stati Uniti, in seguito anche in Europa, in particolare.
Darmstadt.
La musica definita aleatoria è fatta dal compositore che indica soltanto alcuni dati; non fissa cioè sulla carta tutto ciò che si ascolta
nell’esecuzione, ma lascia una parte più o meno grande all’iniziativa dell’interprete, o anche al caso. Ne risulta quella che è chiamata
“opera aperta”, vale a dire non esattamente determinata riguardo sia all’esecuzione sia al momento stesso della creazione dei materiali
musicali. L’interprete è il centro attivo e ordinatore delle relazioni possibili tra i materiali suggeriti dal compositore, quindi assurge al ruolo
di compartecipe alla creazione. L’opera d’arte si trasforma così in “operazione d’arte” e l’esecuzione/ascolto finisce per diventare
happening (evento), riproducibile con esiti diversi. In realtà, una composizione non esiste più in quanto tale, ma solo come esecuzione, o
come l’insieme di diverse possibili esecuzioni. Con l’alea si dissolve il concetto di “composizione” come “opera d’arte” compiuta, come
unicum immutabile. Più in generale, vi è la tendenza alla negazione di ogni residuo di “forma” intesa come successione di eventi musicali
tra loro connessi seguendo un piano logico. L’alea è manifestazione diretta di certe aspirazioni all’irrazionale nell’arte, che divennero
rilevanti soprattutto negli Stati Uniti intorno alla metà del secolo.
Una delle conseguenze principali della composizione aleatoria è la grande varietà di nuovi tipi di notazione adottati; quasi per ogni
composizione viene ideata una nuova notazione, affatto personale, che lascia in sospeso molti parametri musicali, rinviandone la
definizione all’atto esecutivo, alla decisione soggettiva dell’interprete. In molti casi la partitura si presenta come un insieme di linee
spezzate, rettangoli, diagrammi e altri espedienti grafici, a cui talvolta si sovrappongono frammenti di note convenzionali sul
pentagramma, di volta in volta interpretabili in base ad un codice stabilito dall’autore.
Lo studio e l’esecuzione dell’opera comportano pertanto la preventiva acquisizione dello specifico sistema di notazione escogitato.
Music of changes (1951) di Cage per esempio: la sua partitura grafica fu presentata a Darmstadt nel 1959, un critico musicale ebbe a
notare che al primo sguardo si aveva l’impressione di avere a che fare con un disegno di Paul Klee.
Quindi vediamo l’introduzione della partitura come opera grafica, intesa a soddisfare l’occhio oltre che destinata all’orecchio.
Il primo a farne uso fu John Cage (1912-1992) all’inizio degli anni Cinquanta, poi Morton Feldman (1926-1987), Earle Brown (1926) e
Christian Wolff (1934).
Le aspirazioni artistiche di Cage si collocano all’estremo opposto dell’iperdeterminato costruttivismo seriale adorato dai primi compositori
gravitanti attorno a Darmstadt. Il compositore americano preferisca affidare all’assoluta casualità le proprie scelte compositore; preferisce
cioè basarle su fatti sonori liberamente associati, meglio ancora se totalmente occasionali, imprevedibili.

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Per Cage, compositore che più ha ampliato il concetto di “musica”, ogni suono è musica e non ha senso organizzarlo secondo precise
intenzioni, seguendo cioè un piano logico. Il “comporre” può diventare la semplice presa di contatto con oggetti svariati, prodotti con
strumenti tradizionali o con ogni altro mezzo possibile.
Quindi musica sono anche il rumore, i materiali esistenziali (risate, battimani, ecc…) e persino il silenzio, quest’ultimo inteso come i suoni
che non sono stati scritti in quanto, secondo Cage, il silenzio assoluto non esiste.
inoltre, per Cage, il “gesto” (quindi le azioni compiute dall’interprete prima e/o contemporaneamente all’emissione sonora) viene ad
assumere una funzione altrettanto importante, e molte sono le sue composizioni che implicano un’esecuzione gestualmente intenzionata.
L’atto esecutivo (happening) viene così a caricarsi di un preciso valore extramusicale, viene investito di un suo autonomo valore estetico.
Water music (1952), per esempio, è scritto per un pianista che deve travasare acqua da una tazza all’altra, suonare un fischietto, usare
una radio e un mazzo di carte. Si può riscontrare una certa affinità del gestualismo di Cage con l’action painting del pittore Pollock
(1912-1956), ove il dipinto è il risultato di un’azione fortuita: il colore viene sgocciolato e spruzzato sulla tela stesa a terra, sulla quale il
pittore opera dall’interno utilizzando il suo corpo.
Cage ha esposto le sue teorie in saggi e conferenze, molti dei quali sono raccolti nei volumi “Silence” (1961) e a Year from Monday
(1967). Egli insegnò in diverse università e fu presente alle maggiori manifestazioni e festival d’avanguardia.
Non sono estranee agli atteggiamenti di Cage influenze di varie estetiche contemporanee, quali il futurimo, il dadaismo, gli
sperimentalismi di Cowell, le pratiche paradossali di Satie volutamente ironiche-provocatorie, miranti allo smantellamento di ogni
struttura. La musica di Cage fu inoltre arricchita dal sodalizio (anni ’49-’50), con il ballerino e il coreografo di danza libera Cunningham e
con il pittore, scenografo e costumista Rauschenberg, considerato uno dei precursori della pop art, per quel suo modo di introdurre nelle
opere, che chiamò combine paintings (dipinti combinabili), rottami e oggetti vari.
Decisivo per l’evoluzione artistica di Cage, fu il suo interesse dal 1947, per la filosofia orientale, per il buddismo della setta “Zen”,
secondo cui l’illuminazione interiore (cioè lo stato di assoluta trasparenza di chi si è perfettamente realizzato e pertanto capace di
cogliere la realtà più alta della vita) non dev’essere ricercata negli schemi sclerotici della ragione, quanto, piuttosto, raggiunta attraverso
la meditazione “senza intenzione”, svolta nel vuoto, nel silenzio.
Questa dottrina per lui fu proprio un’impostazione filosofica da cui trasse la sua definizione di musica: il trascorre del tempo musicale è
come un immobile edificio sonoro e come fattore ipnotico di contemplazione. Dalla non intenzionalità nasce soprattutto il ricorso a
tecniche aleatorie volte a eliminare i parametri musicali tradizionali, nonché ogni traccia dell’aspetto soggettivo del processo competitivo.
Il ricorso al caso si fonde significativamente con l’interesse per il rumore ed altre inconsuete situazioni sonore, decisamente provocatorie.
Per quanto riguarda la poetica del silenzio, il suo lavoro più emblematico è 4’33 (non composto nel 1952), che può essere eseguito “per
qualsiasi strumento o combinazione strumentale”: si richiede all’esecutore(i di preparare l’occorrente per fare musica ma poi di non
suonare assolutamente niente per tutto il tempo indicato dal titolo; il suo vero aspetto musicale sono i rumori d’ambiente prodotti
dall’uditorio.
Gli interventi aleatori sul processo compositivo, Cage li aveva sperimentati negli anni ’30-’40 sul pianoforte “preparato” (ovvero un
pianoforte nella cui meccanica si possono inserire pezzi di carta, plastica ecc…); per esempio nei Balletti Bacchanale (1938), Imaginary
landscapes n. 1, Credo in us (1943).
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Music of Changes, composto da quattro brani, per pianoforte, rappresentò una svolta decisiva dell’artista: una totale revisione della sua
tecnica compositiva e di fondamentale rinnovamento della sua coscienza artistica. Qui c’è un nuovo impiego di operazioni casuali per
prendere importanti decisioni compositive: nel momento della composizione, la composizione stessa ha pertanto origine da operazioni
casuali. Il titolo dell’opera si riferisce al millenario I-King (Libro dei Mutamenti), un sistema cinese per ottenere oracoli mediante il lancio di
monetine e l’interpretazione delle combinazioni così ottenute. Cage inizia la composizione preparando diagrammi di numeri al quadrato
per tempi, dinamiche, suoni o pause, durate e sovrapposizioni. La casualità, che egli consulta attraverso il lancio delle monete (sei volte),
determina la scelta dei materiali che saranno combinati. Il risultato viene scritto secondo uno schema di battute precedentemente
progettato in modo che la sequenza sia definitivamente determinata e che il singolo evento sonoro si presenti con la maggior precisione
possibile in ogni parametro. In questo modo Cage libera la composizione musicale dal gusto individuale (elemento fondamentale della
filosofica buddista), dalla memoria e dalle forme tradizionali.
Dopo Music of changes, la dimensione casuale del metodo competitivo di Cage si manifestò in una varietà di modi: trasformando le
imperfezioni di un pezzo di carta in note in Music for piano 21-52 (1955), ricoprendo mappe stellari con carta trasparente per produrre
suoni dalle costellazioni in Atlas eclipticalis (Atlante eclitticale, 1961), ecc…
A partire dal concerto per pianoforte e orchestra (1958), alla casualità delle decisioni prese nel momento della composizione, si aggiunge
l’aleatorietà dell’esecuzione: 84 diversi moduli compositivi sono eseguiti dall’orchestra in accompagnamento al pianoforte, in qualunque
possibile combinazione e secondo qualsivoglia ordine.

In Europa l’assunzione dell’alea si inserì nella più generale tendenza degli esponenti darmstadtiani a superare i rigori dello strutturalismo
seriale. L’opera totalmente organizzata si trasformava in qualcosa che l’esecutore non riusciva a controllare, quindi diventava una specie
di anarchia, poiché l’esecutore non riusa a districarsi tra tutte quelle indicazioni.
Inoltre, l’ordine implacabile che controllava il corso degli avvenimenti ingenerava “una monotonia esasperante”.
Boulez scrive un articolo riguardo all’argomento dove auspica l’uscita dal formalismo seriale proponendo una “dialettica che si instauri in
ogni istante della composizione tra un’organizzazione globale rigorosa e una struttura momentanea sottomessa al libero arbitrio”. Il
mutamento di indirizzo di Boulez trovò una prima applicazione in Le marteau sans maitre (Il martello senza padrone. 1954), per contralto
e organico strumentale insolito (flauto in sol, viola, chitarra, xilorimba, vibrafono e percussioni). Innanzi tutto il riappropriamento della
voce e del testo poetico è già di per sé significativo, perché riduce il rigore dell’astrattismo seriale, mentre l’originalissimo organico
strumentale prescelto dimostra un’attenzione spiccata ai valori ritmici e timbrici del discorso musicale, derivata da Debussy.
La composizione, suo capolavoro, è basata su un ciclo di tre poesie surrealiste di René Char (1908-1988) e si articola in nove brevi
movimenti. Nella ricerca di un’inedita corrispondenza tra parole e musica, Boulez limita gli interventi vocali a quattro movimenti (IV, V, VI,
IX), mentre i cinque commentaires strumentali (organico diverso in ogni movimento), fungono da commento o premessa alla poesia e
hanno pertanto col testo lo stesso rapporto degli episodi vocali. Il vocabolario ritmico si presenta variegato, animato da bruschi
cambiamenti di tempo, da rubati, da alternanza di strutture ripetitive e asimmetriche. Il tessuto sonoro, incentrato nei registri medi e alti, è
caratterizzato da un fitto alternarsi di suoni intensi e raggruppamento in piccoli nuclei, con effetti che spesso alludono alla musica

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“esotica” orientale. L’impressione dell’esecutore è quella di una fantasia di carattere improvvisato, eppure controllata da una essenziale
severità tecnica.
Nel 1957 Boulez affrontò nel saggio Alea il problema dell’assunzione della casualità come elemento integrante di una composizione: egli
non si dichiara contrario a porre il caso nella composizione, a condizione però che lo si realizzi all’interno di una certa struttura, di un
decorso generale rigorosamente predeterminato. La casualità deve intervenire, inversamente a Cage, dopo e non prima della stesura
della composizione, come libera scelta dell’interprete.
L’alea controllata di Boulez si colloca in tal senso agli antipodi della concezione, teorizzata da Cage, dell’indeterminazione totalmente
fortuita. Nel suo modo di intendere l’alea, Boulez ebbe come punto principale di riferimento i concetti invalsi nella letteratura francese di
fine ottocento, come Mallarmé.
Egli racconta in un’intervista che l’idea dell’alea controllata, concretatasi per la prima volta nella Terza Sonata per pianoforte (1957), dalla
lettura di un celebre testo del 1897 di Mallarmé “Un lancio di dadi non abolirà mai il caso”, un testo difficile, ermetico, complesso, dove si
propone la rottura del sistema sintattico e del sistema grafico tradizionale.
Nella Terza Sonata è sperimentato l’effetto che lascia all’esecutore la possibilità di modificare strutture di cui si era, però, già
predeterminato il percorso generale all’atto della composizione. Il pezzo consta di cinque differenti “formanti” (movimenti) che possono
essere disposti dall’esecutore in vari ordini. Soltanto Constellation o la versione alternativa Costellazione a specchio (forma retrograda
della prima) deve sempre costituire il formante centrale. Ciascun formante è costituito da una continua alternanza di segmenti obbligatori
e opzionali, e l’interprete può scegliere tra un’infinità di itinerari diversi.
In Costellazione a specchio si alternano segmenti in stile armonico-accordale particolarmente denso (blocs), stampati nella partitura in
rosso, e segmenti in stile puntillistico (points) in verde.
Dei cinque formanti di questa sonata, due soltanto sono stati pubblicati: Costellazione a specchio e Trope (Tropo): gli altri sono stati
concepiti come work in progress, non ancora completamente finiti. Boulez spiega che quest’opera assumerà ad ogni esecuzione un
aspetto leggermente diverso. Il suo progetto non consiste nel cambiar l’opera ad ogni istante, ma nel cambiare i punti di vista, le
prospettive, mentre il suo significato resta lo stesso.
Con Klavierstuck XI (1956), Stockhausen aveva già dato prova della sua concezione dell’alea, molto meno “controllata” rispetto a Boulez.
Egli sente il bisogno di superare i rigori della serialità integrale (Cage era stato ai Fereinkurse nel 1958 e da lì influì sulla nuova musica
europea); il Klavierstuck lascia all’interprete una libertà senza precedenti. È scritto su un unico grande foglio rettangolare su cui sono
disposti 19 gruppi di note di lunghezza e difficoltà differenti, ciascuno dei quali reca in coda delle indicazioni di tempo, di intensità e di tipi
d’attacco (tot 18). I gruppi vanno suonati secondo una scelta casuale: l’esecutore suona un gruppo abbinandolo a una delle 18
alternative tra le indicazioni prima citate.
Quando il pianista giunge ad aver ripetuto ogni gruppo due volte, il pezzo è finito. Le possibilità combinatorie sono molto elevate ed ogni
esecuzione è diversa da un’altra.
In Zyklus (Ciclo, 1959), per numerose percussioni tutte affidate a un unico esecutore, l’alea e la notazione di Stockhausen sono
finalizzate a valorizzare al massimo le capacità improvvisatori degli strumenti usati. All’esecutore è concessa un’ampia gamma di
soluzioni.
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I metodi aleatori di Boulez e Stockhausen furono applicati nelle composizioni di molti musicisti gravitanti attorno a Darmstadt.
In Mobile (1958) H. Pousser estese a due esecutori la libertà di impiego di strutture “mobili”. Esso è un pezzo “componibile” e il
montaggio avviene tra le “macrostrutture” (le 9 sezioni costituenti il testo principale) e i tre Cahiers mobiles (Quaderni mobili) da
interpolare all’interno di ampie possibilità prescritte dal compositore. Ispirato ai mobiles (oggetti mobili) dello scultore Calder (’30).
Nel clima culturale di Darmstadt, un posto particolare lo occupa Mauricio Kagel, docente ai corsi estivi dal 1960 al 1966; egli, su esempio
di Cage, ha cercato di sperimentare nuovi rapporti tra creatore, esecutori e pubblico, introducendo l’alea a forme di teatro gestuale.
Esempio tipico è “Sur scene” (sulla scena. 1960), definito dall’autore “pezzo per teatro musicale da camera in un atto”: si tratta di
un’opera per un attore recitante, un cantante (basso), un mimo, esecutori di strumenti a tastiera e percussioni, e il pubblico stesso.
Il testo è una divertente parodia di tutte le posizioni accademiche dei compositori contemporanei di fronte alla nuova musica.
Gli strumentisti si muovono sulla scena intervenendo nelle parti recitate; l’attore svolge il suo discorso in un aggregato alogico di suoni; il
mimo sollecita il pubblico, provocandone gli interventi, mentre il cantante si sdoppia in tutti i tipi di esecuzione. Le azioni, le parole, la
musica e il canto si intrecciano in forme complicatissime, ma strettamente controllate da una precisa partitura.
Negli anni Sessanta, crescente importanza venne assegnata all’apporto creativo dell’interprete, attuato attraverso il potenziamento
dell’improvvisazione aleatoria e la rivalutazione del gesto esecutivo. In Italia questa tendenza si esercitò nel gruppo di improvvisazione
“Nuova Consonanza”, fondato a Roma nel 1964 da Evangelisti (con Guaccero, Macchi e Castiglioni), il quale frequentò i corsi di
Darmstadt dal 1952 al 1960. La sua ricerca sull’alea raggiunge il massimo grado in Aleatorio (1959) per quartetto d’archi (il brano di 18
battute può essere suonato più volte purché gli interpreti, in accordo tra loro, ne mutino i caratteri di tempo, intensità, ecc…) e in Random
or not Random (Fortuito o non fortuito, 1962) per orchestra. La forma di quest’opera, dedicata a Cage, non è definita e di volta in volta è
lasciata all’occasionale realizzazione: gli strumentisti praticano la libera improvvisazione, producendo suoni sempre modificati, rumori,
ecc….
Nelle sue ultime composizioni, Maderna mise a punto una tecnica aleatoria che si avvale di originalissimi modi di esecuzione. Ne è
saggio emblematico la breve Serenata per un satellite (1969) per otto strumenti.
La partitura si presenta come un “reticolato” di moduli musicali, notati sulla pagina per diritto e per traverso, incrociati, storti, ma con
indicazioni esecutive di assoluta precisione, affidati alle combinazioni estemporanee degli interpreti. Gli strumentisti improvvisano ad lib.
ma con le note scritte.

LA MUSICA ELETTRONICA

La nascita della musica prodotta da apparecchiature elettroniche o da fonti sonore di altra natura (suoni, rumori della vita quotidiana) ma
elaborate su nastro magnetico va posta in una relazione con la più generale tendenza, affermatasi con forza particolare nella musica del
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Novecento, a mettere in discussione i tradizionali schemi del discorso musicale e a considerare il timbro come valore determinante e
assorto dell’invenzione musicale.
Numerosi compositori del XX secolo hanno inoltre mirato a superare i limiti del sistema armonico-tonale e della distinzione tra suono e
rumore. Apporti fondamentali in questa direzione furono dati dalle ricerche timbriche e armoniche di Debussy, dalle sperimentazioni
pionieristiche dei futuristi italiani e di Varèse.
In ambito teorico, già Busoni aveva proposto una serie di affrancamenti linguistici, quali l’uso di nuove scale non temperate - prevedendo
l’impiego anche di intervalli più piccoli del semitono - e l’idea di superare i limiti invalicabili imposti dagli strumenti musicali convenzionali.
Date le pressoché illimitate possibilità offerte dai mezzi elettroacustici, il compositore può intervenire direttamente sulla materia sonora,
senza servirsi dell’esecutore.
Per mezzo dell’apparecchio elettronico il compositore può:
- manipolare, scomporre, modificare i suoni registrati mediante variazioni di velocità o inversioni di direzione;
- Sperimentare suoni totalmente nuovi, di natura sintetica (quindi direttamente generati dall’apparecchiatura elettronica) consistenti in
una frequenza “pura”, priva di qualsiasi armonico (suono sinusoidale), e quelli che producono il cosiddetto “suono bianco”, ossia il
suono che contiene tutte le frequenze comprese nello spazio acustico udibile, da 20 a 20.000 Hz;
- Elaborare con grande facilità qualsiasi rapporto intervallare, sottraendosi ai condizionamenti del temperamento equabile;
- Combinare suoni sintetici con quelli prodotti dagli strumenti tradizionali o nella realtà della vita quotidiana;
- Intervenire sulla spazializzazione del suono tramite altoparlanti;
- Superare ogni distinzione tra suono e rumore.
In un saggio del 1955, Boulez evidenzia con esemplare chiarezza le illimitate possibilità di cui il compositore dispone nel campo della
musica elettronica: il compositore non ha limiti con questi mezzi e diventa esecutore.
Nella musica elettronica la partitura non è utile, dal momento che gli eventi sonori esistono nella registrazione su nastro magnetico e
richiedono l’intervento non già di un interprete tradizionale, bensì di un tecnico del suono. Le partiture esistenti presentano pertanto le
istruzioni per il tecnico.
Solo raramente esistono partiture di “lettura” per l’ascoltatore.
Studie II (1954) di Stockhausen è stato il primo pezzo elettronico pubblicato in partitura. Un ulteriore esempio è dato da Thema (Omaggio
a Joyce) di Berio (1958).
Il primo strumento elettronico fu costruito dall’americano Cahill (1867-1934), denominato telharmonium o dynamophone: consisteva in un
complesso di 12 generatori di corrente alternata e generatori di onde sinusoidali (suoni puri senza armonici). Ne parla anche con
entusiasmo Busoni; lo strumento però non ebbe mai successo.
Successivamente vennero creati altri strumenti come il thereminovox o etherophone (1920) del russo americano Theremin (1896-1993),
consistente in due oscillatori, uno a frequenza fissa e l’altro a frequenza variabile.
Di una certa fortuna godette anche lo strumento “onde Martenot”, creato da Maurice Martenot; dotato di una tastiera a cinque ottave per
eseguire intervalli temperati e suoni gliassati, lo strumento ha avuto impiego in composizioni orchestrali quali il balletto Semiramis (1934)
di Honegger, Ecuatorial (1934) di Varese, La fete des belle eaux (1937) e la Turangalila-symphonie (1949) di Messiaen.
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In seguito al rilevante sviluppo di nuove tecnologie di produzione sonora avvenuto nel secondo dopoguerra, molti compositori
d’avanguardia affermatisi negli anni Cinquanta, furono attratti dalle apparecchiature elettroniche. Quasi tutti lavorarono negli studi
elettronici messi in opera perlopiù da emittenti radiofoniche, a partire il Columbia-Princeton electronic music center di New York (1951) e
altri centri statunitensi. Nel 1951 fu fondata da Schaeffer a Parigi, presso la Radiotelevisione francese il gruppo di ricerca della musica
concreta.
Anche nel 1951 prese avvio lo studio di musica elettronica promosso da Eimert presso la Radio della Germania Occidentale di Colonia.
Nel 1954, per iniziativa di Maderna e Berio, fu istituito presso la RAI di Milano uno “studio di fonologia musicale” per la musica
elettronica. Numerosi altri centri di produzione elettronica sorsero da allora presso radio, istituti universitari e privati.
Tra i nuovi centri elettronici più aggiornati c’è l’IRCAM (istituto di ricerca e coordinamento acustico/musica) di Parigi, fondato da Boulez
nel 1976). Vale notare che ai corsi di Darmstadt non accadde ai niente di fondamentale per quanto riguarda la musica elettronica, salvo
alcune prime esecuzioni, quali quelle delle due versioni (1952 e 1958) della Musica su due dimensioni di Maderna e il Gesang Der
Junglinge (1956) di Stockhausen.
Va tuttavia precisato che la sperimentazione elettronica è stata costantemente presente nelle attività dei corsi, con lezioni e corsi , tenuti
da Varese e Berio, negli anni ’50 e da Kagel, Ligeti e Pousseur negli anni ’60.
Nel secondo dopoguerra, si svilupparono due tecnologie elettroacustiche nettamente distinte di produzione sonora: quella registrata su
nastro magnetico (chiamata musica concreta), poiché vi mescolano, combinato e deformano, mediante tecniche di montaggio, elementi
sonori e rumori qualsiasi presi dalla vita quotidiana e dalla natura, uniti a suoni tradizionali; e quella basata esclusivamente su suoni di
natura sintetica, cioè generati in laboratorio e privi di suoni armonici.
Le prime esperienze di musica concreta sono legate a Schaeffer, figura di ingegnere-musicista: i suoi primi lavori, adoperanti la tecnica
del montaggio furono realizzati presso la RTF (Radiotelevisione francese); si tratta di lavori diretti verso fini descrittivi e infatti portano
titoli quali “Studio sulla stazione ferroviaria” (1948) e Sinfonia per un uomo solo (1949), con sospiri, canticchi, mugolii, ecc.. di un uomo.
Con la fondazione del gruppo di ricerca della musica concreta, Scheffer si avvale di strumenti elettronici per la registrazione magnetica
su tre piste: compone così l’Orphée 53 (1953) con Henry, prima opera teatrale “concreta”, collage di voci, accompagnate dal
clavicembalo e rumori.
Primo vero capolavoro di musica concreta è Deserts di Varese (1954): contrappone a un gruppo di strumenti tradizionali suoni concreti
generati elettronicamente e registrati su due tracce; questa composizione influì molto su i giovani compositori per l’affiancamento di
suono tradizionale e suono elettronico.
L’applicazione della musica concreta aprì una nuova era nel campo della musica funzionale di consumo: fu oggetto di trasmissioni
radiofoniche, costituì il fondo sonoro di film pubblicitari e fu utilizzata nelle colonne sonore cinematografiche per creare effetti particolari.
La musica concreta parigina rimase un fenomeno isolato nel panorama dell’avanguardia Europa; i compositori preferirono lavorare
principalmente su suoni generati elettronicamente in laboratorio, dal suono sinusoidale al suono bianco, talvolta combinati con suoni
concreti. Tra gli autori: Stockhausen, Kagel e Pousseur.

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Un primo importante risultato musicale dell’impiego di apparecchiature elettroniche fu realizzato a colonia con il Gesand der Jünglinge di
Stockhausen; in questa composizione vengono utilizzati solo suoni sinusoidali prodotti dai generatori elettronici, ma anche materiali di
origine concreta, la voce di un adolescente, elaborata e modificata in studio, condotta a volte oltre l’intelligibilità.
Il testo dei frammenti vocali è tratto dal Cantico dei tre giovani nella fornace della Bibbia (Libro di Daniele). L’intento di Stockhausen p di
realizzare quest’opera l’unione organica di un suono concreto e suoni sintetici. Il materiale registrato su nastro viene trasmesso
attraverso cinque gruppi di altoparlanti, circolarmente disposti intorno al pubblico. Il suono viene così proiettato in tutte le direzione, così
l’ascoltatore viene avvolto. Tra gli effetti realizzati dalla fertile e brillante inventiva di Stockhausen attraverso l’elaborazione e il montaggio
dei suoni figurano i seguenti:
- Effetti di esco e di riverbero sonoro, con slittamenti di voce fra sfondo e primo piano, in diversi livelli d’intensità;
- Mormorio lontano di una moltitudine di voci identica, che produce l’effetto di un’immaginaria polifonia;
- Scariche improvvise di particelle sonore, generate da impulsi elettronici;
- Interferenze timbriche tra fonemi, frammenti di canto e suoni prodotti elettronicamente, al modo della scrittura puntillistica.
La novità principale del Gesang consiste nella concezione spaziale del suono e del suo movimento. Mediante la distribuzione del suono
si più canali si sostituisce in certo modo lo spazio al tempo: il decorso temporale degli eventi sonori viene percepito come una continua
successione di “istanti” non legati tra loro. Tecnica caratteristica della musica elettronica.
Gesang inoltre è la prima di una lunga serie di composizioni che esplorano ogni possibile impiego della voce umana unitamente ai mezzi
elettronici. La spazialità del suono è elemento caratterizzante anche di Transizione I di Kagel, realizzata nello Studio di Colonia nel 1958:
il tempo come dimensione attiva è riempito di materiali sonori vari, organizzati in fasce o agglomerati timbrico-materici.
I compositori che operarono nello Studio di Milano, avendo più apparecchiature, sperimentarono tecniche di manipolazione elettronica
segnatamente complesse, accogliendo materiali eterogenei, quali voci e strumenti. Dopo due composizioni elettroniche, Mutazioni (1956)
e Prospettive (1957), basate essenzialmente sulla frantumazione, di tipo puntillistico, del tessuto sonoro, Berio realizzò a Milano nel 1958
Thema (Omaggio a Joyce). Qui utilizza la sorgente sonora “concreta” della voce umana, giungendo a risultati di sorprendente originalità:
il materiale di base è un passo tratto dall’inizio del capitolo XI (Le Sirene) dall’Ulysses (1922) di James Joyce (1882-1941), letto da
un’unica voce femminile in tre lingue diverse (inglese, francese e italiano). Attraverso una complessa manipolazione elettronica, la voce
registrata (parlante e sussurrante) viene distorta e sovrapposta due volte con se stessa, aumentando e diminuendo i rapporti di tempo e
dinamici in maniera continua. Così Berio ha realizzato un rapporto di nuovo genere tra parola e suono, tra poesia e musica, partendo
dall’elaborazione delle peculiarità foniche delle diverse lingue impiegate. Singole frasi, parole, talvolta fonemi isolati (per esempio la s),
diventano oggetto di uno straordinario sviluppo musicale, assumendo un ruolo molto più importante che non la pura intelligibilità del testo
poetico.
Tra i primi lavori prodotti nello Studio di Milano, Scambi (1957) di Pousseur si impose all’attenzione per avere introdotto per la prima volta
in una composizione elettronica i principi dell’alea controllata, corrispondenti a quelli della Terza Sonata di Boulez.
Le 16 breve sezioni che compongono questo pezzo possono essere distribuite nel tempo, possono essere sovrpaììapposte e
interscambiabili in un ordine sempre diverso. L’ordine della successione può essere compiuto dl pubblico stesso, dal privato uditore che

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disponga “d’una installazione acustica” su cui esercitare “a domicilio, un’immaginazione musicale inedita, una nuova sensibilità collettiva
della materia sonora e del tempo”.
Nel 1958, durante un soggiorno di alcuni mesi in Italia, Cage realizzò a Milano l’Aria per mezzosoprano con Fontana Mix, uno dei suoi
pochissimi pezzi elettronici. Si basa sulla fusione, ottenuta mediante la tecnica del montaggio del canto di un non-senso in più lingue, con
rumori di fabbriche, strumenti, suoni elettronici.
Un’area di sperimentazione che ha cominciato a interessare è stato l’abbinamento tra strumenti tradizionali e suoni elettronici, al fine di
superare il contrasto tra musica “registrata” e musica eseguita dal “vivo”, in modo da integrare perfettamente così suoni sintetici e
fenomeni sonori naturali. Pioniere di ciò fu Maderna.
In Musica su due dimensioni (versione del 1957) per flauto e registrazione elettronica, il materiale eseguito dallo strumento solista viene
contrapposto al suo stesso suono elaborato su un nastro a due piste. Il pezzo consiste di cinque episodi per flauto; l’esecutore alterna
episodi scritti in notazione tradizionale ad altri quasi completamente aleatori. Gli episodi sono collegati da interludi, pure elettronici,
variamente combinabili secondo un principio aleatorio che lascia moltissimo spazio all’iniziativa estemporanea del solista e del tecnico
del suono. In Kontakte (Contatti) (1960), Stockhausen prosegue l’esperienza di Maderna, contrapponendo all’esecuzione di due musicisti
che agiscono sul pianoforte e su un vasto insieme di strumenti a percussione, suoni elettronici provenienti da quattro altoparlanti. È una
composizione caratterizzata da una straordinaria sensibilità acustica. Il discorso musicale si svolge su un continuum di fasce sonore di
durata assai lunga non misurabile in valori proporzionali, quasi ad evocare un mondo sonoro in rotazione, statico, senza evoluzione
possibile. I contatti sono quelli tra i suoni provenienti dagli strumenti e quelli che arrivano dagli altoparlanti, senza mai che gli uni
prevalgano sugli altri.
Di Kontakte fu pubblicata una “partitura d’uso” in cui la parte elettronica è rappresentata da grafici che debbono permettere agli
strumentisti di sincronizzarsi con essa al momento dell’esecuzione in concerto.
Negli anni Sessanta si arricchisce lo strumentario elettronico per la manipolazione del suono sintetico (filtri, modulatori ad anello,
regolatori ecc…) fino all’ invenzione (1965) negli USA del musical synthesizer (sintetizzatore musicale) per opera di Moog.
Si tratta di uno strumento che incorpora in un unico blocco un insieme di moduli interconnetibili, ciascuno avete una funzione specifica.
Ciascun modulo può essere oggetto di controllo sia manuale che automatico mediante tensione elettrica. Il sintetizzatore viene utilizzato
nella musica elettronica sia per le esecuzioni dal vivo che nel lavoro compositivo in tempo differito del laboratorio. Diversi studi elettronici
cominciarono ad essere dotati di grandi sintetizzatori modulari e registratori multitracce, che eliminano le lunghe e complesse procedure
di missaggio e di montaggio di suoni.
Il sintetizzatore permette la trasformazione e manipolazione dei suoni nel momento stesso in cui vengono emessi, ossia nel “tempo
reale” dell’esecuzione, alla pari con qualunque altro strumento tradizionale. Questo genere è detto live electronic music (musica
elettronica realizzata dal vivo). Cage ne ha dato probabilmente il primo esempio con Cartridge music (musica di cartuccia, 1960), che
richiede agli esecutori di spostare vari oggetti, quali tavoli e sedie, messi in contatto con dei microfoni, il cui suono viene amplificato e
trasmesso al pubblico con degli altoparlanti. Anni dopo Stockhausen inizia Kontackte, una serie di opere elettroniche live, a partire da
Mikrophonie I (Microfonicità I, 1964) per tam-tam, due filtri e regolatori d’ampiezza, e Mixtur (Mistura, 1964) per cinque complessi
strumentali, quattro modulatori ad anello e quattro generatori di onde sinusoidali.
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Stockhausen spiega in un saggio il processo di composizione di Mikrophonie I: “due esecutori mettono in vibrazione con materiali più
diversi il tamtam, due altri esecutori “esplorano” il tamtam con dei microfoni; è prescritta loro di volta in volta la distanza tra microfono e
tamtam (quindi dinamica e timbro), la distanza relativa del microfono dal punto di vibrazione (altezza, timbro e percezione spaziale del
suono) e il ritmo del movimento del microfono indicato secondo una notazione particolare. Altri due esecutori manovrano ognuno un filtro
elettrico e un potenziamento e determinano a loro volta timbro e altezza (regolando il filtro), la dinamica e l’effetto spaziale (combinando
le posizioni del filtro e del potenziamento) e il ritmo delle strutture (con variazione temporale, prescritta dei due apparecchi).
In questa maniera sono collegati tra di loro tre processi di strutturazione di suono dipendenti l’uno dall’altro e reagenti l’uno all’altro e allo
stesso tempo autonomi, che sono stati compositi in maniera sincrona o cronologicamente indipendente, omofonicamente o secondo una
polifonia a sei parti. La partitura è costituita da 33 strutture musicali autonome che vengono combinate per ogni esecuzione dai musicisti
secondo uno schema di collegamento dato. Lo schema di collegamento definisce i rapporti tra le varie struttura. Tre musicisti (un
suonatore di tamtam, un microfonista e un esecutore che manovra filtro e potenziamento) formano un unico gruppo ed eseguono di volta
in volta una delle 33 strutture. a un punto convenuto essi danno all’altro gruppo il segno di cominciare con la struttura seguente; questo
gruppo, dopo un intervallo di tempo prescritto, ridà l’attacco al primo gruppo, e così via.”
A questa prassi sono legati altri lavori di Stockhausen, come gli Hymnen (Inni, 1969): composizione complessa e colossale (quasi due
ore), per suoni elettronici e strumenti solisti operanti dal vivo, stilemi melodici, armonici e ritmici tradizionali vengono manipolati, distorti,
moltiplicati stereofonicamente, talvolta evidenziati al massimo. Stockhausen si serve di molteplici inni nazionali di varie regioni nel
mondo, esibiti ora uno alla volta, ora sovrapposti, ora frammentati in un continuo variare di prospettive dinamiche, ritmiche, spaziali.
In quest’opera il compositore realizza la sovrapposizione id tre spazi armonici: il primo creato dall’inserzione d’inni nazionali che in
qualche punto conservano le loro armonie originali (tonali o modali); il secondo, cromatico, è dato dagli interventi strumentali; il terzo,
infine, è uno spazio non temperato, organizzato con mezzi elettronici. Il risultato globale è un flusso sonoro di tale ricchezza fantasiosa
da produrre nell’ascoltatore una specie di magica ipnosi. È la prima volta che la musica elettronica incontra le musiche popolari.
D’altro lato, la musica prodotta con apparecchiature elettroniche è stata ampiamente utilizzata dalla musica di consumo, specialmente
col pop. Sul live electronic si basano anche alcuni lavori di Nono, composti a partire dagli anni Sessanta in poi; gli sembrava la soluzione
migliore per le sue esigenze di espansione e dinamizzazione dello spazio sonoro. Il materiale di partenza è sempre composto di elementi
eterogenei e preformati, ricavati da qualsiasi contesto, e poi ricomposti, elaborati, spesso in collaborazione con gli itnerpreti.
Nella ricerca di Nono, particolare importanza assume la voce umana, principale e suggestivo veicolo di trasmissione di un suo preciso
messaggio civile e politico. Grazie alle nuove tecnologie, egli concepisce sempre la composizione in rapporto a luoghi diversi
d’esecuzione, così da rompere gli schemi tradizionali d’ascolto. La materia sonora è aperta a continue trasformazioni, integrazioni,
proprie nel momento vivo dell’esecuzione, sempre diversa l’una dall’altra.
Tra le sue composizioni più significative: Non consumiamo Marx (1969), Al gran sole carico d’amore (1975) e Prometeo (1984).
Quest’ultimo lavoro si pone come una sintesi del suo pensiero creativo degli ultimi anni. L’opera reca il sottotitolo di “tragedia
dell’ascolto”, intende proporre un’esperienza di ascolto del tutto nuova. Lo spettatore non è inteso come fruitore passivo, ma è chiamato
a seguire il suono, i suoi movimenti, le trasformazioni, da un’eccezionale pluralità di fonti acustico-spaziali. Prometeo “mette in scena” tre
mezzi sonori totalmente differenti:
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- Strumenti tradizionali
- Voci cantate
- Live electronics per la trasformazione, selezione e regolazione del suoni.
È un’opera in cui non c’è più immagine, non c’è narrazione, non c’è scena, ma una “camera acustica” adatta per le circostanze. Rimane
solo il canto, la materia sonora e la forza di un preciso impegno artistico e ideologico. Per la prima esecuzione (1984) avvenuta a
Venezia nella chiesa sconsacrata di San Lorenzo, fu costruita una grande struttura in legno concepita da Renzo Piano per 400 spettatori.
Gruppi di cantanti e strumentisti sono distribuiti su tre gallerie circolari. Nei pressi dell’altare è collocata una grande quantità di
apparecchiature elettroniche live. Dozzine di microfoni ed un gran numero di altoparlanti sono posti attorno al pubblico.
L’obiettivo di Nono è quello di ribaltare le caratteristiche formali della messa in scena dell’opera teatrale. Il testo, di Nono e del filosofo
Cacciari, è basato su un collage di frammenti poetici, in italiano greco e tedesco. Il mitico titano greco, assetato di scoprire l’ignoto,
incarna la situazione dell’uomo moderno, con il suo eterno desiderio di esplorare nuove terre e nuove frontiere.
Prometeo costituisce un esempio di un work in prgrss. E infatti interi brani della partitura sono stati eliminati e ricomposti.
Il naturale e più avanzato sviluppo della musica elettronica è rappresentato dalla cosiddetta computer music, ossia musica composta da
suoni sintetizzati da potenti calcolatori secondo programmi specifici, imitando e no suoni esistenti. Il lavoro del compositore di computer
music consiste nel riordinare programmaticamente qualsiasi elemento del linguaggio musicale - quali frequenze, timbri, formule
cadenzali, ecc… - secondo procedimenti derivati da principi matematici.
Nelle memorie del calcolatore sono immaginate le istruzioni per produrre gli eventi sonori più comuni e diversi, che vengono sintetizzati
digitalmente. Sketches for computer n.2 (1971) di Ussachevsky è tra i lavori più significativi realizzati con questa procedura.

Negli anni Cinquanta vengono fondati i primi laboratori che utilizzano mezzi elettronici e si delineano due indirizzi principali: la musica
concreta (che rielabora materiali preesistenti, rumori e suoni quotidiani) e la musica propriamente elettronica (che utilizza puramente
suoni generati da apparecchiature elettroacustiche).
Il filone della musica concreta più essere associato alle tendenze artistiche che comportano la rivalutazione dell’aspetto materico e che
utilizzano oggetti comuni: in musica questo indirizzo viene perseguito dall’ingegnere-musicista Pierre Schaeffer (1910-1995), che fonda a
Parigi nel 1951 il Groupe de Recherche de Musique Concrète, in collaborazione con il compositore Pierre Henry.
La presenza a Parigi di Varèse dal 1954 a dare risultati musicali più validi con Désert e Poème életronique.
Contemporaneamente a Colonia Eimert fonda il suo Studio für elektronische Musik, rivolto all’indirizzo puramente elettronico. Presto si
stabilisce un rapporto di collaborazione con Darmstadt e in particolare con Stockhausen.
🎼 Dopo alcuni studi il primo esito importante è Gesand der Jünglinge (Canto dei fanciulli, 1955-1956, Colonia al centro di
sperimentazione della Radio) che era già contravviene alla “purezza” elettronica, dato che usa, in un contesto fonico sintetico, frammenti
di canto registrati dal vivo. L’opera usa 5 gruppi di altoparlanti dislocati nella sala e si inoltra quindi anche nel campo della
spazializzazione del suono (che interesserà i successivi).
Gesand der Jünglinge, capolavoro quindi della musica elettroacustica: registra voci di bambini e le manipola, modifica (come fa Berio in
Thema) e le inserisce in un contesto elettronico. La composizione tratta di una storia biblica: dal libro di Daniele dove Nabuscondor butta
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dei bambini in una brace (poiché lui e i Babilonesi volevano costringere gli ebrei a credere nel dio babilonese), arriva in seguito un angelo
e li salva. Quindi in scena, durante l’esecuzione, c’è colui che si occupa di “suonare” questa musica elettronica, con un apparecchio,
inoltre inserisce degli “effetti speciali” sulla scena, come giochi di luci (almeno nel video dove suona Stockhausen stesso).
Musica molto suggestiva, esempio anche di musica acusmatica, pensata appunto per non vedere l’esecutore (che è una macchina).
Questa musica, studiata e sperimentata negli studi della Radio, è quindi sostenuta dallo Stato, dalla mano pubblica, è anche molto
spesso commissionata, quindi il compositore viene pagato per sperimentare, anche solo per sé senza badare troppo alle esigenze del
pubblico (in America invece devi avere tu compositore i soldi per fare certi esperimenti). Musica vista come scienza, finanziata per
sperimentare in Europa. Quindi dato che il compositore scrive principalmente per sé, si allontana tantissimo dal pubblico, dall’ascoltatore,
non parla in un linguaggio ben comprensibile o espressivo e tonale.
Per certi compositori (che volessero entrare a far parte di gruppi avanguardisti) diventa un obbligo sperimentare, poi ognuno può
assumere un suo personale linguaggio.
Stockhausen compone l’opera Luce, di durata di 29 ore circa, composta da tante composizioni eseguibili anche singolarmente,
caratteristica di questa è che nonostante la lunghezza, tutto è unito con delle serie un po’ libere, sorta di Leitmotiv, ma più vaghi.
🎼 All’interno di quest’opera c’è anche il Quartetto degli Elicotteri, in cui ogni quartettista suona su un elicottero diverso e suona insieme
agli altri componenti del gruppo, sentendoli attraverso degli apparecchi. Estremizzazione di tutto, Stockhausen molto mistico.
Il compositore nasce come serialista (comunque diverso dagli altri), poi si distacca da questa tecnica, usa delle formule tipo Leitmotiv
(più libere) unite a serie, usati per connettere tutto. Il materiale ha vita e sviluppo, non è matematicamente deciso (come Boulez).
Per esempio la sua opera Aus Licht è formata da pannelli, anche molto diversi tra loro, però che devono creare alla fine qualcosa di
unitario, questo grazie anche appunto a questa sorta di Leitmotiv.

A Milano viene fondato lo studio di fonologia della RAI (dal 1955), fondato da Maderna e Berio, vi agiscono anche altri artisti come Cage
(Fontana Mix).
🎼 Tra le composizioni elettroniche di Berio citiamo Thema. Omaggio a Joyce (1959), in cui viene utilizzato il capitolo delle Sirene
dell’Ulisse registrato dalla voce della Barberian in inglese, francese, italiano; registrate le parole della cantante le rielabora e le contorna
di suoni elettronici. A Berio interessa il processo che porta al pezzo, non il pezzo in sé, quindi la produzione e non il risultato. Alla
composizione partecipa anche Umberto Eco per l’importanza del testo, della sua frammentarietà (dato che lo frammenta) e delle piccole
strutture fonetiche. Quindi c’è la Barberian che legge questo undicesimo capitolo dell’Ulysses che parla di sirene che deviano l’uomo,
musica che crea l’atmosfera adatta, di seduzione misteriosa; polifonia particolare. C’è anche una voce maschile e altre.
Maderna realizza diverse sue opere importanti tra cui Notturno (1956), Continuo (19589 e Musica su due dimensioni per flauto e nastro
magnetico (1952-1958): in essa il connubio tra strumento tradizionale e suono elettronico restituisce la dimensione viva dell’esecuzione.
🎼 Musica su due dimensioni: in una dimensione c’è il flauto, quindi suono reale, sullo spartito ci sono molte cose scritte, l’interprete deve
fare delle scelte; nell’altra dimensione c’è il computer, quindi la musica elettronica. Unione dunque del musicista col computer.

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A differenza di Thema di Berio, dove c’è l’umano modificato al computer, qui c’è l’umano messo a contrasto con l’elettronico. A Maderna,
discordante di nuovo da Berio, piace il prodotto finale, in questo caso del mettere a contrasto la disumanità del computer con l’umanità
del musicista.

L’iniziale opposizione musica concreta/elettronica viene poi meno. Con l’affermarsi di nuovi mezzi (come il sintetizzatore di Robert
Moog), si fa strada una nuova dimensione: tra musica su nastro (tape music) e musica elettronica prodotta dal vivo (living elettronica
music), che spesso convivono. Per esempio in Mikrophonie I (1964), Mixtur (1965), Mantra (1970) di Stockhausen e anche nei suoi lavori
teatrali. Nel frattempo l’impiego di mezzi elettroacustici si diffonde nell’improvvisazione e anche nel mondo della popular music.

Vari compositori adottano scritture complesse a volte solo in parte imparentatili con lo strutturalismo darmstadtiano. Il polacco Krzysztof
Penderecki (1933), passa per Darmstadt e si interessa soprattutto alla Gruppen-Technik di Stockhausen, come si ascolta nella celebre
Trenodia per le vittime di Hiroshima per 52 archi (1960).
🎼 In Trenodia usa soluzioni tecniche peculiari e notazione non convenzionale, per un brano che si basa su gesti sonori distinti da
timbro, dinamica, tipo di articolazione, fino al gigantesco cluster finale dei 52 archi. Esso è un brano sperimentale per orchestra, la quale
deve suonare come se fosse un computer (all’inizio il titolo doveva essere 8 minuti e 37, che sarebbe stata la sua lunghezza, però dato
che il brano è suonato da “umani” non finisce praticamente mai in questi termini di tempo; questa precisione dei tempi anche era dovuto
al fatto che nel post guerra si cerca il più possibile l’oggettivismo). Il brano descrive l’uomo dopo la bomba atomica, è molto suggestivo e
comunicativo infatti, finisce, per quello che esprime, quasi ad essere un brano romantico paradossalmente.
Tecnicamente notiamo una sorta di micropolifonia: ogni piccolo elemento fa il suo e si intreccia ad un altro elemento e così via, creando
quindi suoni vari e un’indeterminatezza.
A Varsavia in questi anni c’è un Festival che vuole essere una sorta di bastione di musica nuova, in contrasto col capitalismo occidentale.
Penderecki mantiene comunque una forza comunicativa (anche per questo chiama il brano Trenodia), che caratterizza anche opere
successive, spesso ispirate dalla fede cattolica e realizzate con organici molto ampi con linguaggio tonale: ad esempio l’oratorio Passio
secundum Lucam (1963) o l’opera Die Teufel von Loundon (I diavoli di Loundon, 1969). Così come quello di Penderecki sono i percorsi
di altri compositori di questi tempi: nella seconda parte del ‘900 c’è un ritorno al tonale, all’arcaico e al religioso.

Con la musica elettronica nasce quindi anche il concetto di musica acusmatica, i cui suoni non provengono da una fonte sonora
(strumenti musicali), escono da delle casse. Concetto che nasce nell’antica Grecia con Pitagora, il quale faceva lezione dietro a una
tenda, quindi gli allievi lo sentivano parlare, ma non vedevano la fonte del suono.
Inoltre con la musica elettronica si arriva definitivamente al concetto di oggettivismo, a cui aspirano a Darmstadt, dei suoni che vogliono
essere inumani, freddi, trasmettendo una musica immutabile nel tempo; dura fino agli anni ’80 circa.

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Quindi musica seriale: evoluzione della serie di Schoenberg, applicata a più elementi (pensiero di Webern quindi), può essere eseguita
sia da un computer sia da un musicista. La serialità inoltre può essere anche definita integrale, ovvero che tutti i parametri sono
serializzati (la dodecafonia riguarda solo le altezze per esempio).
La musica elettroacustica invece non sempre è seriale, può esserlo, ma può avere anche una partitura completamente libera, ed è
suonata SOLO dal computer: vengono ripresi suoni dalla natura, dalla quotidianità, e vengono modificati.
Cornelius Cardew (1936-1981), compositore britannico, diffusore della musica d’avanguardia europea e statunitense in Gran Bretagna;
entra alla Royal Academy of Music e durante un soggiorno in Germani (dal 1957), studia musica elettronica, diventando assistente di
Stockhausen, torna poi in Inghilterra.
🎼 Tratise (1967), considerata la sua composizione più importante, influenza di Stockhausen, Cage e Webern.
In seguito le sue ideologie politiche di sinistra (Marx e Mao Tse-tung) segnano un nuovo percorso stilistico a partire alla fine del decennio:
fase musicale, di forte impronta tradizionale e tonale.
🎼 Cardew Trio.

ALTERNATIVE ALL’AVANGUARDIA

Molti compositori che non hanno preso la via della Nuova Musica, continuano a coltivare quello che alcuni studiosi definiscono moderate
mainstream, un linguaggio ancora radicato nella tonalità, pur con gli aggiornamenti del caso, che si esprime spesso in forme ereditate
dalla tradizione (sinfonia, sonata, ecc…). Ovviamente questi musicisti ottengono riscontri in termini di pubblico impensabili per
l’avanguardia (conferma della loro irrilevanza per alcuni), ma in molti casi non si tratta affatto di artisti nostalgicamente ancorati al
passato, ma viceversa perfettamente inseriti nella cultura contemporanea, come Britten e Shostakovich.
Alcuni di questi musicisti provengono da regioni “periferiche”, come l’argentino Ginastera (1916-1983), all’inizio interessato al folklore, poi
approdato allo stile neo-espressionista; o come i finlandesi Rautavaara (1928) e Sallinen (1935) autori di sinfonie e concerti, in cui è
ancora vivo il retaggio del Neoclassicismo.

GIUSEPPE CHIARI (1926-2007), pittore e compositore italiano, fa parte del movimento Fluxus: dal 1950 inizia a comporre musica, di
stampo minimalista, in anticipo di 20 anni. All’interno di questo gruppo sperimenta “musica visiva” combinando l’arte visiva e musicale in
un continuo dove la musica si caratterizza per la sua componente visiva.
“🎼 ” partitura Luce (1966): da un lato c’è il contrasto silenzio/rumore, dall’altro buio/luce. Importante il dualismo.

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Scrive tante partiture dove per esempio dice “suonate ciò che volete”, aleatorietà pura, senza limiti; oppure fa disegni su delle partiture, e
anche questa per lui è musica visiva. È musica tutto ciò che lui definisce essere musica.
Anche Gesti sul Pianoforte (1979) è una sua composizione importante.

GIANCARLO CARDINI (1940): pianista, compositore, pittore e performer (mettendo così in gioco il suo corpo); come Chiari sperimenta
l’arte visiva”. Trascrive canzoni del suo tempo ed erotiche, ma non volgari. Egli fa parte con Chiari, Lombardi, Mayr, Grossi, Aitiani e
Maltagliati della corrente artistica fiorentina che opera dalla fine della seconda guerra mondiale. Essi sperimentano l’interazione tra
suono, gesto e visione, una sinteticità dell’arte frutto delle avanguardie storiche.
La sua produzione musicale spazia dalle forme più tradizionali, musica sinfonica e cameristica, fino ad arrivare a quelle d'avanguardia,
come le sue opere audio-visuali ed il micro-teatro acustico. Nei suoi lavori traspare una continua ricerca della bellezza estetica nelle
sonorità. L'aspetto scenico, molte volte protagonista nelle sue opere, ha un carattere fortemente narrativo e determinante: scenografie,
costumi ed oggetti di scena.
Solfeggio Parlante di Paolo Castaldi, eseguita da Cardini al palasport di Milano; fischiato dal pubblico, continua comunque la sua
performance (post Cage); mondo dell’assurdo, vuole stupire, fa ragionare sul ruolo del teatro.
La musica non è rinunciare alla melodia, è un piacere sensoriale.

DANIELE LOMBARDI (1946-2018): studioso importante di musica futurista (“non c’è musica più bella di quella che sto ascoltando” è uno
spartito), pianista e compositore che lavora molto sulle opere visive, dipinti che sono composizioni, pitture che riprendono partiture, che
suggeriscono una partitura ideale. Cerca un’arte con un coinvolgimento plurisensoriale.
Crea anche una porta di bronzo a Pistoia per una cappella di un collezionista.
Inoltre egli vuole rendere lo spettatore un creatore in proprio della musica.
Una sua performance “simbolo” è Sinfonia per 21 pianoforti, la cui prima esecuzione viene fatta in via Tornabuoni: crea un’installazione
con nuove grandi masse sonore.
Alcuni suoi quadri sono di ispirazione a partiture, ma non tutte le opere sono fatte per essere eseguite; inoltre tutto ciò che compone è
rivolto a un certo ambiente, lo spazio non è indifferente (site specific).
Non Finito (riferito ai “non finiti” di Michelangelo, a cui è dedicata l’opera): performance di luci, proiezioni alla Galleria dell’Accademia, e
pianista, dedicato appunto. Espressivo ossessivo, le dissonanze sono sono più come blocchi, non è un “poema sinfonico”,
particolarmente moderno, mira a creare suggestioni timbriche.
Utilizza le immagini in funzione della musica, come se essa fosse una colonna sonora. Importante è il rapporto tra il compositore e lo
strumento, come se scolpisse, tirando fuori dal pianoforte qualcosa di plastico, scultoreo, molto denso e pieno (il suono)
La musica può essere divertimento o forma d’arte, è un evento, molto limitato.

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PIETRO GROSSI (1917-2002): padre della musica elettronica italiana, crea anche la cattedra al conservatorio Cherubini di Firenze e
fonda lo Studio di Fonologia, sempre a Firenze. Compone musica concreta, quindi non seriale, acusmatica e che prende spunti dalla
quotidianità; traduce brani al computer.
🎼 Sketch 1,2,3 (1955), brani non seriali, sperimentali e umoristici, diversi dai brani di Berio e Stockhausen. Sono brani post moderni,
(non sa di usare il post modernismo poiché nasco dopo come movimento).
Nel secondo Sketch per esempio c’è una voce della rido con sotto della sperimentazione elettronica; le terzo invece prende in giro l’acuto
(la gente va al teatro per sentire l’acuto, i virtuosismi, non l’opera in sé. Quindi critica la società.
Grossi compone a una tastiera (tipo Finale) da cui manovra la performance, il computer sostituisce l’uomo.

L’elemento performativo diventa importantissimo nella musica del secondo novecento, il musicista deve essere anche un attore, mettere
in gioco la sua corporeità in maniera forte (per esempio nel Quartetto degli Elicotteri di Stockhausen), mettere se stessi di fronte al
pubblico. Ad alcuni performer/musicisti dei compositori hanno dedicato brani, fatti su loro misura come:
• Cathy Barberian (di Berio e Bussotti)
• Liliana Poli
• Gruppo di percussionisti di Strasburgo
• David Tudor, pianista
• Bruno Canino
• Siegrfried Palm, cello
• Vinko Globokar
• Silvano Gazzelloni, flauto
• Simone Rubino
Le performance devono trasformarsi in qualcosa di teatrale, in maniera anche comica, scopo di colpire l’ascoltatore borghese.

Adesso nel 2000 c’è un ritorno alla tradizione, al modo e alla forma più tradizionale e normale.

MAURICIO KAGEL (1931, Buenos Aires-2008): compositore che diventa anche regista, molto particolare e divertente (sorta di
evoluzione dell’arte totale di Wagner, con l’unione di tutte le arti). Non solo lui la pensa così, anche altri come Bussotti con Rara.
Passa anche lui da Darmstadt, segue poi una strada “Cageiana”. Egli chiede esplicitamente ai performer di essere più teatrali in scena.
🎼 Match (1966) brano per 2 violoncelli e “un arbitro” (percussionista), parateatrale, il compositore chiede ai suoi violoncellisti di recitare
sul palco, di imitare una partita di tennis.

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🎼 Ludwig Van (1969), film sperimentario dove è importante il rapporto tra foto, immagini e musica (la sua e quella di Beethoven),
composto per il 200esimo anniversario di Beethoven; quindi sorta di Gesamtkunstwerk, importante rapporto tra immagine e suono,
rielaborazione delle musiche di Beethoven, sorta di collage, Kagel è il protagonista, gira per Bonn e registra ciò che vede (vuole in
qualche modo mostrare come è adesso Bonn senza Beethoven , cosa ne è rimasto). Viene messa in mostra la commercializzazione
dell’antico compositore, mostrato sotto forma di statua, di vinile e di musica per banda (anche stonate), chiunque suona le melodie di
Beethoven. Kagel critica questa commercializzazione, ma da un lato è anche positiva, poiché tutti conoscono il compositore.
Entra poi in una casa dove ci sono frammenti di spartiti di Beethoven, che vanno a creare una sorta di mostro, collage di tutti pezzi delle
sue composizioni, appiccicati ovunque.
Kagel omaggia così la musica di Beethoven, sottolineando che nessuno potrà mai essere meglio di lui, la musica, dopo di lui è una
riflessione su quella passata (Modernismo); i compositori contemporanei provano a prendere cocci di Beethoven e farci qualcosa.

POSTMODERNISMO: Termine usato per connotare la condizione antropologica e culturale conseguente alla crisi e all’asserito tramonto
della modernità nelle società del capitalismo maturo, entrate circa dagli anni 1960 in una fase caratterizzata dalle dimensioni planetarie
dell’economia e dei mercati finanziari, dall’aggressività dei messaggi pubblicitari, dall’invadenza della televisione, dal flusso ininterrotto
delle informazioni sulle reti telematiche. In connessione con tali fenomeni, e in contrasto con il carattere utopico, con la ricerca del nuovo
e l’avanguardismo tipici dell’ideologia modernista, la condizione culturale p. si caratterizza soprattutto per una disincantata rilettura della
storia, definitivamente sottratta a ogni finalismo, e per l’abbandono dei grandi progetti elaborati a partire dall’Illuminismo e fatti propri
dalla modernità, dando luogo, sul versante creativo, più che a un nuovo stile, a una sorta di estetica della citazione e del riuso, ironico e
spregiudicato, del repertorio di forme del passato, in cui è abolita ogni residua distinzione tra i prodotti ‘alti’ della cultura e quelli della
cultura di massa.
Quindi l’opera d’arte dagli anni ’60 al 2000 circa è solo il filtro delle opere d’arte del passato, che non vengono usate in maniera convinta
dato che molti altri le hanno usate. Questo succede perché l’arte è morta. In questi tempi l’arte si deve scontrare con il mercato, conta il
vendere (non è detto poi che l’opera d’arte sia fatta per vendere). Tra questi compositori possiamo citare Bussotti e Schnittke; non tutti i
compositori di questo periodo sono post moderni, per esempio Boulez crede ancora nella novità della musica.
Un atteggiamento post moderno possiamo vederlo anche in Kagel che in Ludwig van usa molta ironia: per esempio il fatto che
Beethoven venga suonato da orchestrino stonate, delle immagini di spartiti musicali.

MUSICHE DALL’EX UNIONE SOVIETICA: una delle conseguenze della maggiore circolazione di idee, dopo il periodo del disgelo, è che
per molti compositori giovani l’assume connotazioni fortemente libertarie, tanto da rappresentare una sorta di passaggio obbligato per
musicisti affermatisi in seguito con poetiche più personali; l’establishment di regime continua ovviamente a privilegiare le opere più
“allineate” di musicisti più anziani e l’attività dei giovani innovatori va incontro a molti ostacoli.

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Un’altra tendenza comunque a molti in questo periodo e che si afferma in pieno solo in tempi di perestrojka, è il rinnovato interesse per la
dimensione spirituale, che rappresenta sia un collegamento con la tradizione russa più antica, sia un atteggiamento “di rottura” rispetto
all’ideologia ufficiale. Tra questi musicisti c’è Sofija Gubajdulina (1931).

ALFRED SCHNITTKE (1934-1998): nelle opere giovanili appare temperato dalla ricerca di centri di attrazione e dall’affiorare di
“memorie” musicali di varia provenienza. L’inquietudine del musicista giunge a esprimersi compiutamente nel suo periodo cosiddetto
polistilistico, durante il quale egli giustappone e contrappone spregiudicatamente frammenti sonori della più disparata origine, accosta il
banale e il sublime. Il compositore deve molto a Shostakovich, scrive in maniera tonale.
La Prima Sinfonia (1972) fa cozzare tra loro frammenti della letteratura musicale più “nobile” con lacerti di musiche di consumo
volutamente volgari, in un involucro formale che pare esplodere sotto la pressione di spinte divergenti.
A partire dal Quintetto (1972-1976) l’eclettismo si fa più meditato e il ripensamento delle grandi forme classiche diventa un sofferto
viaggio interiore, ove la citazione di materiali musicali assume valenze visionarie.
Nella serie dei Concerti grossi gli stilemi barocchi sino trasfigurati timbricamente e letteralmente “aggrediti” da figurazioni contrastanti; la
Seconda sinfonia “Sankt Florian” (1979) è una sorta di meditazione laica sull’Ordinaria Missae; nella Terza Sinfonia (1981) una serie idi
allusioni agli stili di compositori tedeschi.
Nel Secondo Quartetto (1980) i canti ortodossi vengono sovrapposti eterofonicamente o fatti emergere da una fitta testar polimetrica.
L’ispirazione slavo ortodossa risulta fondamentale anche per gli Inni (1974-1979).
🎼 Scherzo dal Quartetto con pianoforte di Mahler (1988), il quale lo lascia incompiuto; Schnittke prende il brano e lo finisce come se
fosse Mahler (simile a Rendering di Berio); non imita il compositore però, costruisce intorno alla sua composizione una sua
interpretazione del pezzo. Per esempio, mentre uno dei musicisti suona la melodia, gli altri tre intervengono con delle “interferenze”. C’è
grandissimo contrappunto, interrotto da accori graffianti, quindi ha una struttura in fondo, nonostante la forma libera (e il fatto che sembri
un collage di materiale), c’è un filo rosso comunque.
Mahler compone questo brano da giovanissimo e lo mette in seguito da parte, chiamandolo Quartettsatz.
Quindi Schnittke prende il brano e lo fa suo, ponendo intorno a ciò che scrive Mahler la sua interpretazione.
Stessa cosa accade nel teatro di avanguardia, il compositore è un esegeta: spiega la sua storia e la sua interpretazione di questa; quindi
Schnittke è come se scrivesse un saggio su Mahler componendo intorno al suo brano, dà la sua interpretazione.
Metamusica: diversa da Stravinsky, compone su un autore dando se stessi (non come materiale musicale, come interpretazione).

MINIMALISMO

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Negli anni Sessanta sorse negli Stati Uniti una corrente stilistica nota come “minimal musica” (nel senso di estremamente semplice), che
si sviluppa parallelamente alla minima art, i cui esponenti, in polemica rottura con gli indirizzi artistici precedenti, utilizzo per le loro opere
forme estremamente semplificate, derivate dalla geometrica elementere (Franck Stella).
La minimal music trae origine dalla concezione di Cage in merito al trascorrere del tempo musicale, inteso come fattore ipnotico di
contemplazione, una concezione molto vicina alla filosofia orientale.
Principali esponenti: La Monte Young, Terry Riley, Steve Reich e Philipp Glass, i quali infatti hanno attinto alla musica orientale e indiana.
La minimal music si basa sulla continua, ossessiva ripetizione di schemi armonici triadici e di lacune cellule metro-melodiche
estremamente elementari, costituite di pochi intervalli. Questi elementi si diversificano molto gradualmente, talvolta mediante sfasatura
ritmica. In realtà questa musica si presenta come un gioco “minimo” di variazioni: così lento che l’ascoltatore non riesce a percepirle
immediatamente. L’effetto generale è l’impressione di un movimento statico, di una sorta di fissità armonica.
L’obiettivo è di ottenere musica non troppo impegnativa, da ascoltarsi distrattamente, in totale contemplazione.
Death chant (Canto funebre, 1961) per coro maschile, carillon e piccole campane di Young è uno dei primi lavori scritti in questo stile.
Esso si basa sulla ripetizione, anche ad infinitum di una semplicissima melodia diatonica, cantata dal coro all’unisono.
Music in fifths (Musica per quinte, 1969) di Glass, per due parti eseguite da qualsivoglia strumenti, consiste in una singola linea melodica
raddoppiata di sole quinte. La melodia si espande gradualmente.
Il potere ipnotico delle percussioni si dispiega in tutta la sua magica potenza in Drummin (battendo i tamburi, 1971) di Reich, dai 55 ai 75
minuti, a seconda delle ripetizioni eseguite di un solo frammento di otto note.
Molti procedimenti della minimal music sono entrati nel genere del pop.

Fra le tendenze che prendono piede in posposizione al seriassimo c’è il Minimalismo americano, anni ’60. Nato come tendenza di
“nicchia”, con connotazioni fortemente alternative, è divenuto col tempo un linguaggio comune, apprezzato dal pubblico.
Questo comporta un uso esteso di iterazioni sottilmente variate di brevi frammenti che si contrappone alla tendenza dell’avanguardia
europea a evitare ogni ripetizione, mentre il diatonico di matrice modale o tonale rifiuta qualsiasi contatto con il pancromatismo
darmstadtiano. Il Minimalismo inoltre cerca di riscoprire alcune strutture fondamentali, arcaiche e, allo stesso tempo, prova a indagarne
una nuova dimensione temporale.
I più importanti centri di irradiazione di questa corrente sono inizialmente la California e New York. La prima tematica principalmente i
contatti ideali con le culture asiatiche, in contiguità con i primi passi della controcultura hippy.; la seconda appare più interessata a un
costruttivismo modernista, dalle sonorità dure e dai profili nettamente sagomati.
Philipp Glass (1937) usa le tipiche tecniche costruttive del Minimalismo in brani che esibiscono sonorità aggressive e testare densissime,
con durate enormi. In seguito stempera in un approccio quasi pop. Il Minimalismo si diffonde velocemente perché attrae un pubblico non
specialistico. In sostanza è apparso a molti musicisti un modo credibile per uscire dal cul de sac (vicolo cieco) dell’avanguardia dura e
pura. Inoltre il suo linguaggio è apparso molto adatto per avvicinare la musica “classica” ad alcune frange radicali del rock, o al jazz nella
sua declinazione modale o elettrica, e del resto il sound degli ensemble di Reich e Glass.
D’altra parte le strutture semplificate del linguaggio minimalista, permettono l’affermazione di una sua variante “annacquata” in Italia.
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ANDRIESSEN: il Minimalismo europeo trova la sua espressione più convincente nella produzione dell’olandese, Louis Andriessen, che si
muove nell’ambito della tendenza “geometrica” impersonata da Reich e dal primo Glass, accentuandone la dimensione oggettiva e
antiretorica. Alcune caratteristiche appaiono del tutto originali: l’intreccio polifonico è particolarmente fitto, le linee sono spezzate e
spigolose, l’armonia è singolarmente dissonante.
Il compositore inoltre fonda un ensemble per l’esecuzione delle sue musiche, denominato De Vohlarding (la Perseveranza), dal titolo di
una sua composizione del 1972. Il gruppo si esibisce in occasione di manifestazione di protesta e in altre situazioni antiaccademiche e
conta tra i suoi membri esponenti di punta del jazz olandese più avanzato. La vicinanza al mondo del jazz è particolarmente sottolineata
in un brano come On Jimmy Yancey (1973), dedicata a uno dei massimi esponenti del pianino boogie, nonché in generale da una
sonorità vicina a quella di una big band. In una successiva fase meno “movimentista”, ma ugualmente radicale nei contenuti, Andriessen
impiega organici più ampi, sempre caratterizzati dalla predominante presenza di strumenti a fiato, spesso affiancati da chitarre e tastiere
elettriche, ad esempio in De Snelheid (1982-1983); diventa più frequente l’uso della voce, in partiture che affrontano con un approccio
brechtiano testi della più varia provenienza. Si segnalano De Staat, De Tijd (il Tempo) e De Materie, monumentale speculazione sul
rapporto tra spirito e materica.
Anche Andriessen si interessa alla multimedialità con M is for Man, Music, Mozart.
🎼 Caratteristica di Andriessen è inoltre che mette insieme tutti gli elementi, possiamo notarlo nella De negen symfonieën van Beethoven
(9 sinfonie di Beethoven per campana da gelataio e orchestra: pone elementi delle 9 sinfonie insieme.
🎼 Inoltre compone una trascrizione di Ticket to Ride dei Beatles per voce e pianoforte (tipo lied) per Cathy Barberian, che con Berio
apprezza molto lo stile “popular”; il brano pare postmoderno.

FUORI DAGLI SCHEMI. IL SUONO IN PRIMO PIANO

SALVATORE SCIARRINO (1947): la ricerca timbrica diventa indagine sulla zona di confine tra suono e silenzio, con tecniche di
emissione strumentale; nei 6 Capricci (1976) per violino sono, per esempio, vengono usati principalmente armonici, strepitosa
trasfigurazione del virtuosismo paganiniano. Un’attenzione speciale è dedicato al flauto, con composizioni come All’aure in una
lontananza (1977) e Lettera degli antipodi portata dal vento (2000): l’esplorazione di una considerevole varietà di emissioni sonore, dagli
armonici foniche, pare voler dipingere la mutevolezza dell’aria stessa.
L’estremo preziosismo non esclude una rigorosa trasparenza dei procedimenti formali, basati sull’interazione tra figure chiaramente
identificate e sottilmente modificate; tali figure si riducono spesso a gesti pressoché inarticolati, o al contrario articolati tanto velocemente
da rendere ardua la discriminazione dei dettagli: un esempio è nella Sonata II (1983) per pianoforte, con l’interferenza sempre più serrata
tra cupi rintocchi nel registro estremo grave, accordi paralleli e sovrapposizioni di quinte.

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La stessa attitudine notturna, quasi “fantasmatica”, si ritrova in brani sinfonici come Sui Poemi concentrici (1987) e L’invenzione della
trasparenza (1993), o concertanti, come Che sai guardiano, della notte? (1979) per clarinetto strumenti, Un’immagine di Arpocrate
(1974-1979) per pianoforte, coro e orchestra o Perturbazioni in arrivo nel settore trombe (2012) per corno e orchestra.
Scrive anche Studi per l’intonazione del mare (2000), che comprende 100 flauti e 100 sax. Sciarrino elabora inoltre una sua personale
idea di teatro musicale da camera, sperimentale e quasi esoterica, da Amore e Psiche (1973) a Vanitas (1980-1981), a Perseo e
Andromeda (1991).
🎼 Luci miei traditrici.

TEATRO MUSICALE E MUSICA NEL CINEMA

GIORGIO BATTISTELLI (1953): compositore molto presente anche in varie posizioni istituzionali.
🎼 Nel 1981 compone la sua “opera di musica immaginistica” Experimentum mundi mette in scena 16 autentici artigiani con i rumori/
suoni prodotti dal loro lavoro, accompagnati da voci femminili (che dicono nomi di uomini del paese), percussioni e un lettore (primo dei
lavoratori, arte più alta) che recita testi dall’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert. Un direttore indica ai vari lavoratori quando cominciare
il loro lavoro. Il compositore vuole portare la realtà lavorativa nella cornice teatrale, prende i suoi concittadini e li fa diventare “performer”,
porta in scena artigiani del luogo, che devono seguire una partitura, sceglie i lavori che stanno scomparendo, vuole far notare che la
società rurale se ne sta andando (pensiero quasi pasoliniano). Questa rappresentazione la possono fare solo gli abitanti del paese
Labano Laziale.
Riscuote molto successo. In questo, come in molti altri suoi lavori teatrali, l’aspetto musicale è strettamente funziona mai meccanismi
drammaturgia, di volta in volta diversi: la musica è finalizzata al teatro, in una maniera che richiama la sezione verdiana, usando però i
mezzi delle infinite interrelazioni teatrali, linguistiche e musicali del Novecento.
Battistelli si interessa inoltre alle possibilità multimediali, con opere video interattive (Keplers Traum, 1990; Giacomo mo, salviamoci!,
1998) e anche musiche per videoambientazioni, in collaborazione con Studio Azzurro. Negli ultimi anni sperimenta anche un percorso
particolare, dal cinema al teatro musicale: già nel 1994 il suo lavoro teatrale Prova d’orchestra tratto dal film di Fellini, mentre con
Divorzio all’italiana (2009), dal film di Pietro Germi (1961), Brokeback Mountain (Ang Lee, 2005) e Il Postino (2010 Radford)

TENDENZE DEGLI ULTIMI ANNI

La situazione della musica occidentale degli ultimi venti-trent’anni si presenta quanto mai diversficata, caratterizata da un pluralismo
linguistico. È una situazione ancora molto “mobile”, anche perché non ha visto emergere finora nessuna corrente stilistica.
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I compositori si pongono il problema, disatteso, della ricezione, della scarsa comunicabilità della musica contemporanea, eseguita
soprattutto in festival specializzati o relegata in circoli relativamente ristretti, sì da avere una diffusione minima rispetto ad altre forme di
espressione musicale (musica leggera, jazz, popolare).
Molti compositori vogliono una musica che non si chiuda emozionalmente, ma che invece sia aperta, chiara e diretta, sì che possa
piacere ad una fascia ampia di pubblico.
Alcuni compositori hanno abbandonato il campo elettronico, tornando ai mezzi sonori tradizionali.
Il fenomeno più appariscente di questa tendenza è la ricerca di un più fertile rapporto con la tradizione, conseguita mediante il ritorno di
un più fertile rapporto con la tradizione, conseguita mediante il ritorno alle funzioni tipiche dell’armonia tonale, la scelta di materiali sonori
eufonici, di soluzioni ritmiche, melodiche e formali di più immediata percezione.
Particolarmente sentita da molti compositori è l’esigenza di stringere un rapporto più stretto con le moderne forme di spettacolo, con i
mass media e con tutti i generi che si affacciano sul mercato musicale.
Alcuni compositori hanno invece iniziato la loro carriera artistica nell’ambito dell’avanguardia postweberniana, con esperienze presso i
corsi di Darmstadt, oppure sulle linee tracciate da Cage, per poi dirigere la propria attenzione verso un linguaggio composito, in cui
ricompaiono elementi stilistici tradizionali e anche la musica di consumo. Il problema è stato come avvicinarsi al semplice e di collegare
tutto ciò ad una dimensione complessa, in modo da restare in un contenitore “colto”.

Luciano Berio (1925-2003) è tra i compositori che hanno dimostrato più ampia disponibilità ad accogliere dagli anni Sessanta, materiali
sonori di provenienza eterogenea (sperimentalismi più avanzati, allusioni tratte dal repertorio storico, dalla musica di consumo, dal folk,
dal jazz), scoprendo in ciascuno di essi il potenziale nascosto e sempre ricomponendone, con indiscutibile maestria le antinomie
stilistiche.
Scrisse Laborintus II, pezzo didattico, che al suo interno ha un breve episodio di jazz, non ci sono grandi sviluppi ed è relativamente
semplice formalmente. Inoltre compose delle canzonette per Cathy Berberian, su testo di Calvino, facenti parte di Allez-Hop (balletto-
azione mimica, 1959) e non hanno nessuna cera funzione musicale.
Il suo rapporto con la musica popolare era diverso e non è aneddotico come il suo rapporto col jazz e le canzoni: il folklore è di vecchia
data, da giovane componeva canzoni popolari finte. Poi questo suo interesse nel genere popolare ha messo radici più profonde e ha
cercato di capire, in maniera più tecnica, i processi che governano certi stili popolari, da cui ha sempre trovato qualcosa da apprendere.
Specialmente da quello siciliano, a quello serbo-croato e alle eterofonie dell’Africa Centrale.
Nella terza parte di Sinfonia (1968) per otto voci soliste e orchestra, Berio fa uso di una moltitudine di frammenti musicali di parecchi
secoli di musica (da Monteverdi a Stockhausen), che appaiono, scompaiono, si intrecciano con la citazione integrale del “Scherzo” della
Seconda Sinfonia di Mahler. Il suo intento è quello di esplorare il passato in maniera creativa e al tempo stesso farne un’analisi e un
commento.
In Coro (1976) per 40 voci e orchestra, Berio si serve delle più diverse tecniche della musica di consumo, ma senza fare ricorso o
allusione alla diretta citazione di canzoni popolari.

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La fertile creatività del compositore è espressa nelle quattordici sequenze (1958-1999), ciascuna dedicata ad un singolo strumento
solista: si tratta di pezzi ricchi di un ampio ventaglio di effetti tecnici inediti, specifici alla natura dello strumento.
La musica delle Sequenze cerca di trasformare in modo radicale il mondo sonoro degli strumenti convenzionali, reinventando un nuovo
virtuosismo contemporaneo: quindi all’interprete è richiesta grande padronanza tecnica e intellettuale, per controllare un insieme
estremamente vasto di eventi sonori.
In Sequenza III per voce, dedicata a Cathy Berberian, si collega a Thema (Omaggio a Joyce) poiché oltre ad assimilare tutti gli aspetti
della vocalità classica, soprattutto quelli che erano necessariamente esclusi dalla musica tonale, anche molti aspetti della vocalità
quotidiana, anche quelli triviali, senza però rinunciare ad aspetti intermedi nobili.
Per controllare tutte queste tecniche diverse, egli frantuma il testo, lo devasta, per poterne recuperare i frammenti su diversi piani
espressivi e per poterli ricomporre in un unità non discorsive musicali; il testo non appare mai nella sua completezza: è segmentato nei
suoi elementi più piccoli (fonetici), più grandi (frasi) e in quelli intermedi (singole parole).
Usa inoltre un’alternanza tra parlato (gesti del parlare quotidiano) e canto; questa sequenza dedicata a Cathy, anche per la sua bravura
nel riuscire nell’estrema mobilità dei caratteri vocali e della velocità di transazione dall’uno all’altro.

Altri compositori importanti furono Kurtag (1926) e Penderecki (1933-2020). Il secondo dagli anni Sessanta, ha adottato uno stile
eclettico, cha ha trovato piena applicazione in alcune monumentali forme oratoriali per coro e orchestra, quali la Passio et mors Domini
nostri Jesu Christi secundum Lucam (1965), il Dies irae (1967), composito in memoria delle vittime di Auschwitz, e Utrnja (1971).
Ispirata alla struttura delle Passioni di Bach, la Passio si basa su effetti sonori violenti e grandiosi, e vi sono riferimenti a moduli arcaici,
quali i canti gregoriani.
Caratteristica tendenza di Kurtag invece è di operare organici cameristici per varie combinazioni di voci e strumenti o anche di strumenti
singoli. Da lui preferiti sono raggruppamenti di fiati e a volte il coro, adoperato per esempio nell’Omaggio a Luigi Nono (1981) e in
Samuel Bechett: What is the word (1991), per contralto recintante, coro e vari gruppi strumentali.
Kurtag si è ispirato a testi letterari tratti dalla letteratura ungherese e internazionale.
Caratteristica della sua scrittura è l’estrema essenzialità tendente alla concisione aforistica, derivata dalla musica di Webern; questa
dovuta all’assimilazione dei modi espressivi di compositori antichi e moderni, specialmente del contrappunto dei maestri rinascimentali e
di Bach, e della scrittura pianistica di Bartok. Da quest’ultimo deriva la raccolta pianistica di 27 brani di Jatekok (Giochi, 1973 - 1979), che
comprende anche favorite elaborazioni di pezzi di Bach. Tratto significativo della musica di Kurtag è la spiccata tendenza alla riconquista
di valori di alta comunicabilità e di intensa espressività, ottenuti dalle ricerche linguistiche passate e attuali dell’avanguardia musicale, ma
soprattutto recuperando contatti con idee compositive, forme, grammatiche armoniche e caratteri di intonazione vocale della musica
popolare e tradizionale.

In Europa nasce il gruppo del neo romanticismo, nuova semplicità, di compositori che non volevano orientarsi verso la musica dei circoli
d’avanguardia. Desiderio preciso degli esponenti di questa tendenza (tra cui Zimmermann, Trojan e Rihm) è di riprendere e aumentare la
funzione espressiva della musica, perché si trasformasse in qualcosa di estremamente oggettivo.
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Per farlo è necessario recuperare la grande tradizione tardo romantica di R. Strauss, Bruckner, Mahler, nella cui musica si incontrano e si
scontrano realtà diverse. Molte sono le composizioni di Rihm e di Zimmeremann che prendono avvio dalla tradizione letterari e filosofica
della cultura tedesca. Il linguaggio musicale adottato è basato quasi sempre su centri tonali e su sonorità caratterizzate da forti valenze
espressive.
Molti seguono la tendenza di stabilire un rapporto dialettico tra le tecniche e le aspirazioni del presente e le maniere stilistiche del
passato.

In Italia la musica contemporanea non viene molto sostenuta dal denaro pubblico e privato, quindi i compositori non sono ben addestrati
ed educati.

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