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Lezione 02.12.

2020
Vincent Van Gogh
Può essere considerato un precursore del linguaggio espressionista novecentesco, quel linguaggio che sotto
forma di avanguardia storica in Francia e Germania nasce nel 1905. Parliamo di Van Gogh soprattutto a
partire dagli anni ’80, con una delle opere più famose della sua prima fase quando ancora si trova in Olanda,
‘I mangiatori di Patate’, che fa parte di tutta quella serie di opere un pochino meno conosciute dalla maggior
parte di coloro che vanno a visitare le sue mostre o il museo di Amsterdam, perché il periodo di Van Gogh
che si conosce maggiormente è quello degli ultimi 5 anni della sua vita, quando risiederà in Francia
soprattutto in Provenza, ad Arles. Nella prima fase di questo ultimo quinquennio della sua vita realizzerà una
serie di opere estremamente cromatiche, la prima fase della produzione di Van Gogh, invece, è caratterizzata
fondamentalmente dalla monocromia. Con Van Gogh si può aprire anche una parentesi sulla cinematografia,
in quanto ha ispirato tantissimi registri e autori.

Prima di entrare nel merito delle sue specificità linguistiche, soprattutto per quanto riguarda la sua fase di
produzione francese, partiamo da una contrapposizione tra due parole: impressionismo ed espressionismo.
Impressionismo significa ‘imprimere nella nostra retina, imprimere nella nostra mente attraverso l’organo
della visione un’immagine che cambia’, la luce è una variabile mentre la costante può essere soggetto (come
nelle serie di Monet), l’impressionismo può essere fortemente definito un movimento oggettivo, un
movimento che impiega il rapporto diretto ‘en plein air’ e soprattutto l’organo visivo che fa da tramite tra
l’autore/l’artista e la realtà, riferendoci a questo movimento non è assolutamente detto che dobbiamo mettere
da parte la dimensione umana, emotiva, psicologica dell’autore, perché questo fa parte dell’essere umano,
ma la priorità dell’autore impressionista viene data alla visione. Il linguaggio espressionista viene
riconosciuto nei primi anni del ‘900 ma viene in qualche modo anticipato ampiamente da autori quali Van
Gogh, ‘espressionismo’ è una parola che deriva dal latino ‘exprimere’ cioè in qualche modo ‘riversare verso
l’esterno’, ‘buttare fuori’, ma buttare fuori che cosa? Riversare su ciò che l’autore vede (quindi immagini che
vediamo sono la realtà) la realtà esistenziale dell’autore. È la dimensione degli autoritratti, è la dimensione
dei ritratti, dei soggetti umani che vivono nel paese di Arles quando Van Gogh si stabilisce per la prima volta
in Francia e decide di vivere in una dimensione anche naturale paesaggistica più luminosa e più calda, che
potrebbe aiutarlo a contrastare la sua grave depressione. Quindi Van Gogh possiamo dire che si rapporta
direttamente con il mondo esterno, ma lo fa in maniera totalmente diversa dagli impressionisti, quindi opera
anche ‘en plein air’ (per poi completare l’opera nel suo studio o nel manicomio dove deciderà alcune volte di
farsi internare per le sue crisi depressive molto gravi che lui riconosce e che cerca costantemente di
contrastare attraverso la pittura stessa). Per cui Van Gogh ‘exprime’ esprime quella che è la sua dimensione
interiore-il suo dramma esistenziale-la sua malattia, che ha voluto rendere l’aspetto primario nella lettura
delle sue opere, è un elemento parallelo, non condizionante assoluto per la lettura delle opere di Van Gogh,
le sue opere sono la risposta visiva della dimensione psichiatrica di un essere umano.

(riferimento alla realtà rappresentata


nel movimento espressionista in cui
l’artista riversa la sua interiorità)

Van Gogh proviene da una famiglia discretamente acculturata, una famiglia borghese, dove c’è un dramma
familiare molto grave: prima di Vincent nasce un fratello con lo stesso nome che muore in età prematura e
che determinerà un dramma famigliare, per cui a Vincent viene dato il medesimo nome ed egli verrà portato
da piccolo al cimitero dalla madre per andare a fare visita alla tomba del fratello. Quindi Vincent ha avuto
sulle proprie spalle questa ‘responsabilità’ di dover convivere con un ricordo, un fantasma, che era appunto il
fratello defunto. Dalle biografie sappiamo che c’è inoltre nella famiglia questa tendenza alla depressione,
quindi la malattia psichiatrica di Vincent è anche ereditaria, ma egli ha sempre cercato consapevolmente di
combattere questa malattia con la quale si è dovuto confrontare sia da adulto e sia in età ancora giovanile.
Van Gogh ha cercato in qualche modo di emulare anche il percorso lavorativo esistenziale del padre, appunto
ha voluto anche lui stesso studiare da pastore protestante ma il rapporto col dolore altrui non gli è stato
assolutamente congeniale, si è scontrato col proprio dolore-con la propria sofferenza esistenziale attraverso
la difficoltà esistenziale degli altri, per cui ha dovuto abbandonare questo percorso per dedicarsi poi pian
piano a quella che era la dimensione dell’arte. Lui non ha frequentato alcun percorso accademico, è stato
aiutato da un cugino della madre che era lui stesso artista olandese che lo ha introdotto un pochino alle
tecniche artistiche, però ha sottolineato nelle innumerevoli lettere (che mandava soprattutto al fratello Theo)
questo suo digiuno preparatorio, si è rapportato e si è confrontato con i grandi della pittura olandese e
successivamente con i grandi della pittura francese (anche realisti, anche Delacroix) che andava a vedere nei
musei di Parigi quando andava a visitare il fratello Theo (che era responsabile di una piccola galleria d’arte),
e quindi il rapporto con l’arte stessa, con la conoscenza, con la storia dell’arte è stato un supporto iniziale di
Van Gogh, ma in qualche modo ha dovuto costruire la sua formazione artistica in maniera anche autonoma,
come? Attraverso il rapporto diretto con la realtà. La dimensione della patologia, di questo grave dramma
esistenziale ha fatto in modo però che la pittura fosse per l’autore l’unica salvezza, l’autore proprio per
questa sua malattia ha avuto difficoltà nel rapportarsi anche con gli altri esseri umani, è stato considerato dai
compaesani un folle, uno da emarginare, e chi lo ha compreso sono solo alcuni soggetti nel paese di Arles
per esempio il postino e la tata dei bambini del villaggio (la moglie del postino), quei pochi che sono anche
stati soggetti di quella serie di suoi dipinti che avevano come soggetto l’essere umano, insieme anche a vari
autoritratti in posizioni similari che evidenziano tutti i suoi drammi esistenziali, come quello dove lo si vede
con l’orecchio bendato dopo esserselo reciso in parte in un momento di crisi molto profonda durante la
convivenza con il pittore Gauguin, con il quale aveva deciso di coabitare per formare una nuova scuola
d’arte che era la scuola del Mezzogiorno, una scuola che voleva divenire anche un modo di dipingere
rivoluzionario in questo momento storico, ma la convivenza fu difficoltosa sia per colpa della malattia di
Vincent ma anche per il carattere molto irascibile e molto indipendente di Paul Gauguin.

(autoritratti)

(ritratti)

Per quanto riguarda il binomio uomo-artista possiamo quindi esplicitare che l’arte fu la sua salvezza perché
in qualche modo nei momenti di grande sconforto è stata colei che gli ha permesso di vivere questa vita così
difficoltosa che si è interrotta con il suicidio, da qualcuno messo addirittura in discussione. Lui è stato forse
anche ‘istigato’ al suicidio per la derisione soprattutto proveniente da giovani ragazzi del paese che lo
definivano ‘troppo originale’ (il pazzo del paese), questo lo esaspererà e lo porterà in un momento di
profonda crisi depressiva a spararsi al capo e morirà soltanto dopo due giorni assistito dal fratello; sappiamo
con esattezza, in quanto proprio parole del fratello Theo, che durante questi due giorni in cui non riuscirono
ad estrargli il proiettile e lui era consapevole del suo gesto, lui ha affermato ‘adesso non lo farei più’, cioè la
sua malattia che allora veniva chiamata ‘melanconia’ e che ora viene chiamata ‘depressione’ poteva essere
una sindrome bipolare. Il bipolarismo è quando un soggetto umano (spesso capita in soggetti molto
intelligenti) ha momenti di creatività elevatissima, eccelsa, quasi compulsiva, ed è quella che possiamo aver
visto nell’ultima fase della produzione di Van Gogh, dove lui gli ultimi due mesi dipinge un’ottantina di
dipinti tra cui il ‘Campo di grano con corvi’, poi dopo questa energia creativa ai massimi livelli abbiamo la
fase invece del crollo, la fase depressiva nella quale l’autore poi non riesce più a rapportarsi con la realtà, si
chiude in sé stesso e cade in una fase di inattività e incapacità di convivere con la malattia. Infatti, ci sono
stati momenti in cui l’autore ha chiesto autonomamente di essere curato, chi lo curerà è il dottor Gachet, uno
psichiatra che capirà l’autore e verrà da esso anche dipinto insieme a una pianta e due libri posti sopra ad un
tavolo, la pianta era una pianta medica il cui estratto veniva utilizzato per curare i casi di depressione e che
veniva utilizzata anche nell’ambito della omeopatia. Qui (dipinto del dottore) i critici d’arte hanno anche
cercato di indagare la posizione in cui è stato ritratto il dottore, essi dicono che i libri disposti sul tavolo sono
testi che lo stesso dottore aveva approfondito per studiare la malattia della depressione in termini più
moderni di bipolarismo (anche se sia bipolarismo che depressione erano termini che ovviamente allora non si
usavano ancora), la figura del soggetto melanconico come Van Gogh lo abbiamo già per la prima volta nel
‘500 in alcune incisioni dell’artista tedesco Durer che rappresenta la figura femminile posta in una posizione
similare al dottor Gachet, quindi questa è la tipica figura del soggetto melanconico, come nell’iconografia nel
corso dei secoli possiamo aver visto dipinta o disegnata dagli autori stessi, Van Gogh è sicuro che lo stesso
Gachet soffra di depressione e lo pone appunto in questa posizione; quindi c’è forse anche una reciproca
complicità e condivisione di una malattia secondo Van Gogh, lo stesso Gachet ha compreso che per Vincent
dipingere è fondamentale, è una delle medicine più importanti, egli gli permetterà anche di andare nel
giardino della struttura psichiatrica a dipingere i fiori, le piante o il paesaggio circostante, un atteggiamento
da parte del dottor Gachet estremamente moderno ed intelligente.

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