Il Decadentismo è una corrente artistico-letteraria che, nata in Francia intorno al 1880 fra i collaboratori della rivista «Le Décadent», si diffonde ben presto in tutta Europa tra gli ultimi due decenni dell'Ottocento e i primi due del Novecento. La parola deriva da dècadent, termine usato in Francia con significato dispregiativo nella seconda metà del 1800 contro i "poeti maledetti" (Verlaine, Rimbaud, Mallarmè, Huysmans), che con la novità della loro arte e la loro vita irregolare e disordinata, apparivano alla gente comune dei "decadenti", cioè corrotti e dissoluti. Ma essi non si offesero per questo appellativo, anzi se ne impadronirono e lo usarono con ostentazione. Oggi, però, il termine Decadentismo non ha più alcun significato negativo o dispregiativo e indica la civiltà sorta dalla crisi del Positivismo. Sul piano storico-politico coincide con un'epoca caratterizzata da gravi tensioni e forti squilibri internazionali che avranno come tragico sbocco la Prima guerra mondiale; sul piano economico, il forte sviluppo industriale comporta da un lato, una profonda trasformazione sociale, dall’altro impone l'esigenza di cercare nuovi mercati, esigenza che trova risposta nell'espansione coloniale da parte delle grandi potenze europee in altri continenti. La sfiducia nella ragione, tanto esaltata dal Positivismo, determinò la crisi dei valori tradizionali (libertà, patria, progresso) generando insicurezza, scetticismo, provocando uno stato d'animo di angoscia esistenziale che, presente anche in altri momenti storici, era stata consolata dalla fede in Dio. Ma, perdutasi la fede religiosa per effetto del Positivismo, la nuova angoscia fu senza conforto: la vita appariva senza scopo, grigia, oppressa dalla noia e dal senso del mistero. La visione del mondo decadente La visione del mondo decadente rifiuta radicalmente la visione positivistica di una realtà conoscibile con la ragione e con la scienza. All'intellettuale decadente non interessa conoscere la realtà (per cui basta la ragione), ma ciò che c'è dietro la realtà, la parte oscura e misteriosa delle cose che si possono cogliere solo con i sensi e l'intuizione. In questa visione tutti gli aspetti dell’essere sono legati tra loro da analogie e “corrispondenze” che sfuggono alla ragione e possono essere colte solo con l’irrazionalità. La rete di corrispondenze coinvolge anche l'uomo La scoperta dell'inconscio è il dato fondamentale della cultura decadente. Freud, a fine secolo, comincerà a dare una sistemazione scientifica a questa conoscenza, ma secondo un impianto ancora una volta razionalistico: il suo fine è sottoporre l’inconscio al dominio della ragione; i decadenti invece tendono a distruggere ogni legame razionale, convinti che solo un abbandono totale alle profondità dell'inconscio possa garantire la scoperta di una realtà più vera. Gli strumenti irrazionali del conoscere Se l'essenza segreta della realtà non può essere colta attraverso la ragione e la scienza, altri sono i mezzi mediante cui il decadente cerca di raggiungerla. Innanzitutto come strumenti privilegiati del conoscere vengono indicati tutti gli stati abnormi e irrazionali dell'esistere: la malattia, la follia, la nevrosi, il delirio, il sogno e l'incubo, l'allucinazione. Questi stati di alterazione (che possono essere provocati artificialmente attraverso l'uso dell'alcol, dell'assenzio o delle droghe), sottraendosi al controllo della ragione, aprono prospettive ignote, permettono di vedere il mistero che è al di là delle cose. Vi sono poi per i decadenti altre forme di estasi che consentono questa esperienza dell'ignoto e dell'assoluto. Uno di questi è il panismo (dal greco πὰν, che significa tutto), cioè l’annullamento dell’io individuale attraverso la fusione con la natura. Un altro tipo di stato privilegiato è costituito dalle epifanie, illuminazioni e rivelazioni improvvise attraverso un particolare della realtà apparentemente insignificante che si carica all'improvviso di una misteriosa intensità di significato. La poetica del Decadentismo L'estetismo Per i decadenti tra gli strumenti privilegiati della conoscenza vi è soprattutto l'arte. Il poeta, il pittore, il musicista sono dei «veggenti», capaci di arrivare a vedere là dove l'uomo comune non vede nulla. Per questo l'arte appare il valore più alto, che va collocato al di sopra degli altri. Questo culto religioso dell'arte ha dato origine al fenomeno dell'estetismo. L'esteta è colui che assume come principio regolatore della vita non i valori morali, il bene e il male, il giusto e l'ingiusto, ma solo il bello. Egli si colloca così al di là della morale comune, in una sfera di assoluta eccezionalità rispetto agli uomini mediocri. Arte e vita per lui si confondono, nel senso che la seconda è assorbita interamente dalla prima Tutta la realtà è da lui filtrata attraverso l'arte. Egli va costantemente alla ricerca di sensazioni rare, si circonda degli oggetti più preziosi e raffinati, prova orrore per la banalità e la volgarità della gente comune. Sono posizioni che vengono teorizzate originariamente in Inghilterra, saranno riprese in Francia da Joris-Karl Huysmans, e avranno poi la massima risonanza con Oscar Wilde e Gabriele d'Annunzio, non solo attraverso le opere scritte, ma anche attraverso la vita stessa, che, secondo i principi professati, deve essere un'opera d'arte. Ne consegue anche che il poeta rifiuta di farsi portavoce di ideali morali e civili: l'arte rifugge dalla rappresentazione della realtà storica e sociale (che era una prerogativa del realismo ottocentesco) e si svincola da tutti gli intenti pratici e utilitaristici; diviene cioè arte pura, poesia pura. L'oscurità del linguaggio Se la poesia è concepita come strumento di conoscenza del mistero che ci avvolge, unico tramite che ci possa mettere in comunicazione con l’ignoto, con l’inconscio, con l’assoluto, essa assume, pertanto, una funzione conoscitiva diversa da quella delle poetiche precedenti: non è più espressione di sentimenti, né di verità morali, intellettuali o religiose, ma è illuminazione e rivelazione dell’ignoto. L'esigenza di esprimere queste nuove concezioni determina un profondo cambiamento nelle forme letterarie, specialmente in quelle della poesia. Da ciò scaturisce una vera e propria rivoluzione del linguaggio poetico: la parola perde la propria funzione di strumento comunicativo immediato e recupera la capacità di rivelare l'ignoto, di mettere in contatto con il mistero al di là delle cose, diventando inevitabilmente oscura, al limite dell'incomprensibilità. Anche se il poeta vuole comunicare, lo fa in forme simboliche, allusive, enigmatiche, rivolte a quei pochi che, come lui, sono in grado di accedere al mistero e di comprendere il suo linguaggio. Si rivela di qui il carattere estremamente aristocratico dell'arte decadente, che rifiuta di rivolgersi al pubblico borghese, ritenuto mediocre e volgare, e si chiude nella propria suprema raffinatezza. Si delinea quindi, in questo periodo, una frattura radicale tra artista e pubblico, tra intellettuale e società, frattura che esaspera all'estremo limite il conflitto già iniziato in età romantica, agli albori del capitalismo industriale moderno. Le tecniche espressive Vari sono i mezzi tecnici attraverso cui lo scrittore decadente ottiene questi effetti suggestivi. La musicalità. La parola non è tanto l’elemento capace di designare una precisa realtà, ma puro suono che si carica di valori evocativi. Nella visione decadente la musica è la suprema tra le arti proprio perché è la più indefinita, perché è svincolata da ogni significato logico, capace di agire sulle zone più oscure della psiche, di creare la comunione con l'assoluto. Cadono nella poesia decadente i nessi sintattici tradizionali: la sintassi si fa vaga e imprecisa, altamente ambigua, e anche le singole parole assumono sfumature o significati diversi da quelli comuni. Gli strumenti linguistici più usati nella poesia decadente sono l’analogia, che crea legami impensati tra realtà anche molto lontane tra loro, e la sinestesia, che consiste nell'accostamento di termini che appartengono a sfere sensoriali diverse provocando la fusione di sensazioni che conservano tra loro un sottile rapporto analogico. Temi e miti della letteratura decadente Al fascino esercitato dalla malattia, dalla nevrosi, dalla decadenza e dalla morte, temi molto presenti nella letteratura decadente, si contrappongono tuttavia tendenze opposte: il vitalismo, cioè l'esaltazione della pienezza vitale al di là di ogni limite imposto dalla morale, ricerca del godimento, e il superomismo, cioè la mitizzazione della forza barbarica, che impone il suo dominio sui deboli e può così rigenerare un mondo senza più energie. Filosoficamente, se il desiderio di annientamento si pone sotto il segno delle teorie di Arthur Schopenhauer, il vitalismo vede il suo teorico in Friedrich Nietzsche e l'applicazione letteraria in Gabriele D'Annunzio. Gli eroi decadenti l'artista "maledetto", che profana tutti i valori e le convenzioni della società, che sceglie deliberatamente il male e si compiace di una vita misera, sregolata, condotta sino all'estremo limite dell'autoannientamento; l’esteta, l'uomo che vuoi trasformare la propria vita in opera d'arte, sostituendo alle leggi morali le leggi del bello, andando costantemente alla ricerca di sensazioni squisite e piaceri raffinati; ha orrore della vita comune, della mediocrità borghese e si isola in una sdegnosa solitudine, circondato solo dalla bellezza e dall'arte; l’inetto a vivere, che si sente escluso dalla vita che lo circonda alla quale non sa partecipare per mancanza di energie vitali, per una malattia dell'anima che corrode la sua volontà; più che vivere, si osserva vivere. Il “fanciullino” e il “superuomo” L'inetto a vivere conosce una variante originale con il «fanciullino» pascoliano contrassegnato dal rifiuto della condizione adulta, della vita di relazione al di fuori del «nido» familiare, dal regredire a forme di emotività e sensibilità infantili esprimendo l'esigenza di un ritorno a forme di coscienza anteriori alla vita logica, quindi espressione dell'irrazionalismo decadente. Dalla tendenza decadente ad esaltare la pienezza vitale e la forza barbarica ha origine la figura del <<superuomo>> di D'Annunzio, liberamente ispirato alle teorie del filosofo Nietzsche. Il superuomo dannunziano è l'individuo superiore alla massa mediocre, forte e dominatore, che si muove alla conquista di mete eroiche senza essere ostacolato da dubbi e incertezze. Il mito si carica anche di valenze politiche, poiché il superuomo ha il compito di riportare l'Italia alla grandezza passata e a un futuro imperiale. Pur assai diversi per carattere ed esperienze di vita, i due autori cercano e trovano il modo per andare “oltre” la realtà contemporanea, ma in direzioni opposte: quella dell’interiorità del “fanciullino” in Pascoli e quella dell’esteriorità del “Superuomo” in D’Annunzio.