Sei sulla pagina 1di 25

Decadentismo II

Nascono così alcune figure ricorrenti nella letteratura


decadente, che assumono spesso una dimensione
mitica. Innanzitutto l'artista maledetto, che profana
tutti i valori e le convenzioni della società, che sceglie
deliberatamente, come per un gesto di supremo rifiuto,
il male e l'abiezione, e si compiace di una vita misera,
errabonda, sregolata, condotta sino all'estremo limite
dell'autoannientamento attraverso il vizio della carne,
l'uso dell'alcool e delle droghe.
L'altra figura è quella dell'esteta. È l'uomo che vuole
trasformare la sua vita in opera d'arte, sostituendo alle leggi
morali le leggi del bello e andando costantemente alla
ricerca di sensazioni squisite e piaceri raffinati, modellati
sull'esempio delle grandi opere poetiche, pittoriche o
musicali del passato. L'esteta ha orrore della vita comune,
della volgarità borghese, di una società dominata
dall'interesse materiale e dal profitto e si isola in una
sdegnosa solitudine, circondato solo dalla bellezza e
dall'arte.
Una terza figura fondamentale che ricorre, in forme
diverse, nella letteratura decadente è quella dell'inetto
a vivere. L'inetto è escluso dalla vita, che pulsa intorno
a lui e a cui egli non sa partecipare per mancanza di
energie vitali, per una sottile malattia che corrode la
sua volontà. Può solo rifugiarsi nelle sue fantasie,
vagheggiando nei sogni l'azione da cui è escluso.
Vorrebbe provare forti passioni, ma si sente inaridito,
impotente. Più che vivere, si osserva vivere.
Di contro a questi uomini deboli, malati, incapaci di
vivere, nella letteratura decadente si profila
un'immagine antitetica di donna: la donna fatale,
dominatrice del maschio fragile e sottomesso,
lussuriosa e perversa, crudele torturatrice che
succhia le energie vitali dell'uomo come un vampiro.
L'inetto a vivere conosce una variante originale col
fanciullino pascoliano: il rifiuto della condizione
adulta, della vita di relazione al di fuori del tiepido e
protettivo nido familiare, il regredire a forme di
emotività e sensibilità infantili, che si pongono in
antitesi con una visione matura della realtà.
Alla crisi e alla malattia interiore, il Decadentismo
può reagire appellandosi alla forza barbara e ferina.
Di questa tendenza ha origine un'altra figura mitica,
quella del superuomo dannunziano che vuole
essere l'antitesi degli eroi deboli e inetti, perplessi e
sconfitti. Forte e sicuro, si muove verso la sua meta
eroica senza essere contaminato da dubbi e
debolezze.
Anche la malattia, il disfacimento e la morte non fanno
che esaltare la sua forza. Il mito si carica di significati
politici: il superuomo deve mirare alla rigenerazione
dell'Italia, riportandola alla sua grandezza passata e ai
suoi destini imperiali, e per questo deve imporre un
saldo dominio all'interno della nazione, instaurando
una dittatura di eletti e di forti, di nuovi aristocrati che
sottomettano il popolo, trasformandolo in docile
strumento delle conquiste imperiali.
Solo così, rinnovata e rinvigorita al suo interno, l'Italia
potrà lanciarsi verso il dominio del mondo, ridando vita
alle glorie di Roma antica. Questi eroi, che pure
dovrebbero essere sulla carta perfettamente padroni di sé,
saldi e sicuri, sono in realtà minati da segrete tendenze
disgregatrici: la loro forza non si concreta mai veramente
in azione, il gesto eroico è solo alluso, rimandato a un
vago futuro. Dietro il superuomo è facile quindi scorgere
pur sempre la fisionomia dell'eroe decadente, corroso
dalla malattia interiore, inetto e impotente.
Caratteristica degli eroi decadenti è pertanto, di
norma, una psicologia complicata, tortuosa,
dominata da spinte contraddittorie e ambivalenti.
Tipici della letteratura decadente sono l'attenzione
alle ambiguità della psiche, il proposito di spingere
lo sguardo nel profondo, a cogliere gli impulsi più
oscuri e inconfessabili.
Nasce da questa disposizione una nuova struttura
romanzesca: non più il romanzo realistico, che
studia le psicologie individuali in rapporto a
determinati ambienti sociali, ma il romanzo
psicologico, in cui la dimensione soggettiva viene
prepotentemente in primo piano, oscurando quella
sociale.
La letteratura decadente tende a opere brevi, dense,
quintessenziate, ama il frammento slegato da un tutto
organico e nel frammento concentra tutta l'energia poetica.
Ne deriva ancora che se lo slancio verso l'ideale consentiva
agli scrittori romantici forme di impegno, la trattazione dei
grandi problemi, la fiducia di poter incidere in qualche
modo sulla realtà, l'artista deecadente rifiuta invece ogni
impegno, erige la forma artistica a valore supremo e afferma
il principio della poesia pura, non contaminata da interessi
pratici, morali e politici.
La crisi della coscienza, il rifiuto della realtà, le
tematiche negative, tutti i fattori che accomunano
Decadentismo, si possono quindi collegare a
omogenee reazioni di poeti e artisti delle due età di
fronte ai tratti più inquietanti del moderno assetto
capitalistico e industriale, che gia sin dagli inizi del
secolo si profilava in forme evidenti:
Lo sconvolgimento delle forme di vita tradizionali
prodotto dalla rivoluzione industriale, la rapidità
vertiginosa delle trasformazioni, le crisi cicliche di
sovrapproduzione che seminano rovina e miseria, la
riduzione dei rapporti umani a rapporti fra merci, i
laceranti conflitti di classe che scaturiscono dalla
presenza del proletariato operaio.
Tutti gli aspetti più specifici del clima decadente possono
essere messi in relazione con gli sviluppi che caratterizzano
particolarmente la situazione europea di fine secolo.
Innanzitutto la grande industria, con l'impiego massiccio
delle macchine, la produzione su vasta scala, ha raggiunto
dimensioni colossali. Il meccanismo produttivo si fa sempre
più impersonale: l'individuo energico e creatore esaltato nel
momento eroico e pionieristico del capitalismo non conta più
nulla, dinanzi ai giganteschi apparati impersonali
dell'economia e della società non ha più spazio d'azione.
Questa organizzazione produttiva dà anche origine
alla società di massa, in cui gli individui perdono la
loro fisionomia peculiare, si riducono a rotelle di un
ingranaggio sempre più perfezionato che ne
condiziona comportamenti, idee, scelte.
La crisi dell'individuo che caratterizza la cultura
decadente, il senso di una malattia che corrode l'io e
lo spinge a rifiutare il mondo esterno chiudendosi
gelosamente in sé stesso, a fuggire verso i mondi
arcani del mistero e dell'ineffabile oppure ad
abbandonarsi agli impulsi nichilistici
dell'autoannientamento, hanno con ogni evidenza le
loro radici in questi processi.
Si fa anche strada un senso di smarrimento e di
impotenza dell'individuo di fronte ad una realtà
complessa ed enigmatica, che incombe su di lui
minacciando a schiacciarlo e il cui senso globale gli
sfugge, un tema che comincia ad affacciarsi nella
letteratura di fine Ottocento e che avrà poi larga
diffusione nel Novecento.
Il motivo è particolarmente sentito dagli intellettuali
perché le trasformazioni sociali li investono
direttamente e violentemente. Nell'apparato
industriale e finanziario monopolistico l'intellettuale
umanista tradizionale non trova più posto, e spinto ai
margini, si sente inutile e frustrato. I nuovi processi
produttivi lo declassano anche materialmente, lo
relegano a funzioni dequalificate, ripetitive,
impiegatizie.
L'artista si sente anch'egli ridotto ad un minismo,
trascurabile ingranaggio della gigantesca società di massa,
perde definitivamente quel privilegio materiale e
spirituale di cui aveva goduto in precedenti età della
storia. Proprio per questo reagisce disperatamente
accentuando la sua diversità e la sua eccezionalità
attraverso l'estetismo, il maledettismo, il superomismo,
che possono essere letti come un tentativo di esorcizzare e
macherare una condizione avvilente di declassazione e di
massificazione.
Lo scrittore è poi preso da un altro ingranaggio
perverso: scrivere ormai può voler dire solo produrre
per un mercato. L'opera d'arte si riduce sempre più a
merce. L'artista allora cerca di reagire rifiutando di
rivolgersi al pubblico comune, individuando una
cerchia ristrettissima di iniziati a cui indirizzare le sue
opere e accentuando le caratteristiche ermetiche del
suo linguaggio, nel tentativo di sottrarre la sua
creazione al circuito del mercato.
L'intellettuale si ritrae smarrito, spaventato: è estraneo
sia agli interessi borghesi, che sente inconciliabilmente
avversi a tutta la propria concezione della vita, sia a
quelli del proletariato. La declassazione lo spinge
sempre più vicino alla condizione proletaria, ma egli
ne ha orrore e tende a diffendersi dalla degradazione
accentuando il suo aristocratico dispregio per le classi
basse, rivendicando la sua superiorità spirituale e la sua
ecezionalità.
Tutti questi meccanismi inducono l'artista a ribadire
il suo rifiuto e la sua fuga dalla realtà, a chiudersi
sempre più gelosamente nell'io, a cercare un
risarcimento alla sua impotenza e alla sua
emarginazione nell'irrazionale e in un vago
misticismo.
Il Decadentismo è dunque in aperta contrapposizione
con la visione positivista e naturalistica che
affermava la superiorità del progresso e della ricerca
scientifica come moto per l'evoluzione della società.
Per l'Italia, gli scrittori più rappresentativi del
Decadentismo sono sicuramente Gabriele
D'Annunzio, Giovanni Pascoli, Antonio Fogazzaro,
Italo Svevo e Luigi Pirandello.
In Italia si possono distinguere due periodi di
Decadentismo: il primo, che si sviluppa a partire da
fine Ottocento e incarnato in autori come
D'Annunzio, Pascoli e Fogazzaro, e si basa sulla
necessità di costruire miti decadenti. Il secondo
periodo caratterizza i primi due decenni del
Novecento è rappresentato da Pirandello e Svevo,
ed è più incentrato sulla critica della realtà in modo
lucido, distruttivo e profondo.

Potrebbero piacerti anche