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Il Decadentismo

Il «decadentismo» è il termine utilizzato per descrivere un’intera fase storico-culturale e


letteraria europea; a partire dal 1880 si estende almeno fino ad inizio Novecento, con la
nascita delle avanguardie storiche. Il decadentismo, come il romanticismo, appare una
categoria vasta e variegata, difficile da sintetizzare in una sola poetica. È comunque
possibile individuarne i tratti più caratteristici: l’estetismo, cioè un culto esasperato dell’arte
(«l’arte per l’arte»); l’irrazionalismo, la ricerca cioè di strumenti non logico razionali di
comprensione del reale e di comunicazione; e il ribellismo nei confronti della società
borghese e industriale e spesso delle istituzioni liberali e democratiche.

L’origine del Decadentismo


Il Decadentismo ha la sua origine nel 1883 sul periodico parigino “Le Chat Noir”. Paul
Verlaine pubblicò un sonetto in cui affermava di aver riscontrato nel suo animo un’atmosfera
di stanchezza e decadenza. Il sonetto intercettava uno stato d’animo comune nella cultura
del tempo, l’idea di un crollo imminente. Queste idee e pensieri erano proprie di circoli
d’avanguardia in contrapposizione alla mentalità borghese, che ostentava uno stile di vita
libertino. La critica utilizzò il termine “decadentismo“, con accezione negativa, per descrivere
questi gruppi di intellettuali. Essi accettarono questo termine e iniziarono ad usarlo
polemicamente, ne rovesciarono il significato per indicarne un privilegio spirituale. Tale
ribaltamento di significato si concretizza quando poeti e scrittori maledetti fondarono nel
1886 la rivista «Le Décadent».

LA VISIONE DEL MONDO DECADENTE


Il mistero e le corrispondenze
Alla base della visione del mondo decadente vi era innanzitutto il rifiuto della visione
positivistica della vita. Ovvero la convinzione che la realtà fosse un complesso di fenomeni
materiali, regolati da leggi meccaniche. La cui sola scienza poteva fornire una conoscenza
oggettiva del reale e, attraverso essa, il dominio dell’uomo sul mondo. Al contrario, il
decadentismo ritiene che la ragione e la scienza non possano dare la vera conoscenza del
reale. L’essenza è al di là delle cose, solo rinunciando alla ragione si può tentare di scoprire
l’ignoto.

La visione decadente propone un’identità tra io e mondo, soggetto e oggetto. Una corrente
profonda li unisce. Questa unione avviene in una zona oscura, nella quale l’individualità
scompare e si fonde con l’aspetto dell’ inconsapevole: l’inconscio. Tale scoperta è un dato
fondamentale per la cultura decadente, un luogo che i romantici avevano già intravisto ed in
parte esplorato. Solo ora poeti e artisti osano avventurarsi sino in fondo in questa zona
tenebrosa allo scopo di esplorare e spiegare le diverse concezioni del Decadentismo.
Gli strumenti irrazionali del conoscere
I mezzi mediante cui il decadente cerca di attingere all’ignoto sono tutti gli stati irrazionali del
conoscere. La malattia, la follia, la nevrosi, il delirio, il sogno, l’allucinazione e, l’uso dell’alcol
e delle droghe, si sottraggono al controllo della ragione. Ciò permette di vedere, anche se
confusamente, il mistero che è al di là delle cose. Un’altra forma attraverso il quale il
decadente può attingere all’ignoto è il panismo. Io e mondo non sono due entità distinte. L’io
individuale può annullarsi e confondersi nella materia e, attraverso questo annullamento,
potenziare all’infinito la propria vita. Un altro tipo di stato di grazia è costituito dalle epifanie,
secondo cui un particolare qualunque della realtà, che appare insignificante alla visione
comune, si carica improvvisamente di una misteriosa intensità, che affascina tanto da
identificarsi come rivelazione di un assoluto (come in Italo Svevo, James Joyce).

LA POETICA DEL DECADENTISMO


L’estetismo
Uno degli aspetti fondamentali della cultura decadente è l’arte. Il poeta, il pittore, il musicista,
non sono solo capaci di utilizzare la parola, il colore o la nota. Essi sono anche coloro capaci
di spingere lo sguardo là dove l’uomo comune non vede nulla, di rivelare l’assoluto. Per
questo l’arte è il valore più alto, che va collocandosi al di sopra di tutti gli altri. Da ciò deriva
un culto religioso dell’arte che ha dato vita al fenomeno dell’estetismo.

L’esteta è colui che assume come principio della sua vita non valori morali come il giusto e
l’ingiusto, il bene e il male; ma esclusivamente il bello, e in base a questo egli agisce e
giudica la realtà. Arte e vita per lui si confondono, nel senso che la vita è assorbita
interamente dall’arte. Tutta la realtà è filtrata attraverso l’arte. Egli va costantemente alla
ricerca di sensazioni rare e preziose; prova orrore per la banalità e la volgarità della gente
comune, che resta indifferente alla rivelazione del Bello. Sono posizioni che troveranno la
massima celebrazione con Oscar Wilde e Gabriele D’annunzio. Non solo attraverso le opere
scritte, ma anche attraverso la loro vita, che deve essere vissuta come se fosse un’opera
d’arte.

La malattia e la morte
L’atmosfera dominante nell’età del Decadentismo è uno stato d’animo di stanchezza che
deriva dal senso di declino di una civiltà. Da qui nasce l’ammirazione per l’epoca di
decadenza, come la grecità alessandrina e l’età bizantina. In cui l’esaurirsi delle forze si
traduce in estrema raffinatezza. A ciò si unisce il vagheggiamento del lusso e della lussuria,
delle più sottili perversioni, delle crudeltà più efferate, dal sadismo al masochismo.

Lo stato di malattia da un lato si pone come metafora di una condizione storica, di un


momento di crisi profonda. Angoscia per il crollo. Dall’altro come condizione privilegiata,
segno di nobiltà e separatezza verso la massa. Ma alla malattia umana si aggiunge una
malattia delle cose: il gusto decadente ama tutto ciò che è corrotto, impuro.
Vitalismo e superomismo
Al fascino esercitato dalla malattia, dalla decadenza e dalla morte, si contrappongono
tendenze opposte: il vitalismo. Cioè l’esaltazione della pienezza vitale, senza limiti e freni, la
ricerca del godimento, la celebrazione della forza barbarica, che impone il suo dominio sui
deboli. In realtà sono atteggiamenti solo apparentemente in contraddizione. In d’Annunzio,
come nell’età decadente in generale, si cerca di esorcizzare l’attrazione ossessiva della
morte, di sconfiggere un senso di stanchezza ed esaurimento.

Dunque il vitalismo superomistico non è altro che l’altra faccia della malattia interiore, o
meglio la maschera che cerca inutilmente di nasconderli. Anche in un altro senso la
morbosità e il vitalismo sono due facce di una stessa realtà. Entrambi esprimono un rifiuto
per la normalità, ricercando il diverso. Di qui il conflitto con la società. L’artista decadente si
isola dalla realtà contemporanea, orgoglioso della propria diversità. Tramuta in segni di
nobiltà anche i propri tratti negativi e le ossessioni che lo turbano.

Gli eroi decadenti


Nella letteratura decadente nascono alcune figure. L’artista “maledetto” contamina tutti i
valori e le convenzioni della società, scegliendo consapevolmente il male e la corruzione,
puntando a una vita misera, sregolata; fino a giungere all’auto-annientamento attraverso
l’uso dell’alcol e delle droghe. L’altra figura caratterizzante è l’esteta. L‘uomo che vuol
trasformare la sua vita in opera d’arte, sostituendo alle leggi morali le leggi del bello. Il
presente per lui rappresenta la bruttezza, lo squallore. Mentre ciò che è bello si identifica
con il passato, con l’età greca e rinascimentale, attraversate da una sfera di suprema
raffinatezza.

Una terza figura fondamentale nella letteratura decadente è quella dell’inetto a vivere. Ne è
un esempio lo Zeno di Svevo: una figura esclusa dalla vita, a cui non sa partecipare per
mancanza di energie vitali. Egli può solo rifugiarsi nelle sue fantasie, vagheggiando nei
sogni l’azione da cui è rigorosamente escluso. Vorrebbe provare forti passioni, ma si sente
imponente e inaridito ed è proprio la sua qualità di intellettuale. Con il suo continuo
osservarsi e studiarsi, ad isolarsi dalla vita che intanto scorre fuori e lontano, appare perciò
irraggiungibile.

In opposizioni a questi uomini deboli, malati, fragili, e incapaci di vivere, nasce una figura
particolare di donna: la donna fatale. Domina il maschio fragile e sottomesso, una donna
perversa, crudele e torturatrice, al cui fascino non si può sfuggire. Una donna che succhia le
energie vitali dell’uomo come un vampiro, portandolo alla follia e alla distruzione. In questa
figura della donna fatale si proietta la paura del femminile che può essere spiegata
attraverso due fattori. Da un lato la crisi dell’immagine tradizionale dell’uomo forte e sicuro, a
causa delle trasformazioni sociali dell’epoca. Dall’altro l’affermazione sempre più decisa
dell’emancipazione femminile che esige un nuovo posto nella società.

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