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ANALISI dei saggi dalla metà dell’800 alla fine del 900
I° lez.
OSCAR WILDE
si ispira a Karl Huysmans che afferma la necessità di “spezzare i limiti del romanzo”
“Il ritratto di D.Day” è il suo romanzo più famoso, qui attua i suggerimenti di K.H.,
rifiutando la descrizione delle vicende in modo Naturalistico, raccontando al
condizione dell’artista nella Londra Vittoriana asfissiata da perbenismi e ferree regole
sociali. Qui W. rivendica la totale autonomia dell’arte dalla morale, l’arte è fine a se
stessa e la sua bellezza è riservata a pochi eletti.
Wilde come Dorian è il perfetto Dandy, un esteta raffinato e stravagante. Sarà
imprigionato con l’accusa di omosessualità generando il mito dello scrittore
decadente come creatore di sandalo. L’idea del letterato-divo sarà impersonata
appieno in Italia da d’Annunzio.
1)contro la Borghesia: la classe sociale in ascesa nella società soprattutto grazie alle
grandi innovazioni industriali, legata al culto del lavoro e del profitto ed ad una
austerità dei costumi e decoro con morigeratezza dei costumi, dissimulazione di
istinti e passioni.
2)contro il Positivismo : è questa una filosofia molto in voga nell’800 che nasce da
una profonda convinzione che la realtà e tutti i suoi fenomeni siano governati da leggi
meccaniche, per cui c’è una estrema fiducia che la scienza possa svelare questi
meccanismi e permettere all’uomo di dominare così la natura con una conseguente
corrente ottimistica incoraggiata soprattutto dalle concomitanze scoperte nel mondo
della scienza e dell’industria con la Rivoluzione Industriale.
Per l’artista decadente invece la ragione e la scienza non possono dare la vera
conoscenza del reale, la cui essenza vera è al di là delle cose tangibili, è misteriosa
ed enigmatica, inconoscibile se non in modo a-razionale. Quindi l’inconoscibilità
del reale, dove tutto gli aspetti dell’essere sono legati tra loro da corrispondenze ed
analogie( sarà una delle caratteristica della poetica di Pascoli) che si scorgono in uno
stato di empatia irrazionale (raggiungibile con droga o alcool, stato di malattia,
insomma tutte le forme abnormi della coscienza, a cui i decadenti sono dediti).
Questa visione del reale era già stata postulata da Charles Baudelaire ne “i Fiori del
Male” considerato dai decadenti un vero e proprio manifesto.
Oltre alla figura dell’Esteta ci sono altri temi e figure ricorrenti nelle varie opere
degli artisti decadenti.
TEMI:
-La malattia, la nevrosi è una costante che segna tutta la letteratura decadente,
metafora di una condizione storica di un momento di smarrimento e di crisi profonda
di angoscia per il crollo, avvertito dal decadente come prossimo, di tutto il mondo. La
malattia però è anche vista come condizione privilegiata segno di nobiltà e
distinzione di separazione dalla massa, strumento conoscitivo per eccellenza. Anche e
cose sono malate , il decadente ama ciò che è corrotto, impuro.
-La morte, è un tema dominante, ossessivo
-il disfacimento fisico
-gli stati abnormi della coscienza raggiunti con alcool e droga che ti permettono di
elevarti al di sopra della gente comune.
-La pazzia
FIGURE TIPICHE
-l’artista “maledetto”che profana tutti i valori e le convenzioni della società e che
sceglie deliberatamente il male, una vita misera, sregolata al vizio fino alla morte.
-Vitalismo e superomismo: all’interno dello stesso movimento al fascino di morte e
malattia per alcuni si contrappongono il vitalismo e superomismo come in
d’Annunzio.
il vitalismo è l’esaltazione della vita, senza limiti, senza norme morali, senza freni,
alla ricerca di un godimento “ebbro”dionisico.
il teorico del vitalismo è Nietzche, d’Annunzio l’ applica in alcuni dei suoi romanzi,
in cui il culto della “vita” è per d’Annunzio e alcuni Decadenti un modo per
esorcizzare l’attrazione morbosa per la morte, per cercare di sconfiggere un senso di
stanchezza e di esaurimento , per cui il vitalismo superomistico è l’altra faccia della
medaglia, del disfacimento e del sentimento autodistruttivo, tutto nel rifiuto
aristocratico della normalità borghese. L’atteggiamento antiborghese era già proprio
del Romanticismo ma ora è esasperato all’estremo.
-il fanciullino: rifiuto della condizione adulta al di fuori del caldo e protettivo “nido”
familiare. Il mito è tipico di Pascoli esprime l’esigenza a momenti anteriori alla vita
logica
-il tema della donna fatale, dominatrice del maschio fragile e sottomesso, è crudele
ed ammaliatrice, impossibile sfuggire al suo fascino, succhia le energie vitali
dell’amante portandolo alla perdizione. E’ spesso presente nei romanzi e nelle opere
teatrali di d’Annunzio.
-L’inetto a vivere , è una tipica figura del Decadentismo usata da Fogazzaro nel
romanzo Malombra(Corrado Silla) e da Svevo in “una vita”(Alfonso Nitti) e
“Senilità” (Emilio Brentani) , la coscienza di Zeno, ed in personaggi di Pirandello.
L’inetto è escluso dalla vita intorno a lui a cui non sa partecipare per mancanza di
energia vitale per una sottile malattia che corrode la sua volontà, così si rifugia nelle
sue fantasie, che compensano una realtà frustante da cui è escluso. non vive, osserva
vivere, è un intellettuale che si studia continuamente bloccando ogni sua iniziativa , la
vita è lontana e irraggiungibile
sono tutte figure che popolano le poesie ed i romanzi di questi artisti, esaltandone il
valore simbolico, accompagnate da luoghi mitico-simbolici come la città di Bisanzio.
Esiste quindi un rapporto molto stretto tra Decadentismo e contesto storico, che sta
nel netto rifiuto della mediocrità borghese e la corrispondenza tra la ricerca
dell’eccezionale e la necessità di distinguersi dalla nascente società di massa.
IL LINGUAGGIO DECADENTE
SIMBOLISMO francese
Come il Decadentismo muove dal Romanticismo S’impone nel 1886 con la
pubblicazione dell’articolo-manifesto”Il Simbolismo” di Jean Morèas su “Le
Figaro” ( i poeti più conosciuti: Flobeart, Mallarmè,, Verlaine..), il capostipite è
Charles Baudelaire.
Introduce una vera rivoluzione nel linguaggio poetico alla ricerca di una poesia
intensamente suggestiva ed evocativa.
4)il rifiuto della realtà sia nella sua apparenza esteriore che nell’interpretazione del
positivismo
Plaid prof.
Esempio di poesia Simbolista “Corrispondenze” di Baudelaire
Charles Baudelaire
nasce a Parigi nel 1821 da una ricca famiglia borghese
Vive una vita dissipata alla bohémien nel quartiere latino di Parigi
Muore d stesti e di sifilide nel 1867.
Si colloca al confine fra età Romantica e decadente, di cui anticipa temi e forme. Un
posto centrale nella sua opera è la grande metropoli con i suoi labirinti, la folla, i cieli
offuscati, le trasformazioni urbanistiche che cancellano le tracce del passato. Della
vita moderna egli coglie gli aspetti negativi, la solitudine che impedisce i rapporti
umani, i vizi, le disperazioni, la noia , la percezione della perdita del senso della vita,
diviene così il cantore del male (come indica il titolo della sua raccolta più famosa”I
fiori del male”), dei vizi, della corruzione, la sua è una poesia volutamente
provocatoria che mira ad urtare e scandalizzare il lettore smascherando i suoi vizi
nascosti sotto il perbenismo. Contemporaneamente c’è in lui un desiderio di purezza ,
di bellezza , di una natura innocente.
B. è interprete della nuova condizione dell’artista della sua esclusione dalla vita
attuale, della sua solitudine, della perdita del prestigio quasi sacrale di cui godeva .
Dal punto di vista formale anticipa soluzioni che saranno poi del Simbolisti francesi,
e dei Decadenti italiani sopratutto Pascoli, cioè è il teorico delle “corrispondenze”,
dei legami segreti che uniscono tutta la realtà in un’unità misteriosa che solo la parola
poetica sa svelare e solo il poeta interpretare, di conseguenza il suo linguaggio
poetico per rendere queste analogie diventa allusivo e magicamente evocatore. Dare
alla parola una funzione magicamente evocativa anticipa i poeti “veggenti” tesi a
decifrare la rete misteriosa di simboli che avvolge il reale, come Rimbaud, ed i
decadenti come Pascolo e d’Annunzio.
IL VERISMO
è la terza corrente presente nel panorama europeo ed Italiano di fine 800
Nasce dal Naturalismo francese di Emile Zolà, ed i Italia il rappresentante più
conosciuto è VERGA allievo di Luigi Capuana, altro grande verista fu Federico ed il
suo romanzo”I vicerè”.
I pincipi fondamentali del verismo sono:
1)impersonalità, l’autore si eclissa, si cala nella pelle dei personaggi, vede le cose con
i suoi occhi e le esprime con le loro parole, anche dialettali. A raccontare non è più in
narratore onnisciente che tutto sa di tutto il racconto e di tutti i suoi personaggi e che
descrive e raconta attraverso i suoi occhi, il suo livello culturale, il suo linguaggio e
livello culturale. Nei romanzi veristi è come se il racconto si scrivesse da sé, l’umore
non ci presenta i personaggi, questi si presentano da soli. Diceva Zolà padre del
Naturalismo che lo scrittore si comporta come uno scienziato che osserva l’evolvere
del suo esperimento.
La regressione nell’ambiente rappresentato-L’autore non interviene mai nel racconto,
non esprime mai opinioni o punti di vista chi racconta si pone l’interno dell’ambiente
e allo stesso livello dei personaggi di cui adotta il modo di pensare, sentire, parlare. Il
lettore deve essere posto faccia a faccia con i fatti e farsi da solo un’idea dei
personaggi e della storia. Il linguaggio del romanzo verista è chiaramente spoglio e
povero, pieno di modi di dire , paragoni, imprecazioni, proverbi anche se Verga non
usa mai direttamente il dialetto e se cita qualche parola dialettale la mette tra
virgolette.
3)Rappresentazione della realtà senza interventi esterni da perte dell’autore
Il principio dell’impersonalità è per Verga un modo per esprimere il suo insanabile
pessimismo verso l’uomo e la storia che ritiene immutabili con una lotta per la vita
come legge di natura (Darwinismo). Un meccanismo crudele per cui il più forte
schiaccia sempre il più debole poiché gli uomini sono mossi sempre dall’interesse
economico, come esprime ne “il ciclo dei vinti “ i cui romanzi più conosciuti son “I
Malavoglia e Mastro don Gesualdo”, dove ci afferma che ognuno resta sempre nella
classe sociale a cui appartiene ed anche la “fiumana del progresso” dopo l’Unità
d’Italia è un altro strumento di sopraffazione e disuguaglianza(I Malavoglia). Chi
tentala scalata sociale (mastro don Gesualdo) resta solo e non entra mai nella cerchia
delle classi sociali più alte che lo vedono sempre per quello che è un povero Mastro.
Montale
“Non chiedeteci la parola”Slaid prof
questa poesia di Montale contenuta nella sua prima raccolta “Ossi di seppia” viene
associata dalla prof a d’annunzio ed altri poeti per indicare che c’è una differenza
abissale tra la concezione dell’io poetico di d’Annunzio e Montale.
Il poeta si rivolge ad un ipotetico interlocutore, con un generico “tu”,cioè il lettore
dei suoi versi, tuttavia per se stesso usa la prima persona plurale (noi) così coinvolge
nel discordo anche gli altri poeti e più in generale la poesia
Il testo diventa così un documento di poetica
Affema che la poesia , non è più in grado di portare ordine nel caos interiore
dell’uomo e lungi dall’essere una parola, unica, infallibile - può esprimersi solo in
negativo.
Quindi l’insufficienza della parola come strumento conoscitivo.
Il poeta è estraneo all’uomo conformista appagato ed integrato nel mondo in cui vive
che non si pone domande.
In questa poesia c’è la coscienza del «male di vivere» A differenza di Ungaretti e dei
Simbolisti, per i quali la poesia è il solo strumento per conoscere la realtà, per
Montale essa non può offrire aiuto alcuno all’uomo. può essere solo ricerca e mai
raggiungimento della verità, può rappresentare il dolore e il «male di vivere» ma non
fornire risposte sui “perché” della vita. Più in particolare, la poesia per Montale può
dare solo una sillaba storta e secca come un ramo, la ricerca di suoni aspri e ritmi
spezzati volutamente antimusicali Montale fa ricorso a questo tipo di linguaggio
proprio per indicare che la poesia non è più in grado di proporre messaggi positivi. La
parola piò essere cioè scabra ed essenz iale, dire solo ciò che non siamo e ciò che
non vogliamo.
La distanza con d’Annunzio è abissale, per il Vate la parola poetica è magica,
l’unica che ti conduce alla verità delle cose e la funzione del poeta è superiore agli
altri uomini essendo l’unico in grado di comprendere la parola e svelare i segreti della
realtà.
Si può constatare attraverso questa distanza un mutamento profondo del clima
culturale , l’affermarsi della dittatura fascista , che genera negli intellettuali formatisi
in una cultura liberale un senso di impotenza: essi rifiutano una realtà ripugnante alla
loro coscienza, ma l’unico mezzo per opporsi è isolarsi nella propri solitudine
La Poetica di Montale
Montale rappresenta una delle espressioni più alte della cultura del 900, capace di
interpretare in forma originale i problemi che travagliano l’uomo moderno:
-il disagio esistenziale di fronte ad una realtà che appare priva di senso
-il pessimismo nei confronti di una storia segnate dalle guerre dal male
-la polemica contro i processi di omologazione del pensiero delle abitudini nella
società di massa.
Montale esordisce nel 1925 con la raccolta “Ossi di seppia” Il titolo allude al tema
centrale della sua poetica, ossia l’aridità intesa come condizione esistenziale che si
concretizza in alcune immagini ricorrenti quella del paesaggio ligure, disseccato dal
sole e dalla salsedine, e quella allegorica del “muro”che imprigiona l’uomo senza
dargli via di scampo, il muro gli impedisce di sfuggire alla vita intesa come inutile
giostra delle ore troppo uguali, arida e inutile, al di là del muro l’uomo potrebbe
attingere ad una verità ultima e certa.Montale ricerca suoni aspri, toni e ritmi spenti,
volutamente antimusicali , ed il ricorso ad un lessico “antipoetico”con intrusione di
termini aulici in funzione ironica e straniante. Montale rifiuta il linguaggio analogico
della contemporanea poesia simbolista favore di “una poetica degli oggetti”incentrata
su cose umili, comuni, citate come “correlativi oggettivi”ossia equivalenti concreti di
concetti astratti o di stati d’animo del soggetto
Fogazzaro nasce a Vicenza nel 1842 in una famiglia della ricca e cattolica borghesia
Si laurea in legge ma è attratto dalla letteratura, dopo una crisi religiosa, torna alla
fede e cerca una conciliazione tra cattolicesimo e scienza, su questo tema terrà una
serie di conferenze in tutta Italia, si avvicina anche alle teorie evoluzionistiche e
aderisce al movimento del “modernismo” che cercava di conciliare il cristianesimo e
la modernità, quindi cerca senza successo di conciliare la cultura laica a quella
cattolica. Il movimento fu contrastato dalla Chiesa e alcuni dei sui romanzi saranno
condannati dalla Chiesa e messi all’Indice. Si avvicina alla letteratura tardoromantica
e alla scapigliatura milanese che è il movimento di rivolta antitradizionalista e
antiborghese che si richiamava alla tendenza della “boheme” francese.
Il suo successo come scrittore lo porterà a diventare senatore. Muore a Vicenza nel
1911 pochi mesi dopo l’uscita del suo ultimo romanzo “Leila”.
-Malombra, il primo romanzo di F. esce nel 1881 lo stesso anno dei Malavoglia di
Verga ma ne è abissalmente lontano. Pur non essendo una narrativa pienamente
decadente, inaugura la figura dell’inetto a vivere e della fame fatale, entrambi cari
agli scrittori decadenti. In Malombra lontano dallo studio scientifico della realtà
sociale tipica del romanzo naturalista o verista, predilige da un lato il mistero ed il
soprannaturale, dall’altro c’è l’indugio sui lati più oscuri della psiche(romanzo
psicologico). L'indagine psicologica mette a nudo i contrasti interiori dei protagonisti
Anche i romanzi successivi si addentrano nell’analisi dei complessi problemi interiori
di anime divise tra sensualità e il richiamo ad una più alta spiritualità religiosa(tema a
lui caro).
Negli anni successivi unisce la tematica Risorgimentale con la struttura del romanzo
sentimentale, senza però accostarsi a modelli veristi. Nasce così un famoso romanzo
-“Piccolo mondo antico” che vede protagonista due patrioti .
Nel romano “il Santo” gli elementi decadenti si fanno più netti tanto che il
protagonista può essere considerato l’equivalente cattolico degli eroi dannunziani.
Nel Santo, agisce un tormento interiore che spinge alla sublimazione mistica, nei
personaggi dannunziani invece agisce un’energia vitale che spinge alla ricerca del
piacere ed all’azione eroica, sia pure votata spesso all’annientamento.
slaid prof
CREPUSCOLARISMO
E’ nell’allontanamento ironico dal dannunzianesimo che si concentrano i tentativi dei
più giovani tra i poeti di inizio 900 poi raggruppati sotto l’etichetta di Crepuscolari
come Gozzano e Corazzini, estranei al divismo ed estetismo dannunziano, ed alle
avngurdie.
Temi:
I temi sono svolti con l’uso di registri bassi e colloquiali ,ma non si può parlare di
avanguardia perché non c’è un violento e rivoluzionario attacco alla tradizione, visto
che i crepuscolari vivono in un rassegnato distacco dai decadenti e in una
malinconica accettazione della mediocrità borghese, senza propositi di cambiare
realtà.
Non è un vero e proprio movimento, dura una quindicina di anni ma tuttavia riesce a
liquidare alcuni presupposti dell’estetica decadente e a gettare le basi per un
rinnovamento del linguaggio poetico :
Con i crepuscolari per la prima volta il primato dell’arte si rovescia nel suo contrario:
in senso di colpa e in polemica antiletteraria.
• superamento del modello dannunziano nella sua poesia come ne I colloqui. che
sembra un racconto più che una poesia, infatti il protagonista parla di sé come si fa
in una biografia reso scorrevole dalla tendenza a disporre il discorso in versi. Nella
poesia sono racchiuse tutta le tematiche crepuscolare, come gli Amori ancillari, con
cuoche e cameriere vs la fame fatal decadente, i grigi interni domestici (vs le ville
lussuose decadenti)… Il protagonista privo di autostima e si autodefinisce “un coso
con due gambe/ detto guidogozzano” per denunciare la menzogna della poesia
dannunziana.
• Gozzano si rivela maestro nel far cozzare linguisticamente l’aulico col prosaico:
racconta storie banali e squallide attraverso un repertorio verbale ricco che passa
dalla terminologia tecnica e spunti di conversazione mondana.
Sergio Corazzini
In lui sono presenti i tipici temi crepuscolari aggravati dalla sua condizione di malato
di tubercolosi
slaid prof.
contenuta nel Piccolo libro inutile; nei 55 versi del componimento, oltre al ritorno dei
temi crepuscolari, Corazzini sviluppa una personale riflessione sull'identità del
“poeta" che da vate e guida della nazione diventa un “piccolo fanciullo che piange”.
Il componimento si apre proprio su questa immagine, e sul correlato rifiuto
dell'etichetta di “poeta":
Il“Silenzio” è l’ unico mezzo con cui ricercare Dio, nella morte l'unica soluzione ai
propri patimenti. Lo stile, semplice e “basso",
Scrive il romanzo Le sorelle Materassi (1932) che mette in luce gli aspetti
paradossali e stranianti della vita della piccola borghesia italiana, Sicuramente è un’
artista “irregolare” e libero da definizioni a correnti, tendenze letterarie.
compare per la prima volta nella raccolta Poemi del 1909 e costituisce un ottimo
identikit del profilo poetico di Palazzeschi, in cui il verso libero si fa lo strumento con
cui ribaltare l’immagine tradizionale del poeta per contrapporgli quella di un poeta-
giocoliere, un “saltimbanco” che, tuttavia, non toglie valore all’espressione poetica,
ancora in grado di “guardare nel cuore dell’uomo”.
Lasciatemi divertire, pubblicata nel 1910 nella raccolta L’incendiario, è uno dei testi
che, insieme con Chi sono? e La fontana malata, che meglio definisce l’identità
poetica di Aldo Palazzeschi. La poesia, dal sottotitolo Canzonetta, è una critica
tagliente, con le armi del riso, del paradosso e dell’ironia, contro la tradizione poetica
e il buon gusto del pubblico borghese. Palazzeschi, qui nella sua fase più futurista ,
deride i modelli passati, dalla funzione del “poeta-vate” alla maniera dannunziana
alle eccessive difficoltà stilistiche di chi scrive “in giapponese”, passando per chi si
spaccia per poeta senza aver nulla da dire. L’io poetico di Palazzeschi, invece, si
vuole solo divertire.
Nel’Italia del primo 900, che pure continua a rimanere un pese sostanzialmente
agricolo, cominciano ad affermarsi le strutture di un’economia più moderna. Lo
sviluppo industriale del Nord porta al fenomeno dell’inurbamento, migliaia di
contadini del Sud lasciano le campagne sperando in una vita migliore nel Nord
soprattutto Torino(Fiat).Nasce un proletariato povero ed emarginato a cui si
accompagna la forte spinta all’emigrazione, anche se nel primo decennio del 900 un
miglioramento economico spinge l’Italia alla colonizzazione della Libia ma i
problemi interni restano gravi.
Questo periodo di rinnovata speranza è La Belle Epoque, dove Parigi resta la capitale
della cultura europea..Lo stile simbolo di quest’epoca è l’Art Neuveau chiamata
Liberty in Italia, dal nome di Arthur Liberty che vendeva gioielli e oggetti ornati con
disegni floreali con decorazioni esotiche e floreali su oggetti fruibili da aristocratici e
alta e media borghesia, superando così i limiti dell’ideologia decadente che
considerava l’opera d’arte solo per chi eletti.
La vera innovazione arriva all’inizio del XX sec. con le opere delle avanguardie
nelle quali spesso arte, musica e letteratura si fondono. Agli inizi del 900 in Germania
e Francia si svilupparono movimenti pittorici che puntavano alla deformazione dei
soggetti, della figura umana e all’uso di colori accesi e in contrasto. L’espressionismo
tedesco del gruppo “Il Ponte” si rifà al norvegese E. Munch, grande ammiratore di
Van Gogh e Gauguin. In pittura le tendenze dell’espressionismo furono superate da
cubismo con Picasso. Molti temi de cubismo si fusero con altri movimenti
d’avanguardia come il Futurismo, che grazie all’appoggio ,non senza contrasti, del
fascismo continuò con nuove ricerche stilistiche negli anni 20/30 del 900. In Russia si
sviluppò una variante di cubofuturismo lontano dall’esperienza di Marinetti ,
futurista, e al contrario attento ai valori della Rivoluzione comunista .
Lo slogan più rappresentativo è lanciato dal poeta americano Pound: Make it new.
Opera emblematica del rinnovamento è il dipinto di Picasso “la demoiselles de
Avignon” in cui un caposaldo della tecnica pittorica tradizionale, come la prospettiva,
risulta stravolto, il soggetto viene infatti rappresentato da più angolature
contemporaneamente.
In seguito, le avanguardie attaccheranno l’arte stessa in quanto istituzione, l’opera
d’arte diventa la vita comune, la quotidianietà, grigia e monotona. Si promuovono a
rango d’opera d’arte oggetti comuni, il bicchiere, la ciotola, con chiaro intento
provocatorio e dissacratori volto al pubblico borghese che le avanguardie vogliono
colpire per generare un effetto di straniamento ed indurlo a riflettere.
Nel 1917 Duchamp, del movimento Dadista, espone come scultura un orinatoio
capovolto intitolandola “La fontana”è il culmine della dissacrazione e della
provocazione.
Le avanguardie contestano l’intero sistema del mercato culturale accusato di aver
trasformato l’arte in merce che lusinga la pigrizia intellettuale del pubblico e blocca
l’artista in stereotipi
L’opra d’arte rifiuta il concetto del successo facile ed immediato, per cui l’arte deve
abbandonare i canoni tradizionale per divenire difficile, quasi illeggibile, deve
provocare , sconvolgere , stravolgere. Rivoluzione, rinnovamento dalla base della
tradizione letteraria.
Le avanguardie saranno a favore dell’intervento in guerra dell’Italia perché vedono in
essa(soprattutto i Futuristi) l’unico modo per ottenere un rinnovamento totale della
società.
Ricordiamo che queste tendenze eversive si collocano in un’epoca turbolenta: vari
movimenti politici e sociali che preparano la 1° guerra mondiale e la Rivoluzione
sovietica , poi i totalitarismi del dopoguerra
Le principali avanguardie
L’ESPRESSIONISMO
FUTURISMO
NB: insieme agli scrittori futuristi operano anche i critici formalisti, che formularono
varie teorie per proporre una lettura dei testi letterari in quanto tali, indipendente dalla
biografia dell’autore o del contesto storico.
Le innovazioni formali
Il futurismo respinge l’impianto letterario logico di causa effetto, consequenziale
sostituendo all’impianto logico del pensiero l’analogia però non quella di Pascoli o
dei Simbolisti fondata sulla ricerca di significati impalpabili, spirituali, metafisici, ma
un’analogia che sappia assimilare realtà diverse tra di loro.
• L’ntento al cambiamento nella poesia futurista si esprime con la tecnica del vero
libero e delle “parole in libertà” fino ai calligrammi, il poeta disegna un oggetto
collegato al tema principale della poesia. Per esempio, se nella poesia si parla di un
castello, le lettere del testo vengono scritte e disposte in modo da formare
l'immagine di un castello.
Si definiscono scrittori vociani quegli scrittori vicina alla rivista “La voce” , sono
scrittori di prosa ma anche di poesia e durante il primo Novecento vogliono
sperimentare un nuovo linguaggio ma senza quella violenza propria dei futuristi.
adottano il poema in prosa già adottato da Rimbaud, e Baudelaire, è una fusione tra
prosa e poesia “ poème en prose,”, ed il frammento lirico o Frammentismo ossia un
componimento breve e intenso , soggettivo che guarda all’interiorità, spesso sono
brandelli di discorso non legati secondo le normali regole grammaticali e sintattiche,
espressione di pensieri folgoranti.
DADISMO
Un’arte contro l’arte
Il Dadaismo è un movimento artistico che nasce in Svizzera, a Zurigo, nel 1916 per
opera del rumeno Tzara. La situazione storica in cui il movimento ha origine è quello
della Prima Guerra Mondiale, con un gruppo di intellettuali europei che si rifugiano
in Svizzera a Zurigo per sfuggire alla guerra. Il loro esordio ufficiale viene fissato al 5
febbraio 1916, giorno in cui fu inaugurato il Cabaret Voltaire. Alcuni di loro sono
tedeschi, altri rumeni,Le serate al Cabaret Voltaire non sono molto diverse dalle
serate organizzate dai futuristi: in entrambe le avanguardie vi è l’intento di stupire
con manifestazioni inusuali e provocatorie, così da proporre un’arte nuova ed
originale, ed entrambi i danno un "manifesto" quale momento di dichiarazione di
intenti.
A differenza dei Futuristi rifiutano di sentirsi organizzati come gruppo che deve
condividere gli stessi principi, e mentre futuristi, sono favorevoli alla guerra, ne sono
del tutto contrari i dadaisti. I contenuti principali del dadaismo. Innanzitutto la parola
Dada, che identificò il movimento, non significava assolutamente nulla, e già in ciò
vi è una prima caratteristica del movimento: quella di rifiutare ogni atteggiamento
razionalistico. Il rifiuto della razionalità è ovviamente provocatorio e viene usato
come una clava per abbattere le convenzioni borghesi intorno all’arte. Pur di
rinnegare la razionalità i dadaisti non rifiutano alcun atteggiamento dissacratorio, e
tutti i mezzi sono idonei per giungere al loro fine ultimo: distruggere l’arte, provare
straniamento dando valore artistico ad oggetti di uso quotidiano per mettere in luce le
contraddizioni e le ipocrisie della società borghese. La distruzione dell’arte borghese
è assolutamente necessaria per poter ripartire con una nuova arte non più sul
piedistallo dei valori borghesi ma coincidente con la vita stessa e non separata da
essa.
Ben presto però le posizioni dei vari artisti dadaisti risultarono inconciliabili e il
movimento si esaurì sfociando nel Surrealismo.
SURREALISMO
Il Surrealismo ebbe come principale teorico il poeta André Breton, che canalizzò la
vitalità distruttiva del dadaismo. Breton fu influenzato dalla lettura de
L'interpretazione dei sogni di Freud del 1900; dopo averlo letto arrivò alla
conclusione che fosse inaccettabile il fatto che il sogno e l'inconscio avessero avuto
così poco spazio nella civiltà moderna, e pensò quindi di fondare un nuovo
movimento artistico e letterario in cui essi avessero un ruolo fondamentale. L’apporto
della psicanalisi freudiana fu fondamentale per la scoperta della “sopra-realtà” che è
oggetto delle opere artistiche del movimento
Questa tecnica era utilizzata dai surrealisti anche in ambito poetico, ovvero
aggiungendo uno per uno una parola, ignorando lo scopo finale dei singoli.
Lo spagnolo Salvator Dalì introdusse nei sui quadri aspetti onirici-ossessivi e scarti
del consumismo.
NARRATORE
TRAMA
Lineare
PERSONAGGI
INETTI a vivere, uomini incapaci di rispondere alle sfide della vita quotidiana(i
romanzi di Svevo e Pirandello) di una società industriale, di massa.
scavo della loro psicologia .
-Tipi di inetti:
malato : cioè un uomo che non per tare fisiche (come nel Naturalismo) o per
estenuazione da iper-raffinatezza(come nel Decadentismo), ma per nevrosi e disturbi
psicologici non riesce a condurre una vita normale
reietto uomo che viene evitato perché incapace di seguire le regole comuni del vivere
non per una ribellione romantico-decadente ma per pura inferiorità(come in Kafka)
l’artista, l’intellettuale che non riesce a creare la sua opera e rinvia continuamente
la conclusione per mancanza di ispirazione o motivazioni (come in Proust)
NARRATORE
Trama
è scomposta, ridotta a frammenti non riducibili alla linearità dei romanzi dell’800 il
reale è più complesso di quanto sembri. I conflitti interpersonali base di molti
romanzi dell’800 ora sono soprattutto interiori, uno dei conflitti più rappresentati è
quello padre/ figlio in cui ci sono aspetti inconsci, collegabili alla sfera freudiana
della sessualità
slaid prof:“ EVOLUZIONE DI FORMA E STILE DELL POESIA DEL 900” per
rispondere a questa domanda la prof mette a confronto : Leopardi e Sbarbaro, la
poetica del fanciullino di Pascoli, Autoritratto, Piove di Montale e la pioggia nel
pineto , e “Non chiederci la parola” di Montale
Confronto tra
“Taci anima stanca di godere” di Sbarbaro(Vociano) e “A se stesso” di Leopardi
Taci anima….
In questa lirica il poeta stabilisce una sorta di colloquio interiore con la propria
anima, invitandola al silenzio. Ormai insensibile alle gioie e ai dolori l’anima è in
preda ad una stanchezza ad una ” rassegnazione disperata “.
Muta, non esprime più alcun sentimento, né per il passato né per il presente
futuro,non esprime ira né noia L’anima è pesante come il corpo e l’uso del verbo
“giacere” all’inizio del verso n 8, indica l’accasciamento dell’uomo ridotto da essere
inerte.
Una vita simile alla morte e dice Sbarbaro, non ci sarebbe da stupirsi se le funzioni
vitali si arrestassero e venissero meno.
La tautologia segna la fine del mito simbolista delle correspondances; questi versi
testimoniano «la perdita d’aureola del poeta; ormai cosa fra le cose, l’io non gode di
uno statuto privilegiato»
Alla fine della poesia ribadisce l‘estranietà dell’uomo dal mondo, immagine che si
cristallizza nella parola”deserto”.
L’”io”del verso conclusivo introduce un altro motivo della poesia di Sbarbaro , quello
dello “sguardo” che si rivolge sul poeta stesso, parte integrante di quel deserto
Negli “occhi asciutti” del poeta c’è l’atteggiamento distaccato di chi presa coscienza
di questa condizione negativa, non si abbandona ad inutili sentimentalismi,
considerando la prosecuzione della vita un dovere, difficile ed ingrato, ma da dover
compiere.
Sbarbaro trasmette la vertigine e la sensazione di solitudine della vita urbana e ne
evidenzia gli aspetti ripetitivi e senza significato – si pensi a Montale, infatti la
prof .include in questo confronto anche la sua poesia “non chiederci la parola”.
TRE TEMI
‘Parola’ e ‘immagine’ sono da sempre due realtà in simbiosi tra loro. Le parole
descrivono, raccontano, e la loro bellezza è in ciò che lasciano immaginare,
sanno creare delle vere e proprie scenografie, sensazioni, al punto che a
volte sembra che si facciano oggetto, che si possano toccare. Quando poi
una parola è scritta è dunque un insieme di segni grafici, in questo senso è
già un’immagine. L’uso delle parole come segni illustrativi ha avuto un grosso
sviluppo nel Novecento, quando i poeti futuristi, spinti anche dall’esigenza di
creare un nuovo linguaggio che si addicesse al nuovo spirito di una società
basata sull’immagine, sulla comunicazione visiva, iniziarono a sperimentare
parole disposte in figure. Proprio durante i primi decenni del Novecento,
infatti si sviluppa la cosiddetta poesia visiva.
SLAID prof
CONCLUDENDO
Lez prof.
Il 1861, con la proclamazione del Regno d’Italia, segna il compimento (o quasi) dell’unità
d’Italia. Ma la letteratura, unita nell’Italia divisa, diviene divisa una volta raggiunta
l’unificazione nazionale.
Infatti fino al 1861, anno dell’unità d’Italia, scrittori e poeti si fanno interpreti di un
desiderio comune: liberare l’Italia dallo straniere e renderla una .
Verga, nel decennio più importante per la sua letteratura (quello compreso tra il 1880 e il
1889), sceglie di raccontare, per esempio, che cosa significhi l’Italia unita per le classi
sociali più povere della Sicilia. L’affermazione di una letteratura che, indaga e analizza le
realtà sociali, fa si che la Sicilia riprende vita attraverso le pagine di Verga , con I
Malavogoglia e di De Roberto con il romanzo I Viceré.
Ma Verga, soprattutto, scrive nel 1882 una novella come Libertà, (da Novelle Rusticane
del 1883) dedicata ai fatti avvenuti realmente a Bronte nell’estate del 1860, quando la
popolazione, pensando di anticipare degnamente l’arrivo di Garibaldi da poco sbarcato in
Sicilia, si solleva contro i ricchi e uccide tutti coloro che considera degli oppressori, finché
un generale di Garibaldi (Nino Bixio) giunge nel paese siciliano, fucila i primi quattro
rivoltosi che gli capitano sotto tiro e imprigiona tutti gli altri responsabili della rivoluzione,
che finiranno la loro vita in carcere, lontani dalla libertà sognata e coincidente, per il popolo
siciliano, con un pezzo di terra da poter possedere e coltivare.
Se Verga, con Libertà, pur non assumendo un atteggiamento ‘partigiano’ né nei confronti
dei rivoltosi, né verso Bixio e i garibaldini, sceglie comunque di raccontare – e di
immortalare – una pagina meno esaltante di quella spedizione dei Mille entrata subito, fin
dal suo svolgersi, nella sfera del ‘mito’, è un altro scrittore siciliano, Federico De Roberto,
a pubblicare nel 1894 il primo romanzo politico dell’Italia unita, I Viceré, storia della
famiglia nobiliare degli Uzeda tra il 1855 e il 1882: una famiglia capace di tenere
saldamente in mano il proprio potere, sia prima dell’arrivo di Garibaldi in Sicilia (con il titolo
di Viceré ottenuto dalla corona di Spagna), sia dopo la nascita del Regno d’Italia (quando
sarà uno Uzeda – e non un autentico liberale – a divenire deputato). De Roberto, scrive,
con I Viceré, il romanzo del mancato cambiamento, della trasformazione apparente e della
sostanziale continuità; scrive un libro di forte polemica nei confronti degli esiti del
Risorgimento, i cui alti ideali vengono demoliti sarcasticamente dalla frase pronunciata dal
duca d’Oragua, l’Uzeda divenuto parlamentare: «Ora che l’Italia è fatta, dobbiamo fare gli
affari nostri» (dissacrante rivisitazione – in chiave egoistica e familiare: una chiave, che i
fatti avrebbero rivelato assai realistica – delle parole di Massimo D’Azeglio: «Ora che
l’Italia è fatta, dobbiamo fare gli italiani»); De Roberto, con I Viceré, scrive il romanzo
dell’immobilismo, della storia come «monotona ripetizione» («La storia è una monotona
ripetizione»: è ciò che Consalvo Uzeda spiega alla vecchia zia Ferdinanda nelle pagine
finali).
Una Sicilia reale, dunque, quella fotografata con arte insuperabile da Verga, così come
anche quella descritta da De Roberto ne I Viceré: puntando l’attenzione sul mondo
nobiliare dell’isola, lo scrittore ritrae impietosamente le abitudini dell’antica classe
detentrice del potere, prima e dopo l’Unità.
Il romanzo inizia con il racconto della recita del rosario a casa del principe di Salina, dove
egli vive con la moglie e sette figli. Egli è una persona distinta, molto affascinante ma
anche decadente per certi aspetti perché riflette proprio si disfacimento della nobiltà a
seguito dello sbarco dei mille in Sicilia. Egli guarda con disprezzo ai cambiamenti che
stanno avvenendo nell’Italia risorgimentale, al contrario di suo nipote Tancredi che invece
cavalca l’onda del successo garibaldino, cercando di convincere anche lo zio a farlo e ad
immischiarsi tra le file della nuova nobiltà, ma inutilmente.
Al passato si rivolge l’opera di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che con "Il Gattopardo"
s’inserisce nel filone antirisorgimentale inaugurato da De Roberto e proseguito da
Pirandello ne "I vecchi e i giovani": egli, come si è già accennato precedentemente, rimane
ancorato all’idea di una Sicilia immutabile, inviolata dalla storia. Nulla meglio delle parole
del Principe di Salina, rivolte al piemontese che gli propone l’ingresso nel nuovo governo
italiano, può esplicare la sua idea di Sicilia e di "sicilianità": "Sono almeno venticinque
secoli che portiamo sulle spalle il peso di magnifiche ed eterogenee civiltà, tutte venute da
fuori, nessuna fatta da noi [...] Siamo molto stanchi, svuotati, spenti [...] Il sonno... un lungo
sonno: questo è ciò che i Siciliani vogliono. Ed essi odieranno sempre tutti quelli che
vorranno svegliarli, sia pure per portar loro i più meravigliosi doni [...] Da noi ogni
manifestazione, anche la più violenta, è un’aspirazione all’oblio, la nostra sensualità è
desiderio di oblio, le schioppettate e le coltellate nostre è desiderio di morte, la nostra
pigrizia, la penetrante dolcezza dei nostri sorbetti desiderio di voluttuosa immobilità, cioè,
ancora di morte. [...] Voi avete ragione in tutto, tranne quando dite "I Siciliani certo
vorranno migliorare". Non vorranno migliorare, perché si considerano perfetti. La vanità in
loro è più forte della miseria."
La Sicilia, dunque, già in questi scrittori non è solo una realtà dove antichi privilegi nobiliari
si scontrano con la miseria nera della plebe ed il desiderio eterno di rivincita delle classi
subalterne, ma diviene metafora della sorte crudele e immutabile degli uomini.
Tutti gli autori siciliani risultano inoltre accomunati da un sentimento ora d’amore, ora
d’odio, ora di nostalgia verso la propria terra natale, tanto da poter parlare di una linea
"siciliana" della letteratura italiana.
Luigi Pirandello, pubblica : I vecchi e i giovani , violento atto di accusa contro lo Stato
unitario: ancora una volta, dalla Sicilia. È Caterina Laurentano (il personaggio più positivo
del romanzo, una donna che ha sofferto per gli ideali patriottici, che ha sposato un uomo
morto nelle battaglie garibaldine, il cui figlio – Roberto – è stato la più giovane “camicia
rossa”) a farsi portavoce della profonda delusione di un intero popolo. Al figlio che
vorrebbe candidarsi alle elezioni nelle file del partito che ha governato l’Italia, dice di no,
con fermezza e vigore ed è Caterina, che sintetizza in una sentenza di condanna senza
possibili appelli, ciò che è avvenuto in Italia tra il 1861 e il 1891: «Trenta e più anni di
malgoverno!».
Il 1894 è l’anno in cui Pirandello immagina di concludere le vicende narrate. Vicende che
raccontano di una capitale d’Italia imbrattata da una pioggia di fango (nel 1894, vale la
pena ricordarlo, esplode lo scandalo della Banca di Roma, con gli illeciti rapporti tra potere
politico e potere economico) e di uno Stato unitario che manda in Sicilia l’esercito per
reprimere nel sangue i moti dei “Fasci siciliani”. È anzi proprio durante uno scontro tra
esercito italiano e tumultuante popolazione siciliana che Mauro Mortara (personaggio che,
ne I vecchi e i giovani, incarna la fedeltà agli ideali garibaldini) rimane ucciso, nell’estremo
tentativo di fermate la violenza di quello Stato che anche lui, come molti altri siciliani, ha
contributo a far nascere, combattendo con il Generale in camicia rossa.
Ma non si conclude qui la storia letteraria dell’Italia unita vista da Sud. l Quarantotto come
Il Gattopardo è un racconto dedicato, ancora una volta, allo sbarco di Garibaldi in Sicilia e
ad un mancato cambiamento. Quando Sciascia racconta del barone Garziano che supera
indenne i moti del 1848 (come mastro don Gesualdo nel romanzo verghiano, capace di
«tenersi a galla» anche nelle tempeste politiche del ’21 e, appunto, del ’48) e lo descrive,
nel 1860, con la coccarda tricolore e pronto a stringere la mano a Garibaldi, narra la storia
di una terra senza rivoluzioni. Come scrive anche nel suo libro d’esordio, Storia di
Regalpetra al passaggio di Garibaldi senza che questo porti con sé le attese
trasformazioni sociali (Sciascia adopera un’immagine per raccontare questa realtà
sostanzialmente immobile: quella dell’organista che è cambiato ma che suona sempre la
stessa musica).
È così il Sud che produce i romanzi di opposizione al nuovo Stato italiano che ha
tradito le aspettative. Ed è il Sud che, anche dopo Sciascia e Tomasi di Lampedusa, ha
continuato a riprendere – in forme e con esiti diversi – questo stesso tema, argomento
anticanonico (finché era trattato da Verga, da De Roberto, anche da Pirandello) che ha
finito per farsi canone.
Il ritorno alla Sicilia inteso come ritorno alle proprie radici, ma anche come viaggio dentro
se stessi e dentro le leggi eterne del mondo è il tema centrale anche del romanzo di Elio
Vittorini "Conversazione in Sicilia". L’autore stesso avvisa in una nota finale al testo che "il
protagonista non è autobiografico e la Sicilia è solo per avventura Sicilia": ciò significa che
egli va oltre la realtà, pur descrivendola; i personaggi della sua terra diventano simbolo di
una qualità o di un’idea, così come la Sicilia rappresenta metaforicamente il mondo.
Così fa Vittorini nel libro sebbene il messaggio rivoluzionario sia nascosto dietro un
linguaggio estremamente letterario, ispirato ai silenzi e alle ombre di una Sicilia insolita,
invernale e montagnosa. Vittorini, siciliano emigrato al nord, racconta la propria terra, di
cui riscopre le terribili condizioni di vita, e la trasforma in una metafora del mondo intero
e dell’esistenza collettiva.
La storia inizia quando Silvestro riceve una lettera da parte del padre, che lo informa di
aver lasciato la casa coniugale per vivere con un’altra donna. Questo evento scuote il
protagonista nel profondo, facendolo uscire da quell’inettitudine che si era creato e
spingendolo a tornare a casa dalla madre, in occasione dell’onomastico di lei.Il romanzo
segue così il viaggio che Silvestro compie dal Nord fino alla Sicilia, durante il quale egli
incontra una serie di personaggi molto particolari: il Gran Lombardo, un siciliano molto
forte che gli ricorda quanto sia importante impegnarsi attivamente per gli altri; due poliziotti
Senza Baffi e Con Baffi che disprezzano i passeggeri siciliani; un ragazzo malato e un
catanese.Quando il protagonista incontra finalmente la madre, inizia la rievocazione di tutti
i ricordi della sua infanzia e soprattutto degli affetti familiari.Nella terza parte del romanzo
“Conversazione in Sicilia“, Silvestro accompagna la madre, che è infermiera, a far visita a
tutti i malati dell’ospedale. Essi si trovano in una situazione di grande povertà e ricordano
al protagonista quanto il mondo sia “offeso” dalla miseria e dall’ingiustizia.
“La verità” è invece una novella di Luigi Pirandello scritta in lingua siciliana nel 1912,
contenuta nella raccolta Novelle per un anno.
La novella narra della vicenda di Saru Argentu, chiamato con il suo soprannome Tararà,
accusato di aver ucciso sua moglie per adulterio. Tararà è un povero garzone analfabeta
che più volte durante il processo suscita l'ironia della corte per la sua ignoranza e la sua
semplicità. Tararà è sottoposto a giudizio e alla fine confessa di aver ucciso la moglie
perché venne a sapere da un uomo che lei andava a letto con il cavalier Fiorìca. Nella sua
ingenuità di uomo semplice, Tararà spiega che non ha compiuto il delitto per il tradimento
in sé, che addirittura giustifica, bensì a causa dello scandalo voluto dalla moglie del
cavaliere che ha reso pubblico ciò che sarebbe dovuto rimanere confinato nelle mura
domestiche. Per questo, per salvaguardare l'onore suo e della famiglia, è stato costretto
ad assassinare la sua sposa con un'accetta. Inizialmente l'avvocato fa intendere a Tararà
che questo genere di cause sono benevoli per l'imputato poiché il delitto d'onore è
ammesso dal codice. Dopo la sua bizzarra e sincera confessione in aula, però, il giudice
condanna Tararà a tredici anni di reclusione
I Vicerè e I vecchi e i giovani hanno pagato la loro “inattualità”, la loro forza polemica, con
la lunga dimenticanza.
Nella letteratura del Novecento la Sicilia, dunque, diviene simbolo delle proprie radici
attraverso cui si può arrivare a comprendere se stessi, ma resta anche una realtà amata
ed odiata allo stesso tempo, oggetto d’indagine storica o attuale.
LUIGI PIRANDELLO
Subì un grave dissesto economico in seguito al quale la salute mentale della moglie
precipitò. Per lui la famiglia diventa una “trappola” che lo soffoca
Passò da una vita agiata a quella di una di piccolo borghese(come Svevo), così anche
la società è una “trappola” che soffoca, con il suo rigore , i disagi economici,
POETICA
Alla base delle opere di P. c’è una concezione vitalistica, nel senso che la realtà è un
perpetuo movimento vitale, un eterno divenire, un flusso continuo, come un magma,
tutto ciò che si stacca da questo flusso e assume “forma” individuale si irrigidisce ed
inizia a morire.
Noi siamo parte dell’eterno fluire della vita ma tendiamo a cristallizzarci in forme
individuali.
La “forma” che noi diamo alla nostra personalità è fittizia e dipende da come gli altri
ci vedono, ad es. un individuo può creare di sé l’immagine dell’onesto lavoratore
padre di famiglia, mentre gli altri lo vedono come un ambizioso senza scrupoli.
Quindi noi crediamo di essere 1 per me stesso e per gli altri ma in realtà siamo
centomila dipende da come gli altri , ognuno di loro ci vede
Ognuno di queste “forme” è una maschera che noi ci imponiamo e che ci impone
la società. Sotto la maschera non c’è nessuno di definito ma solo un fluire in costante
trasformazione, con una frantumazione dell’io.
In questo fu influenzato dalle teorie dello psicologo Binet sulle alterazioni della
personalità ed era convinto che nell’uomo coesistevano più persone ignote a se
stesso, con una critica alla tradizione filosofica dell’identità persone dell’io.
Non più l’uomo padrone del proprio destino, capace di farsi da solo , idee tipiche
della borghesia, dominatore del mondo, ma bloccato nella noiosa quotidianità.
Il reale è multiforme, polivate non esiste una prospettiva privilegiata da cui guardarla,
tutto è relativo al modo soggettivo di vedere le cose=RELATIVISMO
CONOSCITIVO. La sua è un’arte che scompone il reale , l’io si scinde , si frantuma.
Da questa Trappola non si esce e non c’è una via d’uscita storica, il pessimismo di
Pirandello è assoluta, senza alternative .
In queste forme l’uomo si dibatte inutilmente in un carcere da cui non può liberarsi :
la crudeltà che domina i rapporti sociali nascosti dalle buone maniere . La società è
un enorme pupazzata , una costruzione fittizia che lo conduce ala morte mentre
continua a vivere .
Alla base c’è in Pirandello un rifiuto delle forme della vita sociale dei ruoli che essa
impone , c’è bisogno di autenticità, per cui nelle suo opere teatrali irride queste
maschere.
Il rifiuto della vita sociale fa si che nei suoi lavori ci sia una figura ricorrente: il
forestiere della vita, che ha capito il gioco e la fasullità della società e si isola, se ne
esclude, guarda vivere gli altri dall’alto della sua consapevolezza e guarda gli uomini
imprigionati dalla trappola con un atteggiamento “umoristico” di irrisione e pietà, è
questa quella che lui definisce la “filosofia da lontano”
Da questa trappola non si fugge. La critica feroce alle istituzioni resta puramente
negativa
Ne deriva una naturale incomunicabilità tra gli uomini che ne aumenta la solitudine.
Ma ricordiamo che alla base del Decadentismo c’è una fiducia in un ordine
misterioso tra le cose, una fitta rete di corrispondenze che unisce tutta la realtà .
Per P. la realtà si sfalda in tanti frammenti, come l’io, che non hanno alcun
significato.
L’umorismo del 1908
Se vedo una vecchia signora coi capelli tinti e tutta imbellettata avverto che è il
contrario di ciò che una vecchia signora dovrebbe essere.
Il fu Mattia Pascal
Altri romanzi:
Uno nessuno e centomila • Romanzo progettato a partire dal 1909 ma ultimato solo
nel 1925.
slaid prof
P. scrive moltissime novelle soprattutto ne primi 15 anni del 900 e dopo varie
pubblicazioni le raccoglie in 24 volumi dal titolo Novelle per un anno, senza un
ordine cronologico determinato e riflette la visione di P .del mondo non ordinato o
armonico ma disgregato in una miriade di forme precarie e frantumate, intrappolate in
ruoli sociali mortificanti.
Riassunto
La cattura (L. Pirandello), una novella tragicomica, ironica, assurda… che si svolge
nell’arco di due mesi e che, tra le altre cose, si concentra, in termini secolari, su una
persona catturata per un sequestro di persona ,don Vicè Guarnotta, è un padrone che
ha perso un figlio e vive una tragica vita in trappola in un matrimonio fallito che un
giorno viene rapito, ne risulteranno tante situazioni grottesche in cui i rapitori
diventano ammiratori del sequestrato, Il Guarnotta muore durante il sequestro di
morte naturale E i tre rapitori lo piansero, lo piansero, inginocchiati tutti e tre attorno
al cadavere, e pregarono Dio per lui e anche per loro. Poi lo seppellirono dentro la
grotta, in cui lo tenevano sequestrato e in cui stava giocando con i loro figli quando
morì.In seguito i cittadini di Agrigento, ignari degli eventi, raccontano storie della
misteriosa scomparsa di povero Guarnotta! Nessuno si era preoccupato per lui
compresa la moglie.I cittadini d’Agrigento presumono che il povero Guarnotta sia
morto. Ironicamente il mistero della sua scomparsa è indagato in modo superficiale.
In vita infatti il Guarnotta arriva ad accettare il suo destino: è ridotto credere che la
sua vita nella grotta è davvero migliore della sua vita ad Agrigento.Per tutta la vita, se
a qualcuno per caso avveniva di ricordare davanti a loro( i rapitori) il Guarnotta e la
sua scomparsa misteriosa:
– Un santo! – dicevano. – Oh! Andò certo diritto in paradiso con tutte le scarpe,
quello!
Perché il purgatorio erano certi d’averglielo dato loro là, su la montagna, in quello
grotta.
Pirandello ci rappresenta due aspetti dell’umanità, legati da un comune destino di
sofferenza: Guarnotta è un possidente, lacerato dalla perdita del figlio; che ogni
giorno parte sulla sua asinella per trascorrere la giornata al suo podere, guardando il
mare e ascoltando le voci della natura, degli uccelli del bosco, evadendo da una realtà
piena di noia, che non tollera. La cattura gli prospetta una vita nuova, e, per la prima
volta, viene ascoltato con stima da tre ignoranti che gli riconoscono la fortuna di
saper leggere e di conoscere molte cose, che loro ignorano. Ma poi anche quella vita
diventa piena di noia. Rappresentano due mondi che sono distanti per quel poco di
cultura che Guarnotta possiede, non tanto per le case e le terre; i tre finiscono con
l’invidiarlo, infatti, perché sa leggere e gli portano un libro, trovato chissà dove,
perché possa trascorrere meglio le sue giornate. Forse, non sanno neppure di
compiere il crimine di sequestro di persona e portano le loro famiglie perché possano
ammirare una persona diversa, come se le portassero al cinema o in pellegrinaggio ad
un santuario. Un critico potrebbe inserire la novella nel movimento naturalistico e
vederne un diffuso richiamo leopardiano; quello che conta è la commossa
partecipazione dell’autore alla condizione di sofferenza e di miseria dei suoi
conterranei.
Leonardo Sciascia è uno dei più importanti autori italiani del Novecento. Nei
suoi libri, come "Il giorno della civetta" e "A ciascuno il suo", ha raccontato la
Sicilia e il dramma della mafia
Con i suoi brevi romanzi, spesso catalogati in modo semplicistico come “gialli”,
denuncia le infiltrazioni mafiose nella società siciliana. Infiltrazioni che ne
permeano il tessuto fino a farlo marcire, e che si manifestano non in maniera
eclatante ma sottotraccia, nei discorsi e nei comportamenti apparentemente innocui
della gente “per bene”.
Sicilia (infanzia)
La Sicilia primo-novecentesca è una terra arcaica, lontana dai clamori della guerra
e legata a ritmi diversi dal resto della penisola. Impiegato nel Consorzio Agrario e
dunque maestro, Sciascia conduce una vita lenta, che si srotola tra la Sicilia e Roma
e tra matrimonio (quello con Maria Andronico, anche lei maestra, e madre delle sue
due figlie) e lutti (per il drammatico suicidio del fratello). E nel frattempo, Sciascia,
scrive: un’attività febbrile che comprende poesia, saggistica e narrativa breve e che
viene notata dai grandi intellettuali del tempo: Pasolini, appunto, ma anche Italo
Calvino.
Tra questi, il più celebre è sicuramente Il giorno della civetta (Einaudi, 1961). Frutto
di un complesso lavoro “di lima” per rendere il testo il più corto e incisivo possibile,
si ispira al reale omicidio di un sindacalista per mano di Cosa Nostra, senza farvi
tuttavia mai riferimento diretto. Protagonista è il capitano dei carabinieri Bellodi del
Nord venuto in Sicilia per indagare sui delitti di mafia, è un fautore della giustizia.
La realtà siciliana gli appare subito molto più complessa quasi incredibile per la
connivenza tra abusi , privilegi e legalità fascista.Rapporti di tipo feudale legano
ancora i sottoposti ai padroni questi legami si ripropongono nel campo politico dato
che a Roma ci sono amici che negano che esista la mafia e pronti a muoversi al
momento opportuno per bloccare le indagini , come fanno ora con lui anche se alla
fine del libro conferma la volontà di continuare”Mi ci romperò la testa”
Simile, per messaggio e impianto, è A ciascuno il suo (Einaudi, 1966), dai toni più
marcatamente polizieschi, in cui un modesto professore di provincia indaga su un
doppio omicidio con un movente solo all’apparenza passionale, e cade nella trappola
di apparenti amici e nell’ultima battuta viene definito “cretini”.
Altro oggetto della critica di Sciascia sono i rapporti ambigui tra le gerarchie
ecclesiastiche e il mondo della politica italiana. Un “magna magna”, come
potremmo definirlo ora, che Leonardo Sciascia inscena in un’opera breve ed
estremamente incisiva: Todo modo (Einaudi, 1974), il titolo rimanda ad una frase
degli “esercizi spirituali di Loyola fondatore dei Gesuiti.. “Ambientato in un eremo,
durante un ritiro a cui partecipano diversi notabili, la trama ruota anche questa volta
attorno a un delitto, e – come in “A ciascuno il suo” – dell’indagine si occupa un
protagonista estraneo al mondo della polizia, in questo caso un pittore.
Con finali ambigui, ma estremamente aderenti alla realtà italiana, molte tra le storie
di Sciascia sembrano pensate appositamente per il cinema. Non stupisce infatti, che
esistano diverse versioni cinematografiche Il legame di Sciascia con il cinema,
insomma, è molto forte, e come tutti gli scrittori che mettono piede a Roma finisce
anche per occuparsi di sceneggiatura.
slaid prof
Quanto ai detective che lo scrittore crea in proprio, che agiscono nei suoi romanzi, è
possibile tracciarne una sintetica fenomenologia: pur non mancando qualche esempio
di investigatore dilettante, prevalgono i rappresentanti delle istituzioni, con l’idea che
in Italia non godano di fiducia e non possano arrivare ad assicurare i colpevoli alla
giustizia, non per incapacità, anzi, al contrario, perché, pur dotati di grande onestà e
rigore, di vera competenza, sono ridotti all’impotenza dai contesti in cui si trovano ad
agire.
Hanno alcuni caratteri comuni: sono uomini colti, di una cultura umanistica moderna
e critica, grandi lettori; piuttosto solitari, non sono circondati da una famiglia e
neppure sposati, quasi isolati all’interno dei gruppi sociali cui appartengono.
Si innesta uno degli elementi che valgono a convogliare nei polizieschi di Sciascia
l’istanza civile che si è visto caratterizzarli: i suoi detective rimangono estranei al
gruppo di appartenenza per i valori morali cui si attengono, non condivisi da quanti li
circondano. Non c’è contatto tra loro e il mondo in cui agiscono, soprattutto non c’è
comprensione.
Per Sciascia il poliziesco si configura come il mezzo per suscitare la riflessione su un
sistema politico e sociale degradato, per condurre un’indagine filosofica il cui scopo è
quello di arrivare alla verità, di penetrare in profondità nell’animo umano.
slaid prof
Da queste premesse deriva l’originalità del suo ricorso al «giallo», che gli consente di
attingere, negli anni Sessanta, a una nuova forma di romanzo realista, un romanzo
d’inchiesta, che lascia spazio alla denuncia e alla riflessione morale; ed è un’inchiesta
che, per quanto animata da una forte esigenza di tipo razionale, non è destinata a
concludersi con la punizione del colpevole, pure individuato intelligentemente dai
suoi investigatori. Come ha indicato Sciascia stesso, nell’intervista a Padovani del
1979, il «“discorso” del romanzo poliziesco ,tende alla verità dei fatti e alla
denuncia del colpevole, anche se non sempre il colpevole si riesce a trovarlo. Si
potrebbe dire che ho introdotto il dramma pirandelliano nel romanzo poliziesco!».
slaid prof...il capitano Bellodi, ( de “il giorno della civetta”)la cui estraneità dal
contesto è marcata anche per la sua provenienza dal settentrione, per il suo passato di
impegno democratico, ha un compito molto più difficile dei suoi colleghi di carta,
non deve risolvere un enigma, sconfiggere un antagonista, ma lottare contro un
costume, un fatto sociale, l’omertà.
Il detective sciasciano è solo nella sua battaglia contro una rete sociale di delinquenti:
refrattario alla corruzione, è spinto da ideali etici, dal bisogno di trovare la verità e di
assicurare la giustizia; tutto ciò lo destina necessariamente alla sconfitta, al
fallimento. Alla fine, il lettore si trova di fronte a una doppia negatività, con
l’inversione da un lato dell’esito della lotta tra eroe e antagonista che, nel poliziesco,
tradizionalmente vede il primo vittorioso, e dall’altro, con il rovesciamento dell’esito
dell’indagine in rapporto all’affermarsi della giustizia. È quanto avviene anche con
Laurana in A ciascuno il suo (1966), in modo più articolato con Rogas nel
Contesto (1971), con il pittore in Todo modo (1974) e infine con i protagonisti di
Una storia semplice (1989).
Infatti, per Sciascia il poliziesco( genere a cui dedica molti racconti) si configura
come il mezzo per suscitare la riflessione su un sistema politico e sociale degradato,
per condurre un’indagine filosofica il cui scopo è quello di arrivare alla verità, di
penetrare in profondità nell’animo umano.
“Il lungo viaggio” è un racconto che Leonardo Sciascia inserì nella raccolta “Il
mare colore del vino”, opera che raccoglie testi pubblicati tra il 1959 e il 1972;
racconti che costituiscono una “summa”, un vero viaggio tra i temi più cari allo
scrittore: la mafia, la corruzione, gli abusi di potere..
“Era una notte che pareva fatta apposta, un’oscurità cagliata che a muoversi quasi se
ne sentiva il peso. E faceva spavento, respiro di quella belva che era il mondo, il
suono del mare: un respiro che veniva a spegnersi ai loro piedi”
Per permettersi questo viaggio da irregolari hanno dovuto vendere tutti i loro averi
per pagare i traghettatori astuti ed imbroglioni affinché li portino nel nuovo mondo,
ad un nuova vita. Sorprendentemente il viaggio dura meno di quanto si aspettavano i
clandestini siciliani: dopo undici ore si vedono in lontananza le luci delle città che
appaiono ai viaggiatori come stelle scese al mare. Il signor Melfa, uno dei
traghettatori, lascia il gruppo di clandestini a terra che dovranno cercarsi da soli la
stazione di Trenton, ma quando chiederanno informazioni riceveranno risposte in
italiano ed insulti perché scambiati per ubriachi. Preso atto dell’imbroglio, si rendono
conto di essere sbarcati a Santa Croce Camarina. Il silenzio avvolse il gruppo e fu
rotto da uno a cui sovvennero ricordi legati a questo luogo.
“Il lungo viaggio” trattando del problema dell’emigrazione come dura necessità
evidenzia anche il fascino che l’America esercita sulle popolazioni meridionali.
Attraverso la descrizione realistica e amara delle condizioni degli emigranti
meridionali questo racconto offre una rappresentazione meno utopica del loro sogno
irrealizzato, ma nonostante la beffarda truffa, il finale fa spazio a un sorriso per la
situazione comica in cui vengono a trovarsi gli sventurati protagonisti.
L’impegno civile delle opere di Sciascia trova ancora una volta espressione in forme
di scrittura originali realizzate sempre con prosa chiara e basata su una concretezza
che poco concede al sentimento favorendo invece il momento dell’analisi oggettiva e
della denuncia. Il senso di miseria, precarietà e abbandono dei siciliani appare
evidente fin dall’inizio (“respiro di belva che era il mondo”); essi, in un viaggio della
speranza, sono umiliati e sminuiti della loro stessa considerazione personale.
Esaminando le condizioni della realtà siciliana, Sciascia, con la sua opera sempre
legata alla realtà contemporanea e basata sull’impegno civile, rappresenta il nodo
delle contraddizioni politiche e sociali dell’Italia contemporanea nel suo complesso.
Il racconto “Il lungo viaggio” propone un aspetto della drammatica realtà siciliana del
dopoguerra quando molti scelsero di emigrare per fuggire alla miseria inflitta dalla
Seconda guerra mondiale
La Sicilia di Sciascia è soprattutto terra di mafia, immutabile così come lo era per
Verga, per De Roberto, per Tomasi, eppure perennemente in lotta per affermare il
proprio Illuminismo: "Tutti i miei libri" - confessa lo scrittore - "in effetti ne fanno
uno. Un libro sulla Sicilia che tocca i punti dolenti del passato e del presente e che
viene ad articolarsi come la storia di una continua sconfitta della
ragione”,continuando l’eterna indagine su una Sicilia specchio del mondo e del
destino, immutabile isola dalle mille sfaccettature, a cui Sciascia si rivolgeva dicendo
"né con te né senza di te posso vivere”.
L’esperienza scolastica di Sciascia risale agli anni 40 ma come si vede dagli anni di
edizione dei due testi , “cronache scolastiche” è di molti anni dopo questa esperienza
, quando vengono ritrovati negli archivi della scuola i registri del maestro Sciascia, in
cui invece di annotare piccole cose come prevedeva la burocrazia, lui riversa,
pensieri, propositi, sensazioni, eventi successi a scuola, il suo stato d’animo, Infatti
come dice il nome, sono proprio una cronaca quotidiano di ciò che accadeva in
classe, un registro vero e proprio che sciascia fa pubblicare a sue spese nel 55. Su
questo nucleo tematico centrale, Sciascia aggiunge altre sue considerazioni sulla
situazione siciliana ed ecco che prende forma “Le Parrocchie di Regalpetra” che esce
nel 56, l’anno dopo.
Regalpetra è una realtà la cui economia si basa sull'estrazione dal sottosuolo (sale,
zolfo): ciò, come dice l'autore stesso, limita la presenza della mafia, ed allo stesso
tempo la presenza di miniere fa sì che sia nutrita la schiera degli arricchiti e sottile
quella dei ‘galantuomini'. L'autore prende le mosse del racconto con una breve storia
del paese a partire dal 1622, simile a tante altre storie di paesi siciliani: il suo
denominatore comune è la sopraffazione del popolo ai soprusi dei proprietari
terrieri.La narrazione storica si sofferma particolarmente sul periodo del regime
fascista .Vengono descritte le manovre politiche, le campagne elettorali di missini,
comunisti, democristiani, liberali e così via; spezzoni del libro sono dedicati alle
riunioni del circolo dei “galantuomini", di cui Sciascia maestro fa parte, la nobiltà
terriera che decade, mentre cresce la borghesia dei nuovi arricchiti
L’istruzione, sarebbe, quindi, uno dei pochi modi per provare a cambiare la
situazione: ma se la popolazione non nutre grande fiducia nella penna, è inutile, il
lavoro del maestro è frustante, non essendoci da un lato una presenza dello stato o del
Ministero dell’istruzione, dall’altro un totale disinteresse per la scuola a cui i proletari
mandano i figli solo perché con l’Unità d’Italia, così come c’è l’obbligo della leva
militare, c’è anche l’obbligo di andare a scuola, ma molti di questi bambini usciti da
scuola vanno a lavorare , i loro genitori sono lontanissimo dal comprendere
l’importanza dell’istruzione come arma di ricatto sociale. Al centro di questa
deludente realtà sta il povero maestro , sfiduciato come confessa di essere lo steso
Sciacsia che diventa così un cattivo maestro demotivato che come dice Sciascia,
passa tra i banchi per non addormentarsi.I programmi ministeriali sono del tutto
inadeguati alla realtà del Sud e ancor di più fanno perdere ogni determinazione in
quella che viene detta la 'missione' dell’insegnante. E’ chiaro, dice Sciascia che se la
mentalità cambiasse e con essa le condizioni della scuola del Sud la scuola potrebbe
dare un contributo, ma probabilmente solo modesto, vista la realtà storica della
Sicilia. Ma, dice Sciascia” Educare e istruire è indubbiamente compito più facile in
una società non così economicamente minorata” Nel tentativo di fare qualcosa per
migliorare la situazione il maestro Sciascia riesce a convincere i genitori dei suoi
alunni a contribuire all’acquisto dei sussidiari con mille lire, che però corrispondono
a 3 giorni di lavoro, ma una volta acquistati con sgomento si accorge di quanto siano
inadeguati allo studio in una realtà come quella in cui vivono. Sciascia continua
scagliandosi con una critica amara contro la legge dell'obbligo scolastico, che è come
la leva un obbligo di uno Stato che non sa essere giusto, che impone una legge, senza
prima combattere l’ atavica miseria che ne impedisce non solo l'applicazione, ma la
stessa accettabilità da parte dei genitori. La denuncia di Sciascia è in perfetta linea
con quella di Verga: lo stato repubblicano, per i cittadini di Racalmuto, non è poi
tanto diverso da quello postunitario dei pescatori di Aci Trezza. Tutte queste cose il
maestro le annotava nel registro di classe, come ricorda anche Antonio di Gado, in
un articolo sul libro,, Il Maestro Leonardo Sciascia alla battaglia di Regalpetra,
apparso sul giornale “La Sicilia”, o come commenta Cavallaro in occasione del
ritrovamento dei registri di classe di Sciascia e ci introduce magistralmente al tema
delle “cronache scolastiche “ di Sciascia e a quel rapporto fra maestro-scrittore e
maestro-personaggio che si cercherà di indagare.
Nell'indagine della sua Sicilia,, egli “oscilla costantemente tra due poli, l’invenzione
narrativa e la riflessione critica, perché ritiene che la letteratura abbia valore nella
misura in cui conosce e razionalizza gli aspetti più caratteristici della realtà” le
Parrocchie di Regalpetra e al loro interno le Cronache scolastiche rappresentano
certamente un punto di origine di estremo interesse.
Ricordiamo che Sicilia come metafora è anche il titolo di un intervista a Padovano in cui
parlando di questo libro, Sciascia dice:Ho tentato di raccontare qualcosa della vita di un
paese che amo, e spero di aver dato il senso di quanto lontana sia questa vita dalla
libertà e dalla giustizia, cioè dalla ragione. E aggiunge:Tutti i miei libri in effetti ne
fanno uno. Un libro sulla Sicilia che tocca i punti dolenti del passato e del presente e
che viene ad articolarsi come la storia di una continua sconfitta della ragione e di
coloro che nella sconfitta furono personalmente travolti e annientati.
Rispetto a Verga di Vita dei Campi e de I Malavoglia vediamo che Verga è già
riemerso da quel mondo che narra, ne è molto lontano, e può assumerlo come
condizione eterna e immutabile; Sciascia al contrario è ai suoi inizi di scrittura, e,
come vedremo, quel mondo se lo sente ancora vicinissimo, suscita in lui un’ansia
divorante di riscatto umano. E' il mondo del maestro elementare.
una conclusione ancora più amara: ciò che si afferma, infatti, è vero solo
qui , “in un remoto paese della Sicilia”, quello che costringe un maestro a
sentirsi nei panni “dello zolfataro”.“Non nego però che in altri luoghi e in
diverse condizioni un po' di soddisfazione potrei cavarla” . A “non negare”
non è il personaggio-maestro ma l'autore, è lo Sciascia interessato alla storia
e ai destini presenti e futuri della sua terra, che si è allontanato dal suo
personaggio/maestro.
E così quel presente che si snoda per tutto l'incipit si rivela per quello che
probabilmente è davvero: il tempo del “mondo commentato” cioè quello
che commenta il maestro rispetto ai tempi del “mondo narrato” cioè quello
di Sciascia(in cui usa il passato remoto, l'imperfetto, il condizionale).
Ricordiamo che il tempo della storia è il tempo reale in cui si svolgono i fatti
narrati e può quindi essere definito come il tempo della fabula.Il tempo del
racconto, invece, è lo spazio dedicato all’interno di un testo alla narrazione
dei fatti e può essere quindi definito come il tempo dell’intreccio.
“L’uomo colto, un uomo nutrito di libri e poesia, sente di stare dalla parte dei
disgraziati, riconosce le ragioni dei padri che non mandano i figli a scuola, di
fronte a loro va in crisi nelle sue certezze e come intellettuale sente una
responsabilità, una colpa”.
L'io giudicante finisce con l'essere a tutti gli effetti quello dell’autore e non del
personaggio/maestro o dei diversi personaggi-narratori in cui si identifica.
Per parlare della Sicilia, Sciascia di volta in volta calato nei panni di un
diverso personaggio-osservatore, ad es. nella giornata trascorsa per
festeggiare il Natale narrano i ragazzi, talvolta omettendolo dalla ricostruzione
storica, altre volte inserendolo al suo interno come personaggio strumentale
alla raccolta di dati e delle informazioni.
La distanza narrativa che Sciascia pone tra sé e i fatti, sottraendosi quasi del
tutto alla loro rappresentazione , allontana la mimesis (Mimesi ha il
significato generico di "imitazione", "riproduzione"; "rappresentazione
teatrale”).fino a dilatarla oltre i confini spazio temporali (ma soprattutto
stilistici) della storia, dovuta alla necessità di prendere le distanze per
osservare e porsi nell'ottica di chi spiega e giudica la storia della sua terra,
mentre il suo personaggio-maestro, proprio per questo si rifiuta di giudicare e
punire i suoi allievi che sa incolpevoli.
Quella raccontata è una scuola che non risponde in alcun modo ai bisogni
reali dei suoi destinatari, che a Racalmuto sono bisogni materiali, come la
mensa, di cui si descrive il rancio disgustoso, e nemmeno destinato a tutti. Il
tono è da denuncia, e pesante. L’accusa del letterato Sciascia, che cercava di
redimere la realtà con la propria opera, nasce dalla consapevolezza che in
certi luoghi la realtà è irredimibile. E l’idea della letteratura come“colpo di
penna che si fa colpo di spada” per imporre una forma diversa alla vita, si
traduce in inquietudine.
Sciascia lascia la scuola nell’autunno del 1957 per andare a Roma dove
viene distaccato al Ministero della Pubblica Istruzione. Da quel momento non
insegnerà più in un’aula scolastica: ma vivere a Roma non gli piaceva; si
trasferisce a Caltanissetta. Egli, come Pier Paolo Pasolini, di cui è amico,
rappresenta in Italia il modello di intellettuale eretico. Liberi di pensare e di
agire, Pasolini e Sciascia hanno in comune il candore e nel contempo il
senso “religioso” della verità con cui approcciano la storia e le cronache
d’Italia, il racconto delle sue meschinità e magagne politiche.
Il racconto evidenzia i problemi posti dai ritmi del lavoro di fabbrica: orari lunghi e
stressanti determinano una minore possibilità di godersi l’intimità della famiglia. Si
nota come il peso del lavoro nella vita quotidiana sia diventato notevole, e il tenore di
vita rimane però ancora piuttosto basso. Riguardo ai ruoli all’interno della famiglia, si
nota come la donna acquisisca una posizione di parità dalla sua condizione di
lavoratrice, che spinge ad una nuova organizzazione della vita familiare e ad un’equa
divisione del lavoro domestico.
L’ambiente operaio delle fabbriche e l’ambiente esterno della città, delle botteghe,
della fermata del tram non è rappresentato, ma ricostruito e immaginato tramite i
pensieri dei protagonisti.
Questo racconto presenta elementi che si richiamano alla poetica neorealista, anche
se la prospettiva della narrazione è ormai molto lontana .
La vita esterna dei due sposi non è infatti rappresentata attraverso la narrazione degli
eventi che essi vivono durante la giornata ma è raccontata indirettamente tramite i
pensieri, le allusioni, le percezioni dei due protagonisti.
Olivetti nasce ad Ivrea nel 1901 Dopo la laurea in ingegneria chimica e dopo
una permanenza di sei mesi negli Stati Uniti entra nella Olivetti, fondata dal
padre, come operaio. Di quella esperienza ne farà tesoro e, più avanti,
affermerà che non sia possibile dirigere un’azienda se non si conosce la
giornata di un operaio.
La mente geniale e visionaria di uno dei più grandi uomini nati in Italia nel
novecento, che realizzò la sintesi creativa tra la cultura tecnico-scientifica e
quella umanistica, si spense il 27 febbraio 1960, improvvisamente, durante
un viaggio in treno da Milano a Losanna.
Con Olivetti, Paolo Volponi collaborò nell'azienda di Ivrea per poi passare alla
Fiat come responsabile dei rapporti tra fabbrica e città, posizione questa che
occupò per brevissimo tempo dopo l'adesione al Pci(Partito Comunista
Italiana). Volponi era un intellettuale che non ha mai rifiutato la realtà
industriale, da quel mondo proveniva e in quella realtà occupò posizioni di
rilievo, ma proprio perché ne conosceva a fondo le dinamiche si impegnò per
tutta la vita per una autentica riforma dei rapporti di lavoro individuando
nell'industria un'importante realtà che aveva il dovere di non essere solo al
servizio dell'interesse privato. Era un riformatore che aveva intuito prima degli
altri che l'industria, se viene lasciata libera di scorrazzare, non si interesserà
mai del bene comune e penserà solo al proprio profitto.
MEMORIALE
"Così tutto diventava più pesante e anche la macchina era un peso che
dovevo portare. I pezzi da fresare poi, tutt'insieme nella cassetta, davano
subito un senso di spavento e dopo di fastidio. Quanti erano: ognuno uguale
all'altro, irriconoscibili; quale sarebbe stato il primo e quale l'ultimo perché?
Quante volte avrei dovuto fare avanti ed indietro, innestarli, avviare il motore,
chinarmi, soffiare, rimetterli a posto?".
Quelle di Saluggia sono le domande che si fanno molti operai che vanno
avanti per tutta la giornata tra pezzi da fare e catena di montaggio; Volponi
pone quindi il problema del lavoro che sfugge al controllo dell'uomo, il lavoro
non diventa più un mezzo di realizzazione ma serve solo per avere una
paga.
La descrizione dei gesti, delle smorfie, delle labbra strette, dei muscoli tirati è
l'esatta fotografia dei comportamenti che assume l'operaio che lavora in una
fabbrica in cui egli stesso diventa un pezzo della fabbrica mentre i suoi
pensieri ossessivi corrono nella sua testa minuto dopo minuto in un circolo
vizioso che si ripete sempre eguale a se stesso ad ogni turno lavorativo.
IL PUNTO DI VISTA
Ma cosa c'entra allora la letteratura con l'industria? Ecco cosa disse Volponi
quando incontrò nel 1990 gli studenti della "Pantera": "Cosa c'entra la
letteratura con questo? C'entra secondo me moltissimo, perché se uno crede
che la letteratura sia un'attività politica, cioè di intervento, di modificazione
della realtà, di progetto, di ricerca, d'ampliamento dell'area culturale in termini
linguistici e in termini anche psicologici, allora si capisce come la letteratura
vada messa a confronto anche con l'industria e con i problemi dell'industria".
Il protagonista e l’io narrante de La vita agra è una sorta di alter ego dello
scrittore.
"ogni mattina alle sei coi treni del sonno [...]battaglioni di gente grigia, con gli
occhi gonfi, in marcia a spalla verso il tram, che li scarica dall'altro capo della
città dove sono le fabbriche".
LA DISSOCIAZIONE DELL’IO
Il contrasto tra “vita” (ciò che siamo) e “forma” (ciò che sembriamo) genera la
crisi d’identità e la dissociazione dell’Io. Costretto a vivere nella “forma”,
l’individuo, secondo la concezione pirandelliana, non è più una persona
intesa come unità intellettuale, morale e psicologica, ma è un personaggio
ridotto a maschera, che recita il ruolo impostogli dalle convenzioni sociali o
dai propri ideali. La disintegrazione fisica e spirituale dei personaggio si
riassume nella teoria della triplicità esistenziale:
1.come il personaggio vede se stesso;
2.come il personaggio è visto dagli altri;
3.come il personaggio crede di essere visto dagli altri.
Nella società l'unico modo per evitare l'isolamento è il mantenimento della
maschera .
La sua fisionomia sociale non coincide con quella della maggior parte degli
autori italiani, la cui attività principale è quella dell’intellettuale ma corrisponde
a quella del borghese che coltiva gli interessi letterari a margine del lavoro
impiegatizio a cui è declassato dopo il fallimento dell’impresa del padre e per
varie vicende personali . In questo buio periodo, in cui lavora in banca, cerca
un ‘evasione nella lettura raggiungendo una vasta cultura ma da autodidatta.Il
lavoro da impiegato era per lui arido ed opprimente( la sua esperienza si
trova trascritta in quella di Alfonso Nitti protagonista del suo primo romanzo
“Una vita”).
Il salto di classe avviene con il matrimonio con Livia di cui si innamora e che
è molto ricca, abbandona il lavoro da impiegato ed entra nella ditta dei
suoceri.
il matrimonio segna anche una svolta fondamentale nella persona di Svevo:
l’inetto , l’insicuro poteva ora essere una solida figura di marito e padre .
Elabora una concezione pessimistica sul rapporto uomo e realtà: l’uomo non
è libero, poiché e sue scelte sono determinate da condizioni indipendenti
dalla volontà riconducibili al contesto storico ed all’assetto sociale. Lo
influenzano oltre alla psicanalisi, Shopenauer, Freud, anche il Naturalismo ed
il realismo da cui ricava la maniera impietosa di rappresentare la mentalità
piccolo borghese, i gesti ripetitivi, inutili, ossessivi in ambiente di lavoro.
Alfonso Nitti è un giovane con velleità letterarie costretto dopo la morte del ,
padre a lavorare come impiegato di banca. Egli tenta la scalata sociale,
secondo la tipica mentalità piccolo borghese, intrecciando una relazione con
la figlia del suo datore di lavoro ma perso da un’inspiegabile paura alla vigilia
del matrimonio si uccide, il suicidio è l’unica via di scampo all’odio ed al
disprezzo che lo circondano.
III° romanzo
Dunque Zeno appare fin dall’inizio un narratore inattendibile, burlato dal suo
medico: una situazione di per sé grottesca-umoristica. Ma l’umorismo è nelle
stesse vicende divise in Preambolo, la morte di mio padre, la moglie e
l’amante, storia di un’associazione commerciale, Psico-analisi, con una
successione cronologica stravolta.
Giuseppe Ungaretti nacque l'8 febbraio 1888 ad Alessandra d' Egitto da genitori
toscani. E’ una delle voci più importanti della poesia del 900.
Nel 1912 si reca a Parigi, dove frequenta gli ambienti dell' avanguardia, scrivendo
versi anche in francese e conoscendo alcuni fra i maggiori artisti e scrittori dell'epoca.
Allo scoppio del primo conflitto mondiale il poeta, fervido interventista, si arruola e
combatte sul Carso e poi sul fronte francese; è durante questa nuova tragica
esperienza che scrive le sue più celebri opere sotto forma di diario poetico, dalle quali
emerge il crudo e indescrivibile dolore provocato dalla guerra.
Sono poesie, ognuna con data e luogo come in un diario, e raccolte nei volumi “Il
porto sepolto”del 1916 e poi in” Allegria dei naufraghi” del 1919. La componente
autobiografica è intesa come “confessione” che trasfigura i singoli episodi che
asumono un valore universale.
Veglia
“Un’intera nottata buttato vicino ad un compagno massacrato con la sua bocca
digrignata volta al plenilunio con la gestione delle sue mani penetra nel mio silenzio
ho scritto lettere piene d’amore. Non sono mai stato tanto attaccato alla vita”
E’ una poesia scritta al fronte fatta da due strofe. Nella prima il discorso
poetico insiste in modo implacabile sulla crudezza della situazione
L’immagine di un paese distrutto dalla guerra, San Martino del Carso, è per il
poeta l’equivalente delle distruzioni che sono rinchiuse nel suo cuore,
causate dalla dolorosa perdita di tanti amici, conoscenti e soldati. Il poeta
trova nelle immagini del paese di San Martino una corrispondenza con
quanto egli prova nei confronti dell’uomo, disumanizzato dalla guerra. La
lirica, essenziale e commovente è tutta costruita su di rispondenze e di
contrapposizioni sentimentali, ma anche verbali: di San Martino resta qualche
brandello di muro,(Il termine brandello si riferisce normalmente alla carne e
non al muro, qui deve accentuare la similitudine tra il paese distrutto e l’anima
distrutta del poeta), dei morti cari allo scrittore non resta nulla; Ma nel suo
cuore nessuna croce manca, sarà il ricordo , la memoria dei soprvvisuti, a
mantenere in vita i caduti.
Non gridate più è una lirica di Giuseppe Ungaretti contenuta nella sezione
“I ricordi” della raccolta "Il dolore."
Motivo dominante il dolore che da individuale, per la morte del figlio e del
fratello, si apre verso gli altri on un passaggio dal registro personale al
registro della storia.
La forza degli imperativi di cui è piena la poesia, non è quella del comando
ma quello di una preghiera che invita gli uomini salvare la loro stesa umanità,
riscoprendo la solidarietà e la pietà.
Bisogna superare gli odi e le divisioni di parte che anche nel dopoguerra
insanguinano la vita politica e civile italiana affinché il sacrificio dei caduti non sia
inutile.
ad esso si contrappone la muta presenza dei morti, come un ultimo messaggio di chi
può ancora testimoniare in favore della dignità dell’uomo.
Come Ungaretti, Clemente Rebora è soldato sul Carso nel 1915. La sua
esperienza durerà poco, perché sarà presto riformato in seguito ad
un’esplosione ravvicinata. Nella poesia «Viatico» Rebora racconta forse la
vicenda più tragica che sia mai stata descritta riguardo alla Grande Guerra:
un soldato ferito è rimasto senza gambe, nella terra di nessuno. Tre soldati
corrono in suo soccorso per portarlo in salvo e muoiono sotto il fuoco nemico.
Ora il soldato non potrà che morire, lontano dall’abbraccio fraterno, in silenzio
per evitare che altri diano la vita per lui. Il poeta scrive:
In una lettera del 1925 in relazione ai suoi versi di guerra Rebora rivela che
«quel tempo fu» per lui «un soccombere sotto la croce E da allora cominciò»
la sua conversione. La conversione vera e propria al cattolicesimo avviene
nel 1929, fatto curioso perché in quello stesso periodo matura anche la
conversione di Giuseppe Ungaretti. Ricevuta la prima comunione e poi la
cresima, nel 1931 Rebora diventa novizio e nel 1936 è nominato sacerdote.
Per gli ermetici “la poesia è vita”, intesa come la realtà più intima e raccolta
dell’uomo, lontana da pose esteriori(d’Annunzio), la letteratura è la strada più
completa per conoscere noi stessi.La letteratura si identifica cn l’io più
profondo dell’uomo. La poesia vive del rapporto esclusivo dell’individuo con
se stesso al di fuori di qualsiasi legame e della collettività. La poesia ermetica
è una poesia pura sottratta a qualsiasi condizionamenti e d’elitè, individuale,
in cui la parola esprime l’inesprimibile(come diceva Ungaretti)
-È una poesia, questa, di forte impegno civile, dal punto di vista stilistico, il
verso si allunga e diventa più lineare, discorsivo e narrativo, i temi si
ampliano e il tono di denuncia, segue un messaggio più facilmente
accessibile e comunicativo rispetto alla fase dell’ermetismo ormai
abbandonato .
-L’io lirico diventa un noi , dimensione corale e non privata, come invece
vediamo nelle poesie di Q. precedentemente.
-Sono evocate le tragiche immagini della guerra, il canto del poeta è muto (“e
come potevamo noi cantare “..) lamento, impotente di fronte al dolore.
-E’ dunque una riflessione sulla poesia: davanti alla catastrofe della guerra i
poeti appendono le cetre( “alle fronde dei salici, per voto, anche le nostre
cetre erano appese”) , i poeti smettono di cantare (a differenza di Ungaretti)
davanti alle atrocità della guerra.
-Dice Q. (il piede straniero era sul nostro cuore, come potevamo cantare)non
fa riferimenti espliciti al fascismo.
Cecco Angioletti
Con una forte anticlimax,, è una figura retorica che consiste in un elenco di
termini o locuzioni con susseguirsi intensità negativa, si parte dalla menzione
dei quattro elementi da cui ha avuto tradizionalmente origine il cosmo (fuoco,
acqua, vento, Dio), per passare alle due potenze che reggono il mondo
medievale (papa e imperatore), fino ad arrivare alla famiglia del poeta (padre
e madre), per concludere, poi, con la menzione del poeta stesso al verso 12
(s’i’ fosse Cecco, com’i’ sono e fui..). Il tono parodico è inoltre palesato
dall’evidente abbassamento del tono nell’ultima terzina, burlesca e divertita:
mentre prima prevalgono gli eccessi e le immagini iperboliche, ora il poeta si
presenta qual è veramente ed espone bonariamente la sua filosofia di vita,
basata sul conseguimento immediato di un godimento tutto terreno: se non
può essere né fuoco, né vento, né papa, né morte e vita, allora vorrebbe
almeno prendere per sé le donne più affascinanti e lasciare agli altri quelle
brutte e poco desiderabili.
d’Annunzio
Ungaretti
La madre
La lirica, datata 1930, appartiene alla raccolta Sentimento del tempo. Essa
segna l’abbandono del tema della guerra e un ritorno a meditazioni
esistenziali di carattere più generale con un recupero del verso tradizionale,
di una sintassi più complessa e della punteggiatura, abbandonata nella
raccolta “Allegria dei naufraghi”.
Nel 1950 Pasolini e sua madre si trasferiscono a Roma. Per lui fu durissimo
trovare lavoro, la madre iniziò a fare la domestica, per aiutarlo. Arriva
secondo, a un concorso di poesia dialettale, nella cui giuria era presente
Eduardo De Filippo. Le amicizie pian piano si allargarono e arrivò anche lo
stipendio fisso: ventisettemila lire al mese, per l’insegnamento presso un
istituto privato di Ciampino. Pasolini potè così cambiare casa e fu in grado di
mantenere anche la mamma che, infatti, smise di andare a servizio. In
seguito arrivò il successo letterario, il cinema. Quando girò nel 1964 Il
Vangelo secondo Matteo fece interpretare alla mamma il ruolo di Maria.
Scrive Enzo Siciliano: “Questa scelta fu un gesto dichiarativo d’amore per lei,
ma segna anche l’esplicarsi di un cristianesimo arcaico, quasi inattingibile
dalla ragione: interpretare la figura di Maria di Nazareth come madre ‘unica’,
identificabile soltanto nella propria madre.”
L’amore per la madre è un vincolo che lo stringe fin dall’infanzia. Pur nella
consapevolezza che si tratta di una passione morbosa ed esasperante, il
nostro autore ne avverte l’inevitabile necessità.
Ecco che la poesia non è solo l’ammissione, prima alla sua coscienza e poi a
tutto il mondo, dell’ineluttabilità di questo amore, ma è soprattutto una
supplica, un disperato appello alla donna affinché non lo lasci andare mai
completamente, perché gli rimanga accanto, lo accompagni in una primavera
eterna. Struggentemente autentici, questi versi riportano alla mente il ricordo
di un intellettuale irreversibilmente tormentato. Ci consegnano la confessione
più intima di un uomo che ha fatto della sua vita un esempio, un dipinto
originale e senza tempo.
Pasolini
Agli inizi, nei primissimi anni sessanta, all’epoca dei Beatles e dei Rolling
Stones, il linguaggio dei capelloni esprimeva soprattutto la contestazione al
mondo borghese:.
Ma col tempo la moda dei capelli lunghi si è estesa ed ora, negli anni
Settanta, i capelli lunghi «dicono, le “cose” della televisione e delle reclames
dei prodotti, dove è ormai assolutamente inconcepibile prevedere un giovane
che non abbia i capelli lunghi».
Gatto
A mio padre
Sbarbaro
E’ un atto d’amore nei riguardi del padre a cui il figlio poeta dedica versi
intensi ed accorati. Da questa lirica di memoria emerge l’immagine di un
uomo ricco di umanità e sensibilità che potrebbe essere amato anche al di là
del fatto di essere il padre. Gli episodi dell’infanzia che raccontano, con
nostalgia e rimpianto, di quest’uomo dalle qualità umane di sensibilità e
gentilezza, sono ricchi di suggestione ma non scadono mai in eccessi
patetici.
In apparenza può sembrare di essere fuori dal mondo poetico usuale di
Sbarbaro, dove predomina l’aridità, l’angoscia per la condizione dell’uomo
solo. In realtà questi sentimenti rimangono sullo sfondo di questa lirica.
Salvatore Quasimodo
Al padre
Scritta in occasione dei 90 anni del padre, esalta anche la bellezza della
terra siciliana e racconta la tragedia del 28 dicembre 1908, quando Messina
fu distrutta dal terremoto e maremoto.
In questo contesto drammatico, emerge la figura del padre: “La tua pazienza /
triste, delicata, ci rubò la paura, / fu lezione di giorni uniti alla morte”. Il padre
che, al compimento dei suoi novant’anni, viene nobilitato dal figlio ponendogli
idealmente sul capo una corona regale, una mitria pontificale simbolo di
altissima dignità, insieme all’omaggio più riverente conservato nella cultura
isolana: “Baciamu li mani”.
Saba
Quello fra il padre e la madre di Saba non fu un matrimonio felice, anzi non
fu neppure un matrimonio, per così dire, o meglio da esso non ebbe origine
una famiglia, poiché il padre, abbandonò la moglie ancora prima della nascita
del figlio. Rachele, sola, con l’aiuto dei suoi parenti e in particolare di una zia,
si fece carico della crescita e dell’educazione di Umberto. Sentendo
doppiamente la responsabilità che aveva nei suoi confronti lo crebbe in clima
di austera severità, incapace di esprimere il suo affetto, che pure era
profondo e sincero, libero dalla sofferenza e dal risentimento per
l’abbandono del marito.Saba in questo componimento mette in relazione la
sua situazione personale (madre – padre) in un contesto più ampio che è
quello della sua cara e confortevole città e delle sue origini religiose.
Alla tristezza della prima situazione si oppone la bellezza di Trieste e del suo
« mercato aperto “
Caproni
Preghiera
Giorgio Caproni nasce nel 1912 a Livorno A dieci anni si trasferisce con la
famiglia a Genova, che diventerà la sua “patria” adottiva e poetica. Qui
svolge studi irregolari che lo portano, grazie anche alla sua passione per i
classici, la filosofia e la più recente poesia italiana (Ungaretti, Montale e
Sbarbaro), a conseguire nel 1935 il diploma magistrale. Nel 1939 si
trasferisce a Roma. Durante la Seconda Guerra Mondiale combatte sul fronte
occidentale, ma all’indomani dell’8 settembre si dà alla macchia per farsi
partigiano in Valtrebbia, sull’Appennino Ligure. Dopo la guerra continua a
vivere nella capitale, dove fa il maestro elementare. Con la propria famiglia,
composta dalla moglie Rina e da due figli, vive in ristrettezze economiche,
ben poco alleviate dalla collaborazione a diverse riviste (in particolare «La
Nazione», dove prende il posto di Giuseppe De Robertis come critico
letterario) e dall’eccellente lavoro di traduttore, specialmente dal francese
Muore a Roma nel 1990, dopo aver raggiunto un meritato riconoscimento
pubblico, in Italia come all’estero.La poesia di Giorgio Caproni si caratterizza
per l’immediata comunicatività e per la tipica musicalità che sa unire ironia e
malinconia; caratteri questi che ricollegano Caproni allo stile di un poeta a lui
caro come Umberto Saba e che lo distinguono nettamente nel panorama
italiano degli anni Venti e Trenta, dove prevalgono gli Ermetici, e anche in
quello degli anni Sessanta e Settanta, dominati dalla poesia difficile e
“decostruita” della neoavanguardia del Gruppo 63. Il carattere anti-
intellettualistico proprio di Caproni e dei suoi versi poggia sulla ferma
convinzione che solo facendosi comprendere la parola poetica possa
trasformarsi in vero strumento di azione e di conoscenza, caricandosi delle
tensioni e delle contraddizioni del suo tempo
La breve poesia è tratta dalla raccolta Il seme del piangere del 1959, dedicata
alla madre Anna Picchi, morta qualche tempo prima. L’autore, ispirandosi ad
una ballata del Trecento, immagina che la sua anima personificata vada alla
ricerca della madre, Anna Picchi, da poco morta.
La poesia si presenta come una sorta di biografia immaginaria in cui il poeta
rievoca la madre ancora giovinetta, quando egli non era ancora nato,
servendosi di racconti e fotografie di famiglia. Il poeta prega la sua anima di
recarsi a Livorno, e di cercarla , e sapere se, per caso, “è ancora viva tra i
vivi”.
L’anima forse riuscirà dove lui ha fallito poiché meglio ricorda la descrizione e
i particolari dell’abbigliamento della donna. Il linguaggio della poesia sembra
solo apparentemente semplice ed ingenuo, ma in realtà è denso di una
raffinatezze metriche e timbriche. La sintassi si presenta molto articolata e
ricca di inversioni. Il ritmo risulta movimentato e vario; sapiente è il gioco delle
rime baciate ed alternate (in alcuni versi sostituite da assonanze) che
conferiscono al testo una musicalità lieve; infine sono presenti raffinati effetti
fonici e frequenti allitterazioni, cioè ripetizioni di suoni in parole vicine.
La figura retorica che lega molti versi della poesia è l’enjambement, cioè
l’eliminazione della pausa alla fine di un verso, la cui ultima parola è in stretto
legame sintattico con la prima del successivo, in modo da conferire alla lirica
una cadenza pacata, ma dinamica e colloquiale. La figura della madre viene
espressa dal figlio poeta attraverso “la camicetta”, “il rubino / di sangue”, il
“serpentino d’oro”, il “petto” anelante.
Mario Luzi
Mario Luzi occupa un posto particolare nella famiglia dei cosiddetti ermetici e, si può
dire che costituisca il culmine dell'ermetismo fiorentino.
In questa poesia Luzi esprime Le emozioni sofferte per la morte della madre (1959)
Mia madre, mia eterna margherita/ che piangi e mi sorridi/ viva ora più di prima,/ …/
è un altro il segno/ a cui dovrò tenere fronte, segno/che ferisce, passa da parte a parte
La poesia è scritta nel 1965 (fa parte della raccolta“Dal fondo delle campagne”),qui
l’immagine familiare della madre rappresenta per Luzi il punto fisso di speranza e di
paragone a cui il poeta può rivolgersi, quando l’angoscia del passare del tempo è
vinta dalla certezza di una eternità. Si tratta di un’eternità dove il cammino verso la
verità è guidato dal contatto spirituale con i propri morti.
Figura centrale nella sua esistenza e nella produzione poetica, è la madre, che gli è
stata altresì ispiratrice del senso religioso della vita
La realtà umile e povera della campagna materna viene affrontata con autentica
volontà di identificazione, non solo per i valori religiosi, ma anche per le qualità
umane che essa preserva
“Profezia” conosciuta come “Alì dagli occhi azzurri” è una poesia di Pier
Paolo Pasolini considerata una dei componimenti poetici e profetici tra i più
importanti del nostro tempo.
Alì dagli Occhi Azzurri, uno dei tanti figli di figli, scenderà da Algeri, su navi a vela e a remi.
Saranno con lui migliaia di uomini coi corpicini e gli occhi di poveri cani dei padri sulle barche
varate nei Regni della Fame. Porteranno con sé i bambini, e il pane e il formaggio nelle carte gialle
del Lunedì di Pasqua. Porteranno le nonne e gli asini, sulle triremi rubate ai porti coloniali.
Sbarcheranno a Crotone o a Palmi, a milioni, vestiti di stracci asiatici, e di camicie americane.
Subito i Calabresi diranno, come da malandrini a malandrini: “Ecco i vecchi fratelli, coi figli e il
pane e formaggio!” Da Crotone o Palmi saliranno a Napoli, e da lì a Barcellona, a Salonicco e a
Marsiglia, nelle Città della Malavita.
Saranno con lui migliaia di uomini coi corpicini e gli occhi di poveri cani dei padri,
TESTO 3
Alì dagli Occhi Azzurri
uno dei tanti figli di figli,
scenderà da Algeri, su navi
a vela e a remi. Saranno
con lui migliaia di uomini
coi corpicini e gli occhi
sulle barche varate nei Regni della Fame.
a Napoli, e da lì a Barcellona,
a Salonicco e a Marsiglia,
Che differenza noti tra 2 e 3? che effetti noti? :che non compare più la
struttura a croce ed ancora una volta cambia il ritmo con cui leggiamo e sono
falsate le pause. A che serve la differenza tra pause ritmiche e pause
sintattiche? serve a capire il senso della poesia, a dare il giusto ritmo in cui si
deve leggere come intendeva l’autore, lento, veloce, incalzante.…
Alcune parole risultano in evidenza?
1 varate: partite.
2 nelle carte gialle... Pasqua: in carte simili a quelle che si usano per il picnic del Lunedì di Pasqua
(ricorrenza che è usanza festeggiare con una gita in campagna).
3 triremi... coloniali: navi (triremi) rimediate in qualche modo (rubate) nei porti di paesi che in
passato sono stati col- piti da sfruttamento coloniale da parte dei popoli occidentali.
4 vestiti... americane: vestiti con abiti malridotti e a loro – che provengono dalla città africana di
Algeri – estranei: i poveri vestiti di foggia straniera sono un altro segnale della perdita di identità
che subisce chi, per miseria, è costretto ad abbandonare la propria terra.
5 malandrini: gente di malaffare.
dunque :
IL TESTO LETTERARIO
un mittente
un messaggio
un destinatario
un contesto
un canale di comunicazione
Delle funzioni del linguaggio, fatica, emotiva ecc..le più importanti ai fini della
letteratura sono
E’ quindi chiaro che quando leggiamo un testo letterario più che la funzione
denotava, è la funzione connotativi che ci trasmette il senso di ciò che l’artista
ci vuole dire.Questo significato investe non solo la parola ma anche il ritmo, la
sintassi con cui il testo è scritto.Questo fa sì che ognuno di noi può riceverne
un’emozione diversa , personale, e fa sì che il testo sia leggibile come nuovo
in qualsiasi epoca, con interpretazioni diverse per le diverse sensibilità di
quell’epoca .
slaid prof:
Il messaggio può cambiare completamente se cambiamo le parole e quindi i
suoni della frase
Nel mezzo del cammin di nostra vita ——se sostituiamo “cammin” metafora
di tragitto, percorso, con un’altra parola che succede?
Slaid prof:
nel testo letterario le parole, i ritmi, la metrica come abbiamo visto non è mai
casuale. Ci sono delle regole più o meno rigide che gli scrittori seguono.
Slaid prof. Gli ingredienti del narrare: trama, personaggi, tempo, spazio,
narratore, punto di vista
.
la trama è un’idea che si svolge nel tempo e nello spazio attraverso le azioni
dei personaggi ,i dialoghi ..«Le storie fondamentali di ogni tempo sono due,
Cenerentola e Pollicino: Perchè? il fascino delle donne e il coraggio degli
uomini» dice Francis Scott Fitzgerald.
il testo narrativo può essere un romanzo, una favola, una fiaba, una novella o
un mito.
-La favola ha come protagonisti degli animali con delle caratteristiche umane
(per esempio dei comportamenti, il parlare) o degli esseri umani. Spesso si
conclude con un insegnamento di tipo morale.
-La fiaba di solito è più lunga della favola, è caratterizzata da colpi di scena e
da ambientazioni di fantasia. I personaggi sono anch'essi fantastici: fate,
gnomi, folletti, maghi, principi valorosi e principesse.
-La novella può avere vari tipi di generi (storico, comico, pauroso, ...) ed è più
breve di un romanzo.
-Il mito, infine, di solito è un tipo di narrazione che si riferisce alle origini del
mondo, della stirpe umana, ad una battaglia leggendaria con personaggi
eroici.
Il tempo
Lo spazio.
Il personaggio
Distinguiamo:
• narratore di primo grado, cioè è lui che comunica con il lettore ciò che
ha rielaborato la storia;
Per esempio, nei I promessi sposi, il narratore di primo grado afferma di aver
trovato un manoscritto di un anonimo, il quale è il narratore di secondo grado.
Lez. prof. (credo sia una esercitazione fatta in classe per cui non la devi
studiare)
Titolo
Autore
Genere
Personaggi
ruoli e funzioni dei personaggi; presentazione (diretta, indiretta, mista);
caratterizzazione (fisica, psicologica, sociale, ideologica)
Spazio
Tempo
Narratore
Focalizzazione
Registro linguistico
La sintassi è
prevalentemente paratattica (coordinazione) o ipotattica (subordinazione)
Lez prof.
LA COMUNICAZIONE LETTERARIA
Ogni testo letterario ci “parla”, cioè comunica con i suoi destinatari. Ciò
avviene a più livelli :
A) intra-testualità (ci parla con i temi, la forma, lo stile ,interni del testo)
Il testo ci parla anche cose che NON sono DENTRO di esso in modo
esplicito
- scegliamo un testo
- -ne definiamo il genere
- - ne analizziamo le singole componenti, ritmica, metrica, simbolica..
- lo colleghiamo ad altri testi con cui esso è in relazione pluridiscorsiva (per
una sorta di “patto di lettura” tra autore e lettore, il testo letterario richiama,
allude, cita e sta al lettore riconoscere l’intertesto)
4)interpretazione (ri-uso)
strumento principe ... unNovo vocabolario della lingua italiana secondo l’uso
di Firenze (1870)
- conferenze tenute dai maestri e maestre di Toscana nelle varie provincie per
“intrattenere”/istruire i maestri e le maestre non toscani delle scuole primarie
in letture di libri classici e moderni;
se non si fossero portati almeno gli italiani a scuola e fatti gli insegnanti.
Crocco era ritenuto un abile e temuto fuorilegge, tant’è che su di lui pendeva
una taglia di ben 20mila lire. Si guadagnò gli appellativi di “Generale dei
Briganti”, "Napoleone dei Briganti" oppure “Generalissimo".
Sul suo conto ci sono pareri contrastanti. Per alcuni resta soltanto un ladro e
un assassino, per altri un eroe popolare. Quando veniva trasferito da una
struttura carceraria all’altra, la gente accorreva numerosa per poterlo
osservare da vicino
io vi precodi mandare una cena per le stese priciloro e vi preco di ma- ndare
una somma di docatecente conta mandate vinti pocce di risorio e un pocco di
minimizzano
Traduzione
Signore don Rocco Vasalle. Io vi prego di mandare una cena per lo stesso
priciloro (porgitore della lettera?) e vi prego di mandare una somma di ducati
500 conta (ti). Mandate 20 bocce di rosolio e ubn poco di munizioni. Non
altro.
mandate queste agi (?) a - da - mo (da ora) a cria (a domani) Altrimenti (E) vi
abrugiamo (incendiamo). Fate presto.
Si fa ordine a tutti coloro del ceto basso e rialisti, che nel venire la forza costà
non si ammovessero dalle loro case, che poi dovessimoprentere qualche
equivoco.Nulla le dica.
firmato Crocco
Il brigante Michele Di Gè (1867)
Chiamato per il servizio militare nel 1863, disertò e lavorò come pastore a
Lavello. Si diede al brigantaggio agli inizi del 1866, dopo aver incontrato altri
due disertori ed entrò nella banda di Giacomo Parri e Carmine Meula. Come
brigante dimostrò di avere un'indole pietosa, poiché una volta evitò l'uccisione
di un ricco possidente che si era rifiutato di pagare la somma richiesta dalla
sua banda.
Dopo una latitanza di circa otto mesi, si costituì alle autorità l'8 dicembre
1866. Processato a Salerno nel 1869 e condannato al carcere a vita, fu
imprigionato ad Ancona, dove ebbe un furioso litigio con un altro detenuto
che lo aveva offeso, definendolo "brigante come tutti i napoletani". Uscito di
prigione nel 1893, ritornò al proprio paese natio e riprese a lavorare
onestamente. Scrisse tra il 1910 e il 1911 la sua biografia, stampata dalla
Tipografia Insabato di Melfi, con il nome Vita di Michele di Gè (1911).
Nonostante si tratti di una frase espressa un secolo e mezzo fa, non è del
tutto estranea dal contesto attuale. Basti pensare alle rivalità che sono ancora
presenti nel nostro paese tra Nord e Sud.
«Si credette insomma risolvere il problema col dire: abbiamo fatto l’Italia, ora
bisogna fare gl’Italiani, ed è questo l’ufficio delle scuole . Ma son frasi che
contengono un’assai piccola parte di vero, perché in sostanza l’Italia è
composta d’Italiani, e poco o punto può differire da essi; [...]. Le scuole
s’aprirono a migliaia, ed ora si leva già un lamento generale che grida: gli
analfabeti non diminuiscono, gli scolari non profittano punto, la scienza non si
ridesta; abbiamo le scuole e mancano i professori; la questione è sempre
questione di uomini. Sicché a fare gl’Italiani ci vogliono le scuole, ed a fare le
scuole ci vogliono gl’Italiani. Siamo dunque in un circolo vizioso?»
«Che volete che faccia dell’alfabeto colui a cui mancano l’aria e la luce, che
vive nell’umido e nel fetore, che deve tenere la moglie e le figlie nella
pubblica strada tutto il giorno? Non otterrete mai nulla. E se un giorno vi
riuscisse d’insegnare a leggere ed a scrivere a quella moltitudine, lasciandola
nelle condizioni in cui si trova, voi apparecchiereste una delle più tremende
rivoluzioni sociali
E’ una frase di Enrico uno dei protagonisti del libro che va a trovare il suo
maestro che si è ammalato per il troppo lavoro.
Dal libro cuore il capitolo si intitola “la miseria”tema centrale la fame, anche la
maestra dalla penna rossa che vive in condizioni disagiate per accudire il
vecchio padre raccoglie ciò che trova. Il maestro un giorno la vede più bianca
del solito:
«Si sentivan parlare tutti i dialetti, dal valdostano al siciliano. C’eran figliuoli di
generali, di marchesi, di duchi, di bottegai, di impiegati, di piccoli proprietari di
campagna; dei ricconi vestiti da damerini che buttavano i cavurrini dalla
finestra; dei poveracci, vestiti come operai, a cui mancava il soldo per il
sigaro; e diversissimi per grado e per cultura, poiché qualcuno aveva fatto il
corso per liceale, altri poco più che le scuole elementari; il che metteva il
povero professor di lettere nella condizione di un pastore che dovesse
mandare avanti insieme dei cavalli, delle capre e delle tartarughe...
Lettere di emigranti
oh! Quanto deve essere stato bello il giorno in cui il popolo ebreo passato il
mar Rosso cantava inni di grazia a Dio che lo aveva liberato dalla schiavitù
del faraone!
La Grande guerra
Gli uomini arruolati nell’esercito italiano tra il 1915 e il 1918 furono poco meno
di 6 milioni, circa 1/6 della popolazione dei maschi totale, più della metà dei
maschi attivi
... per essi spesso anche analfabeti, molti contadini, lo scrivere diventa parte
integrante di quella esperienza della modernità che la guerra significò
drammaticamente, ma che contribuì a rinsaldare con lo scambio linguistico e
umano il senso identitario della nazione.
L’ossessione epistolare
“ora mi ritrovo con un po’ di scorte di carta e cartoline, non c’è più quella
carestia come nei giorni passati (Francesco Ferrari da Brescia)
... molte volte si trova privi di mezzi cioè mancha perfino le carta che è la
cosa più
utile per dar nota ai suoi cari se al mondo si vive (Pietro Novaglio, Lombardia)
scusa del mio maliscrito che il zaino mi serve per tavola e dunque non posso
iscrivere bene che forse non capirai neanche tanto (Nicola Righetti,
lombardo, lettera del 29 marzo 1916: morirà il giorno dopo)
Da un “tema” di italiano
L’amicizia per me a ancora un valore perche stai in compagnia con gli amici,
esistono anche veri amici e amiche cioè che sono quelle amicizie che ti puoi
fidare l’un l’ altro e confidare ti possono anche difendere su cose molto brutte,
puoi giocare con loro e si può giocare a tante cose come ad esempio: a
calcio, pallavolo, e molte altre cose.
«Questo libro è scritto dall’interno di un mondo dove si parla una lingua che
non si scrive, che poi è la sola lingua che conosco bene»
«Bisognerebbe dirlo alla gente, fin che c’è ancora tempo, che l’italiano non è
una lingua parlata»
« Non c’è passaggio in Italia tra come impariamo a parlare e a vivere e come
poi impariamo a scrivere (...) Vorrei far splendere quella sgrammaticata
grammatica »
«Con la cultura scolastica urbana, infatti, si entrava nel mondo dello sbaglio.
In paese non c’erano sbagli seri, se non in quanto scrivere è sempre mettersi
a rischio di sbagliare, ma si trattava in generale di sbagli meccanici, di
ortografia. Qui lo sbaglio era il centro stesso del sistema »
«... il ruolo delle canzoni e canzonette era davvero speciale. L’assurdità delle
parole aveva una potenza incisiva e una forza interclassista con cui la lirica
aulica di quei tempi non può veramente competere (...) Penso sempre notte e
dì / quel visìn dall’espressiòn fatàl / che nel cuore mi colpì / sorridendo dal
giornàl. Non reciderlo forbice»
... come apparte- neva invece alla “vera” cultura .... una poesia così...
Lettura
indi prese i Gemelli, uno leggero, l’altro più grave, e nudi ambo li porse a
Larenzia mammosa, non s’accorse che in un pesava il peso dell’impero.
Ei diede al mondo l’Urbe e al cuore invitto del Guerriero insegnò come sia
bello
alimentari
dessert/ fin di pasto - menù/ lista stop/ alt - toast/ pantosto bar/ mescita sport
grafie
alcool/ àlcole - bidet/ bidè - bleu/ blu - casinò/ casino; cognac/ cògnac -
mansarde (mansarda)/ soffitta; marron / colore marrone - marron glacé/
marrone candito; seltz/ selz - wafer / vafer - walzer/ valzer toponimi
Pivka = San Pietro del Carso Adelsberg – ora Postojna – in Postumia Grotte.
e...
cognomi
Krizman in Crismani
József Violak, noto anche col nome italianizzato Giuseppe Viola (Komárom,
10 giugno 1896 – Bologna, 18 agosto 1949), è stato un calciatore e
allenatore di calcio ungherese, centromediano della Juventus negli anni '20 e
allenatore di numerose squadre italiane per il successivo ventennio.
Il suo cognome venne italianizzato per volere delle gerarchie fasciste alla
concessione della residenza e del passaporto italiano. Per molti anni si è
creduto fosse effettivamente italiano avendo tolto la k dal suo cognome.
E si modificava...
I principali fenomeni
Lettura
"Il sottoscritto essendosi recato nelle prime ore antimeridiane nei locali dello
scantinato per eseguire l'avviamento dell'impianto termico, dichiara d'essere
casualmente incorso nel ritrovamento di un quantitativo di prodotti vinicoli,
situati in posizione retrostante al recipiente adibito al contenimento del
combustibile, e di aver effettuato l'asportazione di uno dei detti articoli
nell'intento di consumarlo durante il pasto pomeridiano, non essendo a
conoscenza dell'avvenuta effrazione dell'esercizio soprastante”.
In tutta Italia ogni pezzo della macchina ha un nome e un nome solo, (fatto
nuovo rispetto alla molteplicità regionale dei linguaggi agricoli; meno nuovo
rispetto a vari lessici artigiani), ogni operazione ha il suo verbo, ogni
valutazione il suo aggettivo. Se questa è la lingua tecnologica, allora io credo,
io ho fiducia nella lingua tecnologica.
Finché l’italiano è rimasto una lingua letteraria, non professionale, nei dialetti
(quelli toscani compresi, s’intende) esisteva una ricchezza lessicale, una
capacità di nominare e descrivere i campi e le case, gli attrezzi e le
operazioni dell’agricoltura e dei mestieri che la lingua non possedeva.
La ragione della prolungata vitalità dei dialetti in Italia è stata questa. Ora
questa fase è superata da un pezzo: il mondo che abbiamo davanti, – case e
strade e macchinari e aziende e studi, e anche molta dell’agricoltura
moderna, – è venuto su con nomi non dialettali, nomi dell’italiano, o costruiti
su modelli dell’italiano, oppure d’una interlingua scientifico-tecnico-industriale,
e vengono adoperati e pensati in strutture logiche italiane o interlinguistiche.
Sarà sempre di più questa lingua operativa a decidere le sorti generali della
lingua …
Il dato fondamentale è questo: gli sviluppi dell’italiano oggi nascono dai suoi
rapporti non con i dialetti ma con le lingue straniere.
COMMENTO
L’articolo di Italo Calvino pubblicato nel 1965 sul quotidiano “Il Giorno”, in cui
parla dell’antilingua, cioè di un italiano surreale che avrebbe contagiato la
lingua italiana quotidiana, la cui sostanza è semplice e chiara. Nonostante
siano passati più di 20 anni, le parole che leggiamo sono molto attuali e ci
fanno riflettere sulla sorte non solo della lingua italiana, ma di tante altre
lingue che si confrontano ogni giorno con i forestierismi e con la tendenza
che molti settori e “intellettuali” hanno di complicare una lingua semplice.
Ai due estremi:
Tendenze contemporanee: