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LES FLEURS DU MAL - BAUDELAIRE

I fiori del male è forse la più famosa raccolta di poesie del simbolista francese Charles Baudelaire, che raccoglie più
di 100 liriche, scritte a partire dagli anni ‘40 e via via pubblicate su riviste. Nella seconda edizione del 1861 il poeta
aggiunse nuovi testi e divise l'opera in 6 sezioni:
• noia e ideale,
• quadri parigini,
• il vino,
• i fiori del male,
• la rivolta,
• la morte.

Costituiscono una specie di biografia ideale, un percorso esistenziale che va dalla consapevolezza della propria
diversità rispetto al mondo esterno, alle varie esperienze nella vita degradata della metropoli, al desiderio di fuga
nell'alcol, nei paradisi artificiali della droga, negli amori distruttivi; il poeta approda da qui nella ribellione contro Dio
e al rifiuto totale del mondo attraverso la morte.

https://www.studiarapido.it/i-fiori-del-male-riassunto-e-analisi/

I FIORI DEL MALE: IL NOME


Il titolo allude, con la parola fiori, alla bellezza che solo l'arte sa realizzare; la parola male, al degrado e alla volgarità
della società contemporanea. Nella corruzione del mondo contemporaneo solo l'arte è in grado di produrre la
bellezza. Egli intuisce che al di là delle apparenze, c'è una realtà più profonda e autentica alla quale può giungere solo
con la poesia. Per rivelare queste zone egli ricorre a un linguaggio nuovo e allusivo, capace di intravedere le misteriose
corrispondenze e analogie che legano tra loro le cose più diverse. Allora le parole perdono valore convenzionale e
vengono riscoperte nel loro significato allusivo e fonico. Diventano simboli che rimandano a un’altra realtà.

CHARLES BAUDELAIRE: BIOGRAFIA BREVE


Charles Baudelaire nacque a Parigi nel 1821. Suo padre morì quando lui aveva solo 6 anni e godette per un breve e
felicissimo periodo della tenerezza esclusiva della madre. Ma quando lei si risposò con un ufficiale in carriera, si sentì
tradito. Con la maggiore età entrò in possesso della cospicua eredità paterna, ma il patrigno, per evitare che
sperperasse tutto il denaro acquisito, lo mise sotto la tutela di un notaio, dal quale riceveva un modesto stipendio
mensile. Baudelaire cominciò allora a lavorare come giornalista e critico d'arte e di musica. Nel 1848 partecipò alla
Rivoluzione Parigina per spirito di contestazione e di rivolta. Si diede poi alla vita elegante e dispendiosa del






dandy, vivendo in un lussuoso appartamento con l'attrice mulatta Jeanne Duval. Via via, incalzato dai debiti e
dagli usurai, si immerse nella vita squallida e miserevole della metropoli e si diede all’alcol e alla droga. Al tempo
stesso, però, avvertì un fortissimo senso di colpa e bisogno di riscattarsi.
Nel 1857 pubblicò “I fiori del male”. Quest'opera venne condannata per oscenità e oltraggio alla morale e fu
parzialmente censurata. Nel 1862 pubblicò l'altra raccolta di poesie intitolata “Spleen di Parigi”. Colpito da
paralisi, morì nel 1867, assistito dalla madre.

BAUDELAIRE E IL SIMBOLISMO
Profondamente critico nei confronti della società borghese industriale, cui contrappose uno stile di vita all'insegna
della sregolatezza, Baudelaire non fu solo poeta, ma anche un grande critico e un geniale studioso di problemi
estetici. Egli contribuì all'elaborazione del concetto di poesia pura, libera da ogni preoccupazione di contenuto ed
intenti civili o morali, nella quale la suggestione delle parole e dei simboli può essere oggetto di ispirazione, aprendo
così la strada al simbolismo. Fu il primo a definire la specificità della poesia, separandola da tutti gli altri campi con i
quali fino ad allora si era confusa. È considerato l'iniziatore della poesia moderna.
Come si può ricavare dalla sua principale raccolta poetica “I fiori del male” per i quali fu processato insieme
all'editore con l'accusa di pubblicazione oscena, Baudelaire introdusse nel registro lirico il tema della grande
metropoli moderna e le forme del quotidiano, del sordido, dell'abietto e del vizioso.

Baudelaire e lo spleen

Baudelaire ha fatto entrare nella lingua francese una parola inglese “spleen”, che appartiene al lessico medico e
significa “umore nero”. La parola descrive lo stato d’animo che deriva da quest’ “umore nero”: noia,
angoscia dell’esistenza, disgusto di tutto, scoraggiamento che provoca crisi accompagnate da allucinazioni,
malinconia esasperata che accentua l’angoscia del Tempo.  
Ma per Baudelaire questo sentimento è ancora più radicale e profondo del male del secolo dei primi Romantici, e si
accompagna ad un’aspirazione all’ideale, l’esatto sentimento contrario. 
In Il mio cuore messo a nudo scrive: “Ci sono in ogni uomo, ad ogni ora, due postulazioni simultanee, una verso Dio,
l’altra verso Satana. L’invocazione a Dio, o spiritualità, è un desidero di salire di grado, quella di Satana o animalità, è
una gioia di scendere giù”. Baudelaire ha vissuto sotto il segno del paradosso: nel cuore dell’uomo è presente la
battaglia della carne contro lo spirito, dell‘inferno contro il cielo, di Satana contro Dio. 

Le poesie delle due grandi raccolte di Baudelaire, I fiori del male e il Spleen di Parigi, raccontano quest’itinerario
doloroso ed esaltante, la scoperta della Bellezza diventa la chiave di questo dilemma. La complessità della poetica di
Baudelaire è la complessità stessa dell’arte moderna, la vocazione è di rinunciare agli stereotipi e alle
semplificazioni per stabilirsi “nel cuore della realtà” (scrive Van Gogh).  

2
Biografia di Baudelaire

La vita di Charles Baudelaire è breve, vive 46 anni, riflette l’immagine del poeta maledetto, bohème
(scapigliato) e geniale.

2.1
Una giovinezza movimentata
L’infanzia di Charles Baudelaire è stata traumatizzante. Alla sua nascita nel 1821 a Parigi, suo padre ha sessanta anni,
sua madre ventisei. Il padre muore quando Charles ha sei anni, e la giovane madre vedova si risposa un anno
dopo con il comandante Aupick, un militare promesso a una gloriosa carriera. Charles odia Aupick al punto di
sollecitare gli insorti delle barricate del 1848 a fucilare il comandante. L’adolescente è mandato in collegio a Lione, in
seguito espulso per indisciplina. 
La sua vita dissipata e scapigliata preoccupa la madre e il padre adottivo che lo spingono a viaggiare. Nel 1841,
Baudelaire si imbarca per l’India ma non arriverà mai a Calcutta: durante il viaggio si annoia e sbarca nell’isola
Mauritius dove viene colpito da una forte nostalgia e decide di tornare in Francia. Questo viaggio però gli lascerà un
certo gusto per l’esotismo. 

2.2
Lusso e lavoro

Di ritorno a Parigi, Baudelaire prende possesso dell’eredità lasciata dal padre ma sperpera i suoi averi con una
velocita incredibile, cedendo al gusto per il lusso e comprando oggetti d’arte. Inizia ad indebitarsi e così sua madre
decide di assumere un tutor finanziario che solo ogni mese fornisce a Charles una piccola parte dell’eredità. 
Questa limitazione viene vissuta come un’umiliazione dal giovane uomo, diviso tra un sentimento di rivolta contro la
famiglia e il forte desiderio di vedere sua madre riconoscere il suo talento di poeta. Baudelaire diventa giornalista e
critico d’arte. Traduce anche Edgar Allan Poe (1809-1849) che scopre con passione e frequenta gli intellettuali
dell’epoca.

2.3
Lo spleen di Baudelaire e l’ideale
Nel 1848 Baudelaire, travolto da un sentimento rivoluzionario, crea un giornale, il Saluto pubblico, che viene
pubblicato solo due volte ma il colpo di Stato di Napoleone calma i suoi ardori. Baudelaire si rifugia nel dandismo, la
sua vita è caotica. Ha diverse storie sentimentali, quella con Jeanne Duval è tumultuosa.
Si dedica ai “Paradisi artificiali” (pubblicherà sotto questo nome una raccolta di poesia nel 1860): hashish, oppio e
vino. Scrive molto, nel 1857 I fiori del male è pubblicato e molte poesie sono condannate per immoralità. Una nuova
versione rimaneggiata con diverse parti cancellate esce nel 1861. Nel 1862 Baudelaire scrive Lo Spleen di Parigi.   
È sempre molto depresso e pieno di debiti. Parte per il Belgio dove viene colpito da un attacco che lo lascia
semiparalizzato e afasico. Dopo un anno di sofferenza murata nel silenzio, Baudelaire si spegne il 31 agosto 1867.  

3
Il pensiero e l’opera di Baudelaire

3.1
L’importanza dell’immaginazione in Baudelaire
Come Edgar A. Poe, Baudelaire è convinto che l’ispirazione dipenda da una meditazione lucida e non da un
istinto irrazionale.   

In parallelo alla sua attività di poeta pratica ed elabora le sue proprie teorie sull’arte, come sostenevano i romantici:
l’artista deve decifrare la natura, svelarne i significati nascosti e le armonie segrete e per farlo si lascia guidare dalla
sua immaginazione. Il pittore Delacroix, il musicista Wagner, lo scrittore Poe hanno espresso attraverso le loro
opere profonde e malinconiche, quello che l’immaginazione suggerisce all’uomo moderno: la nostalgia dell’infinito,
del sogno, di un altrove che può essere raggiunto soltanto attraverso la rappresentazione mentale.   

3.2
La malinconia e la modernità

Baudelaire ha una visione della modernità pessimista. Il mondo moderno, spietatamente dominato dalla ricerca
dell’utile, dal progresso tecnico, dai soldi, tende secondo lui a rigettare la bellezza e considerarla inutile.
Ai margini della società tuttavia, l’artista isolato e incompreso scopre delle forme singolari della bellezza dove la
malinconia è la principale componente. “Ho trovato la definizione del Bello, del mio Bello. È qualcosa d’ardente e
triste, qualcosa un po’ vago, lasciante spazio alla congettura. […] Il mistero, il rimpianto sono anch’essi caratteri del
Bello” (Fusées). Incomprensibile al borghese sazio, la bellezza moderna è marcata dalla sofferenza; il poeta e l’artista
la contemplano nello “specchio stregato” della loro immaginazione.

3.3
Il genio della poesia francese

Theophile Gautier con la sua famiglia. Poeta francese, leader del gruppo dei poeti parnassiani, che influenzò
Baudelaire — Fonte: Getty-Images

Classico nella sua predilezione per il sonetto e l’alessandrino, romantico di temperamento, sedotto dal formalismo
dei parnassiani (I Fiori del Male sono dedicati a Gautier), realista nella scelta delle situazioni e del lessico, Baudelaire
riesce a realizzare una sintesi molto personale. Alla modernità del contenuto si contrappone la forma classica.  
Baudelaire diventa così il modello degli scrittori decadenti, impregnati di paradisi artificiali e di satanismo, così
come dei poeti simbolisti, convinti dell’importanza di immaginazione e delle analogie.  

4
I Fiori del Male

4.1
Storia e cronologia delle pubblicazioni
La prima edizione di I Fiori del male del 1857 comprende un poema introduttivo intitolato Al lettore, seguito da cento
poesie divise in cinque sezioni. Lo scandalo scoppia velocemente che si concluderà con un processo per immoralità.
Baudelaire viene condannato e sarà riabilitato solo nel 1949. “Che cos’è questa regola che mira a creare dei
cospiratori anche nell’ordine tranquillo dei sognatori?” scriverà Baudelaire dopo la sentenza.
A seguito del processo, Charles a malincuore prepara una nuova edizione de I Fiori del male pubblicata nel 1861
dove ci sono 126 poesie (35 nuove composizioni e senza le poesie censurate), riorganizzate in 6 sezioni. Nell’edizione
postuma de I Fiori del male del 1868 ci saranno 25 poesie in più: quelle eliminate della prima edizione e altre
composizioni.

4.2
La provocazione in Baudelaire

Il titolo della raccolta, I Fiori del male, volontariamente provocatorio (Baudelaire aveva anche pensato a intitolarlo
“Le Lesbiche”) suggerisce che esiste un fascino per il male e che i fiori possano esistere in questo contesto, come i
fiori che crescono nella terra. Questa nascita miracolosa è l’opera del poeta. Come gli alchimisti dell’Antichità,
quest’ultimo trasforma una realtà che l’esperienza umana ha reso impura e dolorosa in una materia preziosa e
eterna: La poesia. “Mi hai dato il tuo fango e io ne ho fatto oro” scrive Baudelaire in un progetto di epilogo per la
seconda edizione. 
Per Baudelaire il male è d’altronde una nozione complessa che comprende lo sconforto, la decadenza sociale, il
vizio, la malattia fisica e il tormento metafisico di un’anima che non crede in Dio.

4.3
La struttura de I Fiori del male
Le sei sezioni, dalle dimensioni molto diverse, delineano un’elaborazione poetica a partire dai conflitti interiori del
poeta che vuole sfuggire dalla realtà oppressiva fino a concludere che l’unico viaggio possibile è quello che porta
alla morte.
Al lettore rivela la condizione tragica dell’essere umano, sottomesso al male e alla noia.
Il fatto che Baudelaire abbia dato a Les Fleurs du Mal una simile costruzione architettonica, dimostra il suo distacco
dal Romanticismo, i cui libri lirici sono semplici raccolte in cui la disposizione delle poesie ripete di fatto la casualità
dell’ispirazione. Baudelaire, infatti, appartiene a quella che è stata definita “Seconda Generazione Romantica”,
per la quale ormai non sono l’intuizione e l’ispirazione a fare una poesia; ciò che conta è la volontà dell’autore.
Baudelaire si è una volta definito “un parfait chimiste” (un perfetto chimico). Cosi come il chimico è in grado di
far reagire le sostanze, il poeta è in grado di far “reagire” le parole, di manipolare il linguaggio. È proprio a partire
da questo concetto che si può desumere l’estetica del brutto di Baudelaire.

Spleen e ideale (poemi I-XXXV) espone la situazione del poeta, diviso tra l’aspirazione alla purezza, la perfezione
dell’ideale e il peso dello “spleen”, parola inglese che definisce una forma incurabile e dolorosa di noia. Sono 42
poemi, divisi in 4 “cicli”, sono dedicati all’amore e alle sue diverse sfumature, l’amore:
• sensuale di Jeanne Duval;
• spiritualizzato di Madame Sabatier;
• tenero e consolante di Marie Daubrun;
• l’ultimo ciclo evoca figure femminili meno precise. Il ricorso all’arte o all’amore si conclude con una
sconfitta.

Quadri parigini (poemi LXXXVI-CIII), una sezione aggiunta alla seconda edizione di I fiori del male, presenta una
Parigi livida e allucinata, dove il poeta persegue le fantasie della propria immaginazione tentando di trovare
l’oblio, ma la città luogo di corruzione lo riporta alla sua solitudine.

Il vino (poemi CIV-CVIII) è un elogio ambiguo dell’esaltazione e dei sogni che nascono dall’alcool, rimedio
illusorio dei disperati e degli artisti.

Fiori del male (poemi CIX-CXVII) si concentra sulla scostumatezza e il crimine, due scappatoie allo spleen,
tanto seducenti quanto illusorie.

Rivolta (poemi CXVIII-CXX) sposta la ricerca della salvezza sotto il segno di Satana “principe degli esiliati” e
protettore degli oppressi, contro un Dio “bugiardo”.

La Morte (poemi CXXI-CXXVI) concepisce soltanto un’unica speranza al di là della realtà, è l’ultima illusione
per fuggire dal male di vivere.

Curiosità: Baudelaire scrisse una sola novella, La fanfarlo, nel 1846.






5
Lo strazio esistenziale di Baudelaire, la Bellezza e il Tempo
Nel titolo I Fiori del male il poeta pone subito il libro sotto il segno della contraddizione, un tema nel cuore della vita e
dell’opera del padre della poesia moderna: “Da bambino, ho sentito nel mio cuore due sentimenti contraddittori:
l’orrore della vita e l’estasi della vita” (Il mio cuore messo a nudo). Baudelaire vede il mondo organizzato tra due forze
opposte e complementari: l’artista è sia un genio sia un parassita, la donna a volte un angelo consolatore o un demonio
tentatore, la città attrae come respinge, la morte è la speranza suprema ma anche la sconfitta suprema.

L’ambiguità dell’universo di Baudelaire si applica anche alla nozione di bellezza, aspirazione dolorosa e rifugio
ultimo del poeta (poema Inno alla bellezza,”Spleen e Ideale”XX!). Al di là di questa visione ambivalente, Baudelaire
condivide la posizione dei parnassiani e cioè l’idea che la Bellezza eterna e l’arte che ne è il suo riflesso sono le
uniche armi contro la realtà ripugnante e il tempo.  
Il tempo, in particolare, è il vero nemico dell’uomo e si manifesta in un modo violento e crudele (Il nemico,
“Spleen e Ideale, X). È un mostro che distrugge la forza vitale. Il passato è pieno di rimorsi, il presente è
insopportabile e il futuro della poesia è minacciato. La sezione “Spleen e Ideale” finisce con la costatazione della
sconfitta del Uomo di fronte al Tempo.

6
Perché Baudelaire viene anche chiamato il poeta maledetto?
La definizione di poeta maledetto viene dall'espressione scelta da Paul Verlaine per indicare il circolo di poeti
da lui frequentati, ai quali dedica l'opera Poeti maledetti del 1884.
L'immagine gli venne da una poesia di Baudelaire, per la precisione Bénédiction tratta da I fiori del male, dove
viene descritta una donna che maledice la sorte per averle donato un figlio poeta; la condanna starebbe nella forza
anticipatrice della poesia stessa, espressa dal talento incompreso di giovani letterati e che scardina le certezze della
morale borghese incitando alla rivolta.
L'opera di Verlaine fu dedicata a poeti allora sconosciuti come Corbière, Rimbaud, Mallarmé, Villiers de L'Isle-
Adam; nel gruppo inserisce anche se stesso con uno pseudonimo: Pauvre Lelian.

Decadentismo

Il Decadentismo è un movimento letterario molto importante della seconda metà dell’Ottocento. Prima di inizare a
parlarne, però, c'è bisogno di una piccola premessa: un movimento è un modo di fare arte o letteratura che in un certo
periodo storico caratterizza le opere degli autori che appartengono a quell'epoca. Può succedere che siano gli autori
stessi a scegliere di fondare e aderire a un movimento – e in questo caso ci sono veri e propri “manifesti” e il
movimento diventa una “scuola” – oppure semplicemente accade che più autori, presi da ispirazioni o preoccupazioni
comuni, cominciano a scrivere opere dalle tematiche simili e saranno gli studiosi successivi a raggrupparli sotto il
nome di un movimento.
Andiamo ora a conoscere il Decadentismo e le sue caratteristiche.      

2
Origine e caratteristiche principali del Decadentismo

Che cosa sta succedendo agli artisti di tutta Europa a metà Ottocento? Sono insoddisfatti dal razionalismo del
Positivismo, sono un po’ nauseati dal mondo borghese, dalla società che impone regole ed etichette, diciamolo,
ipocrite, e reagiscono cercando nell’arte e nella letteratura un modo per sentirsi migliori e per scandalizzare le menti
benpensanti dei borghesi che tanto disprezzano.      
Prima di capire in che modo questi artisti procedono per infastidire la società, chiariamo l’origine e la definizione del
termine Decadentismo, sempre importante quando studiamo un movimento letterario.
Décadent è un termine francese, usato in Francia in quei tempi per definire, in senso dispregiativo, gli artisti che
vivevano in modo scandaloso, fra droghe ed altri eccessi. Successivamente, precisamente nel 1886, viene fondata una
rivista proprio da questi letterati scandalosi che, in modo provocatorio, scelgono di intitolarla «Le Décadent». Da qui

il termine Decadentismo si userà per indicare la decadenza della società che non ha più veri valori e che li sta
deludendo così tanto. Insomma, una partita agguerrita fra Società Borghese contro Artisti Ribelli.     

Dalla Francia, tanto il termine come il movimento si diffondono in tutta Europa: gli artisti del continente si
riconoscono come un gruppo unito, contro la borghesia per bene, e a tutti verrà dato l'appellativo decadenti.
In Italia, poi, questo movimento viene a coincidere con il periodo Risorgimentale e dell’Unità italiana: chi non
partecipa ai moti risorgimentali o chi non li appoggia si ritrova in qualche modo tagliato fuori dalla storia e dal
processo politico; in questo modo gli artisti trovano una forma di riscatto, un modo per avere di nuovo una voce
nell’arte.        
In che modo questi artisti che aderiscono al Decadentismo si oppongono al Positivismo, in che modo vogliono
scandalizzare a società?        
• Si parla di sogni, di incubi, di esperienze surreali, di tormenti dell’anima, si cerca di esprimere l’emozione e
non i ragionamenti (come prevedeva il Positivismo). Sono estremamente spontanei, non c’è rigore nei loro
discorsi ma solo tanto sentimento.
• L’arte diventa l’unico modo possibile per vivere la vita: tutto è una forma d’arte, e la bellezza dell’arte è un
posto in cui l’artista si nasconde per sentirsi lontano dal mondo borghese che lo opprime.
• Scelgono un linguaggio “nuovo”: non badano troppo al significato delle parole perché interessa di più il
suono delle sillabe e delle frasi; scelgono per questo di usare molto le analogie, figure retoriche di “suono”
cioè quelle che giocano appunto sulla musicalità delle parole (allitterazioni, anafore, onomatopee etc…)
• Raccontano episodi scabrosi: parlano di sesso, di droga, di esperienze omosessuali – ovviamente non sono
esperienze che fanno al solo scopo di scandalizzare, sono personaggi esuberanti, ribelli e appassionati e
mostrare la loro vita è il modo che hanno di provocare il pubblico.

Se ricordiamo per un momento il Romanticismo, possiamo notare che tutto questo ci ricollega alle idee che lo
caratterizzavano anche se portate all'estremo e colorate di una certa aggressività: il Romanticismo, infatti, prevedeva
la fuga del poeta dalla collettività e la ricerca dell’assoluto. Il Decadentismo rinasce dalle ceneri del Romanticismo e
contro il Positivismo.   
3
Decadentismo in letteratura
Il Decadentismo è un movimento vastissimo. Pian piano, come un grande fiume che si dirama in una foce a delta, dal
flusso principale partono dei piccoli fiumiciattoli più piccoli. Che significa questo? Ci sono dei “sottogruppi” nel
movimento decadentista caratterizzati da scelte più specifiche. Il Decadentismo doveva allontanarsi dalla società e
usare un linguaggio nuovo: quanti modi ci sono per farlo? Vediamo molto rapidamente, solo per capire come il
Decadentismo si modella in queste diverse correnti:   

3.1
Estetismo
Come il termine stesso sta ad indicare, questo movimento, che deriva dal Decadentismo, prevede una venerazione
per tutto ciò che è bello. Che significa questo? Tutto ciò che riguarda la forma esteriore deve essere bello, esuberante,
lussuoso, e questo riguarda ogni aspetto della vita, dal modo di vestirsi, al modo di arredare anche un salotto, ai temi
delle opere letterarie che il poeta scrive.
Troveremo in queste opere grandi amori passionali, una forte esaltazione della natura incontaminata, dei racconti
tratti da una vita aristocratica e mondana, carica di eccessi e soprattutto di disgusto verso ogni cosa banale e volgare.
L’estetismo è quindi una continua ricerca di ciò che appare bello ai sensi e che deve quindi essere lontano dalla
sobrietà borghese e dall’ignoranza delle masse incolte.
I maggiori rappresentanti dell’estetismo sono Oscar Wilde e Gabriele D’Annunzio, in Italia.        

3.2
Simbolismo

Anche questo movimento, che prende le mosse dal Decadentismo, parte dalla Francia e arriva poi fino in Italia dove
viene interpretato da Giovanni Pascoli. In Francia i primi poeti simbolisti sono quelli che vengono chiamati “Poeti
Maledetti”, cioè artisti che fanno uso di droghe, che sono omosessuali, la cui poesia è scandalosa e difficile. I versi di








questi artisti cercano di spiegare i tormenti dell’anima e dei sensi attraverso l’analogia e cercando appunto un
confronto fra le emozioni interne e la natura che è fuori. Ma non è solo questo che il poeta simbolista cerca di fare: egli
diventa come un veggente capace di scoprire i significati più profondi e intimi della vita.     
Giovanni Pascoli si inserisce in questo movimento in modo più pacato: non conduce una vita sfrenata, tutt’altro!
Dovremmo immaginarlo come un signorotto rotondetto tutto dedito agli studi, provato da una vita di lutti (i suoi
famigliari muoiono uno ad uno finché non rimane solo con sua sorella) e per questo il suo Simbolismo cerca nella
natura un simbolo dell’infanzia perduta: la figura principale della sua poesia è il nido e la sua poetica è definita “del
fanciullino”. Pascoli intende con questo il modo in cui il poeta dovrebbe guardare il mondo, come un bambino
appunto che per la prima volta si sorprende davanti alle bellezze del mondo naturale.     

3.3
Gli Scapigliati e il Crepuscolarismo

Questi due movimenti traggono spunto dagli atteggiamenti dei Poeti Maledetti, di cui abbiamo parlato sopra, ma
danno entrambi interpretazioni diverse al loro pensiero.          
Quelli che si avvicinano di più ai Maledetti sono gli Scapigliati, e questi possono essere considerati in effetti una sorta
di “maledetti” italiani. Il movimento della Scapigliatura ha il suo centro soprattutto a Milano o comunque in
Lombardia. La loro poesia parla di tutto ciò che di crudo e violento c’è nell’esistenza, e in effetti vivono anche loro al
limite della società, fra droga ed eccessi, conoscendo bene i punti più bui dell’esperienza umana. Fra i maggiori
rappresentanti della Scapigliatura dobbiamo ricordare Arrigo Boito e Carlo Dossi.         
Il Crepuscolarismo invece, prendendo dai Poeti Maledetti soprattutto le tematiche di Paul Verlaine, optano per
degli argomenti più pacati. Questi poeti cercano un posto nel mondo in cui rifugiarsi e i posti in cui trovare una pace
dell’anima sono soprattutto luoghi familiari e domestici. Troveremo, ad esempio, poesie sul focolare domestico e
attenzioni maniacali ai piccoli oggetti appartenenti alla quotidianità; insomma cercano di attaccarsi a quei piccoli
dettagli concreti dove il mondo non arriva e dove il poeta può essere solo.       

RIFLESSIONI:

La modernità di Charles Baudelaire


La modernitа di Charles Baudelaire sta nell’uso ardito della metafora. Infatti, con tempismo stupefacente, il poeta
parigino capм la societа moderna, che toglieva alla poesia il suo posto. Il poeta poteva solo chiudersi in sй,
rifiutando il linguaggio del mondo. La poesia dei Fiori del male non è un diario. Le metafore sono rivelazioni
trascendenti, che stanno al di qua del quotidiano.
La modernità di questo poeta sta poi nel sentimento della metropoli. La cittа, luogo infernale e alienante,
reticolo di malavita e prostituzione, impregna I fiori del male.
E poi nel rinnovamento della parola. La metropoli porta con sé vocaboli nuovi e «impoetici». E in piщ
l’alienazione acuta puт generare una parola espressionista e deformata.
E moderna era poi in Baudelaire la sua storia bohemien e rock. Droghe, alcol, alloggi provvisori, vita notturna.
Ma…

La rivoluzione morbida dei Fiori del male


I fiori del male hanno una struttura logica e riescono a salvaguardare la comprensibilità. E in piщ il linguaggio
metropolitano di Charles Baudelaire и eloquente, ed и incastonato in forme accertate. Insomma, Baudelaire non si
pone di lato rispetto alla tradizione, ma la porta per mano verso territori nuovi. Per questo la sua lezione и cosм
proficua.

-POESIE:

1)PRÉFACE/ AU LECTEUR

Au lecteur est issu du recueil Les Fleurs du Mal de Charles Baudelaire. Baudelaire un poète  symboliste du XIXème
siècle. Au Lecteur est le poème liminaire du recueil Les Fleurs du Mal, placé hors numérotation, il a été placé en tête
dans toutes les éditions. Il a donc une importance majeure : il présente et ouvre le recueil. Il montre l’esthétique

moderne de Baudelaire qui associe le Beau et le Mal. Au Lecteur est un portrait de la condition humaine. Ce
poème aborde des thèmes qui seront récurrents dans le recueil : la mort, le péché, la religion... Il est composé de 10
quatrains. Les deux premiers montrent la faiblesse de l’homme en proie aux péchés, sa faiblesse physique et morale.
Les 5 suivants montrent l’influence de Satan, la beauté du mal. Les 3 derniers montrent la place importante
qu’occupe le spleen, cette mélancolie.

    Le poème est composé de dix quatrains avec des vers en alexandrins. Les rimes sont embrassées et on retrouve
une alternance rimes féminine et masculines.

Quatrains 1-2 : faiblesse de l’Homme


Quatrains 3-7 : Influence de Satan, beauté du Mal
Quatrains 8-10 : Influence du Spleen

Au Lecteur

La sottise, l'erreur, le péché, la lésine,


Occupent nos esprits et travaillent nos corps,
Et nous alimentons nos aimables remords,
Comme les mendiants nourrissent leur vermine.

Nos péchés sont têtus, nos repentirs sont lâches ;


Nous nous faisons payer grassement nos aveux,
Et nous rentrons gaiement dans le chemin bourbeux,
Croyant par de vils pleurs laver toutes nos taches.

Sur l'oreiller du mal c'est Satan Trismégiste


Qui berce longuement notre esprit enchanté,
Et le riche métal de notre volonté
Est tout vaporisé par ce savant chimiste.

C'est le Diable qui tient les fils qui nous remuent !


Aux objets répugnants nous trouvons des appas ;
Chaque jour vers l'Enfer nous descendons d'un pas,
Sans horreur, à travers des ténèbres qui puent.

*Ainsi qu'un débauché pauvre qui baise et mange


Le sein martyrisé d'une antique catin,
Nous volons au passage un plaisir clandestin
Que nous pressons bien fort comme une vieille orange.*

Serré, fourmillant, comme un million d'helminthes,


Dans nos cerveaux ribote un peuple de Démons,
Et, quand nous respirons, la Mort dans nos poumons
Descend, fleuve invisible, avec de sourdes plaintes.

Si le viol, le poison, le poignard, l'incendie,


N'ont pas encor brodé de leurs plaisants dessins
Le canevas banal de nos piteux destins,
C'est que notre âme, hélas! n'est pas assez hardie.

Mais parmi les chacals, les panthères, les lices,


Les singes, les scorpions, les vautours, les serpents,

Les monstres glapissants, hurlants, grognants, rampants,


Dans la ménagerie infâme de nos vices,

II en est un plus laid, plus méchant, plus immonde !


Quoiqu'il ne pousse ni grands gestes ni grands cris,
Il ferait volontiers de la terre un débris
Et dans un bâillement avalerait le monde ;

C'est l'Ennui ! L'œil chargé d'un pleur involontaire,


II rêve d'échafauds en fumant son houka.
Tu le connais, lecteur, ce monstre délicat,
- Hypocrite lecteur, - mon semblable, - mon frère !

“Al lettore”

La stoltezza, l’errore, il peccato, l’avarizia,


occupano i nostri spiriti e tormentano i nostri corpi
e noi alimentiamo i nostri amabili rimorsi,
come i mendicanti nutrono i loro vermi.

I nostri peccati sono tenaci, i pentimenti sono fiacchi;


ci facciamo pagare lautamente le nostre confessioni,
e ritorniamo lieti sul sentiero di fango,
credendo che vili lacrime lavino ogni colpa.

Sul guanciale del male c’è Satana Trismegisto


Che culla lungamente lo spirito incantato,
ed il ricco metallo della nostra volontà,
è svaporato da quel sapiente chimico.

C’è il Diavolo che tiene i fili che ci muovono!


nelle cose ripugnanti noi troviamo del fascino;
ogni giorno verso l’Inferno noi scendiamo d’un passo,
senza orrore, attraverso le tenebre che puzzano.

Così come un misero vizioso che bacia e morde


il martoriato seno d’una vecchia puttana,
noi rubiamo in fretta un piacere furtivo
che spremiamo con forza come una vecchia arancia.

Stipati, brulicanti, come un milione di elminti,


nei nostri cervelli fa baldoria un popolo di Demoni,
e, quando noi respiriamo, la Morte dai nostri polmoni
discende, fiume invisibile, con sordi lamenti.

Se lo stupro, il veleno, il pugnale, l’incendio,


non hanno ancora ricamato con segni piacevoli
il banale canovaccio dei nostri pietosi destini,
è che l’anima nostra, ahimè! non è abbastanza ardita.

Ma tra gli sciacalli, le pantere, le linci,


le scimmie, gli scorpioni, gli avvoltoi, i serpenti,




















i mostri pigolanti, urlanti, grugnenti, striscianti,


nel serraglio infame dei nostri vizi,
ve n’è uno più brutto, il più maligno, il più immondo!

Non si scalmana con gran gesti e grida,


ma farebbe facilmente della terra una rovina
e in uno sbadiglio ingoierebbe il mondo;

È la Noia! – l’occhio gonfio di un pianto involontario,


sogna patiboli fumando la sua pipa.
Tu lo conosci, lettore, quel raffinato mostro,
– Ipocrita lettore, – mio simile – fratello!

Annonce des axes

I. La toute puissance du Mal


1. La présence du Spleen
2. La toute puissance du Mal
3. Des vices mortels

II. Un tableau de la condition humaine


1. Un homme Hypocrite
2. Un Homme faible
3. Un ennemi universel : l’Ennui

III. Un poème en forme de préface


1. Un pacte avec le lecteur
2. La modernité de Baudelaire : sa violence poétique

Commentaire littéraire

I. La toute puissance du Mal

1. La présence du Spleen

Baudelaire est en proie au Spleen (=  mélancolie, ennui profond), écrire lui permet d’exprimer ce mal-être. Baudelaire
nous expose donc une vie qui n’a rien d’attrayant. Il décrit le destin comme un « chemin bourbeux » se rapprochant
ainsi du Spleen. Ainsi, il s’oppose à l’habituelle représentation de la vie telle une longue route tranquille. L’auteur
utilise d’autres locutions péjoratives pour définir la vie notamment vers 7 « le canevas banal de nos piteux destins » qui
déprécie notre existence. On peut aussi noter la personnification de la mort vers 23/24 «  la Mort [...] descend  ».
Celle-ci prend possession de nous et nous fait descendre, ce qui est une des caractéristiques du spleen. Baudelaire
cherche dans ce quatrain à recréer l’effet d’une noyade ou d’une asphyxie dû au Spleen. Il utilise les termes « sourdes
plaintes » et « fleuve invisible » pour faire ressentir au lecteur l’eau pénétrant dans nos poumons.

2. La toute puissance du Mal

On relève le champ lexical du mal, « Satan », « démon », « diable », le mal est donc très présent. Baudelaire développe
ici une esthétique satanique. La majuscule à l'épithète de «Satan Trismégiste » montre la toute puissance du diable. Il
est décrit comme un chimiste qui travaille sur notre esprit. L’Homme ne peut rien faire contre lui. Le Mal attire les
hommes, il les ensorcelle « notre esprit enchanté ». L’Homme n’est qu’une marionnette que Satan domine (« c’est le




Diable qui tient les fils qui nous remuent » vers 13) : Satan s'empare de la volonté de l'homme (vers 11 : « le riche métal
de notre volonté » qui est « vaporisé »). Le vers 12 montre la puissance de Satan qui peut vaporiser du métal. De plus,
on retrouve le plaisir chez Satan avec l’oreiller qui y fait référence. L’emphase «  c’est Satan [..] qui  » souligne de
nouveau l’attrait du Mal, c’est Satan qui dirige l’homme, et non dieu.

3. Des vices mortels

L’homme n’a pas le courage de ses vices et cela est visible grâce à l’accumulation de vices du premier vers « la sottise,
l’erreur, le péché, la lésine  ». Les péchés sont personnifiés (vers2, vers 5). Le vers 2 «  occupent et travaillent nos
corps » montre des péchés dangereux. En effet, ici « occupent » est synonyme d’assiéger et « travaillent » nous renvoie
à l’étymologie de ce mot trepalium qui était un instrument de torture. La comparaison «  comme les mendiants
nourrissent leurs vermines » (vers 4) montre que les hommes acceptent et ont de la complaisance pour ces vices ->
allitération en « m » et en « i ». Les vices grouillent donc dans nos cerveaux. Cette idée est renforcée par la métaphore
vers 22 «  Dans nos cerveaux ribote un peuple de démons  », les vices sont comparés à démons qui font la fête
joyeusement et nous dirige. Dans les vers 29-32, on retrouve des allégories des vices sous forme d’animaux.
Baudelaire montre que le pouvoir destructeur de l'homme et ses vices nombreux, sont ralentis par sa lâcheté qui
l'empêche d'aller jusqu'au bout de ses fantasmes morbides « Si le viol, le poison, le poignard, l'incendie, / N'ont pas
encore brodé de leurs plaisants dessins / Le canevas banal de nos piteux destins / C'est que notre âme, hélas! n'est
pas assez hardie. » (vers 25 à 28).

II. Un tableau de la condition humaine

1. Un homme Hypocrite

Les hommes rentrent « gaiement dans le chemin bourbeux » (= le destin) (vers 7), ils acceptent donc sans le Spleen. Ils
ont une attitude hypocrite.
Image de débauchés : plaisir clandestin. Comparaison « sein martyrisée » (vers 18) avec « vieille orange » (vers 20).
L'amour est déprécié, associé à la misère et à la pauvreté -> Hypocrisie dans l’attitude de l’Homme.
 « Tu le connais, lecteur » (vers 39) -> dénonce la fuite des hommes qui refusent leur destiné.
« Hypocrite lecteur » (vers 40) -> chacun de nous est concerné

2. Un Homme faible

Baudelaire nous montre un homme faible. En effet, le champ lexical du vice et des péchés est omniprésent  :
« péchés », « lâches », « débauché », « volons », « clandestin », « viol ». Baudelaire nous montre ici une réalité cachée
de l’homme : l’homme est corrompu. De plus, l’Homme est déshumanisé, il n’est pas maître de son corps « c’est le
Diable qui tient les fils qui nous remuent » (vers 13) « chaque jour vers l’Enfer nous descendons d’un pas » (vers 15).
On a donc l'image d’un homme sans volonté et dominé par le Mal. Cette volonté est caractérisée par un lexique
laudatif «  riche métal  », tel une pierre précieuse, qui contraste avec l’importance de sa disparition. Dans le vers 5
« Nos péchés sont têtus, nos repentirs sont lâches », l’homme est incapable d’arrêter de commettre des péchés et ses
repentirs ne permettent pas de laver ces péchés => Référence à la religion et à l'hypocrisie de la confession.
Baudelaire met en avant le manque de courage de l'homme « notre âme, hélas! n'est pas assez hardie » (vers 28).

3. Un ennemi universel : l’Ennui

L’Ennui est le principal ennemi de l’Homme. Tout le poème est construit de manière à amener l’ennui qui arrive de
façon dramatique. En effet, Baudelaire parle de l’Ennui dès le début de la neuvième strophe mais le mot « ennui » n’est
prononcé qu'à la strophe suivante, la dernière du poème (vers 37). Cela crée un effet de suspens. La tournure « Mais
parmi » (vers 29) accentue la monstruosité de l’Ennui ; parmi les sept autres animaux repoussants, il est le pire. Les
accumulations créent un effet de cascade accentué par la juxtaposition d’adjectifs (vers 33). La tournure de

présentation « Il en est un » (vers 33) pousse le lecteur à la curiosité. Au vers 33, l'anaphore de « plus » et la gradation,
basée sur la longueur des mots et leur sens, « plus laid, plus méchants, plus immonde » dramatise l’Ennui. Il est donc
représenté comme un monstre silencieux qui « ne pousse ni grands gestes, ni grands cris » (vers 34) mais capable de
«  faire de la terre un débris  » (vers 35). L’Ennui «  rêve d’échafaud  » (vers 37), il a donc des envies meurtrières et
sanglantes, ce qui renforce son atrocité.

III. Un poème en forme de préface

1. Un pacte avec le lecteur

Le pronom personnel « nous » est utilisé dans tout le poème. On ne connait qu’à la fin qui il désigne grâce au « tu » et 
« mon » de la dernière strophe. Le « tu » arrive avec une certaine brutalité qui risque de déplaire à celui-ci. Le groupe
nominal «  Hypocrite lecteur  » marque une provocation, mais également une sorte de complicité avec le poète qui
montre qu'il connaît le lecteur et peut ainsi se permettre cette familiarité. Baudelaire dresse donc un tableau de sa
propre condition mais aussi de celle du lecteur. Pour adoucir ses propos, il crée un rapprochement avec ce lecteur
hypocrite au vers 40 « mon semblable, mon frère ». L’idée de fraternité est d’habitude retrouvée dans le Bien et le
bonheur ici, on la retrouve dans le Mal. On retrouve donc ici l’idée d’universalité du Mal. L’auteur s’adresse au lecteur
dans tout le poème. Le titre «  Au Lecteur  » fait du poème une sorte de dédicace à ce lecteur. Ce poème étant le
premier du recueil, Baudelaire montre son esthétique nouveau et présente les thèmes qui seront traité dans le recueil,
notamment le Spleen.

2. La modernité de Baudelaire : sa violence poétique

Baudelaire donne des images crues, il a des propos violents, on relève le champ lexical de la pourriture, dévoré, rongé
par les vices, le spleen, « vermine », « vers qui rongent », « helminthes ». Il y a un mélange de plusieurs genres de
langues, grandiose et idéal et spleen. On relève aussi des oxymores (violence antithétique et figures d'opposition).
La poésie est donc une déchirure entre le spleen et l’idéal mais aussi une réconciliation par les oxymores.
Annonce d'une modernité par l'usage d'un vocabulaire courant (« vieille orange") qui choque avec un vocabulaire
ancien (« catin » = mot antique, « helminthe », « trismégiste »).

Ce poème est une véritable préface à l’entreprise des Fleurs du mal. Il annonce certains thèmes qui seront abordés
dans la suite du recueil : la Mal, le spleen... Cette préface propose une vision pessimiste de l'homme, ce qui éclaire le
titre Les Fleurs du mal.

“Al lettore” è la prima lirica che si incontra ne “I fiori del male”, un incipit con il quale si deve fare i conti se si
vuole dialogare con il poeta parigino Charles Baudelaire (Parigi, 9 aprile 1821 – Parigi, 31 agosto 1867).
Pubblicato il 25 giugno del 1857 dall’Editore Auguste Poulet-Malassis, “I fiori del male” subì dopo pochi giorni,
il 7 luglio, una denuncia per oltraggio alla morale pubblica e religiosa da parte della direzione della Sicurezza pubblica
francese. Autore e casa editrice furono costretti a pagare una multa ed a sopprimere sei liriche.
-Quattro anni più tardi, nel 1861, fu pubblicata una seconda edizione con la soppressione delle sei liriche e con
trentacinque nuove poesie.
-Opera diamante dell’Ottocento, “I fiori del male” è l’incipit di ogni avanguardia europea e Charles Baudelaire
il poeta più chiacchierato dai suoi estimatori e dai suoi denigratori.
-“Al lettore” è una chiamata di complicità, di corrispondenza, di comprensione della cruda realtà della condizione
umana che deve adagiarsi in finzioni e convenzioni per poter boccheggiare. Baudelaire avverte il lettore di ciò che “I
fiori del male” contiene: l’uomo cosciente dei propri vizi e del proprio destino che si mostra stanco e, dunque, non
disponibile alla continua menzogna ed al nascondimento di sé perché è cosciente dell’assedio della Noia.
“I fiori del Male” non è una semplice raccolta poetica ma un libro con un intento strutturale: l’architettura costruita da
Baudelaire è ben evidente; la stravaganza che anche l’amico e critico letterario Charles Augustin de Sainte-Beuve gli
rimproverava fa parte di questa impalcatura in un’epoca di grandi geni. Ogni poeta, ogni scrittore doveva mettersi in
mostra cercando una qualche originalità. Baudelaire fu il poeta strano, terribile, il flâneur [1] che vagava per la città
e sostava nei locali a guardare la folla (si consiglia la lettura della lirica “A una passante”).

-Il 15 maggio del 1871 in una lettera al poeta francese Paul Demeny, Arthur Rimbaud scriveva con evidente
rimprovero e rammarico sul parigino di non aver cercato di squarciare il velo ma di essersi raggomitolato
nell’ambiente artistico: “Baudelaire è il primo veggente, il Re dei poeti, un vero Dio. Tuttavia egli è vissuto in un
ambiente troppo artista; e la forma tanto vantata in lui è meschina: le invenzioni d’ignoto richiedono forme nuove”.
Senza esagerazione questo biasimo ricorda una lamentazione di San Tommaso[2] al Cristo:
“Egli disse: – Signore, molti sono intorno al pozzo, ma nessuno è dentro il pozzo.
Gesù disse: – Molti si soffermano fuori della porta, ma soltanto i solitari entreranno nella camera nuziale.”
-Ne “Al lettore” notiamo termini dotti ed inusuali tanto cari a Baudelaire, come l’arcaismo “la lésine” (avarizia)
che non si utilizzava da duecento anni, lo si trova anche in un’altra lirica “Il Crepuscolo del mattino”. I rimorsi sono
assimilati ai mendicanti pregni di vermi che continuano a nutrire; la sporcizia controlla il mondo, il peccato e
l’errore sono la normalità fra le genti per una stoltezza che seguita ad essere cavalcata.
-L’uomo anche quando sa che sta commettendo (o ha commesso) un errore continua a percorrere il sentiero del
fango, quasi lieto dopo essersi confessato. Le lacrime sono vili perché non c’è vero pentimento senza riflessione e
superamento dell’errore.
-Infatti, subito dopo Baudelaire usa un epiteto particolare “Trismegisto” che significa “tre volte il più grande”:
l’antico termine è attribuito al dio egizio Thot e successivamente ad Ermete (Mercurio), il patrono delle arti occulte ed
ermetiche. Nella lirica diventa un attributo di Satana per riportare il discorso all’interno della tradizione del
Cattolicesimo e per connettere gli errori ed i pentimenti fiacchi, Satana diventa tre volte il più grande che, posizionato
sul cuscino di ognuno di noi, culla lo spirito incantato. Il richiamo all’alchimia è rinforzato dal terzo e quarto verso
della terza quartina:
“ed il ricco metallo della nostra volontà,
è svaporato da quel sapiente chimico.”
-Il metallo di colore argenteo, il Mercurio, diventa nullo di fronte a Satana, al Diavolo che tiene i fili che ci
muovono sino a ché noi non capiamo che possiamo salire a riveder le stelle[3] e che, dunque, è possibile
interrompere la discesa verso l’Inferno – che avviene come il poeta esplicita: senza alcuna percezione di orrore.
Baudelaire sta descrivendo la situazione abituale dell’essere umano che non vuole esercitare la volontà di riflessione
verso il Bene ma che si fa guidare dalle basse pulsioni, le pulsioni che mirano alla materia e che portano il fascino delle
cose ripugnanti.
-La quinta quartina fu censurata nella seconda ristampa per motivi di morale, forse per il verso “il martoriato seno
d’una vecchia puttana,”. Collegato al Diavolo da cui dipende, l’uomo cerca di aver piacere nella vita ma lo fa in
modo frettoloso, ci si vergogna di quel che si vuole essere ma che non si è. L’arancia è vecchia e non produce succo
oppure se lo produce è maleodorante, rancido ma, l’uomo continua a spremerla pensando di poterne avere vantaggio.
Nella sesta quartina abbiamo un termine dotto e scientifico molto raro in poesia: “elminti” propriamente i vermi
intestinali, e riprende i vermi dei mendicanti della prima. Gli elminti, in questo caso, sono nel cervello e non
nell’intestino, sono brulicanti, un vero e proprio popolo di Demoni. Gli elminti sono i nostri pensieri sporchi,
caotici, che si lamentano continuamente della vita che è toccata in sorte aumentandone la putrefazione. Non c’è
ricerca di ordine, non c’è ricerca di risalita.
-La quartina successiva è stata più volte interpretata come l’ammissione del piacere del Male, e per questo ci sono
state molte critiche di carattere morale. Ma Baudelaire vuole propriamente affermare ciò che è senza l’ipocrisia di un
nascondimento. L’anima se ardita compie malefatte nella durata della sua vita (stupro, veleno, pugnale, incendio)
proprio perché non ha discernimento tra bene e male, l’anima non ha questo metro di giudizio prettamente umano.
Ma l’uomo (corpo e spirito) può con la riflessione fare una scelta e potrà farla anche quando si renderà conto di
aver ricamato il canovaccio.
Ma un uomo che non ricama di che cosa può rendersi conto?

-Segue l’elenco dei sette vizi capitali con l’enumerazione di sette animali predatori; ma il peggior male, il peggior vizio
è certamente la Noia che compare nella quartina finale ed è definita come un raffinato mostro che in un sol sbadiglio
potrebbe divorare il mondo intero.
-La Noia è uno stato di insoddisfazione a cui è soggetta l’anima quando nel corso degli eventi ciò che pulsa non
diviene realtà, non risponde agli istinti che si agitano dentro noi. È la vita svolta con ipocrisia, è il lasciarsi dominare
da ciò che la società vuole, da ciò che gli altri vogliono, è il non saper ascoltare ciò che dentro noi ribolle.
La Noia è il peggiore dei mali ed è avvertita dagli ipocriti, coloro che qualcosa sanno ma che operano in
nascondimento. Baudelaire si rivolge a quel lettore che ha conosciuto e che conosce la noia, a quel lettore che sa

quando interviene la noia, a quel lettore che talvolta si è assoggettato alla noia piegando – e portando verso l’Inferno –
l’anima. Quel lettore è un fratello del poeta parigino che con franchezza in apertura del suo “I fiori del Male” rivela
chi è: uno che sogna patiboli per la borghesia dell’epoca – per gli intellettuali raffinati e falsi, meri produttori di
versi utilitaristici-monetari – disteso nei café a fumare il narghilè (“houka” è un tipo di pipa di origine indiana molto
diffusa nell’Ottocento in Francia ed è simile al narghilè).

“Il mondo intero pende da questa continua catena:/ Il simile gode di ciò che è simile./ Così il Mercurio s’unisce al
Mercurio, il fuoco/ Al fuoco, e questa è la meta dell’arte tua./ Vulcano conduca Mercurio, ma tu, o Cinzia,/ Sei liberata
da pennuto Ermete e dal fratel tuo, Apollo.” – “Atalanta fugiens” di Michael Maier

Perché poesia-prologo? Perché al libro manca una prefazione tradizionale.


Flaubert, suo contemporaneo, non avrebbe mai scritto una prefazione. Era infatti sua convinzione che tutto quel che
l’opera ha da dire è incluso nell'opera stessa e desiderava che l' autore sparisse dietro la creazione artistica.
Baudelaire visti gli esiti disastrosi del processo ai Fiori del male, si pente di non aver scritto una prefazione che forse
lo avrebbe salvato da un simile linciaggio, così, in vista della seconda edizione del 1861, compone svariati progetti di
prefazione in cui sembra prevalere un forte senso di stizza da parte di un autore che si sa grande (tanto da “osare”
candidarsi all'Accademia Francese,  provocando ilarità generale fra gli intellettuali del tempo, e divertimento  in
Flaubert che nel suo “dizionario delle idee correnti” scriveva: “Académie Française: parlarne male, ma cercare di
farne parte, se si può”. Eppure, l'autore di "Mme Bovary" confessa in una lettera ad un amico che troverebbe
straordinariamente interessante vedere Baudelaire in mezzo a tutti quegli autori altisonanti e marmorei.) E se Flaubert
arriva ad incolpare l'idiozia imperante del secondo impero per la morte dell'amico Gautier, Baudelaire si sente
personalmente  offeso da una città paralizzata dall'idiozia borghese. Le sue parole suonano amare, risentite verso i
suoi contemporanei, che offende pesantemente.
L’autore scrive in questi abbozzi di prefazione, di rivolgersi ad una nazione che vive una fase di grande volgarità.
“Parigi centro e irradiamento della stupidità universale”  e questa stupidità l’associa al progresso, dunque
indirettamente, ai borghesi, espressione di una forza sociale ed economica nuova, che non considera il “valore” in
senso etico-morale, ma in senso meramente utilitaristico-monetario.
In uno dei primi “Salon” scrive, parlando ai Borghesi: “Voi siete la maggioranza ma occorre che impariate a
sentire la bellezza”. Si rivolge a individui come Homais, l’odioso e ottusamente soddisfatto farmacista che Flaubert
ci racconta di “Mme Bovary”, per esempio ma anche Jacques Arnoux, proprietario dell’ “Art industriel” nel
romanzo: “L’educazione sentimentale”,   sempre di Flaubert, e di figure simili di cui la Francia di Napoleone III è
piena.
1
La sottise, l’erreur, le péché, la lésine
Occupent nos esprits et travaillent nos corps,
Et nous alimentons nos aimables remords, 
Comme les mendiants nourrissent leur vermine.

la stoltezza, l’errore il peccato, l’avarizia


occupano i nostri spiriti, sfibrano i nostri corpi,
e noi alimentiamo i nostri amabili rimorsi
come i mendicanti nutrono i loro pidocchi.

-Stoltezza, errore, peccato e avarizia. La poesia inizia con quattro soggetti negativi che “occupano” i nostri spiriti
(del poeta e del lettore) e affaticano il nostro corpo. Spirito e corpo sono i due estremi di un dualismo che inizia ad
affermarsi
-Il peccato è un termine eminentemente cristiano, ed il male, il cui peso è concretamente presente nei primi versi
come fosse un soggetto a più teste, domina tutte le facoltà umane.
Colesanti afferma che, per i termini che usa ed i concetti che esprime, tutta la poesia va letta in ottica cristiana.
Certo, altri sostengono che sia bizzarro  un libro dedicato alla religione cattolica in cui manca del tutto la figura di
Gesù Cristo, e così si arriva ad ipotizzare che il Dio dei cristiani sia funzionale a Baudelaire in senso anti borghese,
quindi verrebbe usato nei fiori come simbolo da opporre al dio dell'Utile (poesia V), amato dai borghesi. (idem per il
culto dandy dell' in-utile)

-La lésine, cioè l’avarizia è un male moderno, che l’autore considera fra i più gravi perché era uno dei principi più
rispettati dai borghesi (Vedi “Eugénie Grandet” di Balzac o “L’assommoir” di Zola, cioè dei mondi dominati
interamente dal meccanismo economico che, nel secondo caso soprattutto, rafforza i ricchi e stritola i poveri). Nella
poesia senza titolo "V" ci introdurrà al moderno "dieu de l'Utile", implacabile e sereno, che cresce i suoi figli con
pannolini di bronzo i quali, ovviamente, deformano l'anatomia, creando distanze incolmabili coi corpi perfetti delle
lontane "epoche nude", cioè pagane, in cui, come testimoniano le statue che ci rimangono, i corpi erano perfetti.
Il pronome “nous” o “nos” è ripetuto ben 4 volte, ed indica la volontà di creare una comunione fra lettore e poeta.
I pentimenti li definisce “amabili”, così denuncia ironicamente un malcostume cristiano attraverso una
comparazione fra “noi” e i “mendicanti”. Così come questi nutrono i loro parassiti (pidocchi, e altro) col loro
sangue, allo stesso modo noi “alimentiamo” i nostri amabili rimorsi (ciò evoca la figura del vampiro, che troveremo
spesso nelle poesie a venire) così che i nostri vizi possano sopravvivere  succhiando il nostro sangue, vivendo
dunque a nostre spese.
Infine, i "vermines" che chiudono la quartina, evocano gli elminti della sesta strofa. Sono vermi, parassiti...anche
loro e vivono nell'intestino, ma Baudelaire li situa nel cervello, come metafora di un popolo di demoni, anche quelli li
nutriamo "noi".

2
Nos péchés sont têtus, nos repentirs sont lâches (fiacchi) ;
Nous nous faisons payer grassement nos aveux (colpe),
Et nous rentrons gaiement dans le chemin bourbeux (cammino fangoso) ,
Croyant par de vils pleurs laver toutes nos taches.

I nostri pensieri sono testardi, e i nostri pentimenti sono fiacchi


con laute ricompense confessiamo le nostre colpe
e rientriamo sereni lungo il sentiero fangoso*
credendo di lavare tutte le nostre colpe con vili lacrime.

* = il fango compare spesso nel libro a partire dall’ intento di alchimista di Baudelaire nei confronti della città
esposto in uno dei progetti di prefazione "Tu mi hai dato fango e io ne ho fatto oro". Ma pensiamo anche alle ali del
cigno della terza poesia della sez II, che “bagnava nervosamente le sue ali nella polvere” vs 21, e la polvere altro non è
che fango asciutto. (tanti altri sono gli esempi)
Il tono della poesia si fa in questa strofa marcatamente cattolico: Qui troviamo una critica dura e radicale al
rapporto del cattolicesimo col male, cioè col   peccato, il pentimento, la confessione. Col pretesto di confessione e
pentimento, dunque assoluzione della colpa, di fatto, continuiamo a commettere quegli atti ai quali diamo il nome di
“peccati”, e a poco servono le “vili lacrime” con le quali crediamo di purificarci, perché alla fine restiamo quel
che eravamo, né buoni, né cattivi, semplicemente umani. (Colesanti ricorda che per Baudelaire, la causa dei mali
del mondo, è il peccato Originale, dunque la perdita della purezza e si avverte nell'opera un continuo senso di
caduta, quasi in stile miltoniano).
Ci siamo forgiati degli abili strumenti di ipocrisia, ed è per questo  importante rilevare la cesura che sospende la
parola “Gaiement” nel vs 7 (e noi rientriamo sereni – lungo il sentiero fangoso)
= quindi in sostanza, anche se lo chiamiamo “cammino fangoso”, ci piace!
3
Sur l’oreiller du mal c’est Satan Trismégiste*
Qui berce longuement notre esprit enchanté,
Et le riche métal de notre volonté
Est tout vaporisé par ce savant chimiste.*

Sul guanciale del male c’è Satana Trismegisto


che culla lungamente il nostro spirito incantato
e il ricco metallo della nostra volontà
è tutto vaporizzato da questo sapiente alchimista

Satana trismegisto* è l’autore effettivo di tutti i nostri atti. La cultura cristiana gli attribuisce tutti i mali eppure qui si
tratta di un male confortevole, perché funge per noi da cuscino sul quale poggiare la testa, è lui che culla il nostro
spirito e grazie al suo mestiere di alchimista (scienza antica) riesce a vaporizzare la nostra volontà che è la base del
nostro essere, quella che ci permette di conferire alla realtà un volto diverso (la volontà è considerata forte come un
metallo di valore, che però sarà vaporizzato dal male)

Ps: scrive nella nota iniziale di Mon coeur mis à nu: De la vaporisation et de la centralisation du moi. Tout est là (I,I)
Scrive a tal proposito Massimo Colesanti “ Direi che Baudelaire ha portato fino in fondo questa centralizzazione
dell’io, tragicamente e spietatamente. In definitiva, il più grande poeta lirico e lucido, cosciente, che il
Romanticismo abbia prodotto, è proprio Baudelaire”
L'atto di vaporizzazione torna spesso nel libro. Qui è la debole volontà umana ad essere vaporizzata.
* Trismegisto = tre volte grande... tre è un numero sacro, che Baudelaire usa in senso dissacratorio, lo fa anche nella
sezione"Révolte" in cui le poesie sono solo tre e tutte contro Dio.
* Chimico, alchimista...questo crea una “fratellanza” con l’autore che spesso parla di un poeta alchimista, (che
trasforma il fango in oro, come in uno dei progetti di prefazioni, o che nella poesia “l’alchimie de la douleur”
(l’alchimia del dolore), sul finire della sez. uno, inverte l’alchimia e trasforma l’oro in ferro e il paradiso in inferno,
“par toi”, cioè per mezzo di Hermes inconnu, il quale altri non è che il famoso Satana trismegisto di questa poesia.
4
C’est le Diable qui tient les fils qui nous remuent !
Aux objets répugnants nous trouvons des appas ;
Chaque jour vers l’Enfer nous descendons d’un pas,
Sans horreur, à travers des ténèbres qui puent.

È il Diavolo a tenere i fili che ci muovono!


Negli oggetti ripugnanti troviamo fascino;
Ogni giorno verso L'Inferno discendiamo di un passo
senza orrore, attraverso tenebre puzzolenti.

La maiuscola che usa per descrivere il diavolo corrisponde ad una allegorizzazione, dunque ad una personificazione
del male. Questo essere, Satana, ci tratta come marionette, muovendo i nostri fili, e noi amiamo gli oggetti che
ipocritamente  definiamo “ripugnanti” (anche per via della nostra cultura, cristianesimo incluso) e questo fa si che
scendiamo verso l’inferno ad ogni respiro... le tenebre puzzolenti, ovvero la vita che viviamo senza orrore è l’Inferno
stesso governato da Satana. La vita che esiste è una oscurità fetida.
Richter nota che qui Baudelaire inizia a mischiare il PIACERE col MALE (a tal proposito vedi tutte le parti che ho
sottolineato  in ogni strofa –incluse quelle che seguono: vs 3/7/10/14/19/26)

5
Ps: La quartina è stata censurata nel '59 per immoralità
Ainsi qu’un débauché pauvre qui baise et mange
Le sein martyrisé d’une antique catin, (= puttana)
Nous volons au passage un plaisir clandestin
Que nous pressons bien fort comme une vieille orange.

Come un povero debosciato morde e carezza


il seno martirizzato di una vecchia puttana,
Noi rubiamo di passaggio un piacere clandestino
e lo spremiamo con forza come una vecchia arancia.

Qui approfondisce attraverso comparazioni aspramente realiste, il motivo della strofa precedente, soprattutto
l’attrazione per gli oggetti ripugnanti.
Nella prima strofa si parla di mendicanti (ai quali si è associati perché nutrono col loro sangue i parassiti che li
abitano, e allo stesso modo noi nutriamo i nostri vizi), qui c’è una nuova assimilazione ai poveri, “debosciati”

VIZIOSI che pur di soddisfare istinti primordiali, mordono il seno di una vecchia puttana (antique Catin: termine
volgare) spremuto come un’arancia (linguaggio popolare di ambienti equivoci parigini)
Notiamo però che questo piacere viene rubato, e non liberamente goduto, perché si è nella condizione di poveri e in
viaggio verso l’Inferno.
Abbiamo dunque vergogna di apparire per come siamo effettivamente. La nostra vergogna non è però nei
confronti di Satana che tira i fili delle nostre azioni. Noi abbiamo vergogna all’idea che esista qualcuno ricco e non
vizioso, ci vergogniamo per quel che vorremmo essere e non siamo (la volontà l’aveva infatti paragonata a un ricco
metallo che però Satana, sapiente chimico, farà evaporare)

Richter cerca di analizzare le immagini che ci assimilano ai mendicanti e ai poveri che approfittano del piacere
ottenibile da una vecchia prostituta, e conclude:
A_ che occorre escludere una condizione di bontà.
B_che possiamo sperare solo di avere un piacere non clandestino soddisfacendo i nostri istinti di viziosi con una
giovane prostituta, saporita come una spremuta d’arancia fresca.
Tutto questo significa che la realtà culturale in cui viviamo, realtà che inventa una struttura dualista dividendo
l’uomo in anima e corpo, bene e male, cielo e terra etc... non ci consente altro che un rapporto clandestino con
dei piaceri degradati, ottenibili da una vecchia prostituta.

  Perché Antique Catin? Forse in senso ironico, per indicare una vecchia, ma forse allude anche a qualcosa di più
ampio come la civilizzazione occidentale e il suo mito, civilizzazione invecchiata, antica, come una prostituta che
non può donare altro che sapori disgustosi del frutto di una vecchia arancia spremuta.

6
Serré, fourmillant, comme un million d’helminthes,
Dans nos cerveaux ribote un peuple de Démons,
Et, quand nous respirons, la Mort dans nos poumons
Descend, fleuve invisible, avec de sourdes plaintes. (il fiume invisibile: La morte)

Stipati, brulicanti, come milioni di elminti (parassiti intestinali...qui nel cervello!)


un popolo di Demoni fa bagordi nei nostri cervelli,
e quando respiriamo, La Morte nei nostri polmoni
scende, fiume invisibile, con lamenti sordi

Nelle nostre teste c’è qualcosa che ricorda un corpo in putrefazione: un popolo di Demoni o di spiriti malvagi che si
danno ad un’orgia gioiosa nei nostri cervelli e vengono assimilati a dei germi che di solito vivono nell'intestino (gli
Elminti, termine dotto!) Ecco dunque un terribile avvicinamento di cervello ed intestino: da una parte i demoni,
dall'altra i versi,  e’ in ciò la differenza fra SPIRITO E CORPO.
=Parlavamo di putrefazione, in effetti ecco che ad ogni respiro scendiamo verso l’inferno di un passo (immagine
che mi ha fatto pensare istintivamente al bel lavoro di Giger che ho pubblicato nel post)

7
Si le viol, le poison, le poignard, l’incendie, ( 4 elementi come n 1° strofa)
N’ont pas encor brodé de leurs plaisants dessins
Le canevas banal de nos piteux destins,
C’est que notre âme, hélas! n’est pas assez hardie.

E se lo stupro, il veleno, il pugnale e l' incendio,


non hanno ancora ricamato con ricami piacevoli
la tela banale dei nostri pietosi destini,
è che la nostra anima, purtroppo! Non è abbastanza ardita.

Questa è la strofa più atroce, la più sconvolgente.


Hélas: Interiezione che funge da perno della sua violenza. Il critico si sofferma soprattutto su due espressioni:

A_Plaisants dessins: I ricami eseguiti sulla nostra tela da stupro, veleno, pugnale, e incendio, li definisce “Piacevoli”,
cioè atti a procurare piacere. E Richter non è troppo sicuro che sia un’espressione ironica.
B_Canevas banal de nos pitieux destins. La vita che costituisce  i nostri pietosi destini, è definita BANALE,
insignificante, senza interesse e dunque noiosa, insopportabile. Ma questo tipo di vita non corrisponde ai nostri istinti
profondi (in cui sarebbero iscritte le pulsioni suddette). E sebbene tale coscienza possa fare orrore, Baudelaire ci dice
che tali orrori ci farebbero piacere. (Cosa già ribadita nelle strofe precedenti: 1’ i nostri amabili rimorsi, 2’ rientriamo
felicemente nei nostri cammini fangosi, 3’ il nostro animo incantato, 4’ agli oggetti ripugnanti troviamo un fascino....
senza orrore, 5’ un piacere clandestino... )

= Di fatto, il solo motivo per cui non compiamo questi atti crudeli è che “Hélas!”, il nostro animo non è
abbastanza  coraggioso!  In questa interiezione si crea una frattura fra il lettore (che si compiace di non avere
questo coraggio per le cose orribili) e il poeta, di altro avviso....

= Il dovere del poeta è cercare l’INCONNU dell’animo, il mistero che c’è dentro di noi, il mondo inghiottito di
un’anima che si è ritagliata uno spazio vivibile, che si è fabbricato dei miti consolatori ed illusori (per esempio
l’animo del cristiano: anima senza coraggio, ipocrita che si pretende quel che non è. Vedi note della seconda strofa).
Questo compito che il poeta si prefigge, richiede un coraggio enorme. Si tratta di lottare contro la “verità”
dell’ipocrisia, una verità in cui il poeta stesso si trova affogato, è una verità che fa dell’uomo un mendicante, un povero
che trae piaceri furtivi da una vecchia prostituta.

Si tratta di dimostrare la struttura stessa della nostra cultura e della sua lingua. Così concepita, la poesia diventa
strumento privilegiato della conoscenza (siamo ben lontani dalle preoccupazioni dell’eleganza formale)

Le tre quartine che concludono la poesia, formano un blocco quasi compatto, con una struttura sintattica che si
suddivide in tre parti che coincidono quasi perfettamente con queste strofe:
1_ Mais parmi (8’)... 2_ il en est un...(9’) 3_ c’est l’Ennui...(10’)
 Il resto del commento lo scrivo a fine poesia.

8
Mais parmi les chacals, les panthères, les lices ( nuova elencazione, più numerosa)
Les singes, les scorpions, les vautours, les serpents,
Les monstres glapissants, hurlants, grognants, rampants,
Dans la ménagerie* infâme de nos vices,
* vedremo il ruolo del serraglio per "il cigno"

Ma in mezzo agli sciacalli, le pantere, le linci,


le scimmie, gli scorpioni, gli avvoltoi, i serpenti,
i mostri urlanti, ruggenti, striduli, rampanti
nel serraglio infame di tutti i nostri vizi,

9
Il en est un (mostro) plus laid, plus méchant, plus immonde !
Quoiqu’il ne pousse ni grands gestes ni grands cris,
Il ferait volontiers de la terre un débris
Et dans un bâillement avalerait le monde

Ve n’è uno più brutto, più maligno, più immondo!


Benché non si riveli con gesti o con grida
farebbe volentieri della terra una rovina
E con uno sbadiglio ingoierebbe il mondo.

10
C’est l’Ennui ! L’oeil chargé d’un pleur involontaire,

II rêve d’échafauds en fumant son houka. (simile al narghilé)


Tu le connais, lecteur, ce monstre délicat,
– Hypocrite lecteur, – mon semblable, – mon frère !

È la Noia – occhio gonfio di lacrime involontarie


sogna patiboli fumando la sua pipa.
Tu lo conosci, lettore, questo mostro delicato
– Ipocrita lettore – mio simile – mio fratello!

In principio Baudelaire aveva incluso un' epigrafe di Banville secondo la quale: il VIZIO non ha per madre la scienza
e la VIRTU' non è figlia dell'ignoranza, morale... la conoscenza dell'uomo è ipocrita!

Questa organizzazione del discorso ha la funzione principale di rinforzare le parole dell’ultima strofa. (C’est
l’Ennui...) già nella settima strofa “Banal” ed “hélas” annunciavano lo sviluppo di questo motivo.
Dopo aver letto la settima strofa il lettore è portato a sentirsi “fortunato” perché la sua anima non ha il
coraggio che serve per il male, ma dall'altra  parte capisce che sta realizzando una forte occultazione e
repressione di qualcosa che è dentro di sé, e lo sta facendo attraverso l’ENNUI, la noia, figlia dell’ipocrisia e
per Baudelaire, il peggiore dei vizi possibili.
L’ennui è uno stato di non autenticità, di profonda insoddisfazione, è il risultato a cui arriva un’anima che non sa
rispondere all'ampiezza dei desideri e degli istinti che si agitano in “noi”.

Richter articola così il pensiero di Baudelaire:


“Peccato che l’anima non renda meno banale, quindi noiosa la vita, commettendo stupri etc... ma esiste un vizio
ancora peggiore che è la noia.” Ci si chiede se l’autore desideri oppure no che l’anima esprima questo terribile vizio, il
peggiore possibile.

L’ennui ci è raccontato come il peggiore dei mostri (o vizi) che sono imprigionati, come bestie feroci nella gabbia
della nostra anima. In linea con la settima strofa, ci si chiede perché anche questo vizio, come gli altri, non dovrebbe
manifestarsi? E in che modo? Essendo riconosciuto come tale (cioè come noia) nella realtà che esiste, nella “scienza
imbrattata di inchiostro”, nel dualismo che struttura la cultura che ci consente di vivere e parlare. Solo che tale
riconoscimento non è semplice da fare. La noia (personificata dalla maiuscola) ci è presentata nella sua natura poco
“voyante” poco rumorosa, (non fa grandi gesta né grandi urla), ed è personificata nelle vesti di un uomo qualunque,
triste anche se non vuole esserlo (l’occhio gonfio di lacrime involontarie), un uomo che fuma la pipa, affogato nei suoi
pensieri sinistri e distruttivi (sogna i patiboli fumando l’houka)

Cerchiamo di ricapitolare:
Il peggior vizio dell’anima è la sua mollezza. Il fatto che non sa accettarsi per quel che è, genera il peggiore dei
mostri: la noia, un male peggiore dello stupro etc... (la noia desidera la distruzione del mondo e dell’uomo, e
farebbe volentieri una rovina della terra... e con uno sbadiglio ingoierebbe il mondo ... sogna patiboli... )
L’ Ennui che porta in sé la disperazione, malgrado la sua apparente tranquillità, desidera la fine del mondo. L’ennui è
la realtà che esiste, la realtà inventata, voluta dall'anima che non ha il coraggio di rivelarsi secondo la sua realtà
effettiva: La noia nasce dall'ipocrisia. Il mondo che esiste è noioso ma l’anima non vuole riconoscerlo allora finge
che non lo sia ( e quest’anima è del lettore ma anche dello scrittore)

Per evitare il peggiore dei mali, occorre che l’animo si faccia cosciente e riconosca che la realtà, forgiata al servizio
della sua ipocrisia, è noiosa, monotona, banale...

E’ per questo che la prima poesia del libro invita il suo lettore a non sentirsi differente da chi scrive, a non
dissociarsi dalle parole violente che gli sono indirizzate, ma a riconoscersi fraternamente unito all'autore.

Ultima cosa, non secondaria.


“Mon frère” è l’ultima parola della poesia, e si trova in una posizione strategica.

Col battesimo tutti gli uomini di chiesa diventano fratelli e così sono trasformati nel cristo, figlio di Dio. Baudelaire
inizia dunque il suo libro con dei versi di sottile DEMISTIFICAZIONE: Gli uomini capaci di leggere e scrivere,
somigliano tutti per via della loro educazione, inevitabilmente fondata su dei principi dualisti, dunque
sull'ipocrisia, “Mon semblable” e se grazie alla loro morale cristiana (fondamentale nel secolo scorso) si
chiamano “fratelli” come risultato della loro ipocrisia perché la loro anima dissimula in realtà degli istinti
terribili, affatto fraterni. (Viol, poison, poignard, incendie) degli istinti che Baudelaire rimpiange di non vedere
prendere libero corso.

Formalmente ci sono due aspetti da notare:


l’accumulazione di termini e l’unione di parole astratte con immagini e parole molto concrete, quasi volgari
così si annunciano due elementi fondamentali della poesia di Baudelaire: La violenza, e l’accostamento di contrari,
all'occorrenza, dell’astratto col concreto, del nobile col volgare.

2)LXXVI. SPLEEN- Spleen et Idéal

J’ai plus de souvenirs que si j’avais mille ans.

Un gros meuble à tiroirs encombrés de bilans,


De vers, de billets doux, de procès, de romances,
Avec de lourds cheveux roulés dans des quittances,
Cache moins de secrets que mon triste cerveau.
C’est une pyramide, un immense caveau,
Qui contient plus de morts que la fosse commune.
– Je suis un cimetière abhorré de la lune,
Où comme des remords se traînent de longs vers
Qui s’acharnent toujours sur mes morts les plus chers.
Je suis un vieux boudoir plein de roses fanées,
Où gît tout un fouillis de modes surannées,
Où les pastels plaintifs et les pâles Boucher
Seuls, respirent l’odeur d’un flacon débouché.

Rien n’égale en longueur les boiteuses journées,


Quand sous les lourds flocons des neigeuses années
L’ennui, fruit de la morne incuriosité
Prend les proportions de l’immortalité.
– Désormais tu n’es plus, ô matière vivante !
Qu’un granit entouré d’une vague épouvante,
Assoupi dans le fond d’un Sahara brumeux ;
Un vieux sphinx ignoré du monde insoucieux,
Oublié sur la carte, et dont l’humeur farouche
Ne chante qu’aux rayons du soleil qui se couche.

Traduzione
Ho dentro più ricordi che se avessi mill’anni.

Un gran mobile ingombro di verbali e romanze,


letterine d’amore, bilanci, poesie,
di grevi ciocche avvolte in ricevute,
non nasconde i segreti che nasconde
il mio triste cervello. È una cripta, una piramide
immensa, con più morti della fossa comune…
– Eccomi: un cimitero che la luna aborrisce




























e dove lunghi vermi vanno, come rimorsi,


senza posa all’assalto dei morti che ho più cari;
un salotto decrepito, gremito
d’oggetti fuori moda fra le rose appassite,
i pastelli lagnosi e i pallidi Boucher
che profumano, soli, come boccette aperte.

Niente uguaglia in lunghezza quei giorni zoppicanti


che sotto i fiocchi grevi delle annate di neve
la noia, triste frutto dell’incuriosità,
prende misura d’immortalità.
– E tu ormai non sei altro, materia della vita!
che un granito assediato da un labile terrore,
immerso nella nebbia d’un Sahara profondo;
vecchia sfinge dimenticata dal mondo indifferente
e che le mappe ignorano e soltanto
ai raggi del tramonto ferocemente canta!

Analyse:
Il mondo dei ricordi ingombra la mente, rischiando la deformazione del soggetto –  «J’ai plus de souvenirs que si
j’avais mille ans». Il cervello è la tomba del passato e la sua forma labirintica, “verminosa”, è la forma di una scrittura
appassita a rischio di dispersione. Proprio da questo rischio nasce la noia, “ennui” che prende l’aspetto eternizzante,
non tanto della decrepitezza, ma degli abusati simboli in disfacimento: il “Sahara brumoso”, “il granito assediato” dal
terrore della scomparsa, la “vecchia sfinge” che finge di essere “ignorata”, perché invece è lì dove la scrittura, in un
movimento spiraliforme, à rebours,  la cita, riprende rilievo e fuoriesce dal presunto oblio. L’atmosfera ipnotica, il
sonno della ragione, si ribalta nella sua conclusione. Il finale del testo è chiaro: se il segno perde aderenza è perché il
mondo è indifferente al suo richiamo, ma la persistenza del richiamo è la sfida che il simbolo misterico (il linguaggio)
lancia continuamente al mondo, la sua necessità di restare e mantenere un legame, per quanto distorto, per quanto
mostruoso, con lo stesso. Agonia e controspinta agonistica del segno, al limite della scomparsa del senso, le nuove
parole, le abbrutite, le “verminose”, manifestano la trasformazione, il passaggio a un nuovo universo di significazione.
Ancora “boiteuses” ma sempre in cammino, i giorni a venire, le voci a venire, faranno vibrare il loro “canto feroce”,
persino negli ultimi raggi del sole tramontante. Speranza è forza nel disastro, per quanto il ricordo sia «une pyramide,
un immense caveau, / Qui contient plus de morts que la fosse commune».

Le vers 1 :            le poète annonce son bilan.


Les vers 2 à 24 :   il fait un inventaire chaotique de ses souvenirs.
Les vers 15 à 18 : il ne connaît plus que l'ennui.
Les vers 19 à 24 : passage à la deuxième personne. Il est étranger à lui-même et au monde
Le poème a une forme irrégulière, il n'est pas régulièrement disposé en strophe comme par exemple le LXXVIII.

- Il est fragmenté en ensemble inégaux 1 vers - 13 vers - 10 vers, si on tient compte du blanc, des tirets (vers 8-18). Cela
fragmente encore ces ensembles de 13 vers et 10 vers ; ces blancs et ces tirets découpent des ensembles qui ont leur
unité. L'ensemble donne une impression d'irrégularité.
- Le poème fonctionne par accumulation d'images apparemment disparates, le cerveau du poète est
successivement un meuble (vers 1-4), une pyramide (vers 5-6), un cimetière (vers 7-8), un vieux boudoir (=
salon)(vers 11-14), un granit (vers 19-21) et un sphinx (vers 22-24).
- Le spleen c'est le contraire de l'harmonie, c'est le chaos de l'âme.

=> La mise en page d'une part et le fonctionnement d'une autre part donnent une impression de chaos.

Analyse linéaire du poème

I. L'annonce son bilan - Vers 1















- Le vers se prononce d'un seul tenant -> cela donne une impression d'immensité.
- Dans ce vers, Baudelaire donne l'impression d'être une immense mémoire, las, il a tout vu ; il utilise une hyperbole
très expressive.
- Ce vers est une ouverture, annonçant la suite, la tonalité : la lassitude.

II. Un inventaire chaotique de ses souvenirs - Vers 2 à 14

    Baudelaire fait l'inventaire de ses souvenirs à l'aide de métaphores.

A) Quelles métaphores ?

- Difficultés matérielles  ; bilan (vers 2), procès (vers 3), quittances (vers 4)  : écho de Baudelaire qui dilapidait
l'héritage paternel, plein de dettes => souvenirs humiliants, douloureux.
- Souvenir d'amours ; romances (vers 3), billets doux (vers 3).
- Souvenir du poète : vers (vers 3), romances (vers 3).
- Souvenir d'art : les pastels, les pâles Boucher (vers 13) => Baudelaire a vécu sa petite enfance dans les œuvres d'art
de son père et est devenu critique d'art.
- Tout ses souvenirs sont dévalorisés car ils sont accumulés, mélangés dans un bric à brac (vers 2 à 4).

B) Vers 6 à 8

- Le cerveau du poète devient une pyramide, un caveau, un cimetière, la métaphore transforme ses souvenirs en
ossements. Sa mémoire devient champ de cadavres.
- La lune n'éclaire même plus sa mémoire devenue cimetière (abhorré = tenue en horreur)(vers 8)

C) Vers 9 à 10

- Des remords importants le condamnent.


- Sa mémoire est comme un cadavre rongé par les vers (= remords qui hantent le poète). Il a le sentiment qu'il a
échoué en tant que poète.
=> Le spleen s'attaque au poète et non à l'homme.

D) Vers 11 à 14

Sa mémoire est successivement un meuble, un cimetière, puis ici un vieux boudoir :


- On y trouve des fleurs, des modes (= dentelles), des objets d'art, des Bouchers.
- Il y règne le désordre, les objets sont proches du néant, anciens, démodés (roses fanées, modes surannées, parfums
éventés).
- Les sensations auditives (pastels plaintifs (vers 12)) rendent compte de l'impression visuelle ; il y a correspondance.
- Toutes ces sensations expriment l'absence de vie. "Seuls" (vers 14) est en rejet : les objets sont multiples mais
seuls par rapport à la vie.

A la fin de cet inventaire de sa mémoire, Baudelaire éprouve une sensation de vide, de néant ; il ne lui reste plus que
l'ennui.

III. Il ne reste au poète plus que l'ennui - Vers 15 à 24

A) Vers 15 à 18

- "L'ennui naît de l'absence de curiosité, de désir. Ce que je sens c'est une absence totale de désir. A quoi bon ceci ?
A quoi bon cela ? C'est le véritable esprit du spleen." Lettre de Baudelaire à sa mère en 1857. L'ennui est présenté ici
sous la forme de la dérision (vers 17).
- La seule immoralité promise à l'homme en proie au spleen c'est l'ennui. La sonorité, le rythme et les métaphores
sont significatifs de cet ennui ; rime obsédante en "é" (vers 11-18).
- Les métaphores :
Le temps qui dure est comme un vieillard boiteux (vers 15) ou comme un hiver (vers 16) : le mouvement est contrarié :
ça n'avance pas. Le spleen est comme l'hiver de l'âme.
- L'ennui entraîne la mort de l'âme, de l'être, le poète étranger à lui-même et oublié va se pétrifier et sombrer dans la
mort.

B) Vers 19 à 24

- "Désormais" (vers 19) marque une conséquence de l'ennui ; l'ennui débouche (porta alla) sur la mort ; la matière
vivante devient granite. L'apostrophe est dérisoire, moqueuse, le poète est étranger à lui-même ; il appartient au
monde minéral. Sphinx = granite.
- Non seulement étranger à lui-même, oublié du reste du monde (vers 22-23). Ce n'est même plus une curiosité
archéologique.
- Le poète est comme un vieux sphinx qui ne chante plus qu'au soleil couchant (contrairement à la statue de Memnon
prés de Louxor  : à la suite d'un séisme les vibrations du soleil levant lui font faire un bruit). C'est un symbole,
Baudelaire ne sait plus que dire de la mort et la disparition.

Conclusion

Baudelaire en tant qu'homme et poète est victime du spleen :


- Pour l'homme, sa mémoire est un cimetière où ne règne que l'ennui.
- Pour le poète, il est paralysé, il ne sait plus que dire la mort.

Poétiquement Baudelaire exprime son spleen par une accumulation de métaphores, apparemment chaotiques mais en
fait très liées.

Proposition de plan pour une étude non linéaire de Spleen - LXXVI

I. Composition du poème

- Soin typographique
      . Vers 1 indépendant = synthèse du poème
      . Déséquilibre des strophes = déséquilibre intérieur
      . Présence de tirets = mise en valeur de 8 -> moi baudelairien mort
                                                           19 -> dédoublement

- Composition
      . Vers 1 indépendant
      . 2° strophe = souvenir chaotique, Baudelaire envahit par le passé
      . 3° strophe = gradation tragique -> la vie le quitte et le pétrifie

II. Les composantes du spleen

- Spleen = mal mental dont la relation avec le temps est déformée


      . Baudelaire dépassé par le temps

      . La fuite du temps est un thème obsédant de Baudelaire

- L'ennui, fruit de la morne curiosité

- Mal morbide, Baudelaire hanté par la Mort


      . Endroits mortuaires
      . Récurrence mort

- Le spleen est despote.


      . Cimetière romantique # cimetière baudelairien
      . Légende de Memnon

III. Ecriture romantique et symboliste

- Tonalité lyrique : le moi de Baudelaire s'exprime


      . Autobiographie
      . Tutoiement
      . Spleen = forme aggravée des premiers romantiques

- Correspondance :
      . Définition
      . Ame sans espoir
      . 20, le granit = pétrifie, ne vit plus
      . 21, Sahara = géographie sentimentale -> Mal mental

3)LE CRÉPUSCULE DU MATIN - Tableaux Parisiens

La diane chantait dans les cours des casernes,


Et le vent du matin soufflait sur les lanternes.
 
C'était l'heure où l'essaim des rêves malfaisants
Tord sur leurs oreillers les bruns adolescents ;
Où, comme un oeil sanglant qui palpite et qui bouge,
La lampe sur le jour fait une tache rouge ;
Où l'âme, sous le poids du corps revêche et lourd,
Imite les combats de la lampe et du jour.
Comme un visage en pleurs que les brises essuient,
L'air est plein du frisson des choses qui s'enfuient,
Et l'homme est las d'écrire et la femme d'aimer.
 
Les maisons çà et là commençaient à fumer.
Les femmes de plaisir, la paupière livide,
Bouche ouverte, dormaient de leur sommeil stupide ;
Les pauvresses, traînant leurs seins maigres et froids,
Soufflaient sur leurs tisons et soufflaient sur leurs doigts.
C'était l'heure où parmi le froid et la lésine
S'aggravent les douleurs des femmes en gésine ;
Comme un sanglot coupé par un sang écumeux
Le chant du coq au loin déchirait l'air brumeux ;
Une mer de brouillards baignait les édifices,

Et les agonisants dans le fond des hospices


Poussaient leur dernier râle en hoquets inégaux.
Les débauchés rentraient, brisés par leurs travaux.
 
L'aurore grelottante en robe rose et verte
S'avançait lentement sur la Seine déserte,
Et le sombre Paris, en se frottant les yeux,
Empoignait ses outils, vieillard laborieux.

Il Crepuscolo Del Mattino

Cantava la diana nei cortili delle caserme


il vento dell'alba soffiava sulle lanterne.

Era l'ora in cui lo sciame dei sogni malsani


torce i bruni adolescenti sui guanciali,
in cui la lampada come un occhio sanguinante,
fa una macchia di rosso sul giorno , palpitando,
e l'anima sotto il peso del corpo intorpidito
imita quella lotta del lume del mattino.
Come una faccia in lacrime che la brezza asciuga
l'aria è piena del brivido delle cose in fuga,
l'uomo è stanco di scrivere e la donna d'amare.

Le case, qua e là, cominciavano a fumare


Le donne di vita, con le palpebre livide
a bocca aperta dormivano il loro sonno abbrutito
le accattone ciondolando i seni magri e freddi
soffiavano sui tizzoni si soffiano sulle dita.
Era l'ora in cui crescevano i tormenti,
tra il freddo e la miseria delle partorienti;
come un singhiozzo rotto da un sangue schiumoso
un gallo lontano squarciava l'etere brumoso;
un mare di nebbia bagnava gl'isolati
e gli agonizzati in fondo agli ospedali
cacciavano l'ultimo rantolo in sussulti ineguali.
Rientravano rotti dagli stravizi i debosciati\delinquenti.

L'aurora rabbrividente vestita di verde e di rosa


avanzava lentamente sulla Senna deserta
e la tetra Parigi stropicciandosi gli occhi,
impugnava i suoi arnesi vecchiaia laboriosa.

Il Crepuscolo della Sera e Il Crepuscolo del Mattino appartengono alla sezione dei Tableaux Parisiens, e sono stati
pubblicati l’1 febbraio del 1852, nella Semaine Théâtrale.   Nonostante nella sezione le due poesie occupino due
posizioni distanti, nella mente di un lettore o di un appassionato, inevitabilmente, si susseguono. Di fatto, sono due
testi che si completano a vicenda, attraverso cui, ancora una volta, Baudelaire ci mostra la polarità della sua intera
opera: una duplice luce, uno spazio intermedio in cui giorno e notte si intrecciano, rivelandoci così la loro opposta
verità.

-Les Fleurs du mal, publi es pour la premi re fois en 1857, constituent une des œuvres majeures de Charles
Baudelaire. Ce recueil de po mes compos de six parties se pr sente comme l'itin raire d'un homme d chir entre









deux aspirations contraires : le spleen et l'id al, deux termes oppos s qui donnent son titre la premi re partie de
l'œuvre. Le po me « Le cr puscule du matin » est le dernier de la section «Tableaux parisiens ». Il s'agit d'un po me
de jeunesse crit par Baudelaire en 1847. Ce dernier r dig l'imparfait se pr sente comme un souvenir de la p riode
o Baudelaire r sidait chez sa m re et son beau- p re. D s le titre du po me, le lecteur d c le une certaine
ambivalence. En effet, l’opposition du « cr puscule » annon ant la fin du jour et du « matin », symbole quant
lui d’un jour nouveau, cr e un effet oxymorique. Dans ce po me de forme libre, r dig en alexandrins et en
rimes suivies, Baudelaire met en œuvre la fameuse alchimie po tique pour « extraire la beaut du mal ». Comment
Baudelaire parvient-il illustrer la th matique de la boue (sporco) et de l’or travers la description de Paris?

LECTURE
Le po me d bute par un distique constitu d’une seule phrase permettant de planter le d cor. Les verbes sont
l’imparfait (« chantait » v1, « soufflait » v2) ce qui montre que Baudelaire voque un souvenir de jeunesse t moignant
d’une certaine m lancolie. Au d but du vers 1, « la diane » est personnifi e gr ce au verbe « chantait ». Cette
personnification rejoint la th matique de la boue et de l’or tant donn que « la diane » qui est une sonnerie
stridente pour r veiller la caserne fait ici l’action de chanter. Ainsi, Baudelaire trouve de la beaut dans ce qui
semble laid. D’autre part, « la diane », dans un sens plus ancien, tait utilis e par les alchimistes pour se r f rer
au m tal ce qui peut tre rapproch du travail d’alchimiste du po te. De plus, « la diane » peut galement avoir
un autre sens et d signer la d esse de la nuit. Au d but de ce po me, le regard se porte donc sur le r veil au sein
« des casernes ». Ce lieu apparait comme une sorte d’ picentre : le r veil d bute dans les casernes puis s’ tend
ensuite dans toute la ville. Dans ce distique, on peut galement noter la pr dominance des sens et notamment de
l’ou e (« chantait » v1), de la vue (« les lanternes » v2) et du toucher (« soufflait » v2). Enfin, la m taphore du vers 2
montre que le jour prend le pas sur la nuit (« le vent du matin soufflait sur les lanternes ») et permet donc de placer un
cadre temporel. En effet, le « matin » qui est d sign de fa on explicite chasse la nuit qui est quant elle d sign e de
fa on implicite par le groupe nominal « les lanternes » (v2). Ainsi, « les lanternes » laissent place au jour et donc la
lumi re artificielle est remplac e par la lumi re naturelle.

Le po me se poursuit avec une deuxi me strophe de 9 vers constitu e de deux phrases. Cette derni re cr e une
atmosph re cr pusculaire s’inscrivant dans un registre fantastique. Elle commence par la formule « C’ tait
l’heure o » reprise galement la troisi me strophe. Cette expression permet de mettre en valeur l’action en
insistant sur sa r p tition gr ce l’utilisation de l’imparfait valeur d’habitude (« tait » v3).
La m taphore des vers 3 et 4 soulign e par l’enjambement t moigne d’un sommeil agit («r ves malfaisants » v3). Les
r ves sont ici compar s des insectes donnant une impression de flou\confusione. Cette id e est renforc e par
l’allit ration en « r » produisant une sonorit d sagr able. Ce sommeil agit est source de souffrance comme le
montre l’expression « tord sur leurs oreillers » (v4). Ainsi, les lits cens s tre des lieux de repos sont d sign s
p jorativement. Ce sont « les bruns adolescents » qui sont victimes de ce sommeil agit . C’est la premi re fois que le
po te d signe des personnages. L'article d fini « les » qui d termine « bruns adolescents » permet une
g n ralisation. L’adjectif « bruns » qui qualifie le nom « adolescents » fait r f rence leur c t sombre. En effet,
les « r ves malfaisants » peuvent traduire les r ves rotiques.
Les vers 5 et 6 tablissent une comparaison entre « un œil sanglant » et une « lampe ». La lampe ici fait r f rence au
soleil, c’est donc une m tonymie. Le parall lisme « qui palpite et qui bouge » rattach « l’œil sanglant » connote la
vie et ainsi le lev e du jour si on transpose cela la « lampe » et donc au soleil. « La tache rouge » caus e par cette
derni re renvoie la couleur du cr puscule et rappelle ainsi le c t sanglant. Tout cela participe donc au
fantastique en sugg rant une atmosph re morbide et inqui tante. Le pronom relatif « o » employ au d but du
vers 7 cr e une anaphore au rythme ternaire (v5, v3 et v7). Ce vers voque la dualit de l’ me et du corps : l’ me ne
parvient plus vaincre le corps. De plus, l’adjectif pith te « lourd » montre que le sommeil s’empare du corps. On
peut galement noter une dimension m taphysique. Le verbe « imiter » conjugu la troisi me personne du singulier
a une connotation d pr ciative. Aussi, « les combats » (v8) renforce cette id e de dualit et l’ vocation du « jour » (v8)
certifie l’analogie. « La lampe » et « le jour » s’associent pour vaincre l’obscurit caract ris e par la nuit.

Le vers 9 marque le d but de la deuxi me phrase de la strophe. Le comparant « comme un visage en pleurs » rappelle
la souffrance tandis que la proposition relative « que les brises essuient » produit une sonorit imitant le souffle. De
plus, les « choses qui s’enfuient » voqu es au vers 10 repr sentent toutes les choses de la nuit chass e par le jour.
Enfin, le terme « frisson » rappelle le fantastique. Ainsi, la nuit qui disparait est compar e un « visage en pleurs »


























































































































































































car Baudelaire d crit la fin d’une nuit qui a t pleine de souffrances. La nuit est donc domin e par le spleen.
Pour finir, le dernier vers de la strophe commence par la conjonction de coordination «et» qui tablit un rapport
cause- cons quence entre « les choses qui s’enfuient » et « l’homme est las d’ crire et la femme d’aimer ». En effet,
lorsque la nuit dispara t l’homme n’est plus capable de cr er et la femme d’aimer. Cela s’explique par le fait
que l’homme en g n ral ou plus particuli rement le po te qui a pour t che « d’ crire » trouve son inspiration
la nuit. C’est donc une allusion la vocation po tique. Chez Baudelaire, l’homme est effectivement repr sent
comme un artiste qui cr e la nuit. De plus, on peut noter que l’homme aurait pour Baudelaire une fonction de
cr ateur et la femme seulement la fonction « d’aimer ». Enfin, ces derniers sont d sign s par des d terminants
d finis (« le », « la ») ce qui t moigne d’une volont de g n ralisation.

La strophe suivante est compos e de treize alexandrins et fait le portrait collectif des diff rentes cat gories
humaines qui hantent Paris avant le lever du jour. Ainsi, on peut voir que Baudelaire largit sa description. En
effet, au d but du po me, il s’agit seulement du r veil des hommes des casernes, cependant, il voque pr sent
diff rents types de personnes ce qui donne de l’ampleur son propos.
Le vers 12 constitue une phrase courte permettant de situer l’action. Il indique l’arriv e de la nuit et donc le
coucher du soleil. « C et l » montre que c’est un fait qui s’ tale partout. Enfin, les maisons qui fument
renvoient aux chemin es. Ensuite, Baudelaire d crit trois types de femmes l’ tat de d bauche, tra nant ainsi dans
la boue au sens concret et philosophique. Tout d’abord, au vers 13, la p riphrase « les femmes de plaisir » d signe les
prostitu es dont le corps est marqu par les nuits de d bauche comme le montre « la paupi re livide » et la «
bouche ouverte ». Cela cr e un tableau path tique. De plus, le po te qualifie leur sommeil de « stupide » ce qui est
donc p joratif. Baudelaire entame ensuite en nouveau portrait, rendant cette fois-ci compte de la pauvret qui
envahit Paris. Dans ce but, il dresse le portrait des « pauvresses », utilisant un participe pr sent « trainant » qui
montre que l’action est en cours, comme si elle se d roulait devant ses yeux. Ce verbe annonce un rapprochement de
ces femmes vers le sol, lieu o la boue si ge dans l’univers de Baudelaire. Un vocabulaire cru est employ (« seins
maigres et froids ») afin de rendre le tableau plus r aliste et mettre en vidence la duret de leur condition. Le
parall lisme « soufflaient sur leurs tisons et soufflaient sur leurs doigts » met en avant la pauvret et la difficult de
survivre face au froid de la nuit. La structure du vers 3 est reprise avec la d claration « C’ tait l’heure o » et
l’enjambement. Baudelaire place le contexte de son portrait avec « parmi le froid et la l sine ». Les conditions des
femmes pr c demment voqu es, d j mauvaises, « s ‘aggravent », ce qui donne un effet de surench rissement et
ainsi d’accablement face la douleur. La conjonction « comme » au vers 19, annonce une comparaison, ici morbide.
Cependant, le comparant est plac avant le comparant ce qui entraine une certaine attente chez le lecteur et donc un
myst re. Baudelaire utilise le jeu de sonorit s entre « sang » et « sanglot » pour illustrer la souffrance, et plus
pr cis ment les deux facettes distinctes qu’elle peut prendre : une douleur physique avec le « sang » et plus int rieure
avec « sanglot ». A la suite de l’enjambement, l’identit du compar est enfin r v l e : « chant du coq ». Or ce dernier
doit in vitablement tre mis en parall le avec la « diane » qui « chantait » au premier vers. Cette fois-ci l’ordre
des mots a volu avec le « chant du coq » qui « d chirait ». Cela permet donc d’ajouter une nouvelle nuance: ce son
est responsable de la destruction comme la personnification (« d chirait ») en t moigne. La localisation apport e au
chant : « au loin » met en vidence la puissance de ce son. Avec le compl ment d’objet direct «l’air brumeux »,
Baudelaire fait r f rence au climat d sagr able de Paris, mais galement la brume form e l’aurore. On retrouve
notamment le champ lexical d’une atmosph re vaporeuse, ce qui donne une impression de flou, de myst re. Cette
id e est confirm e par la m taphore fil e de la «mer de brouillards». «les difices» reprend les nombreuses
constructions de la ville. Baudelaire voque au vers suivant, une autre cat gorie de personnes qui souffrent : « les
agonisants ». Ce portrait est donc associ un champ lexical de la souffrance tr s important avec l’euph misme «
dernier r le » (qui d signe la mort) ou « hoquet in gaux ». Il choisit de situer la sc ne dans « le fond des hospices »,
ce qui donne une impression de solitude, la soci t semble les avoir rejet s pour les laisser d p rir loin, dans
ces hospices. « les d bauch s » renvoie aux travailleurs de la nuit, dont les actions nocturnes les rapprochent de
la d bauche. Ce n’est qu’au signal de coq, et ainsi du soleil, qu’ils arr tent leurs activit s pour retourner chez
eux. Cependant, leurs actions et leur d bauche ne sont pas sans cons quence puisqu’ils rentrent, d’apr s la
m taphore, « bris s ». Dans cette strophe, Baudelaire a ainsi mis en sc ne diff rents repr sentants de la d bauche, les
pr sentant tels des fant mes qui hanteraient la ville durant la nuit, jusqu’au lever du jour.

La derni re strophe de ce po me est un quatrain qui fait de Paris et de l’aurore deux entit s vivantes, proposant
ainsi deux personnifications. L’allit ration en r permet au lecteur d’entendre pleinement l’aurore grelotter («





























































































































































grelottante »). La personnification se poursuit avec « en robe rose et verte », les v tements tant un attribut r serv
aux tres humains et l’emploi du verbe « s’avan ait ». Malgr ce mouvement, l’aurore semble tre faible, bout de
force, comme en t moigne l’adverbe « lentement » et sa souffrance apparente face au froid de la nuit. « Seine d serte »
permet de remettre au centre la ville, qui semble attendre l’arriv e du soleil pour s’animer. Le bruit continu de l’eau
est repr sent par les allit rations en s du vers. Apr s avoir t d sign par cet embl me, Baudelaire nonce
distinctement le lieu de l’action, une ville au cœur de nombreux de ses crits, Paris. Elle est cependant qualifi e
d’un adjectif, «sombre\scuro», qui connote l’absence de soleil mais qui semble galement poss der un sens
m taphorique: avec tout ce que l’auteur a d crit pr c demment, il montre que les t n bres (et ainsi le spleen)
se sont empar s de la ville durant le nuit. La m tonymie employ e, conf rant la ville les actions de ses habitants,
dresse l’image d’une ville s’ veillant. Pourtant ce r veil s’accompagne d’un in vitable retour au travail. Cela est
notamment visible l’utilisation d’un participe pr sent (« en se frottant les yeux ») qui indique la simultan it
avec l’action suivante : « empoignait ses outils ». Cette simultan it indique qu’ peine r veill , « Paris » doit se
mettre au travail, Baudelaire d non ant les conditions de travail et de vie des travailleurs. Le dernier
h mistiche du po me laisse entendre sa voix qui crie, comme le montre le point d’exclamation, « vieillard
laborieux ». Il qualifie Paris de « vieillard » puisque Paris poss de une longue histoire et l’ poque elle tait
tr s d labr e, et ce malgr les travaux entrepris par le baron Haussmann. Ce nom peut galement tre interpr t
comme une nouvelle caract ristique de l’ouvrier incarn par la ville, permettant d’illustrer les difficult s que
rencontrent ses habitants, devant travailler en ayant un ge avanc . L’adjectif « laborieux » permet de poursuivre la
personnification de Paris en ouvrier.
Dans ce po me, Baudelaire d crit la lente ascension du soleil et ses cons quences sur les habitants de Paris. Au
travers de nombreux portraits, il voque la d bauche qui semble s’ tre empar e de ce lieu embl matique de la boue.
L’arriv e du soleil et donc de la lumi re, chasse l’obscurit de la nuit, sonnant la fin des souffrances des
d bauch s. Le soleil, repr sentant principal de l’or, dont la couleur est galement similaire, se l ve, tendant
ainsi un peu plus vers l’Id al.

Pour finir, ce po me est indissociable d'un autre po me figurant dans la m me partie et qui s’intitule "Le cr puscule
du soir". Tous les deux r pondent une sorte de commande qui a t faite Baudelaire. En effet, le po te devait
crire un po me sur la nature au r veil, cependant, il voquera la ville pr textant que la nature ne l’int resse pas.
Contrairement au « Cr puscule du matin », ce dernier annonce le passage du soir la nuit. Baudelaire dresse
ainsi un portrait des hommes et de leurs activit s nocturnes dans une atmosph re lourde et sombre qui lui
permet d’accorder une place centrale au spleen.

-INTRODUCTION
Parmi les villes, Paris est celle qui joue un rôle à part car, dès la seconde moitié du XIX° siècle, elle s’affirme comme
un centre   de culture où tous les artistes se retrouvent pour créer en lançant des courants nouveaux. Dans la poésie,
les regards des poètes se croisent sur cette ville et Baudelaire lui dédie, dans son recueil Les Fleurs du mal, une
section entière, qu’il intitule « Tableaux parisiens ».

Charles Baudelaire (1821-1867) est un représentant de ceux que l’on a nommés, au XIX° siècle, les «  poètes
maudits ». Il vit une enfance perturbée par le décès de son père, suivi du remariage de sa mère avec le général Aupick,
détesté. Après des années de pensionnat, il joue les dandys à Paris, mène une vie de bohème, dilapidant son héritage,
ce qui déplaît fort à sa famille. Placé sous tutelle financière, il gagne sa vie grâce à des travaux de critique littéraire et
artistique,  et commence à publier dans des revues. Mais le recours aux «  paradis artificiels  » détruit peu à peu sa
santé, jusqu’à la syphilis qui l’emporte. [pour en savoir plus : http://www.alalettre.com/baudelaire-bio.php]
Baudelaire a hésité entre plusieurs titres pour son recueil. Il a d’abord pensé à Les Lesbiennes, titre provocateur,
« titre-pétard » comme il le disait lui-même pour afficher sa volonté de choquer. Il correspondait surtout à la 4ème
section du recueil, celle qui a été la plus censurée à la suite du procès subi dès la parution. Puis il envisagea un titre
plus énigmatique, Les Limbes, terme qui désigne le lieu où vont les âmes des enfants morts sans baptême, lieu
intermédiaire donc entre l’enfer et le paradis, les deux pôles d’attraction présents dans le recueil. Il choisit finalement
Les Fleurs du mal, qui est aussi le titre de cette 4ème section, fondé sur un oxymore à double sens : soit l’idée
romantique qu’il y a une beauté dans le « mal », soit, plus intéressante que du « mal » pourraient des « fleurs ». Cela
nous amène alors à la notion de poète-alchimiste, doté du pouvoir de transfigurer la laideur par son art : « Paris,
j’ai pris ta boue et j’en ai fait de l’or », déclare-t-il d’ailleurs.











































































































Le recueil suit un itinéraire. Au centre, comme pour figurer le coeur d’une fleur, « le spleen », un profond mal de
vivre qui associe le monde extérieur (froid, pluie, pauvreté) et l’angoisse existentielle, liée à l’ennui et au temps qui
passe inexorablement. Puis l’on pourrait tracer 6 « pétales », les 6 « sections », autant de tentatives pour échapper
au « spleen ».
-  » Spleen et Idéal », dont l’ordre est, en fait, à inverser, puisque le recueil pose, dès son ouverture, deux idéaux, la
beauté parfaite, et l’amour, sensuel ou sublimé.
- « Tableaux parisiens », ou comment échapper au mal qui vous ronge en errant dans la ville. Mais chaque « tableau »
ramène au spleen.
- « Le vin » pourrait-il faire oublier? En fait, il ne conduit qu’aux pires crimes.
- «  Les fleurs du mal  » est la section qui représente toutes les formes que peut prendre le «  mal  », débauche,
prostitution, « paradis artificiels »…
- « La révolte » est alors la tentation du poète, colère de l’homme contre Dieu, tentation du pacte avec Satan, mais, si
elle soulage, elle ne permet pas d’échapper au spleen.
- « La mort » serait alors le dernier espoir : « Ô mort, vieux capitaine, il est temps ! levons l’ancre ! », s’écrie alors le
poète. Et le recueil se ferme sur ces ultimes vers : « Nous voulons, tant ce feu nous brûle le cerveau / Plonger au fond
du gouffre, Enfer ou Ciel, qu’importe ? / Plonger dans l’Inconnu pour trouver du nouveau ! »
« Crépuscule du matin » est le dernier poème de la section « Tableaux parisiens » : il en constitue comme la synthèse,
tout en annonçant la section suivante. Mais ce titre forme lui aussi un oxymore, puisque le « crépuscule », fin du jour,
s’oppose au «  matin  », symbole du jour nouveau. Il suggère ainsi une ville où l’on vit à l’envers, où la nuit est le
véritable temps vécu. On peut donc s’interroger sur l’image de Paris que ce « tableau » nous dépeint.

LES LIEUX
Le poème est construit autour d’un effet d’élargissement : il va de l’intérieur à l’extérieur.
Pour l’intérieur, Baudelaire nous présente d’abord des lieux clos de murs, signes déjà d’enfermement, « les cours
des casernes », puis les chambres, enfin « le fond des hospices », lieu encore plus reculé. De l’ensemble ressort  une
impression de pauvreté, avec la reprise parallèle du verbe « soufflaient » au vers 16, à laquelle s’ajoutent « le froid et
la lésine ». Puis il effectue un gros plan sur les « lits », montrés non pas comme des lieux de repos ni d’apaisement,
mais de façon péjorative. On note, aux vers 3-4, la métaphore « l’essaim des rêves malfaisants » qui traduit les désirs
érotiques insatisfaits des « adolescents ». Ensuite, aux vers 13-14, vient le sommeil des prostituées, qui, avec l’adjectif
«  stupide  », ressemble plutôt à une sorte d’abrutissement animal. Il termine, des vers 18 à 23, par les lits de
souffrances, ceux des femmes qui accouchent, dont « les douleurs s’aggravent », ou des « agonisants ».
Pour le monde extérieur, la progression se fait à l’inverse, du plus resserré au plus vaste. On passe, en effet, des
« maisons çà et là », vues une à une donc, à une vision plus globale des « édifices ». Mais, dans les deux cas, un flou
noie les formes dans un gris omniprésent : elles « commençaient à fumer » (vers 12), et « l’air brumeux » (vers 20)
devient « une mer de brouillard [qui] noyait les édifices » (vers 21). L’ensemble conduit à l’image du dernier quatrain,
« le sombre Paris », où l’adjectif se trouve amplifié par la prononciation exigée du [e] muet devant la consonne.
Ainsi le poème baigne dans une atmosphère sinistre.

LES ÊTRES HUMAINS


Le poème présente une galerie de personnages, tous désignés par le déterminant défini qui marque des catégories, au
singulier au vers 11, mais, plus souvent, au pluriel.
Le déterminant singulier peut prendre une double sens. Soit il permet de particulariser, dans ce cas « l’homme » qui
est « las d’écrire » serait le poète lui-même, qui compose son oeuvre de nuit, et « la femme », sa compagne pour la
nuit. Soit il permet, inversement, d’élargir, et « écrire » désignerait alors la tâche de « l’homme », créateur, laissant
son empreinte sur le monde, tandis qu’à la « femme » reviendrait la fonction d’ »aimer ».
Le déterminant pluriel place d’ailleurs au centre du tableau les femmes, parmi lesquelles nous distinguons 3
catégories. Il y a d’abord la périphrase, les « femmes de plaisir » (vers 13-14) qui représente les prostituées, dont le
corps est marqué par les nuits de débauche, avec « la paupière livide » et la « bouche ouverte ». Cet épuisement du
corps est souligné par le jeu sur les [e] muets, élidé, puis prononcé sur la coupe du vers. Puis « les pauvresses » (vers
15) sont, elles aussi, d’abord vues par leur corps. La misère a détruit le signe de leur féminité : « traînant leurs seins
maigres et froids  », où l’on notera l’allitération désagréable du [ R ] associé aux consonnes. Enfin sont évoquées
rapidement les souffrances des « femmes en gésine », en train de donner la vie cependant.
Pour les personnages masculins, ce sont également les corps qui sont mis en valeur, les « bruns adolescents »
étant déjà agités de désirs inassouvis, tandis que le texte se ferme sur ceux qui ont pu les réaliser, « les débauchés »





alors « brisés » (vers 23). Un vers auparavant, étaient mentionnés « les agonisants », comme pour figurer le sort ultime
promis à ces corps usés.
Ainsi la prédominance du corps se constate à travers tous les groupes évoqués, et cela se trouve expliqué au vers
7 : «  Où l’âme sous le poids du corps revêche et lourd  ». Reprenant ici l’idée philosophique platonicienne – et
chrétienne – de dualité de l’être, Baudelaire oppose, par les deux adjectifs, la pesanteur de la matière, à l’aspiration à
l’idéal. Il développe alors une double comparaison pour illustrer la lutte intérieure de ces deux composantes humaines
: l’âme « imite les combats de la lampe et du jour », comme pour vaincre les ténèbres de la matière. Elle est ensuite
comparée à « un oeil sanglant qui palpite et qui bouge », vision qui semble déjà traduire la mort, l’échec promis à cette
force lumineuse : la lueur de la « lampe » ne peut pas plus vaincre les ténèbres que « l’âme » élevée ne peut vaincre le
« corps » qui la maintient au sol.
Ce vers reprend donc le titre de la 1ère section du recueil, le combat entre le « spleen » et « l’idéal », et chacun des
personnages représentés prouve le triomphe du « spleen », sous toutes ses formes.

LE SYMBOLISME
Cette étude conduit à analyser le symbolisme du titre.
En quoi s’agit-il du tableau d’un « crépuscule » ? C’est la fin d’une nuit que nous montre Baudelaire, et, pendant
cette nuit, toute une vie s’est écoulée. Elle a été le temps de toutes les débauches, de toutes les douleurs : celles des
«  rêves malfaisants  »,  celles du travail nocturne du poète, celles de toutes les formes d’amour, jusqu’au fait
d’accoucher,  celles de l’agonie,  celles des débauches. D’où la comparaison qui traduit la disparition de la nuit,
«  Comme une visage en pleurs que les brises essuient / L’air est plein du frisson des choses qui s’enfuient  », où
l’allitération en [s] semble reproduire une sorte de souffle léger.
Par opposition des signes vont ponctuer le texte pour signifier le « matin », dès le deuxième vers, « la diane »,
bruit strident de la sonnerie du clairon pour réveiller la «  caserne  ». Puis, au vers 8, le «  jour  » va remplacer la
«  lampe  », le «  vent  » va éteindre les «  lanternes  ». Ensuite au vers 20, le «  chant du coq  au loin déchirait l’air
brumeux ». Ici les sonorités soulignent l’aspect rauque, et la comparaison qui suit l’associe à la mort, avec un jeu sur
les sons : « Comme un sanglot coupé par un sang écumeux ». Le sang ici apparaît plus comme un « sang » de mort que
de vie.Enfin le poème se clôt sur l’allégorie de la dernière strophe, avec l’image de « l’aurore » et Paris, « se frottant les
yeux ».

Mais vers quoi s’ouvre ce matin  ? Ouvre-t-il un espoir  ? En fait, la nuit n’a apporté ni repos ni apaisement  : au
contraire « l’aurore » correspond au moment où s’intensifient les souffrances. D’ailleurs, malgré l’image colorée de
l’aurore, qui rappelle celle d’Homère (« l’aurore aux doigts de rose »), ici « en robe rose et verte », elle semble, en
réalité, sans forces, « grelottante » (vision soutenue par l’allitération en [R]) et épuisée avec l’adverbe « lentement ».
Intervient alors la personnification de Paris en « vieillard laborieux », adjectif amplifié par la diérèse, comme si la ville
elle-même avait subi l’usure du temps et n’avait, comme seul espoir, qu’une nouvelle journée d’un travail
épuisant.

CONCLUSION
C’est bien un « tableau » que nous offre ici Baudelaire, qui maîtrisait parfaitement, comme le prouvent les articles des
Salons, l’art pictural. Il y met en oeuvre les «  synesthésies  », ces «  correspondances horizontales  » associant les
sensations, visuelles, auditives, tactiles, olfactives… pour créer une impression d’ensemble, une atmosphère
sombre, pour reproduire l’état de «  spleen  » du poète. Celui-ci trouve, dans Paris, l’image de ses propres
souffrance, créant ainsi une autre forme de «  correspondance  » entre l’état d’âme, le «  microcosme  », et le monde
extérieur, le «  macrocosme  ». La foule de personnages peints n’est faite que de miséreux, misères de l’âme et du
corps. Les couleurs sont sombres, noyées dans un brouillard à peine coupé de lueurs rouges, et par une aube, bien
pâle, à la fin du poème.
Ce poème constitue un diptyque à rapprocher de « Crépuscule du soir », tout aussi sombre pour évoquer « la cité de
fange »

4)L’ÂME DU VIN - Le Vin

Un soir, l’âme du vin chantait dans les bouteilles :


« Homme, vers toi je pousse, ô cher déshérité,



Sous ma prison de verre et mes cires vermeilles,


Un chant plein de lumière et de fraternité !

Je sais combien il faut, sur la colline en flamme,


De peine, de sueur et de soleil cuisant
Pour engendrer ma vie et pour me donner l’âme ;
Mais je ne serai point ingrat ni malfaisant,

Car j’éprouve une joie immense quand je tombe


Dans le gosier d’un homme usé par ses travaux,
Et sa chaude poitrine est une douce tombe
Où je me plais bien mieux que dans mes froids caveaux.

Entends-tu retentir les refrains des dimanches


Et l’espoir qui gazouille en mon sein palpitant ?
Les coudes sur la table et retroussant tes manches,
Tu me glorifieras et tu seras content ;

J’allumerai les yeux de ta femme ravie ;


A ton fils je rendrai sa force et ses couleurs
Et serai pour ce frêle athlète de la vie
L’huile qui raffermit les muscles des lutteurs.

En toi je tomberai, végétale ambroisie,


Grain précieux jeté par l’éternel Semeur,
Pour que de notre amour naisse la poésie
Qui jaillira vers Dieu comme une rare fleur ! »

TRADUZIONE

L’anima del vino

Dentro le bottiglie cantava una sera l’anima del vino:


‘Uomo, caro diseredato, eccoti un canto pieno
di luce e di fraternità da questa prigione
di vetro e da sotto le cere dorate!

So quanta pena, quanto sudore e quanto sole


cocente servono, sulla collina ardente,
per mettermi al mondo e donarmi l’anima;
ma non sarò ingrato né malefico,

perché sento una gioia immensa quando scendo


giù per la gola d’un uomo affranto di fatica,
e il suo caldo petto è una dolce tomba
dove sto meglio che nelle mie fredde cantine.

Senti come echeggiano i ritornelli delle domeniche?


Senti come bisbiglia la speranza nel mio seno palpitante?
Vedrai come mi esalterai e sarai contento
coi gomiti sul tavolo e le maniche rimboccate!

Come accenderò lo sguardo della tua donna rapita!


Come ridarò a tuo figlio la sua forza e i suoi colori!

































Come sarò per quell’esile atleta della vita
l’olio che tempra i muscoli dei lottatori!

Cadrò in te, ambrosia vegetale,


prezioso grano sparso dal Seminatore eterno,
perché dal nostro amore nasca la poesia
che come un raro fiore s’alzerà verso Dio!’

Nella raccolta “I fiori del male” Baudelaire riserva al vino una sezione di cinque poesie. C’è il vino degli
straccivendoli, il vino dell’assassino, il vino del solitario , il vino degli amanti. E il vino è di volta in volta consolatore,
istigatore di gesti disperati, dispensatore di piacere al pari dell’amore carnale e del gioco d’azzardo,
amplificatore di stati d’euforia. È questo il Baudelaire che ricordiamo dai tempi della scuola, quello dei paradisi
artificiali, quello dell’oppio e del vino come mezzi di evasione da una realtà dolorosa e grigia. È lui il “maudit”,
il maledetto.
Ma nella prima poesia, “L’anima del vino”, avviene il miracolo. Baudelaire non è più preda del fascino del male, e
ci sembra quasi sereno nella sua ricerca, nel vino, di qualcosa di superiore, di ideale. La sua identificazione è
tale che qui il vino parla in prima persona, nel momento in cui,  ancora prigioniero della bottiglia, desidera
onorare la fatica e il sacrificio con cui l’uomo lo ha creato, offrendosi a lui.
Ed infine, negli ultimi versi, il vino viene sublimato quale vegetale ambrosia, grano prezioso gettato
dall’eterno Seminatore, che  fa sgorgare un fiore raro e prezioso, la poesia.

Introduction

    Dans le poème L'âme du vin, de Charles Baudelaire, six quatrains d’alexandrins rigoureusement construits en
hémistiches égaux de 6 pieds chacun et rimes alternées (féminine, masculine), déploient 5 phrases complexes où
un long discours au style direct exploite savamment les formes exclamatives et interrogatives au moyen de présents,
futurs, modaux, infinitifs, participes, pour donner parole, vie et " âme " à ce premier paradis artificiel : le vin.

Analyse linéaire du poème

Strophe 1 :

Début narratif comme pour un conte. L’imparfait narratif plante un décor adéquat : le soir (moment propice pour
boire), le chant (très souvent accompagnateur des buveurs) et les bouteilles, récipients indispensables pour voir le
précieux liquide et le verser dans des verres pour le boire. La parole et l’esprit sont donnés au vin, mieux encore, le
voilà doué d’une âme : il aime son buveur - " cher " - et il le juge " déshérité ", (la perte d’un héritage est-elle la cause
du besoin de s’enivrer ?). Libéré de sa " prison " que représente la bouteille, il " pousse ", à la manière des bons
vivants " un chant " à boire. " Cires vermeilles " et " lumière " d’une part et " fraternité " d’autre part instaurent
une tonalité de sincérité fraternelle et de franche clarté qui dominera le poème.

Strophe 2 :

Le vin ainsi personnifié, se fait intelligent et savant : il est conscient de la difficulté de planter et d’entretenir une
vigne. Mais son savoir est bienveillant : il veut remercier les hommes de tous leurs efforts, il se veut responsable et
bienfaisant. Il impose sa présence personnifiée dans un registre moral, intensifiant cette bonne conscience par une
négation moralisatrice  :  "  je ne serai point ingrat ni malfaisant  ", contrastant ainsi avec le registre de l’effort
proprement physique du viticulteur ("  de peine, de sueur  "). Le modal "  il faut  " rétablit l’équilibre de l’échange
moralisateur des services rendus. Est-ce un tour du poète pour se faire pardonner de l’objectif ultime des actions
évoquées à savoir le plaisir de l’ivresse ?

Strophe 3 :



Le savant moralisateur que le vin personnifie devient homme doué de sensibilité et de sentiments. La vie
" chaude " et la mort froide comme les " froids caveaux " s’opposent dans un agencement d’images où les organes
concernés de l’" homme usé ", son " gosier ", sa " poitrine ", mettent en valeur la présence spirituelle de ce vin doué
de parole, de mouvements et de sentiments : " je tombe ", " je me plais bien mieux ". Mais c’est sa connaissance de
l’homme et de "  ses travaux  " qui en fait un interlocuteur particulièrement compréhensif et aimant, fraternel,
éprouvant une douceur affectueuse à tomber dans sa "  poitrine  ", région du corps où est situé le cœur. Cette
connaissance va jusqu’à celle de la mort : le poète veut-il signifier que ce paradis artificiel qu’est le vin détient le
secret du mystère de la mort humaine ou bien qu’il console l’homme de ne pas comprendre ce mystère ?

Strophe 4 :

L’identification est totale : le vin personnifié confond son " sein palpitant ", (le sein est synonyme de cœur) avec
celui du buveur. La confusion se fait dans la joie et " un espoir qui gazouille " : Le chant du 1er quatrain est repris
dans ces " refrains " de glorifications et de joie de l’homme " content ". La vie palpitante succède à la mort et aux
"  froids caveaux  ", évoqués dans le quatrain précédent. Elle provoque un effet de contraste tout comme les
" dimanches " et " les coudes sur la table " contrastent avec l’image précédente de l’ " homme usé par ses travaux " :
il retrousse encore ses manches mais pour chanter et boire ! Les connotations de gloire, d’oiseaux qui chantent, de
clairons et trompettes de triomphe, ("  Entends-tu retentir..  "), ainsi que l’injonction interrogative et le
tutoiement des deux verbes au futur, donnent une dimension lyrique presque biblique à ce quatrain  : le vin
personnifié devient prophète, prédicateur.

Strophes 5 et 6 :

Le paradis cesse d’être artificiel, le vin-prophète en est détenteur. Ces 2 quatrains constitués d’alternances identiques
de rimes (- vie,- sie et - eurs, - eur), concrétisent, dans des témoins tirés de la vie, les plus proches de l’homme (" ta
femme  ",  "  ton fils  "), le miracle prédit précédemment  : le bonheur de la femme et la force des enfants sont les
aspirations les plus courantes du mortel devenu ici " frêle athlète de la vie ". La vie est perçue comme une lutte où il
faut se battre au moyen de muscles fermes et huilés. Le vin personnifié, prophétisé, demeure néanmoins liquide mais
un liquide doué de pouvoirs : une " huile qui raffermit les muscles des lutteurs ", une " ambroisie ". Là, le poème
atteint une dimension sacrée chère à Baudelaire  : "  Dieu  ", "  éternel Semeur  ", intervient au sommet de cette
accumulation d’images symboliques, commencée par un liquide doué de parole qui progressivement devient doué de
pouvoirs dépassant et fascinant les êtres humains. Ce dépassement, cette envolée, c’est dans " la poésie " que l’auteur
veut les placer. Est-il convaincu que l’inspiration du poète est d’un ordre surhumain ou veut-il prouver à l’homme
qu’il est de nature divine ? En faisant de ce paradis artificiel qu’est le vin un être vivant doué d’intention et de sens,
Baudelaire fait de chaque homme - s’il le veut bien - un poète. Ce vin magique n’est pas un hasard de la création, il
est "  Grain précieux  jeté par l’éternel Semeur  ", détenteur d’un amour d’un genre unique et d’un pouvoir
particulier, celui de donner naissance à " une rare fleur ", une Fleur du Mal ? se demande-t-on, une de ces 133
poésies inspirées par le Mal de ce monde, ses souffrances ? Ou plutôt à LA poésie, ce paradis naturel, contenu
dans chaque être humain, pourvu qu’il se donne la peine de regarder en lui. Et - consolation, justification,
bonne excuse ? - le vin nous y aide.

5)CXXI -LA MORT DES AMANTS

Nous aurons des lits pleins d'odeurs légères,


Des divans profonds comme des tombeaux,
Et d'étranges fleurs sur des étagères,
Écloses pour nous sous des cieux plus beaux.

Usant à l'envi1 leurs chaleurs dernières,


Nos deux cœurs seront deux vastes flambeaux,
Qui réfléchiront leurs doubles lumières
Dans nos deux esprits, ces miroirs jumeaux.

Un soir fait de rose et de bleu mystique,


Nous échangerons un éclair unique,
Comme un long sanglot, tout chargé d'adieux ;

Et plus tard un Ange, entrouvrant les portes,


Viendra ranimer, fidèle et joyeux,
Les miroirs ternis et les flammes mortes.
1 à l'envi : sans modération

LA MORTE DEGLI AMANTI

Avremo letti pieni di profumi leggeri,


divani profondi come tombe,
e sulle mensole fiori strani,
dischiusi per noi sotto cieli più belli.

A gara bruciando gli estremi ardori,


saranno i nostri cuori due grandi fiaccole,
specchianti le loro doppie luci
nei nostri spiriti, specchi gemelli.

Una sera fatta di rosa e di mistico azzurro,


ci scambieremo un unico bagliore,
come un lungo singhiozzo, grave d’addii;

e un Angelo più tardi, schiudendo le porte,


lieto e fedele verrà a ravvivare
gli specchi offuscati e le fiamme morte.

Plan de l'analyse linéaire

I. Premier quatrain - Un lieu étrange


II. Second quatrain - Profiter des derniers instants
III. Premier tercet - La mort idéalisée
IV. Second tercet - Un renouveau après la mort

Analyse linéaire

I. Premier quatrain - Un lieu étrange

Nous aurons des lits pleins d'odeurs légères,


Des divans profonds comme des tombeaux,
Et d'étranges fleurs sur des étagères,
Écloses pour nous sous des cieux plus beaux.

Le pronom personnel "nous" du vers 1 et le titre ("amants") montrent d'emblée une union amoureuse. Les amants
ne seront pas séparés par la mort.
Le lieu décrit dans le premier quatrain semble accueillant ("lits pleins d'odeurs légères", "divans profonds",
"fleurs"). Idée de remplissage ("plein d'odeurs") opposée à celle du néant, du vide.
L'assonance douce en [on] des vers 1 et 2 montrent un lieu doux et agréable.
Mais dès le vers 2, le champ lexical de la mort apparaît ("tombeaux") montrant la présence de la mort. La mort est
associée à une sensation de confort ("divans profonds"), montrant ainsi tout de suite une image positive de la mort.












Au vers 3, l'atmosphère agréable suscitée par "les fleurs" est contrebalancée par l'adjectif "étranges", les rendant
ainsi inquiétantes, mystérieuses. L'adjectif "étranges" est mis en valeur par son antéposition ("étranges fleurs").
Au vers 4 ("Écloses pour nous sous des cieux plus beaux"), le comparatif "plus" montre que le lieu où se trouvent les
amants n'est pas idéal, il existe des lieux "plus beaux", et le lieu où se trouvent les amants peut être un accès à ce
lieu plus beau puisque les fleurs qu'il contient en viennent.
Les "cieux" ont une connotation spirituelle, représentent l'élévation de l'âme.

Il y a une opposition entre le bas et le haut ("profonds" / "cieux", "tombeaux" / "étagères"), qui indique
déjà une notion de passage du monde réel (bas) vers un monde mystique (haut).

Dans tout le poème, le poète emploie le futur : il semble déjà avoir visité cet au-delà.

Ce premier quatrain présente un lieu qui semble agréable et associé à l'idée de la mort, montrant ainsi déjà une image
paradoxalement positive de la mort.

II. Second quatrain - Profiter des derniers instants

Usant à l'envi leurs chaleurs dernières,


Nos deux cœurs seront deux vastes flambeaux,
Qui réfléchiront leurs doubles lumières
Dans nos deux esprits, ces miroirs jumeaux.

Le vers 5 donne une sensation de profusion avec "à l'envi" (sans modération), mais l'adjectif "dernières", placé en
antéposition, montre que l'on use ici ses dernières forces de vie, avant la mort. Il faut profiter des derniers instants, le
poète associe donc la mort à une notion de plaisir et de sensualité ("chaleurs").
Le champ lexical de la chaleur ("chaleurs", "flambeaux") est opposé à la froideur traditionnellement associée à la
mort.

Au vers 6, les "vastes flambeaux" montrent une nouvelle fois une image positive de la mort (évoquée par
"flambeaux") car associée à l'adjectif "vastes".

Les vers 6, 7 et 8 montrent l'union des amants, avec le champ lexical de la dualité ("deux" répété 3 fois, "de" qui
ressemble phonétiquement à "deux", "doubles", "miroirs", "jumeaux"). L'anaphore de "nos deux" (vers 6 et 8)
insiste sur cette dualité.

Il y a une gradation, les deux âmes se rapprochent dans le quatrain  : d'abord, elles sont "deux", puis elles se
"réfléchiront" comme des "miroirs" pour devenir des "jumeaux".
Au vers 8, le décasyllabe ("Dans nos deux esprits, ces miroirs jumeaux") a une coupure régulière (5/5) qui insiste sur
cette symétrie entre les deux êtres -> la forme sert le fond.

Au vers 8, le mot "esprits" montre que l'union amoureuse prend une dimension spirituelle plus que physique.
D'ailleurs, les amants ne sont désignés que par métonymie dans ce quatrain ("cœurs", "esprits"), comme s'ils
commençaient à se séparer de leur corps.

Dans tout le quatrain, le champ lexical de la lumière est présent ("chaleurs", "flambeaux", "réfléchiront",
"lumières", "miroirs"), ce n'est pas habituel pour parler de la mort, et cela montre encore une fois une image
positive de la mort.

Comme dans le premier quatrain, ce deuxième quatrain montre une image positive de la mort : elle permet aux deux
âmes de se rapprocher et de profiter des dernières chaleurs.

III. Premier tercet - La mort idéalisée

Un soir fait de rose et de bleu mystique,


Nous échangerons un éclair unique,
Comme un long sanglot, tout chargé d'adieux ;

Au vers 9, le "soir" est une allégorie de la fin de la vie, comme une fin de journée.
La couleur traditionnellement rattachée à la mort est le noir. Ici Baudelaire contredit totalement cette image,
avec des couleurs douces et belles "de rose et de bleu". Cette mort est "mystique", donc elle rapproche de dieu, ou
de quelque chose de supérieur à la vie.

Le rapprochement des deux êtres, entamé au deuxième quatrain, est ici total avec l'adjectif "unique" du vers
10 ("éclair unique"). Idée de la fusion avec la chaleur qui se produit dans un éclair.
Le poète passe du pluriel dans les deux quatrains, au singulier dans les tercets.

Le vers 11 est plus mélancolique, avec "sanglot" et "adieux", et semble indiquer que les amants sont morts, mais
la mort n'est pas nommée dans ce tercet.

IV. Second tercet - Un renouveau après la mort

Et plus tard un Ange, entrouvrant les portes,


Viendra ranimer, fidèle et joyeux,
Les miroirs ternis et les flammes mortes.

Au vers 12, "plus tard" traduit une certitude, cela va arriver.

Au vers 12, l'"Ange", symbole du paradis, semble confirmer que les amants sont morts. Les "portes" peuvent
également évoquer les portes du paradis. Le poète est encore dans une dimension mystique, d'ailleurs, le champ
lexical du religieux est présent dans tout le poème ("cieux", "mystique", "ange").

Au vers 13, la mort est battue : le verbe "ranimer" (qui confirme encore que les amants étaient morts puisqu'il faut
les ranimer) montre que l'ange fait revivre les amants, et ce retour à la vie est heureux comme le montre l'ange "fidèle
et joyeux".

Le vers 14 fait écho au deuxième quatrain ("miroirs", "flammes / flambeaux") : la mort a terni les miroirs et éteint
les flammes, mais ils sont ranimés. Ce sont donc les âmes et non les corps qui sont ranimés, car "miroirs" et
"flammes" fait référence à la spiritualité des amants, et non à leur corps. Egalement, l'assonance en [i] des vers 7 et 8
fait également écho à celle des vers 13 et 14.

La mort unifie les amants, et scelle à jamais leur amour. Le poète semble donc l'attendre comme une
libération, comme le montre l'emploi du futur dans le poème.

Hormis dans le titre, le mot "mort" n'apparaît finalement qu'à la toute fin du poème, mais c'est plutôt une
résurrection comme l'a montré le vers 13. D'ailleurs, les "flammes mortes" est un oxymore (flammes = vie) et
l'allitération en [m] réunit les deux mots.

Conclusion

    Nous avons vu que Baudelaire, en utilisant une forme et un thème traditionnels, parvenait à donner une idée
positive et donc différente de la mort. C'est pourquoi ce poète se situe entre antiquité et modernité, en usant des deux
pour créer ses textes. Dans "Les Fleurs du Mal", on a deux visions de l'amour : l'idéal "La mort des amants" et le
morbide "Les métamorphoses du Vampire". Nous nous trouvons donc face à une imagerie double de la mort, mais
aussi une imagerie double de l'amour.

Les Bijoux
Questa è una delle poesie condannate. È una scena d’amore con una donna nuda su un divano e un uomo ai suoi
piedi. Il rapporto Baudelaire/donne è molto complesso, da un lato c’è ammirazione/sottomissione, dall’altro c’è
un sadismo da parte di Baudelaire, dove si esprime il desiderio di colpire la donna a causa dell’impossibilità di
poterla raggiunger. Baudelaire trova un punto di svolta nella poesia. Conserva aspetti romantici, ma riesce a
cogliere le angosce dell’uomo moderno, non più di uomo assorto nella natura. Il discorso mostra tutte le
contraddizioni dell’uomo che non accetta una via d’uscita, ne da una parte che dall’altra. Sceglie la poesia per
mettere nero su bianco l’ambivalenza dell’uomo. Anti-Victor Hugo, rifiuta l’idea del progresso, della società
egualitaria. Cambia la prospettiva estetica accettata da Platone in poi, permette alla “bruttezza” di accedere alla
poesia. Il male può essere anche frutto di poesia, e la poesia è la ricerca del bello. La sua ipermodernità è stata
espressa in una lingua molto classica. L’utilizzo del sonetto, del verso regolare mostra il suo attaccamento alla
tradizione francese. È con la coscienza delle regole che il poeta può superare se stesso. Liberazione del canone
all’interno di un canone. Per lui l’arte è finalizzata a se stessa (vedi → Gautier/Poe).

-La poesia francese dell’800 si definisce in quanto rottura con l’estetica classica rispetto a una serie di parametri:
estetici, verbali, formali, di contesto, di imitazione; gli autori cercano dei punti di riferimento diversi e tentano di
rinnovare temi e contenuti. Lamartine e il poeta cerca di sviluppare una poesia più intima, rivolta all’individuo, una
poesia che prende in esame le interrogazioni dell’io riguardo al suo posto nell’universo, l’io immerso nella natura. Il
rapporto tra io e natura è al centro della nuova corrente romantica che si andava a formare: ricerca di una situazione
sensibile nella solitudine, natura selvaggia. Hugo è il poeta che ha costruito una poetica originale e ha trascinato
dietro a sé tutta una serie di artisti che hanno aderito alle sue visioni. La visione poetica di Hugo è stata complessa e si
andava a modificare con le varie evoluzioni poetiche. Hugo: rottura complessiva con il canone, rottura dal punto di
vista delle frontiere tra i generi in nome di una mal definita idea di bellezza poetica; l’apertura progressiva di Hugo si è
concretizzata nella raccolta Les Orientales perché qui separa l’azione sociale del poeta e costruisce una pure poésie: il
cui scopo è di poter ricercare un’idea di bellezza, sposta i soggetti (occidentali) in un contesto orientale che gli
permette di sfruttare un ambiente ricco, diverso e libero rispetto alla simmetria classica offerta dalla Francia agli artisti
dal ‘600 in poi. L’apice del romanticismo francese è data dalla rappresentazione teatrale Hernanie. Gautier promuove
l’idea di un’arte finalizzata a sé stessa. Nerval si

-Apre a nuovi territori, interessato alle culture germaniche, si interessa all’inconscio e cerca di capire attraverso
l’esercizio della poesia alcuni fenomeni come il ricordo, il sogno. Baudelaire è un punto di arrivo del romanticismo, è
un autore che chiude la grande avventura romantica e permette alla poesia di fare un altro salto: di fare entrare la
poesia francese in un altro tipo di visione dell’arte che si va a distinguere dal romanticismo. B. si concentra
unicamente sulla sua opera cercando di fissare attraverso alcuni esempi dei tratti di ciò che è un’idea di modernità
complessa che caratterizza la società francese del secondo impero (’50-’70 dell’800). Pluralità di poeti che non
costituiscono ufficialmente delle scuole; tutti i grandi poeti lavorano in modo autonomo, la poesia diventa sempre più
autonoma. È una poesia di crisi: apparizione del capitalismo, lotta di classe, povertà, costituzione delle nazioni, è un
secolo in subbuglio dal punto di vista degli eventi storici e quindi la letteratura riflette questa crisi. I testi letti sono
testi di crisi. Il discorso delle formeàil primo segnale ritenuto è quello che i poeti adottano una lingua molto vicina allo
standard, ridimensionamento più trasparente e più accessibile della lingua poetica, si hanno poche difficoltà nel
capire i testi dal punto di vista linguistico, il vocabolario non è raro e ottuso, siamo all’interno di una forma che
esprime una rottura con la lingua del passato. I poeti continuano ad utilizzare l’impianto strutturale della metrica
classica (bisognerà aspettare l’apparizione del vers libre con Mallarmé per allontanarsi dall’estetica tradizionale). Si ha
l’impressione che i poeti siano più attenti ai contenuti che non a discutere della forma. L’io è al centro del discorso
poetico costantemente con un primato della sensibilità sulla ragione. L’interlocutore privilegiato dell’io è la naturaàè
una natura che è un’eco di questa sensibilità ed è la causa dello sviluppo della sensibilità. Tensione ai fenomeni del

mistero, alle cose nascoste (ricordo, sogno, ignoto)àla poesia francese entra all’interno di una dimensione interiore e
si fa sempre più complessa.

SIMBOLISMO:
Il simbolismo è, in letteratura, una delle tendenze letterarie e pittoriche di fine Ottocento, che nel Novecento
continua a svilupparsi.
Si tratta di un movimento letterario e artistico che nasce in Francia per iniziativa di Jean Moréas, autore del manifesto
pubblicato su Le Figaro del 18 settembre del 1886, stesso anno della pubblicazione della rivista Le Decadent.
I simbolisti pubblicarono numerose riviste, tra le quali spiccano le diverse riviste da cui il verbo simbolista si diffuse:
Le Symbolisme (1886), La Plume, Le Mercure de France (1889), la Revue blanche.

l simbolismo prende spunto da una poesia di Charles Baudelaire, Correspondences, in cui il poeta francese scrive che
tutte le cose hanno tra di loro un legame misterioso: una ne richiama l'altra, come un profumo o un colore o una
musica richiamano ricordi e tempi lontani.
Baudelaire è riconosciuto come il maestro simbolista, mentre più tardi poeti come Verlaine, Rimbaud, Mallarmè
saranno considerati grandi esponenti di questa tendenza.  
SIMBOLISMO, CARATTERISTICHE Per i simbolisti la realtà è mistero e la natura è una foresta di simboli che il
poeta deve interpretare e svelare con un atto di intuizione-espressione. A tale scopo il poeta simbolista rifiuta la
tradizionale logica e referenzialità del linguaggio e ricorre a tecniche come il simbolo, l’allegoria, l’analogia, la
metafora ricercata, la sinestesia. Crea accostamenti imprevisti, usa in modo sapiente e simbolico gli spazi bianchi e
gli artifici tipografici e iconici. La poesia deve comunicare in forme non razionali, che trovano un modello nel
linguaggio della musica.
Secondo Gabriele d'Annunzio, la parola poetica deve ricreare magicamente la realtà.
Per Stéphan Mallarmé, se il poeta deve rendersi veggente, al lettore è richiesto di essere dotato di cultura, intuizione
e sensibilità non comuni, di lasciarsi coinvolgere in un’esperienza di lettura che va al di là di ogni normale atto di
comunicazione, di tendere i suoi sensi e la sua sensibilità per cogliere i segni e gli indizi dell’esperienza
sovranazionale compiuta dal poeta.
LA POESIA SIMBOLISTA Per i simbolisti la realtà non è quella della scienza, della ragione o dell'esperienza, ma
qualcosa di più profondo e misterioso cui solo la poesia può arrivare. Poesia è la rivelazione dell'essenza misteriosa
del reale: cerca le affinità segrete nelle apparenze sensibili, per cogliere idee primordiali e intende il linguaggio della
realtà profonda, il messaggio segreto della natura, l'essenza.
L'arte è l'unico valore, al punto che, secondo i simbolisti, per potersi realizzare la vita deve essere votata all'arte.
L'arte è atto vitale, è la realizzazione dell'essenza stessa della vita e creazione.
Il poeta rinuncia alla funzione morale e sociale caratteristica dei romantici, si fa carico di rivelare l'ignoto, percepibile
per illuminazioni, e l'inconscio, secondo le misteriose leggi delle universali corrispondenze e delle analogie.
La natura è rappresentata come una foresta di simboli (da un verso di Baudelaire) tra loro corrispondenti che
racchiudono le chiavi del significato dell'universo. Il linguaggio dei simboli non è interpretabile né dalla scienza né
dalla ragione, ma solo dall'arte. Il poeta per intuizioni misteriose ed improvvise coglie il senso riposto nella realtà, poi
sceglie le parole non per il loro significato concreto ed oggettivo ma per le suggestioni che possono evocare con il loro
suono ed il loro ritmo.
POETI SIMBOLISTI La poesia simbolista ebbe i suoi grandi protagonisti in Rimbaud, erlaine e Mallarmé; essi
influirono in misura determinante sui successivi svolgimenti della poesia europea, specie in Inghilterra, in Germania,
in Russia.
In Italia il simbolismo ebbe un'eco indiretto nella poesia di Pascoli e D'Annunzio. Ma fu soprattutto nei primi anni
del nuovo secolo che esso fu veramente conosciuto nella pienezza delle sue affermazioni teoriche e delle sue proposte
di novità espressiva, influendo così in misura determinante sui futuristi e sui poeti ermetici.

-Nel 1866 esce per la prima volta in Francia la rivista “Le Decadent”, strumento di diffusione di questa nuova visione
della vita e dell’arte. Nello stesso anno, a Parigi esce la rivista “Le Simboliste”, e questo ci fa capire come Simbolismo
e Decadentismo siano due correnti contemporanee. In questa rivista veniva messa in luce la differenza ed il distacco
dei simbolisti rispetto agli estetismo, proponendo una poetica basata sul simbolo.

Per i simbolisti, il “simbolo” è la dimensione invisibile, segreta, nascosta, degli oggetti visibili e reali: esso è un’altra
dimensione del mondo, che la ragione non può cogliere.

L’anticipatore del Simbolismo è Baudelaire: la sua poesia più famosa, il manifesto del simbolismo, è
“Corrispondente”, per cui dietro ogni cosa ci sono collegamenti che ci dicono che la cosa non è solo quella, ma anche
altro. La  poesia, a questo punto, diventa illuminazione e rivelazione di questa dimensione nascosta. Il poeta è colui
che ha la capacità di trovare queste corrispondenze nascosta in quella dimensione che solo egli può varcare: la poesia
diventa il mezzo privilegiato, alogico, per conoscere il mistero, conoscibile solo dal poeta. La poesia diventa la forma
di conoscenza più alta, ancora più della scienza, che si ferma solo all’empirico e visibile.

Simbolismo, Decadentismo ed Estetismo: riassunto


SIMBOLISMO AUTORI Lo strumento privilegiato diventa, dunque, l’analogia, accostamento fra oggetti e termini
che non hanno nessun legame logico percepibile, accostamento alogico, che non ha motivo di esistere: attraverso
questo mezzo, d’altra parte, vengono scorti tutti i collegamenti che vanno al di là di tutto ciò che è immediatamente
percepibile e ragionevole.
Charles Baudelaire. Baudelaire è considerato precursore della poetica simbolista: la sua opera più famosa è “I fiori
del male”, opera dal titolo strano, particolare, ossimoro che da una parte evoca qualcosa di positivo, colorato, ma
dall’altra anche qualcosa di negativo ed oscuro. Inoltre, il titolo dell’opera di Baudelaire potrebbe anche rievocare il
meglio di una determinata cosa, il “fiore” di qualcosa, l’antologia di una qualche cosa: sotto questo aspetto, dunque, il
titolo dell’opera potrebbe stare ad indicare una raccolta che raccoglie i migliori testi riguardanti il male che
caratterizza la nostra esistenza. I fiori di cui parla Baudelaire, infatti, provengono dal dolore, dalla sofferenza del
poeta, dai lati più nascosti della sua anima. L’opera è stata definita da Praga una “bestemmia cesellata nel diamante”.
SIMBOLISMO FRANCESE Lo stesso Baudelaire era l’uomo dalle molteplici contraddizioni: da una parte scendeva,
anche concretamente, nell’abiezione, nelle tenebre, ma dall’altra tendeva verso la luce e la purezza; egli era attirato dal
male ma anche dal bene. Egli era esaltatore di Satana, del male, cantore del sesso e delle perversione, ma era anche
teso verso il divino. Baudelaire era attratto dalla bellezza, spesso però non coincidente con i canoni estetici: egli
riconosce la bellezza anche nella sregolatezza, in ciò che è deforme. Inoltre, si sentiva da una parte vicino ai popoli, ma
dall’altra era esaltatore del lusso e dello spreco.

EXTRA:

1)BÉNÉDICTION - Spleen et Idéal


La poesia merita un'attenzione particolare "perché è a lei che è devoluto il compito di cominciare l'avventura di un libro concepito per avere un inizio e
una fine".  In verità, il concetto è stato sottolineato dallo stesso Baudelaire, in una lettera datata dicembre 1861, dunque in prossimità dell'uscita della seconda
edizione dei fiori, ed indirizzata ad Alfred de Vigny. Qui l'autore parla della sua opera come di un libro e non come di una semplice raccolta poetica, com'era
d'abitudine in quel periodo (Lamartine, Hugo, Musset, Sainte-Beuve e tutti gli altri).
Nella stessa pagina  di  "Bénédiction", in alto troviamo la dicitura Spleen et idéal, che è titolo della prima sezione del libro. Due parole che, come parentesi,
contengono lo spazio entro il quale l'autore si muove:
Lo spleen è la noia che con uno sbadiglio è capace di ingoiare il mondo (lo precisa in: Au lecteur).
L’idéal è l’altra faccia della medaglia, quella di -Elévation- [III sez 1] per esempio.
in molte poesie i due elementi coesistono, e Bénédiction è una di loro. Più in generale, lo spleen e l'idéal coabitano la mente dell'autore.

Quando nasce la poesia? 


Come sempre, sono state avanzate diverse ipotesi. Massimo Colesanti però esclude che la poesia sia stata scritta in data troppo anteriore al 1857 ( anno della prima
edizione) perché essa non figura fra le diciotto opere raccolte nel 1855 e anche perché si denota una concezione più matura sulla condizione dell’artista
rispetto alle poesie scritte prima.

Come ho precisato altrove, la sezione uno è quella che presenta il numero maggiore di poesie: 85 per l’esattezza, e al suo interno esistono svariati “sottogruppi”,
ovvero lavori che trattano lo stesso tema.
• Dalla poesia 1 alla 21, l’autore tratta del dualismo dell’artista fra spleen e idéal. All’interno di questo sottogruppo (dalla 17 alla 21) troviamo un ulteriore
sottogruppo definito “Ciclo della bellezza”.
• Dalla 22 alla 64 è presentato il    dualismo dell’amore fra spleen e idéal. Anche qui troviamo un ulteriore sottogruppo: “Sette poesie per sette donne
diverse” (dalla 58 alla 64), fra cui “à une dame créole”, ovvero il primo sonetto dell'autore pubblicato su “l’artiste” nell'anno in cui egli inizia “ufficialmente” la
sua carriera di poeta e critico (nel 1845 scrive anche su "Salon" e di questo va particolarmente fiero visto che, prima di lui, un qualunque Denis Diderot aveva
scritto sul Salon.)
• Infine, dalla 65 alla 85 tratta il dualismo della solitudine fra spleen e idéal, e qui il tono si fa decisamente più cupo, a partire dalle quattro poesie dal titolo
“Spleen” per finire con "L’horloge", che termina la sezione uno.

Riassumendo: 
I Temi trattati in questa sezione sono: La condizione dell'artista, l'amore, e la solitudine. Tre aspetti della vita dell'artista che oscillano violentemente fra la
speranza e la disperazione, la quale sul finale si fa più pressante, tanto che egli decide di uscire da se stesso per cercare sollievo lungo le vie della città, sui suoi

tetti, e fra i suoi abitanti, che osserva, incrocia, e con cui si scontra a volte. Tutto ciò si trova nella sezione due: "Les tableaux Parisiens" (aggiunta per l'edizione
del 1861)
“Benedizione” è un titolo antifrastico, infatti, leggendo la poesia noteremo la coesistenza di maledizioni da parte della madre e della compagna del poeta (in
senso generico, ma forse anche personale) e la benedizione del poeta "esprit lucide"[ Vs 55] a se stesso, (questo mi ha fatto pensare a Giger). Satana, cioè "il
male", che usa Cristo (il bene) per colpire chiunque gli sia a tiro. Allo stesso modo l'artista è colpito dal male delle due donne che ama e da chiunque non lo
comprenda, ma in linea col pensiero cattolico, è ben disposto al sacrificio e alla sofferenza, come mezzo di "redenzione", che per il poeta deriva dall'arte, dalla sua
creazione.

Il tema:
-Come già abbiamo detto, il tema qui trattato è l’isolamento del poeta e non è certo una novità nella letteratura del suo tempo.
-La tradizione di narrare l'isolamento del poeta ritornerà in voga fra i poeti francesi  verso fine secolo coi vari Lautréamont, Corbière, Rimbaud, Mallarmé e
Verlaine il quale si prende cura di raccogliere le poesie dei suddetti nel saggio “les poètes maudits” 1884, tradotto come: I poeti maledetti, e inteso come reietti
della società, spesso mal compresi o denigrati... ma questo accade quando Baudelaire è già morto.
-Per ora ci interessa sottolineare che, rispetto a chi l’ha preceduto, egli analizza la condizione del poeta con spirito più lucido e lo fa in una poesia la cui
struttura è originale perché ricorda una pièce teatrale, con alternanza di voce narrante, discorso diretto (per due volte: madre e compagna) e poi, dopo
un trattino, sentiamo la voce stessa del poeta.
-Allo stesso tempo è una poesia che rispetta la tradizione: Alessandrini ( è un verso composto da due emistichi di almeno sei sillabe ciascuno, nei quali la
sesta sillaba è accentata. Può coincidere o meno con un dodecasillabo.Nella metrica francese e occitana, l'alessandrino è un verso composto da un doppio
esasillabo (hexasyllabe). In altre parole è formato da due parti giustapposte, ognuna delle quali è detta emistichio, indipendenti l'una dall’altra), 19 strofe, con
rime alternate (femminili e maschili).
-Richter pone in evidenza la scelta dell'autore di "partire e farci partire da una via ben conosciuta. Egli non si presenta certamente su questo piano come l'uomo
della rivolta, al contrario, si presenta nell'attitudine dell'accettazione, dell'obbedienza a una volontà crudele. Egli rispetta la tradizione poetica, e questa è la
maschera”

Lorsque, par un décret des puissances suprêmes,


Le Poëte apparaît en ce monde ennuyé,
Sa mère épouvantée et pleine de blasphèmes
Crispe ses poings vers Dieu, qui la prend en pitié:

- «Ah! que n'ai-je mis bas tout un nœud de vipères,


Plutôt que de nourrir cette dérision!
Maudite soit la nuit aux plaisirs éphémères
Où mon ventre a conçu mon expiation!

Puisque tu m'as choisie entre toutes le femmes,


Pour être le dégoût de mon triste mari,
Et que je ne puis rejeter dans les flammes,
Comme un billet d'amour, ce monstre rabougri,("Aborto di natura" per Colesanti)
Puisque tu m'as choisie entre toutes les femmes

Je ferai rejaillir ta haine qui m'accable


Sur l'instrument maudit de tes méchancetés,
Et je tordrai si bien cet arbre misérable,
Qu'il ne pourra pousser ses boutons empestés!»

Elle ravale ainsi l'écume de sa haine,


Et, ne comprenant pas les desseins éternels,
Elle-même prépare au fond de la Géhenne
Les bûchers consacrés aux crimes maternels.

Pourtant, sous la tutelle invisible d'un Ange,


L'Enfant déshérité s'enivre de soleil,
Et dans tout ce qu'il boit et dans tout ce qu'il mange
Retrouve l'ambroisie et le nectar vermeil.

Il joue avec le vent, cause avec le nuage,


Et s'enivre en chantant du chemin de la croix;
Et l'Esprit qui le suit dans son pèlerinage
Pleure de le voir gai comme un oiseau des bois

Tous ceux qu'il veut aimer l'observent avec crainte,


Ou bien, s'enhardissant de sa tranquillité,
Cherchent à qui saura lui tirer une plainte,
Et font sur lui l'essai de leur férocité.

Dans le pain et le vin destinés à sa bouche


Ils mêlent de la cendre avec d'impurs crachats;
Avec hypocrisie ils jettent ce qu'il touche,
Et s'accusent d'avoir mis leurs pieds dans ses pas.

Sa femme va criant sur les places publiques:


«Puisqu'il me trouve assez belle pour m'adorer,

Je ferai le métier des idoles antiques,


Et comme elles je veux me faire redorer

Et je me soûlerai de nard, d'encens, de myrrhe,


De génuflexions, de viandes et de vins,
Pour savoir si je puis dans un cœur qui m'admire
Usurper en riant les hommages divins!

Et, quand je m'ennuierai de ces farces impies,


Je poserai sur lui ma frêle et forte main;
Et mes ongles, pareils aux ongles des harpies,
Sauront jusqu'à son cœur se frayer un chemin.

Comme un tout jeune oiseau qui tremble et qui palpite,


J'arracherai ce cœur tout rouge de son sein,
Et, pour rassasier ma bête favorite,
Je le lui jetterai par terre avec dédain!»

Vers le Ciel, où son œil voit un trône splendide,


Le Poëte serein lève ses bras pieux,
Et les vastes éclairs de son esprit lucide
Lui dérobent l'aspect des peuples furieux:

- «Soyez béni, mon Dieu, qui donnez la souffrance


Comme un divin remède à nos impuretés
Et comme la meilleure et la plus pure essence
Qui prépare les forts aux saintes voluptés! (vedi vs 62)

Je sais que vous gardez une place au Poète


Dans les rangs bienheureux des saintes Légions, (vedi vs 60)
Et que vous l'invitez à l'éternelle fête
Des Trônes, des Vertus, des Dominations.

Je sais que la douleur est la noblesse unique


Où ne mordront jamais la terre et les enfers,
Et qu'il faut pour tresser ma couronne mystique
Imposer tous les temps et tous les univers.

Mais les bijoux perdus de l'antique Palmyre,


Les métaux inconnus, les perles de la mer,
Par votre main montés, ne pourraient pas suffire
A ce beau diadème éblouissant et clair;

Car il ne sera fait que de pure lumière,


Puisée au foyer saint des rayons primitifs,
Et dont les yeux mortels, dans leur splendeur entière,
Ne sont que des miroirs obscurcis et plaintifs!»

1° strofa:
Lorsque, par un décret des puissances suprêmes,
Le Poëte apparaît en ce monde ennuyé,
Sa mère épouvantée et pleine de blasphèmes
Crispe ses poings vers Dieu, qui la prend en pitié:
Quando, per un decreto di potenze supreme (1)
Il Poeta apparve su questo mondo annoiato, (2)
Sua madre spaventata e bestemmiando (3)
strinse i pugni verso Dio, che ne ebbe pietà: 

Nella poesia intervengono 4 voci in modo drammatico, cioè con  alternanza di discorso diretto e indiretto come a teatro, e queste sono:
• Quella del NARRATORE: 7 strofe più un verso.
• Quella della MADRE del poeta: 3 strofe.
• Quella della DONNA del poeta: 3 versi seguiti da tre strofe.
• Quella del POETA: le ultime 5 strofe.
La voce della madre e quella del poeta sono introdotte da un trattino ("Tiret" in francese) e questo li mette su un piano diverso rispetto alla compagna del
poeta.
Inoltre, madre e poeta  iniziano a parlare senza che il narratore utilizzi esplicitamente un verbo che introduca la loro  voce ("Dire", "Urlare", "esclamare"
ecc)... che quindi fa irruzione nel testo accompagnata (o introdotta) da un gesto che concerne il senso della vista "Crispe ses poign vers Dieu" (la madre) e "Lève
ses bras pieux" (il poeta)
-Queste due voci si presentano con un'intensità simile e in radicale opposizione, anche se non sono simultanee. Il poema sembra ruotare attorno a questo
contrasto fondamentale. La struttura del poema sembra adottare la forma dualista: 
1_Rivolta e cattiveria della madre.
2_Docilità e bontà (per lo meno, apparenti) del figlio.

-In questa prima quartina i soggetti  sono tre: Il narratore, il poeta e sua madre: Il primo "appare" in questo mondo annoiato, e la seconda è spaventata e
arrabbiata con Dio per l'evento non desiderato.
Il narratore usa un tono molto elevato e solenne nell'introdurci all'argomento. 
-La madre riconosce lo "status" di Poeta a suo figlio  sin dalla nascita che è anche "apparizione" e lei sa di essere impotente davanti a questo fatto
eccezionale, e da ciò deriva il suo rancore verso Dio. Inoltre, anche se nella poesia esiste uno sviluppo cronologico evidente dalla nascita del poeta alla sua età
adulta, si direbbe che il poeta è presentato in qualche modo, come un adulto a partire dalla sua infanzia, anzi dalla sua nascita. Lo sviluppo cronologico e
l'immobilità coabitano dunque in questo poema.

(1)  "Lorsque" seguito da una virgola, interrompe il  verso dalla seconda sillaba e provoca così un vigoroso "Contre-rejet", che (isolandola)  evidenzia  la
parola e sottolinea così la solennità, l'importanza del momento in cui il Poeta appare-nasce: E' un avvenimento di grande portata, fatale e drammatico, tant'è
che si tratta di un fatto decertato da "potenze supreme".
Secondo Richter invece, bisogna leggere quel che Baudelaire ha scritto, alla lettera, dunque per lui il sintagma ha un valore neutro, ovvero le "potenze supreme"
possono essere positive o negative, celesti e/o infernali e si situano al di fuori del sistema dualista che ha strutturato la realtà in Bene e Male, Cielo e Inferno, Dio e
Satana. Sono potenze supreme, e questo è quanto. La nascita-apparizione del Poeta emana dunque una volontà che si situa al di sopra o al di fuori del
dualismo che caratterizza la nostra cultura, e con essa, la nostra lingua.

(2) Baudelaire usa la maiuscola sia per Dio che per il Poeta.


-Le maiuscole non sono mai gratuite nelle sue poesie. Spesso fungono da allegorizzazione, in questo caso, trattandosi del poeta, si limita ad amplificarne
l'importanza...
-E non ci sfuggirà il ritorno all' Ennui di "au lecteur" (ultime 2 quartine), il peggior male, quello che si unisce ai più tradizionali "peccati capitali", ma che è
più pericoloso, perché con uno sbadiglio può divorare il mondo, ed è un male tutto moderno, che già Chateaubriand ci narrava nel suo "René" il quale non trovava
in alcun modo sollievo al nulla della sua vita. Verso metà secolo Flaubert ce ne offre una versione esemplare attraverso Emma Bovary (Nata ufficialmente nello
stesso anno dei "Fiori") che pur di non rassegnarsi al nulla della vita di provincia e del suo mediocre marito, sceglie la morte, ma è Baudelaire il primo autore che
all'Ennui dedica tutto un tempio, è lui che racconta di un male che a partire da quel periodo storico, sembra essersi radicato nell'uomo consumista-consumatore-
consumato, il quale, da acquirente di prodotti è diventato quasi a sua insaputa, un prodotto di consumo egli stesso ( Penso alla poesia V "J'aime le souvenir de
ces époques nues" in cui troneggia un moderno dio dell'Utile, impassibile, che cresce i suoi figli con dei pannolini di bronzo. E non posso non notare un richiamo a
Maupassant e al suo racconto "La madre dei mostri", anche se il racconto è nato dopo la poesia)

(3) la madre ha paura della sua creazione, perché la paura è la reazione più tipica verso l'ignoto. Poi però in modo del tutto innaturale, stringe i pugni verso Dio
(la cosa mi ricorda "il cigno" vs 25-28, che tratterò più avanti) e bestemmia. Fatto singolare... Dio ne ha pietà, la capisce, e questo enfatizza l'isolamento
dell'artista.
-Dio comprende e compatisce la sorte di quella donna  sconvolta da un fatto che sfugge al suo volere e che Dio stesso considera -evidentemente- come un grande
malessere... Questa nascita singolare somiglia al mistero dell'incarnazione cristiana, e a suo avviso, Baudelaire ha voluto giocare su questa ambiguità, su tali
sottintesi.Certo, l'allusione al mistero cristiano è qui sconvolto da fatti come la reazione della madre che urla contro Dio e progetta una vendetta abbietta
e demoniaca verso il figlio innocente. Si propone addirittura di impedire che suo figlio, il Poeta, possa far fiorire i suoi "fiori", cioè i poemi del libro che stiamo
leggendo (vs 15-16)

2° strofa:
- «Ah! que n'ai-je mis bas tout un nœud de vipères,
Plutôt que de nourrir cette dérision!
Maudite soit la nuit aux plaisirs éphémères
Où mon ventre a conçu mon expiation!

- " Ah! Avessi partorito un groviglio di vipere,(5)


piuttosto che nutrire questa derisione!
Maledetta sia la notte degli effimeri piaceri
in cui il mio ventre ha concepito la mia espiazione!

(5) Inizia il discorso diretto della madre, disperata per aver dato la vita al figlio, che definisce una derisione, e frutto di piaceri effimeri. La vipera è l'animale
immondo che tentò Eva, è l'animale schiacciato dalla Madonna, dunque quanto di più simile al male e all'impuro. Baudelaire sceglie proprio il serpente
per sottolineare il disgusto della donna verso il figlio.

3° strofa.
Puisque tu m'as choisie entre toutes le femmes,
Pour être le dégoût de mon triste mari,
Et que je ne puis rejeter dans les flammes,
Comme un billet d'amour, ce monstre rabougri,("Aborto di natura" per Colesanti)

Poiché mi hai scelta tra tutte le donne, (9)


per essere il disgusto del mio triste marito,(10)
e  non posso gettarlo tra le fiamme, 
    come un biglietto d'amore, questo misero mostro

(9) La donna Parla con Dio, ora ci è più evidente. Gli rimprovera di averla scelta fra tutte le donne, e la frase ricorda una scena dell'annunciazione "Mi ha scelta
fra tutte le donne" ma qui abbiamo un' inversione di senso, che diventa negativo. (la parola francese è ragroubi, Colesanti la traduce: aborto della natura)
ps: Ce Monstre: Dice, parlando del figlio. Nella poesia "Au lecteurs" vs 31: "Les mostres glapissants..." ... qui i mostri sono simboli di vizi, e fra loro ci sono
anche i serpenti, citati nel vs 5, in cui la madre dell'artista dice che preferirebbe aver dato la vita a un nodo di vipere (serpenti) piuttosto che a suo figlio (che è per
lei una derisione!)

4°strofa
Je ferai rejaillir ta haine qui m'accable
Sur l'instrument maudit de tes méchancetés,

Et je tordrai si bien cet arbre misérable,


Qu'il ne pourra pousser ses boutons empestés!»
Farò rimbalzare il tuo odio che mi opprime
sullo strumento maledetto delle tue malvagità,
e torcerò a tal punto questo albero miserabilie,
che egli non potrà più germogliare la sua peste!"

Ps: L'albero miserabile mi fa pensare all'albero della conoscenza...a sua volta legato in qualche modo al serpente tentatore ed essere spregevole, che ho citato
sopra. Per Mario Richter invece, questo albero ricorda anche l'albero della croce, e sottolinea la differenza fra:
La VERGINE, madre di Gesu, che accetta il sacrificio e la povertà, quindi il destino di suo figlio e
La MADRE del poeta che invece non capisce e non accetta i disegni eterni
Modificando in questa maniera l'incarnazione cristiana, Baudelaire ha fatto del poeta un essere in contraddizione radicale con il mondo "Umano" o
"naturale", che come sappiamo, è dominato dall'ENNUI ("Ce monde ennuyé"). Il poeta si presenta come la rottura di un ordine, di un'organizzazione,
sua madre lo rifiuta con tutte le sue forze, e in secondo piano, anche il padre naturale lo rifiuta. (vs 10) . E il poeta, al contrario di Gesù, non si presenta
come figlio dell'accettazione e dell'amore, della conciliazione e dell'armonia, ma come il figlio della rivolta e  dell'odio, della divisione e della
contraddizione. 
= L'avventura dei Fiori del male parte dunque da un avvenimento drammatico, da un gran male, da una ferita inguaribile, da una frattura violenta e
profonda.
Finisce qui il Discorso diretto della madre rivolto a Dio e pieno di odio verso il figlio.
Segue ora una voce narrante distaccata, che continua a parlarci di lei:

5° strofa:
Elle ravale ainsi l'écume de sa haine,
Et, ne comprenant pas les desseins éternels,
Elle-même prépare au fond de la Géhenne
Les bûchers consacrés aux crimes maternels.
Così inghiotte la schiuma del suo odio,
e, non comprendendo i disegni eterni,
prepara lei stessa in fondo alla Geenna (19)
I roghi consacrati ai crimini materni,

(19) la Geenna è una valle nei pressi di Gerusalemme in cui si bruciavano le cose immonde. Poi, nel nuovo Testamento, diventa sinonimo di luogo di castigo
eterno, di dannazione infernale.

6° strofa:
Pourtant, sous la tutelle invisible d'un Ange,
L'Enfant déshérité s'enivre de soleil,
Et dans tout ce qu'il boit et dans tout ce qu'il mange
Retrouve l'ambroisie et le nectar vermeil.
Ciò nonostante, sotto la tutela invisibile di un Angelo (21)
Il Bambino diseredato, s'inebria di sole, (22)
e in tutto ciò che beve e mangia
ritrova l'ambrosia e il nettare vermiglio (24)

(21) Ange. Per Richter, l'angelo ha un ruolo importante nella trinità cattolica: Spirito neutro che procede dal padre e del figlio.
(22) Richter nota che la E maiuscola di "Enfant" ci spiega ché egli non è figlio del sistema dualista (che ha creato questo "Mondo annoiato") ma che deriva da
"potenze supreme" e l'Angelo che lo progegge per il critico ha un carattere neutro come le "potenze supreme" (vedi sopra).. esistono in effetti angeli buoni e
cattivi, quelli di  Dio e quelli del Demonio.
Quanto a "S'inebria di sole", Richter ricorda che Orfeo è figlio di Apollo, cioè del sole. E la sua condizione di "Enfant" gli permette di trasformare quello che
beve e quel che mangia. (in "pittori della vita moderna" III Baudelaire aveva affermato che "il bambino vede tutto come una novità; egli è sempre ebbro" )
Colesanti: "mais le génie n'est que l'enfance retrouvée à volonté" scrive in "Peintre de la vie moderne". Un po' ricorda la teoria del fanciullino di Pascoli,
ma a me fa pensare soprattutto a   Blake e alle sue meravigliose "Songs of innocence" e "songs of experience". Fra le due, cioè fra l'innocenza e l'esperienza,
cresce qualcosa di definitivo e irrimediabile, che ci trasforma in esseri più complessi, ambigui, incapaci della semplicità e della spontanea onestà della fanciullezza.
Per Baudelaire esiste una possibilità di "recupero" di quello stadio privilegiato dell'esistenza, ma è proprio dell'artista.
A tal proposito cito anche un verso bellissimo di un libro bellissimo, "Into the wild". La frase è di G.K. Chesterton e dice "... Perché i bambini sono innocenti e
amano la giustizia, mentre buona parte di noi è malvagia e naturalmente preferisce la pietà" [ Inizio cap. 12] .

Finita la lunga parentesi, il bambino della poesia è "diseredato", cosa che vive, o almeno...che sente, a livello personale, quando la madre si risposa, dopo un
anno dalla morte del padre "non ci si risposa con un figlio come me" disse l'autore. Ma in senso metaforico (la E di enfant è maiuscola, dunque è una
metaforizzazione, e intende l'artista in senso lato), è "abbandonato", solo, non compreso dai suoi simili, eppure egli s'inebria di sole

(24) Ambrosia e nettare vermiglio si trova in tutto ciò che mangia e beve..e questo rimanda al cibo degli Dei, dunque un richiamo "pagano", all'antica
mitologia greca, quindi  qualcosa che viene prima di Cristo.
Il poeta appare allora  quasi come una divinità che rientra in un quadro più vasto di quello semplicemente cristiano (venuto dopo l'epoca pagana). Evita così
una totale identificazione poeta-Cristo.

7° strofa:Il joue avec le vent, cause avec le nuage,


Et s'enivre en chantant du chemin de la croix;
Et l'Esprit qui le suit dans son pèlerinage
Pleure de le voir gai comme un oiseau des bois

Egli gioca col vento, parla con le nuvole,

e cantando s'inebria del Calvario (26) 


e lo spirito che lo segue nel suo pellegrinaggio
Piange nel vederlo felice come un uccel di bosco.

(26) Il calvario di Cristo e quello del Poeta differiscono perché Cristo soffre, il Poeta invece vive un calvario "Joyeux" trasfigurato in modo orfico attraverso il
"canto", inserito in un contesto di leggerezza e, per così dire, di futilità e di irresponsabilità. "Il joue avec le vent, cause avec le nuage" (vs 25) ovvero, gioca con
gli elementi naturali ma impalpabili almeno quanto lo sono le essenze spirituali. (Mosé aveva "discusso" col suo Dio che occultava una nube).  Ma è anche vero
che Cristo non è mai solo, tranne alla fine, per la "prova". Mentre il Poeta lo è sempre, sin dalla nascita. Inoltre, entrambi vogliono amare il prossimo,
ma questo amore è ripagato con timori e crudeltà e con l'ipocrisia. (vs 29 ...che segue)

8° strofa:Tous ceux qu'il veut aimer l'observent avec crainte,


Ou bien, s'enhardissant de sa tranquillité,
Cherchent à qui saura lui tirer une plainte,
Et font sur lui l'essai de leur férocité.

Tutti quelli che egli desidera amare l'osservano con timore (29) 


oppure, arditi dalla sua tranquillità,
si divertono a strappargli un lamento,
provando su di lui la loro ferocità.

Ps: Come L'albatros, la poesia che segue, il poeta è come intrappolato in un mondo che non capendolo, lo deride o prende le distanze.
Richter: Al calvario gioioso si aggiunge una irresponsabilità responsabile, una spensieratezza pensosa, un'allegra tristezza e una libertà "schiava" (come per
"L'Albatros") perché questo "uccello di bosco è espressione di una volontà suprema e in quanto tale, destinata ad essere vittima della volontà dei suoi simili, della
"Tribu" in cui vive, che è governata dal dualismo e dalle leggi dette "naturali"; La tribu che sostiene questo mondo dominato dall' Ennui "Ce monde
ennuyé" ( pag 48 Richter "les fleurs du mal" vers franc.)

9° strofa: Dans le pain et le vin destinés à sa bouche


Ils mêlent de la cendre avec d'impurs crachats;
Avec hypocrisie ils jettent ce qu'il touche,
Et s'accusent d'avoir mis leurs pieds dans ses pas.

Nel pane e nel vino destinati alla sua bocca (33)


Essi mischiano la cenere con sputi impuri.
Con ipocrisia, gettano quel che lui tocca
e si accusano di aver messo i piedi sui suoi passi.

(33) Per Colesanti, il pane e il vino ricordano ancora figure liturgiche, ma i suoi simili ci sputano sopra dissacrandole. Torna  inoltre la parola "ipocrita" già
usata in "Au lecteur" - lettore ipocrita, mio simile, mio fratello-
Richter a sua volta sottolinea che il poeta partecipa a un'eucarestia ma questa è caratterizzata da impurità  (vedi sopra)... i vs 33/34 ricordano la preghiera del
miserabile nei salmi -102- 9/10 (Bibbia) "Tout le jour mes ennemis m'outragent, ceux qui me louaient maudissent par moi. La cendre est le pain que je mange, je
mèle à ma boisson mes larmes"
Nell'eucaristia riservata al poeta siamo introdotti in qualcosa che si situa fra il puro e l'impuro, fra il bene e il male. Dunque dei contrari.

-Segue un ultimo discorso diretto: quello della sua donna....ennesima bestemmia.


Richter: L'odio di quelli che il poeta vuole amare raggiunge la sua dimensione più crudele e delirante attraverso la sua donna il cui programma "d'amore" è
urlato (al contrario delle dichiarazioni d'amore) come una proclamazione pubblica, precisamente "sulle piazze pubbliche" *
*Correspondences I, p 445: "Ho orrore di prostituire le cose intime di famiglia" scrive a sua madre l'11 gennaio del 1845.

10° strofa: Sa femme va criant sur les places publiques:


«Puisqu'il me trouve assez belle pour m'adorer,
Je ferai le métier des idoles antiques,
Et comme elles je veux me faire redorer

La sua donna va urlando in pubblica piazza: (37)


" Visto che mi trova molto bella per adorarmi (38)
Io farò il mestiere degli idoli antichi,
e come loro io voglio farmi dorare

(37) Attraverso le parole pronuciate dalla sua donna, il Poeta esprime per lei un sentimento di grande attrazione ma anche di profonda repulsione.
Inoltre (Richter) a differenza di Gesu, il poeta ha una donna, descrittaci ai limiti della caricatura, per falsità e teatralità dei gesti, ella non ha nulla di spontaneo, di
vero. E si direbbe che l'odio di sua madre si ri-materializza nella sua sposa.
(38) In questo verso vediamo che il poeta l'adora perché lei è molto bella. Questo vs fa eco a quello in cui dice "Tutti quelli che egli vuole amare...", perché in
entrambi i casi non ottiene che offese e disprezzo in cambio.
Richter sostiene che l'adorazione deve indirizzarsi solo a Dio, in caso contrario, cioè se indirizzata a un oggetto o una creatura (femmina o Vitello d'oro), questa
creatura prende il significato di Idolo. Vedendosi adorata, la donna si propone come un idolo, non moderno ma antico, e questa è una ulteriore falsità perché lei fa
un "mestiere", dunque ride con crudeltà vs un imbecille che la prende per una divinità, giacché sà di non esserlo affatto. *
* [ Le peintre de la vie moderne: " La donna... compie una specie di dovere applicandosi a sembrare magica e sovrannaturale; occorre che lei affascini,
stupisca; In quanto Idolo, deve dorarsi per essere adorata". E in Mon coeur mis à nu "la donna è naturale, cioè abominevole, per questo è sempre volgare, cioè il
contrario del Dandy" ]
= In questi versi notiamo l'opposizione insuperabile fra leggerezza irresponsabile della donna e gravità appassionata, quasi religiosa del poeta, che cade in una
trappola drammatica: (vs 43/44 qui sotto)

11° strofa:

Et je me soûlerai de nard, d'encens, de myrrhe,


De génuflexions, de viandes et de vins,
Pour savoir si je puis dans un cœur qui m'admire
Usurper en riant les hommages divins!
e mi ubriacherò di nardo, incenso e mirra, (41)
di genuflessioni, di carni  e di vini,(42)
per sapere se posso in un cuore che mi ammira(43)
usurpare ridendo, gli omaggi divini!(44)

(41) La donna si appropria di cose che che non le sono dovute.  Il NARDO è l'unguento prezioso di cui Maria (sorella di Marta) unge i piedi a Gesù (Giovanni, 12).
INCENSO E MIRRA sono con l'oro, i doni dei Re Magi per Gesù appena nato.

12° strofa: Et, quand je m'ennuierai de ces farces impies,


Je poserai sur lui ma frêle et forte main;
Et mes ongles, pareils aux ongles des harpies,
Sauront jusqu'à son cœur se frayer un chemin.
E quando mi annoierò di quest'ampia farsa, (45)
poserò su di lui la mia esile e forte mano
e le mie unghie, come quelle delle arpie,
sapranno aprirsi un varco fino al suo cuore(48)

(45) Alla fine non è il poeta che l'annoia ma la farsa, l'ipocrisia, trova nuovo divertimento nel vedere la sincerità umiliata e disprezzata.
(48) una scena cruenta questa: Lei che strappa il cuore del Poeta con le sue unghie...sembra uno dei tanti passi di Salammbò (1862) di Flaubert, in cui il
sangue scorre senza tregua, e spesso le unghia delle donne sono usate come vere e proprie armi!
L'aspetto rilevante è naturalmente la crudeltà e l'inautenticità del discorso di lei, cioè una donna che si diverte ad essere quello che non è. Dunque secondo
Richter, la donna (madre e sposa)  è simbolo di contraddizione urlante, e se rappresenta la parte più attraente della natura, è anche la più periocolosa
per il poeta, che è quindi piombato in un mondo crudele ed annoiato perché, semplicemente, la natura umana è annoiata e ipocrita (vedi Au lecteur)

13° strofa:
Comme un tout jeune oiseau qui tremble et qui palpite,
J'arracherai ce cœur tout rouge de son sein,
Et, pour rassasier ma bête favorite,
Je le lui jetterai par terre avec dédain!»
come a un giovane uccello che trema e palpita,
gli strapperò il cuore rosso dal petto
e per saziare la mia bestia favorita,
glie lo getterò a terra con disprezzo!"
Colesanti nota che anche in questo discorso diretto c'è un alternarsi fra elementi pagani (farsi adorare, idoli antichi,e cristiani ) ed elementi cristiani ( nardo della
Maddalena,  l'incenso e la mirra dei Re Magi)

14° strofa: Vers le Ciel, où son œil voit un trône splendide,


Le Poëte serein lève ses bras pieux,
Et les vastes éclairs de son esprit lucide
Lui dérobent l'aspect des peuples furieux:

il Poeta sereno alza le braccia al Cielo(53)


dove il suo occhio vede un trono splendido,
e i vasti lampi del suo spirito lucido(55)
gli celano la vista dei popoli furiosi:

(53) Richter: Trovandosi isolato e respinto da coloro che ama, dai suoi simili, il poeta alza gli occhi verso il cielo. Ma già nel vs 14 la voce narrante (cioè il poeta) ci
aveva detto che egli s'inebriava con le nuvole e conversava con il vento e le nuvole, dunque non aggiunge niente di nuovo o di troppo inatteso.
(53-5) Colesanti:  L'atto di alzare le braccia come un sacerdote in preghiera, prelude al tema del RISCATTO attraverso la sofferenza e a una consacrazione
-consapevole- del poeta, che si  fa "Chiaroveggente" grazie al suo spirito lucido, cioè razionale, ovvero tutt'altro rispetto all'idea romantica  secondo cui
l'ispirazione era sufficiente per produrre poesia. Baudelaire, in linea con Poe e con Balzac e Flaubert  (nel romanzo) non credono affatto che basti la mera
ispirazione per creare arte, ma occorre lavorare in modo lucido e costante. Anche Gautier se vogliamo, i suoi versi li immagina come marmi da scolpire e non
come argilla da modellare (questi i precetti dell'arte parnassiana,e Baudelaire dedica a lui "I fiori del male" anche se di fatto, il risultato che ottiene è tutt'altro
rispetto alla freddezza di "Smalti e cammei" (frutto di 20 anni di lavoro) o le varie poesie di Leconte de Lisle.

15° strofa:
- «Soyez béni, mon Dieu, qui donnez la souffrance
Comme un divin remède à nos impuretés
Et comme la meilleure et la plus pure essence
Qui prépare les forts aux saintes voluptés! (vedi vs 62)

- "Siate benedetto mio Dio, che donate la sofferenza(57)


come un divino rimedio alle nostre impurità
e come la migliore e la più pura essenza
che prepara i forti alle sante volutta!(60)

(57) Inizia con una preghiera del poeta, prossima alla liturgia cattolica. Sembra che il poeta s'indirizzi allo stesso Dio verso il quale la madre aveva stretto i pugni
(e lui ne aveva avuto pietà). Quindi il Dio della creazione dualista. Ma se di solito si benedice il Dio della gloria, del bene e della bontà infinita, qui si benedice il
dio che dà sofferenza, dolore, cioè il male oggettivo che affligge l'umanità. Egli non è benedetto perché é buono, ma perché dona dolore e questo è contro
natura e soprattutto questo gesto è diametralmente opposto all'ottimismo scientifico che guidava la società ai tempi di Baudelaire*.
* "Le poème du Haschisch": "...le invenzioni moderne tendono a diminuire la libertà umana e l'indispensabile dolore"
Naturalmente la redenzione attraverso la sofferenza è il fondamento stesso della religione cristiana, ma la redenzione in quel caso è promessa agli umili e NON ai
poeti, e non a un poeta in particolare (già annunciato indirettamente in "au lecteur" e qui presente! *
* "Le poème du Haschisch": Baudelaire ricorda che il poeta, in quanto tale, è sempre stato malvisto dalla chiesa, perché scrive per affermare se stesso. In quanto
"creatore" egli è in contraddizione con il "santo" in senso cristiano. Non possiamo certamente dire che Dante per esempio, non abbia celebrato la religione
cristiana, eppure non è stato nemmeno beatificato! E lo stesso vale per Manzoni, per Pascal e per molti altri. Per Richter il rischio è di assimilare il poeta a una
figura molto diffusa nel periodo in cui Baudelaire scrive (Vigny, Nerval ed altri, tendono a vedere nel poeta la figura di un santo o di Cristo stesso)... occorre
pertanto superare questi schemi mentali.

Per Richter: Ci sono delle potenti forze d'attrazione che agiscono: Quella cristiana è la prima...e il rischio  è di leggere la preghiera come se fosse cristiana:
Lodare Dio per la sofferenza... Poi c'è quella Romantica (dunque leggere il poema come se parlasse di un poeta-cristo alla Vigny). Occorre evitare entrambe le
visioni secondo il critico, e attenerci a uno spazio che è sconosciuto tanto ai cattolici quanto ai romantici.
(Richter. Pag 52-53 "I Fiori del male")

(60) "I forti" ... il poeta è dunque un forte.  Sante voluttà: va inteso nel senso forte di "Letizia", di gioie spirituali.
Per Richter: Il poeta è un forte che si aspetta  dall'assunzione del dolore o del male, quindi dalla realtà della vita, (donatagli dal Dio della creazione dualista),
qualcosa che si trova simultaneamente dalla parte di Dio e dalla parte dell'uomo (O di Satana, visto che in "Au lecteur" ci aveva detto che l'uomo è la sua
marionetta)

(62) Quello che spera il poeta è una "Santa voluttà", espressione non propriamente cristiana, giacché "Voluttà" è un termine che rimanda ad una dimensione
erotica. La parola ha qui una valenza di ossimoro, perché mischia l'essenza dello spirito con quella dei sensi, e continua l'incontro dei contrari che abbiamo già
avuto occasione di rivelare nel corso di questa analisi.

Leggendo con attenzione questa prima strofa della "preghiera" pronunciata dal poeta, siamo condotti in uno spazio che non è frequentato e non può essere
frequentato dall'ipocrisia dualista: uno spazio che si situa fra sensibilità cristiana e sensibilità romantica, fra spiritualità religiosa e piacere dei sensi.
Richter insiste nel sottolineare che si assiste a uno sforzo realista che si oppone alla stilizzazione e alla falsità alle quali porta inevitabilmente il dualismo.

Nelle 2 strofe che seguono la preghiera (16/17) sembra che il poeta prenda una via decisamente cristiana, dandoci l'impressione di voler entrare in risonanza con i
principi fondamentali della teologia cattolica.

16° strofa:
Je sais que vous gardez une place au Poète
Dans les rangs bienheureux des saintes Légions, (vedi vs 60)
Et que vous l'invitez à l'éternelle fête
Des Trônes, des Vertus, des Dominations.

Io so che conserva un posto al Poeta, (61)


nei ranghi beati delle sante Legioni (62)
e che voi l'invitate alla festa eterna(63)
dei Troni, delle Virtu, delle Dominazioni.(64)

(61): "Je sais que" ... così iniziano entrambe le strofe  (vs 61/ vs 65).   In questa strofa s'afferma che al Poeta è riservato un posto fra i "Beati" delle "sante
Legioni" ... Allusioni alle orazioni liturgiche, ma non mancano ambiguità.
= Sante Legioni... la parola "Legioni" allude si a moltitudini, a un concetto di quantità, ma etimologicamente, il suo significato primario è legato alla lotta, alla
violenza e alla guerra. (Le "Legioni" appunto).
= L'eterna festa dei troni, delle Virtù, delle dominazioni... Qui s'introduce nell'eternità l'idea di una festa legata a delle potenze terrestri. (Che S Paolo, in
quanto tali, reputa nemiche di Dio)

17° strofa:
Je sais que la douleur est la noblesse unique
Où ne mordront jamais la terre et les enfers,
Et qu'il faut pour tresser ma couronne mystique
Imposer tous les temps et tous les univers.

Io so che il dolore è la sola nobiltà


in cui né terra né inferno morderanno mai,
e che occorrono tutti i tempi e tutti gli universi
per intrecciare la mia mistica corona. (68)

In questa strofa, per Richter s'introduce una buona dose di ambiguità per non permetterci di riconoscerci facilmente  in una  preghiera religiosa, come se
introducessimo una nota che altera la forma a una melodia che conosciamo..metodo praticato da   WAGNER nelle sue composizioni  (molto apprezzato da
Baudelaire per la sua unione di sensi e anima)
"Nessun musicista eccelle come Wagner nel dipingere lo spazio e la profondità materiale e spirituale... Egli possiede l'arte di tradurre, attraverso gradazioni sottili,
tutto ciò che vi è di eccessivo, d'immenso, di ambizioso, nell'uomo spirituale e naturale"  Sriverà Baudelaire.

(65) Io so che il dolore è la sola nobiltà: nobiltà che sarà sempre al riparo dalle trappole della terra e dell'inferno
(66) in cui non "mordront" mai la terra e gli inferni... Colesanti traduce "morderanno" alla lettera, ma il termine significa anche "Sconfinare") = "Inferno" è
qui un termine da intendere più in ottica pagana che cristiana, ma la formula ricorda quella di Gesù per la sua missione di saluto alla chiesa. Secondo il vangelo di
Matteo (16,18) infatti: "Le porte dell' Ade (sinonimo di Inferno) non prevarrano contro di lei"... quindi, la chiesa del poeta, cioè lo strumento di saluto, è il dolore!
Quel dolore che egli assume con orgoglio e per il quale loda anche Dio per averglielo donato, e questo è in effetti, alla base della rivolta, della sua opera. *
 

* Parlando di Wagner, Baudelaire cita questa frase del compositore: " L'uomo che non è stato dotato da una fata, quand'era nella culla, di un animo di scontento
su tutto quel che esiste, non arriverà mai alla scoperta del nuovo"  
(67) e che occorre per intrecciare la mia corona mistica* ps: "Mistico" è un termine che troveremo spesso nei fiori, ed equivale a "Divino", "Celestiale"
(Colesanti) (vs 68 nella traduzione, ma 67 nell'originale)
= "Corona mistica": sta per opera poetica che sfugge al senso occidentale e dualista: Un'opera poetica, una nuova creazione destinata a cambiare e
rinnovare la vita. I versi che seguono dimostrano che si tratta di un progetto ambizioso del poeta che parte dalla poesia tradizionale. Si tratta di una poesia in
fase di transizione. La corona del poeta può essere inteso come l'opera di numerosi poeti (Richter)
Quindi l'espressione "intrecciare una corona" indica senza dubbio un lavoro materiale e concreto, realizzato con le mani. L'aggettivo "mistico" che determina
"corona", ci porta al contrario, a un valore specificatamente mentale e spirituale, ma estraneo alla ragione così com'è definita nel nostro Occidente e soprattutto
nella cultura del razionalismo borghese del 19° secolo. Dunque fra spirito e materia. A metà.
= "La mia", dunque di proprietà del poeta, e per compiere questa cosa al poeta serve "Il faut" una consacrazione particolare, un' imposizione, da intendere in
senso liturgico (perché dentro una preghiera). Ma non si tratta dell'imposizione delle mani, tipico della consacrazione sacerdotale nella religione cristiana e in
molte altre, ma:
(68)" L'imposizione di tutti i tempi e tutti gli universi" = Dunque il Poeta è una specie di prete universale, un uomo che lavora con tutti i tempi e tutti gli
universi.
=Qui, come nella strofa precedente, entriamo in uno spazio che non è né del tutto spirituale, né realmente materiale, né del tutto cristiano, né veramente pagano.
Inoltre, si respira simultaneamente la ""libertà del poeta" (già celebrata da Hugo "Il poeta è libero") .. eppure, malgrado tutto, il poeta è in una condizione di
dipendenza, sta infatti pregando Dio!
Richter conclude che, l'infaticabile impegno realista di Baudelaire (impegno negato, contrariato dalla "realtà" esistente, quella che si oppone al sogno in modo
dualista) ci conduce in una zona intermediaria, in un reale "inconnu" per la cultura dualista.
Motivi:
Il DOLORE: elemento fondamentale della teologia, qui viene accettato come umiliazione, come pena, un castigo per il peccato originale. Il poeta al contrario
prende il dolore come motivo d'orgoglio, lo considera elemento di nobiltà...dell' UNICA nobiltà!
Il POETA è orgoglioso di non lodare Dio per la gloria della sua creazione, ma per il fatto che ha donato dolore. Ma sarebbe (per Richter) un errore
d'interpretazione leggere questo passo tutto all'insegna dell'orgoglio. In quanto preghiera, esiste nel testo anche una parte di umiltà "Mi sono orgogliosamente
rassegnato alla modestia" scriverà nell' "esposizione universale. 1855.
Siamo dunque nel mezzo del cammino, in uno spazio ignoto che sta fra orgoglio (pagano) e umiltà (cristiana).

18° strofa:
Mais les bijoux perdus de l'antique Palmyre,
Les métaux inconnus, les perles de la mer,
Par votre main montés, ne pourraient pas suffire
A ce beau diadème éblouissant et clair;

Ma le perdute gioie dell'antica Palmira, (69)


I metalli ignoti, le perle del mare(70),
dalla tua mano incastonate (Parla delle mani di Dio), non potrebbero bastare(71)
a questo bel diadema sfolgorante e chiaro(72);

(69) = Palmira è un antico, celebre e ricco centro carovaniero e commerciale nel deserto Siro-Arabico che, spesso, prima e dopo Cristo, è stato luogo di contesa,
quindi saccheggiato e distrutto. Secondo Claudine Quemar-Hof ("Studi Baudelairiani"II, pag 181, 188) Baudelaire avrebbe ricavato tali immagini da un'antologia
scolastica ai tempi di Luigi Filippo D'orléans, testo che riproduce il poemetto "Palmira conquistata" 1815 di Claude Dorion.

In questa strofa il poeta afferma che gli oggetti più ammirevoli e meno conosciuti dagli uomini, creati dalle mani di Dio stesso (quindi i gioielli
dell'antica Palmira, i metalli sconosciuti, le perle... ) non potrebbero bastare a creare la corona (mistica) che ora viene chiamata DIADEMA: Corona
intrecciata a mano, come ci ha indicato la strofa precedente, dunque un lavoro materiale, che non è fatto d'inchiostro ma di pura luce (73) cioè la
materia più impalpabile e spirituale che si possa immaginare!

19° strofa:
Car il ne sera fait que de pure lumière,
Puisée au foyer saint des rayons primitifs,
Et dont les yeux mortels, dans leur splendeur entière,
Ne sont que des miroirs obscurcis et plaintifs!»

Perché esso sarà fatto di sola luce pura (73)


attinta al fuoco santo dei raggi primitivi,(74)
e al confronto occhi mortali di massimo splendore(75)
non sono altro che piangenti e oscuri specchi!"(76)

(74) Primitivi, dunque anche anteriori al peccato originale (secondo Crépet-Blin), per Richter si tratta del sole Materiale (Pagano) ma anche di quello spiriturale
e mistico, dunque religioso.
Richter: Il poeta in preghiera riconosce l'esistenza di un valore iniziale, di una luce originale.
(75) Foyer:  Partendo dal senso concreto di foyer domestique, esso designa il punto dal quale si liberano luce e calore.. al centro di questo significato si situano
evidentemente il Sole, il focolaio per eccellenza, la fonte di luce e di calore più importante per la vita del mondo. *
* Rimbaud "Le soleil, le foyer de tendresse et de vie" "Soleil et chair" primo verso. 
= Per Richter qui Foyer indica un luogo essenziale dell'origine e il simbolo dell'unità, oltre che una maniera indiretta di designare il sole. Ma l'aggettvo "Santo"
che determina la parola, ci riporta all'aspetto mistico della poesia, il foyer è dunque anche l'altare ("Foyer sacré" E' un modo per definire l'altare).
In questa strofa abbiamo un'immagine del poeta simile a quella di Prometeo, che la mitologia greca voleva come ladro del fuoco divino (immagine celebrata da
Hӧlderin e Novalis, fra gli altri.) Ma si tratta solo di una somiglianza, non di una identificazione. "Il poeta è venuto al mondo per un decreto di potenze supreme"
E se ricordiamo i versi della poesia precedente sulla noia, che è espressione di un sistema culturale falso e ipocrita nella sua struttura dualista, allora questi raggi
primitivi nascondono tutta la forza  della vita, una vita selvaggia, elementare, incontaminata, spontanea, istintiva e precisamente "primitiva" (é opinione di Richter
che Rimbaud voleva mostrare questi raggi primitivi nella sua poesia "Aube" -Illumination)
Questa luce derivante dai raggi primitivi, le persone non la conoscono perché gli occhi mortali che vivoni in un monde ennuyé, sono solo degli specchi oscurati e
lamentosi, se comparati a questa luce futura attinta al fuco primitivo.

Pare che in quest'ultima strofa sia ripresa l'orgogliosa sfida verso Dio -pur essendo dentro una preghiera- annunciata nella strofa precedente, perché gli occhi
mortali delle creature di Dio  danno solo una pallida idea della luce emesssa dalla corona (o diadema) che sarà intrecciata dalle mani del poeta.

Conclusione (per Richter)


In questa poesia si afferma in modo netto la separazione fra il Poeta e i suoi simili, a cominciare da sua madre e la sua compagna.
La separazione è però voluta dalla "Tribù" e non dal poeta. Morale: La volontà umana (dualista) respinge il poeta come espressione della volontà  delle potenze
supreme.
Il poeta si presenta come contraddizione della creazione esistente e del suo Dio, cioè di colui che ha costruito questa cultura dualista per suo uso esclusivo.
Si tratterebbe ancora di uno schema cristiano fondamentale:
Matteo 10, 22, e 34-36: "E voi sarete odiati da tutti a causa del mio nome... non crediate che io sia venuto a portare la pace sulla terra, non sono qui per portare la
pace ma la spada, perché sono venuto ad opporre l'uomo a suo padre, la figlia alla madre, e la nuora a sua suocera. Avrete per nemici le persone della vostra
famiglia"
Richter sostiene però che malgrado le somiglianze, Baudelaire sostiene altro.
Per compiere il primo passo della sua avventura, o meglio, per far schiudere il primo "fiore" del libro, che dovrà condurre al "frutto" delle futura "corona mistica
del Poeta", Baudelaire ha usato i temi principali, i più prestigiosi e universali dello spiritualismo e del naturalismo occidentale.
In definitiva, ha lavorato con un materiale ben consolidato nell'animo del suo lettore "Ipocrita".

Se chiunque fra noi può riconoscere certi aspetti delle proprie convinzioni intellettuali o delle sue abitudini mentali, in realtà nessuno può essere totalmente
soddisfatto, o ritrovare un itinerario già percorso. Soprattutto il lettore cristiano o il cattolico, consolidato nelle sue certezze. Ma vale lo stesso per il lettore
materialista o neopagano. Sebbene, il più insoddisfatto è il lettore razionalista della filosofia dei lumi, o i partigiani del progresso (il tipo umano forse più diffuso
quando Baudelaire pubblica il suo libro)
Il lettore più soddisfatto per ora, è il lettore romantico-orfico, che vede nel poeta un uomo diverso dagli altri sin dalla sua nascita.... un solitario un infelice.
Ma ai tempi, l'orfismo romantico prendeva la via di un ripiego nostalgico verso il pittoresco medievale o si rifugiava nelle descrizioni naturalistiche o neo pagane.
Baudelaire, al contrario, usa un violento antinaturalismo ed esclude ogni concessione al pittoresco o all'aneddoto, alla nostalgia del passato e alla descrizione
soddisfatta.

Infine, l'immagine della donna (madre e compagna) così mostruosamente sfigurata, non può che creare perplessità nel lettore. Il taglio più violento infatti,
s'instaura fra il poeta e la donna.
Nella Genesi (3-15) si crea un'intimità fra l'immagine di Satana e quella della donna "Creerò un'ostilità fra te e la donna". Questo potrebbe accentuare l'aspetto
del poeta come espressione di "potenze infernali", ma sono solo congetture.

Un'ultima considerazione da fare, affatto secondaria, è che Gesu nasce da una vergine, attraverso l'annunciazione sovrannaturale di angelo visibile, il Poeta invece
nasce naturalmente, dall'unione di un uomo e una donna. E mentre Gesù esclude un rapporto normale con le donne, il Poeta ha una compagna.
Quindi se anche il poeta nasce da "Potenze supreme", non possiamo parlare per lui di miracolo, perché é l'esperienza e non il miracolo che sembra provare che
ogni uomo nasce con delle caratteristiche particolari attribuibili a predestinazioni diffcilmente verificabili e quindi chiamate con nomi diversi (Eredità, potenze
supreme, caso o altro)
Certo è che il "poeta bambino" ha un angelo invisibile (quello di Maria era invece visibile) che lo protegge, cosa che, se ci pensiamo, esclude il miracolo e tollera
un'esperienza affettiva.

Baudelaire ci introduce in uno spazio ignoto (che dovrebbe essere la vera realtà) a metà cammino fra le nozioni dualiste del reale, dell'irreale, del naturale e del
sovrannaturale.
Il poeta appare come essere sovrannaturale e nasce come un essere naturale.

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