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LA CULTURA E GLI INTELLETTUALI TRA FINE ‘800 E INIZIO ‘900

Il secondo ‘800 è l’epoca in cui trionfa la modernità e sconvolge il modo stesso di concepire la vita.

Si sviluppa in questo periodo l’idea di progresso, secondo la quale tutto ciò che è nuovo e giovane, è da
preferire a ciò che è vecchio o appartiene al passato. Comincia a diffondersi la convinzione che le numerose
scoperte scientifiche e tecnologiche portino inevitabilmente a uno sviluppo intellettuale e spirituale.
La valorizzazione degli aspetti tecnici, meccanici e materiali del progresso provoca però anche
smarrimento e disagio. L’avanzamento del progresso produce talvolta soprusi e ingiustizie e sembra sacrificare
la spiritualità dell’uomo, la sua aspirazione a una felicità che non può essere raggiunta solo attraverso
miglioramenti materiali.
Sulla diffusione dell’idea di progresso influiscono le nuove teorie di Auguste Comte, il fondatore del
Positivismo; il Positivismo è strettamente collegato alle teorie dello scienziato inglese Charles Darwin, legate
all’evoluzione.
Alla fine del secolo si registra una violenta rottura con la cultura positivista, si passa dall’esaltazione
della scienza alla proclamazione del suo fallimento e dal razionalismo all’irrazionalismo.

LA NUOVA LETTERATURA: IL DECADENTISMO

Radicalmente contrapposta alle concezioni positiviste, naturaliste e veriste, a partire dalla Francia negli
ultimi decenni dell’800 si verifica la svolta che muta il volto della letteratura europea e che coincide con la
nascita del Decadentismo e del Simbolismo.
Nel 1857, Charles Baudelaire pubblica la raccolta poetica I fiori del male: in essa il mito del progresso
esaltato dal Positivismo viene rovesciato. L’autore propone il modello dell’artista “controcorrente” e
“maledetto”, che nella propria poesia esprime il “male di vivere”, l’esaltazione della trasgressione, il rifiuto
delle regole morali e il dandysmo, inteso come ostentata e aristocratica raffinatezza, in cui la bellezza è il valore
supremo.

Il Decadentismo si afferma a Parigi tra il 1870 e il 1890, prendendo le mosse dal distacco, da parte di un
gruppo di poeti francesi che si richiama a Baudelaire, dalla poesia accademica e dal rifiuto del culto dell’
oggettivo teorizzato da Positivismo e Naturalismo. Intellettuali, artisti e scrittori si ritrovano e si riconoscono in
concezioni comuni: all’ottimismo dei contemporanei, gli scrittori denominati con disprezzo decadenti dai
detrattori oppongono la propria condizione di sradicati, ostentano pessimismo e disgusto per il mondo, rifiutano
quella che considerano la grigia realtà e l’ipocrisia sociale, cercando la fuga verso una bellezza insolita e
preziosa, nascosta nel mistero e nell’ignoto. Per raggiungere tale scopo, lo scrittore decadente fa uso di alcool e
droghe che lo mettano in contatto con un mondo allucinatorio, che ritiene magico e sacro, nascosto sotto
l’apparenza della percezione sensibile. Il poeta si trasforma così in veggente, poiché la sua sensibilità lo mette a
contatto con realtà misteriose che esprime nei propri versi, ma anche in maledetto, per la vita sregolata che deve
condurre per il suo conflitto con la realtà e con le regole sociali.

Le caratteristiche che accomunano i Decadenti, che pure spesso si rifanno a concezioni, poetiche, modi
di vivere e scrivere assai diversi, possono essere riassunti in alcuni punti fondamentali, che si intrecciano alle
tendenze irrazionaliste coeve:
-opposizione al razionalismo, quindi al Positivismo e alle poetiche da esso ispirate, cui vengono
contrapposte concezioni dell’arte e indirizzi che respingono l’imitazione della realtà; in primo luogo l’uso del
simbolo opera attraverso immagini che rappresentano qualcosa di diverso rispetto alla realtà;

-rifiuto delle norme e della morale, cui viene contrapposta la concezione dell’estetismo, secondo cui la
bellezza è il valore supremo e l’artista ne è il sacerdote, al tempo stesso maledetto, incompreso, isolato dalla
società e superiore al gregge degli ipocriti e conformisti, cioè della massa;

-attrazione per gli aspetti irrazionali e oscuri della psiche, come l’istinto, l’inconscio, gli stati morbosi e
le alterazioni della mente provocate dalle malattie;

-irrequietezza, ricerca di ciò che rappresenta la fuga dalla realtà, viaggi, alcool, droghe, esotismo, e
identificazione con chi vive ai margini della società;

-sostituzione all’eroe del romanzo tradizionale di un antieroe, sempre in rotta con la società: o perché
artista ed esteta, o perché inetto, o perché legato ad una concezione dell’esistenza opposta a quella dei
contemporanei e che mette in luce soprattutto la negatività e il male di vivere.

BAUDELAIRE, PRECURSORE E MAESTRO

Il grande precursore della tendenza, Charles Baudelaire, nasce a Parigi nel 1821. Dopo un’infanzia in
cui riceve un’educazione cattolica, trascorre un’adolescenza triste, sfortunata e ribelle, in seguito alla morte del
padre e al violento contrasto insorto con il patrigno.
Intorno ai 20 anni Baudelaire stringe amicizia con un gruppo di poeti dalla vita sregolata e, inviatovi dal
patrigno, che spera di indurlo a cambiare vita, Baudelaire compie poi un viaggio in India, dove entra in contatto
con le culture e le arti extraeuropee, assimilando la concezione induista che ritiene la realtà una pura illusione.
Tornato nella capitale francese, stringe una relazione con l’attrice Jeanne Duval, descritta poi nelle
poesie talora come fonte di ogni piacere, talora come una sorta di vampiro che lo trascina verso il male, talora
come ispiratrice di sentimenti di purificazione spirituale. Le numerose figure femminili che costelleranno la vita
del poeta conserveranno sempre tale contraddittorietà.
Benché erede del patrimonio paterno, lo scrittore conduce un’esistenza disordinata e oberata dai debiti,
che lo affliggeranno per tutta la vita.
Nel febbraio 1857, Baudelaire consegna all’editore il proprio capolavoro, la raccolta poetica I fiori del
male: il volume viene sequestrato per ordine della magistratura; il processo per immoralità e oscenità si
conclude con la condanna al pagamento di una multa e la soppressione di sei poesie. Baudelaire prepara una
nuova edizione, che viene pubblicata nel 1861.
Colpito da una violenta paralisi, il poeta, non ancora cinquantenne, muore a Parigi dopo una lunga
agonia nel 1867: lucido, ma senza aver recuperato l’uso della parola.

I FIORI DEL MALE


La raccolta I fiori del male (in francese Les fleurs du mal) è divisa in sei sezioni: Spleen e Ideale, Quadri
parigini, Il vino, I fiori del male, La rivolta, La morte. Il titolo sottintende il senso della poetica di baudelaire,
secondo cui i fiori – simbolo della bellezza – nascono dal male, da intendersi sia come trasgressione sia come
sofferenza (psichica o legata alla condizione umana).

SEGUIRE DAL LORO TESTO


Nella seconda metà dell’800 assistiamo alla presa di coscienza della nuova condizione degli intellettuali:
l’artista non gode più di una funzione privilegiata, ma deve adeguare la propria arte al pubblico. Il pubblico non
può essere ignorato, l’opera deve tener conto delle sue esigenze altrimenti non viene venduta; questi processi
però si accompagnano ad un profondo disagio degli artisti che vedono mercificata la loro arte, si tratta un vero e
proprio declassamento rispetto al periodo romantico. L’artista non è più centrale nella società, ma diventa
marginale, è un escluso; vengono meno il suo privilegio sociale, la sua superiorità e la sua eccezionalità.

LA PERDITA DELL’AUREOLA
Il passo, pubblicato per la prima volta nel 1869, è tratto da Piccoli poemi in prosa, opera che tende a
eliminare la differenza tra prosa e poesia. Le parole del brano leggono in modo inedito la realtà, caricandola di
profondi significati simbolici: la metafora ironica dell’artista che ha perso la sua aureola lo rende un angelo
precipitato nel fango o un poeta senza alloro, comunque un vero antieroe.
Il poeta oscilla tra lo stato d’animo disgustato dalla vita comune e quello teso al suo superamento,
ansioso di purezza. Per lui è infine inevitabile la caduta, congiunta alla volontà di perdizione, alla ricerca
dell’insolito nella trasgressione.

ANALISI DEL TESTO


L’ironica (ma anche amara) vicenda narrata da Baudelaire in Perdita d’aureola è ambientata in un non
meglio definito postaccio. Il protagonista racconta all’interlocutore – che afferma di conoscerne la natura di
creatura angelica e dotta (il bevitor di quintessenza... il mangiator d’ambrosia) – la propria disavventura.
Mentre attraversava un caotico viale percorso dalle carrozze, temendo di essere travolto e di morire, a
causa di un brusco movimento egli ha perso l’aureola, che gli è scivolata dal capo nel fango. Poiché non ha
avuto il coraggio di raccoglierla, la sua vita è radicalmente cambiata, e, vivendo in incognito – cioè, senza
essere riconosciuto – può ora compiere bassezze e avere comportamenti viziosi.
All’umoristico suggerimento di ritrovare l’aureola con un annuncio sul giornale, o con l’aiuto della
polizia, il protagonista risponde che non lo farà, perché la nuova condizione gli è gradita (mi trovo bene qui).
Quanto all’aureola, conclude, sarà raccolta da qualche poetastro che se ne cingerà il capo, facendo
divertire (mi farà ridere), per la sua ridicola condizione, il protagonista, ormai diventato un antieroe, caduto egli
stesso nel fango.

L’interpretazione e il confronto con l’Albatro


La nascita della produzione di massa ottocentesca fa sì che anche la letteratura non si sottragga alla
legge economica della domanda e dell’offerta: il prodotto artistico diventa merce. Ciò fa perdere al poeta
quell’alone di sacralità che un tempo gli garantiva un ruolo nobile. Con il suo tipico stile che già anticipa
il Simbolismo, Baudelaire esprime tale condizione di decadenza del poeta in celebri liriche come L’albatro,
usando una forma drammatica. Nel brano proposto – non a caso in prosa – usa invece l’ironia.
L’aureola perduta nel fango dal protagonista è simbolo da un lato della condizione dell’angelo caduto,
dall’altro dell’alloro poetico, caro ormai solo a qualche poetastro che ancora si illude sfacciatamente di tornare
alla passata condizione dell’artista, cui si accenna nelle prime righe (l’ambrosia è il cibo degli dèi nella
mitologia classica). Se l’albatro, in balia della ignobile folla dei marinai, non può camminare perché ha ali da
gigante che lo impacciano; il protagonista del brano invece afferma di godere delle proprie bassezze e di
provare noia per la dignità passata: anche ciò dipende dalla scelta del registro ironico e prosaico. Inoltre, mentre
l’Albatro è caratterizzato dalla figura del poeta-albatro inteso come grande sconfitto, nella perdita dell’aureola
il poeta rappresenta un antieroe che, nella società degradata, cerca il piacere nella crapula, abbassandosi e
trasgredendo come e più dei semplici mortali, e rinunciando alla sua grandezza, per timore del ridicolo.

L’ALBATRO
Baudelaire anticipa di alcuni decenni la poesia simbolista, per la quale il mondo è un infinito intrico di
metafore: ogni cosa ne richiama (non logicamente, ma analogicamente) un’altra, in un labirinto che lega le
percezioni dei sensi in corrispondenze che rinviano all’ignoto e all’assoluto, alla realtà misteriosa e
inconoscibile che si nasconde, secondo il principio affermato dalle filosofie orientali, sotto il velo delle
apparenze sensibili. Il pensiero di Baudelaire tende, infatti, a essere rappresentato attraverso simboli: il poeta, in
una celebre lirica, è come l’albatro, il grande uccello marino che, caduto sulla tolda della nave, è sbeffeggiato
dalla folla ottusa dei marinai, che rappresentano gli uomini comuni.

In molte liriche sono espressi temi che influenzeranno per decenni la letteratura: fra essi, la concezione
che il poeta ha di se stesso: insieme bohémien, zingaro e sradicato, estraneo agli altri uomini e da essi
emarginato, e tuttavia consapevole della propria diversità e superiorità, in quanto totalmente libero e amante
della bellezza, unico valore che può rendere meno orrendo l’universo, meno grevi gli istanti; a lei vanno
subordinati e sacrificati tutti gli altri valori, a partire da quelli morali (concezione, questa, che inaugura
l’estetismo).

CORRISPONDENZE

Nella seconda metà dell’800 le masse diventano protagoniste: la nascita dei partiti dà loro la possibilità
di esprimersi politicamente, mentre le organizzazioni dei lavoratori fanno pressioni sui dirigenti per avere
maggiori diritti. In questa nuova dimensione in cui si svolge la vita dell’uomo, il suo rapporto con la natura si fa
sempre più indiretto: la natura tende a diventare artificiale e viene sostituita dall’immagine della città labirintica
in cui si muove la folla. Il più importante poeta moderno, il francese Charles Baudelaire, non descrive più la
natura nelle sue poesie, ma il labirinto delle strade asfaltate di Parigi in cui registra la presenza rumorosa e
oppressiva della folla cittadina.

A UNA PASSANTE

IL SIMBOLISMO

Anch’esso nato a Parigi, imprime alla tendenza decadente un’ulteriore svolta che sarà destinata a
influenzare la poesia europea del XX secolo; la corrente letteraria del simbolismo sostiene che la poesia debba
basarsi sul suono puro della parola, il simbolo si stacca da ogni riferimento alla realtà esterna ed entra in
relazione con l’interiorità del poeta, la poesia acquista così una valenza polisemica, in quanto aperta a numerose
interpretazioni.
I poeti simbolisti cercano quindi di rendere la poesia simile alla musica e alla nascente pittura astratta, i
cui dipinti sono basati principalmente sull’effetto suscitato dall’accostamento dei colori. La poesia simbolista
quindi non si propone di rappresentare o cantare aspetti della realtà,

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