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1° lezione 25.09.23
Il 1900 fu un secolo molto complesso, ricco di polemiche e dibattito >> come si dovrebbe far poesia e cosa
è giusto dire in poesia.
In Italia c’è una tradizione lirica radicata e canonizzata (lingua della poesia è della poesia → un genere illustre
molto più della prosa, romanzo).
Il 1500 è un secolo d’oro per la lirica ma nel 1800 l’Italia inizia a perdere il primato → Leopardi comincia a
mettere in dubbio la solida struttura del testo lirico (sonetti, canzoni, gran ballate… ) e inizia a lavorare sulla
forma >> ma non riesce a fare scuola entro il 900.
CONTESTO STORICO-LETTERARIO
Dopo l’impetuoso sviluppo economico (crescita settore industriale e libera concorrenza) iniziò un periodo di
crisi che portò gli stati verso politiche protezionistiche.
In Italia dopo l’unificazione dello Stato (1861) salì al potere la Destra Storica, con lo scopo di organizzare
politicamente il nuovo stato.
La cultura si diffonde in maniera organizzata e centralizzata (scuole pubbliche) e infine molto importante è il
fenomeno dell’emigrazione che vide milioni di italiani trasferirsi negli Stati più ricchi per lavorare.
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Nella nuova società che attraversa questi numerosi cambiamenti (come i processi di industrializzazione di
massificazione) cambia la condizione dell’artista.
Il poeta non gode più di particolare privilegio (non è più il poeta vate). L’intellettuale moderno si immerge nella
società del suo tempo per cercare di interpretarla dall’interno o rappresentando gli aspetti più caotici e terribili
o segnando i sogni e le aspirazioni.
❖ Filone REALISTICO: intellettuale “impegnato” > analisi della società con intento di fare un’analisi
critica sul suo tempo
❖ Filone SIMBOLISTA-DECADENTE: intellettuale “esteta” > sensibilità estetizzante, gusto per oggetti
rari, ambienti esotici, donna fatale (colei che conduce alla morte attraverso una carica erotica e
componente spirituale.
Nell’ambito filosofico concetto di superuomo e di volontà di potenza di Nietzsche e antipositivismo di Bergson
che riflette sulla diversità tra il tempo della scienza e il tempo vissuto dalla coscienza (= problema della
memoria).
LA LETTERATURA ITALIANA
Nell'Ottocento compresenza di temi classici, presenza del poeta Vate (Carducci); movimenti innovativi (come il
Verismo, Verga); corrente decadente-simbolista (D’Annunzio, Pascoli) e si sviluppa in Italia anche un’editoria
moderna e commerciale.
LA POESIA DI CARDUCCI
A fare scuola alla fine del 1800 c’è CARDUCCI → poeta vate per eccellenza (classico) e aveva anche forte
presenza politica. Egli comincia a pensare di poter rinnovare il genere lirico attualizzando la metrica greca e
latina o utilizzando argomenti di stampo classico.
Italia era un paese un po’ in ritardo rispetto alla poesia di Baudelaire→ canoni di tradizione molto radicati,
mentre in Europa inizia a cambiare qualcosa.
Nella poesia di Carducci (poesia di eccellenza) la realtà viene trasfigurata → linguaggio del lirico e diverso
Es. Lidia deve salire su un treno e saluta carducci >> il metro è fisso, la forma è rigida, il lessico è aulico e
classico → c’è la tradizione (Leopardi, Dante, Carducci) >> topos = nella poesia si usa parlare di una donna
descrivendo un dettaglio della stessa.
SCAPIGLIATURA
Nel 1900 (trent’anni dopo) tutto questo scompare → è un secolo strano perchè in Italia si trova anche
tutt’altro. Sempre alla fine dell’ 800 si sviluppa anche un modo di fare lirica completamente diverso:
SCAPIGLIATURA → movimento (autori che condividono delle caratteristiche poetiche) in quali capostipiti
sono EMILIO PRAGA e ARRIGO BOITO.
Essi iniziano a fare poesia parlando di cose MACABRE per spaventare il lettore >> la borghesia
(es “lezione di anatomia”)→ temi strani e modo strano di approcciarsi al pubblico.
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Per una RIBELLIONE ALLA TRADIZIONE LIRICA ITALIANA= ribellione al canone lirico per la quale in
poesia si possono dire solo determinate cose > cambia il modo di trattare gli argomenti (es. come parlare di
una donna). “Vendetta postuma” → vendicare contro l’amata che l’ha tradito > approccio diverso = poesia
violenta e macabra
Sono dei contemporanei a Carducci: in Italia un poeta classico, aulico che lavora sul metro barbaro dei latini e
dei greci vs gli scapigliati >> CARDUCCI → uomo politico , interviene nelle questioni di Stato, insegnante vs
EMILIO PRAGA → alcolizzato, pittore, poeta maledetto.
ripenserai l'alcova e il letticciuolo Ripenserai la tua foga omicida, E allora sentirai l'onda dei vermi
dei nostri lunghi amori, e gli immensi abbandoni; salir nel tenebrore,
quand'io portava al tuo dolce lenzuolo ripenserai le forsennate grida, e colla gioia di affamati infermi
carezze e fiori. e le canzoni; morderti il cuore.
DIBATTITO FORTE del 2^ ottocento: “che cosa si può dire in poesia? Come lo si deve dire? Si può
parlare di tutto? La poesia deve educare o è solo un esempio di arte dove si può esprimersi
liberamente?” >> ciò che può esserci in poesia e ciò che non può essere scritto.
Carducci su riviste si esprime contro la scapigliatura → è contrario alla rivalutazione della poesia di Praga e lo
accusa di essere un imitatore > Praga malato della poesia di Baudelaire (le immagini, le espressioni per
spaventare i borghesi, le bruttezze stupide e modo di fare poesia a livello formale).
Sono i 1^ a portare in Italia la poesia francese → Baudelaire e i fiori del male avevano dato scandalo (vengono
censurati dal tribunale di Parigi) quindi quella poesia preoccupava gli amanti della morale e della lirica.
In questa, per la prima volta si inizia a parlare della CITTÀ all’interno di una raccolta lirica.
Una città come Parigi che nella seconda metà dell’Ottocento viveva un boom demografico e di
rinnovamento topografico e industriale → ampliamento che l'avrebbe destinata a diventare la capitale
europea ( una città in via di sviluppo)
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L’elemento della FOLLA metropolitana diventa importante e inizia a influenzare pesantemente anche la
Poesia lirica.
La sua presenza comincia a mettere in dubbio lo statuto del POETA VATE (qualcuno di privilegiato) in quanto
c’è un contesto sovra-affollato e alla borghesia la poesia inizia a interessare sempre di meno (la poesia così
nobile non riguardava il mondo del commercio o il mondo capitalistico) >>> inizia a essere un genere
superfluo e non quotidiano (non ci insegna in fondo nulla) che al massimo può diventare merce (quanto
vende un libro di poesia?)
Il poeta si interroga quindi su che cosa vale la sua produzione? che scopo ha? che cosa insegna?
À UNE PASSANTE
La rue assourdissante autour de moi hurlait. Dans son oeil, ciel livide où germe l'ouragan,
Longue, mince, en grand deuil, douleur majestueuse, La douceur qui fascine et le plaisir qui tue.
Une femme passa, d'une main fastueuse
Soulevant, balançant le feston et l’ourlet; Un éclair... puis la nuit! — Fugitive beauté
Dont le regard m'a fait soudainement renaître,
Agile et noble, avec sa jambe de statue. Ne te verrai-je plus que dans l’éternité?
Moi, je buvais, crispé comme un extravagant,
Ailleurs, bien loin d'ici! trop tard! jamais peut-être!
Car j'ignore où tu fuis, tu ne sais où je vais, Un lampo... poi la notte! - O fugace bellezza, il cui sguardo m'ha
Ô toi que j'eusse aimée, ô toi qui le savais! ridato improvvisamente la vita, non ti rivedrò che nell’eternità?
Altrove, ben lungi da qui, tardi, troppo tardi, forse mai ! Io non so
dove fuggi, tu ignori dove io vada. O te che avrei amato, o te che lo
Dattorno a me urlava la strada assordante. Alta, sottile, in lutto sapevi!
stretto, maestosa nel suo dolore, una
donna passò, sollevando con la mano superba il festone e l'orlo della [trad. di Attilio Bertolucci]
gonna;
era così agile e nobile, con la sua gamba statuaria... Io bevevo, teso
come un folle, nel suo occhio, cielo livido in cui nasce l'uragano, la
dolcezza che incanta e il piacere che uccide.
Sonetto che fa parte della sezione i “Quadri di Parigi” e nella quale è visibile il modo in cui cambia la
presentazione dell’amore in epoca moderna (la donna cantata è una perfetta sconosciuta) e la presenza
della città influenza l’immaginario poetico baudleriano.
Nei Fiori del Male la metrica è perfetta (versi alessandrini francesi vs endecasillabi italiani), la traduzione si fa
in prosa senza rispettare la misura del verso.
LA PERDITA DELL’AUREOLA
L’AUREOLA PERDUTA
«Come! voi qui, mio caro? Voi in questo brutto posto? Voi, il bevitore di quintessenze! Voi, il mangiatore di ambrosia! C'è invero di che restare
sorpresi.
- Mio caro, sapete bene quanto mi terrorizzino le carrozze e i cavalli. Poco fa, mentre attraversavo il viale in tutta fretta saltellando in mezzo
al fango, in quel caos in movimento dove la morte arriva al galoppo da tutte le parti nello stesso tempo, per un gesto brusco l'aureola mi è scivolata
dalla testa nel fango del lastrico. Non ho avuto il coraggio di raccattarla. Giudicai meno sgradevole perdere le mie insegne che farmi rompere le
ossa. E poi, mi dissi, la disgrazia serve sempre a qualcosa. Ora posso andarmene in giro in incognito, compiere azioni basse, darmi ai bagordi come i
comuni mortali. Ed eccomi in tutto simile a voi, come vedete! - Dovreste almeno pubblicare un annuncio della perdita dell'aureola, o fare
denuncia al commissariato.
- Proprio no! Mi trovo bene, qui. Solo voi mi avete riconosciuto. D'altronde la dignità mi disturba. E poi penso che qualche cattivo poeta la
raccatterà e se la metterà in testa spudoratamente. Che piacere far felice qualcuno! Soprattutto qualcuno la cui felicità mi farà ridere! Pensate a X, o
a Z! Ah, sarà davvero divertente!».
“Piccoli poemetti in prosa”→ versione complementare dei Fiori del Male in PROSA
SPLEEN → sentimento di angoscia che contraddistingue il poeta moderno e contrapposto all’ ideale (prima
sezione Fleurs du Mal è “Spleen e Ideale”).
Ideale → beatificazione, senso di pienezza, completezza e aspirazione che il poeta non raggiunge mai
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Lo spleen diventerà citatissimo poi in Italia (crepuscolari…), poi c’è Parigi e la definizione del genere
POEMA IN PROSA: è la poesia in prosa → la poesia in epoca moderna inizia ad assumere questa veste,
una prosa lirica e i due generi iniziano ad avvicinarsi → salta la netta distinzione tra generi che troviamo
invece in territorio italiano (=Esperimenti su come rendere lirica la prosa >> D’annunzio ci lavorerà e cercherà
una PROSA che sia musicale che cerchi di evocare le immagini e sensazioni della lirica attraverso suggestioni
ricercate, sono pezzi per lo più brevi).
Il poeta passeggia per la città, viene colpito da elementi e ci racconta cosa gli succede >> Il “passeggio della
città”> Flânerie e il Flâneur è il perdigiorno che perde le giornate contemplando l’ambiente che gli sta
intorno e questa diventa occasione di lirica e il poeta diventa un emarginato.
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Il simbolo per eccellenza coincide con la PERDITA DELL'AUREOLA, corona che lo distingue dalla mediocrità
borghese e lui sente di averla persa. Emarginato e ignorato dalla società contemporanea il poeta diventa un
reietto, ma comincia a farsene vanto.
IL VECCHIO SALTIMBANCO
Dappertutto si spandeva il popolo in vacanza. Si metteva in mostra, se la godeva. Era una di quelle festività sulle quali da sempre fanno conto i
saltimbanchi, i giocolieri, gli ammaestratori di animali e i venditori ambulanti per compensare i periodi magri dell'anno. In quei giorni ho
l'impressione che il popolo si dimentichi di tutto, sia del dolore sia del lavoro, e che diventi come un bambino. Per i più piccoli è un giorno di
vacanza, è l'orrore della scuola che viene rimandato di ventiquattr'ore. Per i grandi è un armistizio concluso con le potenze malefiche della vita, una
tregua nella contesa e nella lotta universali. Neppure l'uomo di mondo e l'uomo occupato in lavori spirituali sfuggono facilmente all'influenza di
questo giubileo popolare. Assorbono senza volerlo la loro parte di atmosfera spensierata. Quanto a me, io non manco mai, da vero parigino, di
passare in rassegna tutte le bancarelle che vantano le loro offerte in queste ricorrenze festive. La concorrenza che si facevano era davvero
formidabile: strillavano, muggivano. Era un miscuglio di grida, un fragore di ottoni, un'esplosione di razzi. Maschere e buffoni storcevano le facce
cotte dal sole, raggrinzite dalla pioggia e dal vento; con l'imperturbabile aplomb di attori sicuri del loro effetto, lanciavano le loro battute e le loro
beffe, robuste e grevi come la comicità di Molière. Gli Ercoli, fieri dell'enormità delle loro membra, il cranio senza fronte come scimmioni, si
esibivano in pose statuarie dentro le loro maglie lavate la sera prima per l'occasione. Le danzatrici, belle come fate, come principesse, facevano salti
e capriole alla luce fiammeggiante dei fanali che riempivano di scintille le loro vesti Tutto era luce, polvere, grida, gioia, tumulto; gli uni
spendevano, gli altri guadagnavano, gli uni e gli altri ugualmente felici. I bambini si attaccavano alle gonne materne per avere qualche bastoncino di
zucchero filato, o salivano sulle spalle dei loro padri per vedere meglio un giocoliere risplendente come un Dio. E dovunque, dominante su tutti i
profumi, circolava un odore di frittura, che era come l'incenso particolare di quella festa. In fondo, all'estremità della fila di bancarelle, come se per
vergogna si fosse esiliato da tutti questi splendori, vidi un povero saltimbanco, curvo, cadente, decrepito, un rudere d'uomo, addossato a uno dei pali
della sua baracca: una baracca più miserabile di quella del selvaggio più abbrutito, e la cui miseria era fin troppo illuminata da due mozziconi di
candela sgocciolanti e fumosi. Dovunque gioia, guadagno, sfrenatezza; dovunque, la certezza del pane per l'indomani; dovunque, un'esplosione
frenetica di vitalità. Qui, la miseria assoluta, la miseria (per colmo d'orrore) agghindata di comici stracci, contrasto inventato dalla necessità più che
dall'arte. Non rideva, il disgraziato! Non piangeva, non ballava, non gesticolava, non gridava; non cantava nessuna canzone, né allegra né triste, non
implorava. Era muto e immobile. Aveva rinunciato, abdicato. Il suo destino era compiuto. Ma che sguardo profondo, indimenticabile mandava in
giro sulla folla e le luci, su quel flusso che si fermava solo a qualche passo dalla sua repulsiva miseria! Mi sentii la gola afferrata dalla stretta terribile
dell'isteria, e mi sembrò che i miei sguardi fossero offuscati da quelle lacrime ribelli che non vogliono scorrere. Che fare? A che scopo chiedere allo
sventurato quale curiosità, quale meraviglia avesse da mostrare in quelle tenebre maleodoranti, dietro la sua tenda sbrindellata? In verità, non osavo
chiedere; e anche se la ragione della mia timidezza dovesse farvi ridere, devo confessare che temevo di umiliarlo. Alla fine, m'ero appena deciso a
posare, passando, un paio di monete su una delle sue tavole sperando che indovinasse la mia intenzione, quando un gran flusso di folla provocato da
non so quale scompiglio mi trascinò lontano da lui.
E mentre rientravo, ossessionato da questa visione, tentai di analizzare il mio improvviso dolore, e mi dissi: Ho
appena visto l'immagine del vecchio uomo di lettere sopravvissuto alla generazione di cui fu il brillante animatore;
del vecchio poeta senza amici, senza famiglia, senza figli, degradato dalla povertà e dall'ingratitudine pubblica, e
nella cui baracca la gente immemore non vuole più entrare.
Un quadretto parigino e un testo tragico → decreta la morte del poeta nel mondo contemporaneo,
contesto in cui è ignorato.
➢ Il riferimento ricorrente ai soldi > tutti sono certi di mettere da parte qualcosa per l’indomani ma non il
saltimbanco perchè non guadagna
➢ il saltimbanco sta a metà tra il mendicante, lo straccione e il pagliaccio.
Anche qui nella parte finale viene esplicitata la metafora, in explicit l’Albatros (re delle nubi) coincide con il
poeta >> la vergogna dell’ Albatros tormentato dai marinai è come la vergogna del saltimbanco.
In questo poema, quando il poeta è trascinato dalla folla e viene allontanato (potenza che è impossibile da
distruggere) e torna a casa, si rende conto che quello che ha visto è il poeta della generazione precedente
che non riesce più a sopravvivere nel mondo contemporaneo e borghese.
3° lezione 03.10.23
DECADENTISMO E SIMBOLISMO
Il Decadentismo e il Simbolismo sono i movimenti fondamentali in quanto spartiacque tra quello romantico e
quelli avanguardisti del Novecento.
➔ Decadentismo:
◆ il nuovo eroe decadente era il dandy > eccentrico esteta che coltivava forti passioni
◆ il presente era nobilitato e impreziosito
◆ trattate le propulsioni profonde dell’individuo
◆ estetismo era una delle componenti essenziali > aspetti artistici anche nella vita quotidiana,
“arte per l’arte”, la vita stessa deve essere un opera
➔ Simbolismo:
◆ valore evocativo della parola > scoprire le “corrispondenze” nascoste tra l’anima del poeta e
quella del mondo; linguaggio vago con risonanze foniche; poesia pura
◆ il poeta è il rappresentante privilegiato dell'umanità
◆ rifiuto della realtà apparente esteriore
◆ necessità di trovare forme inedite > uso del verso libero
Ricerca del "sub linguaggio"> la forma tradizionale inizia a sgretolarsi, non ci sono più i due generi letterari
distinti della poesia e della prosa. Decadentismo (presenza del macabro, osceno, violento, vedi Emilio Praga).
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SIMBOLISMO: I simbolisti si caratterizzano per la fiducia nel valore evocativo e magico della parola che
poteva far scoprire CORRISPONDENZE NASCOSTE tra il poeta e il mondo (ricerca di un linguaggio
evocativo) >> TEORIA DELLE CORRISPONDENZE
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Correspondences è il 4^ testo della 1^ raccolta > “Spleen et idéal ” >> posizione rilevante nel libro di poesia
(MERIDIANI MONDADORI edizioni che raccolgono una collezione dei testi dell’autore). Fa parte dei TESTI
PROGRAMMATICI nella quale l’autore esprime la propria poetica e intenzioni
II est des parfums frais comme des chairs d'enfants, Vi sono profumi freschi come carni di bimbo, dolci come òboi, verdi
Doux comme les hautbois, verts comme les prairies, come prati - altri, corrotti, ricchi e trionfanti,
— Et d'autres, corrompus, riches et triomphants,
che posseggono il respiro delle cose infinite: come l'ambra, il
Ayant l'expansion des choses infinies, muschio, il benzoino e l'incenso; e cantano i moti dell'anima e dei
Comme l'ambre, le musc, le benjoin et l'encens, sensi
Nella PRIMA QUARTINA > QUARTINA PROGRAMMATICA
A partire da questa inizia ad instaurarsi l’idea che il mondo naturale e delle apparenze possa suggerire
qualcosa di più della mera apparenza >> un significato PROFONDO delle cose.
Es. un paesaggio evocativo può nascondere un sentimento particolare per qualcuno
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Si parla di una visione diversa del mondo che non si ferma al mero piano oggettuale.
Colui che è in grado di leggere al piano delle apparenze e rispetto all’ evocazione superiore che la natura
suggerisce è il POETA.
Egli possiede uno sguardo particolare sulle cose rispetto al “non poeta” >> ha una sensibilità spiccata, vista
acuta che ha qualcosa di magico e di divino.
La NATURA è intesa come ENTITÀ (N maiuscola) e il poeta che passa tra le foreste di simboli deve
guardare in profondità per poter decifrare le parole della natura >> solo lui le può sentire o interpretare e ciò
non è un procedimento scontato o quotidiano.
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Talvolta le parole sono confuse: la natura suggerisce e il poeta deve cogliere l’attimo per decifrare, non è
un'operazione semplice >> ci vogliono sensi affini, affilati.
Nella SECONDA QUARTINA i primi 3 versi proseguono i versi precedenti >>> il poeta deve ILLUMINARE
LA VERITÀ NASCOSTA.
In questa tenebrosità/senso celato PROFUMI, COLORI E SUONI SI RISPONDONO. Ogni elemento si
risponde ed è questo che il poeta deve cercare e che l’uomo comune non può comprendere >> un senso
ulteriore alle cose > capire la legge che fa funzionare
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Verso programmatico >> la ricerca dell’unità dell'arte:
L’arte che non si avvale più di un solo senso, un solo linguaggio o strumento ma è ONNICOMPRENSIVA
attraverso tutti i sensi (l'olfatto con profumi evocati, colori con immagini proposte…)
Es. Voyelles di Rimbaud
Sono un tentativo di unire le sfere all’interno di un testo poetico.
Ciò non avvenne solo in poesia, ma ci furono anche esperimenti in pittura e in scultura, es. come nel dipinto
(fermare sulla tela un soggetto), in letteratura si cerca di fermare un movimento.
IL LESSICO
Ogni parola è importante >> i profumi verdi cantano. Ciò di cui si parla nel verso 8, viene immediatamente
messo in pagina >>> profumi verdi cantano!!! PROFUMI, COLORI E SUONI SI RISPONDONO
LA DEDICA
La poesia di Baudelaire risponde anche alla prosa > Dedica che inserisce e include al poema in prosa
“Spleen de Paris, petit poème en prose”.
Era molto comune nel ‘900 che quando si pubblicava ci fosse una dedica a un interlocutore, in questo caso:
a Arsène Houssaye
Qui Baudelaire spiega le sue intenzioni nel momento in cui sperimenta il poème en prose.
Non sono brani in sequenza, ma piccoli quadretti intercambiabili >> NON ci sono INTERCONNESSIONI se
non con i fiori del male.
Es. vedere un tramonto ed essere ad un tratto travolti da un emozione, un barlume che si accende nel vivere
quotidiano (fare caso a qualcosa) > Epifania nei "modernisti".
In quel momento si pensa “dovevo essere proprio io in questo momento” e si prende consapevolezza di
qualcosa
Il poeta è in grado di leggere il significato di una scena e di accorgersi di qualcosa di più profondo all’ interno
della realtà (“essere io, qui e ora”) mentre il non poeta non possiede questa sensibilità
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La trama è invisibile e va composta. Quando è composto, tutto è perfetto e in ordine > non c’è caos, c’è unità
e ci sono corrispondenze >> bisogna tradurre la realtà in qualcosa di diverso/significativo per il lettore
attraverso un gioco delle arti >> una prosa poetica musicale senza ritmo e senza rima
PASCOLI
SIMBOLISMO E PERSISTENZA DELLA TRADIZIONE
ELEMENTI BIOGRAFICI
- Subisce traumi familiari >> il padre muore il 10 Agosto 1877 a fucilate mentre rientrava a casa e
questo omicidio squote l’immaginario di Pascoli
- Sviluppa con le sorelle un rapporto morboso teso alla ricostruzione del nido famigliare (matrimonio di
Ida vissuto come un doloroso tradimento)
- Si avvicina a moti studenteschi socialisti > periodo in prigione
- Nel 1905 assume all’Università di Bologna la cattedra di letterature classiche dopo di Carducci (si
sente un po’ allievo). Carucci è il poeta vate, civile, normativo e politico. Formazione che deriva dal
magistero carducciano (lo stesso d'Annunzio si considera allievo)
- Vive nella seconda metà del ‘800
- Muore (1912) nel decennio del ‘900
- Produzione poetica a cavallo tra il ‘800 e ‘900
Pascoli si discosta dal modo classico e ricercato carducciano di fare poesia. Egli parla di FAMIGLIA, di
QUOTIDIANITÀ, di temi meno nobili, più umili e semplici (diverso da Carducci).
LA PRODUZIONE
Abitudina pascoliana di aggiungere nuovi componimenti al nucleo originario >> continuo arricchimento testuale
● 1891. Myricae (1° edizione) e 1900 edizione definitiva > lirismo quotidiano, titolo deriva dalle “Bucoliche” di
Virgilio (mi piacciono gli arbusti e le umili tamerici), componimenti brevi, natura vista come consolatrice
del dolore umano (è la protagonista della raccolta), temi della morte e dell’infanzia. Utilizzo di termini
definitori e assoluti in grado di evocare il mondo poetico con precisione (regionalismi, vocabolario
specialistico per la flora e fauna)
● 1903 Canti di Castelvecchio (1903: “inizio del Novecento”) >> inizio del Novecento per la letteratura >
componimenti più lunghi, presenza della voce dei morti, il passato si confonde con il presente,
presenza di metafore che avvicinano la poesia al simbolismo europeo.
● Egli scrive anche i Poemetti (mondo agreste e figure umane al lavoro) e poesia civile (argomento
storico-civile, populista e patriottico funzionale alla retorica nazionalista)
● Benedetto Croce denuncia alcune fragilità strutturali > artificiosità di alcune soluzione formali,
mancanza di una stilizzazione sufficiente a sostenere la qualità popolare dell’aspirazione
Inizia con 1903 attraverso il disgregamento delle forme, cambiamento dei temi dell’interlocutore, postura e
del ruolo del poeta)
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1903: Canti di Castelvecchio (Pascoli), Alcyone (D’Annunzio) e “Le fiale” (Corrado Govoni)
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INIZIO DELLA LETTERATURA DEL NOVECENTO
➔ CAMBIO DI SOGGETTO/DI LINGUAGGIO
◆ no odi civili/ lirica socialmente impegnata
◆ no classicismo estetizzante
◆ no soggetti classici nobili,
◆ no nobilitazione del quotidiano con lessico aulico e forma (trasposizione degli oggetti)
➔ MA BANALE e QUOTIDIANO > personale, individuale, soggettivo (scene di campagna)
Il poeta ferma sulle pagine un'impressione di argomento quotidiano e naturale >> lo sguardo del poeta
mobilita i paesaggi e oggetti
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➔ RIVENDICAZIONE DEL SOGGETTIVO fondamentale per il passaggio alla poesia del ‘900
➔ Prima grande rivoluzione: si parla di tutto >> oggetti sono la proiezione delle emozioni / turbamenti
del poeta
➔ SOGGETTIVO è importante >> dimenticare il valore del privato
Myricae, Il lampo
E cielo e terra si mostrò qual era:
LA LINGUA
Il periodo mima la rapidità della scena >> apparì/sparì, s’aprì/si chiuse.
Pascoli è molto simile a Baudelaire rispetto a Carducci che filtra tutto con linguaggio classico e austero.
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La scena di Livia sembra che duri un'eternità mentre à une passante (di Baudelaire), l’immediatezza del suo
mostrarsi, anche se banale, mostra ciò che è importante per il poeta >> appare un elemento e il poeta lo
coglie subito (un lampo e poi la notte… À UNE PASSANTE)
Sono brevi quadretti come ad es. gli impressionisti che dipingevano in fretta.
4° lezione 09.10.23
Rose al verziere, rondini al verone!» “1. verziere: giardino; verone: balcone (cfr. MY Quel giorno 2 e la
Dice, e l’aria alle sue dolci parole nota relativa).
sibila d’ali, e l’irta siepe fiora. 3. irta: ispida; fiora: fiorisce (arcaismo).
Altro il savio potrebbe; altro non vuole; 7. a … corone: più volte Pascoli ribadisce di rivolgersi ai giovani
pago se il ciel gli canta e il suol gli odora; (biondi capi), per i quali intreccia le sue parole nelle strofe, come
suoi nunzi manda alla nativa aurora, fossero fiori intrecciati in corone.”
a biondi capi intreccia sue corone.
In questa poesia il MAGO è il poeta e la poesia viene presentata come la magia. Il mago/poeta è colui che
ordina alla natura come comportarsi per risvegliare l’inizio della primavera >>attraverso la parola si vuole
cambiare il dato atmosferico regionale.
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❖ La poesia è figurativa >> linguaggio e lessico non sono più attuali (es. verziere, verone).
❖ Il poeta si rivolge all’ambiente, ordina al giardino di produrre delle rose e ordina alle rondini di andare
sul balcone >>> ordine alla primavera perché si risvegli e cambi l’ atmosfera e appena lo dice l’aria
produce suono d’ali, arrivano le rondini e la siepe fiorisce
❖ Nei primi 3 versi il poeta esprime ciò che accade; negli ultimi c’è il senso di ciò che vuole dire Pascoli:
il poeta potrebbe ambire ad altro, alla gloria e all'aureola (non sta educando le folle), ma non vuole >>
preferisce dialogare con l’ambiente >> è contento se il cielo canta per lui, la terra fiorisce e manda i
suoi versi all’aurora.
❖ Il poeta intreccia i suoi versi e strofe >> per i GIOVANI (biondi capi, fanciulli)
❖ La poesia è figurativa → il linguaggio e lessico non sono più attuali > è tradizionale classico.
Presenza di arcaismo (es. odora, fiora, verziere, verone)
❖ Il tema è diverso rispetto a tradizione dell’Ottocento > il poeta ha il potere di trasformare la realtà
attraverso la parola, è un mago capace di leggere nella trama del mondo e modificarla
❖ Si accontenta → potrebbe formalizzare, parlare di politica, alle masse ma è contento così e il suo
rapporto privilegiato con la natura è sufficiente >> abbassamento di tono al non politico
❖ Testo di un poeta che ha perso l’aureola (vs D’annunzio che si sente ancora vate)
CONTRASTO
Accanto al carattere metapoetico di Contrasto, si deve rilevare anche l’accento antidannunziano dell’antitesi tra
«artista» e «poeta»: il secondo cerca «il poetico, il buono e il bello», mentre il primo, mosso dalla «gola di gloriola»,
insegue «il sonante e l’abbagliante».
“Se l’artista (come D’Annunzio) crea dal nulla un oggetto raffinato (la fiala), il poeta (come Pascoli) trasforma le piccole e umili cose, anche un
sasso qualunque, in pietre preziose; la poesia sembra un controcanto de Il sonetto d’oro, pubblicato da D’Annunzio. Pascoli riesce a ricavare pietre
preziose (un rubino, un topazio, un’ametista) non dall’oro ma dai materiali più umili e comuni.”
Attraverso l’USO DELLA PAROLA si trasforma la realtà > beni che la parola trasforma e mobilita. Il poeta è
un BUON MAGO perché parte da materiali poveri, semplici sassi > potere di mobilitare ciò che è umile, basso,
semplice (es. fiori del male > visione di una carogna). Il poeta può rendere bello e contemplare tutto
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- 1° Strofa → D’ Annunzio lavora solo con materiali eleganti > Marzo perchè la fiala se la muovi cambia
colore come il cielo > limpido o scuro
- 2° Strofa → Pascoli che riesce a concentrarsi, a lavorare e mobilitare il basso, il comune e
l’insignificante
IL FANCIULLINO (1897)
Ma è veramente in tutti il fanciullo musico? Che in qualcuno non sia, meglio stupore che ignoranza, e curiosità meglio che loquacità:
non vorrei credere né ad altri né a lui stesso: tanta a me parrebbe di Impicciolisce per poter vedere, ingrandisce per poter ammirare. Né il
lui la miseria e la solitudine. Egli non avrebbe dentro sé quel seno suo linguaggio è imperfetto come di chi non dica la cosa se non a
concavo da cui risonare le voci degli altri uomini; e nulla dell'anima mezzo, ma prodigo anzi, come di chi due pensieri dia per una parola.
sua giungerebbe all'anima dei suoi vicini. […] Egli ci fa perdere il E a ogni modo dà un segno, un suono, un colore, a cui riconoscere
tempo, quando noi andiamo per i fatti nostri, ché ora vuol vedere la sempre ciò che vide una volta.
cinciallegra che canta, ora vuol cogliere il fiore che odora, ora vuol C'è dunque chi non ha sentito mai nulla di tutto questo? Forse il
toccare la selce che riluce. fanciullo tace in voi, professore, perché voi avete troppo cipiglio, e
E ciarla intanto, senza chetarsi mai; e, senza lui, non solo non voi non lo udite, o banchiere, tra il vostro invisibile e assiduo
vedremmo tante cose a cui non badiamo per solito, ma non conteggio. Fa il broncio in te, o contadino, che zappi e vanghi, e non
potremmo nemmeno pensarle e ridirle, perché egli è l'Adamo che ti puoi fermare a guardare un poco; dorme coi pugni chiusi in te,
mette il nome a tutto ciò che vede e sente. Egli scopre nelle cose le operaio, che devi stare chiuso tutto il giorno nell'officina piena di
somiglianze e relazioni più ingegnose. Egli adatta il nome della fracasso e senza sole.
cosa più grande alla più piccola, e al contrario. E a ciò lo spinge Ma in tutti è, voglio credere.
GLORIA (Myricae)
“La poesia venne pubblicata come prima delle Myricae. Chiaro
dunque era il valore di programma poetico conferito a questa lirica da
Pascoli, che immagina di avere un colloquio con il personaggio
dantesco di Belacqua, che in Dante è emblema di pigrizia, mentre - Al santo monte non verrai, Belacqua? -
qui diventa simbolo del poeta (in cui Pascoli si identifica) che non Io non verrò: l’andare in su che porta?
aspira alla gloria ma è pago di ascoltare le voci della natura e di Lungi è la Gloria, e piedi e mani vuole;
riprodurle nella sua poesia, lontana dai temi magniloquenti (con e là non s’apre che al pregar la porta,
probabile riferimento a Carducci). e qui star dietro il sasso a me non duole,
Belacqua è il pigro liutaio che, per aver rimandato il pentimento alla ed ascoltare le cicale al sole,
fine della sua vita, si trova nell’Antipurgatorio, dove dovrà e le rane che gracidano, Acqua acqua!
rimanere tanto tempo quanto visse; è l’unico personaggio della
Commedia che si permette un atteggiamento irridente con Dante
(che gli chiede la ragione della sua pigrizia), apostrofandolo così:
«Or va tu sù, che se’ valente!».
La poesia è il testo inaugurale nella prima edizione della raccolta Myricae e appartiene alla sezione Le Gioie
del poeta (poi spostato > valore programmatico).
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Il poeta parla con Belacqua (artigiano che era conosciuto da Dante per la sua pigrizia) nel Purgatorio
Dante raccontava questo sonnecchiasse durante il giorno e quando arrivavano i clienti li mandava via.
Peccato della pigrizia >> pace propria → dialogo con la tradizione.
Dante lo incontra e persino dopo la morte se ne sta seduto all’ombra di un sasso e non vuole scalare la
montagna > è l’unico che tratta Dante in modo irriverente.
Belacqua non necessita di andare in vetta per la gloria e la fama >> Pascoli parla di questo: testo pragmatico
(è tanto moderno e borghese).
In “GLORIA” Pascoli anche gli domanda se inizia a salire e l'altro gli dice no! >> non vuole perché non ne
vede l'utilità. La gloria è distante, ci vuole mani e piedi per arrampicare e una volta arrivati in vetta bisogna
pregare per dimostrare di meritarselo → ci vuole impegno
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DISCORSO METAPOETICO >> no ricerca dell’aureola, del prestigio e della nobiltà >> Pascoli è Belacqua
IL BOLIDE (Canti di Castelvecchio)
Tutto annerò. Brillava, in alto in alto, no, non solo! Lì presso è il camposanto,
il cielo azzurro. In via con me non c’eri, con la sua fioca lampada di vita.
in lontananza, se non tu, Rio Salto. Accorrerebbe la mia madre in pianto. un globo d’oro, che si tuffò muto
nelle campagne, come in nebbie vane,
Io non t’udiva: udivo i cantonieri Mi sfiorerebbe appena con le dita: vano: ed illuminò nel suo minuto
tuoi, le rane, gridar rauche l’arrivo le sue lagrime, come una rugiada
d’acqua, sempre acqua, a maceri e poderi. nell’ombra, sentirei su la ferita. siepi, solchi, capanne, e le fiumane
erranti al buio, e gruppi di foreste,
Ricordavo. A’ miei venti anni, mal vivo, Verranno gli altri, e me di su la strada e bianchi ammassi di città lontane.
pensai tramata anche per me la morte porteranno con loro esili gridi
nel sangue. E, solo, a notte alta, venivo a medicare nella lor contrada, Gridai, rapito sopra me: Vedeste?
Ma non v’era che il cielo alto e sereno.
per questa via, dove tra l’ombre smorte così soave! dove tu sorridi Non ombra d’uomo, non rumor di péste.
era il nemico, forse. Io lento lento eternamente sopra il tuo giaciglio
passava, e il cuore dentro battea forte. fatto di muschi e d’erbe, come i nidi! Cielo, e non altro: il cupo cielo, pieno
di grandi stelle: il cielo, in cui sommerso
Ma colui non vedrebbe il mio spavento, Mentre pensavo, e già sentia, sul ciglio mi parve quanto mi parea terreno.
sebben tremassi all’improvviso svolo del fosso, nella siepe, oltre un filare
d’una lucciola, a un sibilo di vento: di viti, dietro il grande olmo, un bisbiglio E la Terra sentii nell’Universo.
Sentii, fremendo, ch’è del cielo anch’ella.
lento lento passavo: e il cuore a volo truce, un lampo, uno scoppio... ecco E mi vidi quaggiù piccolo e sperso
andava avanti. E che dunque? Uno scoppiare
schianto; e brillare, cadere esser caduto, errare, tra le stelle, in una stella.
e su la strada rantolerei, solo... dall’infinito tremolìo stellare,
C’è un riferimento a un meteorite → interesse di Pascoli verso in contesto astrale (il cielo, gli astri, cometa di
Halley, le stelle, 10 Agosto).
Nel 1903 non c’è più quella fiducia nel cielo come elemento rassicurante >>> sicura del Paradiso, è un buco
nero buio. Si sono perse le coordinate di fiducia e di ordine che aveva l’uomo dell'Ottocento > un cielo
ordinato secondo un ordine cosmico dato da Dio (dà un senso del perché siamo qui e dà sicurezza sulla
morte).
Per pascoli noi siamo delle formiche sballottate in un universo infinito (non visione centrale), in una massa di
rocce infuocate che vaga nel buio.
● Dante → Universo accogliente, ordinato e di senso
● Pascoli →Universo alla deriva, insensato, un ammasso di rocce e noi siamo in balia di un destino
che nessuno capisce
Nella poesia è presente il TEMA FUNEBRE DEI MORTI > se ne vanno senza un senso
Il poeta sta passeggiando da solo a San Mauro di Romagna (fiume di Rio Salto), è notte e in alto brillano le
stelle > descrizione di rumori che Pascoli sente.
Momento di ricordo di quando a vent'anni ha sentito la minaccia della morte per la prima volta. Quando
siamo bambini non pensiamo alla morte.
Pascoli sta camminando in un sentiero di notte e ha paura per questa situazione. Pensiero al padre, figura
paterna che lo proteggeva (ora la protezione non c’è più). In uno schiocco di vita potrebbe essere morto
>>> TEMA DEL FUNEBRE.
Non sarebbe solo perché lì vicino c’è il cimitero e i suoi cari lo aspettano nell’aldilà. I morti iniziano a
consolarlo → pacificazione e idea di una soluzione nella morte: terminare la sofferenza e il sentimento di
pressione.
Ma succede qualcosa, un lampo e uno scoppio lo distraggono (un globo d’oro che si tuffa nelle montagne) >
vuoto dell'aldilà squarciato da un astre.
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L’immagine di riunificazione con la famiglia e di pacificazione scompare >> vuoto nero totale e assoluto
e la terra è immersa nell'infinità del vuoto > non c’è più la speranza di capire pienamente di realtà.
Nel momento finale Dante è asceso al Paradiso e guarda la Terra sotto di lui > vede il SENSO
DELL’UNIVERSO. Dopo il percorso da inferno, purgatorio e paradiso può contemplare ciò che c'è sotto e
tutto ha un ordine (ci rassicura).
Pascoli ha la stessa possibilità di contemplare se stesso e la Terra ma vede se stesso piccolo e non c’è
ordine, nulla di confortante è IL BUIO.
Nuova consapevolezza > 1903 Canti di Castelvecchio fanno da spartiacque. Il testo spesso contempla dei
momenti di illuminazione → per un attimo squarciano la realtà e ci fanno vedere qualcos’ altro. La
descrizione della scena è qualcosa che suscita la riflessione.
Ribaltamento della tradizione da un punto di vista ideologico e esistenziale
GABRIELE D’ANNUNZIO
ELEMENTI BIOGRAFICI
- si distingue sin da adolescente per le sue abilità poetiche e nel 1879 pubblica la sua prima raccolta di
versi “Primo Vere”
- presenza di un forte senso estetico raffinato e di una personalità delineata > ricerca di un'arte totale
- capacità di autopromuoversi e di offrire al pubblico opere squisite o scandalose
- a Napoli entra in contatto con le letture di Nietzsche >> formazione della concezione dannunziana del
superuomo
- a Venezia conosce Eleonora Duse e successivamente si trasferisce nella villa “Capponcina” a Firenze.
- egli è considerato un dandy >> un animale di lusso
- sin dal 1916 compie imprese militari specie aviatorie >> rimane ferito in un incidente che gli provoca
gravi danni alla vista (in questa condizione scrive il “Notturno”)
- è scontento a fine guerra di non avere ottenuto l’Istria e la Dalmazia >> VITTORIA MUTILATA
- alleato di Benito Mussolini, conclude gli ultimi anni della sua vita nel “Vittoriale degli italiani”
LA PRODUZIONE
- esordisce da adolescente con Primo vere >> temi della totalità della natura fino ad identificarsi con
essa e la sua forma vitale primigenia attraverso una metamorfosi dell’umano in un essere vegetale o
animale
- importante è la produzione del CICLO DELLE LAUDI > “Laudi del cielo del mare della terra e degli
eroi” > sintetizza i valori fondamentali della sua poetica (metrica libera, imitazione dei classici unita al
simbolismo e virtuosismo linguistico) > panismo, superomismo di matrice Nietzsche, la tensione a
una vita inimitabile e alla creazione di opere non soggette alla storia > creazione del MITO
MODERNO del POETA
- MAIA: parla della celebrazione degli antichi
- ELETTRA: temi di carattere eroico e politico
- ALCYONE: ogni sezione racconta un periodo di un’estate trascorsa dal poeta-superuomo tra
Firenze e Versilia
- La pioggia nel pineto > esaltazione del rapporto panico tra io e la natura → perfetta simbiosi tra il poeta
e il mondo
- Il Piacere > primo romanzo dannunziano dove il protagonista rappresenta un DOPPIO dell’autore >
sovrapposizione tra vita e arte è completa e permette l’autopromozione mondana e commerciale.
Sperelli non è un superuomo però perché è debole e diviso per l’incapacità di SCEGLIERE per l’amore
tra Elena Muti (sensuale e fatale) e Maria Ferres (delicata e spirituale). Presenza di lessico coltissimo
- con la lettura di Nietzsche inizia una nuova fase narrativa che lo porta a concepire personaggi sul
modello del superuomo
- ultimo romanzo dannunziano è Forse che sì forse che no > azione militare come nuovo campo del
superuomo > ESALTAZIONE DELLE MACCHINE (aeroplano) in quanto generatore di miti e di eroi
- Il Notturno > diario del periodo in cui a causa di un incidente aereo durante la guerra, fu costretto a
rimanere in oscurità > prose frammentistiche
- si dedica anche alla drammaturgia per ottenere un rapporto diretto con il pubblico dei teatri molto
numeroso > si concentra sul dramma a fondo storico
- Benedetto Croce lo definisce un “dilettante di sensazioni”; altri lo distinguono tra i decadenti per il
sentimento quasi religioso della parola e il suo stile è considerato fondamentale per le generazioni
successive. Secondo Ezio Raimondi egli è creatore di un linguaggio assoluto e auto promotore della
propria immagine nella prima fase della massificazione della cultura
5° lezione 10.10.23
I CREPUSCOLARI
In Italia si sviluppa la corrente dei CREPUSCOLARI (Govoni, Moretti, Corazzini e Gozzano) i quali temi sono
l’inettitudine del poeta e la banalità del vivere quotidiano, distacco dal decadentismo e accettazione della
mediocrità borghese. Il Crepuscolarismo si libera dai presupposti dell’estetica decadente e rinnova il
linguaggio poetico > visione del mondo piena di noia e di malinconia, presentazione di oggetti squallidi scenari
provinciali, dettagli umili e inessenziali. Marginalità dell’intellettuale che si incarna in una soggettività poetica
debole e depressa >> l’artista non si identifica in un POETA VATE o in un EROE ma in personaggi deboli e
marginali lamentosi e clowneschi (=senso di colpa e polemica antiletteraria)
GUIDO GOZZANO
La presenza forte della borghesia nel mondo contemporaneo è uno dei macro temi, tema di fondo della
poesia di Guido Gozzani (ss la signorina Felicita è un ideale).
Per la prima volta la letteratura è vista come una malattia > rintanarsi nello studio provoca un distacco dal
mondo reale, un’alienazione, troppa contemplazione, indugio nel pensiero che ci fa perdere il contatto con la
realtà.
Nella signorina Felicita è presente genuinità e immediato del mondo che non sono a livello degli intellettuali
che Gozzano >> invidia.
L’intellettuale viene visto come vicino alla malattia e come distacco dal concreto (paragonato alla morte)
Gozzano dice: “preferirei una giovane ingenua, che non mima le grandi eroine ottocentesche, che mi ama di amore
spontaneo e una che imita l’amore ottocentesco (Ortis). La letteratura viene percepita come qualcosa che ci
distacca dalla vita a causa delle eccessive riflessioni.
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Gozzano rientra nei POETI CREPUSCOLARI ma è un paradosso > gli autori non sono simili tra loro.
Gozzano non è simile a nessuno e in genere viene inserito tra i crepuscolari perché è accumulato agli altri
autori dal filo conduttore della MALINCONIA
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TEMI: postura introversa e riflessiva, il peso del pensiero, una perdita di consapevolezza totale e schiacciato il
ruolo del poeta vate (colui che professa verità alle folle).
I crepuscolari hanno vena INTIMISTICA delle piccole cose > atmosfere autunnali, grigie e presenza di suono
malinconico > che si sente nelle strade (ballate tristi che condizionano la scena, es Le tristezze di Corazzini,
Le fiale di Govoni,1903).
Gozzano scherza sulla sua condizione e questo contrasto lo rende solo simile a se stesso > malinconia
trattata con ironia
ELEMENTI BIOGRAFICI:
Nasce nel 1883 a Torino e la sua produzione letteraria parla della sua terra natale:
- poesia della città (Torino) dove la borghesia è il centro del contesto sociale
- poesia della campagna piemontese > Villa Amarena, il Meleto (residenza estiva del poeta), ville nel
canavese.
Ricordi del nonno che abitava nelle stanze, profumo di vecchio >> atmosfere crepuscolari
- Scrive “La via del rifugio” e “I colloqui”
Il vecchio e il rimpianto del passato sono temi della poesia di Gozzano, a questa altezza nasce il rimpianto per
un tempo trascorso che il poeta non ha vissuto.
Si sente nato nel tempo sbagliato >> tempo che non considera la poesia rilevante e dove il tempo è inteso
alla moneta, è il guadagno e l'economia che mandano avanti il mondo (rimpianto per il tempo nella quale
la poesia aveva un ruolo).
Il soggetto poetico parla di sé con scansioni NARRATIVE > continuo processo di demistificazione e riduzione
di sé.
DENUNCIA LA MENZOGNA DANNUNZIANA attraverso un punto di vista realistico > presentate immagini di
depressione, di ripiegamento e di sconfitta.
La DECADENZA e l’ALIENAZIONE del tempo presente è contrapposta a un tempo passato più gioioso, di
maggiore vitalità e che dava la possibilità di entrare in contatto con la realtà.
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Rimpianto per un passato e un desiderio di evasione per la ricerca di felicità che sta sempre più in là di
dove si riesce ad arrivare.
(es “la più bella” isola non trovata, che continuamente si cerca, ma che non si trova mai; oppure moglie di un
amico di Gozzano che lui non vede mai ma che potrebbe essere la donna che avrebbe amato >> bene che sta
al di là ma che non si raggiunge mai)
LA FORMA
La componente narrativa è fortissima > Gozzano racconta delle storie, hanno uno svolgimento narrativo. I
personaggi sono identificati e tornano tra un testo e un'altro (= testo auto esplicativo), sono fortemente
connotati e narrativi come in un romanzo.
(Es nonna Speranza e la storia legata al personaggio; la signora Felicita… = come una saga) non c’è più la
brevità della scena ma estensione da racconto (Gozzano simile solo a se stesso).
Gozzano muore giovane perché da giovanissimo contrae la tubercolosi (tisi), una malattia molto diffusa nella
metà dell’Ottocento. La malattia diventa METAFORA DELLO SCRIVERE POESIA.
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La letteratura comincia ad essere avvicinata alla decadenza anche fisica (il poeta crepuscolare è un poeta
fisico e debole di polmoni).
C’è la sensazione di impossibilità di vivere davvero, qualcosa impedisce di fare, di godere, qualcosa
blocca e rende impossibilitati di godere delle possibilità che ci sono date.
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Questa situazione di paralisi per Gozzano investe tutta l’esistenza anche da un punto di vista amoroso.
Uno dei temi è l’impossibilità di amare davvero.
LA LETTERATURA È UNA MALATTIA NEL CORPO E NELL'ANIMA
Le sue raccolte centrali sono “La via del Rifugio” (1907) e “I Colloqui” (1911) > date indicative di una
contraddizione. Nel 1911 apice poesia di Gozzano, 1909 primo manifesto del futurismo → tendenze
OPPOSTE > Il Novecento prende due direzioni diverse:
● Gozzano: involuzione, intimismo, rimpianto del passato, impossibilità di vivere davvero, perdita
dell’aureola e disagio nella propria vocazione (mi vergogno di essere un poeta)
● Futurismo: viva la guerra, la guerra gioia del mondo, viva la velocità, disprezzo donna, Nietzsche alla
potenza
L’abbassamento di tono che perne nella poesia gozzaniana vuole opporre alla antirisonanza di d’Annunzio e
non ha paura di prenderlo in giro apertamente >> fusione di aulico col prosaico, parla di storie quotidiane e
banali attraverso un repertorio verbale ricco.
PUNTI CHIAVE:
- rimpianto del passato
- nuova condizione sociale della borghesia come perno sociale
- letteratura come malattia > impossibilità di amare davvero
- contrapposizione rispetto al futurismo
LA PRODUZIONE
Contesto nella quale la poesia non è più pienamente praticabile, è un esercizio inutile:
- Modello dannunziano > poeta artificioso: eleganza, raffinatezza, preziosità, nobiltà che si oppone alla
mediocrità, al quotidiano e alla vita comune del mondo borghese (si pone al di sopra). Contrapporre la
propria eccezionalità alla banalità del borghese
- Crepuscolari > abbassano il tono e dialogano con le cose del mondo borghese >> Gozzano parla
attraverso l’IRONIA come base su cui costruire il linguaggio. Illusorietà perché il tempo del Poeta è
finito e da qui IRONIA vs colui che prova ad innalzarsi al di sopra
RIMPIANTO DEL PASSATO / IDEA DI NON ESSERE NATI NEL TEMPO GIUSTO
Al poeta è concesso di dire qualcosa di nuovo, qualcosa di diverso, soltanto a condizione di affermare che
oramai tutto quanto già è stato detto; la sola via che resta aperta è quella del ricomporre, impastandoli con i
sali dell'IRONIA, materiali già logori di una tradizione
❖ L’amica di nonna Speranza
❖ L’esperimento
Esiliato dal mondo dove scrive per una funzione autoconsolatoria > poesia è sempre altrove rispetto allo
spazio dominato dalla borghesia. Il prezzo della poesia è l’ESILIO, della SOLITUDINE in Totò (Albatros).
Una della NOVITÀ peculiari della poesia gozziana > gli elementi del mondo borghese entrano nel testo
poetico: sono le BUONE COSE DI PESSIMO GUSTO. C’è una volontà di preservare questi elementi di
quotidianità (es mobili che arredano salotto borghese, conversazioni sulle novità, sull’arte e sulla politica) >>
ironia ma al tempo stesso NOSTALGICO.
La rinuncia alla grande parola della lirica (fine del tempo del Poeta) si riflette su un’altra rinuncia > la sua
ESTRANEITÀ verso il tempo in cui si trova: rimpianto del passato, sognare un’amore impossibile da vivere
pienamente… > consapoevolezza che si è arrivati troppo tardi >> la letteratura e il troppo pensiero ci allontana
e inaridisce la spontaneità.
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Nell’artificio della letteratura amare davvero diventa impossibile >> i poeti cantano grandi amori FINTI
(D’Annunzio lo fa sempre, non è lirica vera) e approntano una storia, un prodotto che non ha niente di
spontaneo e non è la vita vera.
C’è, in Gozzano, presente sempre una duplice posizione nei confronti della durata della poesia e del rapporto
della poesia con il mondo borghese: da un lato, la dichiarazione di impossibilità e di morte; dall’altro, l’ironica
(e un poco masochistica) rappresentazione dell’unico e degradatissimo modo in cui si può tentare la poesia
nel contesto sociale e borghese. Il rapporto (strettissimo) di Gozzano con D’Annunzio, che è uno dei temi
costanti della critica gozzaniana […] si chiarisce proprio nell’opposta risposta che essi danno alla coscienza
dell’impossibilità della poesia nel mondo borghese: per d’Annunzio, la contrapposizione della propria
eccezionalità solitaria alla banalità e alla volgarità borghese; dalla parte di Gozzano, invece, il senso
dell’illusorietà, quindi dell’improponibilità di tale prosopopea, donde l’ironia e la parodia come le figure entro cui
le citazioni si sistemano all’interno del discorso gozzaniano, capaci di misurare lo stacco ormai incolmabile tra
il sublime dannunziano e la condizione degradata delle situazioni e delle cose nel mondo
contemporaneo, dominato dall’economicità borghese, G. Barberi Squarotti, Introduzione a Gozzano, Poesie, BUR 2018
❖ L’ipotesi (parodia e sogno proiettato “in avanti”: una vecchiaia borghese)
Amare d'amore non è possibile, oggi: non rimane che la coscienza del gioco fra l'intellettualistico e il
dissacrante (che è poi quello che perfettamente si accorda con il rapporto con le donne sofisticate che
meditano Nietzsche, le donne che vivono nell'atmosfera rarefatta e d'eccezione del poeta e della poesia,
malate anch'esse come è il poeta, almeno di quella malattia preziosa e raffinata che è tipica degli intellettuali,
quale è la nevrosi […]), intorno alla brutalità del sesso. L'ironia misura ancora una volta il distacco che c'è fra
la contemplazione del passato autentico e adeguato al sentimento e alla poesia e il presente arido,
brutale, volgare, negatore, al tempo stesso, dell'amore e dell'arte. Il presente è di ragazze come Ketty, «bel
fiore del carbone e dell'acciaio », « cerulo-bionda, Ie mammelle assenti, ma forte come un giovinetto forte », «
signora di sé, della sua sorte», che gira il mondo prima di convolare a giuste nozze con il cugino di Baltimora:
Ketty, che misura ogni cosa secondo la misura del denaro, esattamente integrata nelle convenzioni e nelle
regole della produzione capitalista, Di fronte a lei il più bel verso della poesia italiana diventa
impronunciabile, provoca il riso (come la scoperta che Carlotta non si è davvero reincarnata, che
l'esperimento è fallito, la finzione è subito caduta). È ridicolo, infatti, di fronte alla ragazza americana,
emancipata e padrona di sé, adoratrice del successo e del denaro, rievocare la grande poesia del passato, e,
al tempo stesso, citare i grandi archetipi romantici di Amore e Morte
❖ Ketty
❖ L’esperimento
❖ Il rapporto con Baudelaire
Gozzano […] spinge fino in fondo il pedale dell’autoironizzazione nostalgica. La sua poesia (La via del
rifugio, 1907; I colloqui, 1911) è stata raggruppata con quella di altri poeti di tono minore (Moretti, Corazzini,
Govoni), per farne una esperienza: quella «crepuscolare». Più il tempo passa, e più ci si accorge che Gozzano
è un caso unico e va isolato. L’interno borghese, che egli compone, è esemplare. C’è, tutta intera, la
consapevolezza di una condizione sociale, che le vicende mettono al margine, in una specie di museo liberty
vivente, e c’è, al tempo stesso, la nostalgia per una realtà passata, dove il poeta e il borghese (secondo
modelli dannunziani parodisticamente rifatti) contavano ancora assai. «Gozzano... attraversa D’Annunzio
come Baudelaire aveva attraversato Hugo. Sia Baudelaire, sia Gozzano, da buoni romantici (Baudelaire, si
capisce, romantico autentico; Gozzano, si capisce altrettanto bene, romantico rovesciato), intendono
perfettamente la precisa antinomia che si pone, storicamente, tra poesia e civiltà borghese» [E. Sanguineti].
Ma l’effetto di choc, sebbene non manchi, è come attutito e soffocato dal senso di dignità del borghese, che si
rinchiude nel proprio guscio, perché non è riuscito ad annullarsi del tutto nel poeta e ha vergogna di farsene
accorgere; e nella dimessa semplicità del verso, nel gioco ironico delle rime – poiché ormai la poesia non è
più una cosa che conta -, cerca di farla passare per un gioco di ragazzo ingenuo, riluttante a crescere e
a farsi borghese sul serio.
LA PROMESSA DELLA FELICITÀ/DELLA VERITÀ: SEMPRE ALTROVE, “UN PO’ PIÙ IN LÀ”
❖ La più bella (personaggi femminili gozzaniani: Il responso, L’amica di nonna Speranza…)
IL COMMESSO FARMACISTA
Ho per amico un bell’originale alle gioie del vino e dei tarocchi?
commesso farmacista. Mi conforta Piangeva. O morta giovane modista,
col ragionarmi della sposa, morta dal cimitero pendulo fra i paschi "Non glie li dico: ché una volta detti
priva di nozze del mio stesso male. non vedi il pianto sopra i baffi maschi quei versi perderebbero ogni pregio;
del fedele commesso farmacista? poi, sarebbe un’offesa, un sacrilegio
"Lei guarirà: coi debiti riguardi, per la morta a cui furono diretti.
lei guarirà. Lei può curarsi in ozio; "Lavoro tutto il giorno: avrei bisogno
ma pensi una modista, in un negozio... a sera, di svagarmi; lo potrei... Mi pare che soltanto al cimitero,
Tossiva un poco... me lo scrisse tardi. Preferisco restarmene con lei protetti dalle risa e dallo scherno
e faccio versi... non me ne vergogno." i versi del mio povero quaderno
Torna!... Tornò, sì, morta, al suo villaggio. mi parlino di lei, del suo mistero."
Pagai le spese del viaggio. E costa! Sposa che senza nozze hai già varcato
Vede quel muro bianco a mezza costa? la fiumana dell’ultima rinunzia, Imaginate con che rime rozze,
È il cimitero piccolo e selvaggio. vedi lo sposo che per te rinunzia con che nefandità da melodramma
alle dolci serate del curato? il poveretto cingerà di fiamma
Mah! Più ci penso e più mi pare un sogno. la sposa che morì priva di nozze!
La dovevo sposare nell’aprile; Vedi che, solo, e affaticati gli occhi
nell’aprile morì di mal sottile. fra scatole, barattoli, cartine, Il cor... l’amor... l’ardor... la fera vista...
Vede che piango... non me ne vergogno." preferisce le tue veglie meschine il vel... il ciel... l’augel... la sorte infida...
Ma non si rida, amici, non si rida saputi all’arte come cortigiane,
del povero commesso farmacista. in modi vari, con lusinghe piane Saggio, tu pensi che impallidirebbe
tentiamo il sogno per piacere agli altri. al mondo vano il fiore di parole
Non si rida alla pena solitaria come il cielo notturno che lo crebbe
di quel poeta; non si rida, poi Per lui soltanto il verso messaggiero impallidisce al sorgere del sole.80
ch’egli vale ben più di me, di voi va dal finito all’infinito eterno.
corrosi dalla tabe letteraria. "Vede, se chiudo il povero quaderno Di me molto più saggio, che licenzio
parlo con lei che dorme in cimitero." i miei sogni, o fratello, tu mantieni
Egli certo non pensa all’euritmia intatti fra le pillole e i veleni
quando si toglie il camice di tela, A lui soltanto, o gran consolatrice i sogni custoditi dal silenzio!
chiude la porta, accende la candela poesia, tu consoli i giorni grigi,
e piange con la sua malinconia. tu che fra tutti i sogni prediligi Buon custode è il silenzio. E le tue grida
il sogno che si sogna e non si dice. solo la morta giovane modista
Egli è poeta più di tutti noi ode: non altri della folla, trista
che, in attesa del pianto che s’avanza, "Non glie li dico: ché una volta detti per chi fraternamente si confida.
apprestiamo con debita eleganza quei versi perderebbero ogni pregio:
le fialette dei lacrimatoi. poi sarebbe un’offesa, un sacrilegio Non si rida, compagni, non si rida
Vale ben più di noi che, fatti scaltri, per la morta a cui furono diretti." del poeta commesso farmacista.
Contrapposizione tra la BORGHESIA (farmacista) e la MALATTIA DELLA LETTERATURA > distacco che
l'intellettuale finisce per subire
Il commesso farmacista è nato nel tempo giusto, aderisce perfettamente alle cose che vive, che sente e c’è
ingenuità, non ha il distacco intellettualizzante del poeta per vocazione.
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Gozzano da un lato invidia l’ ingenuità e dall'altro fa ironia sulla semplicità >>> critica la società borghese
ma invidia la condizione di aderenza al mondo > sentire di essere nati nel tempo giusto.
Lui avrebbe voluto nascere almeno 30-40 anni prima, 1850 (si immagina nato in quell anno).
Nella scenetta il farmacista ha perso l'amata (ha subito un lutto) perché è morta di tisi > riferimento alla
malattia di Gozzano, ma il farmacista lo rassicura che sarebbe guarito.
Egli è distrutto dalla perdita e per commemorare la morta è solito dedicarle della poesia. Sono versi scritti da
un borghese → versi da diario, di scuola → è come un adolescente, ingenuo e genuino.
Gozzano si accorge dell’ingenuità che lo fa ridere, ma al tempo stesso è invidioso ed eroso dalla malattia
della letteratura >> HA PERSO IL CONTATTO DIRETTO CON IL SENTIMENTO GENUINO DEL MONDO.
Gozzano prova a farne professione (“licenzio i miei sogni, li espongo, li recito, li vendo”) >> non si tratta che di
merce, mentre il commesso farmacista non li vende li tiene per sé.
Una dimensione intima che non ha bisogno di screditare il sentimento vendendo la poesia.
Anche se sono versi da diario, in questa pienezza di sentimento assumono un valore significativo e Gozzano
li invidia >> si sente un intellettuale finito sui volumi e sui libri.
Questo sentimento di vivere sbagliato rinuncia a cercare un sentimento di vitalità >> ripiegamento in una
dimensione intimistica e malinconica → si sente che la propria professione non è più riconosciuta >>
creazione di alcuni ALTEREGO:
1) immagina di avere un GEMELLO > il più adatto a vivere, disposto ad amare, il più vivo
2) TOTÒ MERÙMENI > colui che nutriva la grande vocazione poetica ma che viene disilluso dal tempo,
perdente, inetto, colui che si trova a dover rinunciare (alterego di Gozzano)
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NOME: traslitterazione italiana di Heautontimorumenos di Terenzio (punitore di se stesso) e titolo di una
poesia di Baudelaire
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Parte con un ideale ma viene totalmente disilluso dal contesto, dal mondo e dal tempo.
Totò abita in una villa isolata dove una volta si eseguivano feste per i nobili.
Ora è decadente e Totò si è rinchiuso.
Ha rinunciato ai suoi sogni di gloria perché non possibili con società contemporanea.
Vive in solitudine con un gatto, una scimmietta, una ghiandaia e alcuni parneti (madre inferma, zio demente,
prozia canuta).
Passa le sue giornate nell'esilio e nella contemplazione >> non abbandona la professione letteraria ma
rinuncia alla gloria e tiene l'esercizio letterario per sé → L'unico modo per praticare esercizio poetico è nella
propria solitudine.
Nella prima parte visibile il contrasto tra la villa splendente nell’Ottocento e quella che è diventata ora.
Toto è il personaggio che appartiene alla società che non gli permette di vivere
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Deve scegliere se vendere parolette, la propria arte o andarsi a commercio (gazzettiere). Lui rinuncia e sceglie
l’esilio. Ora è libero di contemplare chiuso nella villa.
Non è un egoista, non è cattivo, compie delle azioni caritatevoli e si presa all'interno della comunità, è il buono
che nietzsche prendeva in giro >> un inetto
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Colui che non è riuscito a trovare un posto nel mondo, non ha unghie abbastanza forti per farsi strada in
questo mondo dove bisogna arrampicarsi per arrivare. Si aspettava tanto quando era giovane (25 anni, stessa
età tra Totò e Gozzano) ma la vita si è ripresa tutto, le promesse offerte in gioventù si sono infrante.
Anni da romantico, sognatore > ha sognato l’amore della vita ma ora dorme con la cuoca domestica
Presenza di comico e tragico > gioioso e malinconico. In questa contemplazione distaccata dal mondo Totò
non percepisce più la genuinità della realtà perché c’è il lento male che ha inaridito la sua percezione e la
sua spontaneità → LA LETTERATURA.
La poesia può essere solo CONSOLAZIONE (chiuso in sé stesso opera e aspetta che la vita passi e così
vive) ma il prezzo è l’ESILIO.
Idea che la troppa letteratura renda alienati rispetto al mondo e l'avvento della borghesia del capitalismo
spazzi via la nobiltà della contemplazione e del verso.
Verso la fine della sua vita Gozzano va a fare un viaggio in India (ai malati era consigliato di frequentare
luoghi marittimi). In nave conosce Mrs. Ketty che arriva a Ceylon da Baltimora dove l’attende il cugino che
aspetta di sposarla.
Lei è americana, viene descritta come indipendente, emancipata, fuma la pipa, è mascolina, è arrivata sola,
non è una donna classica e ha una libertà ignota nella borghesia europea e italiana.
A un certo punto iniziano a parlare di lavoro e lei chiede cosa lui faccia per vivere > lui le dice che fa il POETA
e lei domanda di tradurre in inglese il più bel verso di un poeta italiano. Gozzano recita un verso di
Leopardi (Canti di Consalvo) “due cose belle al mondo, amore e morte” (amor non si è trovato e la morte che
è ancora tarda ad arrivare).
Lei a metà lo interrompe perché scoppia a ridere, non ride per il verso ma perché pensa che i poeti
pensano di rivelare verità ma non hanno un quattrino, pensano di valere qualcosa nella società ma in
realtà fanno la fame >>> Ketty è figlia del clamore, dell’acciaio, del capitalismo non capisce queste cose, un
verso di leopardi non vale niente per lei (non conta che la moneta, valore, gloria e significato alla poesia le
fanno ridere). Gozzano ci rimane male ma non importa fa finta di niente
IRONIA A D’ANNUNZIO:
Certi intellettuali sono noti a Ketty perché nei primi anni del Novecento si usava fare collezioni particolari es.
collezione di capelli
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Ketty colleziona capelli di intellettuali e chiede aiuto a Gozzano per chiocche di personaggi italiani.
Le manca D’Annunzio il quale, gli era stato offerto di partecipare alla collezione, ma lui ha pochi capelli e si è
rifiutato >>> ironia sul poeta vate per eccellenza
6° lezione 16.10.23
Ma quelli v’irrompono in frotta. È giunta, è «E questa è l’amica in vacanza: madamigella si spenge infine, ma lento. I monti s’abbrunano
giunta in vacanza Carlotta in coro:
la grande sorella Speranza con la compagna Capenna: l’alunna più dotta, l’amica più cara a il Sole si sveste dell’oro, la Luna si veste
Carlotta! Speranza.» d’argento.
Ha diciassett’anni la Nonna! Carlotta quasi «Ma bene.... ma bene.... ma bene....» diceva Romantica Luna fra un nimbo leggiero, che baci
lo stesso: gesuitico e tardo le chiome
da poco hanno avuto il permesso lo Zio di molto riguardo «.... ma bene.... ma dei pioppi, arcata siccome un sopracciglio di
d’aggiungere un cerchio alla gonna, bene.... ma bene.... bimbo,
il cerchio ampissimo increspa la gonna a rose Capenna? Conobbi un Arturo Capenna.... il sogno di tutto un passato nella tua curva
turchine. Capenna.... Capenna.... s’accampa:
Più snella da la crinoline emerge la vita di Sicuro! alla Corte di Vienna! Sicuro.... sicuro.... non sorta sei da una stampa del Novelliere
vespa. sicuro....» Illustrato?
Entrambe hanno un scialle ad arancie a fiori a «Gradiscono un po’ di moscato?» - «Signora Vedesti le case deserte di Parisina la bella?
uccelli a ghirlande; sorella magari....» Non forse non forse sei quella amata dal
divisi i capelli in due bande scendenti a mezzo E con un sorriso pacato sedevano in bei giovine Werther?
le guancie. conversari.
«.... mah! Sogni di là da venire!» - «Il Lago s’è
Han fatto l’esame più egregio di tutta la classe. «.... ma la Brambilla non seppe....» - «E pingue fatto più denso
Che affanno già per l’Ernani.... di stelle.» - «.... che pensi?» - «.... Non penso.» -
passato terribile! Hanno lasciato per sempre il «La Scala non ha più soprani....» - «Che vena «.... Ti piacerebbe morire?»
collegio. quel Verdi.... Giuseppe....»
«Sì!» - «Pare che il cielo riveli più stelle
Silenzio, bambini! Le amiche - bambini, fate «.... nel Marzo avremo un lavoro alla Fenice, nell’acqua e più lustri.
pian piano! m’han detto, Inchìnati sui balaustri: sognarne così, tra due
le amiche provano al piano un fascio di nuovissimo: il Rigoletto, Si parla d’un cieli....»
musiche antiche. capolavoro.»
«Son come sospesa! Mi libro nell’alto....» -
Motivi un poco artefatti nel secentismo fronzuto «.... Azzurri si portano o grigi?» - «E questi «Conosce Mazzini....»
di Arcangelo del Leùto e d’Alessandro Scarlatti. orecchini? Che bei «E l’ami?...» - «Che versi divini!» - «Fu lui a
rubini! E questi cammei...» - «la gran novità di donarmi quel libro,
Innamorati dispersi, gementi il core e l’augello, Parigi....»
languori del Giordanello in dolci bruttissimi ricordi? che narra siccome, amando senza
versi: «.... Radetzky? Ma che? L’armistizio.... la pace, fortuna,
............... la pace che regna....»
un tale si uccida per una, per una che aveva il Quel giorno - malinconia - vestivi un abito
mio nome.» Ti fisso nell’albo con tanta tristezza, ov’è di tuo rosa,
pugno per farti - novissima cosa! - ritrarre in
Carlotta! nome non fine, ma dolce che come la data: ventotto di giugno del mille fotografia....
l’essenze ottocentocinquanta.
resusciti le diligenze, lo scialle, la crinoline.... Ma te non rivedo nel fiore, amica di Nonna!
Stai come rapita in un cantico: lo sguardo al Ove sei
Amica di Nonna, conosco le aiole per ove cielo profondo o sola che, forse, potrei amare, amare
leggesti e l’indice al labbro, secondo l’atteggiamento d’amore?
i casi di Jacopo mesti nel tenero libro del romantico.
Foscolo.
Il testo si apre con un elenco di elementi che caratterizzano la villa della nonna nel 1850, molto famoso
perché si fonda sulla presentazione di oggetti desueti > (Titolo di un saggio letteratura comparata) > oggetti
d’arredamento della villa che ai tempi moderni sono kitsch (es. Loreto è un pappagallo impagliato e il nome
dell’oggetto diventa il simbolo del pappagallo per eccellenza). L’elenco è fatto tutto di oggetti nominali (no
verbi) e ci da un’ idea di dove siamo, per forza ironica ci parla del 1850 e della villa di Speranza.
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Questi oggetti sono cose buone e spontanee a quel tempo > ora risultano kitsch >> cose buone dal pessimo
gusto e immaginando tutto questo Gozzano si sente parte di questo tempo perduto.
CONTRASTO tra Ketty (donna indipendente del tempo moderno) e quello che Gozzano vorrebbe come
donna (una giovane pronta a vivere nelle illusioni e nelle promesse)
La vita spontanea del 1850 è travolta e spazzata via dalla società moderna e dalla speculazione.
Poi arrivano gli zii molto dabbene e inizia un conversario di gente per bene, raffinata e rinomata in società con
chiacchiere di circostanza su cose di buon gusto >> si parla di attrici, melodrammi che stavano per uscire
(es Rigoletto), politica. Gozzano mima un dialogo di quotidianità con nostalgia.
Successivamente si fa un po 'di gossip (es. le relazioni del Re di Sardegna) > Carlotta e Speranza vengono
invitate ad uscire e a giocare al volano >>> visibile il pudore e l'eleganza che nella modernità non ci sono più.
Nel momento in cui la pallina del volano si incastra loro iniziano a parlare e ragionando sul principe azzurro
parlano dei loro corteggiatori.
Uno di questi è un poeta di 28 anni >> il Poeta è una professione di prestigio che frequenta i salotti dei
NOBILI (contessa Maffei) e INTELLETTUALI (Gozzano tutto ciò non può che sognarlo), poi cala il sole e la
Luna è quella amata da Giovanni Werther >> una LUNA ROMANTICA.
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“Ti piacerebbe morire?” > in questo sentimento romantico, in questo sogno e di fronte al futuro >> trovare il
punto estremo della MORTE
Le due si chinano dalla finestra e vedono il cielo che si riflette nel lago, tutto è buio/indistinto e si sentono
sospese nell’aria. Poi si riattacca a parlare dell’amato, il corteggiatore di Carlotta le ha donato un libro:
“I dolori del giovane Werther” (Carlotta è l’amata da Werther e lui infine si toglie la vita > nome che fa
riemergere il passato lontano e suscita sensazioni di Gozzano)
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Voce di Gozzano che interrompe la scena > SBAGLIO il libro citato sopra “Amando senza fortuna…" sono “I
dolori del giovane Werther” e per lapus Gozzano fa riferimento alle “Ultime lettere” di Jacopo Ortis (amata
Teresa).
Si scopre che Gozzano sta sfogliando un album dove, il giorno 28 Giugno 1850, c’è Carlotta che fa una dedica
a Speranza.
Carlotta è nella foto dell'album di famiglia della nonna > rapito di nostalgia Gozzano racconta una giornata di
17enni a quell’epoca > adolescenza genuina, spontanea che permette di credere alle illusioni che non sono
ancora stroncate dalle età adulta. Lui vorrebbe amarla ma Carlotta è confinata in un’epoca che egli non può
più raggiungere.
A dialogare sono i personaggi del romanzo, non della poesia e Gozzano rinuncia a non riuscire a
raggiungere mai un bene desiderato perché impedito dalla società borghese.
L’ESPERIMENTO
"Carlotta"... Vedo il nome che sussurro vieni dicendo i versi delicati lungo la filza grave di musaici:70
scritto in oro, in corsivo, a mezzo un d’una musa del tempo che fu già: dolce seguire i panorami arcaici,
fregio qualche ballata di Giovanni Prati, far con le labbra tal pellegrinaggio!
ovale, sui volumi di collegio dolce a Carlotta, sessant’anni fa...
d’un tempo, rilegati in cuoio azzurro... Come sussulta al ritmo del tuo fiato
Via per le cerule Piazza San Marco e al ritmo d’una vena
Nel salone ove par morto da poco volte stellate come sussulta la città di Siena...75
il riso di Carlotta, fra le buone più melanconica Pisa... Firenze... tutto il Gran Ducato!
brutte cose borghesi, nel salone la Luna errò. Seguo tra i baci molte meraviglie,
quest’oggi, amica, noi faremo un gioco. E il lene e pallido colonne mozze, golfi sorridenti:
Parla il salone all’anima corrotta, stuol delle fate Castellamare... Napoli... Girgenti...
d’un’altra età beata e casalinga:10 nel mar dell’etere Tutto il Reame delle Due Sicilie!80
pel mio rimpianto voglio che tu finga si dileguò...45
una commedia: tu sarai Carlotta. Solo uno spirito Dolce tentare l’ultime che tieni
sotto quel tiglio chiuse tra i seni piccole cornici:
Svesti la gonna d’oggi che assottiglia dev’ei si amavano Roma papale! Palpita tra i seni
la tua persona come una guaina, s’udia cantar. la Roma degli Stati Pontifici!
scomponi la tua chioma parigina15 Ahi! Fra le lacrime Alterno, amica, un bacio ad ogni grido85
troppo raccolta sulle sopracciglia; di quest’esiglio della tua gola nuda e palpitante;
vesti la gonna di quel tempo: i vecchi che importa vivere, Carlotta non è più! Commedïante
tessuti a rombi, a ghirlandette, a strisce, che giova amar?... del mio sognare fanciullesco, rido!
bipartisci le chiome in bande lisce
custodi delle guancie e degli orecchi.20 Che giova amar?... La voce s’avvicina, Rido! Perdona il riso che mi tiene,
Carlotta appare. Veste d’una stoffa mentre mi baci con pupille fisse...90
Poni a gli orecchi gli orecchini arcaici a ghirlandette, così dolce e goffa Rido! Se qui, se qui ricomparisse
oblunghi, d’oro lavorato a maglia, nel cerchio immenso della crinolina.60 lo Zio con la Zia molto dabbene!
e al collo una collana di musaici Vieni, fantasma vano che m’appari, Vesti la gonna, pettina le chiome,
effigïanti le città d’Italia... qui dove in sogno già ti vidi e udii, riponi i falbalà nel canterano.
T’aspetterò sopra il divano, intento25 qui dove un tempo furono gli Zii Commediante del tempo lontano,95
in quella stampa: Venere e Vulcano... molto dabbene, in belli conversari. di Carlotta non resta altro che il nome.
Tu cerca nell’immenso canterano
dell’altra stanza il tuo travestimento. Ah! Per te non sarò, piccola allieva65 Il nome!... Vedo il nome che sussurro,
Poi, travestita dei giorni lontani, diligente, il sofista schernitore; scritto in oro, in corsivo, a mezzo fregio
(commediante!) vieni tra le buone30 ma quel cugin che si premeva il cuore ovale, sui volumi di collegio
brutte cose borghesi del salone, e che diceva "t’amo!" e non rideva. d’un tempo, rilegati in cuoio azzurro...
vieni cantando un’eco dell’Ernani, Oh! La collana di città! Vïaggio
Gozzano apre un libro del collegio e vede nella 1° pagina la firma di Carlotta. Anima corrotta dal tempo
borghese che non permette più di provare un sentimento vero.
Gozzano vuole che la cugina si travesti da Carlotta >> l'abito stretto e fasciante del 1910 viene accantonato e
le viene chiesto di recuperare i vestiti del 1850. Il testo ha un impostazione di tema erotico > Venere e
Vulcano descrivono la sensualità della scena. Viene fatta anche ironia sulla poesia romantica di Giovanni Prati
della prima metà dell’800 (eco dei melodrammi ottocento centeschi), le cose del salone sono rimaste lì e tutto
assomiglia agli anni della fotografia. Riferimento a due innamorati che si incontrano in un paesaggio notturno e
Carlotta appare.
Gozzano sta proseguendo la lirica precedente > tutto è intrecciato con il testo precedente e ora prosegue il
sogno >> prosegue il testo precedente.
Quando ancora si poteva sognare gli diceva ti amo >> anni dell'adolescenza quando ancora il sogno era
possibile.
Poi vede la collana delle città italiane >> ironia delle città attorno al collo e in mezzo ai seni Roma Papale:
quella cantata da D'Annunzio, Roma del Vaticano, lussuosa > contrasto forte è quasi un OSSIMORO
La Roma così elegante e lussuosa cantata da D’Annunzio qua è in mezzo ai seni della finta Carlotta.
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Poi l’illusione si infrange, durante il massimo coinvolgimento, lui si sente uno sciocco (riferimento agli zii
dabbene che sarebbero rimasti scandalizzati) e si rende conto che lei ci crede a questo desiderio
irraggiungibile. Non si può produrre nel presente un passato che non c'è più. Il testo si chiude in MANIERA
CIRCOLARE > riguarda la firma nel libro che lui aveva trovato.
ironia e malinconia desiderio e disillusione conclude il testo
Gozzano si ispira da solo e basta a se stesso > continua critica al Romanticismo e richiami con suoi testi
precedenti
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CONTRASTI TRA TESTI DI GOZZANO
CARLOTTA KETTY
7° lezione 17.10.23
L’IPOTESI
I. in poema, gravidanza..."
Io penso talvolta che vita, che vita sarebbe la
mia, il fresco nome innocente come un ruscello che il figlio: "...la Ditta ha ripreso le buone giornate.
se già la Signora vestita di nulla non fosse per va: Precoci 15
via... Felicita! Oh! Veramente Felicita!... Felicita... guadagni. Non è più dei soci quel tale ingegnere
E penso pur quale Signora m’avrei dalla sorte svedese".
per moglie, III.
se quella tutt’altra Signora non già s’affacciasse Quest’oggi il mio sogno mi canta figure, Vivremmo, diremmo le cose più semplici, poi
alle soglie. parvenze tranquille che la Vita
d’un giorno d’estate, nel mille e... è fatta di semplici cose, e non d’eleganza
II. novecento... quaranta. forbita.
Sposare vorremmo non quella che legge
romanzi, cresciuta (Adoro le date. Le date: incanto che non so dire, IV.
tra gli agi, mutevole e bella, e raffinata e ma pur che da molto passate o molto di là da Da me converrebbero a sera il Sindaco e gli altri
saputa... venire.) ottimati,
Ma quella che vive tranquilla, serena col padre e nella gran sala severa si giocherebbe, pacati.
borghese Sfioriti sarebbero tutti i sogni del tempo già
in un’antichissima villa remota del Canavese... lieto 5 Da me converrebbe il Curato, con gesto
(ma sempre l’antico frutteto darebbe i medesimi canonicale.
Ma quella che prega e digiuna e canta e ride, più frutti). Sarei - sui settanta - tornato nella gioventù
fresca 5 clericale,
dell’acqua, e vive con una semplicità di Sopita quell’ansia dei venti anni, sopito
fantesca, l’orgoglio poi che la ragione sospesa a lungo sul nero
(ma sempre i balconi ridenti sarebbero di Infinito5
ma quella che porta le chiome lisce sul volto caprifoglio). non trova migliore partito che ritornare alla
rosato Chiesa.
e cuce e attende al bucato e vive secondo il suo Lontano i figli che crebbero, compiuti i nostri V.
nome: destini Verreste voi pure di spesso, da lungi a trovarmi,
(ma sempre le stanze sarebbero canore di o non vinti
un nome che è come uno scrigno di cose canarini). 10 ma calvi grigi ritinti superstiti amici d’adesso...
semplici e buone,
che è come un lavacro benigno di canfora spigo Vivremmo pacifici in molto agiata semplicità; E tutta sarebbe per voi la casa ricca e modesta;
e sapone... 10 riceveremmo talvolta notizie della città... si ridesterebbero a festa le sale ed i corridoi...
un nome così disadorno e bello che il cuore ne la figlia: "...l’evento s’avanza, sarete Nonni ben Verreste, amici d’adesso, per ritrovare me
trema; presto: stesso, 5
il candido nome che un giorno vorrò celebrare entro fra poco nel sesto mio mese di ma chi sa quanti me stesso sarebbero morti in
me stesso! "Oh! Guarda!... Una macroglossa caduta nel tuo coro febeo
bicchiere!" con tutto l’arredo pagano, col Re-di-Tempeste
Che importa! Perita gran parte di noi, calate le Odisseo..."
vele, Mia moglie, pur sempre bambina tra i
raccoglieremmo le sarte intorno alla mensa giovani capelli bianchi, 15 Or mentre che il dialogo ferve mia moglie,
fedele. zelante, le mani sui fianchi andrebbe sovente in donnina che pensa, 45
cucina. per dare una mano alle serve sparecchierebbe la
Però che compita la favola umana, la Vita "Ah! Sono così malaccorte le cuoche... mensa.
concilia Permesso un istante" Pur nelle bisogna modeste ascolterebbe curiosa;
la breve tanto vigilia dei nostri sensi alla per vigilare la sorte d’un dolce pericolante... - "Che cosa vuol dire, che cosa faceva quel
tavola. 10 Riapparirebbe ridendo fra i tronchi degli Re-di-Tempeste?"
ippocastani Allora, tra un riso confuso (con pace d’Omero
Ma non è senza bellezza quest’ultimo bene che vetusti, altoreggendo l’opera delle sua mani. 20 e di Dante)
avanza diremmo la favola ad uso della consorte
ai vecchi! Ha tanta bellezza la sala dove si E forse il massaio dal folto verrebbe del vasto ignorante. 50
pranza! frutteto,
recandone con viso lieto l’omaggio appena Il Re di Tempeste era un tale
La sala da pranzo degli avi più casta d’un raccolto. che diede col vivere scempio
refettorio un bel deplorevole esempio
e dove, bambino, pensavi tutto un tuo mondo Bei frutti deposti dai rami in vecchie fruttiere d’infedeltà maritale,
illusorio. custodi che visse a bordo d’un yacht 55
ornate a ghirlande, a episodi romantici, a toccando tra liete brigate
La sala da pranzo che sogna nel meriggiar panorami! le spiaggie più frequentate
sonnolento 15 dalle famose cocottes...
tra un buono odor di cotogna, di cera da Frutti! Delizia di tutti i sensi! Bellezza Già vecchio, rivolte le vele
pavimento, concreta 25 al tetto un giorno lasciato, 60
del fiore! Ah! Non è poeta chi non è ghiotto dei fu accolto e fu perdonato
di fumo di zigaro, a nimbi... La sala da pranzo, frutti! dalla consorte fedele...
l’antica Poteva trascorrere i suoi
amica dei bimbi, l’amica di quelli che tornano E l’uve moscate più bionde dell’oro vecchio; le ultimi giorni sereni,
bimbi! fresche contento degli ultimi beni 65
susine claudie, le pesche gialle a metà come si vive tra noi...
VI. rubiconde, Ma né dolcezza di figlio,
Ma a sera, se fosse deserto il cielo e l’aria né lagrime, né pietà
tranquilla l’enormi pere mostruose, le bianche amandorle, del padre, né il debito amore
si cenerebbe all’aperto, tra i fiori, dinnanzi alla i fichi per la sua dolce metà 70
villa. incisi dai beccafichi, le mele che sanno di gli spensero dentro l’ardore
rose 30 della speranza chimerica
Non villa. Ma un vasto edifizio modesto dai e volse coi tardi compagni
piccoli e tristi emanerebbero, amici, un tale aroma che il cuore cercando fortuna in America...
balconi settecentisti fra il rustico ed il ricorderebbe il vigore dei nostri vent’anni felici. - Non si può vivere senza 75
gentilizio... danari, molti danari...
E sotto la volta trapunta di stelle timide e rare Considerate, miei cari
Si cenerebbe tranquilli dinnanzi alla casa oh! dolce resuscitare la giovinezza defunta! compagni, la vostra semenza! -
modesta 5 Vïaggia vïaggia vïaggia
nell’ora che trillano i grilli, che l’ago solare Parlare dei nostri destini, parlare di amici vïaggia nel folle volo 80
s’arresta scomparsi 35 vedevano già scintillare
(udremmo le sfingi librarsi sui cespi di le stelle dell’altro polo...
tra i primi guizzi selvaggi dei pippistrelli gelsomini...) vïaggia vïaggia vïaggia
all’assalto vïaggia per l’alto mare:
e l’ultime rondini in alto, garrenti negli ultimi Parlare d’amore, di belle d’un tempo... Oh! si videro innanzi levare 85
raggi. breve la vita! un’alta montagna selvaggia...
(la mensa ancora imbandita biancheggierebbe Non era quel porto illusorio
E noi ci diremmo le cose più semplici poi che la alle stelle). la California o il Perù,
vita ma il monte del Purgatorio
è fatta di semplici cose e non d’eleganza Parlare di letteratura, di versi del secolo prima: che trasse la nave all’in giù. 90
forbita: 10 "Mah! Come un libro di rima dilegua, passa, E il mare sovra la prora
non dura!" 40 si fu rinchiuso in eterno.
"Il cielo si mette in corruccio... Si vede più poco E Ulisse piombò nell’Inferno
turchino..." "Mah! Come son muti gli eroi più cari e i suoni dove ci resta tuttora...
"In sala ha rimesso il cappuccio il monaco diversi!
benedettino." È triste pensare che i versi invecchiano prima di Io penso talvolta che vita, che vita sarebbe la
noi!" mia,
"Peccato!" - "Che splendide sere!" - "E pur che se già la Signora vestita di nulla non fosse per
domani si possa..." "Mah! Come sembra lontano quel tempo e il via.
Io penso talvolta…
Nell’Ipotesi Gozzano immagina la sua VECCHIAIA con un lieto fine: si è liberato della malattia, della
letteratura che porta il pensiero a distaccarsi dalle cose del mondo della borghesia. Da vecchio non lavora più
e ha terminato la fase dell’esistenza dove bisogna guadagnare. Vive nella sua vecchia villa insieme a Felicita
|
La giovane ragazza conosciuta anni prima alla quale aveva fatto una promessa di matrimonio, poi lui scappa
alle Canarie per curare la tubercolosi. Felicita è un po’ quella Carlotta che Gozzano sognava e appartiene a
un circolo borghese che lui guarda con ironia. Egli si sente un intellettuale e il suo distacco da quel mondo
risulta nell’ IMPOSSIBILITÀ DELL’UNIONE > Felicita è destinata a essere abbandonata.
Nella vecchiaia si immagina guarito e di essersi adeguato alla pacatezza borghese di cui Felicita faceva parte
>> racconto della TRANQUILLA VECCHIAIA BORGHESE che immagina ma che non raggiungerà mai (è
l’Ipotesi di un’ altra vita, un’ altra strada).
Il testo è un affresco (un quadro di una cena) dove è presente il tema della malattia superata, tema della
morte: se la morte non lo aspettasse lui potrebbe sognare questa conclusione di cui sarebbe felice.
|
Si trovano i personaggi del Colloquio (sindaco, il curato, gli amici di una volta) che si ritrovano in vecchiaia a
cena.
Poi succede qualcosa, c’è un dialogo quotidiano degli uomini > parlano del tempo e a un certo punto viene
nominato ULISSE > Felicita che è ingenia, curiosa e non è una letterata, molto ingenuamente mentre
sparecchia la tavola chiede chi era e cosa faceva Ulisse.
|
Rapporto con Dante IRONICO > il canto dell’ Inferno viene riscritto immaginando che Ulisse viva nel
CONTEMPORANEO.
Ulisse non si sposta con il veliero ma si sposta a bordo di uno yacht, non va alla ricerca della conoscenza ma
del denaro e della fortuna, non intraprende il “viaggio oltre le colonne di Ercole” (nei limiti della conoscenza
umana imposta dagli dei) ma naviga verso l’America per cercare fortuna.
Come nel canto dantesco Ulisse arriva verso l’approdo ma in quel momento un colpo d’acqua fa naufragare
la nave > fine di Ulisse.
Gozzano segue una riscrittura della Divina Commedia (come Belacqua in Pascoli) in CHIAVE IRONICA
|
Non è un’ironia gratuita > stessi anni di quando D’Annunzio fece il viaggio in Grecia. Durante il viaggio si auto
descrive come un nuovo Ulisse che naviga alla ricerca della conoscenza e del piacere > presa in giro della
presunzione dannunziana.
Lo yacht rimanda al viaggio di D’Annunzio che frequenta anche le spiagge delle cocotte (descritto come uno
sciupafemmine, un dandy).
Per esame: Dante nella poesia del 900? Reazione a D'Annunzio nella poesia del 900 >> contrasto e ipotesi
Questo testo viene scritto prima della signorina Felicita >> Gozzano prima immagina la vecchiaia con una
signorina borghese e dopo nei colloqui svolge il tema con un finale negativo.
La signora vestita di nulla è la morte: immagina come sarebbe la vita se la morte non fosse in cammino verso
di lui. Nella 2° strofa, dice quale sarebbe la donna che lui vorrebbe sposare >> non quella raffinata e saputa
ma quella che vive tranquilla >> non una donna intellettuale rifatta sui romanzi ma una donna semplice che
vive in tranquillità, devota ai genitori e che vive in provincia, in periferia, nella campagna (contrario di Elena
Muti) >> La semplicità vs la speculazione
EVOCAZIONE del nome (Felicita) che evoca un profumo di pulito semplice e quotidiano. Il testo che la celebra
viene scritto successivamente > nel 1940 si immagina la vecchiaia con lei
Frase evocativa del nome e del numero >> rinasco nel 1940, puntini che indicano la volontà di pensiero
CARLOTTA FELICITA
Proiezione del desiderio del passato perduto per desiderio/pensiero di un futuro irraggiungibile > non
sempre sappiamo se si concretizzerà
Riferimento poi al frutteto dove la pace si conserva, il motore dei 20 anni non c’è più ma i balconi sono ridenti
> protettività della villa dove Gozzano si richiude, esilio voluto.
C’è qualcosa di bello anche nella vecchiaia: ha avuto dei figli che sono cresciuti (non tensione e ansia dei figli
da allevare), ogni tanto arrivano e sono nel pieno della gioventù.
La vita è fatta di semplici cose e troppa letteratura inaridisce i sensi >>> la vera FELICITÀ è nella pace
totale di accontentarsi del SEMPLICE.
Passa delle sere con il curato, partecipa alla messa (Gozzano è ateo ma nel mondo borghese questa è la
vecchiaia che conforta di più) > raduno con esponenti borghesi della provincia e il ritorno alla fede.
Evidenziata la condizione tranquillizzante (vs il Bolide di Pascoli dove si perdono le concezioni di ordine che
regolano il corso della vita, non ci sono coordinate) > la fede da CONSOLAZIONE.
Nella vecchiaia tutti gli amici vecchi, ancora vivi, andrebbero a trovarlo > la sala della casa si preparerebbe per
raccogliere ospiti.
Dalla gioventù alla vecchiaia Gozzano dice che sarebbe cambiato molte volte ora è molto diverso da quando
era giovane (es ritorno alla fede).
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GIOIA della vecchiaia per Gozzano è stare in tavola a mangiare e a bere vino.
La sua sala da pranzo è semplice come una mensa (dove da bambino sognava tra i profumi della cucina dei
nonni > fanno sognare e trasportano nel ricordo e nella immaginazione).
Si cena fuori in una villa modesta > mezza via tra un borghese, non è povero ma nemmeno sfarzoso e poi
cala la sera
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Si parla delle SEMPLICI COSE di cui si discute nella vecchiaia > METEO
Il tempo sta cambiando (monaco benedettino: arriva la pioggia) e poi si nota un insetto nel bicchiere >
Gozzano appassionato di insetti e di farfalle (scrive anche epistole entomologiche sulle farfalle).
Felicita fa avanti indietro per controllare che le domestiche non brucino la torta, poi arriva il contadino che
porta due cesti di frutta che affascinano Gozzano > i frutti rappresentano l'aderenza al mondo semplice,
piacere delle piccole cose >> frutto è la belezza CONCRETA del fiore, semplicemente bello.
I vecchi parlano del bel tempo che fu, sono nostalgici (amici scomparsi, amore di un tempo, breve la vita)
intanto l’ambiente circostante continua a muoversi > farfalla “Acherontia atropos” sfinge di morte > presagio di
morte/sventura (farfalla che ricorda un teschio).
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Poi i vecchi iniziano a parlare di POESIA (anche la letteratura invecchia e si carica di passato) si parla di
poesia dell’Ottocento, che non è più in linea con quella del Novecento >> tutto è passato e anche gli eroi
sembrano essere dimenticati e appartenere a un altro mondo. Riferimento al “re di tempeste Odisseo”.
Felicita (donnina che pensa, ignorante e incolta che vuole partecipare al dialogo) domanda che cosa faceva,
gli uomini sghignazzando le raccontano la STORIELLA > Favola stravolta rispetto a leggenda di Ulisse e una
specie di filastrocca > dietro c’è polemica a D'Annunzio che si proclamava NUOVO ULISSE.
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Riferimento a Dante: Ulisse riparte per superare le colonne d’Ercole ma ora nella storiella è in cerca fortuna,
fama, gloria. Rimando a Dante, perché quando si stanno per avvicinare all’altro polo, vedono terra >> in
realtà la montagna del PURGATORIO che li trascina negli abissi e Ulisse piomba nell’ Inferno dove è stato
raccontato da Dante.
TRADIZIONE IN CHIAVE IRONICO PARODICA CON UN ALTRO FINE > riscrittura che rimanda al poeta vate
che vuole conquistare la gloria e la fama di poeta laureato.
Finale con dissolvenza che ci fa immaginare che Gozzano continui a sognare la sua vecchiaia.
L’Infante fece vela pel regno favoloso,5 La segnano le carte antiche dei corsari.
vide le fortunate: Iunonia, Gorgo, Hera ...Hifola da - trovarfi? ...Hifola pellegrina?...
e il Mare di Sargasso e il Mare Tenebroso È l’isola fatata che scivola sui mari;
quell’isola cercando... Ma l’isola non c’era. talora i naviganti la vedono vicina...20
Invano le galee panciute a vele tonde, Radono con le prore quella beata riva:
le caravelle invano armarono la prora:10 tra fiori mai veduti svettano palme somme,
con pace del Pontefice l’isola si nasconde, odora la divina foresta spessa e viva,
e Portogallo e Spagna la cercano tuttora. lacrima il cardamomo, trasudano le gomme...
S’annuncia col profumo, come una cortigiana,25 rapida si dilegua come parvenza vana,
l’Isola Non-Trovata... Ma, se il pilota avanza, si tinge dell’azzurro color di lontananza...
Per parlare del passato > Carlotta, per il futuro > Ipotesi e per andare al di là del piano concreto/ delle
possibilità effettive che abbiamo > La più bella
Il testo svolge il tema dal punto di vista METAFORICO attraverso il racconto della leggenda dell’ “Isola non
trovata”.
Viene scoperta nel Seicento e viene segnata sugli atlanti ma quando si cercava l’isola, questa non compare >
leggenda dell’ isola fantasma che si sposta.
Offriva una promessa, prima il marinaio vedeva la terra e poi un attimo dopo svaniva >> non essere mai
conquistabile e rappresenta la tensione verso un desiderio che non si può conquistare >> è la più bella
perché non l'abbiamo ancora raggiunta e si può solo sognare. La perfezione sta nel sogno non nella realtà
(non c’è niente di perfetto).
I corsari del re di Portogallo scoprirono l’isola e il re la cede al cugino Re di Spagna, il Pontefice sigilla il
contratto e il Re di Spagna vuole vedere il nuovo possedimento ma l'isola regalata non c’è più.
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Non si trova nessun riferimento al tema > la realizzazione del desiderio scatta sempre un po’ più in là, è
mutevole se non nel TITOLO.
Il regno umano si deve rassegnare che l'umano non può trovarla, METAFORA della RICERCA del
DESIDERIO di qualcosa che possa realizzare pienamente la vita e l'esistenza.
Il Profumo è un elemento suggestivo > ogni marinaio se lo immagina in modo diverso e questo assume i
connotati di una promessa (buono, dolce, fresco, a noi come soggetti ispira qualcosa) >> Simbolo del
desiderio che è diverso per ognuno di noi > più ci si avvicina, più isola scompare come il desiderio (idea di
incompletezza a cui si è destinati).
Per la partita, verso ventun’ore Non vero (e bello) come in uno smalto L’insalata, i legumi produttivi
giungeva tutto l’inclito collegio a zone quadre, apparve il Canavese: deridevano il busso delle aiole;
politico locale: il molto Regio Ivrea turrita, i colli di Montalto, volavano le pieridi nel sole
Notaio, il signor Sindaco, il Dottore; la Serra dritta, gli alberi, le chiese; e le cetonie e i bombi fuggitivi....
ma - poichè trasognato giocatore - e il mio sogno di pace si protese Io ti parlavo, piano, e tu cucivi
quei signori m’avevano in dispregio.... da quel rifugio luminoso ed alto. innebriata dalle mie parole.
M’era più dolce starmene in cucina Ecco - pensavo - questa è l’Amarena, «Tutto mi spiace che mi piacque innanzi!
tra le stoviglie a vividi colori: ma laggiù, oltre i colli dilettosi, Ah! Rimanere qui, sempre, al suo fianco,
tu tacevi, tacevo, Signorina: c’è il Mondo: quella cosa tutta piena terminare la vita che m’avanzi
godevo quel silenzio e quegli odori di lotte e di commerci turbinosi, tra questo verde e questo lino bianco!
tanto tanto per me consolatori, la cosa tutta piena di quei «cosi Se Lei sapesse come sono stanco
di basilico d’aglio di cedrina.... con due gambe» che fanno tanta pena.... delle donne rifatte sui romanzi!
Maddalena con sordo brontolio L’Eguagliatrice numera le fosse, Vennero donne con proteso il cuore:
disponeva gli arredi ben detersi, ma quelli vanno, spinti da chimere ognuna dileguò, senza vestigio.
rigovernava lentamente ed io, vane, divisi e suddivisi a schiere Lei sola, forse, il freddo sognatore
già smarrito nei sogni più diversi, opposte, intesi all’odio e alle percosse: educherebbe al tenero prodigio:
accordavo le sillabe dei versi così come ci son formiche rosse, mai non comparve sul mio cielo grigio
sul ritmo eguale dell’acciottolio. così come ci son formiche nere.... quell’aurora che dicono: l’Amore....»
Sotto l’immensa cappa del camino Schierati al sole o all’ombra della Croce, Tu mi fissavi.... Nei begli occhi fissi
(in me rivive l’anima d’un cuoco tutti travolge il turbine dell’oro; leggevo uno sgomento indefinito;
forse....) godevo il sibilo del fuoco; o Musa - oimè - che può giovare loro le mani ti cercai, sopra il cucito,
la canzone d’un grillo canterino il ritmo della mia piccola voce? e te le strinsi lungamente, e dissi:
mi diceva parole, a poco a poco, Meglio fuggire dalla guerra atroce «Mia cara Signorina, se guarissi
e vedevo Pinocchio, e il mio destino.... del piacere, dell’oro, dell’alloro.... ancora, mi vorrebbe per marito?»
Vedevo questa vita che m’avanza: L’alloro.... Oh! Bimbo semplice che fui, «Perchè mi fa tali discorsi vani?
chiudevo gli occhi nei presagi grevi; dal cuore in mano e dalla fronte alta! Sposare, Lei, me brutta e poveretta!...»
aprivo gli occhi: tu mi sorridevi, Oggi l’alloro è premio di colui E ti piegasti sulla tua panchetta
ed ecco rifioriva la speranza! che tra clangor di buccine s’esalta, facendo al viso coppa delle mani,
che sale cerretano alla ribalta simulando singhiozzi acuti e strani
Giungevano le risa, i motti brevi per far di sé favoleggiar altrui.... per celia, come fa la scolaretta.
dei giocatori, da quell’altra stanza.
iv. «Avvocato, non parla: che cos’ha?» Ma, nel chinarmi su di te, m’accorsi
Bellezza riposata dei solai «Oh! Signorina! Penso ai casi miei, che sussultavi come chi singhiozza
dove il rifiuto secolare dorme! a piccole miserie, alla città.... veramente, né sa più ricomporsi:
In quella tomba, tra le vane forme Sarebbe dolce restar qui, con Lei!...» mi parve udire la tua voce mozza
di ciò ch’è stato e non sarà più mai, «Qui, nel solaio?...» - «Per l’eternità!» da gli ultimi singulti nella strozza:
bianca bella così che sussultai, «Per sempre? accetterebbe?...» - «Accetterei!» «Non mi ten....ga mai più.... tali dis.... corsi!»
la Dama apparve nella tela enorme:
Tacqui. Scorgevo un atropo soletto «Piange?» E tentai di sollevarti il viso
«È quella che lasciò, per infortuni, e prigioniero. Stavasi in riposo inutilmente. Poi, colto un fuscello,
la casa al nonno di mio nonno.... E noi alla parete: il segno spaventoso ti vellicai l’orecchio, il collo snello....
la confinammo nel solaio, poi chiuso tra l’ali ripiegate a tetto. Già tutta luminosa nel sorriso
che porta pena.... L’han veduta alcuni Come lo vellicai sul corsaletto ti sollevasti vinta d’improvviso,
lasciare il quadro; in certi noviluni si librò con un ronzo lamentoso. trillando un trillo gaio di fringuello.
s’ode il suo passo lungo i corridoi....»
«Che ronzo triste!» - «È la Marchesa in pianto.... Donna: mistero senza fine bello!
Il nostro passo diffondeva l’eco La Dannata sarà, che porta pena....» vi.
tra quei rottami del passato vano, Nulla s’udiva che la sfinge in pena Tu m’hai amato. Nei begli occhi fermi
e la Marchesa dal profilo greco, e dalle vigne, ad ora ad ora, un canto: luceva una blandizie femminina;
altocinta, l’un piede ignudo in mano, O mio carino tu mi piaci tanto, tu civettavi con sottili schermi,
si riposava all’ombra d’uno speco siccome piace al mar una sirena.... tu volevi piacermi, Signorina;
arcade, sotto un bel cielo pagano. e più d’ogni conquista cittadina
Un richiamo s’alzò, querulo e rôco: mi lusingò quel tuo voler piacermi!
Intorno a quella che rideva illusa «È Maddalena inqueta che si tardi:
nel ricco peplo, e che morì di fame, scendiamo: è l’ora della cena!» - «Guardi, Unire la mia sorte alla tua sorte
v’era una stirpe logora e confusa: guardi il tramonto, là.... Com’è di fuoco!... per sempre, nella casa centenaria!
topaie, materassi, vasellame, Restiamo ancora un poco!» - «Andiamo, è tardi!» Ah! Con te, forse, piccola consorte
lucerne, ceste, mobili: ciarpame «Signorina, restiamo ancora un poco!...» vivace, trasparente come l’aria,
reietto, così caro alla mia Musa! rinnegherei la fede letteraria
Le fronti al vetro, chini sulla piana, che fa la vita simile alla morte....
Tra i materassi logori e le ceste seguimmo i neri pipistrelli, a frotte;
v’erano stampe di persone egregie; giunse col vento un ritmo di campana, Oh! questa vita sterile, di sogno!
incoronato delle frondi regie disparve il sole fra le nubi rotte; Meglio la vita ruvida concreta
v’era Torquato nei giardini d’Este. a poco a poco s’annunciò la notte del buon mercante inteso alla moneta,
«Avvocato, perchè su quelle teste sulla serenità canavesana.... meglio andare sferzati dal bisogno,
buffe si vede un ramo di ciliegie?» ma vivere di vita! Io mi vergogno,
«Una stella!...» - «Tre stelle!...» - «Quattro sì, mi vergogno d’essere un poeta!
Io risi, tanto che fermammo il passo, stelle!...»
e ridendo pensai questo pensiero: «Cinque stelle!» - «Non sembra di sognare?...» Tu non fai versi. Tagli le camicie
Oimè! La Gloria! un corridoio basso, Ma ti levasti su quasi ribelle per tuo padre. Hai fatta la seconda
tre ceste, un canterano dell’Impero, alla perplessità crepuscolare: classe, t’han detto che la Terra è tonda,
la brutta effigie incorniciata in nero «Scendiamo! È tardi: possono pensare ma tu non credi.... E non mediti Nietzsche....
e sotto il nome di Torquato Tasso! che noi si faccia cose poco belle....» Mi piaci. Mi faresti più felice
v. d’un’intellettuale gemebonda....
Allora, quasi a voce che richiama, Ozi beati a mezzo la giornata,
esplorai la pianura autunnale nel parco dei Marchesi, ove la traccia Tu ignori questo male che s’apprende
dall’abbaino secentista, ovale, restava appena dell’età passata! in noi. Tu vivi i tuoi giorni modesti,
tutta beata nelle tue faccende. pareva «un punto sopra un vïaggio per fuggire altro vïaggio....
Mi piaci. Penso che leggendo questi Oltre Marocco, ad isolette strane,
miei versi tuoi, non mi comprenderesti, In molti mesti e pochi sogni lieti, ricche in essenze, in datteri, in banane,
ed a me piace chi non mi comprende. solo pellegrinai col mio rimpianto perdute nell’Atlantico selvaggio....
fra le siepi, le vigne, i castagneti
Ed io non voglio più essere io! quasi d’argento fatti nell’incanto; Signorina, s’io torni d’oltremare,
Non più l’esteta gelido, il sofista, e al cancello sostai del camposanto non sarà d’altri già? Sono sicuro
ma vivere nel tuo borgo natio, come s’usa nei libri dei poeti. di ritrovarla ancora? Questo puro
ma vivere alla piccola conquista amore nostro salirà l’altare?»
mercanteggiando placido, in oblio Voi che posate già sull’altra riva, E vidi la tua bocca sillabare
come tuo padre, come il farmacista.... immuni dalla gioia, dallo strazio, a poco a poco le sillabe: giuro.
parlate, o morti, al pellegrino sazio!
Ed io non voglio più essere io! Giova guarire? Giova che si viva? Giurasti e disegnasti una ghirlanda
vii. O meglio giova l’Ospite furtiva sul muro, di viole e di saette,
Il farmacista nella farmacia che ci affranca dal Tempo e dallo Spazio? coi nomi e con la data memoranda
m’elogïava un farmaco sagace: trenta settembre novecentosette....
«Vedrà che dorme le sue notti in pace: A lungo meditai, senza ritrarre Io non sorrisi. L’animo godette
un sonnifero d’oro, in fede mia!» la tempia dalle sbarre. Quasi a scherno quel romantico gesto d’educanda.
Narrava, intanto, certa gelosia s’udiva il grido delle strigi alterno....
con non so che loquacità mordace. La Luna, prigioniera fra le sbarre, Le rondini garrivano assordanti,
imitava con sue luci bizzarre garrivano garrivano parole
«Ma c’è il notaio pazzo di quell’oca! gli amanti che si baciano in eterno. d’addio, guizzando ratte come spole,
Ah! quel notaio, creda: un capo ameno! incitando le piccole migranti....
La Signorina è brutta, senza seno, Bacio lunare, fra le nubi chiare Tu seguivi gli stormi lontananti
volgaruccia, Lei sa, come una cuoca.... come di moda settant’anni fa! ad uno ad uno per le vie del sole....
E la dote.... la dote è poca, poca: Ecco la Morte e la Felicita!
diecimila, chi sa, forse nemmeno....» L’una m’incalza quando l’altra appare; «Un altro stormo s’alza!...» - «Ecco s’avvia!»
quella m’esilia in terra d’oltremare, «Sono partite....» - «E non le salutò!...»
«Ma dunque?» - «C’è il notaio furibondo questa promette il bene che sarà.... «Lei devo salutare, quelle no:
con Lei, con me che volli presentarla viii. quelle terranno la mia stessa via:
a Lei; non mi saluta, non mi parla....» Nel mestissimo giorno degli addii in un palmeto della Barberia
«È geloso?» - «Geloso! Un finimondo!...» mi piacque rivedere la tua villa. tra pochi giorni le ritroverò....»
«Pettegolezzi!...» - «Ma non Le nascondo La morte dell’estate era tranquilla
che temo, temo qualche brutta ciarla....» in quel mattino chiaro che salii Giunse il distacco, amaro senza fine,
tra i vigneti già spogli, tra i pendii e fu il distacco d’altri tempi, quando
«Non tema! Parto.» - «Parte? E va lontana?» già trapunti di bei colchici lilla. le amate in bande lisce e in crinoline,
«Molto lontano.... Vede, cade a mezzo protese da un giardino venerando,
ogni motivo di pettegolezzo....» Forse vedendo il bel fiore malvagio singhiozzavano forte, salutando
«Davvero parte? Quando?» - «In settimana....» che i fiori uccide e semina le brume, diligenze che andavano al confine....
Ed uscii dall’odor d’ipecacuana le rondini addestravano le piume
nel plenilunio settembrino, al rezzo. al primo volo, timido, randagio; M’apparisti così, come in un cantico
e a me randagio parve buon presagio del Prati, lacrimante l’abbandono
Andai vagando nel silenzio amico, accompagnarmi loro nel costume. per l’isole perdute nell’Atlantico;
triste perduto come un mendicante. ed io fui l’uomo d’altri tempi, un buono
Mezzanotte scoccò, lenta, rombante «Vïaggio con le rondini stamane....» sentimentale giovine romantico....
su quel dolce paese che non dico. «Dove andrà?» - «Dove andrò! Non so....
La Luna sopra il campanile antico Vïaggio, Quello che fingo d’essere e non sono!
PARTE V:
All’inizio di questa quinta parte troviamo un momento molto significativo, c'è infatti una rievocazione delle
atmosfere e delle ore passate con Felicita presso la villa Amarena. Gozzano trascorre le sue giornate nel
parco dei Marchesi con Felicita senza far nulla, lui le parla, le sussurra delle parole mentre lei lo ascolta e
cuce. C’è sempre un riferimento al passato (ove la traccia restava appena dell’età passata). Con le Stagioni
camuse (lettera maiuscola) Gozzano intende le statue che popolano il parco che sono ormai rovinate, sono
decadenti, sono senza naso e senza braccia. Vediamo infatti che il giardino adesso è adibito a orto, un tempo
le belle statue adornano il giardino nobiliare ma ora ci sono cumuli di letame, residui d’uva, bussi di aiuole e
VERDURE . Le verdure e l’insalata sono degli elementi semplici ma portano guadagno, i bussi delle aiuole
invece sono solo degli elementi ornamentali. Gozzano descrive ciò che resta della bellezza della villa
(spesso, nelle sue poesie, troviamo menzionate ville antiche e decadenti proprio perché si rifà al suo luogo di
nascita, la villa di Meleto, nel Canavese). Tutta questa sestina e quella seguente sono infatti la ripresa di un
passo celebre del “Il fuoco di D’Annunzio”, dove si descrivono delle ville venete in rovina. Gozzano
accosta termini appartenenti al mondo lirico come appunto le statue con termini appartenenti al mondo della
prosa e del quotidiano come i porri e l‘insalata in funzione ironica, crea un’atmosfera ironica che aleggia in
tutto il componimento. Gozzano si rivolge poi a Felicita, lei lo ascolta mentre cuce, questa sua attività
sottolinea la sua caratteristica principale, vale a dire la semplicità. Le dice che non gli piace più nulla di ciò
che gli piaceva in passato, le confida che preferirebbe rimanere per sempre al suo fianco perché è ormai
annoiato dalle donne sofisticate, intellettuali. La qualità di Felicita è proprio quella di essere una ragazza
genuina, trasparente, autentica, completamente diversa dalle donne che assumono degli atteggiamenti da
eroine dannunziane (donne rifatte sui romanzi). Gozzano è affascinato da questa sua qualità. Il poeta ricorda
che molte donne gli offrirono il loro amore ma poi sparirono. Solo Felicita potrebbe riuscire a dargli il vero
amore. L’Amore (lettera maiuscola) è qui una parola chiave, entrambi sognano questa grande
realizzazione delle loro vite (Gozzano non ha mai potuto innamorarsi).
Riferimenti:
● le pieridi: sono delle farfalle diurne, con ali bianche o gialle, ciò va a sottolineare la sua passione per
l’entomologia (raccolte di epistole entomologiche)
● le cetonie: Ora di grazia di Gozzano v.3 ‘della cetonia risalita sullo stame’
● i bombi: insetto caro a Pascoli ‘Stridono i bimbi intorno ai fiori d’acanto’
● Tutto mi spiace che mi piacque innanzi!: Il gioco del silenzio di Gozzano v.24 “Tutto rivedo quel tuo
sottile corpo di cinedo, quella tua muta corrugata faccia, che par sogni l’inganno od il congedo e che
piacere a me par che le spiaccia…”
Successivamente Gozzano si rivolge a Felicita proponendo una sorta di fidanzamento che allude al fatto che
sia innamorato di lei e che possa quasi sposarla. Gozzano è proprio affascinato dalle sue qualità, differenti
dalle altre donne che a differenza sua si rifanno sui romanzi. Gozzano è malato e non sa se guarirà ancora
dalla sua malattia, ma, nonostante ciò, chiede alla Signorina Felicita se lo vorrebbe come marito nel caso in
cui guarisse nuovamente, ma Felicita si sminuisce, dicendo che non si riteneva degna di essere sposata da un
avvocato.
La Signorina dopo che il poeta le ha fatto la proposta di matrimonio, scoppia a piangere: per la proposta così
azzardata, per il fatto che lei si sente bruttina, infatti si copriva il viso con le mani per nascondersi dalla
vergogna e che non si sente adeguata a un simile amore. Il poeta crede però che i suoi singhiozzi siano finti,
come quelli di una scolaretta. Nella seconda parte, il poeta si avvicina alla signorina e si accorge che il suo
singhiozzo era reale e che non riusciva più a riprendersi dall’imbarazzo.Gozzano sentiva che lei aveva la voce
spezzata e le chiedeva di non farle più dei simili discorsi. Gozzano usa la parola “strozza”, una parola
prosaica.
Il poeta, infatti, dimostra di saper giocare con il lessico, creando un contrasto tra aulico e prosaico, tra alto
e basso.
● La rima mozza- strozza: è rima dantesca presa dal 28° canto dell’inferno (vv. 100-103); possiamo
notare, come anche in Ipotesi, il rapporto Gozzano-Dante. Abbiamo dei continui riferimenti alla poetica
dantesca.
Nella penultima parte, il poeta con un gesto infantile,prende in mano un ramoscello e fa il solletico alla
signorina Felicita sull’orecchio e sul collo, facendola sorridere. Facendo così, Gozzano sdrammatizza il dolore
provato in quel momento dalla ragazza, ed è come se entrambi i personaggi fossero tornati bambini per un
attimo. Tema del ritorno nel passato/ proiezione del desiderio nel passato, come possiamo notarlo anche
nel testo L’esperimento, dove Gozzano chiede a sua cugina di travestirsi da Carlotta, l’amica di sua nonna,
perchè vuole riprodurre nel presente un passato pieno di speranza che non c’è più. La quinta parte si
conclude con uno dei versi più celebri di Gozzano con cui ha definito la bellezza delle donne di tutte le
epoche, ovvero che le donne sono un oggetto del mistero, ma bello da scoprire:
➔ donna mistero senza fine bello > esalta positivamente il connotato e anche le donne sono tutte matte >
le donne sono incomprensibili CLICHÉ radicato (prima piange e poi è contenta > instabilità del
carattere di Felicita)
PARTE VI
● Il riferimento alle donne sofisticate di città, che hanno provato più volte a conquistarlo invano e che poi
sono sparite (parte V. - strofa 4), si ricollega probabilmente al fatto che a Gozzano piaceva di più la
semplicità, genuinità ed ingenuità delle ragazze borghesi e di campagna, come Felicita e Carlotta,
mentre considerava sofisticate le ragazze figlie del loro tempo, della modernità, ed emancipate,
come Ketty. Considera quindi più importante la voglia di Felicita di conquistarlo.
● La prima strofa della parte VI coincide con la terza strofa della parte III tranne per una parola, “rideva”,
che nella parte 5 è sostituita sa “luceva”. Gozzano vuole probabilmente sottolineare l’amore che
provava Felicita per lui e che lui percepiva tramite “i bei occhi limpidi” e quella voglia di parlare per
attirarlo. Riferimento al Paradiso di Dante >>> “tu volevi piacermi, Signorina;”
● Gozzano parla del suo possibile matrimonio con Felicita in una casa centenaria (Villa Amarena), piena
di oggetti antichi e desueti. Si sottolinea qui il suo legame con i tempi passati, con l’antichità, e la
malinconia per un passato che non tornerà più, caratteristica che lo contraddistingue.
● Il riferimento è all’aridità che la letteratura e la lirica portano nella vita del poeta e al distacco dal
mondo che esse provocano. Nelle sue poesie, infatti, fa spesso riferimento alla lirica come ad una
malattia, che impedisce al poeta di vivere veramente.
● Come in “Il commesso farmacista”, Gozzano prova invidia per la vita semplice della borghesia, in
questo caso per la vita di un mercante, ruvida e concreta ma che non gli fa mancare né rimpiangere
nulla. “Oh! questa vita sterile, di sogno! / Meglio la vita ruvida concreta / del buon mercante inteso alla
moneta,” <<< contrasto tra la vita del poeta e la vita della borghesia.
● Vita per racimolare soldi >>> concezione borghese e capitalista del ‘900, che si vede anche nella
poesia dedicata alla figura dell’americana Miss Ketty che ride dei poeti come persone senza soldi.
● Gozzano vorrebbe riappropriarsi di una vita autentica e felice, che la letteratura ha contribuito ad
allontanare sempre di più, e sarebbe anche disposto a rinnegare la sua fede letteraria dal momento
che si vergogna pure di essere definito un poeta >> morte della poesia e della figura del poeta
illustre nel 900 >> Mi vergogno di essere un poeta: Emilio Praga > modello che Gozzano usa
Poi si parla della fanciulla che ha una formazione scolastica molto scarsa, ma questa connotazione viene
data con una certa ironia; quindi, vi è anche un certo distacco nei confronti di questo personaggio che un po’
viene deriso. In realtà il poeta dice Mi piaci, quindi in fondo il suo essere non colta, ingenua, modesta e
disinvolta lo affascina molto di più rispetto a tutte le ragazze cittadine che conosce che si atteggiano
come personaggi romantici. Tra gli aspetti caratteristici della poesia di Gozzano, vi è certamente l’ironia,
un’ironia grazie alla quale il poeta, seppur crepuscolare e pessimista, non scade mai in una infruttuosa
autocommiserazione. Questa caratteristica peculiare della produzione gozzaniana, si ritrova soprattutto in
una rima, la rima «camicie»/«Nietzsche» (vv. 308-311). Gozzano fa rimare “camicie” con “Nietzsche”
ironicamente nei confronti dei cultori e seguaci del filosofo tedesco e del suo superuomo. Questo è un
esempio di come Gozzano giochi con l’accostamento di termini in funzione ironica.
Nietzsche non viene nominato solamente in “La Signorina Felicita” ma anche in "Totò Merumeni” (nella
seconda sezione 4° strofa v.14): “È il buono che desidera il Nietzsche”, quindi Toto consapevole di sé e dei
suoi sbagli, non è cattivo. Si tratta del buono per comodità che veniva deriso da Nietzsche.
Il male è quello di colui che ha un sapere ma che tante volte lo trasforma in qualcosa di teorico,
letterario, inautentico e non concreto. Questo male di vivere di cui parla è tipico dell’intellettuale. Si
contrappone da un lato con la vita di Felicita che è estremamente modesta ma da una parte anche una vita
che può darle una certa felicità svolgendo le faccende.
Gozzano ribadisce “Mi piaci” e successivamente scrive che leggendo versi che raccontano di te (quindi di
Felicita) comunque lei non lo comprenderebbe, e il fatto che lei non riesca a comprenderlo gli piace
“Tu ignori questo male che s’apprende” ci riporta alla memoria dantesca (inferno v.100): Amor, ch’al cor gentil
ratto s’apprende prese costui de la bella persona che mi fu tolta; e ’l modo ancor m’offende. “Amor, ch’al cor
gentil ratto apprende" è uno dei versi più conosciuti dell’intera Commedia dantesca. È il verso 100 del
canto V dell’Inferno, il cosiddetto canto di Paolo e Francesca.
Siamo nel secondo girone, quello dei lussuriosi, cioè quei peccatori che durante la vita hanno perseguito la
soddisfazione dei piaceri contro ogni regola, abbandonandosi alle passioni. Sono puniti da un vento senza
sosta che li trascina lungo tutto il girone: è il contrappasso per questi dannati che durante la vita si sono invece
fatti guidare dal vento delle passioni.
Tra le anime peccatrici, Dante scorge due anime che procedono insieme e gli sembrano più leggere al vento
che le colpisce: Paolo e Francesca. I due amanti, uniti per sempre, si avvicinano a Dante e la donna inizia a
raccontare il loro dramma, prima facendo riferimento alla sua città natale e poi all’innamoramento per Paolo.
Infatti, con il verso «Amor, ch’al cor gentile ratto s’apprende», che significa «L’amore, che divampa presto nel
cuore gentile», Dante vuole sottolineare la potenza dell’amore, che supera la volontà dell’individuo e
riesce a far innamorare chi ha un cuore nobile. Gozzano ricorda due passi di Jammes. Il poemetto è
attraversato da molte citazioni di poeti illustri, perché Gozzano si dà arie da poeta consumato, ma tali
citazioni hanno lo scopo di prendere le distanze dal mondo dei poeti stessi, che sono rinunciatari alla vita,
che si consumano in chimere, in sogni di gloria, in passioni distruttive senza valutare attentamente la
semplicità della vita di provincia.
● “Ed io non voglio più essere io”. Qui sembra che Gozzano sia quasi disposto a rinunciare al suo mondo
per accettare il mondo di Felicita. C’è quindi una sovrapposizione tra la malattia fisica e quella
morale dell’essere poeti dannati dall’infelicità, quando essa sembra così a portata di mano, vicina e
pura.
● Poi si parla di un “esteta gelido”, quindi un poeta estetizzante, in quanto lontano dai sentimenti
comuni, facendo riferimento al cultore della bellezza pura e assoluta.
● “Sofista” ovvero l’intellettuale che gioca con le parole e rima con “farmacista”.
● “Borgo” fa riferimento a un capovolgimento (cosciente) della situazione leopardiana delle “Ricordanze”
(vv.28-34): “Nè mi diceva il cor che l’età verde/ sarei dannato a consumare in questo/ natio borgo
selvaggio, intra una gente/ zonta, vil; cui nomi strani, e spesso/ argomento di riso e di trastullo, / son
dottrina e saper.
● “Conquista” cioè il piccolo guadagno.
● “In oblio” ovvero dimentico di tutto e dimenticato da tutti.
● “Esteta gelido” e “Sofista” si ritrovano anche in "L'esperimento" di Guido Gozzano.
● “Sofista” lo ritroviamo al verso 66 come “sofista schernitore”. “In oblio, come tuo padre, come il
farmacista” fa riferimento a un altro testo di Guido Gozzano che è “Il commesso farmacista”.
PARTE VII:
La settima parte del testo si apre con una conversazione di “pettegolezzi” con il farmacista, il quale dice al
poeta che il notaio, innamorato di Felicita, è geloso di Gozzano perché lei non ha occhi che per lui, ed è anche
arrabbiato con il farmacista perchè lui voleva presentare la donna al poeta e non al notaio (“non mi saluta, non
mi parla…”, v.351).
Le strofe che seguono riferiscono la loro conversazione con il discorso diretto: qui siamo in presenza di una
delle caratteristiche tipiche del linguaggio gozzaniano, ossia la narratività intrinseca della poesia
(evidenziata anche dallo stesso verbo “narrava”, v.331).
Il notaio geloso è una presenza significativa: non tanto come antagonista di una vicenda amorosa il cui destino
sembra in realtà segnato sin dall’inizio, quanto come membro di quell’«inclito collegio» della piccola
borghesia provinciale. Con questa presentazione si introduce anche un altro tema: il tema del guadagno e
della ricerca della ricchezza: Felicita non è solo brutta, senza seno, volgaruccia, ma anche povera (“la dote è
poca”, v.336). In effetti, se la «servente» trasformandosi in signorina Felicita ha perduto buona parte degli
attributi prosaici iniziali, questi sono stati dirottati verso suo padre («in fama d’usuraio»). Ed è proprio
attraverso lo sguardo piccolo-borghese del farmacista, a-sentimentale, capace solo di calcolare il pregio
della materia (“sonnifero d’oro”), che Felicita (l' oca") ritrova i tratti squallidi della «servente» ed è soggetta ad
una mistificazione (vv. 335-338).
Vediamo dunque che la fisionomia della sgraziata ragazza di campagna è la letterale antitesi delle eroine
dannunziane da cui il poeta vorrebbe lasciarsi incantare per sazietà del dannunzianesimo. In lei vediamo
l’esatto opposto della donna indipendente ed emancipata rappresentata da Ketty, vediamo una figura più
semplice, umile ed ingenua, forse la donna ideale per Gozzano.
Quando il farmacista confida i suoi timori al poeta, egli gli risponde di non preoccuparsi perché in settimana
(ma non specifica quando, né perché) dovrà partire, per un posto molto lontano, e con la sua partenza
decadrà ogni pettegolezzo.
Dopo il colloquio con il farmacista, il poeta esce a vagabondare in aperta campagna, in una fresca notte di
settembre con la luna piena. Scocca la mezzanotte in “quel dolce paese che non dico” (ripetizione del v.6),
cioè il Canavese, e il poeta si sente “triste e perduto come un mendicante” (similitudine) nonostante il “silenzio”
gli sia “amico” (v.351).
L’ambientazione tipicamente romantica rimanda ad alcuni predecessori di Gozzano, aprendo una serie di
riferimenti letterari:
● Innanzitutto rimanda ad altri testi di Gozzano: Un’altra risorta (Colloqui);
● Romagna (Myricae) di Pascoli utilizza proprio il termine “rezzo” e l’espressione “dolce paese”;
● “Dolce paese” è anche l’incipit di Traversando la maremma toscana di Carducci;
● “Silenzio amico” è un’espressione usata da Tasso nella Gerusalemme liberata e da Virgilio nell’Eneide
(“per amica silentia lunae”);
● La luna come “un punto sopra un I gigante” è una citazione di Alfred de Musset;
● “In molti mesti e pochi sogni lieti” rimanda ad un’immagine petrarchiana e mette in evidenza, attraverso
l’anastrofe e l’iperbato, dividendo l’endecasillabo in due emistichi perfette costituenti un’antitesi, la
presenza di molti pensieri negativi e pochi positivi.
Il poeta continua il suo pellegrinaggio attraverso degli alberi resi argento dalla luce della luna e arriva al
cancello di un cimitero, tipico topos (frequente tema/soggetto lirico) della poesia romantica e luogo di
frequente ispirazione poetica (“come s’usa nei libri dei poeti”, v.362). Lo troviamo ad esempio in Pascoli, che
riprende spesso la tematica della confortevole ricongiunzione con i cari defunti, come è possibile osservare nel
componimento “il Bolide” e in altre poesie di Myricae come “il giorno dei morti” e “Colloquio”.
La strofa successiva si connette al tema della morte, in particolare del rapporto tra il mondo terrestre e l’al
di là. Il poeta rivolge un’apostrofe ai morti (“Voi che posate già sull’altra riva”, evidente riferimento dantesco
al personaggio di Caronte, traghettatore che trasportava le anime dall’altra parte della riva dell’ Acheronte nel
canto III dell’Inferno) e li invoca per dargli consiglio. I versi 367-368 rappresentano il suo conflitto interiore:
vale la pena guarire e vivere, o è meglio morire? A questa domanda, ovviamente, non avrà risposta.
La morte è citata con una perifrasi, figura di stile spesso presente nella poesia di Gozzano, come ad esempio
la Signora vestita di nulla (’Ipotesi). “l’Ospite furtiva che ci affranca [ci libera] dal Tempo e dallo Spazio” è
sicuramente un riferimento a D’Annunzio, che aveva usato la stessa espressione nel romanzo Trionfo della
Morte.
Gozzano medita a lungo davanti al cancello del cimitero e in sottofondo quasi udiva, come se stessero
dialogando, le grida di uccelli rapaci notturni. Questi rapaci sono visibili anche nel componimento L’Analfabeta,
in cui questo macabro verso è onnipresente. La Luna che lui vede al di là del cancello imita, probabilmente
con le ombre che genera dalla sua luce, degli amanti che si baciano in eterno, e questo “bacio lunare”
rimanda ancora a descrizioni romantiche, come quella fatta da Prati verso la sua amata Carlotta (autore citato
anche nella poesia L’esperimento) >> amore possibile solo nella morte (ricongiunzione delle anime.
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Il suo atteggiamento da romantico (si strugge al cimitero) è una FINZIONE > sta mimando un sentimento e
una delusione, si mette a riflettere sull'amore e sulla morte (riprende da Leopardi).
Attore di sé stesso sta recitando una parte > è tutta recitazione > sta prendendo in giro il lettore e suggerendo
un atteggiamento che viene sconfessato dall'ultimo verso
Ecco che si intravede una possibilità di un amore che lui non proverà mai, perché il vero amore è possibile
solo nella morte. E l’autore ce lo esplicita accostando due concetti tra loro antitetici: la morte e la felicità.
La morte lo esilia nell’al di là e nelle terre lontane, poiché per la sua malattia dovrà cercare delle cure in altri
continenti; la felicità, invece, permette un immediato riferimento al nome di Felicita. Questo amore però sarà
impossibile, perché la morte lo insegue incalzante. Più lui si avvicina alla felicità, più la morte gli sta alle
calcagna, impedendogli di arrivare a quella felicità, che rimane sempre distante, irraggiungibile, un sogno.
Nell’espressione “promette il bene che sarà” è possibile avere un'anticipazione alla proposta di matrimonio di
Gozzano: Felicita prometterà al poeta di rimanergli fedele per sempre e di aspettarlo fino al suo ritorno, ma il
poeta sa che non è possibile, perché non ritornerà mai (intuibile in seguito dalla frase “Io non sorrisi”).
PARTE VII:
L’ottava narra di un giorno autunnale (“la morte dell’estate”) tanto temuto da Felicita, il giorno degli addii con
il suo amato. L’atmosfera è triste ma tranquilla, movimentata in parte dalle rondini obbligate a migrare, quasi a
simboleggiare la partenza di Gozzano stesso, ormai prossima. In effetti anche le rondini hanno un volo
randagio, senza meta precisa, come il poeta. Ed è proprio così che si apre un dialogo con Felicita (v. 393), alla
quale Gozzano rivela che deve viaggiare “per fuggire altro viaggio”(v.395), ossia per fuggire alla morte. Con
questa espressione fa nuovamente riferimento all’Inferno Dantesco in cui invece il viaggio comincia con la
morte stessa. La sua partenza “oltre Marocco, ad isolette strane … perdute nell’Atlantico selvaggio” rinvia alle
Isole Canarie, alludendo così all’immagine dei viaggi in “La più bella” e il desiderio per l’irraggiungibile che
ritorna nei testi di Gozzano.
Gozzano domanda a Felicita se gli rimarrà fedele (v.400), se lo aspetterà nonostante tutto, dichiarando di
avere intenzione di portarla all’altare al suo ritorno. Lei, invaghita, non solo giura, bensì vuole anche
dimostrargli di mantenere la promessa disegnando sul muro della villa una ghirlanda con all’interno i loro nomi,
una freccia e la data memoranda (latinismo = da ricordare): trenta settembre millenovecentosette.
Rimarcando in tal modo la data per esteso, come in altre liriche (“L’amica di Nonna Speranza”), si evince la
sua ossessione per le date, per il tempo ormai perduto e lontano.
Gozzano si concentra, poi, nel verso assordante delle rondini, le quali potrebbero indicargli la via o
semplicemente salutandolo con un addio. Esse volano avanti e indietro, veloci come delle macchine tessili.
Nel frattempo, Felicita segue con lo sguardo gli stormi che si allontanano in direzione di luoghi caldi, come
l’Africa. Arriva il “distacco, amaro senza fine”, e il poeta deve definitivamente salutare Felicita, e non le rondini,
che viaggiano nella sua stessa direzione. Questo addio è interminabile, come ai vecchi tempi in cui le
innamorate (pettinate con la riga al centro e indossando abbigliamento tipico dell’Ottocento), salutavano in
lacrime le carrozze dei patrioti che andavano in esilio (è una visione di età romantica e Rinascimentale).
L’ultima strofa presenta l’ennesima citazione del Prati, grande poeta romantico e sentimentale. Gozzano si
sente un po’ come lui, come un uomo di altri tempi, ma in realtà egli finge di esserlo, perché dentro di sé
rimarrà sempre l’esteta gelido e “il sofista” (termine utilizzato nella poesia L’esperimento + Totò Merumeni:
l’analisi e il sofisma fecero di quest’uomo / ciò che le fiamme fanno d’un edificio al vento.)
SERGIO CORAZZINI
Sergio Corazzini è un vero crepuscolare che canta la nostalgia, la solitudine > crepuscolare tout court.
Questo è il TESTO del CREPUSCOLARISMO che incarna la linea intimista: ripiegamento dell’io, perdita di
tutte le certezze, malinconia, nostalgia sensazione di non avere più niente da dire e di non poter dire più nulla
del moderno, della società moderna e estraneità che il poeta vive nel contemporaneo.
Nel testo è presente un’ atmosfera di malinconia, ripiegamento, autoisolamento e di tristezza che emerge fin
dal titolo non solo della lirica ma del libro in cui il testo è contenuto (“Piccolo libro inutile”).
Con i crepuscolari cambiano i titoli dei libri di poesia: Marino Moretti scriverà “Le poesie scritte col
lapis”(poesia scritte a matita > poesie che si possono cancellare.
Si tratta di TITOLI PARLANTI rispetto alla rinuncia del poeta a un ruolo nella società, alla possibilità di
comunicare qualcosa e di perseguire la vocazione poetica.
Sin dai primi versi si imposta il TEMA DELLA RINUNCIA> impossibilità di fare poesia nel mondo
contemporaneo. Successivamente c’è la presenza del TEMA DELLA MORTE E DELLA MALATTIA >
Corazzini aveva la tubercolosi e tristemente muore pochi mesi dopo la composizione di questo testo. Viene
considerato il crepuscolare per eccellenza e un vero crepuscolare.
Altri crepuscolari (Moretti, Palazzeschi) vivono e scrivono fino agli anni 60, attraversano diverse ere della
poesia (futurismo, ermetismo, gli anni 50 > poesia cambia radicalmente).
Corazzini è destinato a rimanere un puro crepuscolare e i temi sono sempre: la rinuncia alla possibilità, la
malattia, la paralisi del soggetto di fronte al mondo, semplicità delle piccole cose.
Sono visibili scenari con vetrate colorate, rappresentazioni religiose, grandi cattedrali gotiche, chiese
abbandonate, oggetti desueti (specchio melanconico). Questi oggetti suscitano l'attenzione dei crepuscolari
per la loro inappartenenza e capacità di suscitare un tempo passato.
Si parla di parole vane che non hanno più un contenuto civile, forza comunicativa verso la civiltà (al contrario
di D’Annunzio, le parole sono scritte in un libro inutile.
Descrizione della cattedrale con immagini ricercate: un rosario e un riferimento religioso all’ immagine della
Madonna trafitta da 7 pugnali che sono i 7 peccati capitali
L’azione, la capacità di provare qualcosa, la capacità di esprimere un sentimento vero e anche un
ripiegamento in se stesso (piccolo fanciullo dimenticato da tutti). Nella 7° parte, rinuncia alla altisonanza della
poesia come qualcosa di anacronistico, incomprensione del poeta e inoltre viene esplicitata la malattia che
interviene nella biografia del poeta > per essere poeti bisognerebbe essere D'Annunzio (altra vitalità).
Testo tout court del sentimentalismo crepuscolare: malinconici, pensierosi, senza speranza, senza futuro, in
dubbio sulla loro vocazione.
MARINO MORETTI
Moretti è fedele a se stesso e quindi al crepuscolarismo, è un poeta considerato minore. Ha una lunga
carriera poetica: famosa la raccolta “Poesie scritte col lapis”.
Dalla prefazione di Geno Pampaloni (Il giuoco della verità) a M. Moretti, In verso e in prosa, a cura di G. Pampaloni,
Mondadori, Milano 1987.
Prova a soffiare un poco
sul fiore di bugia:
saprai la verità
Il fiore di bugia è il dente di leone, il soffione che deriva dal tarassaco
La poesia di Moretti viene considerata come il gioco della verità che si fa con il soffio sul fiore di bugia:
soffiando sul fiore tutti i petali che rimanevano attaccati erano le bugie che qualcuno aveva detto e la quantità
che si liberava dal fiore erano le verità, chi soffiava tutti i petali era un'anima pura.
Attraverso il soffio, la poesia può arrivare alla verità e dare una risposta di verità a una serie di domande:
➔ c'è ancora, nel mondo, la poesia? Esistono i maestri? ha un senso la tradizione? si può parlare, senza
arrossire, dei sentimenti?; qual è infine, al di là della cortina del pudore, il posto dell'« io » nella vita? E
sino a che punto il poeta, lo scrittore, il letterato del Novecento può spingere a fondo queste domande
senza smarrirvisi?
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Moretti si interroga su queste questioni (es. C'è ancora nel mondo la poesia? è ancora possibile fare poesia
senza vergognarsi del sentimento e senza provare vergogna?)
Moretti non amava la sua etichetta da crepuscolare e si spazientì quando venne definito tale (aggettivo coniato
da G.A.Borgese) e inoltre non si sentiva parte del gruppo dei crepuscolari > Moretti era romagnolo
Il tratto peculiare di Moretti è di collocarsi in una SITUAZIONE DI FRONTIERA tra tradizione e avanguardia:
la tradizione continua ad esercitare un peso in modo non ironico (Pascoli era stato il modello)
➔ Il punto focale, a mio giudizio, della « rivoluzione crepuscolare » di Marino Moretti si trova in una
originale disposizione dell'io » di fronte alinestricabile rapporto vita-poesia". Tale disposizione è
ambivalente in più sensi: essendo la sintesi vita-poesia un miraggio irraggiungibile, e la scelta
impossibile, è l' io » che si divide: tanto verso la vita quanto verso la poesia è costretto a riconoscersi al
tempo stesso intimidito e ribelle. Il suo ruolo destinato è quello del doppio gioco.
Il rapporto vita-poesia in riferimento all’ impossibilità di aderire completamente nel Novecento a questa
vocazione, la vita è diversa dall’ esercizio della letteratura, sono divergenti e la scelta è impossibile > essere
poeta o vivere di vita (anche per Gozzano). L’io assume un doppio atteggiamento:
1. l’essere intimidito dall’ impossibilità di scelta
2. di ribellione
Moretti non accetta l’impossibilità di fare versi nel contemporaneo, da ciò emerge l’ironia, che fa da schermo
attraverso l’autoironia come modo di esorcizzare la pesantezza di una condizione > comincia già ad esercitarsi
nei primi anni della sua produzione poetica (critica vede Squarotti vs Pampaloni in tema dell’ironia)
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In tutta la poesia “La giostra", componimento delle “Poesie scritte col lapis”, si ravvisa la ribellione o
l'insofferenza amara del poeta per la poesia prostituita al buon senso e all'indifferenza borghese. Il poeta
si mostra sulla giostra e fa il pagliaccio per vendere, deve prostituirsi di fronte a un pubblico indifferente per
potersi fare ascoltare e scrivere di qualcosa.
Dietro questi versi c’è Baudelaire con “il vecchio saltimbanco” che non si impegna di fronte all’indifferenza dei
borghesi.
Palazzeschi scrive nel “Il Saltimbanco” “sono il saltimbanco dell'anima mia…”e comincia a cambiare la
postura del poeta nel primo Novecento come pagliaccio di circo, venditore ambulante di robaccia (a
monte c’è Baudelaire) e questo tema avrà una fortuna sterminata. Palazzeschi è il poeta clown che fa
divertire > postura di ironia.
il poeta che si mostra
su un cavallo della giostra
sembra il pagliaccio ch'egli è
I versi sono letti come critica verso la società e verso la condizione del poeta, dopo c’è un rovesciamento
semantico. La giostra è prima il luogo dove il poeta è costretto ad esibirsi, poi ribaltamento della giostra (non
va solo letta in senso tragico), ma acquista un nuovo significato ironico.
Ultimo caposaldo
dell'amicizia, resta
una giostra, una festa,
un grido, un nome: Aldo
Moretti fa un omaggio ad Aldo Palazzeschi a distanza di trent'anni e lo identifica come il poeta della giostra,
della comicità, della gioia >> no intimismo se non nelle prima raccolte.
Nonostante l’ impossibilità di scegliere che Moretti secondo Pampaloni sentiva, alla fine il binomio non si può
scindere: vita vera e poesia > è questo lo scacco del crepuscolare, sentire la vocazione, sentire che la poesia
è la propria strada, ma essere smascherati in una stanza piena di maschere e non potersene liberare
(fallimento).
Questo scacco viene spesso svolto attraverso il tema della RINUNCIA > mancanza di sufficiente forza per
uscire da questa condizione > un blocco, una PARALISI.
Dal punto di vista CONTENUTISTICO i crepuscolari cambiano il Novecento > si mette in dubbio il valore della
poesia e la necessità del poeta “a cosa ci serve?”
MATITA = nessuna pretesa di aulicità, di rimanere nella storia, si parte dal presupposto contrario, verranno
dimenticati, pubblico borghese non considererà (sottile ironia nei versi).
I FUTURISTI
Intorno agli Dieci si sviluppa il futurismo, il più radicale tra i movimenti d’avanguardia italiani, aggressivo fino
alla chiassosità diventa anche una poetica di regime. Mentre i crepuscolari muovevano una parte della loro
critica contro i valori della modernità, il nucleo dello sperimentalismo futurista si forma sull’esaltazione della
tecnica e della società industriale. Il suo compito è l’elaborazione di una poesia moderna che sia adeguata
alle conquiste tecnologiche in grado di riprodurre la velocità, l'energia, l’irrazionalità e i traumi della vita nelle
metropoli contemporanee. La poetica futurista si esprime anche con attività teorica > stesura di “manifesti
programmatici” dove vengono dissacrati i codici poetici tradizionali o scritte tesi per strumenti tecnici inediti
>> Manifesto tecnico della letteratura futurista di Marinetti con proposta di abolizione della aggettivazione,
punteggiatura, forme abituali della sintassi a favore di accostamenti analogici e immediati, termini privi di
nesso logico-sintattico (parole in libertà).
La lirica futurista resta legata a una retorica di tipo simbolista > espressioni metaforiche vivide. Conquiste
significative sono nell’ambito della METRICA > impiego del verso libero. disgregazione delle regole
prosodiche e dell’impaginazione tradizionale.
Corrado Govoni passa da un marcato simbolismo, che mescola D'Annunzio con Pascoli, alla pratica di
poesia futurista > oggetti crepuscolari che si deformano. Ha rappresentato uno dei primi modelli di lingua e
verve poetica ottenute in virtù di una semplificazione dell’io lirico tradizionale.
Aldo Palazzeschi dissacrazione ironica si esercita nei temi: quadri grotteschi, parodie dannunziane, visione
distorta di scorci di città. I suoi personaggi sono piromani, pagliacci, funamboli sempre pronti al riso e alla follia
> privi di responsabilità possono lasciarsi andare alle filastrocche e ai giochi fonici.
A Firenze nascono due riviste letterarie attente alla poesia d’avanguardia: “Lacerba” (Papini, Soffici e
Palazzeschi) e “La Voce” > i vociani non si limitano allo scardinamento della tradizione ma creano un
vocabolario poetico personale.
CORRADO GOVONI
Govoni viene classificato crepuscolare ma le sue produzioni sono molto diversificate nei temi e nei testi.
Pascoli è stato un modello per Govoni, egli impara dalla scapigliatura, si lascia alle spalle il simbolismo di
Baudelaire, aderirà al futurismo e scriverà testi futuristi. Sarà il primo che unisce il visuale e il visivo al lirico
dello scritto. Govoni vive fino agli anni 60 per questo motivo ha una produzione diversificata.
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Si parla di crepuscolari che mettono in realtà piede nel futurismo > nel 1907 quando Gozzano pubblica “La
via del rifugio”, Govoni pubblica “Gli aborti”, raccolta che non ha niente a che vedere con la comicità ma è più
simile alla scapigliatura poetica: contenuti macabri, scandalosi, immagini forti, si punta sui contrasti e sulle
associazioni contrastive (i gigli > fiori come qualcosa di torbido: il giglio bianco che rappresenta la purezza
viene ribaltato). Questa Raccolta e la precedente > rimandano all’ ossessione per il TEMA DEL CLOWN, il
carnevale i pagliacci (guardando anche a Palazzeschi)
In “Chi sono?” Palazzeschi non si definisce un poeta o un piccolo fanciullo che piange ma un pagliaccio,
“saltimbanco della mia anima”.
“Gli aborti, alla musa”, sono un’ invocazione alla musa affinche dia l’ispirazione per ispirare i temi della
raccolta. La musa di Govoni è diversa rispetto alla tradizione classica perché è una stracciona, una
mendicante, una vecchia saltimbanca che si esibisce, si prostituisce e si vende > la musa è la POESIA.
Nei primi versi è visibile il crepuscolarismo: tristezza, pianto, impossibilità di porsi per ciò che si vorrebbe
pianto del bambino, casa povere grigie; ma poi interviene anche la scapigliatura (riferimento a Baudelaire, la
musa è vestita di stracci), la musa può chiedere l’elemosina per offrire allegria vagabonda, si deve esibire.
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Questo testo inaugura il libro “Gli aborti” ed è un progressivo avvicinarsi all’ orrore (sviluppando un tema
baudleriano) per rispondere alla condizione del poeta nella società moderna.
Nei fiori del male ci sono due poesie dedicate:
- alla musa Malata > non ha più i soldi per provvedere a riempire la stufa
- alla musa Venale > si vende al pubblico. fa il saltimbanco di se stessa e si esibisce.
Questi autori hanno inoltre (collegato a questo tema) interesse per la tradizione carnevalesca (Arlecchino,
Pierrot, Colombina…), queste figure e in particolare Pierrot iniziano ad essere degli alter ego del poeta.
Le maschere vengono rivisitate da Govoni in chiave tragica e diventano rappresentanti della poesia del
poeta del primo 900.
Pierrot è tisico e Colombina è prostituta > rappresentano il poeta e la musa
Pierroto tisico (Il trio delle maschere moderne, da I fuochi d’artifizio, 1905)
Sull’interesse per la maschera carnevalesca, ora declinata in chiave tragica; alter ego del poeta
È stato un raffreddore preso a un ballo in maschera
che l’à ridotto a questo punto – all’etisia –. Quando tossisce la farina ed il belletto
Addio veglie incipriate! addio frasche! gli si sciolgono per il viso dimagrato
Or bisogna danzare con la nostalgia. e le lagrime sembran bolle di sapone;
Mentre passeggia con le mani nelle tasche e poichè non à più neanche il fazzoletto
dei suoi gualciti pantaloni a fantasia si soffia il naso, con un guanto che à rubato,
girando le fontane specchia nelle vasche il suo naso verde come un peperone. –
il funerale della sua galanteria. e poi lo getta – e là! –
Pierrot è in decadenza, è uno straccione malato che fa vergogna guardarlo e si rende ridicolo. I temi d’oro
dell'allegria sono finiti e le maschere moderne diventano così. Lo stesso per Colombina:
Colombina prostituta
Non ama più il romanticismo epistolare donna moderna dalle voluttà più rare.
e i baci inzuccherati come dei confetti;
all’erba molle preferisce i duri letti Il colore dei suoi capelli è materiato
insonni e affaticati dentro il lupanare. di ruggine di vecchia spada sanguinosa,
e di fulvo liturgico oro saccheggiato.
Si concede a chi vuole: se si fa pagare
non guarda pel sottile con gli amanti eletti. L’incendio dei suoi occhi sembra che s’estingua
E si presenta sotto mille vari aspetti, palpitando nell’orgia libidinosa
della rossa marea dalla sua lingua.
L’orrore è declinato secondo una visione molto cruda >> scapigliatura. Si fa poesia con il brutto, si canta
il brutto e il gusto estetico cambia, siamo vicini all’ estetica futurista.
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I temi di questa violenza espressiva si inaspriscono verso la fine del libro con due testi:
- “La grande mascherata” > descrive metaforicamente la vita di tutti noi, una vita di orrori e di spaventi
di illusioni e passioni in cui si mostra sempre il risvolto negativo, macabro di malattie ed è una vita
caotica.
- “Carnevale-funerale” > porta il tema del Carnevale (pagliaccio) declinato in CHIAVE TRAGICA e
FUNEBRE.
ALDO PALAZZESCHI
Per contro Palazzeschi sviluppa il tema del Carnevale declinato in CHIAVE COMICA
Quid della poetica di Palazzeschi è l’immagine del pagliaccio e la vendita di sé come saltimbanco.
La poesia è comica e dissacrante ed è un modo per rispondere alla tradizione (fare tabula rasa della
tradizione), abbandonando il ruolo del poeta, dichiarando la rinuncia a questo ruolo e il poeta dice “lasciatemi
divertire” (non chiedetemi verità o indicazioni ma solo lasciatemi divertire).
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[Pier Vincenzo Mengaldo, Poeti italiani del Novecento]
Una sensibile svolta, che porterà Palazzeschi entro le schiere futuriste, è già evidente nei Poemi del 1909.
È a questo punto che cominciano veramente a delinearsi l'ironia e il grottesco palazzeschiani, prima quasi
assenti, in un'ALLEGRIA DISSACRANTE (“Lasciatemi divertire!”, che rovescia, il “lasciatemi sognare”
gozzaniano) di cui l'autore stesso sottolineerà la funzione rivoluzionaria.
Allo svuotamento dei temi lirici tradizionali succede la loro esplicita parodia (I fiori). “Chi sono?” è in realtà un
anti prosopopea, una dichiarazione di smarrita identità, cui si sostituisce la maschera auto-ironica (“il
saltimbanco dell'anima mia”), e i messaggi più personali sono delegati a personaggi di fantasia, celati nella
improbabilità dell'invenzione grottesca o allegorica (soprattutto la figura simbolica dell'Incendiario, distruttore di
civiltà). La poesia del Palazzeschi futurista è insomma il maggior tentativo nel nostro Novecento di uscire
dalle convenzioni seriose del discorso lirico, proponendo un’ integrale teatralizzazione.
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Palazzeschi è un po’ crepuscolare ma si sta avviando verso il futurismo, si trova tra la malinconia crepuscolare
e la violenza espressiva dei futuristi (tutto è possibile con lo slancio e la violenza).
Con la raccolta “Poemi” Palazzeschi inizia a mettere piede nel futurismo attraverso un’IRONIA
DISSACRANTE > massacro della tradizione e dell’unicità del verso.
Si cerca di dire qualcosa di nuovo con nuovo linguaggio e Palazzeschi lo fa ribaltando in via parodica i temi
tradizionali.
Con l’incendiario Palazzeschi entra nel futurismo > distrugge con il fuoco la tradizione, la morale e le
convenzioni che vengono spazzate via attraverso la violenza.
Palazzeschi diventa personaggio e attore di se stesso, si esibisce di fronte ai borghesi.
Visibile la teatralizzazione > il poeta è un attore che recita la sua parte da pagliaccio. Malinconia, nostalgia
(crepuscolarismo) ma anche una pulsione dissacrante e violenta. Presenza di ironia violenta nei confronti del
pubblico > isteria collettiva
Con il futurismo vediamo nascere l’uso frequente dei MANIFESTI: 1912 Manifesto tecnico della letteratura
futurista di Marinetti è il 1° manifesto pubblicato sulla rivista “Le Figaro” e poi da li un manifesto per ogni arte
(manifesto sulla pittura, convergenza tra numeri e lettere, letteratura con linguaggio matematico) perché si sta
cercando un nuovo linguaggio per dire qualcosa.
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Il CONTRODOLORE è un manifesto di Palazzeschi dove è visibile un ritorno programmatico che esalta la
risata e un Carnevale positivo > si sta cercando un modo per ESORCIZZARE la difficoltà dell'uomo
moderno nel Novecento. Non si hanno più certezze (psicanalisi di Freud) >>> Esorcizzare lo scacco
esistenziale
LACERBA è una rivista (il dibattito culturale avveniva tramite le riviste letterarie, la fortuna esplode nell’800.
Le riviste avviano delle inchieste, prendono dei temi di dibattito e invitano gli intellettuali a parlare di quei temi.
Si discute, si dibatte e si sviluppano degli argomenti.
Nel 1913 a Firenze viene fondata la rivista La Voce, è importante perché discute di poesia con sguardo
attento alle innovazioni fuori frontiera, è aperta alla discussione, accoglienza delle letterature straniere e
attorno a essa si riuniscono molti intellettuali.
Il gruppo fiorentino però entra in conflitto con i futuristi > recensione catastrofica verso una mostra d'arte
futurista > stroncata l’iniziativa futurista. Dopo una lite però, Soffici e Papini fondano la rivista Lacerba che
vuole far incontrare i Vociani e i Futuristi per dare voce ad entrambi > dura pochi anni,
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L’uomo che attraversa il dolore è simile a un Dio, la via è un purgatorio di spine e il modo per attraversarlo è
attraverso la gioia. Non affrontare la vita con il pianto ma con la risata, cercare la gioia nella disgrazie,
ridendo > cinismo, ridere in faccia al lutto ha qualcosa di violento. si tratta di un movimento violento nei
confronti del sentimento di tristezza >>> futurismo di Palazzeschi > la violenza che lui dà al sentimento
IL FUTURISMO
In Italia nasce il futurismo dalle radici SIMBOLISTE di Filippo Tommaso Marinetti >> i modelli dei futuristi sono
i simbolisti francesi. Baudelaire è il mattone sulla quale il futuristi costruiscono le avanguardie, egli lascia
due concetti fondamentali:
1. la TEORIA DELLE CORRISPONDENZE: processo analogico (no logico) della poesia. In che modo si
rielabora il processo associativo che mette insieme ad es. l’odore e il colore
2. il TEMA DEL VIAGGIO: viaggio verso l’ignoto
Le cose poi cambiano con il testo conclusivo dei Fiori del Male (raccolta del 1857), il quale insegna ai
futuristi una postura violenta. Questo invita a superare i confini della vita moderna, non ha niente di violento è
EVOCATIVO. Baudelaire è caratterizzato da due sentimenti opposti:
1. SPLEEN > malinconia, nostalgia, pesantezza della vita di tutti i giorni, sentimento di oppressione e
rincorsa dell'uomo moderno alla realizzazione, alla sopravvivenza > metafora dello spleen: un cielo che
è come una cupola di nuvole grigie che schiacciano la terra
2. IDÉAL > la libertà, la leggerezza, il poter andare fuori dai confini di questa oppressione, il viaggio
come una metafora di libertà, della possibilità di conoscere e godere di un altrove dove c’è qualcosa
che ci può salvare, si va per conoscere, per godere, per trovare qualcosa di nuovo >> le voyage
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Il testo mette in pagina il tema dell’idéal e Baudelaire interroga i viaggiatori (chi è riuscito ad andare al di là,
cercare l'ideale e la felicità) domandando cosa hanno visto e cosa hanno trovato.
IL VIAGGIO (Baudelaire, Le Voyage)
Per il ragazzo, innamorato di mappe e III che il caso ricava dalle nuvole:
di stampe, Straordinari viaggiatori, quali nobili e sempre il desiderio ci tallonava
l'universo è pari alla sua vasta brama. storie dappresso.
Come è grande il mondo alla luce leggiamo nei vostri occhi profondi VII
della lampada, come il mare. Amaro sapere, quello che si ricava dal
come, agli occhi del ricordo, meschino! Mostrateci gli scrigni della vostra ricca viaggiare!
Un mattino partiamo, il cervello in memoria, Il mondo, piccolo e monotono oggi
fiamme, i gioielli meravigliosi fatti di astri e di come ieri, come domani, come
il cuore gonfio di rancore e di voglie etere. sempre,
amare, Senza vapore né vela vogliamo ci mostra la nostra immagine:
e andiamo seguendo il ritmo delle navigare! un'oasi d'orrore in un deserto di
onde, Per alleviare il tedio delle nostre noia!
cullando il nostro infinito sul finito dei prigioni Partire? Restare? Se puoi, resta,
mari: fate passare sui nostri spiriti, tesi come se è necessario, parti. Chi corre, chi si
gli uni, felici di fuggire una patria una tela, rannicchia
infame, i vostri ricordi chiusi in cornici per ingannare il Tempo, nemico
gli altri l'orrore delle proprie culle; e d'orizzonti. vigilante e funesto... […]
alcuni, Diteci: che vedeste? VIII
astrologhi perduti negli occhi d'una IV O Morte, vecchio capitano, è tempo,
donna, Abbiamo visto astri leviamo l'ancora.
Circe tirannica dai profumi fatali. e flutti; sabbie; e come qui, Questa terra ci annoia, Morte.
Per non essere mutati in bestie, malgrado traumi e improvvisi disastri, Salpiamo.
s'inebriano ci siamo spesso annoiati. Se cielo e mare sono neri come
di spazio, di luce e di cieli infuocati; Lo splendore del sole sopra il mare inchiostro,
il gelo che li morde, i soli che li violetto, i nostri cuori, che tu conosci, sono
bruciano la gloria delle città nel sole che colmi di raggi.
cancellano lentamente il segno dei tramonta Versaci, perché ci conforti, il tuo
baci. accendevano nei nostri cuori un veleno.
Ma, veri viaggiatori sono quelli che inquieto ardore, Noi vogliamo, per quel fuoco che ci
partono ci spingevano a tuffarci in un cielo dai arde nel cervello,
per partire; cuori leggeri, simili a riflessi incantati. tuffarci nell'abisso, Inferno o Cielo, non
palloncini, Le più doviziose città, i più vasti importa.
non si staccano mai dal loro destino, paesaggi Giù nell'Ignoto per trovarvi del Nuovo.
e senza sapere perché dicono non possedevano mai il fascino
sempre: Andiamo! misterioso
L'universo è sterminato per un ragazzo che guarda una MAPPA, mentre agli occhi del RICORDO del
viaggiatore il mondo è piccolo, perchè non è fantasia ma realtà. Baudelaire pensa con la voce dei marinai e
dei viaggiatori. Si parte per fuggire dalla patria che non gli piace, dall’orrore del passato, quello che si trova in
viaggio cancella ciò che era e lo trasforma in qualcos’altro. Il vero viaggiatore non ha motivo di scappare, ma
viaggia per conoscenza e per desiderio.
Andiamo! ESORTATIVO >> impulso come a sfondare una parete (Marinetti si ricorderà)
Baudelaire interroga i viaggiatori che hanno visto ciò che lui non ha potuto vedere, sollievo dal sentimento di
oppressione. Ciò che si trovava però, non bastava mai, ogni volta che si arrivava in un luogo qualcosa
spingeva ad andare oltre, la noia c’era lo stesso e c’era sempre il desiderio di arrivare a qualcosa che non si
può raggiungere, il desiderio non viene mai soddisfatto.
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Il QUID, il significato del racconto dei viaggiatori > il mondo è un’ oasi d'orrore in un deserto di noia!
Questo verso apre in esergo il romanzo 2666 di Roberto Bolaño > non c’è via di fuga, la realtà è sempre lì,
quando arriviamo a toccare con mano la realtà scompare il sogno e c’è solo in concreto.
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La felicità e l’ideale stanno sempre un po’ più in là, non si raggiungono mai.
Partendo si inganna il TEMPO > Baudelaire usa la T maiuscola > personificazione dei sostantivi come se
fossero delle divinità in un Pantheon.
Il Tempo è la divinità oscura e malvagia della morte > la poesia di Baudelaire è contro il tempo, esso è come
un Dio sinistro (idea che siamo sempre incalzati dal ticchettio dell'orologio, c’è un count down della vita)
Viene anche personificata la Morte come una divinità di un Pantheon e immaginata come capitano della
nave su cui viaggiano i marinai. Ci si domanda se la felicità e l’ideale non siano al di là del piano materiale >
non è una visione CRISTIANO CATTOLICA o idee di vita oltre la morte ma è un movimento spinto dalla
curiosità di andare a vedere là dove nessuno è mai tornato, che cosa c’è e quindi la morte viene
interpellata.Trovare qualcosa di nuovo e di diverso >> nell’ IGNOTO
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Presenza di un movimento di sfondamento nei confronti del noto > un GRIDO alla MORTE, qualcosa di
rabbioso, inviti alla partenza “andiamo!”,esortativi, avanti sempre più avanti. Lo sfondamento delle porte della
realtà è qualcosa di coraggioso > ricerca del NUOVO ASSOLUTO.
La sera indiana
Via! Presto! Scavalchiamo e superiamo Dov'è andata l'Aurora?… E il suo alito di gelsomino?…
codesto promontorio di sventura! Svanirono nell'umida calura
Ecco alfin l'alto mare selvaggio dagli onesti consigli! e nella penombra che invecchia!…
Il mar colpito da un improvviso pànico Nulla agguaglia il delirio di balzare nel buio!
qui lotta e fugge… Ma verso qual mèta? Urrà! cantiamo!… Il mio treno folle
Barche io vedo che spiegan le vele s'è liberato dal peso schiacciante del Sole!
Ad abbracciar le stelle Urrà! Non lo vedete discendere agilmente
e si lusingan di vincere i flutti del mare verso il cuor della terra, come un enorme trivello,
che lotta invano e senza mèta fugge! raschiando in giro le pareti dell'inferno?…
Nel testo ci sono immagini che alternano la visione del mare a descrizioni del mare > elemento di Marinetti
Il mare si vede dopo aver superato un promontorio di sfortuna e il testo comincia con esortazioni ed
esclamazioni.
L’infinito che si perde all'orizzonte suggerisce il desiderio di balzare nel buio > ricorda il finale di “il viaggio” di
Baudelaire, con l’esortazione e piombare là dove non c'è conoscenza, dove non si è visto ciò che c’è > treno
folle che viaggia verso un qualcosa di ignoto e il tono è forte, il testo andrebbe letto con un tono alto. Le
voyage ha una fortuna strepitosa, lo conoscono tutti.
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Nella rivista di Marinetti si trovano varie riscritture del
tempo, alcune anche per omaggiare il direttore di
poesia (Marinetti) come quella di Libero Altomare
(una brutta poesia), che offre in omaggio a Marinetti e
viene pubblicata nella rivista. Già nell’ esergo dell’
“APOCALISSE” c’è una citazione di Baudelaire.
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Vengono evocati i pagliacci, la noia (spleen) >
ribellione rispetto alla gravosa realtà. Il tono è
futurista e sono tutte esortazioni. “Grava”, come un
coperchio > spleen. Il futuro vede e osserva la
distruzione e la tavola rasa verso il mondo e si
domanda chi raccoglierà le briciole quando tutto sarà
distrutto >> postura violenta, tavola rasa, bruciare
tutto, si ricomincia dalle macerie. Il grido “rinnovate” in
contrasto con l’ esergo ricorda “le voyage”.
Un altro poeta Federico di Maria pubblica un altro testo poetico intitolato IL NUOVO >
la noia è lo spleen qualcosa per liberare da questa condizione (anche un dolore, un
delitto). Nel viaggio avevamo il mondo come un'oasi di orrore dentro un deserto di noia,
qui l’ universo è la terribile immagine della noia. Visibili anche i temi di Baudelairiani e
Pascoliani > la terra che gira come una trottola (finale del Bolide, terra che rotola senza
una meta).
CORRISPONDENZE
La Natura è un tempio ove pilastri viventi lasciano sfuggire a tratti confuse parole; l'uomo vi attraversa foreste di simboli, che
l'osservano con sguardi familiari.
Come lunghi echi che da lungi si confondono in una tenebrosa e profonda unità, vasta come la notte e il chiarore del giorno, profumi,
colori e suoni si rispondono.
Vi sono profumi freschi come carni di bimbo, dolci come oboi, verdi come prati - altri, corrotti, ricchi e trionfanti,
che posseggono il respiro delle cose infinite: come l'ambra, il muschio, il benzoino e l'incenso; e cantano i moti dell'anima e dei sensi
Il sonetto “Voyelle” di Rimbaud è tenuto in considerazione dai futuristi in riferimento al processo analogico. Il
violetto finale del testo di Soffici, ricorda il finale del sonetto di Rimbaud (come abbiamo detto, prima viene il
manifesto e poi viene la poetica).
Un altro testo precedente che permette un’ ESERCITAZIONE ASSOCIATIVA sul colore è quello di GOVONI: il
freddo, la purezza, l’eden. Il finale ha una chiusura macabra e crea un ponte verso la scapigliatura > Govoni
anticipa l'operazione di Soffici in merito alle associazioni per colore.
Voto. Polo dei sensi freddi. Assenza. Bianchi lenzuoli funebri macchiati
Convento di biancore. Esaltazione. che coprono lasciando fuori i piedi
Estasi a mani giunte. Devozione cadaveri d’amanti suicidati.
La flora futurista
Testo del 1924 > estensione cronologica del futurismo attraverso la Prima
Guerra Mondiale (Marinetti scrive fino agli anni 40). C’è un' ampia quantità di
teorizzazione dei manifesti rispetto alla pochezza della produzione
poetica. Tanti manifesti poche opere che teorizzano e discutono di questioni
SECONDARIE (es. come sono i fiori futuristi, discutere com’è la flora futurista
> proposito provocatorio dell’avanguardia)
Teorizzano come deve essere la flora, rigetto della
natura, deve essere di PLASTICA > quid
dell'avanguardia > w la tecnologia. Esaltazione del
legame tra la forma, il colore e il suono. Rifiuto
dell'elemento naturale, classico e puro della
poesia tradizionale.
Per esame: Esempio di analisi di un testo futurista sulla base del testo Simultaneità e chimismi lirici di Ardengo
Soffici
Il testo mette in pagina la connotazione futurista dell’equivalenza tra profumi, colori e suoni attraverso un
esercizio analogico in cui Soffici associa a un colore, un'immagine ed eventualmente a un profumo o a un
senso. Rosso profumo elettrico con associazione tra colore, odore e sensazioni di altro tipo o evocazioni di
luminosità (arancione). L’antecedente diretto di questo testo sono le vocali di Rimbaud. Il testo dipende dal
Manifesto Tecnico della Letteratura Futurista in relazione alle parole in libertà, al procedimento analogico e le
associazioni tra elementi distanti vengono utilizzate apertamente.
Il futurismo è un movimento di avanguardia fondato da Filippo Tommaso Marinetti nel 1909, si parte dalla
stesura di manifesti tecnici a partire dai quali la produzione poetica viene realizzata. Tra i suoi rappresentanti
abbiamo l’autore di questo testo Soffici, ma anche Corrado Govoni e Aldo Palazzeschi.
TEMI PRINCIPALI:
- Riferimenti analogici dal simbolismo
- Parole in libertà
- Corrispondenze
- unione tra le arti > visivo e scritto
- teorizzazione dell’arte totale > profumi, colori e suoni
ARDENGO SOFFICI
Inizialmente estraneo è estraneo al FUTURISMO, poi dopo la scazzottata a Firenze si avvicina.
Sulla rivista “la Voce” (importante per la letteratura italiana e aperta a letteratura straniera) viene recensita
malamente una mostra futurista che si era svolta a Milano.
I vociani tra cui Soffici, discutono di ciò che accade all’ estero rispetto alle opere futuristiche che rifiutano
simbolisti francesi. C’è una rissa tremenda > mediazione di Palazzeschi e i due gruppi si affiancano e trovano
dei punti di contatto dove lavorare assieme. Fondazione di una rivista intitolata Lacerba (1913-1914)
Da un lato ci sono i vociani e dall’ altro i futuristi e Soffici diventa il direttore di Lacerba.
L’ESPRESSIONISMO
Attorno a quei due gruppi ci sono i POETI INDIPENDENTI dal punto di vista della poetica ma catalogati come
vociani come CAMILLO SBARBARO e Dino Campana.
La categoria di espressionismo, senz’altro adeguata ai vociani più tipici, rende conto solo in parte della lirica di
autori come Campana e Sbarbaro, vissuti ai margini dell’esperienza della Voce, ma tra i più importanti poeti di
inizio secolo.
IL FRAMMENTISMO
Tendenza a comporre i testi per brevi 'frammenti', espressione di pensieri folgoranti, di intuizioni liriche o di
riflessioni ricondotte alla misura dell'aforisma. Questo tipo di scrittura aveva il suo antecedente nella poesia
francese dell'Ottocento > Rimbaud, Baudelaire > fusione di prosa e poesia denominato poema in prosa (in
francese poème en prose). Attraverso una prosa attenta ai valori fonici e ritmici, mirava a superare i limiti
convenzionali delle arti, puntando a ottenere significati (e poi simboli) inediti. Questi aspetti sono presenti
negli scrittori legati alla rivista «La Voce», e in poeti e prosatori come Dino Campana o Camillo Sbarbaro. Più
avanti, soprattutto in Italia, si impiegherà anche l'espressione prosa d'arte, per indicare una prosa curata e
attenta agli aspetti linguistici e stilistici derivati dalla tradizione.
DINO CAMPANA
Campana guadagna subito fama di poeta maledetto in virtù di una biografia travagliata (fu internato). Come
Ungaretti egli crede (a differenza di tanti suoi contemporanei legati all'avanguardia), egli crede profondamente
nella autenticità e nella forza della poesia, nella sua capacità di esprimere in ogni tempo significati assoluti,
universali, al di sopra di qualsiasi contingenza storica e sociale. Da qui il connettersi di Campana a una
concezione mistica della letteratura. Canti orfici (1914) è il titolo del suo unico canzoniere > impiego di una
figuralità effusiva e ipnotica, basata su procedimenti stilistici di ripetizione e intensificazione ritmica, oltre
che su accensioni metaforiche che rinviano ai simbolisti francesi.
La base decadente della cultura e dello stile di Campana risulta da una potente e personale visionarietà, dal
plurilinguismo (dal registro aulico al grido popolaresco alla balbuzie) e culmina in immagini vivide e violente
come in Genova, l'intenso poema che chiude i Canti orfici.
La scrittura di Campana si pone come esempio di una lirica capace di mescolare un repertorio ampiamente
ottocentesco (memore non solo di d'Annunzio, ma anche di Carducci), con figurazioni legate all'immaginario
futurista (pittorico e letterario).
Tuttavia c’è qualcosa che ci può svegliare da questo sonno da sonnambuli >> UN'APPARIZIONE,
un'epifania > uno squarcio di luce nel grigiore dell’esistenza. Più avanti nel libro di poesia Sbarbaro riprende
l’incipit (discorso che prosegue nella raccolta) e finalmente in questo io (che non ha né dolore né gioia e sta
nella neutralità del sonno) avviene qualcosa: un INCONTRO per le vie della città > testo in relazione con à
une passante
Apparizione luminosa femminile che colpisce il Flaneur e che promette possibilità di amore e di gloria
destinata a sparire. Risvegliare l’io dallo stato di atonia. (riferimenti: Tu mi cammini innanzi lenta come una
regina, in Baudelaire era maestosa >> filo conduttore sono due sconosciute).
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Sbarbaro è affiliato al gruppo Voce, attento all’ estero (Baudelaire), che fa ripiegamento in se stesso e atonia
vitale, il suo quid parla in pianissimo, poeta da città ma diverso da futuristi, poesia che guarda ai sentimenti
e non può che rivelarsi a se stesso come un sonnambulo, realtà non è altro che realtà, poesia per cui
l’unica possibilità di risveglio è data dall’apparizione improvvisa, elemento di shock che si rivela.
Adolescente Vincenzo Cardarelli non c’è all’esame
Su te, vergine adolescente, sopporta la sua pienezza. Qualcuno che non lo saprà,
sta come un'ombra sacra. Nel sangue, che ha diffusioni un pescatore di spugne,
Nulla è più misterioso di fiamma sulla tua faccia, avrà questa perla rara.
e adorabile e proprio il cosmo fa le sue risa Gli sarà grazia e fortuna
della tua carne spogliata. come nell'occhio nero della rondine. il non averti cercata
Ma ti recludi nell'attenta veste La tua pupilla è bruciata e non sapere chi sei
e abiti lontano dal sole che dentro vi sta. e non poterti godere
con la tua grazia La tua bocca è serrata. con la sottile coscienza
dove non sai chi ti raggiungerà. Non sanno le mani tue bianche che offende il geloso Iddio.
Certo non io. Se ti veggo passare il sudore umiliante dei contatti. Oh sì, l'animale sarà
a tanta regale distanza, E penso come il tuo corpo abbastanza ignaro
con la chioma sciolta difficoltoso e vago per non morire prima di toccarti.
e tutta la persona astata, fa disperare l'amore E tutto è così.
la vertigine mi si porta via. nel cuor dell'uomo! Tu anche non sai chi sei.
Sei l'imporosa e liscia creatura E prendere ti lascerai,
cui preme nel suo respiro Pure qualcuno ti disfiorerà, ma per vedere come il gioco è fatto,
l'oscuro gaudio della carne che appena bocca di sorgiva.
per ridere un poco insieme. tanta gioia! non il cauto volere che indugia.
Come fiamma si perde nella luce, Tu ti darai, tu ti perderai, Così la fanciullezza
al tocco della realtà per il capriccio che non indovina fa ruzzolare il mondo
i misteri che tu prometti mai, col primo che ti piacerà. e il saggio non è che un fanciullo
si disciolgono in nulla. Ama il tempo lo scherzo che si duole di essere cresciuto.
Inconsumata passerà che lo seconda,
Il testo di Cardarelli, del 1922 è famoso per la prosa tentativo di riportare la tradizione della poesia, rinnovare
attraverso la tradizione e non scontrarsi con essa).
Questo è il suo primo testo poetico (poesie sparse) ed è un testo dedicato all’adolescenza femminile,
guardata da distanza e da un occhio che ha già passato quel periodo contraddistinto da bellezza
inconsapevole e che si lascia vivere in modo istintivo. In adolescenza succede una cosa che è un
passaggio di vita, il primo amore e nello specifico la prima volta di un adolescente. Un passaggio di vita
vissuto in modo inconsapevole, è un istinto e descrive la ragazza come una figura luminosa, eterea e pura.
Il desiderio di puro appena si tocca è contaminato. Delicatezza che la fa desiderare ma è come una rosa
appena si sfiora appassisce >> poi arriva la consapevolezza e non si è più innocenti.
Contrasto tra chi si rende conto dell'unicità e sta distante per rispetto e l'istinto di uno inconsapevole, la sua
scoperta non è emotivamente forte rispetto allo sguardo del poeta che tende al divino e che rende alto il piano
di realtà. Il poeta ha pudore di entrare in contatto con qualcosa di così fragile. Il tempo ama colui che è
capace di coglierlo, leggerezza con cui si affronta la vita, non il desiderio che non si realizza mai. La
fanciullezza manda avanti il mondo lo fa quasi precipitare e il saggio è un fanciullo che indugia per troppa
immaginazione, poco istinto e si duole di non essere più un ragazzo.
GIUSEPPE UNGARETTI
La guerra condiziona la vita e la poesia di Ungaretti (la maggior parte dei testi sono scritti nel suo periodo in
guerra). La sua produzione poetica si divide nel Il Porto sepolto (1° fase) e in Allegria di Naufragi.
Egli nasce ad Alessandria d’Egitto da genitori di origine lucchese emigrati in Africa nel 1888 e muore nel 1970,
è un poeta diverso in se stesso. Trascorre una giovinezza cosmopolita, spesa tra Africa ed Europa, che gli
permette di conoscere culture e lingue diverse:
Non nasce in Italia, poi si trasferisce in Francia, l’orizzonte culturale per diletto. Ungaretti si forma in Francia e
assorbe le novità della letteratura francese come Baudelaire, Mallarmé e anche conoscenze personali
come il personaggio di Moammed Sceab, rientra poi in Italia, fa il docente a Roma e infine va a svolgere i suoi
insegnamenti in Brasile. In tarda età, vicino alla pensione, rientra in Italia e muore a Milano.
Allo scoppio della prima guerra mondiale, Ungaretti, interventista, si arruola nell'esercito come volontario: è sul
fronte del Carso, dove combatté come soldato di fanteria, qui nascono i versi del Porto sepolto, primo nucleo
dell'Allegria.
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La scrittura poetica di Ungaretti è di centrale importanza per la storia della lirica italiana della prima metà
del Novecento, può essere ripartita in due fasi:
- l'ALLEGRIA, il libro d'esordio > I nuclei dell’Allegria sono: Porto Sepolto, Allegria di naufragi e
Allegria.
Alla base di tutta questa produzione sta l’esperienza biografica della prima guerra mondiale. L'Allegria è legata
alle fasi del combattimento e alla minaccia incombente della morte sulla condizione concreta dell'io lirico,
che si rappresenta come soldato in mezzo ad altri soldati, fuori da ogni finzione o artificio letterario.
Il rifarsi alle circostanze belliche permette a Ungaretti di esprimere con efficacia quell'inquietudine profonda
che appartiene a tutto il periodo storico, in virtù di precise ragioni sociali e culturali: avviene così che lo
sradicamento e il disagio del poeta di inizio Novecento possano incarnarsi nella sofferenza del fante
dimenticato in trincea.
La storia dell'anonimo soldato immerso nel fango e costretto a combattere contro un nemico senza nome vale
anche come allegoria di una condizione intersoggettiva, una drammatica allegoria dell'esistenza
umana, fuori dal tempo e dalla storia. Secondo Ungaretti, infatti, la voce di quel singolo individuo che è il
poeta, portata a un estremo di purezza e di intensità, si mostra capace di esprimere qualcosa di più di
una mera espressione soggettiva; essa rappresenta in effetti «un grido unanime», ossia un'istanza
collettiva, un messaggio universale. Il racconto della guerra di trincea funziona come pretesto narrativo per
comunicare in forma tragica sentimenti assoluti: la precarietà e la fragilità degli esseri umani a contatto con
la presenza incombente della morte; ma anche la persistenza della vita, la cui energia affiora sia nello
spettacolo della natura, sia nella pronuncia di valori universalmente umani come la solidarietà, l'innocenza,
la religiosità. Di fronte alla distruzione e al dolore prodotti dagli eventi bellici l'io lirico riesce a cogliere per il
nucleo essenziale della propria esistenza: l'Allegria allude proprio al gioioso stupore del sopravvivere nel
naufragio della guerra, all'esaltante scoperta di schegge della propria identità ritrovata a contatto col buio
dell'annullamento più totale.
Le pagine dell'Allegria esibiscono una estrema novità di impaginazione > impiego di «versicoli» e le rime
perdono di frequenza e valore mentre acquistano importanza le pause, i prolungati silenzi e il potere
evocativo dello scarno linguaggio impiegato.
1. I MODELLI DI UNGARETTI
Porto sepolto si apre in una MEMORIA di un suo amico che non c'entra con l'esperienza bellica, ma con
l’esperienza francese > egli viene ricordato perché morto suicida.
Lo stile è denso, una delle caratteristiche è che ogni testo è accompagnato da indicazione del luogo e data
di composizione del testo medesimo.
L’amico fu un compagno di studio e di formazione durante i suoi studi francesi > egli si sente un NOMADE
espatriato dal luogo di origine, non sente di avere una casa propria come lo stesso Ungaretti.
I due studiano assieme e prediligono dei fari come modelli letterari:
● Leopardi e Mallarmé > Ungaretti
● Baudelaire e Nietzsche > Sceab
Il testo in memoria parla anche dell’eredità culturale, inoltre c’è il rimando al suo periodo di vita di Ungaretti
dove ha fatto di queste letture i suoi maestri > TESTO DI METAPOETICA
La poesia si essenzializza per dare maggiore peso alle parole, anche lo spazio bianco ha significato ed
esalta il valore evocativo della parola.
La parola dei futuristi non significa nulla, mentre Ungaretti si impegna a una parola che da significato, ma
Ungaretti viene dopo e il suo scrivere a versi e in modo svincolato dalla forma deve qualcosa all’ avanguardia
italiana (non si scrivono più sonetti, canzoni…). Lo schiaffo alla tradizione dei futuristi, quei manifesti e libertà
presa, lascia in eredità qualcosa al 900. Ungaretti può scegliere se essere tradizionale o qualcosa d’altro,
(entro 1910, entro fine 800, la scelta non c’era) uso di una parola che vuol dire qualcosa e che si occupa
dell’umano.
IN MEMORIA
Si chiamava Fu Marcel sciogliere
Moammed Sceab ma non era Francese il canto
Discendente e non sapeva più del suo abbandono
di emiri di nomadi vivere L’ho accompagnato
suicida nella tenda dei suoi insieme alla padrona
perché non aveva più dove si ascolta la cantilena dell’albergo
Patria del Corano dove abitavamo
Amò la Francia gustando un caffè a Parigi
e mutò nome E non sapeva
dal numero 5 della rue des nel camposanto d’Ivry di una
Carmes sobborgo che pare decomposta fiera
appassito vicolo in discesa. sempre E forse io solo
Riposa in una giornata so ancora
che visse
In questo testo la parola è condensata nel suo essenziale, ci sono molte ripetizioni per rafforzare il dettato
e sottolineare il concetto ed evoluzione, caratteristiche del potere del silenzio. Gli spazi bianchi hanno la
stessa rilevanza della parola scritta. Una parola che si trova circondata da questo vuoto assume FORZA
EVOCATIVA > una parola è forte perchè è sola. La parola viene isolata > ricerca di Ungaretti, maestro dell’
ERMETISMO evocativo del dettato.
Questo non è un testo di guerra, ma assume un peso decisivo per il libro “Il porto sepolto”.
La parola qui è essenziale, non c’è alcuna estetizzazione alla D'Annunzio, la parola comunica > perdita di
ogni coordinata (si suicida perché non si sente mai a casa). Nonostante i tentativi di adeguarsi al luogo non si
sente francese.
Questo accadeva in periodo di guerra e in trincea dove c’era un senso di spaesamento e di confusione in
un contesto diverso da quello di casa. Appartenenza di una lingua e di un modo di pensiero diverso > non si
capisce la lingua migliore per esprimere un disagio. Infine abbiamo l' immagine della tomba dove riposa
l’amico (fiere tragiche di Baudelaire). Quanto vale una vita umana in un periodo di guerra, quanto vale il
ricordo della vita? Secondo Ungaretti vale. In questo testo egli CELEBRA IL VALORE E NECESSITÀ DEL
RICORDO
Il testo si svolge per via metaforica, un porto sommerso dalle acque > è uno dei primi testi della raccolta e
si trova la classica indicazione idealistica. Ci sono pochi versi, essenzialità della parola, condensazione del
dettato >> la parola è portatrice di significato
Il testo incarna bene l’ermetismo ungarettiano, l’immagine metaforica non è chiara.
SIGNIFICATO> il poeta arriva in un porto sommerso e poi riemerge con dei canti, dei versi, con della
conoscenza, con delle immagini significative che viene dispersa, regalata a chi sta in superficie.
Questa è la concezione di Ungaretti della poesia.
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La poesia contiene qualcosa che si trova solo nel porto, luogo oscuro e inaccessibile, da cui si può estrarre
qualcosa e dove il significato profondo si perde > non si può comprendere del tutto
Con la sola forza del linguaggio non si può al 100% svelare il SEGRETO, si prova a scavare nel porto sepolto
che è il luogo con un segreto indicibile e inesauribile .
SPIEGAZIONE TITOLO > idea che la presenza di un segno, di una certezza e la prova perduta per sempre. Il
porto rappresenta una sicurezza, è una certificazione di certezza, è una garanzia ma è irraggiungibile.
Rappresenta un origine, un po’ oscura di esistenza, di un senso, qualcosa che quando emerge perde quel
segreto. Non è indicibile fino in fondo.
(dal commento di Carlo Ossola a G. Ungaretti, Il porto sepolto, Marsilio, Venezia 2020)
Se poi, dal referente esplicito, si vuole ricavare la sottesa funzione simbolica, non mancherà anche qui di precisare lo stesso Ungaretti:
«IL PORTO SEPOLTO. Il porto sepolto è ciò che di segreto rimane in noi indecifrabile» […]. Ma la poesia eponima si incarica
soprattutto di ripetere il gesto primordiale della quête poetica, la discesa agli inferi, la prova d'Orfeo, il topos già virgiliano e
dantesco, - più recentemente, la tentazione d'«abisso» di Baudelaire e di Nietzsche, l'equivalenza anzi di «parola e «abisso» stabilita
dal primo e fissata, nella misura dell'aforisma, dal secondo.
Il porto sepolto come una discesa agli inferi > nucleo originario di senso dal quale si prova a trovare fuori un
senso.
Secondo Ungaretti la parola è impotente, non si è mai contenti di come ci si esprime, non si può spiegare il
segreto ma la parola avvicina. Un tentativo attraverso una parola impotente di avvicinarsi a una parola
potente a un quid di senso umano. Tentativo di rilevare un significato profondo della vita, esperienza bellica
che si prende da quella esperienza.Carlo Ossola parla di discesa agli inferi per fini di conoscenza (come
Baudelaire) > qui si parla di una tentazione di abisso (Baudelaire e Nietzsche) perchè la parola scava
all'interno di profondità umane, di realtà per dare una risposta e un significato. Anche Nietzsche condensa
la parola e vuole dare precetti all'interno della forma dell'aforisma. Anche nel porto sepolto c’è un rimando a
un topos > sprofondare e ricerca della profondità
Se i futuristi si danno delle regole su come si fa poesia > tentativo di dare una parola nuova, i veri Grandi
rispondono in modo diverso per dare la parola di senso in un mondo in cui il senso non si trova più.
La tradizione è saltata perché sono tutti versi liberi, non ci sono sonetti o canzoni, non ci sono endecasillabi >
la tradizione non c’è ma c’è un modo diverso di rispondere a una necessità di rinnovamento. La raccolta “il
porto sepolto” è una DICHIARAZIONE DI UMANITÀ, cos’è l’ essere umano in una situazione di massacro.
Dino Campana, dai Canti orfici (1914) e Arthur Rimbaud, Una stagione all’inferno (1873) tematizzano le idee
del poeta che scava in profondità in un baratro buio che sta sotto un pendio per vedere cosa c’è al di la
DINO CAMPANA > è un poeta che passa la sua vita in manicomio e viaggia tanto. La raccolta Canti orfici, è
un prosimetro, metà prosa e metà poesia. La prima sezione dei canti è intitolata “La notte” e da un lato ci
sono i canti e dall'altro Orfeo (orfismo lirico) > ricerca di verità di una parola. Si sente realizzato, ha finito il
libro della vita ma gli perdono il manoscritto e lui lo deve riscrivere. La sua è una prosa onirica, evocativa,
dietro c’è il simbolismo, opera come un discorso a cascata dove racconta anche dei bordelli (luogo sacro) >
tema del femminile come elemento sacrale.
Dipinge la fanciullezza come una ricerca intenzionata a dire il segreto delle stelle, il poeta osserva l’abisso da
sotto di sé > impossibilità della parola (= come poesia di Ungaretti).
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Campana è associato come il Rimbaud italiano per la sua disposizione al viaggio, alla fuga e alla ricerca
dell’al di là. Rimbaud era definito fanciullo dalle suole di vento, come Hermes e di rimanere giovane.
Il suo compagno è Verlaine > colui che ha coniato la definizione di poeti maledetti > i due hanno una
relazione folle. I testi dei due autori (RImbaud e Campana) sono simili.
“Fu dapprima uno studio. Scrivevo dei silenzi, delle notti, annotavo l’inesprimibile. Fissavo vertigini”
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L’insieme degli elementi di realtà distruggono la capacità del poeta, ci sono troppe cose da dire e da fare >
postura prepotente giovanile. Tentativo di fare poesia come se si trattasse di un incantesimo > immediato
riferimento al tentativo di rendere evocativa la parola poetica con gioco di contrasti quasi alchemico >
elementi diversi che reagiscono tra di loro, si cerca la purezza totale che ci da un prodotto diverso.
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Compito del poeta è quello di realizzare un linguaggio poetico accessibile a tutti i sensi, un linguaggio che
tenga insieme tutto l'umano e le nostre sensazioni (4 sensi), qualcosa che restituisca la realtà per un tramite di
senso.
Della poesia resta la parola impotente, l’inesprimibile, provare a dire qualcosa che non si può dire con la
parola comune che deve avere l’elemento alchemico da incantesimo, questa è la ricerca. Idea che dentro quel
mistero ci sia una GRANDE VERTIGINE che fa precipitare in basso.
Altra definizione di Rimbaud è quella di POETA VEGGENTE > il poeta per eccellenza è colui che giunge
all’ignoto perché ha coltivato la sua anima > giunge all’ignoto. La lingua del poeta veggente è una lingua per
l'anima, non per la logica e l’intelletto ma per qualcosa che risponde ad altre leggi.
C’è un riferimento alla tragedia della guerra e ricerca della parola precisa > ricerca della parola definitiva,
della parola adatta, l’aggettivo perfetto è DISANIMATA >> come una vita che si svolge al fronte e che perde
la sua funzione vitale. Una morte che si sconta giorno dopo giorno in vita.
4. IL DIARISMO
PELLEGRINAGGIO
In agguato Ungaretti
in queste budella uomo di pena
di macerie ti basta un'illusione
ore e ore per farti coraggio
ho strascicato
la mia carcassa Un riflettore
usata dal fango di là
come una suola mette un mare
o come un seme nella nebbia
di spinalba
Valloncello dell’albero isolato il 16 agosto 1916
Il testo è dedicato alla trincea
la prima parte è ragionativa > la morte in vita, l’ ultima è immagine > il riflettore fa luce sulla nebbia e si vede
uno schermo bianco perché la luce non passa nella nebbia come un mare bianco. Ungaretti nella parte
centrale > scrive il proprio cognome e ci dialoga all'interno del libro.
Ungaretti è stato il primo a parlare con se stesso e si definisce un uomo di pena
Un altro poeta che si richiama nella poesia è Vittorio Sereni, che conosceva Ungaretti. Egli si arruola e viene
stanziato in Africa, in Algeria. Appena arriva viene catturato dai nemici e viene stipato in un accampamento
per prigionieri di guerra fino alla fine del conflitto. Questo è il suo TRAUMA > uomo che si dedica attivamente
a una causa, crede di poter fare qualcosa e si trova impossibilitato a farlo. Il poeta si definisce sempre in
ritardo > altro tipo di morte in vita. La raccolta è dedicata al periodo di prigionia
L’ultimo verso è endecasillabo, presenza di riferimenti sullo strazio della guerra > appello alla propria patria
Europa che insegue la stessa sua causa >> mito della guerra che non compirà mai. Come Ungaretti, anche
Sereni segna il luogo e la data del componimento.
Fortini polemizza Sereni sull’idea di inseguire un sogno che non si può concretizzare > riferimento a un suo
esile mito. Fortini riprende per fare dell’ironia. Ungaretti si nomina come “uomo di pena”, mentre Sereni “Sereni
esile mito” in “Un posto di vacanza”, dove Sereni risponde a Fortini. Entrambi si AUTO CITANO
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Sereni è in vacanza a Bocca di Magra (dove i poeti si riunivano), poi gli arriva un foglietto portato dal vento >
fa una risposta non risposta a Fortini. Non risponde alla provocazione, perché la verità non si può trovare
pienamente nella parola, la parola è impotente, ma attraverso lo scavo si può ancora provare a farlo.
UMBERTO SABA
All’inizio della sua esperienza poetica Saba sceglie la TRADIZIONE (appare arretrato), il modello principale è
Leopardi, in virtù di un caso biografico.
Nasce nel 1883 a Trieste, a quel tempo la città non faceva parte dell'Italia, ma dell'impero austro-ungarico
(solo dopo la fine della 1° guerra mondiale Trieste va all’Italia). Per Saba significava abitare in un luogo un po’
fuori dal mondo caratterizzato anche dalla presenza di religioni ed etnie diverse, un esempio era: sua madre
era ebraica, mentre il padre era cattolico.
La vicenda familiare condiziona la sua produzione. Poco dopo la sua nascita il padre abbandona la madre
e lei era una figura molto severa. Saba piccolo viene affidato a una balia, la donna svolge la funzione di
compensazione dell’affetto e della figura materna.
Il Trauma di Saba si riassume in:
- mancato autoriconoscimento nella religione (religioni diverse in famiglia), nell’etnia e nella nazionalità
(ha passaporto italiano, ma Trieste non è italiana)
- mancanza di coordinate,
- mancanza della figura paterna che provocano sofferenza e abbandono
- Anaffettività della madre e sostituzione della figura materna con la balia
La poesia di Saba è condizionata dal TRAUMA > è piena di lapsus ed è studiata dalla critica attraverso la
lente della PSICOANALISI. Saba è consapevole di questo, entra in analisi con Edoardo Weiss, studia Freud
e sa cos’è la lettura psicanalitica di un soggetto.
Le figure famigliari sono alla base della sua poesia, si trasferisce a Firenze, si sposa da giovane con Carolina
(detta Lina nel Canzoniere) e ha una figlia Linuccia.
Viene accolto freddamente dalla critica e viene anche stroncato sulla La Voce perché appare arretrato e
legato ai modelli tradizionali di Leopardi e Petrarca.
L’ arretratezza del poeta triestino rispetto ai contemporanei e la dipendenza dai classici che porta a un lirica
classicheggiante, non piace agli stessi triestini (fa una cattiva pubblicità a Trieste). Inoltre non riesce subito ad
imporsi negli ambienti letterari, viene anche scambiato come un poeta crepuscolare (parla dell’ambiente di
casa, delle piccole cose, di quadri paesaggistici). E in più Saba non sopporta Gozzano, la madre di Saba si
chiama Felicita.
Il libro di poesia di Saba è il “Il Canzoniere” (1921), libro che si forma nell'arco di decenni, è il libro della vita.
Una raccolta delle sue pubblicazioni che viene edita e inedita numerose volte. A ogni volta il libro di accresce e
il finale raccoglie l'intera produzione lirica di Saba. Il volume rispecchia i vari periodi della vita e della
poetica di Saba. Inoltre il titolo è eloquente > il padre è Petrarca e il libro nasce sotto il suo segno.
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Saba crede che questo libro lasci un eredità ai posteri e successivamente pensa sia necessario un commento
alla raccolta. Sotto pseudonimo (Giuseppe Carimandrei come se stesse scrivendo una tesi di laurea)
commenta se stesso, scrive un lungo saggio (anni ‘50) che si svolge a modo tale (nel 900 si avvia la pratica
dell'auto commento) intitolato “STORIA E CRONISTORIA DEL CANZONIERE”.
Saba ha un grande ego e forte personalità:
Qui Saba scrive a Sereni (Sereni è un po l’allievo di Saba, lui gli corregge i testi) dicendo che con questo libro
(fa riferimento al suo libro commento > commento alla sua stessa lirica) egli rivela qualcosa e lascia un
eredità ai posteri.
Nel Canzoniere viene da Freud l’aspetto psicanalitico di fondo mentre da Nietzsche Saba trae lo stile aforistico
pronto alla leggerezza, all’ironia ma anche alla critica delle convenzioni morali.
Qui Saba parla del suo commento al Canzoniere. Trieste dal punto di vista letterario è fortemente attaccata
alla tradizione, qui non sono arrivati i simbolisti francesi. Saba fa poesia senza portarsi dietro il modello
Baudleriano, è una poesia più libera. Mancando di questa rivoluzione è letta come una poesia arretrata e
periferica
Il testo che ha fatto la poesia di Saba e più rappresentativo per la sua poetica, si trova nella raccolta “Da Casa
e campagna” (1910) ed è “A mia moglie”. Saba paragona la moglie ad una serie di animali (non i gatti sinuosi
di Baudelaire e non una sfinge dei simbolisti), ma ad animali di campagna con un atteggiamento che ai lettori
colpisce. Il testo trasuda di tenerezza ed è un’ omaggio al femminile “amoroso”. Saba dedica molti testi
anche alla fanciullezza amschile (aveva avuto relazioni con uomini quando era sposato), atleticità
irrecuperabile della vita. Era un poeta controverso > Rapporto con il femminile è controverso
Casa e Campagna è una raccolta dedicata in gran parte alla celebrazione della moglie (che tende ad
ereditare alcuni caratteri materni).
Il testo è semplice, lessicalmente piano, il tono è medio, non è un testo viziato da estetismi e si struttura
attraverso il gioco di somiglianza e accostamenti. La moglie è come una GALLINA, una giovenca (mucca),
una cagna, una coniglia, una rondine >> le femmine di tutti i sereni animali che avvicinano a Dio; e in
nessun’altra donna (no Venere> animali di campagna in una scena e quadri di campana e familiari).
La poesia ha il compito di individuare contenuti di verità e di fare chiarezza nel caos interiore e il critico Mario
Lavagetto resta colpito dal testo, il quale viene invece accolto male dalla critica. È un testo particolare,
Lavagetto si domanda a cosa pensava Saba quando scrisse questo testo e fa il punto di come funziona la
poesia di Saba.
Mario Lavagetto, La gallina di Saba
“La pollastra, la giovenca, la cagna, la coniglia, la rondine, la formica e la mentre in un secondo tempo la serie si sarebbe organizzata di nuovo in base
pecchia, «tutte le femmine di tutti i sereni animali» si sgranano davanti a noi, alla «gerarchia» dell’inconscio. […]
realizzando il miracolo della mutevole identità di Lina, che costituisce il perno Un altro passo di Storia e cronistoria ci fornisce invece una indicazione molto
della poesia […]. Ma se questa è la struttura apparente, una struttura che si preziosa, abbandonata in una incidentale e quasi sottratta intenzionalmente
lascia riconoscere appena guardiamo con attenzione e che ha valore di una allo sguardo: Saba ancora una volta sembra divertirsi a metterci fuori strada o
garanzia, resta nondimeno un punto buio: se Lina costituisce il polo fisso, il a disorientarci con le sue segnalazioni contraddittorie. […]
primo termine immutabile di ognuna delle similitudini che si succedono nel “Emilio Cecchi osservò, a proposito di “Via della Pietà”, l’eccessiva […]
corso della poesia, deve senz’altro esistere una parentela anche tra le figure in aderenza di Saba alle cose. L’osservazione aveva qualcosa di vero; ma poi si
cui la donna viene riconosciuta e rappresentata. rivelò che il “peccato” faceva corpo con quella totale accettazione della vita,
Ci troviamo di fronte a una «serie», ma il filo ci sfugge, ci manca il guardata ed accolta interamente, che la nuova critica (Solmi, Varese ed altri)
denominatore capace di decifrarla: né sappiamo per ora dove cercarlo; mise in luce nell’opera del Nostro. Via della Pietà era una via adiacente
possiamo soltanto, cedendo a una indicazione di Saba, pensare che il contatto all’ospitale; furono la presenza della malattia e della morte, i “cerei sinistri
sia reperibile in profondità, magari a livelli originariamente inconsci. «Un odori” che uscivano dalla cappella dei morti, ad ispirare a Saba i versi
pomeriggio d’estate mia moglie era uscita per recarsi in città. Rimasto solo, incriminati: “l’eterno addio alle cose di cui temo – perdere solo un’ora”. Ma a
sedetti, ad attenderne il ritorno, sui gradini della scala che conduceva al quell’eterno addio egli non poteva pensare perché, presso alla porta della
solaio. Non avevo voglia di leggere; a tutto pensavo fuori che a scrivere una cappella, RASPAVA UNA GALLINA (LA GALLINA FU QUASI
poesia. Ma una cagna, la “lunga cagna” della terza strofa, mi si fece vicino, e L’ANIMALE SACRO DI SABA):
mi pose il muso sulle ginocchia, guardandomi con occhi nei quali si leggeva La gallinella che ancor qui si duole
tanta dolcezza e tanta ferocia. Quando, poche ore dopo, mia moglie ritornò a e raspa presso alla porta funesta,
casa, la poesia era fatta» […] mi fa vedere dietro alla sua cresta
Ma se nella realtà è la cagna a determinare la scintilla, come mai nel testo la tutta una fattoria piena di sole.”»
teoria degli animali viene ripolarizzata sulla «giovane e bianca pollastra»? Ci interessa soprattutto mettere in rilievo che la gallina è l’animale sacro di
Perché si è verificato questo spostamento? Volendo sfruttare al massimo Saba. Dovremo ritornare a lungo su questa definizione e servircene come di
l’ambigua licenza fornita da Saba e chiedendo aiuto alla psicoanalisi, un indizio prezioso. […]
potremmo azzardare che in un primo tempo la cagna serví come lasciapassare,
Spostiamo ancora il nostro campo di indagine nel tentativo di accostare i vari dispera, si rifugia nella sua stanza e scoppia in singhiozzi. Quando la madre lo
materiali perché comincino ad illuminarsi per attrito. C’è un bellissimo raggiunge, cerca di spiegarle il motivo del suo dolore, ma urta contro
racconto di Saba del 1913 che è intitolato «La gallina». Il suo protagonista è l’incomprensione, la stizza, e, ancor peggio, contro l’ammonimento che un
Odone Guasti e che Odone Guasti sia un prestanome di Saba, «in parte ragazzo di quindici anni non gioca piú con le galline.
almeno», stanno a confermarlo le molte coincidenze […]. Odone Guasti «“Chi l’ha ammazzata?” domandò Odone.
lavora anche lui come praticante presso una casa commerciale e anche lui, “Io. Perché mi fai questa domanda?”
ricevuto il primo stipendio, si affretta verso casa con il cuore stretto “Perché credevo che tu non avessi il coraggio di ammazzare i polli”.
dall’emozione. Ad aspettarlo, però, c’è solo sua madre […]. “Quando ero ragazza, – disse la signora Rachele, – non ne avrei ucciso uno
“«Passando verso le due del pomeriggio del giorno seguente per la piazza del nemmeno per cento fiorini. Ma, da quando sono diventata madre, non mi
Ponte Rosso, dove c’era, e c’è ancora, a Trieste il mercato degli uccelli e del fa piú nessun effetto. Quando tu eri convalescente del tifo, con che gusto
pollame vivo, Odone, che era uscito di casa per ritornare al lavoro e tiravo il collo a un pollastro, pensando al buon brodo sostanzioso che
bighellonare un poco, ben deciso a non ritornare in prigione un momento avrebbe procurato a mio figlio”.
prima del necessario, si fermò ad osservare la merce esposta nelle gabbie». Odone tacque, perché sentiva, confusamente ancora, di aver da dire, in
Dapprima la sua attenzione è attirata dagli uccelli, esotici e no, che svolazzano proposito, piú a se stesso che agli altri. Ma da quella sera amò meno,
nelle gabbie e lanciano diversi richiami. Poi il suo sguardo si posa sulle sempre meno, sua madre». […]
galline e il ragazzo ne resta affascinato. «Quando in una passeggiata solitaria Da Freud in poi gli psicoanalisti hanno sempre amato paragonare il proprio
in campagna, in una di quelle passeggiate che hanno, nell’adolescenza, la lavoro a quello di un detective che, servendosi di indizi superficiali e, a prima
durata di una marcia forzata e la solennità di una conquista, gli apparivano vista, inconcludenti, riesce a ricomporre il mosaico di un crimine, a dissolvere
davanti a una casa colonica o tra il verde dei prati creste e bargigli, egli si la dimensione opaca e casuale delle apparenze per portare in luce un’ipotesi
rallegrava a quella vista come di tante pennellate in cui fosse concentrato il strutturata e capace di risolvere la realtà. […]
sentimento del paesaggio».” Ora Saba, che della psicoanalisi era amico, quando si inventa come critico di
“Ma l’amore di Odone non è soltanto estetico, è complicato da un motivo se stesso, si comporta in modo molto ambiguo: tiene una distanza variabile
sentimentale: bambino privo di fratelli e sorelle, aveva giocato con una dalla propria opera; a volte sembra abbondare in spiegazioni, in suggerimenti;
gallina che sua madre aveva comperato «per ucciderla e mangiarla; ma a volte si serve di una segnaletica falsificata o contraddittoria. C’è una sua
tali e tanti erano stati i pianti e le preghiere di Odone che la signora osservazione a proposito dei libri gialli, che può essere trasferita
Rachele aveva infine accondisceso a tenerla viva e libera per la casa, tranquillamente a Storia e cronistoria: «l’indizio rivelatore è sempre dove
come un cane». Da quel giorno Odone ebbe una compagna: la sua infanzia nessuno lo cerca». Ed egli sembra essersi comportato con la stessa malizia del
si aggrappò a quell’animale, vi trovò un sostegno e uno scopo. «Se la faceva ministro di Poe: ha abbandonato la «lettera» sotto gli occhi di tutti, nel punto
“sedere” (appollaiare) accanto, sui gradini che mettevano dalla cucina alla piú imprevedibile, e si è divertito a mettere fuori strada chi tenta di inseguirlo.
camera da pranzo, gradini di mattoni, che il tramonto arrossava stranamente e Abbiamo precedentemente ricostruito i fatti avventurandoci per la prima volta
gli ricordavano quelli dell’antipurgatorio, come li aveva veduti raffigurati in nel bestiario di Saba: la gallina e la cagna sono entrate in gioco e hanno
un’immagine sacra». E sulle soglie del Purgatorio Odone parla alla sua ruotato di fronte ai nostri occhi in una larga costellazione zoologica,
gallina, le confida i suoi progetti, inventa storie, viaggi meravigliosi, vive gravitante intorno all’astro di Lina. Ma l’osservazione decisiva, che ci ha
nel Paradiso terrestre. messo in stato di allarme, l’abbiamo trovata, secondo le regole del giallo,
Sono passati molti anni, eppure al mercato del bestiame lo prende la nostalgia altrove: abbandonata in un incidentale.
di quel tempo; vuole provare a risuscitarlo con l’aiuto di una di quelle galline. Al mercato, davanti alla gabbia dei polli, Odone cede ad una tentazione
Odone, comprata la gallina, la fa spedire a casa: quando si ritrova in improvvisa e colpevole; acquistando la gallina spera per un istante, con un
ufficio e l’ebbrezza è svanita, capisce che il suo tentativo è vano. Lo atto di magia, di ricostituire il mondo dell’infanzia. Si trova in quel
tormenta la coscienza di avere compiuto un gesto gratuito e vergognoso, delicatissimo momento della vita che è la pubertà: il salto che lo attende è
contro cui sono inutili gli sforzi per convincersi che i soldi sono stati spesi pauroso e suadente nello stesso tempo. […] La madre, prima uccidendo
bene e che un felice ritorno lo attende. Si accorge di avere acquistato una cosa l’animale sacro e poi con le sue parole, si è collocata in una posizione
per un’altra: una gallina appunto, e niente altro. «Sentiva che Cò-Cò era morta ambigua, minacciosa; ha perduto di colpo il suo volto benefico e ha reso
una volta per sempre, e che non si poteva sostituirla con tutte le galline del impossibile l’infanzia.
mondo; che la sua infanzia era morta anch’essa, ed era da stolto volerne far «La poesia fa pensare ad un improvviso ritorno dell’infanzia; un ritorno però
rivivere le dolcezze fuori che nel ricordo; che sua madre aveva già tutti i che non esclude la contemporanea presenza dell’uomo. (Se questa fosse
capelli bianchi, che si stancava sempre piú presto e che forse sarebbe morta mancata, non sarebbe stato Saba, ma Pascoli)» [da Storia e cronistoria del
prima che egli Odone fosse riuscito a farle gustare la promessa agiatezza; che canzoniere].
aveva fatto male a lasciare la scuola per l’impiego; che un errore era stato Certo l’accenno può sembrare rivolto al tono di favola, alla dolcezza delle
commesso nella sua vita, non sapeva dire quale né quando, un errore, un immagini […]; ma le parole, a prenderle nel loro pieno significato, ci portano
peccato che gli angustiava ogni giorno di piú il cuore, e che il fanciullo più avanti. Se la poesia è un ricordo d'infanzia, se su Lina si allunga l’ombra
credeva proprio a lui solo, non sapendo ancora (come troppo bene seppe piú dell’animale sacro, allora la donna è ancora ipotecata, soggetta alla madre
tardi) che quel dolore era il dolore dell’uomo, dell’essere vivente come […]. A questo punto basta rileggere la poesia per accorgersi come l’elemento
individuo; era il dolore che la religione chiama del peccato originale». che unisce le varie immagini e le collega, fa dell’una la silenziosa, progressiva
Lasciato l’ufficio, Odone si affretta a casa, dove trova ad accoglierlo le lodi anticipazione dell’altra, è la maternità. […] Il commento prosegue e non
della madre per il buon uso fatto del denaro. «“Dov’è? – disse. – Fammela lascia dubbi: «Se un bambino potesse sposare e scrivere una poesia per
vedere”. sua moglie, scriverebbe questa». Ma Saba sapeva benissimo (probabilmente
La massaia aperse una porta. Dietro, appesa a un chiodo e già spennata, la lo sapeva da sempre e Freud glielo aveva riconfermato) chi sposerebbe un
gallina, nella sua rigidità di cadavere, gelò il cuore di Odone». Il ragazzo si bambino se fosse libero di farlo.” LA MADRE!!!
➔ Lavagetti fa subito un riassunto del testo > Lina assume molte sembianze animali.
➔ Si interroga sulla parentela tra le figure > cerca il contatto tra gli elementi sia su elementi inconsci
➔ Cita il commento di Saba al suo stesso al testo “A mia moglie”. Saba spiega come è nato il testo, sulla
superficie è tutto semplice. Il moto originario dovrebbe essere la cagna ma il testo inizia con la
gallina.
➔ Il testo viene condensato sulla pollastra > scostamento che si verifica in un'altro animale
(riferimento a Freud c’è qualcosa che non torna, Saba non dice o non si rende conto).
➔ Il fatto di iniziare con la gallina, esalta quella figura e gli viene in mente dall'inconscio
➔ femminile rapportato a una bianca pollastra
➔ Dall'origine della cagna da dove nasce il testo, a livello inconscio le immagini sono RIORDINATE, la
gallina diventa il polo centrale da cui si origina il testo.
➔ Lavagetti inizia a cercare altre tracce dellla gallina nella scrittura di Saba come simbolo e cosa
rappresenta
➔ In una poesia del Canzoniere, Saba mette tra parentesi il riferimento alla gallina > quasi come
nasconderlo
➔ in questo testo “Via della pietà”, Saba parla della via che rappresenta la morte, l’aspetto funebre
cambia completamente perché l’autore vede davanti all'ospedale una gallina che raspa e cambia la
prospettiva
➔ La gallina è vitale e rende gioiosa la scena > Saba si fa scappare un'indicazione interessante > la
Gallina è un animale sacro a Saba. Lavagetto fa caso a questo lapsus.
➔ In un altro racconto intitolato “la Gallina” ci viene dato un altro indizio > Odone è il prestanome di
Saba. Odone vuole spendere il suo primo stipendio, vede al mercato le galline. La gallina gli ispira
serenità e lo FA TORNARE UN PO’ BAMBINO.
➔ La gallina è la compagna dell’infanzia di Odone, vedendo le galline in gabbia lo prende la nostalgia
del tempo passato e vuole una gallina per risuscitare il tempo. Tentativo di evocare l'infanzia e tornare
bambino con la gallina > evocare un mondo passato. Fa spedire la gallina a casa ma si pente
dell’acquisto perché si rende conto che non lo riporterà alla sua infanzia.
➔ Odone si rende conto di non poter resuscitare l'infanzia, sono soldi che doveva spendere per la
famiglia. si era messo a lavorare per far vivere la madre bene durante la vecchiaia
➔ Uscito dall'ufficio va a casa e si aspetta un rimprovero, ma la madre è contenta perché la gallina si
mangia e lei l’ha infatti uccisa
➔ Il finale è la fine infanzia definitiva, ammonimento del materno, un uomo di 15 anni che va a
lavorare non gioca più con le galline, si ritrova una certa CRUDELTÀ DEL MATERNO.
Come se quando si diventa madre si è pronti ad uccidere per il figlio. Vede la madre non come una
presenza rassicurante ed affettiva, ma come una PRESENZA PERICOLOSA E MINACCIOSA.
➔ Lavagetto commenta che quando i poeti parlano di se stessi non c’è sempre da fidarsi e le oscillazioni
non sono casuali > se tace c’è un perchè.
➔ GALLINA:
◆ indizio uno > rivelato in una INCIDENTALE
◆ indizio due > la madre si è collocata in una posizione ambigua e ha reso impossibile
l’infanzia
La gallina è un animale sacro e l’infanzia viene troncata dal materno > ponte tra la figura
dell’animale e la figura della mamma.
➔ A livello inconscio la gallina è a doppio filo legata con l'immagine della madre. Anche la moglie
acquista una valenza materna, l’ identità della madre ricopre quella della moglie, l'elemento che
collega è la MATERNITÀ
➔ Sono immagini regolate ed evocate da un ricordo d’infanzia, ricordo della madre e della maternità.
Ecco perché gli animali sono tutti femmine, perché alludono alla maternità.
➔ testo infantile > sembra scritto da un bambino verso la sua AMATA >>>> ma chi sposerebbe un
bambino se fosse libero di farlo ? > LA MAMMA
Questo è un testo rappresentativo dell’intero libro, è un testo NUCLEO. La poesia è dedicata alla sua
bambina e la sfera dell’infanzia SEMBRA rappresentata. La bambina gioca > atto dell’infanzia per
eccellenza e si rivolge al papà in modo tenero. Poi arriva una cascata di corrispondenze tra la bambina
ed alcuni elementi del mondo > questi elementi sono FANTASMATICI > il fumo che si dissolve nel
cielo, le nuvole si compongono e scompongono, cose leggere e vaganti.
Sono paragoni strani, la bambina la posso toccare, è concreta e come genitore dovrebbe dare prova
della presenza della figlia e assicurarsi della sua esistenza.
La poesia è un gioco di paragone su elementi fantasmatici, di corporeo non c’è nulla.
La schiuma si scioglie, sono cose che vanno e vengono, non c'è niente di tangibile, non c’è una
rassicurazione della presenza.
Tre poesie alla mia balia Il piccolo Berto (1929-1931)
Mia figlia Oh, come in petto per dolcezza il cuore
mi tiene il braccio intorno al collo, ignudo; vien meno!
ed io alla sua carezza m’addormento.
Divento Al seno
legno in mare caduto che sull’onda approdo di colei che Berto ancora
galleggia. E dove alla vicina sponda mi chiama, al primo, all’amoroso seno,
anelo, il flutto mi porta lontano. ai verdi paradisi dell’infanzia.
Oh, come sento che lottare è vano!
La raccolta “Il piccolo Berto” è dedicata allo psicanalista freudiano Edoardo Weiss, in questi testi Saba tenta di
interpretare l’origine e il senso del proprio conflitto psichico.
Berto era il soprannome che la Balia dava a Saba da piccolo. La rievocazione dell’infanzia è un punto
fondamentale della psicoanalisi. L’infanzia è per certi versi un periodo anche OSCURO.
Questo testo è il primo di tre poesie dedicate alla balia. Il trauma di Saba è che la madre affida il bambino alla
nutrice e poi lo reclama per sé. Ma la balia aveva sostituito l'immagine materna.
Nel testo, si parte dalla figlia, (Saba adulto che dovrebbe essersi staccato dallo statuto di bambino) e si va
verso un’ immagine di deriva > la corrente che lo porta via. La dolcezza è così forte e percepita dal poeta che
sembra quasi di svenire, è troppo forte il sentimento.
Il venire meno dei sensi riporta alla memoria di quando lui abbracciava la balia. Il primo amoroso seno è
quello della balia, non della madre. L’affetto del Saba padre si mescola ad una regressione di Saba stesso. La
propensione per la psicanalisi è visibile nell'ultimo verso prelevato da Baudelaire (grande modello per la
letteratura europea) > minimo accenno all’infanzia. Come se andasse a cercarlo e recuperarlo dove a lui
interessa, cioè nel tema > la storia psicologica
➔ Il 10 novembre 1920: «appare su L’Azione […] il primo articolo che porta la sua firma [di Montale]: una
recensione a Trucioli di Camillo Sbarbaro, di cui individua “il centro dell’ispirazione” nell' amore del
resto, dello scarto, nella poesia degli uomini falliti e delle cose oscuramente oscure e mancate”»
- succedono gli «Ossi» > testi brevi, concentrati e fulminei - che sanciscono la condizione del «male
di vivere» > la vitalità della natura risulta inoltre solo apparente, la realtà esprime segnali di
indifferenza, atonia e di morte. Solo MIRACOLO è la rivelazione improvvisa del nulla: può realizzarsi in
circostanze eccezionali, ma solo per chi, come il poeta, manifesta il coraggio intellettuale di affrontare
la verità negativa che si dispiega
- «Mediterraneo» - nove testi di un poemetto dedicato al mare (importante il rapporto di Montale con il
mare. Sentito come presenza paterna, nucleo di protezione, autorità) dedicato al Mediterraneo >
alterna alla celebrazione del mare come «patria sognata» il sentimento del distacco da esso
(esclusione, estraneità, mancanza di certezza, ricerca di verità nel caos del reale)
- «Meriggi e ombre» raduna i testi più lunghi e densi del libro ricollegandosi alla tematica degli
«Ossi», ma proponendo al contempo un significativo scarto > scelta di una esistenza fallimentare,
vissuta con fermezza, in piena lucidità intellettuale
Incastonati tra In limine (incipit) e Riviere (explicit), i quattro "capitoli" scandiscono così ritmi diversi e alterni,
di cui gli «Ossi» e «Meriggi e ombre» sono gli episodi centrali.
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Questa architettura compositiva, così bilanciata e ordinata nelle sue parti, è però cornice al disfacimento.
La struttura opera in modo RAZIONALE (punta a cancellare ogni “vuoto" e a istituire legami), il piano
tematico punta invece sulla RAPPRESENTAZIONE DELLA DISARMONIA.
«Avendo sentito fin dalla nascita una totale disarmonia con la realtà che mi circondava, la materia della mia
ispirazione non poteva essere che quella disarmonia”. In effetti, alla base degli Ossi sta proprio un rapporto di
sostanziale estraneità nei confronti del mondo da parte dell’io.
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Ricerca di un polo di senso con la realtà attorno alla quale si può gravitare. La ricerca è attorno a un senso
dell’esistenza (siamo nel dopoguerra), perché c’è qualcosa che rende il reale imperfetto. Se si potesse
capire cos'è, si potrebbe riconciliare la realtà con noi stessi, pienamente corrispondenti al mondo in cui
viviamo.
La sua prima recensione è fatta al libro “Trucioli” di Camillo Sbarbaro. Montale trova un collegamento con
Ossi di seppia > scarto del mare e il truciolo, frammento buttato via dell'intaglio. La poesia assume la veste
dello SCARTO e anche Montale vuole lavorare sullo scarto.
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Si parla di cose oscuramente oscure e mancate > un elemento di realtà che non si riesce a comprendere fino
in fondo. Qualcosa sfugge alla comprensione razionale, c’è un segreto oscuro oscuramente oscuro sul
senso del mondo.
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In Porto Sepolto la certezza è inabissata, per Ungaretti lo strumento per avvicinarsi al NON RIVELATO è la
POESIA che permette di capire il senso profondo dell’esistenza. Ungaretti isola la parola nella poesia e la
oppone al silenzio.
Montale ha una parola descrittiva che mima la realtà (in parte il paesaggio delle 5 Terre), cercando di
suonare aspra. Il paesaggio delle 5 Terre è soleggiato e la terra è arsa (secca), Montale predilige l’uso di una
parola tagliente e bruciata. Il sole annienta quello che sta sotto, il mare è molto autoritario e imponente e gli
elementi della realtà e la realtà stessa non sono in armonia con il poeta.
Es. l’agave sullo scoglio riprende la ginestra di Leopardi > contro la realtà nemica il poeta si immedesima
nell’agave, il soggetto si riduce allo stato di pianta e roccia > tendenza a prosciugare l’umano e ridurlo.
A livello linguistico Montale usa Dante come modello linguistico per eccellenza, riferimenti dalle rime
petrose o dall’inferno. Uso di una LINGUA ESPRESSIVA A LIVELLO FONETICO con un grande uso delle
consonanti.
Il Paesaggio ligure fa da sfondo, il linguaggio cerca di mimare una condizione esistenziale > arsura, brullo, la
salsedine del paesaggio.
La lingua è molto dettagliata e specifica (plurilinguismo fondato su basi pascoliane e dannunizane), Dante fa
da vocabolario, egli è il maestro dell’ excursus linguistico della complessità. I particolari sono riuniti per
vedere un significato ulteriore al di là della singola percezione. Presenza del disagio della frammentarietà
oggettivando in particolari: oggettivare e concretizzare una condivisione, un sentimento (l’agave sullo
scoglio > il poeta si sente come l’agave > oggettivare una condizione). Il CORRELATIVO OGGETTIVO
prevede di oggettivare una condizione attraverso delle immagini concrete (simbolismo).
I LIMONI
I limoni è il primo testo che apre Movimenti > è un testo programmatico
I limoni sono le piante che Montale oppone meta poeticamente all’alloro. Il testo ricorda come la sua poesia
voglia essere attaccata alla realtà, aderente al paesaggio e a tutto ciò che si mescola ad esso. La poesia è
uno scherno del reale, non è estetizzante, ma bassa e aderente alla concretezza della realtà.
La poesia si rivolge a un tu indefinito e i primi interpellati sono i POETI LAUREATI: i tre poeti della
tradizione del 1900: Carducci, Pascoli e D’Annunzio.
Ascoltami, i poeti laureati e mettono negli orti, tra gli alberi dei e piove in petto una dolcezza inquieta.
si muovono soltanto fra le piante limoni. Qui delle divertite passioni
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti. per miracolo tace la guerra,
Io, per me, amo le strade che riescono Meglio se le gazzarre degli uccelli qui tocca anche a noi poveri la nostra parte
agli erbosi si spengono inghiottite dall’azzurro: di ricchezza
fossi dove in pozzanghere più chiaro si ascolta il sussurro ed è l’odore dei limoni.
mezzo seccate agguantano i ragazzi dei rami amici nell’aria che quasi non si
qualche sparuta anguilla: muove, Vedi, in questi silenzi in cui le cose
le viuzze che seguono i ciglioni, e i sensi di quest’odore s’abbandonano e sembrano vicine
discendono tra i ciuffi delle canne che non sa staccarsi da terra a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta quando il giorno più languisce. il tedio dell’inverno sulle case,
di scoprire uno sbaglio di Natura, Sono i silenzi in cui si vede la luce si fa avara – amara l’anima.
il punto morto del mondo, l’anello che in ogni ombra umana che si allontana Quando un giorno da un malchiuso
non tiene, qualche disturbata Divinità. portone
il filo da disbrogliare che finalmente ci tra gli alberi di una corte
metta Ma l’illusione manca e ci riporta il ci si mostrano i gialli dei limoni;
nel mezzo di una verità. tempo e il gelo del cuore si sfa,
nelle città rumorose dove l’azzurro si e in petto ci scrosciano
Lo sguardo fruga d’intorno, mostra le loro canzoni
la mente indaga accorda disunisce soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase. le trombe d’oro della solarità.
nel profumo che dilaga La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolta
I poeti laureati evocano delle PIANTE PARTICOLARI e NOBILI nel loro essere desunte, poco usate,
nobilitate da un dettato aulico.
Linguaggio confidenziale: il poeta si rivolge a un TU INDETERMINATO (ascoltami) facendo una
COMPARAZIONE TRA I POETI LAUREATI (poeti consacrati dalla tradizione, riferimento ironico all’abitudine di
incoronare con il lauro) E L’IO LIRICO. I nomi di piante successivi permettono il riferimento ai poeti: Carducci,
Pascoli e D’Annunzio.
Egli sostiene di essere DIVERSO, egli si trova nelle strade dove i ragazzi prendono anguille (animale
caratteristico del paesaggio dell’adolescienza montalianadalle pozzanghere (titolo di un testo), poi c’è uno
squarcio paesaggistico. La stradina porta all'orto dove ci sono alberi di limoni (Montale parla di piante
quotidiane). La lingua: “viuzze” > uso della consonante che rende aspro il dettato e impatta foneticamente
all'orecchio. Meglio ancora se c’è il silenzio, per sentire gli alberi mossi dal vento in un'aria che non si
muove. Nel silenzio si sente il respiro delle piante, si percepiscono i sensi e avviene quasi un'UNIONE
PANICA nella quale troviamo rasserenamento che si collega all’odore dei limoni. C’è un avvicinamento alla
realtà, un abbandono a questo contesto ma non del tutto, c’è elemento che lascia senso di inquietudine.
Presenza di un iperbato (inversione: “Qui delle divertite passioni per miracolo tace la guerra”) >
combattimento del sentimento, anche noi che non siamo poeti laureati possiamo avere un contatto con la
realtà. La ricchezza è l'odore dei limoni.
Il significato della poesia emerge dalla 3° strofa, si fa appello all’interlocutore confidenziale (vedi…)> in
questo silenzio e di inglobazione nel paesaggio, noi stessi diventiamo parte della realtà. Le cose sembrano
vicine a confidarci un segreto, lo stiamo per intravedere. Può capitare di vedere per sbaglio nel disegno nella
natura, un elemento che non riusciamo a capire.
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L'ordine naturale è perfetto, niente accade per caso nel mondo di natura, forse avvicinandoci alle cose
scopriremo che qualcosa salta e scopriamo delle imperfezioni, il punto moto del mondo in cui la realtà non si
spiega. Occorre sbrogliare la matassa dell'esistenza e trovarci il senso. Rimando a Schopenhauer in merito
alla catena della necessità che tiene il mondo. Il Novecento si rifà alla filosofia.
Nel primo testo della sezione Movimenti troviamo subito il QUID della poesia montaliana, nel momento in cui
ci avviciniamo alle cose, proviamo ad entrare nel mondo che ci circonda, lo sguardo si fa più limpido e
riusciamo a vedere con più chiarezza.
Nel silenzio le cose sembrano voler rivelare qualcosa e forse può capitare che nella limpidità si possa
individuare qualcosa. La verità, il senso della vita non è razionalmente raggiungibile e si può scoprire solo
all'interno di una struttura. Montale la cerca nella ROTTURA della CATENA DELLA NECESSITÀ che
riguarda la volontà che muove il mondo.
La poesia dialoga con il pensiero di Schopenhauer nella quale tutto il mondo è mosso dalla volontà, è un
istinto cieco, ci tiene istintivamente e razionalmente attaccati alla vita come in una catena, il mondo si muove
per causa di volontà. Tutti gli esseri viventi agiscono e sono mossi da volontà e dall’ istinto di sopravvivenza.
Montale recupera l'immagine della catena di volontà ma aggiunge che forse da qualche parte si rompe e dove
c’è la rottura, lì sta il segreto. Per “Anello che non tiene” si intende quel PUNTO DI IMPERFEZIONE
nell’ingranaggio perfetto e infatti il senso ultimo del mondo si trova nel vuoto.
La parola si pone in un tentativo di conoscenza, è una parola che indaga. L’indagine viene compiuta anche da
un punto di vista DESCRITTIVO, più gli elementi del reale sono dominati e sono individuati, più la ricerca
all'interno della realtà potrà essere corretta.
La strofa successiva segue questa postura di indagare la realtà: la mente del poeta quando si trova quasi in
comunione con realtà che la circonda può avviare un INDAGINE.
Uso della parola accordo che rimanda alla passione musicale di Montale.
La mente accorda cose distanti e si pone in una posizione di ricerca, prende atto di uno SCHERMO nella
realtà e nel silenzio in cui tutti i sensi sono rafforzati sembra intravedere quasi una DIVINITÀ (la verità si
allontana da noi disturbata).
La Strofa conclusiva è BIPARTITA (spezzata in due). L’uso dell’AVVERSATIVA “MA” > cambio di tono radicale
perché si sta contraddicendo ciò che è stato detto prima. La possibilità di comprendere pienamente il mondo
che ci circonda è un illusione e il tempo riporta nella città rumorosa, il paesaggio che si presenta è altro
rispetto al paesaggio naturale, qui la natura è visibile a pezzi tra il paesaggio industriale.
Dall’estate si passa al paesaggio autunnale e allo SPLEEN dell’inverno che si addensa sulle case > immagine
di compressione, soffocamento, affoltarsi sulle case.
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Questa condizione di spleen però accade che a volte sia interrotta, da un portone mal chiuso si può
intravedere l’immagine di solarità dell’albero di limoni > rimando al sole e si ode una musica armoniosa
che proviene dai limoni, ci sono queste immagini di luce che ci colpiscono improvvisamente, il giallo del limone
simboleggia il sole.
❖ Anche in questo caso rimando a Schopenhauer e all’ OSCILLAZIONE DEL PENDOLO (La vita
umana è come un pendolo che oscilla incessantemente fra dolore e noia, passando attraverso
l'intervallo fugace del piacere e della gioia).
In un primo momento di noia improvvisamente arriva un barlume di luce in cui compare il sole, un fugace
momento di vitalità destinato a scomparire.
❖ Importante il termine BARLUME (usato nelle “occasioni”) inteso come occasione, barlume di felicità, di
compiuta realizzazione, conoscenza di verità all'interno del non senso, come delle scintille che sono
nella vita.
❖ Altra contrapposizione tra il MINUTO e l’ORA > esplicita la scansione del TEMPO, il minuto scocca e
improvvisamente rileva un’avversità. Riferimento a “un lampo e poi la notte” di “À une passante” di
Baudelaire.
17° lezione 28.11.23
RIASSUNTO DELLE CARATTERISTICHE:
● HORTUS CONCLUSUS > immagine della solarità dei limoni e riferimento al Giardino del Paradiso
terrestre
● IDEA dell’ ATTIMO e dell’ IMPROVVISO BAGLIORE > ora vs minuto che spezza il tempo
● riferimento al “À une passante” di BAUDELAIRE
● TESTO PRAGMATICO perché al suo interno troviamo:
○ la DICHIARAZIONE DI POETICA > ricerca di una parola che aderisca alla realtà concreta, si
vuole mimare il mondo per com’è e nello specifico il paesaggio delle 5 terre
○ DICHIARAZIONE FILOSOFICA > attraverso la METAFORA DELLA CATENA DELLE
NECESSITÀ, c’è il tentativo di trovare lo sbaglio nella natura (dove la catena si può spezzare)
al fine di identificare il significato del mondo
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Ungaretti invece per parlare del SEGRETO dove la parola desidera arrivare, attraverso uno specifico uso del
linguaggio usa la METAFORA DEL PORTO SEPOLTO.
● Rimando anche ai SIMBOLISTI (la mente accorda): il pensiero cerca di entrare in comunione con la
realtà attraverso accordi e disaccordi tra fenomeni > eco delle CORRISPONDENZE
● AVVERSATIVA MA: l’immagine della vita governata dallo spleen può essere spezzata da un’improvvisa
rivelazione. Il giardino dei limoni è un'occasione, il barlume, il lampo > collegamento con Baudelaire
Forse un mattino andando in un’aria di vetro, il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo: di me, con un terrore di ubriaco.
Poi come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto Ma sarà troppo tardi; ed io me ne andrò zitto
alberi case colli per l’inganno consueto. tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.
Il poeta si volgerà di scatto e sentirà l'impossibile, dietro di lui ci sarà il vuoto quindi tutto ciò che non è
realtà > Come ad una persona ubriaca a cui gira la testa. Sorpresa dal gesto di voltarsi improvvisamente, la
realtà si è rivelata nella sua inesistenza. Dopo questo attimo di barlume, la realtà riorganizza gli elementi e
questi torneranno a mostrarsi sullo schermo del reale e tutto tornerà nel pieno dell’esistenza > Calvino ha
sottolineato un collegamento con l’ERA CINEMATOGRAFICA. Ma sarà troppo tardi perché il soggetto avrà
scoperto la VERITÀ, la quale non verrà rivelata.
Componente Leopardiana in merito all’inganno di ognuno che vive nella superficie del fenomeno e non
riesce ad andare sotto. Il poeta ha visto qualcosa che non si può raggiungere con la RAGIONE, perché è una
visione che si vede solo nel disegno del RETRO che non ha delle forme, non si può andare al di là possiamo
solo intravedere e immaginare attraverso strumenti che non sono della logica. Questo schermo che inganna fa
riferimento allo SCHERMO DI SCHOPENHAUER e al VELO DI MAYA > il velo che separa la realtà dalla sua
coscienza piena. Montale intravede il rovescio dell’esistenza ma infine egli dovrà andare avanti tra gli uomini
che non hanno visto questo barlume di consapevolezza > il barlume non si può comunicare.
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Ci sono dei BINOMI fondamentali a livello della COSCIENZA, noi capiamo il concetto di uno e dell'altro perché
abbiamo la coscienza del loro contrario. Es. guerra e pace sono concetti con BINOMIO DI POLARITÀ.
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Per comprendere l'esistenza bisognerebbe avere la certezza del contrario, il vuoto. La verità si deve andare
a cercare nel negativo. Montale ha una rivelazione sulla l'altra metà dell’esistenza, nella quale si coglie un
senso pieno e si vede il retro dell’esistenza. Intravedere il nulla spezza la catena della necessità.
Il testo è una riflessione su un tema capitale del Novecento: quello del «NULLA», svolto con una tensione e una sintesi
(vicine, anche se con esiti diversi, all'Infinito leopardiano) che fa ingiallire d'un colpo. I dati ambientali sono ridotti al
minimo: l'indicazione cronologica del mattino, un'aria allucinata tersa e lucida come vetro, l'io rappresentato e questo
per far spazio allo sprofondamento tutto mentale di un attimo: la percezione del «vuoto», resa attraverso la
sensazione che può provare un ubriaco che vacillando o in preda a vertigini, avverte il «terrore» di chi sente girare
tutto intorno a sé.
La seconda quartina presenta, dopo l'attimo eccezionale, il ritorno improvviso alla vita ordinaria, al mondo definito
attraverso una similitudine cinematografica («come s'uno schermo»), dove ad «accamparsi», a risaltare, sono elementi
isolati del paesaggio: «alberi case colli», scanditi in una casualità resa ancora più evidente dall'assenza di punteggiatura e
«l'inganno consueto». Ma dall'evento vissuto nell'immaginazione, il soggetto della poesia ha ricavato un suo «segreto»,
quasi un tesoro da mantenere, riprendendo il cammino in silenzio («io me n'andrò zitto»).
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Ma di quale esperienza s'è trattato? La poesia è, nell'universo degli Ossi, eccezionale proprio per questo
(ELEMENTO DI POETICA): essa costituisce una delle poche volte in cui il «miracolo», «la verità altra che il poeta
presenta al di là della compatta muraglia del mondo empirico si rivela in una esperienza definibile» : un sentimento
dell'inconsistenza del reale che affiora stavolta non attraverso la percezione del suo disgregarsi, ma mediante «la
costruzione di un modello conoscitivo». Che è così descritto da Calvino:
La bipartizione dello spazio che ci circonda è:
- in un campo visuale visibile davanti ai nostri occhi (lo SCHERMO) > schermo d'inganni (vede cio che non
esiste è come vedere il nulla)
- in un campo invisibile alle nostre spalle > un vuoto che è la vera sostanza del mondo.
Il protagonista della poesia di Montale riesce, per una combinazione di fattori oggettivi (aria di vetro, arida) e soggettivi,
a voltarsi tanto in fretta da arrivare, diciamo, a gettare lo sguardo là dove il suo campo visuale non ha ancora
occupato lo spazio: e vede il nulla, il vuoto > riesce a vedere contemporaneamente davanti o dietro.
FELICITÀ RAGGIUNTA…
Il secondo testo, conclusivo. Nuovamente la filosofia di Schopenhauer.
Felicità raggiunta, si cammina al piede, teso ghiaccio che s'incrina;
per te sul fil di lama. e dunque non ti tocchi chi più t'ama.
Agli occhi sei barlume che vacilla,
Se giungi sulle anime invase Ma nulla paga il pianto del bambino
di tristezza e le schiari, il tuo mattino a cui fugge il pallone tra le case.
è dolce e turbatore come i nidi delle cimase.
La Felicità raggiunta è PREZIOSA, per mantenerla è come se si dovesse camminare sul filo di una lama, la
felicità è come una fiammella che rischia di spegnersi, come il ghiaccio che s'incrina ad ogni passo sopra
(riferimento a Gozzano) > allusione a due SFERE SENSORIALI DIVERSE.
Chi desidera la felicità deve conservarla con cautela, essa va toccata OGNI TANTO, non è una condizione
STABILE > usata con parsimonia (la fiammella prima o poi si spegne).
Nella seconda parte del testo, riferimento ancora alla felicità (protagonista), il termine turbatore è in tono dolce
(cambia la condizione).
Negli ultimi versi c’è un immagine apparentemente disgregata dal testo, un calcio di pallone troppo in alto fa
piangere il bambino per aver perso la palla e niente può ripagare la tristezza > opposta alla felicità raggiunta,
nella stessa direzione dell’immagine felice sta anche il segno del dolore.
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Felicità e tristezza non si compensano ma convivono. L’immagine è tragica in relazione ai nidi, il pallone
lanciato troppo in alto va a distruggere il nido. Riferimento al pendolo schoperiano > ricascare nel dolore.
Il testo funziona per ANALOGIA di IMMAGINI, per corrispondenze di immagini che portano ad un pensiero, il
gioco di un bambino distrugge delle vite in modo inconsapevole > Leopardi.
La felicità che è solo un BARLUME, un attimo, un'occasione e un movimento di necessità tra noia e dolore
La distanza della cavità del pozzo rappresenta la distanza tra il PRESENTE e il PASSATO, il ricordo e l’olio >
separa il soggetto dall’immagine apparsa.
La verità sta dietro al piano che separa i due mondi: l’immagine singola serve a parlare dell'inconoscibilità del
reale e del suo raggiungimento in un piano negativo, il suo rovescio.
La memoria è destinata a scomparire in un piano che non si raggiunge razionalmente > riferimento a porto
sepolto, andare in giù per cercare il senso dell’esistenza.
Il mare è una presenza paterna, potente e autoritaria questo testo parla del tentativo di compiere un unione
con l’elemento marino. Volontà di ritorno nelle braccia del padre in un contesto rassicurante e protettivo, come
in una fusione panica. Ci si rivolge alla presenza paterna con molto RISPETTO.
Da questo tentativo di conoscere la realtà, il tentativo di fusione ci respinge e salta. Montale si immagina
l’ingresso nell’ elemento marino come in una città, una specie di Atlantide, la patria sognata che nasce da
spuma del mare. Il padre è anche autoritario, rimando alla legge severa.
Da qui il RIGETTO del poeta dalla città marina > riferimento alla MOBILITÀ, il DINAMISMO nella mutazione,
nel cambiare > la CONDIZIONE DI MORTE IN VITA per Montale è rappresentata dalla STASI. Il fatto di non
entrare in comunione con l’elemento MUTEVOLE per eccellenza, il mare, condanna il soggetto ad una STASI
TERRENA (come l’agave sullo scoglio, la pianta si riduce alla condizione di resistenza e di immobilità). Il TU si
riferisce al MARE (Mediterraneo).
C’è l’immaginazione di una patria sognata che si compone di grotte su cui si rimbalzano i riflessi di luce, la
struttura è come un tempio, l’esiliato cerca di rientrare nel PAESE INCORROTTO dalla vita umana, ma la
LEGGE SEVERA lo esclude. L’uomo non è superiore a nessun elemento di realtà, è condannato ad essere
ESCLUSO e non appartenere al mondo come fenomeno naturale ma come qualcosa che rappresenta una
stortura del mondo.
La minaccia maggiore a cui Montale incorre è la STASI e il rifiuto gli viene detto sia nell’ agitazione
dell'elemento marino che nella tranquillità del mare > la condanna è definitiva.
CRISALIDE
La seconda edizione di Ossi di Seppia risale al 1928. Sono testi che dialogano con la figura femminile, Paola
Nicoli sotto lo pseudonimo di Crisalide. Sono componimenti che si svolgono in un piano più narrativo.
Crisalide parla di un episodio di ricongiungimento con la figura femminile che il poeta osserva. I due stanno
sulla riva del mare a distanza, c’è una possibilità di ricongiungimento che avviene con l'arrivo di una barca che
potrebbe accoglierli entrambi, ma poi la possibilità di colpo si spezza e il testo si conclude con una rinuncia.
Tutto ciò a cui si può ambire, non è un propria felicità > IL SENSO DELLA VITA è offrire LA FELICITÀ A
QUALCUN ALTRO. In questo testo si intravede nuovamente la filosofia Schopenhauer, attraverso l’idea che
forse si può intravedere il punto in cui la catena non tiene più (la necessità in cui la vita si svolge nel rapporto
della catena dell’esistenza > come causa e conseguenza). In questo testo l’anello continua a tenere e
miracolo non avviene.
➔ Prima strofa:
Nel paesaggio (attenzione all’uso del lessico) si vede un albero che ha delle venature gialle, la sua ninfa crea
delle incrostazioni nella corteccia > avviene un momento di empatia nei confronti dell'elemento naturale, radici
che tentano di recuperare l’acqua dal terreno e il paesaggio viene paragonato all’ interlocutrice femminile.
L’immagine di rinascita viene associata alla DONNA.
Negli ultimi versi, si mette in scena la controparte del soggetto femminile, il soggetto lirico. Il poeta la sta
guardando immersa nel paesaggio naturale. Cio che fa rinascere è la presenza del femminile, mentre l’io lirico
è escluso dal paesaggio naturale ed è solo un osservatore.
➔ Seconda strofa:
Si insiste sulla collocazione naturale che ha il tu femminile. In ogni momento il paesaggio si carica di elementi
naturali e lo stupore avanza ogni altra felicità.
Sembra emergere la vita da questo angolo di vegetazione, di piante, e il termine orto non è casuale: nel
componimento i limoni, l’io intravede nel canneto che si apre, l’albero dei limoni. C’è l’ idea di giardino
magico ma separato dal resto del mondo, un oasi.
Il femminile può a sua volta discendere dell'elemento naturale, lo sguardo di lei si abbassa sulla terra e in
quel momento riemerge il ricordo del passato, un'ondata di memorie arriva e quasi lo fa naufragare con
questo travolgimento.Qualcosa poi spezza l'incantesimo, si sente un rumore e il tempo si infrange, il
momento di catarsi, di unione scompare. La memoria precipita e ogni ricordo si spegne. L’io inizia ad
avvicinarsi al tu.
➔ Terza strofa:
La controparte sta ignorando l’amore del poeta. Dopo l’impostazione del tentato avvicinamento, avviene un’
altra immagine di frattura. La donna non lo considera e in questa rinnovata vicinanza, avviene la dichiarazione
del poeta di volere la donna (“siete voi che potreste offrirmi un attimo di pienezza”). La felicità avviene nella
ricongiunzione, poi lei alza la testa dalle zolle, il volto si alza verso il cielo e lui la descrive mentre contempla
la volta celeste.
➔ Quinta strofa:
Gli esseri umani non possono capire il ciclo vitale essendo altro rispetto al pienamente naturale. Le sbarre
che racchiudono l’ideale dove la donna è collocata, l’onda marina suggerisce una salvezza e qui guardando la
distesa pienamente naturale si può sorgere un'illusione e fantasticare nell'orizzonte che si perde. I fumi fanno
riferimento all'illusione e sembrano fondersi all'orizzonte come delle barchette. L’ immagine astratta
dell’illusione e l'immagine della barca.
La barca rappresenta la SPERANZA > CORRISPETTIVO OGGETTIVO. La barchetta spicca il volo nell’acqua
come un alcione che rade l’onda. Immagine di speranza è rappresentata dalla barca che si appoggia sulla
riva. Essa diventa una scialuppa che permette una possibile ricongiunzione tra i due
➔ Sesta strofa: è la chiave di volta del testo > riflessione sulla condizione dell’io negli Ossi di Seppia
Si parla dell’esistenza che si trascina senza una direzione, destino di cui non sappiamo il termine ultimo.
Si muore senza lasciare un senso del proprio passaggio e noi continueremo a vivere la nostra vita
necessariamente spinti dall’ istinto cieco > senza spostare un sasso nella muraglia che costituisce lo schermo
che copre il senso dell'esistenza e non si riesce a trovare l'anello che non tiene.
La necessità ci spinge, ma il destino intrappola l'essere umano a non vedere il miracolo (buco nella realtà), la
catena della necessità non la si vede spezzata
➔ Settima strofa:
Il paesaggio cambia, il mare si appiattisce e il silenzio cala sulla scena. Infine abbiamo la pronuncia della
scelta finale > > applicare una rinuncia alla propria felicità per gli altri. L’io lirico è condannato a non vedere il
senso ulteriore dell’esistenza.
Il poeta abdica alla propria FELICITÀ per la risata di un fanciullo inconsapevole > i posteri
La vita del poeta è recisa ma l’immagine successiva è di rinascita. Avviene il passaggio del testimone tra
l’io lirico e i posteri, le generazioni future. riferimento al falò che sta per spegnersi ma che poi riprende vita e
ricomincia a bruciare.
Continua l’impossibilità di vedere al di là della muraglia che ci ingabbia e che rappresenta il VELO DI MAIA.
Gli eventi si susseguono consequenzialmente e il miracolo non accade mai. Nell'ultima sezione degli Ossi
Montale quindi crea un dialogo con la componente femminile (lo stesso avviene in Casa sul mare, dedicata
sempre a Paola Nicoli).
LE OCCASIONI
2° raccolta poetica di Montale. Ossi e Le occasioni hanno una analogia nella struttura > entrambe sono aperte
da una poesia-esergo e seguiti da testi medio lunghi. Anche la storia della formazione e pubblicazione delle
varie raccolte ha dei caratteri costanti: edizioni parziali e successive amplificazioni e modificazioni.
Presenza di una figura femminile dalle virtù speciali con precisa guida morale, Clizia e di Arsenio l’alter ego
dell’autore posto di fronte alla vertiginosa e fulminea consapevolezza della stasi che costituisce la sua vita.
Arsenio pone in fondo agli Ossi quello che sarà il tema specifico delle Occasioni: il manifestarsi cifrato e
folgorante del senso profondo delle cose, colto attraverso attimi in cui singoli oggetti o eventi si rivelano
come 'occasioni' che consentono di realizzare una scoperta esistenziale assoluta. L'io lirico delle Occasioni ha
il compito di decifrare il contenuto di verità sedimentato in oggetti, sensazioni o ricordi che nascono dal
mondo fenomenico, ma lo trascendono e talvolta lo negano. Ciò avviene in perfetta sintonia con la teoria del
poeta anglosassone Thomas S. sul “CORRELATIVO OGGETTIVO”, per cui la formulazione esatta di una serie
di oggetti, una situazione, una catena di eventi sarebbe il solo modo di esprimere emozioni in forma d'arte. La
forte carica emblematica affidata a «barlumi» e frammenti fa sì che l'enunciazione dei dati sensibili risulti
inseparabile dalla loro interpretazione intellettuale e sentimentale la quale non viene quasi mai esplicitata. Il
personaggio femminile ha ruolo di protagonista in molte liriche delle Occasioni e nella Bufera prende il nome di
Clizia (Irma Brandeis). Rappresentata come un uccello o un angelo prima inafferrabile, poi sempre più forte,
coraggiosa, consapevole di se stessa e del proprio potere, Clizia finisce con l'assumere il carattere di una
figura salvifica, capace di difendere l'io lirico dalla barbarie della storia e in particolare dalla minaccia
della incipiente guerra nazifascista.
LA BUFERA
3° raccolta poetica di Montale. Siamo negli anni ‘50 durante la ricostruzione e vicini al boom economico anni
‘60. Nella Bufera, accanto alla storia collettiva, contano i fatti privati: i lutti famigliari, i viaggi, ma soprattutto la
trama amorosa, dispiegata secondo una sensibilità stilnovista, e più precisamente nello schema della Vita
nova di Dante. Centrale è la contrapposizione tra una donna-angelo come Clizia, ricalcata sulla Beatrice
dantesca e un antagonista o Anti Beatrice, la «Volpe», pur sempre dotata di qualità angeliche, ma legata alla
sfera dell'eros, della nuda biologia, alla dimensione terrena dell'esistenza.
SATURA
4° raccolta poetica di Montale.
Montale per un periodo smette di scrivere, sono anni in cui il paese si trasforma nella società di massa e
riprende con la pubblicazione di Satura. Questa raccolta inaugura un Montale completamente nuovo, ora
egli opta per una poesia inclusiva e comica > caduta di tono. La rinuncia alla dignità stilistica dei primi 3 libri è
il segno che Satura esprime una resa definitiva della lirica alla volgarità del mondo MASSIFICATO. Montale
risponde con la scelta consapevole di una poesia minore, comica, basata sull'ironia e sul distacco. Risulta
svuotata la carica morale del primo Montale, sempre pronto a distinguere il bene dal male, la salvezza dalla
condanna: la società di massa ha annullato le differenze, sprofondando ogni cosa > i termini opposti delle
scelte morali ed estetiche si fondono in una sorta di «ossimoro permanente».