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NEWTON ( BLAKE )

L'opera è un monotipo, ovvero un'incisione stampata con successiva applicazione del colore;[5] fa parte di
una serie di 12 opere prodotte con la medesima tecnica tra il 1795 ed il 1805, tra le quali si trovano le
rappresentazioni su Nabucodonosor II.

L'uomo rappresentato nella raffigurazione è Isaac Newton, il celeberrimo fisico e matematico inglese; egli è
ritratto seduto su una roccia che si sviluppa dal lato sinistro del dipinto, ricoperta di alghe e altri residui che
richiamano l'ambiente marino. Newton è nudo, ripiegato su se stesso completando idealmente la forma del
masso che lo sostiene; il suo sguardo è rivolto verso il basso, su disegni e diagrammi che sta analizzando
con un compasso.

L’INCUBO ( FUSSLI )

La scena è ambientata in una stanza da letto, vista come uno spazio buio e indefinito. In primo piano una
figura femminile rovesciata sul letto in una posa inverosimile, e con un'espressione stremata e sofferente.
Sullo stomaco appare un mostro grottesco, personificazione dell'incubo. In secondo piano si apre una tenda
come un sipario e spunta una cavalla spettrale, che rappresenta la portatrice dei sogni. Quest'ultimo
personaggio deriva dall'interpretazione della parola inglese "night-mare" (night=notte e mare=cavallina),
che significa incubo. Anche i colori volutamente assurdi, dalle tinte irreali e i forti contrasti, amplificano
l'immagine visionaria dell'incubo. La luce è completamente innaturale, è usata per amplificare l'effetto
emozionale e con una tecnica teatrale: il pittore opera come un regista, illumina a getti e crea delle
apparizioni fantastiche che emergono dall'oscurità. La donna è l'oggetto più illuminato, poi seguono le
fosforescenze e i bagliori sinistri dei mostri. La composizione è una piramide con un vertice molto acuto,
che rifiuta le proporzioni armoniche della concezione classica e rinvia al verticalismo gotico. Ma su questa
s'innesta l'allungamento orizzontale della figura femminile che accresce l'effetto di deformazione
dell'immagine. Le forme invece sono essenziali e chiare, chiuse nei contorni e basate su un disegno ben
delineato, come nello spirito neoclassico, a cui si riferisce anche il viso della fanciulla, ripreso da esempi
ellenistici. Ma le linee, basate su curve, sinuosità e ritmi ripetuti, si rifanno piuttosto al gotico, così come la
deformazione anatomica, e il generale effetto di dinamismo.

La pittura di Füssli manifesta un forte conflitto tra impulsi irrazionalistici già romantici e aspirazioni
illuministe-razionali, di cui è consapevole, anzi sfrutta in chiave espressiva questa doppia natura.

In quest'opera si trovano elementi di stile neoclassico e romantico insieme:

Elementi di stile neoclassico

essenzialità,ordine compositivo,forme tornite, chiuse e chiarecontorni lineari, disegno


preciso,chiaroscuro,riferimento all'ellenismo,Nitidezza dell'immagine.

Elementi di stile romantico

Verticalismo,abbandono della figura esagerato, chiome sparse,deformazioni ,espressività e colori crudi,


stridenti, irreali,ritmo musicale delle linee ripetute a "onde" (figura, drappo...),luce concentrata ed "effetti
speciali" (bagliori, luminescenze...) oscurità piena di mistero,impatto fortemente emozionale.

Ma soprattutto Füssli attraverso la pittura fa un'esplorazione delle regioni del sogno e del mistero. È come
un viaggio nell'inconscio per arrivare a un mondo onirico, ironico e fiabesco, fatto di visioni popolate di
mostri e di personaggi fantastici.
I suoi mostri sono figure sataniche, concretizzazioni delle paure e dei desideri di violenza e crudeltà che
fanno parte dell'inconscio. Insieme a Goya, anticipa di oltre un secolo il cinema fantastico e dell'orrore (che
spesso si è ispirato alle loro opere) ed è uno dei protagonisti del cosiddetto ''Romanticismo nero''.

Questa scelta parte da una sorta di critica alla società del suo tempo e all'infondatezza della fede assoluta
nella ragione dell'illuminismo.

IL NAUFRAGIO ( TURNER )

Ne Il naufragio, tuttavia, il furore degli elementi arriva a generare una composizione caotica, con pennellate
nervose e disperate che si stendono vigorose sulla tela: a essere raffigurate, infatti, sono le spaventose ed
inquiete onde del mare mentre ghermiscono alcune povere imbarcazioni, che nonostante il coraggio dei
marinai nulla possono di fronte ai flutti burrascosi e alla furia devastante del vento.

CROCE NELLA MONTAGNA ( FRIEDRICH )

La pala di Friedrich è comunque un'opera suggestiva e molto originale: in essa viene superata la
tradizionale immagine religiosa. Alla scena sacra Friedrich sostituisce il paesaggio, ma un paesaggio mistico,
carico di spiritualità religiosa, in cui si avvicina particolarmente alla filosofia di Shelling, suo contemporaneo.
Per Shelling la natura è manifestazione dell'assoluto. Il dipinto trasmette un sentimento di estatica quiete,
una quiete irreale, ai limiti dell'allucinazione. Lo spettatore si trova come sospeso,immerso nel silenzio e di
fronte alla spettacolare epifania della natura. Tale impressione è dovuta a precise scelte pittoriche.
Friedrich elimina il primo piano e i motivi introduttivi, pone lo spettatore direttamente davanti allo spazio
immenso del cielo, che si intravvede dietro la montagna. È emblematica anche la scelta del crepuscolo.
Offre una luce strana, incerta, su cui spiccano i tre raggi luminosi, che apparentemente sono quelli del sole
al tramonto, ma sembrano come dei fari, provenienti da una fonte nascosta e misteriosa.

Una certa simmetria della composizione, anche se non proprio speculare, aumenta l'effetto ossessivo
dell'immagine, e nella sua staticità simboleggia l'Eterno.

La croce riceve i raggi del sole e rinvia alla Resurrezione, la terra, immarsa nella notte, rappresenta la
dimensione terrena e la morte. È una scena simbolica in cui la croce è indicata come lo strumento in cui la
divinità che sfugge alla conoscenza umana diventa un'esperienza sensibile.

La roccia sormontata dalla croce rinvia alla saldezza della fede cristiana, l'abete,essendo una pianta
sempreverde, come afferma lo stesso artista, è simbolo della speranza del cristiano.

La cornice è stata eseguita ad intaglio dallo scultore Karl Gottlob Kuhn, su disegno di Friedrich e negli
elementi che presenta riprende il simbolismo religioso del quadro.

IL MARE DI GHIACCIO

L'opera ritrae un naufragio avvenuto nel bel mezzo di un mare di ghiaccio rotto in una miriade infinita di
pezzi, le cui schegge si sono accumulate dopo l'impatto, ammassandosi l'una sopra l'altra a formare una
montagna. Il ghiaccio è diventato come un dolmen, i cui bordi sporgenti e aguzzi sembrano anelare verso il
cielo. Le spesse lastre di ghiaccio si innalzano monumentalmente e la direzione diagonale di tali ammassi,
insieme ai frammenti della poppa della nave che si scorgono a malapena in basso a destra del dipinto,
determinano una sorta di inquietante movimento a spirale intorno alle rovine centrali. Lo sguardo
dell'osservatore è quindi focalizzato quasi esclusivamente nella parte centrale del dipinto, dimenticando
tutto ciò che sta intorno. Un contorno caratterizzato da colori freddi e cupi, che suscitano nello spettatore
un senso d'ansia e di sgomento. Il tema della navigazione proviene da un'antichissima tradizione allegorica
risalente alla cultura greca, ed è sempre stato visto come l'immagine dell'ossessiva e continua
peregrinazione dell'uomo sulla terra in cerca di qualcosa, attraverso le avversità del mondo e della vita. Tale
motivo, trasposto poi in quello del naufragio, diviene incarnazione della fragilità dell'uomo in balia degli
elementi. Ed è proprio in questo ambito che si muove Il mare di ghiaccio.

Il sottotitolo dell'opera, Naufragio della Speranza, tradisce la rappresentazione di quella che si pone, a tutti
gli effetti, come una parabola religiosa. Il Polo Nord è inteso come un luogo nel quale il succedersi di cicli
vitali rimane sempre uguale e qui l'infinito ripetersi di giorni, stagioni, anni e secoli diventa metafora
dell'eternità di Dio, perché tutto resta identico e dove la nave, simbolo della vita umana, è imprigionata e
non può sfuggire a quell'eternità che è la stessa di Dio. Il tentativo umano di penetrarne il mistero, quindi, è
destinato a fallire.[9]

Nulla si modifica e tutto appare immobile, come se il tempo si fosse in realtà fermato. Viene, inoltre, fatto
emergere il confronto tra l'infinito e il finito che, a differenza delle opere precedenti di Friedrich,
rappresenta un confronto doloroso durante il quale l'uomo e le sue opere vengono inghiottiti dall'immensa
potenza della natura, che talvolta risulta essere avversa. All'opera possiamo anche dare un'interpretazione
politica: la nave (la speranza), naufragata nella spedizione polare, simboleggia il naufragio delle speranze
della Germania, durante la Restaurazione,[10] esattamente come, nel 1815, la Zattera della Medusa di
Géricault stava ad indicare il naufragio della Francia napoleonica.

IL VIANDANTE SUL MARE DI NEBBIA

Il viandante sul mare di nebbia, o anche, il viaggiatore in un mare di nebbia, è un’opera che è stata a lungo
studiata: al centro della composizione di Caspar Friedrich, si erge un uomo misterioso: indossa un soprabito
verde scuro, i suoi capelli sono mossi dal forte vento, e nella mano destra, prestando attenzione, si può
notare la presenza di un bastone da passeggio. Il viandante significato non è ancora ben chiarito: riguardo
la sua identità, ci sono diverse ipotesi che sono state avanzate; tra le più avvalorate, c’è quella che vede il
protagonista, che sta volgendo lo sguardo su un’immagine del mare più bella di sempre, con le fattezze del
colonnello sassone Friedrich Gotthard von den Brinken, un ormai defunto amico del pittore. La nebbia che
avvolge il panorama davanti al protagonista, è talmente fitta, da ricordare addirittura, il mare di ghiaccio; a
spezzare questa apparente “barriera” naturale, in lontananza, ci sono alcune vette e su alcune di queste,
spicca anche qualche albero. Volgendo lo sguardo ancora più in lontananza dal viandante in un mare di
nebbia, verso l’orizzonte, si nota che il cielo arriva a fondersi con il manto nebbioso. L’abilità di Friedrich
pittore è eccezionale: potrebbe sembrare, che questo capolavoro possa essere stato realizzato dal vivo, con
un modello che abbia posato per l’artista sulle montagne, ma in realtà non è così; il pittore, infatti, ha
dipinto questa celebre composizione in studio, ma nonostante ciò, ha riprodotto fedelmente le montagne
della Boemia, ed in particolare dell’Elbsandsteingebirge. Nel viandante sul mare di nebbia Friedrich, la
curiosa scelta di rappresentare il protagonista di spalle è volontaria: attraverso questo artificio,
l’osservatore tende ad immedesimarsi nel viandante, dando l’illusione di trovarsi in prima persona, davanti
a questo spettacolare panorama. I colori utilizzati nella composizione sono vari e mescolati tra loro: il blu,
grigio, rosa e giallo, sono stati utilizzati per la resa del manto nebbioso, mentre per le rocce, l’artista ha
preferito stendere colori opachi e tonalità, che ricordassero il mondo della terra. Inoltre, nella resa della
scena, il pittore, ha utilizzato due tecniche differenti: ha dipinto con precisione e durezza la parte con
l’uomo e le rocce, mentre ha optato per una resa più liquida e vaporosa, per la sezione della nebbia e del
panorama. L’opera, rappresenta uno dei quadri più eloquenti ed importanti per quanto riguarda il sublime
significato: il misterioso protagonista, contempla l’infinito mare di nebbia, provando una sensazione mista
tra paura e piacere davanti alla maestosità della natura.

GIURAMENTO DEGLI ORAZI ( DAVID )

Il soggetto si riferisce alla storia della Roma monarchica. David si è ispirato alla narrazione dello storico
antico Tito Livio e alla tragedia teatrale Horace del drammaturgo francese Pierre Corneille. Sotto il re Tullio
Ostilio, viene decisa la sorte della guerra tra Roma e Alba Longa con un duello fra tre fratelli Orazi, Romani,
e tre fratelli Curiazi, Albani. Dopo la vittoria, il romano Orazio, unico superstite, uccide la sorella Camilla,
colpevole di aver pianto per la morte di uno dei Curiazi, di cui era fidanzata. Si tratta di un episodio di
eroismo e sacrificio per la patria che viene assunto come modello di virtù civiche.Nel quadro la scena si
allontana dalla sua componente tragica, presenta il momento solenne che precede la battaglia: i tre Orazi,
davanti al padre, giurano di vincere o morire per Roma.Per suscitare l'immagine ideale dell'eroismo, e in
conformità all'estetica neoclassica, David non mostra il momento cruento del combattimento, ma quello
del giuramento, che precede l'azione. David, per sottolineare la verità del racconto storico, ha ricreato con
precisione archeologica l'interno di un'antica domus, vista dall'atrio: si vede il pavimento con i mattoni a
spina di pesce, il portico sullo sfondo, con le colonne di ordine tuscanico. Per creare tale ambientazione,
David è tornato per la seconda volta a Roma, in modo da poter studiare direttamente le vestigia del passato
in cui si svolge la vicenda.Anche la composizione è molto studiata. Il punto centrale del quadro coincide con
la mano sinistra del vecchio padre che solleva in alto le tre spade. Verso quel punto convergono tutti gli
sguardi dei quattro personaggi maschili, ma anche le linee di fuga della prospettiva centrale sulla quale è
disegnato lo spazio. Anche lo sguardo dello spettatore è guidato in quel punto.Il quadro è impostato su una
rigorosa scansione geometrica: le linee di fuga del pavimento corrispondono alle diagonali del del quadro e
formano un triangolo con il vertice corrispondente al pugno con le spade. Tutte le figure maschili
riprendono la figura del triangolo.Gli archi dello sfondo inquadrano e dividono la scena in tre gruppi: gli
Orazi. il padre e le donne. La forma semicircolare dell'arco è ripresa nei gruppi delle donne, disposti a
semicerchio.La contrapposizione tra le figure maschili e quelle femminili non è sottolineata solo dalla
geometria compositiva, ma anche dalla disposizione separata dei due gruppi e dal disegno: più rettilineo e
rigido per gli uomini, più morbido, curvilineo per le donne. Anche nelle luci: più spezzate, contrastate e
"tormentate" quelle degli uomini, più sfumate quelle delle donne.La scena sembra svolgersi come in un
palcoscenico, David fa risaltare l'azione dei suoi personaggi in uno spazio essenziale e disadorno. I colori
uniformi delle pareti nude, la geometria perfetta degli elementi architettonici sono in perfetta
corrispondenza con la solennità dell'avvenimento: il momento del giuramento è presentato come il
momento culminante di una tragedia teatrale.Come un regista, usa sapientemente le luci e le ombre. Lo
sfondo è in ombra, per sottolineare il dramma ma anche per far risaltare il primo piano. Nel primo piano la
luce è brillante, fredda, concentrata, definisce con precisione i corpi e sottolinea la semplicità e razionalità
dello spazio.Mette in posa tutti i personaggi con gesti teatrali e molto comunicativi: gli uomini abbracciati,
con le gambe divaricate e il braccio disteso, sguardi e gesti molto decisi e "marziali", comunicano il senso di
nervosismo che precede la battaglia. Le donne in pose abbandonate, sembrano rassegnate e tristi. La
madre più indietro è avvolta nell'ombra, e con il suo mantello scuro, copre i bambini, in segno di lutto e
come per consolarli. Il padre degli Orazi, al centro, fa da perno alla scena, alza le spade e allarga una mano
come per dare una benedizione o un augurio.Il senso di tensione è sottolineato anche dall'uso dei colori.
David usa pochi colori, ma distribuiti con molta efficacia espressiva. Prevalgono i bruni e i grigi che
riempiono la scena, su questi si accendono alcune note squillanti: rossi, bianchi, azzurri, gialli.L'impressione
generale è quella di una messa in scena, le pose sono statiche, sembra che il tempo sia congelato, come per
eternizzare questo momento.E' evidente quindi che tutta l'opera è finalizzata a trasmettere un preciso
messaggio morale. Viene inoltre interpretata in chiave politica, come una specie di inno agli ideali della
Rivoluzione, e vi si rintracciano anche diversi elementi simbolici. Ad esempio Gli Orazi sono vestiti con i
colori della Francia, e nell'insieme rappresentano il motto "libertà(il giuramento: "o Roma o morte") ,
fraternità (i fratelli Orazi e l'abbraccio che li unisce), uguaglianza (sono tutti della stessa altezza, compiono
gli stessi gesti)".

MORTE DI MARAT

Dipinge questo quadro come omaggio all'amico, ed evita di rappresentare la realtà che aveva visto e i
particolari più raccapriccianti. Nel dipinto non compaiono gli elementi (noti dalle cronache del tempo) che
caratterizzavano il luogo del delitto e avrebbero fatto apparire l'avvenimento come un ordinario fatto di
cronaca, e Marat come una vittima qualunque. David opera una sintesi rigorosa eliminando tutto ciò che
non serve o può sviare il preciso messaggio del quadro.

Tutta la scena è estremamente sobria e spoglia riportando l'impatto drammatico e violento della situazione
reale ad una situazione ideale di calma e di distacco quasi sereno.

Manca tutto il secondo piano. La tappezzeria in carta da parati non compare, manca anche la cartina
geografica della Francia e le pistole sulla parete. Si vede un fondo verdastro quasi monocromo, stemperato
soltanto da una specie di pulviscolo dorato in alto a destra. L'effetto è ottenuto con macchioline in punta di
pennello come a formare una sorta di nebbia strana e luminescente che sembra muoversi verso Marat o
uscire da lui. L'assenza di prospettiva e di qualsiasi accenno a una parete nel secondo piano rende indefinito
lo sfondo.

Il sangue è appena accennato, il cadavere è molto composto, la morte è indicata solo dall'abbandono del
braccio e della testa appoggiata al bordo della vasca. Nelle mani Marat tiene ancora la lettera (ben leggibile
e rivolta allo spettatore) e la penna. Sulla cassetta in primo piano si vedono alcuni fogli e il calamaio con
l'inchiostro.

Anche i colori sono quasi annullati, ridotti al minimo: il bianco luminoso degli asciugamani, il verde del
drappo sulla vasca, molto simile a quello dello sfondo. L'incarnato di Marat è molto pallido.

La composizione è quindi essenziale, basata sulla semplice linea orizzontale e sulle brevi verticali della
cassetta e dei drappeggi bianco e verde, disposti molto ordinatamente. La sobrietà dell'insieme e l'arredo
povero (la cassetta usata come tavolino, la tavola coperta da drappo verde, il lenzuolo rattoppato)
rappresentano la rettitudine e lo stile di vita semplice di Marat e risaltano le virtù di un uomo modesto e
disinteressato alla ricchezza, pronto ad aiutare gli altri (la lettera).

Unico elemento fuori posto della composizione è il coltello insanguinato abbandonato a terra. Ma
l'assassina è assente. Marat sceglie di rappresentare il momento successivo all'omicidio proprio per non
mostrare il suo volto e "cancellarla" simbolicamente, come per volerla dimenticare. Rimane il coltello, che,
da un lato rappresenta la sua azione malvagia e vile, dall'altro esalta le virtù civiche di Marat che muore
vittima della sua stessa filantropia.L'opera è ricca di simboli che rinviano da un lato al tema dell'elogio
funebre dall'altro ad un atto d'accusa contro un delitto efferato.

La cassetta con la dedica, la firma e la data, che ricorda una lapide tombale, il drappo bianco e la vasca che
ricordano un sarcofago, la stessa stanza spoglia che rinvia a una tomba vista dall'interno, sono elementi che
suonano come un ultimo saluto all'amico appena scomparso.Ma David compie anche un'operazione di
sacralizzazione del soggetto, utilizzando l'iconografia che appartiene alla tradizione del Cristo deposto dalla
croce. La figura di Marat diventa simile a quella di Cristo, vittima innocente per eccellenza. La posa scelta
con il braccio destro abbandonato, rinvia a celebri opere di Pietà e Deposizioni: quella di Michelangelo, di
Raffaello e di Caravaggio. Il lenzuolo bianco allude al sudario di Cristo. Anche la luce particolare usata nel
quadro aumenta l'effetto mistico, sacro, in cui viene avvolta la figura eroica di Marat. Il parallelo con la
morte di Cristo è un modo per elevare Marat al di sopra degli altri uomini, esaltarne le virtù e proporlo
come esempio da imitare.

AMORE E PSICHE ( CANOVA )

L'opera raffigura, con un erotismo sottile e raffinato, Amore e Psiche nell'attimo che precede il bacio,
preannunciato dall'atteggiamento dei corpi e degli sguardi che si contemplano l'un l'altro con una dolcezza
di pari intensità: le loro labbra, pur essendo estremamente vicine, non sono ancora unite. Amore poggia il
ginocchio sinistro a terra mentre con la spinta della gamba destra si china in avanti, inarcando il proprio
torso e al contempo flettendo la propria testa così da avvicinarla al volto addormentato dell'amata, che
sorregge delicatamente con la mano sinistra; quella destra, invece, sfiora in modo romantico il seno di lei,
tradendo un desiderio innegabile ma non espresso. Psiche, invece, è semidistesa, rivolge il viso verso l'alto
ed alza quasi timidamente le braccia per accogliere il bacio di Amore, sfiorando con le sue dita i capelli di
lui, che presenta le ali spiegate, come se fosse appena giunto per soccorrerla. I loro corpi adolescenziali,
caratterizzati da una perfezione anatomica squisitamente neoclassica, sono completamente nudi, fatta
eccezione per un drappo che vela appena le intimità di Psiche.

Così come in tutte le sue opere Canova qui si dimostra assai sensibile all'influenza della statuaria classica,
mostrandosene debitore per l'equilibrio della composizione. Osservando il gruppo dal punto canonico di
visione (ortogonale, ovvero "davanti" alla scultura) si può cogliere come i corpi di Amore e di Psiche
intersecandosi diano vita a una X morbida e sinuosa che fa librare l'opera nello spazio: il primo arco, in
particolare, va dalla punta dell'ala destra di Amore e a quella del piede, mentre il secondo parte sempre
dall'ala e si conclude nel corpo di Psiche.[8] Il punto di intersezione tra queste due direttrici, che è anche il
punto focale della composizione (quello verso il quale è proiettato lo sguardo dell'osservatore), è
sottolineato dal delicato abbraccio dei due personaggi. Le braccia di Amore e Psiche, formando due cerchi
intrecciati, danno infatti vita a un tondo che incornicia i due volti quasi congiunti ed accentua i pochi
centimetri che dividono le loro labbra.

La visione frontale, malgrado sia quella più indicata in quanto consente di coglierne la complessa geometria
compositiva, non esaurisce affatto le possibilità di godimento dell'opera, che è leggibile da tutte le visuali. È
vedendo la scultura dal retro, infatti, che si scorgono la faretra di Amore, la fluente capigliatura di Psiche e il
vaso di Proserpina che ha causato il suo svenimento: ruotando attorno all'opera, inoltre, variano all'infinito
i rapporti reciproci tra i corpi dei due amanti, ed è solo così che ci si può rendere conto della complessità
del marmo.[9]

Amore e Psiche, in ogni caso, risponde pienamente ai principi dell'estetica del Neoclassicismo. I gesti di
Amore e Psiche, infatti, sono delicati ed espressivi, mentre i loro movimenti nello spazio sono equilibrati,
continui e ben sincronizzati; analogamente, Canova comunica il loro trasporto amoroso in modo misurato
ed equilibrato, sfumando la loro passione nella tenerezza e in un'affettuosa contemplazione.[10] Alcuni
degli aspetti dell'opera, tuttavia, già rimandano al Romanticismo: pensiamo alla sensualità che, seppur
filtrata dal neoclassicismo canoviano, avvolge tutta la composizione, all'impiego di linee di tensione interne
e al dinamismo spiraliforme che anima l'intera scultura.[11]

MARIA CRISTINA D’AUSTRIA L'opera è strutturata su un'imponente piramide bianca, ben rappresentativa
del gusto per le antichità egizie che si era diffuso in seguito alla campagna d'Egitto di Napoleone Bonaparte;
il ricorso a quest'antichissimo tipo costruttivo è probabilmente derivato dalla piramide Cestia, un edificio di
Roma del I secolo a.C., o dalle tombe dei Chigi in Santa Maria del Popolo. Il centro focale della
composizione è l'oscura apertura al centro della piramide, incorniciata da due stipiti leggermente inclinati e
da un architrave massiccio su cui leggiamo uxori optimae Albertus («Alberto alla sua ottima moglie»);
questo buio ingresso è il varco per cui si può entrare nella camera sepolcrale e, idealmente, allude alla
soglia che separa l'Oltretomba dal mondo dei vivi.

Verso quest'apertura si sta avviando una mesta processione che, ascendendo da sinistra una breve
gradinata di tre livelli, reca le ceneri della defunta; per essere precisi, queste sono contenute entro un'urna
retta dalla Virtù, la donna che dirige il corteo insieme alle due fanciulle al suo fianco. Tra i partecipanti si
nota anche un genio funerario alato dai dolci lineamenti (a simboleggiare la tenerezza del duca Alberto),
compassionevolmente poggiato sul dorso di un leone accovacciato e malinconico, in rappresentanza
quest'ultimo della forza morale; vi è anche la Beneficenza (o Pietà), resa dalla giovane donna che
accompagna verso il sepolcro una bambina seminascosta e un vecchio cieco, tenendo quest'ultimo per
braccio. In alto il funebre corteo è assistito dalla Felicità Celeste che, accompagnata da un putto in volo con
una palma in mano (simbolo della gloria), regge un medaglione recante il volto di Maria Cristina: questo
elemento è il sostituto neoclassico della statua del defunto visibile nei monumenti barocchi. Il medaglione è
inoltre contornato dall'uroboro, il serpente che si morde la coda e che simbolicamente allude al cosmo e
all'eternità.[3]

Tutti i componenti di questa dolente processione sono legati tra di loro da una ghirlanda di fiori e sono
invitati a camminare su un telo che, precariamente steso sulla gradinata come un velo leggerissimo e
impalpabile, sottolinea la continuità tra la vita e la morte.

CLEMENTE XIII

Il tema della sepoltura, abbiamo visto, è stato uno dei più praticati da Antonio Canova, che nei suoi
monumenti funebri tende alla consacrazione della memoria del defunto, secondo le esigenze tipiche della
cultura illuministica e neoclassica. Il veneziano Carlo Rezzonico è stato papa con il nome di Clemente XIII dal
1758 al 1769. Di personalità molto amabile e caritatevole interpretò su queste basi la funzione del suo
apostolato mostrandosi quale «buon pastore» e non come statista interessato agli affari politici e
diplomatici internazionali. Il monumento eretto dal Canova si trova in San Pietro in Vaticano. Questo
sepolcro è stato concepito dallo scultore secondo il classico schema a tre piani sovrapposti. Sul primo
livello, quello basamentale, poggiano le figure allegoriche: due leoni, simbolo della forza, che proteggono la
porta che da accesso al sepolcro, il genio della morte e la figura femminile con la croce in mano simbolo
della Religione. Al secondo livello è posto il sarcofago, di forme ovviamente classicheggianti. Al terzo livello
vi è la statua a tutto tondo del papa, che il Canova, interpretandone il carattere, ci rappresenta in
atteggiamento umile, il triregno simbolo di potere è posto a terra, inginocchiato a pregare.

CLEMENTE XIV

Il monumento è collocato nella Basilica dei Santi Apostoli a Roma, ed è stato realizzato per ricordare la
memoria del papa che nel 1769 successe a Clemente XIII. Lorenzo Ganganelli, nativo di Sant’Arcangelo di
Romagna, è stato papa con il nome di Clemente XIV dal 1769 al 1774. La decisione più importante presa da
Clemente XIV è stata la soppressione dell’Ordine dei Gesuiti nel 1773. La questione dei gesuiti era in quegli
anni la più scottante nei rapporti tra gli stati europei e il papato. La nuova cultura illuministica affermatasi
nella seconda metà del Settecento aveva preso di mira questo che tra gli ordini religiosi appariva il più
potente ed influente. Da ricordare che in quegli anni i gesuiti detenevano quasi il monopolio
dell’educazione dei giovani grazie ai numerosissimi collegi che essi avevano fondato a partire dalla metà del
Cinquecento in tutta Europa. L’ordine veniva anche stimato come dotato di favolose ricchezze, e la
prospettiva di incamerarne i beni era un obiettivo condiviso da molti regnanti europei. Se Clemente XIII
riuscì ad arginare i tentativi di soppressione dell’ordine, Clemente XIV ne fece invece una sua questione
programmatica riuscendo a divenire papa proprio sulla base di questo suo atteggiamento. Papa quindi dalla
personalità volitiva e portata alla gestione del potere, viene infatti rappresentato da Canova assiso in trono,
con il triregno in testa, e in atteggiamento severo. Il braccio destro proteso in avanti diviene quindi simbolo
della sua capacità di prendere ed imporre decisioni anche di grande portata storica. Il monumento, come
quello realizzato per Clemente XIII si svolge su tre livelli. Sulla parte basamentale vengono collocate due
figure femminili, allegorie dell’Umiltà e della Temperanza, al secondo livello viene posto il sarcofago, infine
a coronare il monumento la statua del papa.

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