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Pietro perugino

Nasce a castel del piave – ora città della Pieve – presso Perugia. Inizia la sua attività in Umbria alla bottega di
Bartolomeo Caporali e in seguito si recò a Firenze. Qui stette per qualche anno sotto la guida e
ammaestramento d’Andrea Verrocchio, avendo come compagno Leonardo. Dal 1472 è pittore indipendente,
già conosciuto con il soprannome di Perugino. Egli aprì una seconda bottega a Perugia (la prima a Firenze) a
causa delle numerose commesse provenienti da ogni parte dell’Italia. La fama dell’artista venne oscurata con il
tempo da Leonardo e dai giovani allievi di Raffaello. Allora abbandonò i centri maggiori (Firenze e Roma) per
ritirarsi in Umbria, dove operò fino alla morte nel 1523. I caratteri della sua pittura sono gli stessi degli artisti
fiorentini del Quattrocento: la linea di contorno, l’abilità nel disegno e la propettiva.

Il disegno

Testa maschile con lunga barba

La testa è volta a destra e inclinata verso il basso con gli occhi semichiusi. É realizzata quasi interamente a
punta d’argento. La capigliatura è composta da pochi e rapidi tratti ad ampie curve, i segni si addensano nella
definizione della barba la cui morbidezza è causata dalla biacca stesa a pennello con linee ondulate. La biacca
contribuisce anche alla resa volumetrica del volto. Le linee di contorno sono molto delicate.

Testa di una figura femminile

È tracciata a pietra nera e acquerello marrone su carta preparata gialla. Le forature a punta di spillo lungo le
linee più significative rivelano che il disegno è stato impiegato per un dipinto che, però non si conosce. La
donna ha la testa leggermente reclinata verso sinistra, mentre volge gli occhi dal lato opposto. Il volto ovale è
incorniciato da una massa ondeggiante di capelli intrecciati a bende. Viene utilizzata la biacca per la resa
tridimensionale della figura.

La donna esprime malinconica dolcezza e l’anziano una calma pensona: queste sono caratteristiche ricorrenti di
tante figure che popolano i dipinti di Pietro Perugino.

CONSEGNA DELLE CHIAVI A SAN PIETRO

È considerato il capolavoro di Perugino. È un grande affresco che realizza nel complesso dei Palazzi Vaticani,
nella Cappella Sistina (dedicata all’Assunta) tra il 1481 e il 1483. Viene eseguito in cinquantuno giornate e in
alcuni tratti mostra le linee del riporto diretto (tecnica mediante la quale il disegno preparatorio veniva
riportato direttamente dal cartone sulla parete seguendone i contorni con una lama o una punta in grado di
incidere l’intonaco da dipingere), in altri punti la puntinatura dello spolvero. Tra tutti i dipinti quattrocenteschi
è quello più carico di significato: viene resa esplicita la trasmissione del potere da Cristo a Pietro e da questi ai
papi suoi successori. L’episodio è ambientato in una piazza antistante un grande tempio a pianta centrale
affiancato da due archi di tronfo gemelli, citazioni quasi letterali dell’Arco di Costantino. Il tempio a pianta
ottagonale che si espande nello spazio mediante i quattro protiri allude alla nuova chiesa fondata da Cristo. La
pavimentazione è a scacchiera ed allude al tracciato prospettico don il punto di fuga nel portale del tempio,
sull’asse di simmetria del dipinto, mentre la linea dell’orizzonte coincide con il margine superiore dei muretti
che dividono la parte edificata dalla retrostante. Perugino nun utilizza solo la prospettiva ma anche i rapporti
numerici; infatti, il tempio ha lunghezza pari alla somma di quella degli archi trionfali. Per quanto riguarda la
disposizione dei personaggi struttura la scena su due fasce: la prima inferiore con Cristo e gli Apostoli (tutti
disposti in primo piano), più stretta la superiore dedicata alle figurette dei piani più lontani. Cristo porge a San
Pietro le chiavi del Paradiso (chiave d’oro=potere spirituale/chiave di bronzo=potere temporale). Il cielo bianco
in basso e azzurro in alto è una caratteristica ricorrente nei paesaggi di Perugino. Un’altra caratteristica
ricorrente è la gravitazione su una sola gamba che conferisce alle figure una grande dolcezza poiché in questo
modo le priva di ognui tensione che, invece, caratterizzava la pittura dei Fiorentini contemporanei di Perugino.
L’unione all’interno dell’affresco di solennità del momento e la serenità della contemplazione creano uno stile
definibile “classico”.

SAN SEBASTIANO

Dipinto intorno al 1490, San Sebastiamo (martire) è rappresentato contro una colonna (alla quale è legato)
situata esattamente al centro della tavola. Vi è una pavimentazione a riquadri che termina con una transenna
oltre la quale si sviluppa un paesaggio fatto di verdi collline punteggiate di arbusti e di picchi scoscesi. Due
pilastri sostengono degli archi contribuendo alla simmetria. Quest’ultima è rotta dal rudere di un pilastro e
dallì’accenno a un arco longitudinale crollato, nel lato sinistro (evidenti riferimenti alle rovine ammirate nel
soggiorno romano). Il soggetto è rapppresentato in quasi completa nudità, trafitto da due frecce, si mostra con
il volto e gli occhi verso l’alto. Il busto è leggermente ruotato verso sinistra e la spalla destra è leggermente
abbassata. Elementi statuari classici=atteggiamento aggraziato, nudità eroica, lunghe membra. Nella parte
inferiore della tavola vi è una scritta che sottolinea il carattere sacro del dipinto (le tue frecce sono penetrate in
me).

CONFRONTO CON SAN SEBASTIANO DI ANTONELLO DA MESSINA

In Antonello la scena si svolge in una piazza veneziana e infatti San Sebastiano non è l’unico personaggio del
riquadro – in Perugino la scena si svolge in un ambiente non ben identificabile: troviamo un pavimento a
riquadri che termina su una bassa transenna oltre la quale si può scorgere un vasto paesaggio naturale e
Sebastiano è l’unico essere umano che si può vedere nel dipinto

In Antonello il protagonista è legato ad un tronco d’albero- invece in Perugino è legato ad una colonna

In entrambi è quasi completamente nudo ad eccezione di un sottile indumento che gli copre le nudità

In entrambi San Sebastiano ha la testa leggermente reclinata verso l’alto e lo sguardo rivolto verso il cielo, con
animo sereno
In Antonello il simbolo di vita spezzata è una colonna rovesciata a terra vicino a San Sebastiano – in Perugino il
simbolo di morte è il rudere di un pilastro

RITRATTO DI FRANCESCO DELLE OPERE

È un ritratto influenzato dalla pittura fiamminga, in specie da quella di Hans Memling. Il soggetto, intagliatore di
pietre dure, Francesco delle Opere è probabilmente un ammiratore del sìSavonarola in quanto tiene in mano
un cilindretto di carta su cui si legge l’inizio di una nota predica del frate ferrarese. È raffigurate in tralice (trilix=
di traverso) dietro un muretto su cui appoggia le mani, una distesa e una chiusa a pugno. L’abbignamento e lo
sguardo fisso verso l’osservatore ne denota un carattere deciso, autoritario e vigile . La cura dei dettagli è
elevata nella rappresentazione della figura (capelli disordinati, bocca irregolare, verruca sullo zigomo sinistro,
piega alla radice del naso). Alle sue spalle, tra le due formazioni rocciose (destra e sinistra) si sviluppa un
paesaggio veriegato. È presente anche un torrente e un paese. La linea orizzontale definisce il confine tra cielo
e mare (oppure il lago trasimeno). Il cielo andando verso l’alto riprende il colore profondo del mare (o del lago).

CONFRONTO CON RITRATTO DEL DOGE LEONARDO LOREDAN (Bellini)

Entrambi i protagonisti del ritratto si stagliano dietro un parapetto

Il doge è ritratto quasi frontalmente ma con la testa leggermente girata verso sinistra; - in Perugino l’uomo è
rappresentato in tralice, o di tre quarti

Il vestiario è ben diverso in un ritratto rispetto all’altro: il doge indossa il corno togale e il mantello dai bottoni
di forma sferica, segni della propria autorità, entrambi in seta damascata e fili d’oro; - Francesco delle Opere,
invece, in quanto intagliatore di pietre dure, è rappresentato come uno di essi

In entrambi gli uomini la bocca è irregolare: nel caso di Bellini, dietro questa scelta vi è un significato, infatti la
metà di destra, più sorridente, rappresenta la faccia benevola del potere; invece, quella di sinistra rappresenta
la faccia severa. - In Perugino non si cela nessun significato dietro le asimmetrie del volto di Francesco, ma
semplicemente la voglia di dipingere un soggetto per quello che è, ritraendo in questo caso una verruca, una
bocca irregolare e una piega alla radice del naso

Bellini dipinge lo sfondo in modo monocromatico di un azzurro che tende a schiarirsi in basso, a rappresentare
l’azzurro del cielo-Perugino dipinge più di un piano di un paesaggio naturale, in cui si possono vedere alberi,
colline, anse di fiume e persino una città in lontananza

Entrambi scrivono qualcosa nel dipinto: nel caso di Bellini c’è la sua firma su un cartiglio attaccato al parapetto
dietro cui si staglia il doge-nel caso di Perugino è rappresentato nella mano dell’uomo un cartiglio che sporge
da un cilindretto di carta arrotolata, che recita la frase “temete Dio”, ripresa da Savonarola

CONFRONTO CON RITRATTO DI GIOVANE UOMO (Antonello da Messina)

Entrambi i protagonisti dei ritratti sono raffigurati di tre quarti

Entrambi gli artisti danno grande importanza agli occhi: in Antonello, lo sguardo acuto e penetrante è rivolto
verso chi guarda e conferisce al personaggio un’aria viva ma anche enigmatica - in Perugino gli occhi color
nocciola sono fissi in quelli di chi guarda e conferiscono a Francesco una natura vigile e accorta
I capelli in Antonello sono tagliati a caschetto - in Perugino sono sottili e crespi e incorniciano il volto del
personaggio

In entrambi si da attenzione ai particolari, come alla forma della bocca e del naso

Lo sfondo in Antonello è totalmente nero - Perugino dipinge più di un piano di un paesaggio naturale, in cui si
possono vedere alberi, colline, anse di fiume e persino una città in lontananza

MADONNA CON IL BAMBINO

La Vergine è seduta e rappresentata di tre quarti con un manto azzurro e una veste rossa. Il suo volto è limpido
e con uno sguardo verso il basso sembra esprimere tristezza. Il bambino, tenuto in braccio, ha la testa volta
verso sinistra all’esterno del dipinto. Il chiarore del paesaggio è necessario a contrastare la grande macchia
rossa e azzurra della Vergine.

ESPERIENZE ARCHITETTONICHE NEL SECONDO QUATTROCENTO

Gli architetti subiscono l’influenza delle architetture di Brunelleschi e di Alberti; l’architettura si adatta
soprattutto alle tradizioni dei centri nei quali si diffonde. Il riferirsi all’Antico è un atteggiamento che muta
leggermente, in quanto ora vi è il riferimento all’Antico locale, dato che i poteri locali e le città più importanti
ora desiderano riscoprire le loro glorie passate, con il fine di rafforzare il proprio potere politico o per nobilitare
le proprie origini.

A Roma, però, questo processo è più lento. Durante i secoli precedenti le architetture avevano conservato un
linguaggio di tipo aulico e la presenza dell’Antichità era ormai diventata ordinaria. Gli architetti romani non
aderirono mai con vigore all’innovazione dell’architettura classica, ossia quel linguaggio che fu la base
dell’attività creativa di Brunelleschi. Ecco perché Roma cominciò a rinnovarsi in senso rinascimentale solo a
metà ‘400.

Mauro Codussi a Venezia

Nasce a Lenna (Bergamo) nel 1440, lavora a Ravenna e poi sulla costa romagnola, conosce le opere di Alberti e
le antichità romane di Verona, viaggia fino in Istria, ma torna a Venezia nel 1468, dove lavorerà fino alla sua
morte nel 1504

CHIESA DI SAN MICHELE IN ISOLA

Viene progettata da Codussi nel 1468 ispirandosi al Tempio Malatestiano di Alberti. L’edificio è a tre navate e in
corrispondenza della seconda campata è attraversato in modo trasversale dal barco, ossia un coro pensile. È
ricoperto da una superficie piana, invece il presbiterio, che è delimitato da dei pilastri, è cupolato e termina con
un’abside semicircolare. La facciata realizzata in pietra bianca d’Istria è tripartita per mezzo di quattro paraste
che sostengono una trabeazione. Il fregio è percorso da una scritta in lingua latina e un fastigio ad arco di
circonferenza chiude la porzione centrale della chiesa. Due semitimpani curvilinei sovrastano le porzioni laterali
e accolgono due conchiglie ornamentali.

Giovanni Antonio Amedeo

Nasce a Pavia nel 1447; lavora principalmente nella città natale, ma anche a Cremona, Bergamo e Milano, dove
morirà nel 1522

CAPPELLA COLLEONI

Venne realizzata a Bergamo per il capitano di ventura Bartolomeo Colleoni in modo che diventasse il proprio
mausoleo. La cappella si trova tra il fianco e il braccio sinistro del transetto della Basilica di Santa Maria
Maggiore. La pianta è molto simile a quella della Sagrestia Vecchia di San Lorenzo, quindi è un vano quadrato di
grandi dimensioni a cui segue una scarsella (abside a pianta rettangolare) dove si trova l’altare. Entrambi gli
ambienti sono coperti da cupole estradossate su un tamburo ottagonale. La facciata è inquadrata da due
paraste ornate di medaglioni. La superficie è ricca di inserzioni marmoree, contro cui si stagliano il grande
rosone centrale, le finestre e il portale timpanato. Le paresti esterne della scarsella invece sono più sobrie, in
quanto sono percorse da semplici paraste scalanate. I rinvii all’Antico sono molti, a partire dai tondi con profili
di imperatori

Francesco di Giorgio Martini

Nasce a Siena nel 1439; è attivo come architetto soprattutto a Siena, ma anche a Urbino e Cortona.

BASILICA DI SANTA MARIA DELLE GRAZIE AL CALCINAIO

Viene realizzata tra il 1484 e il 1515 intorno ad Arezzo e concluso per la precisione da Pietro di Domenico di
Norbo, il quale costruì la cupola a quinto acuto e il tamburo a pianta ottagonale, raccordato all’impianto
quadrato per mezzo di pennacchi cilindrici (di ispirazione fu senza dubbio la chiesa di Santa Maria del Fiore).
L’edificio possiede una singola navata, un transetto e un coro, tutti coperti con volte a botte. Le mura dalla
parte interna sono dotate di profonde nicchie, invece all’esterno sono divise in tre fasce per mezzo di una
cornice e di due trabeazioni che circondano per intero l’edificio. Nel secondo ordine troviamo finestre a
edicola, mentre nel terzo possiamo vedere degli oculi. All’interno della chiesa il terzo ordine esterno si tramuta
in archi che congiungono le paraste delle due pareti parallele

Giuliano da Sangallo

Nasce a Firenze tra il 1445 e il 1452; lavora come scultore, disegnatore e architetto in Toscana, a Roma, ma
anche a Napoli e in Francia. Muore a Firenze nel 1516

VILLA MEDICEA DI POGGIO A CAIANO


Viene realizzata a partire dal 1485 al centro di una tenuta agricola. È composta da un grande pian terreno a
pianta quadrata, dotato di un grande porticato su pilastri e di un complesso residenziale sovrastante,
circondato da una terrazza alla quale si poteva accedere mediante due rampe di scale. Il primo e il secondo
piano, a forma di “H”, si articolano attorno ad un fulcro centrale che racchiude tre ambienti, ossia un portico,
un vestibolo e un salone, riprendendo il modello dell’antica domus romana. Il portico è coperto da una volta a
botte cassettonata e possiede il fronte simile a quello di un tempio esastilo classico, con un frontone centrale
nel quale si trova lo stemma della famiglia Medici. Varie caratteristiche di questa villa riprendono il Palazzo
Acciaiuoli di Atene

PALAZZO DELLA CANCELLERIA

Viene realizzato per mano di Baccio Pontelli a partire dal 1489 per diventare la residenza del cardinale Raffaele
Riario. L’edificio ha la forma di un trapezio con quattro torri agli angoli ed è rivestito di travertino con il fronte
principale bugnato. Il primo e il secondo piano sono dotati di lesene su alti piedistalli, invece quello
basamentale è semplicemente bugnato. Nel cortile interno colonne di granito grigio e rosa di ordine tuscanico
sostengono archi nei cui timpani si può notare lo stemma dei Riario

ARCO DI CASTELNUOVO

Viene realizzato da Pietro da Milano tra il 1452 e il 1468 nel Maschio Angioino, stretto tra la Torre di Guardia e
la Torre di Mezzo. È caratterizzato da una sovrapposizione di archi che vengono uniti da un fregio celebrativo
dell’ingresso trionfale di Alfonso a Napoli nel 1443. Anche l’arco superiore è coronato da un fastigio con
quattro nicchie che ospitano le personificazioni delle quattro virtù cardinali e una coppia di divinità fluviali che
reggono delle cornucopie. Nel fregio di mezzo è raffigurato il corteo che avanza da sinistra verso destra,
preceduto da musici a cavallo, seguiti dal re e dai dignitari. Alfonso è seduto su un trono al di sopra di un carro
trainato da quattro cavalli guidati dalla personificazione della Fortuna

INNOVAZIONI: L’arco di trova nel Maschio Angioino, per la cui ristrutturazione Alfonso I d’Aragona aveva
utilizzato il “De Architectura” di Vitruvio – è originale il tema della sovrapposizione di due archi

RIFERIMENTO ALL’ANTICO: il corteo rappresentato nel fregio di mezzo è ispirato alle celebrazioni dei trionfi
dell’antica Roma, più in particolare al corteo raffigurato nei rilievi dell’Arco di Tito – il corteo si staglia contro un
muro bugnato con parastine corinzie, che è una ripresa degli ordini classici e della finitura parietale.

CAPPELLA SISTINA
Venne realizzata tra il 1475 e il 1481 per volere di Francesco della Rovere, conosciuto come papa Sisto IV. La
costruzione, che si deve a Giovannino de’ Dolci, consiste in un parallelepipedo coronato da una merlatura al di
sopra di un camminamento sorretto da beccatelli, ossia elementi architettonici usati per sostenere parti
sporgenti di un edificio. La cappella all’interno si presenta come una grande aula coperta da una volta a
padiglione lunettata. Le pareti sono tripartite per mezzo di cornici, mentre il pavimento è di tipo cosmatesco,
che rinvia alla ricchezza decorativa degli antichi romani.

I propositi di ripristino dei più importanti monumenti cristiani di Roma, devastati dall'abbandono, dall'incuria e
dalle lotte civili durante la cattività avignonese, fu uno dei progetti più ambiziosi dei papi del XV secolo, a
partire da Martino V. Sisto IV raccolse questo impegno e già poco dopo la sua elezione (agosto 1471), iniziò
un'opera di interventi di recupero e monumentalizzazione del tessuto urbano di Roma, che culminò nella
ricostruzione e nella decorazione della cappella palatina del Palazzo Apostolico, che in seguito prese il suo
nome.

Il tema della decorazione era il parallelismo tra le Storie di Mosè e quelle di Cristo, che evidenziasse la
continuità tra Vecchio e Nuovo Testamento e la trasmissione della legge divina dalle tavole della Legge al
messaggio evangelico di Gesù, il quale poi scelse san Pietro come suo successore, legittimando il potere, la
supremazia e l’infallibilità dei suoi successori, cioè i pontefici stessi.

Il programma generale della decorazione pittorica della cappella fu articolato su tre registri dal basso verso
l'alto: lo zoccolo con finti arazzi, il secondo ordine con scene del Vecchio Testamento (scene della vita di Mosè)
e del Nuovo Testamento (scene della vita di Cristo) e infine l'ordine più alto con la rappresentazione di pontefici
martirizzati.

La decorazione pittorica venne avviata, nella parete dietro l'altare (quella oggi del Giudizio ), dal Perugino, il
quale aveva già lavorato per il papa nella distrutta Cappella della Concezione nell'antica basilica di San Pietro in
Vaticano e che realizzò anche la pala d'altare raffigurante la Vergine Assunta. La volta fu decorata da un cielo
stellato di Piermatteo d'Amelia, seguendo una tradizione medievale.

Nel frattempo il signore di Firenze Lorenzo de' Medici, nell'ambito di una politica riconciliativa con gli avversari
che avevano appoggiato la Congiura dei Pazzi (1478), tra cui lo stesso papa, propose l'invio dei migliori artisti
presenti allora sulla scena fiorentina, quali ambasciatori di bellezza, armonia e del primato culturale di Firenze.
L'offerta venne accettata e il 27 ottobre 1480 Sandro Botticelli, Cosimo Rosselli, Domenico Ghirlandaio e i
rispettivi collaboratori partirono per Roma, dove sono documentati all'opera dalla primavera del 1481.

Domenico Ghirlandaio – San Clemente I e Sant’Anacleto

Questi papi sono raffigurati come se fossero sculture a tutto tondo, all’interno di nicchie dal catino a conchiglia.
I papi vengono identificati da una scritta in caratteri lapidari sotto le nicchie e presentano una volumetria molto
solida. Indossano, sopra la veste, dei piviali; i loro volti, se pur idealizzati, appaiono caratterizzati in modo
psicologico.

Sandro Botticelli – Punizione di Core, Datan e Abiron

Il dipinto rappresenta le punizioni che toccarono ai sacerdoti ebrei, membri delle famiglie di Qarah, Dathan e
Abiram, che negavano a Mosè e Aronne l'autorità civile e religiosa sul popolo eletto, e per questo furono
inghiottiti assieme alle loro famiglie dalla terra e consumati dal fuoco. Si tratta di un'evidente allegoria del
potere papale e della punizione che spetta a chi osi opporsi alla sua autorità derivata da Dio, soprattutto se si
considera che nell'episodio simmetrico sulla parete opposta si trova la Consegna delle chiavi, cioè il
fondamento del primato di Pietro e quindi della Chiesa di Roma. Mosè rappresenta i poteri civili e Aronne quelli
sacerdotali, che vennero poi riunificati in Cristo, nuovo legislatore, guida e sacerdote massimo, e da questi
passati alla Chiesa attraverso san Pietro.

Il dipinto va letto da destra verso sinistra, come tutti quelli della parete sud: a destra Giosuè salva Mosè dalla
lapidazione dei ribelli; al centro, sullo sfondo dell'Arco di Costantino, Mosè alza la verga ed il fuoco divino
disperde ed uccide i sacerdoti ribelli; infine, la terra si apre ed inghiotte i Leviti, ad eccezione di due giovani
sollevati su piccole nubi.

Sullo sfondo si vede un paesaggio lacustre, con scogliere e navi; sulla destra una basilica in rovina, ispirata a
quelle esistenti nel Foro Romano, che rappresentano l’incompletezza della Rivelazione nell’Antico Testamento,
che si sarebbe compiuta solo con l’arrivo di Cristo.

Pietro Perugino – Battesimo di Cristo

La scena è impostata secondo uno schema simmetrico, tipico di Perugino. Al centro il fiume Giordano scorre
dritto verso lo spettatore, fino ai piedi di Gesù e di Giovanni Battista che lo sta battezzando, in primo piano. Dal
cielo scende la colomba dello Spirito Santo, inviata da Dio Padre in alto, rappresentato entro un nimbo di luce
con serafini e cherubini e affiancato da due angeli in volo. A questo asse centrale converge anche il paesaggio,
con una visione simbolica della città di Roma (si riconoscono tra le mura un arco di trionfo, il Colosseo e il
Pantheon) verso la quale tendono le linee di forza delle due quinte rocciose digradanti ai lati. Alle due
estremità si svolgono due episodi secondari, pure improntati a una simmetria che ne sottolinea le analogie
dottrinali: la predica alle folle del Battista (sinistra) e di Gesù (a destra). Tipico dell'artista è anche il paesaggio
che sfuma dolcemente in lontananza, punteggiato da esili alberelli, che divenne uno degli elementi più
riconoscibili della scuola umbra. Alla scena in primo piano partecipano anche due angeli inginocchiati che
tengono un asciugamano.

Cosimo Rosselli – L’Ultima Cena


La scena fa parte delle Storie di Gesù e, come altre del ciclo, mostra più episodi contemporaneamente.
L'iscrizione sul fregio riporta: REPLICATIO LEGIS EVANGELICAE A CHRISTO. Il cenacolo è ambientato in
un'esedra semicircolare, dove si vede il tavolo a ferro di cavallo con Gesù al centro e gli apostoli ai lati. Giuda,
come di consueto, è rappresentato dall'altro lato della tavola di spalle, seduto su uno sgabello, con l’aureola
nera, una posizione riservata solitamente alle figure negative, come suggeriscono anche i vicini cane e gatto in
lotta. La scena mostra il momento immediatamente successivo all'annuncio da parte di Gesù del tradimento di
uno degli apostoli, che genera alcune reazioni, in realtà molto composte e appena espressive quanto basta, tra
gli astanti, come il toccarsi il petto per chiedersi se il tradimento sia causato da essi stessi o il parlottare
dubbioso a coppie.

Sulla tavola non sono presenti vivande, ma un solo calice davanti a Cristo, mentre in primo piano si trovano in
bella mostra stoviglie dorate e argentate, una piccola natura morta derivata dall'esempio dell'arte fiamminga, a
quei tempi molto viva a Firenze. Ai lati della scena si trovano due coppie di astanti contemporanei, riccamente
abbigliati nelle loro vesti moderne. Davanti a uno di loro, a sinistra, si trova anche un cagnolino che si leva sulle
zampette come per chiedere da mangiare.

Nelle finestre dietro la spalliera sono raffigurati tre episodi della Passione: l'Orazione nell'orto, la Cattura di
Cristo e la Crocifissione. Si tratta di scene da alcuni attribuite a Biagio d'Antonio, e che più che avvenire nel
paesaggio, che comunque è integrato tra scena e scena, appaiono come dipinti nel dipinto.

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