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Sala del sogno," allestita alla Biennale di Venezia del 1907

Alessia Serraino, matr. 15173B, Accademia Albertina, Didattica dell’arte, A.A.2022/2023

Alla Biennale di Venezia del 1907 è di scena il Simbolismo. Ad esso si ispira la sala
internazionale L'Arte del Sogno, allestita dal toscano Galileo Chini, assieme a Plinio
Nomellini, Gaetano Previati e Edoardo De Albertis. La Sala Internazionale che presenta i
quadri della Pittura è quella del Sogno, qui le decorazioni hanno un'ideale rispondenza con
le opere. La mostra si concentra, in particolare, tra i più importanti artisti di questa costante
fruttuosa collaborazione tra cui Previati, Morbelli, Alberto Martini, Denis, Stuck e molti
protagonisti del simbolismo italiano ed europeo.
Visitò la mostra anche uno degli artisti più importanti, Umberto Boccioni, e spiegò che nel
complesso la mostra non gli piaceva ma una sala lo appasionò e fu la Sala del Sogno, a
differenza dei giudizi degli altri critici che invece, non sono così positivi. Con diverse note e
riferimenti, i critici Ximenes, De Gaufridy, De Maria, La Sarfatti, Lancellotti reagirono male.

Il pittore livornese Plinio Nomellini pensava già dalla Biennale precedente del 1905, alla Sala
dell’Arte del Sogno, e condivise il pensiero con gli artisti Adolfo De Carolis ed Edoardo De
Albertis come scrisse anche al generale Antonio Fradeletto. La Sala dell'Arte del Sogno si
incarna già pienamente in questa visione, fusione archetipica di idealismo cristiano e pagano
e mitologia storica, omaggio diacronico a Venezia: ecco le ragioni della chiusura della sala
d'arte/cattedrale nell'abside, sormontato da decorazioni a fregio; inserendo un synthronos
laico, i successivi seggi degli anziani, nelle chiese paleocristiane e altomedievali. Al posto del
trono, s’incastonava l’effigie dipinta di Garibaldi, laica divinità, proprio nell’anno in cui si
celebrava il primo centenario della nascita dell’Eroe dei due mondi. Nel fregio per la prima
sala internazionale a tema nella storia della Biennale veneziana, Chini riprese un tema
iconografico, (Fig.1) la teoria di putti danzanti, già proposto all’Esposizione di Milano del
1906. Chini riservò a Venezia la sua idea,e la collocò nell’area sacra del fregio superiore per
sottolineare che la città aveva riconquistato la sua supremazia artistica ed era tornata a
scolgere un ruolo attivo nellla salvezza dei popoli civilizzati attraverso l’arte. In alto, al
centro dell’abside, trionfava l’arazzo , oggi perduto, con l’immagine del Leone di San
Marco- sinolo di sacro e laico- disegnato quasi per certo da De Albertis, del quale erano pure
i rilievi con figure velate da fluenti panni liberty, cammei verticali che ritornavano il fregio.
Sul sinthronos in marmo, i cuscini in cuoio di Pizzanelli, con decorazioni e frange di esotico
ricordo bugattiano, davano alla sala un’aura di atmosfera ancestrale. L’artista toscano Galileo
Chini, con Nomellini, dovrà sovrintendere tutte le fasi dell’allestimento; si incaricherà di
dipingere il fregio, che deve svolgersi tutto intorno alla sala, e di realizzare la pavimentazione
in gres. A Chini si attribuiscono nelle fasce decorative che sottolineano l’esedra della Sala ,
un gusto classicista in un'accezione dotata di disinvoltura e agilità, che sfuma i toni
magniloquenti in direzione di purismo quattrocentista risolto in ritmi misurati e gradevoli
accensioni cromatiche. a questa decorazione le cronache contrappongono il fregio
monocromo di sartorio, indubbiamente molto più ricco di ambizioni, energia e implicazioni
simboliche - sorta di un anteprimaa di uno stile che diverrà tipico nei monumenti pubblici.
Del fregio, smembrato a conclusione della rassegna, si conservano, presso la Fondazione La
Biennale a Venezia, solo due pannelli. Vi sono rappresentati putti danzanti e musicanti che
reggono ghirlande e nastri; sullo sfondo la laguna, transiti di nubi nel cielo ed il gonfalone
della città che si gonfia al vento. La tecnica usata risulta estremamente estemporanea e
veloce, forse anche per il poco tempo a disposizione. L’artista dipinge direttamente sulla tela
di canapa che costituisce il supporto, priva di preparazione con colori e una pennellata veloce
e sommaria che non indugia sui particolari, ma tende a rendere il ritmo d’insieme.

Alla decorazione della sala, collaborano per la realizzazione dei pavimenti a motivi fitomorfi
e pavoni Chino Chini, e per la parte scultorea. sovrapporte e fregi - Edoardo de Albertis,
mentre le tende e i cuscini che echeggiano motivi secessionisti Pizzanelli, e riscuote infatti
un gran successoe riceve anche un “premio speciale superiore”, nonostante le polemiche di
alcuni critici, il suo intento è di ottenere un allestimento il più possibile volto a quella
integrazione delle arti, che la Biennale non sempre è riuscita a testimoniare.

Fig.1 Fregio, con putti festanti, realizzati per la Sala del Sogno alla VII° Biennale di Venezia
del 1907

Altro punto di riferimento è appunto Plinio Nomellini. Il geniale artista livornese, parttio da
un andamento impressionista e da una tecnica divisionista per giungere ad una significazione
idealistica, a genova dall’inizio degli anni Novanta, ha vissuto un’ importante stagione,
impegnata in una pittura a forte tematica sociale , con risultati fra i più notevoli della sua arte.
la tecnica divisionista intesa come elemento rinnovatore sul piano del linguaggio, è al
servizio di uno slancio populista con forti venature anarchiche.1
Il pittore livornese Nomellini era però a conoscenza di un dibattito critico più esplicito: la
necessità di superare la divisione delle scuole regionali imposta alla Biennale fin dal 1901; di
l'apparente antagonismo della mostra daronchiana di Torino del 1902, presentandosi in fase
iniziale di progettazione come tentativo estremo di riscatto nazionale, stimolo fruttuoso a cui,

1 - M. F. Giubilei, Venezia 1907. La Sala dell’Arte del Sogno alla Biennale, una "corsa nei campi dell’ideale",
in Il simbolismo in Italia, a cura di Maria Vittoria Marini Clarelli, Fernando Mazzocca, Carlo Sisi, catalogo
della mostra, Venezia, Marsilio, 2011, p. 65
dal 1903, contribuisce anche la Biennale Art Déco, le cui sale sono progettate con una
coerenza di segno.
In questi anni, Nomellini matura convinzioni politiche vicine all’anarcosindacalismo che lo
portano a realizzare l’opera dedicata a “Garibaldi”, è un'immagine celebrativa delle battaglie
guidate da Giuseppe. L’opera non rappresenta quindi un fatto in particolare. Infatti il
condottiero è rappresentato in posizione stante quasi in forma monumentale. Garibaldi inoltre
ascolta il trombettiere che suona “la diana”, il motivo che incita i soldati alla battaglia.
Questo atteggiamento ricorda il rispetto che il comandante manifestava nei confronti dei
volontari.L’atmosfera evocativa del dipinto è anche sottolineata dal colore utilizzato in modo
simbolico. Infatti abbonda il rosso che colorava la divisa dei garibaldini. Inoltre il cavallo di
Garibaldi non è bianco ma assume un tono marrone scuro che evidenzia in controluce il
generale.

Fig.2 Plinio Nomellini,Garibaldi, 1907. Livorno, Museo Civico Giovanni


Fattori.

Insiema a Garibaldi vi è anche Gli Insorti, opere che si pongono come trasferimento
dell’ideologia risorgimentale nel mito, esemplare di una ripresa idealistica della cultura
italiana in chiave nazionalistica, ed espone nella Sala: la Nave corsara e Alba di gloria che
esprimono, in esuberanza simbolica, figurazioni mediate anche da una tipica letteratura
contemporanea. L'allegoria del nazionalismo eroico della Nave trova paralleli nelle opere
letterarie contemporanee: nel 1908, dopo oltre quattro anni di stesura, D'Annunzio pubblica
La Nave, una tragedia in tre atti, in cui il mito della fondazione di Venezia è raccontato in
termini nazionalisti ed espansionistici, tema indagato a fondo. I temi della violenza, del
desiderio femminile e del transumanesimo emergono da una trama particolarmente
complessa.
Ma Nomellini era preoccupato per la sfida con gli stranieri si legge in una nota a De Albertis:
“Bisognerà fare o la più bella o nulla. Non sarà facile, ma ci riusciremo. Figurati che una sala
sarà fatta dai secessionisti viennesi, i quali farà benissimo, ma non bisognerà far meglio” 2.
Vi fu il confronto con la vicina sala russa, ordinata Sergej Djaghilev, che vi aveva portato 89
opere di 35 artisti, sia col padiglione del Belgio, firmato dall’architetto Leon Sneyers, con cui
Vittorio Pica aprì il suo excursus critico sulla Biennale.
A questo proposito il collaboratore Edoardo De Albertis eseguì una pregevole serie di
sculture decorative costituita da quattro Cariatidi, due Sovrapporte a bassorilievo e un Sedile
monumentale a forma semicircolare, colorato chimicamente. In alto, al centro dell’abside,
trionfava l’arazzo , oggi perduto, con l’immagine del Leone di San Marco - sinolo di sacro e
laico - disegnato quasi per certo da De Albertis, del quale erano pure i rilievi con figure velate
da fluenti panni liberty, cammei verticali che ritornavano il fregio. Sul sinthronos in marmo, i
cuscini in cuoio di Pizzanelli, con decorazioni e frange di esotico ricordo bugattiano,
infondevano alla sala un’aura di atmosfera primigenia. 3
Nomellini pose al centro dell’esedra, sotto il Leone di San Marco e in asse con la porta di De
Albertis, il suo luminoso dipinto con un “rifulgente” Garibaldi a cavallo, il ribelle splendido
d’Aspromonte, che si irradiava ne l’ideale.
Tarchiani fu una fonte ispiratrice del progetto per Plinio, come si suppone dal suo articolo
Vecchie e nuove tendenze a Venezia in “Hermes”. Recensendo la sesta Biennale, raccontò le
suggestioni provate in una visita alla cattedrale di Torcello mentre saliva verso il trono
marmoreo: con piede vacillante, guardandomi attorno quasi fossi per distaccarmi dalla vita
presente; e mi sembrava per una volonta oscura, di avvicinarmi verso un confine ignoto e
pauroso, di risalire verso età lontane, di entrare e perdermi nel dominio del sogno e del mito.
Non questo regno vive quel trono che biancheggia nella rigida severità dell’abside istoriata,
rievocando alla mente nostra il passato, simboleggiando alla nostra fantasia l’avvenire. 4

Tra il gruppo di italiani, Previati fu il più moderno tra i protagonisti della prima generazione
divisionista nell'adozione di una pittura ideologica, capace di trasformare la realtà in un punto
di accensione poetica. Previati pretese, come condizione per la sua partecipazione alla
"Stanza dei sogni", di entrare a far parte del Comitato Ordinatore per tutelare la sua opera,
troppo spesso criticata. Il trittico de Il giorno” con al centro, Apollo guida un carro solare
trainato da quattro cavalli, con una fanciulla nuda a sinistra e due amanti abbracciati nella
notte a destra.5
Un altro trittico esposto nella Sala del Sogno è quello di Alberto Marini composto dai quadri
Notturno, Diavolessa e Nel Sonno, dipinti realizzati su tela con cornice lavorata e decorata a
encausto con motivi di chiara derivazione liberty che molto devono all’esperienza
monacense. Seppur penalizzata da alcune ingenuità, Diavolessa è l’opera per certi versi più
2 - M. T. Benedetti, La sala internazionale l’ arte del sogno alla Biennale di Venezia, in L’età del divisionismo,
a cura di Gabriella Belli e Franco Rella, Milano, Electa, 1990, p.80
3 - M. T. Benedetti, La sala internazionale l’ arte del sogno alla Biennale di Venezia, in L’età del divisionismo,
a cura di Gabriella Belli e Franco Rella, Milano, Electa, 1990, p. 80
4 - M. F. Giubilei, Venezia 1907. La Sala dell’Arte del Sogno alla Biennale, una "corsa nei campi dell’ideale",
in Il simbolismo in Italia, a cura di Maria Vittoria Marini Clarelli, Fernando Mazzocca, Carlo Sisi, catalogo
della mostra, Venezia, Marsilio, 2011, p. 65
5 - M. T. Benedetti, La sala internazionale l’ arte del sogno alla Biennale di Venezia, in L’età del divisionismo, a cura di
Gabriella Belli e Franco Rella, Milano, Electa, 1990, p. 80
interessante per le evidenti tangenze con la tradizione del simbolismo pittorico di tradizione
romantica e in particolare con l’ambiente secessionista monacense. Il dipinto mostra un nudo
di donna, nuda e genuflessa nelle tenebre, le morbide braccia incrociate dietro la schiena, la
quale appare piacevolmente indifesa offrentesi agli occhi dell’osservatore ben illuminata
dalla luce chiara. A tradire l’apparenza, un sinistro scintillio che proviene nella testa reclina,
dove campeggiano un diabolico sorriso e uno sguardo di fosforo, da strega. L’iconografia è
tipica e si può agevolmente ricondurre alle numerose versioni dell’opera Die Svende di Franz
Von Stuck, conosciuta altrimenti con i vari titoli di Eva, Peccato o Vizio . Il dipinto fu ritirato
dalla mostra pochi giorni dopo l’apertura, non si sa esattamente se per ragioni di censura:
scrive Pica in una lettera del 12 febbraio 1915: «mandatemi a volta di corriere il titolo del
quadro a encausto che non figurò con gli altri due vostri a Venezia… perché immorale».
Lascia un po’ perplessi l’ipotesi di uno scandalo per un dipinto che non doveva assolutamente
costituire una novità in quei tempi, a maggior ragione nel contesto specifico di una sala
dedicata al Sogno, che nelle sue molteplici declinazioni non poteva non considerare la
componente della sensualità femminile in chiave erotica e notturna. La tela Nel Sonno
(Fig.3), considerata un capolavoro del Simbolismo europeo, è testimonianza eccelsa della
sperimentazione pittorica e formale che il Martini intraprende ad inizio secolo. Singolarità
dell’opera è la decorazione della cornice che diviene elemento indispensabile per la
comprensione del soggetto: agli angoli le due figure femminili assopite anticipano infatti
all’osservatore la dimensione fantastica raffigurata sulla tela dove i drammatici toni neri e
blu, annullando qualsiasi prospettiva, che sfrutta illusionisticamente l’elemento
grafico,evocano una dimensione inquietante e irreale.

Fig.3, Alberto Martini, Nel Sonno, 1907

Nello stesso clima si collocano le illustrazioni per un ciclo sulla “Paura” e “Il Visionario”, un
piccolo olio di Serafino Macchiati dal tono stranamente cupo.
Altra opera è “L’essenza della vita” di Salvino Tofanari, opera molto contestata dai
recensori. Una pausa di elegante malinconia è rappresentata da Salice piangente di Guido
Marussig di gusto secessionista, che porta ad una suggestiva visione naturalistica al
crepuscolo realizzata da velature madreperlacee e pervasa da un senso di immobilità
astronomico,mentre la piccola scultura di Andreotti, “Il purosangue” è esempio di dandismo
aristocratico e sensuale sia nell’animale, sia nel nudino, dalla stilizzazione modernista.
Fra le opere straniere troviamo Marius Pictor, un artista con umori tedeschi nordici, che per
lo più rappresentano tele inquietanti con diavoli, teschi e fantasmi. Partecipa alla Biennale
con Notturni, Chiesa e campo di giustiziati in Val d’inferno ispirandosi a testi letterari
inconsueti si rifà a una leggenda popolare che racconta di cadaveri risorti nelle calde notti
estive a condurre a morte i viandantie infine I monaci dalle occhiaie vuote, ugualmente tema
macabro ispirato a una leggenda trecentesca.

Altro artista straniero partecipa con la Salomè di Franz Von Stuck (Fig.4) è un classico di
iconografia simbolista, che mira a istutuire un rapporto sadico e che misogino con la donna,
attraverso narrazioni mitologiche utilizzate per esprimere passioni censurate.

Fig.4 Franz Von Stuck – “Salomé”, 1906, Monaco di Baviera


Per dipingere il suo soggetto, Von Stuck si documenta ovviamente sul Nuovo Testamento
della Sacra Bibbia, ma anche sul dramma “Salomé” di O.Wilde. La Bibbia descrive Salomé
come la ballerina rea di aver fatto tagliare la testa a Giovanni il Battista. Franz Von Stuck
non condanna Salomé per essere stata un’assassina, infatti lei ha solo obbedito alla madre,
come ogni brava ragazza, bensì perchè è troppo bella. La seduzione, perciò, non è più la virtù
delle fate, ma la maledizione delle streghe.
Salomé, l’étoile del dipinto, in estasi, balla sfrenatamente senza mostrare alcun segno di
fatica. la sua sensualità, talmente ostentata da risultare nulla, è quella di una donna in erba
che non conosce ancora bene le sue armi. Il seno bianco come il latte non molto prosperoso e
una gonna dalla quale traspare tutta la sua bellezza, vengono ostentati da Salomé senza alcun
pudore. Anche i gesti della ragazza sono scomposti. Il braccio destro è sollevato a indicare
che si sta festeggiando e si è felici. La mano sinistra, invece, cade sul viso. Nella prima
versione del dipinto, la mano era tra i capelli. Questo gesto così femminile e sensuale, è qui
portato all’estremo, alla frenesia. la sua testa è inclinata verso l’indietro. Salomé è in estasi,
come drogata, in overdose di tutto.
La ballerina non mostra il viso allo spettatore. La sua appartenenza alla casta regia,
sottolineata dall’ingente mole di gioielli di cui è vestita, non è solo uno status sociale, ma un
modo d’essere. Salomé è altezzosa alla maniera delle regine: non si può guardare, lei è come
una Sfinge. Questo può anche preludere al fatto che i comuni mortali non possono sopportare
lo sguardo alla grandiosità della sua bellezza.
Nella figura di Salomé si possono individuare simbolo di varia natura. Dal punto di vista
cromatico, l’oro dei gioielli, il verde della gonna e il rosso delle sue labbra sottolineano la sua
potenza, la sua pazzia e la sua sensualità violenta. Tuttavia, questi colori così forti e dannati
vengono accostati al pallore della sua pelle che enfatizza la sua purezza, la sua verginità: lei è
bellissima, ma intoccabile. Nelle forme dei gioielli troviamo una ripetizione di cerchi e
quadrati, l’unione di cielo e terra, la cosmicità di una scena dove il Tutto è tutto e niente.

E ancora vi sono due norvegesi: Hans Sttoltenberge Lerche è autore del prezioso vaso al
centro della Sala e di due piatti nei quali metallo e gemme si sposano alla terra smaltata e le
due acqueforti di Olaf Lange sospese nella freddezza di miti antichi: Uwasi e La regina di
Saba hanno certamente ispirato Casorati, presente dal 1907 in Biennale; con il
Ritratto della sorella (Fig.5) con la finezza dell’esecuzione, che testimonia il rapido
accrescimento dei mezzi pittorici di Casorati, c’è qualcosa di più, c’è la presenza viva e
sempre inquietante del talento e gli echi non meno vivi ed inquietanti di interessi culturali
complessi e profondi. Gli abiti e gli ornamenti della figura di Elvira, tra velature, traslucidi e
trasparenze perlacee, per il loro trattamento che ricalca l’antico giustificano ancora oggi le
lodi della critica che allora salutarono l’apparire di un classico; ed in un’epoca ancora
affascinata dai cassettoni fiorentini e dalle savonarole anche l’iscrizione lapidaria ed il
sofisticato inserto araldico dovevano fare un certo effetto. Ma il disegno della testa,
sottolineato dalla veletta, che la avvolge strettamente, e già una precisa indicazione di stile e,
così evidenziato nella sua forma in contrasto con il fondo neutro, suggerisce un ovoide
antelittera, mentre la lunga mano guantata, accentuando in questo momento gli scontri
dialettici tra le pressioni pungenti della cultura e gli aneliti alla catarsi nell’azione pittorica,
che sono tipici di Casorati, svela, sia pure con molta gentilezza, come in un brivido, la sottile
pressione di una sensualità subconscia e nel tempo stesso la vitalità capillare, non sopraffatta
dalle ricercate e insistite manifestazioni di sontuosità pittorica, dei nutrimenti di cultura
Fig.5. Ritratto della sorella, Felice Casorati, 1907

Anche se di simbolismo si parla un pò dovunque in Biennale, le singole nazioni non sono


disposte a cedere i loro rappresentanti più significativi: per fare un esempio: il padiglione
bellga- istituito proprio nel 1907- decorato con figure nell’atrio di Khnopff, statue in facciata
di Minne, sembrava offrire nel tema del sogno una serie di opere altrettanto se non più
calzanti di quelle proposte dai nostri.
Bibliografia

- M. F. Giubilei, Venezia 1907. La Sala dell’Arte del Sogno alla Biennale, una "corsa nei
campi dell’ideale", in Il simbolismo in Italia, a cura di Maria Vittoria Marini Clarelli,
Fernando Mazzocca, Carlo Sisi, catalogo della mostra, Venezia, Marsilio, 2011, pp. 65-71.

- M. T. Benedetti, La sala internazionale l’ arte del sogno alla Biennale di Venezia, in L’età
del divisionismo, a cura di Gabriella Belli e Franco Rella, Milano, Electa, 1990, pp. 74-91.

- F. Mazzocca, L'Arte del sogno, in Il Simbolismo, a cura di Fernando Mazzocca, Claudia


Zevi con la collaborazione di Elena Lissoni, catalogo della mostra, Milano, 24 ore cultura,
2016, pp. 30-55.

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