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Prima conversazione  

 
 
Zeri spiega i motivi politici e storici alla base di una commissione per un  
quadro; i codici simbolici e iconografici scelti per i precisi motivi dai potenti  
del passato, col passare del tempo vengono dimenticati, ma essi sono l'unica  
chiave per la comprensione dell'opera d'arte e se vengono perduti, non è più  
possibile un'esatta lettura dell'immagine riprodotta. Un esempio è la
bellissima tavola di Agnolo Bronzino "Venere e Amore" ora a Londra, al
National Gallery, il cui significato è ancora oggi per lo più oscuro.  
La conversazione prosegue nel riscoprire i quadri i cui significati sono caduti
nell'oblio come "I due ambasciatori" di Hans Holbein il giovane (Londra,
National Gallery), dove in un primo momento fu erroneamente intravisto un
foglio di carta, mentre in realtà si tratta di un teschio umano distorto da una
prospettiva alterata e che poteva essere riconosciuto ed esaminato attraverso
un forellino, praticato all'altezza opportuna nella cornice del quadro, sul lato
destro.  
Nella "Madonna con Bambino" di Francesco Bonsignori, (Verona, Museo di
Castelvecchio) viene spiegato perchè il Bambino dorme su una pietra fredda,
sottointendendo il messaggio della sua successiva morte. Da attenta
valutazione si nota che il Gesù Bambino dorme su una pietra dell'unzione
simile a quella del "Cristo Morto" di Andrea Mantegna (Milano, Pinacoteca
di Brera).  
Nella "Madonna con Bambino" di Carlo Crivelli (Bergamo, Accademia
Carrara), dove appaiono mele (una in mano al bambino e due sullo sfondo),
un cetriolo, un garofano e una ciliegia, che si sono a lungo creduti dei
capricci del Crivelli, invece spiega Zeri, hanno un significato ben preciso: le
mele si riferiscono al peccato originale, di cui Cristo prende su di sé il peso e
ne libera gli uomini trasmettendo il Battesimo; il cetriolo simboleggiava la
resurrezione; il garofano oltre ad essere un simbolo nuziale è anche un
simbolo di dolcezza come la ciliegia, che sono riferiti alla Madonna, vista
come sposa di Cristo, come la vogliono molti teologi della Chiesa.  
In "Copertina di evangelario" della metà del XII secolo (Zurigo,
Landesmuseum), il critico d'arte descrive la tecnica dello "smalto cloisonnè"
usata per questa copertina.  
"Pagina di salterio Svizzero" del 1312 (Zurigo, Landesmuseum), viene
messo dallo storico in evidenza la figura di Cristo che appare più umana e
meno maestosa di quelle del suo tempo.  
Il "Salvator Mundi" di Antonello da Messina (Londra, National Gallery) è
uno dei molti quadri guastati da infelici restauri; qui infatti in seguito ad una
pulitura avvenuta presumibilmente nel diciannovesimo secolo, è apparsa una
mano in atto di benedire in un impianto prospettico minore rispetto a quella
che si vede nel dipinto. Il pittore la cancellò per metterla in maggiore
evidenza. I critici lo chiamano "pentimento" quando l'artista cambia idea su
come eseguire un quadro.  
Sempre di Antonello da Messina il "Cristo" (New York, Collezione privata),
viene definito da Zeri con una straordinaria smorfia, che gli da un'aspetto
mafioso; mentre su retro c'è il "San Gerolamo" dove la figura è
completamente rovinata, mentre il paesaggio che circonda il Santo è in
buone condizioni. Questo per via della devozione del committente che a
furia di baciare l'immagine del Santo, l'ha completamente rovinata. Il
cardinale Garampi (fonte della metà delSettecento) descrivendo un quadro
della Vergine in cui manca la testa, definì questa pratica molto comune
"sudiciume da baci".  
Qualcosa di analogo è accaduto alla famosa statua di San Pietro nella
Basilica di San Pietro in Vaticano, che essendo continuamente toccata e
baciata sul piede destro, ora è addirittura corroso.  
La "Resurrezione di Lazzaro" di Sebastiano del Piombo (Londra, National
gallery) è in buono stato di conservazione, e si tratta di un quadro
ideologicamente molto complesso, in cui Zeri vede nella -Resurrezione di
Lazzaro- il desiderio del pittore di una resurrezione di Roma, una specie di
protesta in chiave simbolica. Egli fa notare come Sebastiano del Piombo
fosse sempre stato in contatto con personaggi riformisti. E' possibile che
nell'opera vi siano messaggi religiosi oggi impossibili da captare. Ci sono
epoche artistiche che possono essere comprese solo al momento opportuno
anche se non riusciremo a capire il passato in tutte le sue implicazioni. I
gusti e le tendenze cambiano di continuo ed è già difficile capire le canzoni,i
giornali e le musiche di una ventina di anni fa, figuriamoci l'abisso che ci
separa dagli uomini dei secoli scorsi.  
"San Nicola da Tolentino" di Piero della Francesca (Milano, Museo Poldi
Pezzoli) è il quadro con cui conclude la prima conversazione e ci informa su
un'altro fattore che rende difficile la lettura di un opera: la divisione dei
polittici per la vendita a pezzi. Solo quando i dipinti possono essere ritrovati
e avvicinati, si può con certezza stabilire l'origine e il tema iconografico.
Questo San Nicola per tanto tempo è stato scambiato per San Tommaso
d'Aquino, invece faceva parte di un polittico che Piero della Francesca aveva
eseguito per Chiesa di S.Agostino a Borgo San Sepolcro, il quale aveva una
tavola centrale con una Madonna e Bambino (oggi perduta) e ai lati, dei
scomparti con Santi. Di questi quattro Santi solo San Nicola è rimasto in
Italia, ma l'identificazione è certa perchè nel San Giovanni e nel San Michele
Arcangelo, si vedono le ultime pieghe del manto della Madonna sugli scalini
del trono. Il capitolo viene concluso con l'elenco degli incendi e di grandi
catastrofi per l'arte, come lo furono la Rivoluzione francese e quella
riformista inglese che distrussero tantissime opere.  
(FAGR 24-6-09)  
Seconda conversazione  
Nella seconda conversazione, Zeri approfondisce il discorso del rapporto
della storia con l'arte, in un contesto più vasto di quello delle motivazioni
politiche dei committenti di quadri. Egli spiega come, se da una parte
nacquero opere figurative complesse, in altre zone intere società preferivano
non esprimersi con le figure. È il caso dell'Islam che come opposizione
all'impero romano amante dell'arte figurativa, vietò il corpo umano dalle sue
decorazioni. Le popolazioni barbare di ceppo germanico come gli Ostrogoti,
avevano un modo di pensare molto diverso dai romani, ed esprimevano la
loro creatività attraverso musiche e canti che essendo di natura più effimere,
non sono giunte fino a noi. Probabilmente essi eccellevano nell'arte tessile di
cui nulla si è salvato. Noi oggi abbiamo solo una pallida idea di quello che
dovevano essere le città piccole e grandi dell'impero romano, tutte gremite
da migliaia di statue, come è anche confermato dagli scritti ritrovati; Roma,
Cartagine,Alessandria ne erano piene ma con la sua caduta, vennero tutte
fatte a pezzi, così come le argenterie degli oggetti di lusso che considerati
bottino, si preferiva sbriciolarli uno ad uno, piuttosto che dividerseli interi
rischiando di perdere qualcosa.  
Questa usanza fu mantenuta anche nel medioevo. La Bretagna dopo l'Impero
Romano, si era divisa in molti staterelli con un re, e ognuno di loro si faceva
seppellire con il proprio tesoro. Moltissimi di questi tumuli sono stati
saccheggiati nel corso dei secoli. Ci sono testimonianze scritte che nel XVII
secolo, esisteva una ricerca accanita di questi tesori e i ricercanti, si
dividevano il bottino facendo a pezzi gli oggetti ritrovati per spartirseli in
parti uguali. Un'altra civiltà che non ha mai avuto una tradizione figurativa è
l'Irlanda. Mai assoggettata all'Impero, la sua popolazione sviluppò la propria
creatività con musiche, canti e racconti orali. Un caso tipico delle molte aree
dove manca una tradizione figurativa, è la Sardegna, dove era forte la
tendenza verso i canti e verso l'invenzione delle forme del pane. Lo storico
inoltra poi il discorso dell'arte guida che ai tempi dei romani non era la
scultura, ma la pittura, al contrario di quello che si pensa. Della pittura
greco-romana non è rimasto quasi nulla, un eco però molto preciso della
tecnica, l'abbiamo nei cosiddetti ritratti.  
Nel"El-Faiyum” (nome del deposito dove sono stati ritrovati), dei dipinti
corredavano le mummie nelle varie tombe egizie. Qui vi è un profondo
verismo e naturalismo che indica una pittura d'alta qualità. E se i pittori dei
piccoli centri dell'Impero erano a questa altezza, si può immaginare nelle
grandi città cosa ci fosse. Nel Rinascimento l'arte guida fu l'architettura;
quadri e statue vennero concepiti in chiave architettonica. Nella Lombardia
del Trecento l'arte della miniatura fu più importante della pittura e influenzò
l'arte della Borgogna e l'arte nordica. Zeri parla poi di come nei tempi
cambia continuamente il concetto dell'arte. Spesso sono state considerate arti
minori, arti invece somme, come ad esempio la miniatura. Per questo pittori
ai loro tempi più osannati di Tiziano, pare oggi inconcepibile anche solo
paragonarli al grande pittore veneto, così come al contrario, non si capisce
come possano essere stati disprezzati pittori rivalutati solo di recente, come
l'olandese Pieter van Laer, detto il Bamboccio, attivo a Roma nella prima
metà del Seicento.  
Viene poi affrontato il problema dell'identificazione dei quadri. Il
camuffamento di artisti è un fatto assai comune nell'arte. Un caso tipico è
quello del papa Alessandro VI Borgia, il quale chiamò a decorare la sua
residenza in Vaticano, molti artisti dall'Umbria, ma anche dal Lazio,
dall'Abruzzo e da Firenze. Questi pittori però, erano sotto la mente direttrice
del Pintoricchio e si adattarono tutti a dipingere con il suo stile. Questo rese
difficile distinguere le varie mani. Non si sarebbe mai scoperto che partecipò
anche Bartolomeo di Giovanni, se non si fosse ritrovato un disegno
preparatorio della grande lunetta, su cui vi era la grafia indiscutibilmente
sua. Da qui fu più semplice distinguere dove questo artista avesse dipinto,
ma senza quel disegno sarebbe stato impossibile. Vi è poi il Caso di Piero
della Francesca, il quale dopo la metà del XV sec., proseguì il Ciclo
cominciato da un pittore gotico, terminandolo con il suo stile. Fu così che
molti critici ritennero impossibile che quella mano appartenesse a Piero della
Francesca. Il caso più clamoroso di “falsi” è quello di Bartholomeus
Spranger che lavorò per Rodolfo II a Praga e la cui opera ebbe lunghissimo
seguito in Europa centro-settentrionale. Spranger copiò per ordine di un Pio
V, un trittico del Beato Angelico e imitò un'opera del 1480 “La strage degli
innocenti” della Chiesa di Sant'Agostino a Siena(questa copia si trova oggi
nei depositi della pinacoteca di Monaco. La conversazione termina trattando
il caso del quadro di Georges de la Tour “L'indovina” (New York-
Metropolitan Museum), che venne dichiarando falso perché il giovane
ingenuo che si fa leggere la mano mentre viene derubato, porterebbe abiti
della moda successiva al tempo del quadro.  
(FAGR 22-7-09)  
Terza conversazione  
Nella terza conversazione Zeri parla di opere dallo scarso valore artistico e
storico, utili però a spiegare alcuni dei molti problemi che può incontrare chi
vuole diverire un conoscitore d'arte.  
Tra i compiti dello studioso, egli annovera come particolarmente complicato
stabilire se un quadro è una copia o un originale e chi l'ha dipinto. In passato
i commissionanti facevano fare copie dei loro quadri per parenti ed amici
tramite il mezzo della stampa e questi a loro volta, si comportavano
ugualmente con i i loro parenti e amici; gli artisti da queste immagini che
circolavano liberamente, ne riproducevano altre su tele di ottima qualità e tra
le innumerevoli copie rimastoci oggi, scovare l'originale non è certo facile.
Si deve considerare che a partire dal Seicento, il commercio di stampe fu
vastissimo, tanto da poter essere paragonato a quello della fotografia nei
nostri tempi. Il ruolo della stampa non fu però negativo, anzi, esso fu
fondamentale per lo sviluppo dell'arte. Molti pittori raggiunsero la fama
grazie alle stampe delle loro opere che uscivano persino dai confini
dell'Europa fino a raggiungere l'Asia.  
Per spiegare la difficoltà di riconoscere un originale, il critico d'arte indica
come colpa il gran numero di copie in circolazione, tutte di buona qualità. Lo
storico cita quadri per fare esempi, tra cui vi è il dipinto della “Madonna del
popolo” di Raffaello d'Urbino, il quale per motivi che sfuggono, fu
riprodotto in passato in quantità incredibile. Mentre di alcuni capolavori del
maestro urbinate non esiste nemmeno una copia, di questo quadro se ne sono
ritrovate in Russia, nelle Fiandre, in Spagna e in Francia.  
Per Zeri gli infrarossi sono indispensabili per scoprire gli originali perchè
mostrano i “pentimenti” dell'artista con cambiamenti di posizioni delle mani
e del corpo, inutili per chi deve solo copiare un'opera.  
Egli mette in guardia sempre dalla facinoleria. Nel suo lavoro lo studioso si
trova di fronte spesso a pale, trittici e dittici smembrati non solo per motivi
di commercio, ma per volontà degli stessi eredi nelle divisioni di eredità e
ricomporli, è spesso come risolvere dei rebus. Molti affermano che se
un'opera duecentesca o trecentesca appare in buone condizioni, è senz'altro
una copia, ma non vi è nulla di più sbagliato. L'assenza di crepe, fenomeno
detto cretto, può essere dovuto a tecniche non usate da tutti i pittori, le quali
possono resistere nel tempo a lungo.  
Grande spazio in questa conversazione viene data per infierire contro i
cattivi restauratori. Zeri ripete più volte che essi hanno fatto più danni del
trascorrere del tempo, le guerre e altre calamità. Molti quadri oggi
considerati capolavori, furono abbandonati in depositi di chiese, musei e
conventi senza essere mai né puliti né verniciati. A parte Giotto, Leonardo,
Michelangelo e Raffaello sempre amatissimi, gli altri artisti subirono giudizi
diversi nei vari periodi che susseguirono le loro vite e considerare di poco
conto l'arte eseguita nei secoli precedenti, fu un concetto comune a tutti i
popoli. Tuttavia la pulitura fatta da un bravo resturatore riporta sempre i
colori allo stato originale e i veri guai iniziarono soltanto nell'Ottocento con
la moda di verniciare i quadri con una vernice giallastra detta di “galleria”
che rendeva identici tutti i lavori artistici dal Duecento al Seicento. Nel
Novecento fino a poco tempo fa, si usava il “giallo d'India” fatta con orina di
cammello che se riprodotta artificialmente, assorbiva nei colori annerendoli
in maniera da non poter più essere tolta. Per gli esperti riconoscere gli
originali tra tante copie, diventò così ancora più difficile, in quanto le opere
rovinate da un restauratore impediscono di riconoscere le mani dei pittori
con certezza.  
Varie sono le riflessioni che lo storico inserisce nell'informarci dei problemi
che incontra un conoscitore dell'arte, ad esempio parla della Gioconda di
Leonardo eseguita con colori chiari e ora rimasti scuri perchè il pubblico
abituato a vedere Monna Lisa per tradizione in tale modo, non gradirebbe
cambiarlo come averrebbe dopo una buona pulitura. Egli afferma che le
tradizioni dovrebbero essere rispettate impedendo però di farle divenire
tiranne. Zeri conclude dicendo che il concetto di originale, di unico in una
opera artistica, nacque solo a metà del Settencento, prima le copie venivano
valutate quanto gli originali se ben fatte; ciò è provato dalle costosissime
cornici con cui esse si possono ammirare nelle pinacoteche più antiche.  
(FAGR 9-7-10)  
Quarta conversazione  
Nella quarta conversazione Federico Zeri tratterà il problema della
falsificazione delle opere d'arte ed esordirà dicendo che esse sono sempre
esistite per l'alto interesse suscitato costantemente attorno a sé.  
Il principale motivo per cui si creano copie d'arte è legato al denaro, tuttavia
non sempre è stato così, ci dice lo storico. Alle volte gli artisti del passato
hanno eseguito falsi per deridere i lavori fatti dai maestri dei secoli
precedenti a loro, insomma solo per il gusto della beffa. Un esempio famoso
di un'opera dipinta per gioco è: "Giove che bacia Ganimede" (oggi alla
Galleria Nazionale di Roma) eseguita da Anton Raphael Mengs, il quale la
fece passare per un reperto ritrovato in uno scavo a scopo di mettere alla
prova il famoso archeologo Winkelmann che cadde subito nel tranello.  
Il Settecento fu il secolo in cui le riproduzioni di capolavori iniziarono a
moltiplicarsi fino a divenire una moda nell'Ottocento e non si pensi che
costassero poco, al contrario esse venivano vendute a caro prezzo.  
Ancora oggi si amano le copie dei capolavori anche se si può più facilmente
scoprirli come tali, diverso era invece nel passato (ad esempio sono stati
copiati tantissimi Tiepolo e Guardi che nessuno riusciva più a distinguerli
dagli originali). Purtroppo (e questo anche attualmente) molti storici dell'arte
commettono errori gravissimi quando si trovano di fronte a capolavori di non
facile comprensione. Per citare un caso ricordiamo il dipinto ad olio di
Michele Tosini detto Michele di Ridolfo del Ghirlandaio (allievo del figlio di
Domenico il Ghirlandaio) "Busto di donna", ritrovato su un mercato
dell'antiquariato, il quale fu scambiato per un falso perché si trattava della
copia ad olio di un busto marmoreo (eseguita perciò con una tecnica
particolare capace di trarre in inganno).  
Un'altra origine dei falsi è l'esigenza di manipolare le figure per ragioni di
decenza o moralistiche. Il caso più famoso è il "Giudizio Universale" di
Michelangelo che sollevò molta indignazione e rischiò persino di essere
distrutto; si decise invece poi di coprire con veli e stoffe le parti considerate
più scabrose. Casi del genere non sono affatto rari, addirittura sono stati
vestiti nudi femminili perfino in prestigiose Gallerie come quelle Doria
Pamphili e Colonna di Roma.  
Ci sono poi falsificazioni di quadri sempre secondo Zeri, veramente
diaboliche. Pare che collezionisti privati e anche parroci, abbiano venduto in
passato quadri famosi in loro possesso provvedendo prima a farsene fare una
copia perfetta, la quale veniva successivamente anch'essa venduta come
fosse stata originale. Il risultato è che ci sono molti quadri con lo stesso
soggetto che nessuno sà più quale sia quello autentico.  
Ci sono inoltre falsari che inventano quadri dei secoli scorsi, ma questi sono
facilmente riconoscibili perché lasciano sempre qualche traccia del loro
tempo all'interno del dipinto.  
Nella maggior parte i falsi sono copie grottesche di quadri che non possono
ingannare nessuno perché i maestri da copiare sono troppo bravi, ma
purtroppo vi sono anche casi in cui il copista ha più talento dell'esecutore del
dipinto originale.  
Lo storico dell'arte cita in questa conversazione molti lavori che riguardano
la falsificazione e la conclude parlando del falsario detto il "patetico", attivo
attorno il 1840-1860 (si tratta di un personaggio che conosceva i segreti
dell'antica pittura e che riuscì ad ingannare molti storici per cui molti suoi
lavori appaiono conservati in musei perché scambiati per buoni).  
(FAGR 4-6-12) 

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