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Galleria dei re
I Re della galleria furono decapitati perché per il popolo in rivolta non sono i re della Bibbia ma sono gli
antenati dei re di Francia, per questo li abbattono.
Vero Medioevo Falso Medioevo
Le teste furono ritrovate nel 1977 in un ripostiglio perché qualcuno le aveva raccolte e
salvate.
Cavaliere Jean d’Alluye in marmo nero. Per dispetto anche lui subisce le sorti di tante
sculture medioevali e la sua lastra viene ribaltata e usata come ponticello per un rio. In
seguito viene visto, viene riconosciuto il capolavoro e ai primi del 900 viene acquistato dal
magnate americano Rockfeller.
Questo cavaliere è stato anche un crociato alla settima crociata, quella del 1248.
Uno dei musei più importanti per il Medioevo è al Met di New York, “The Cloisters museum”
In quegli anni c’era il nazismo in piena espansione, non era un periodo moderno ma in ogni caso ci fa
riflettere sulle manipolazioni (uso\consumo). Questa è una delle caratteristiche che lo studio del medioevo ha
portato nel 900. Sostanzialmente quello che è il rapporto del medioevo con la psicologia collettiva. Come è
inteso il medioevo?
Es. Mito del servo della gleba = servo che viene venduto con il terreno, non conta nulla.
Si tratta di un’invenzione 800esca che ha preso piede nell’immaginario collettivo, il servo della gleba non
esiste. La storia è falsa e manipolata.
Molte volte si dice “questo è un atteggiamento medioevale” oppure “torniamo al medioevo”, oppure la
definizione di secolo buio, ma non c’è stata un’epoca più gloriosa, l’idea delle vetrate gotiche, l’idea
dell’oro, di luce, di progresso e di tentativo di inquadramento di una sorta di infanzia di laboratorio di
ricostruzione dell’Europa partita con Carlo Magno ed il sacro romano impero. Quest’epoca è stata esaltata
(cavalieri, le corti, gioielli) e insieme fraintesa (epoca buia).
Si trova al Louvre di Parigi. Quest’oggetto apparteneva all’arredo liturgico (= suppellettili usati nella liturgia,
nella celebrazione del rito della messa). Si tratta di un vaso liturgico, un vaso romano, in porfido che però
viene assembrato con l’argento montato in questo modo fantasioso. Rappresenta quel rapporto stretto che la
chiesa vuole mantenere con l’Abate Surger (l’inventore delle vetrate gotiche e di quest’opera), uno che a
differenza di san Bernardo vuole circondarsi di cose preziose. Nell’abazia di Saint Denis (Nord della
Francia) l’Abate Suger si fa realizzare altri oggetti particolari. Egli era un collezionista.
In questo vaso possiamo notare come ancora una volta l’oggetto straordinario contamina il mondo romano
sia nel vaso che nella forma di aquila. Il collo dell’aquila si può abbassare ed il vaso si può usare. Le zampe
poggiano su sfere compresse (quando la forma rotonda viene schiacciata) e le ali sono stilizzate. Si ha l’uso
dell’aquila come simbolo imperiale e religioso.
Sul collarino troviamo un’iscrizione:
= era marmo ma in queste gemme e in questo oro è più preziosa del marmo
Si tratta di un marmo importante antico ma ora, diventando aquila è diventata più preziosa.
Così come Federico II si fa coniare nell’oro questa moneta: da una parte troviamo il suo profilo (imperatore
romano con mantella pagliata) come da tradizione mentre dall’altra l’aquila imperiale romana.
L’augustale di Federico II
Osserviamo anche questo rapporto molto stretto con l’aquila:
Marcantonio, bronzo
Marco Aurelio che viene in pace, stende la mano in gesto di pace all’arrivo in città, di portatore di pace e di
parola.
Opera del Primo grande scultore italiano nel marmo di carrara, Nicola Pisano
Vediamo forma fiammeggiante nella criniera. Vediamo come lo stile di questi cavalli contamini il mondo
antico con il mondo contemporaneo.
IV secolo, anta in avorio, di un dittico. Sono Valve di dittico, in questa vedaimo Adamo, quidni siamo pieno
cultura cristiana con animali raccontati con una freschezza straordinaria. Orso, aquila, leoni, cinghiale, cervo
con la fonte d’acqua a cui la cerva si avvicina a bere. In poco spazio, senza nessun accenno ad una
costruzione spaziale questi animali ci raccontano le loro carattersitiche.
SIMBOLISMO
C’è un’epoca chiamata Tardo antico o Paleocristiano (l’epoca è la stessa) questi termini indicano tardo antico
per quanto riguarda l’impero romano che comincia una sua decadenza alla morte di Marco Aurelio. Questo
periodo un tempo, nell’800, non veniva trattato nelle storie di Roma perché considerato già legato alla
decadenza dell’impero romano. Arriverà Diocleziano nel 295, e la fondazione della tetrarchia (sullo spigolo
verso la porta della carta di San Marco a Venezia c’è il gruppo dei tetrarchi). Con Diocleziano arriva il
tentativo di tenere insieme questo impero che sta sfuggendo di mano, inizia nel II secolo il problema dei
germani. Si confondono con il problema delle invasioni barbariche dalle quali incomincia l’altissimo
medioevo.
Quando abbiamo parlato di Medioevo abbiamo fatto partire tutto da Flavio Biondo che in quelle decades
della storia romana faceva partire tutto dall’invasione dei visigoti. Quindi come ci giocheremo un Teodorico?
O i longobardi? I longobardi hanno dato uno shock all’Italia. Teodorico è stato uno che è riuscito a bilanciare
queste etnie in contrasto tra di loro. Questo questo periodo è particolarmente significativo: si ha un
contaminarsi continuo di culture, di lingue, di modo di esprimersi. La cultura longobarda farà fatica ad
esprimere degli schemi riguardanti la cultura latina, derivante da quella romana.
Quello che è successo è legato al rapporto con il cristianesimo perché già nel II secolo ci sono dei segnali,
c’è un’inquietudine e la cultura, che è ancora quella ellenistica, inizia ad accogliere dei culti che arrivano
dall’oriente, culti definiti misteriosofici, legati ad un’idea trascendete della religione. Uno di questi è il culto
del dio mitra, legato al mito ctonio del toro il quale viene abbattuto e sgozzato. Quest’evento avveniva nei
mitrei sotterranei. Alcuni mitrei si sono conservati come per esempio a Roma sotto la chiesa di San
Clemente. Mitra diventa una specie di controfigura del Cristo perché tutti e due erano delle divinità orienterai
che portavano la salvezza, erano divinità salvifiche che si servivano di animali simbolici.
Questa è la prima immagine di Gesù dove viene raffigurato come buon pastore. Egli affermava: “io sono il
pastore che dà la vita per salvare l’ultima pecorella”. Ma non siamo certi del fatto che questo pastore sia
cristiano perché il cristianesimo non ha invento nulla perché arrivava da una cultura dove la tradizione
ebraica non contemplava l’immagine del sacro, questa cultura non porta immagini ma inventa simboli e li
adatta ad un qualcosa che già c’era. La disciplina che se ne occupa è l’archeologia cristiana che è una branca
dell’archeologia romana.
Il periodo è quello del tardo antico, ciò l’ultimo grande periodo ellenistico romano. Il III e IV secolo sono
epoche in cui l’impero romano è in decadenza. Tenere insieme questo impero cosi immenso risulta difficile
anche ai tempi di Marco Aurelio (Roma era espansa per tutti i continenti).
Il tardo antico da una parte e dall’altra il paleocristiano (=cristianesimo delle origini). Quest’ultimo non ha
lingua figurativa. Lo stesso Cristo nel vangelo lo fanno agire che talvolta ci sembra di vedere un greco. La
parabola del pastore con la pecora sulle spalle che diventa immagine simbolica di cristo ci spiega com’è
andata la faccenda perché le statue del buon pastore non nascono cristiane sono ellenistico-romane e sono
statue da giardino, che ornavano i giardini greci. Già rappresentavano un valore astratto, un valore morale,
per esempio questo rappresenta la filantropia, la benevolenza e l’amore vero il prossimo che è una virtù
filosofica. Pietro e Paolo vanno a Roma e li ricevono il martirio. Pietro è sepolto sotto San Pietro vicino al
muro rosso e li tutte le sepolture sono disposte a raggera. È una sepoltura che si dice ad sepulcrum, altre sono
ad martirio (=luogo dove ha ricevuto il martirio). Li sono cresciuti i primi luoghi di culto Cristiano, le prime
comunità. Quest’immagine della statua non è necessariamente cristiana ma può essere pagane ed è quindi
legata ad un sistema mentale che arriva già dal mondo ellenistico tardo e rappresenta un valore filosofico
morale, la benevolenza, la filantropia.
→Prendevano dei tipi di opere già esistenti
Orfeo è un'altra figura mitologica che nasconde la figura del Cristo o anche Apollo, il dio sole (sono delle
controfigure del Cristo).
ICONOGRAFIA CRISTIANA
I cristiani iniziano a raccontare la Bibbia, tra le prime cose Adamo ed Eva con il serpente, la scena di San
Daniele con i leoni che sfida la morte nudo e loro lo rispetteranno e tutta una serie di iconografie dove
l’animale diventa un simbolo. In quest’immagine vediamo la cupola di Galla Placidia a Ravenna dove
troviamo i quattro simboli degli evangelisti:
Aquila di San Giovanni
Leone di San Marco
Toro di San Luca
Uomo alato\ angelo di San Matteo
In quest’opera compare per la prima volta il tema della croce gemmata, cioè cristo con il suo sacrificio. Il
tutto è visto in questa rotazione delle stelline di mosaico d’oro su blu che rappresentano il mondo notturno.
Si entra e si è immersi in questa luce strana, dove tutto brilla. A Ravenna inizia la grande stagione dell’oro
che segna tutta la cultura medievale. La croce gemmata la vedremo nelle mani del vescovo Massimiano nella
scena di Giustiniano nei mosaici di San Vitale a Ravenna. Quest’oggetto sarà nelle mani dell’episcopo,
perché è un oggetto vero, di gioielleria liturgica, pieno di gemme in lamina d’oro ma il Cristo non c’è.
Nel mosaico c’è un organizzatore del lavoro, ma sopra di lui c’è il pittore, che si chiama pictor immaginarius
ed è colui che dipinge. Poi ci sarà il capo mastro che prepara il lavoro per i tassellarli, ovvero gli operai, che
sulla base poi del disegno tecnico monteranno il mosaico. Solo nel mausoleo di Galla Placidia vediamo come
viene fuori anche qualcosa di molto concreto, un pittore che organizza lo spazio, il disegno.
L’animale è utilizzato secondo il racconto di San Giovanni evangelista dove nell’ultimo libro della bibbia
parla dell’apocalisse che domina il giudizio universale e i portali delle chiese francesi nel romanico gotico.
Gli animali vanno a finire nell’epoca romanica nei portali delle chiese e raccontano l’apocalisse.
Queta decorazione ad intreccio rappresenta un cane con denti veri di cane. Fu ritrovato in una tomba ad
accompagnare il suo padrone. Il naso è realistico mentre l’orecchio non tanto. La decorazione ad intreccio
fantastica.
ATTRAVERSO IL TESSILE
Da dove arrivano queste decorazioni? Arrivano spesso da oggetti che si chiamano “suntuari”.
Tessuto persiano
Le arti applicate una volta si chiamavano arti minori, ovvero arti decorative. Questa stoffa con i leoni è un
frammento di stoffa persiana. Le stoffe arrivano dall’oriente e vengono apprezzate tantissimo e danno
modelli per la realizzazione di stoffe più moderne e più pregiate. La base è quasi sempre la seta nei tessuti di
pregio.
Uno dei tessuti più famosi e pregiati del medioevo è un mantello, un piviale del papa Bonifacio VIII.
Queste schematizzazioni arrivano da dei ritmi decorativi studiti in un testo “medioevo fantastico di
Baltrusaitis”. È la sotria di qeuste figure, da dove arrivano e cosa sono. Molte immagini sono precipitate nei
capitelli romani ma arrivano da lontano, anche dalla cina se sono draghi.
MODO DI CONCEPIRE L’IMMAGINE DA PARTE DEL ROMANICO-GOTICO
Si tratta di uomini di un’estrema razionalità geometrico e matematica.
Duomo di Verona
Siamo nella cultura romanica, vediamo cacciatori che cacciano grifoni, cani che corrono, medaglioni
intrecciati, galletto che canta. Il bestiario che arriva da lontano è presente in moltissimi aspetti della
decorazione romanica delle nostre chiese.
ICONOGRAFIA MEDIEVALE
Storia dell’unicorno
Il tema è un manoscritto Ashmole del 1511 di Oxfors ed è la triste storia dell’unicorno.
Ashmole 1511
L’unicorno è simbolo di verginità delle fanciulle. Cacciarlo è molto difficile, non si riesce a prendere, ma
bisogna aspettare che incontri una vergine e le posi il suo corno nel ventre. C’è una forte simbologia sessuale
che affonda in qualche mito lontano. La fanciulla lo abbraccia, lui le si pose in grembo, ma arrivano i
cacciatori. Uno è di colore blu, è più pericoloso (i vichinghi si coloravano la faccia di blu per essere più
temuti).
Stiamo avanzando in una cultura che chiamiamo gotica-tarda, insieme ad un bestiario pieno di riferimenti
simbolici. Questa dama al liocorno fa parte di una serie di arazzi parigini di spettacolare grandezza nella
quale l’unicorno gioca da protagonista.
Si tratta di una leggenda antica, una delle prime leggende buddiste arrivate nella cultura medioevale:
leggenda del principe Iosafat (leggenda di Barlaam). Questa storia racconta di un principe che per sfuggire
ad un drago si era rifugiato su un albero sulla quel però c’era un favo di miele che riuscì a nutrirlo. Si tratta
dell’albero della vita. L’ape ed il miele sono il simbolo nel medioevo del dolce della vita, del piacere. Il
principe crede di averla scampata ma non sa che due roditori (uno bianco e uno nero) stanno rosicchiando le
radici dell’albero quindi prima o poi cadrà. Troviamo il simbolo del passare delle notti e dei giorni perché la
vita dura quello che deve durare ed il drago è il simbolo della morte.
In quest’opera troviamo moltissima simbologia.
La simbologia astrale
Sempre sul portale sud del Battistero di Parma troviamo il sole assistito da un cavallo (vedi Apollo) e la luna
con un torno nero. Abbiamo due dischi: la notte ed il giorno. In qualche modo si equivalgono, perché siamo
nel momento in cui l’equinozio è appena terminato, entriamo nella stagione primaverile dove si battezza. È
un momento particolare dell’anno che celebra la meditazione della vita e della morte. Si tratta di una
leggenda orientale, buddista.
Il modo di rappresentare così il carro del sole e della luna non è una cosa che è arrivata solo adesso perché
queste immagini compaiono anche nell’Arco di Costantino a Roma.
Nei pavimenti, appare chiara la compresione da parte degli specialsiti delle lastre, la consapevolezza che il
legame con l’antica iconografia degli animali e dei medaglioni aveva una valenza astrale. Infatti nel
palindromo al centro del disco dello zodiaco compariva questo aspetto bifronte, l’animale che si muove a
destra e a sinistra.
ICONOGRAFIA CRISTIANA
Dettaglio
Il mettere a confronto l’esaltazione dell’imperatore con il cielo e la terra come figure che rappresentano il
trionfo dell’imperatore compare nella statua dell’Augusto di prima porta, nella corazza. Siamo a cavallo tra il
primo secolo avanti e dopo cristo. Augusto, sotto il quale nasce il Cristo, su quella corazza sono rappresentati
il cielo e la terra. E il cielo è rappresentato così, come figura che tende il velo sopra il capo.
Vediamo quindi che quando accostiamo l’immagine centrale (della traditio legis) ancora una volta siamo nel
cuore del pensiero pagano, romano. Un contenuto antico, imperiale, già trasformato nell’epoca della
decadenza. Mi rappresenta il cristo seduto in trono mentre compie la consegna delle leggi, e lo fa come gli
imperatori nel periodo della tetrarchia, l’ultimo periodo di tenere in piedi l’impero. La tetrarchia sarà poi
abbattuta con la battaglia tra Costantino e Massenzio nel 312 a Ponte Milvio dove Costantino tona ad essere
l’unico imperatore. Egli vince ornando i suoi scudi, come dice la leggenda, con la croce di Cristo.
A Ravenna i legami tra un occidente che è in caduta, in fase di dissoluzione (pensiamo alle invasioni
barbariche) e dall’atra parte la vita lunga dell’Impero Romano d’oriente. Ma si tratta sempre di Roma, sia
quando parliamo d’oriente che quando parliamo di Bisanzio. Questo rapporto con l’oriente che unisce
Bisanzio a Roma, c’è un circolo di immagini che girano. Gli apporti che arrivano dall’Oriente sono molto
importantissimi. Bisanzio vuol dire Roma perché sono molto legate a governare l’Impero Romano: in
Occidente è vicino alla fine, in dissoluzione, in Oriente durerà fino al 1453.
In queste immagini visionarie, dove a certe scene codificate, come le battaglie nell’Arco Galerio a Salonicco
del 305, troviamo l’immagine dell’imperatore a cavallo con le zampe rette. Questo è quello che resta
l’immagine mitica di Alessandro Magno. In queste immagini, che ci riportano in qualche modo alle
descrizioni delle colonne, Traiana e Aureliana, dove il fregio del racconto gira intorno alla colonna e sale,
qui non gira (carattere tipicamente orientale). In questo caso le fasce non girano intorno al pilastro ma
rimangono lì incorniciate con decorazioni a fasci di alloro con aquile imperiali.
Le immagini contaminano continuamente il mondo ellenistico orientale, Roma e Bisanzio stessa. Ravenna,
quando si appoggia a Bisanzio, riporta in evidenza dei passaggi visivi e rappresentativi che sono quelli di
Bisanzio e dobbiamo immaginare presenti e ormai perduti in Roma.
Nel corso del III secolo c’è stato un apporto nel mondo dell’Impero Romano e nell’approccio a certe
religioni “misteriosofiche” che parlano di al di la, di riti magici, c’è un culto di Iside sviluppato nei tempi a
lei dedicati. Quindi c’è tutto un apporto di religioni nella quale è presente anche il cristianesimo, i segnali si
vedono già nella colonna aureliana, c’è l’apporto del soprannaturale, ovvero il credere in qualcosa che non è
umano. Si tratta di apporto di valori e forze che vengono sentite e raccontate come molto al di sopra della
comprensione e della forza umana. Quando viene realizzata la colonna aureliana con le imprese di Marco
Aurelio contro i germani, è la prima volta in cui si parla del miracolo. In questo caso è il miracolo della
pioggia che ha favorito i soldati romani.
Marco Aurelio muore nel 180 lasciano il regno nelle mani del figlio, Aurelio era un imperatore filosofo e
uomo dalle grandi virtù, di lui resta la colonna Aureliana e anche il monumento equestre in piazza
Campidoglio (l’originale è ai musei Capitolini).
Questa rappresentazione del miracolo mette in scena un genio alato con delle penne e questo episodio è stato
sempre studiato in un contesto che è l’apporto del soprannaturale, ovvero credere che quel fulmine che cade
e distrugge le macchine da guerra del nemico è un evento voluto da una forza superiore, non un caso. Questo
aspetto fa sì che si moltiplichino dal punto di vista artistico delle rappresentazioni che hanno una valenza
fortemente simbolica. Per esempio, il buon pastore, ovvero la prima immagine del Cristo, in realtà nasconde
un’immagine totalmente filosofica ed ellenistica che era quella della benevolenza nei confronti del prossimo.
Frontalità delle figure
La frontalità, la semplificazione delle forme, ci serve a capire il medioevo, questo grande periodo stoico e
artistico che chiamiamo romanico. Il romanico nasce dalla cultura post- carolingia (detta ottoniana) tra X e
XI secolo. Certi aspetti di estrema semplificazione (vesti, figure e panneggi), diventano convenzionali e
semplificati.
Questo aspetto lo troviamo già ben individuato nei fregi dell’epoca di Costantino, nell’arco di Costantino.
Qui c’è dettaglio della liberalitas = generosità, ovvero il momento in cui Costantino sta donando le monete
ai suoi ufficiali premiandoli.
Ci sono le mura della città conquistata con la figura che entra correndo con il mantello che svolazza dentro la
porta delle città e Marco Aurelio al centro che benedice con accanto due figure a fianco. Il gesto benedicente
arriva da un’immagine imperiale. La sacralità del Cristo sostituisce questa sacralità laica dell’imperatore.
In questa scena si vede una madre con bambino che viene portata via dai soldati. Si tratta di una scena di
adlocuzio (=momento in cui si parla alle truppe) perché il gesto di porgere la mano che sarà quello della
benedizione di Cristo è il momento in cui l’imperatore parla ai soldati, si espone tenendo in mano il bastone
di imperator. Tutte queste sono tappe di un’iconografia che si ripeterà nel corso dei secoli e che viene
variamente utilizzata, sono le tappe del racconto romano che prima di essere scolpite erano nelle tavole
disegnate. Parliamo sempre di qualcosa che ha un passato.
Quest’immagine fu molto importante per il medioevo, un’immagine con architettura a “volo d’uccello”, le
proporzioni che non sono reali, ma è una citazione per farci ambientare nell’architettura.
Ad un certo nelle catacombe di Comodilla, IV-V secolo, arriva un’immagine nuova del Cristo, arriva dalla
Siria.
Buon pastore del M. Lateranense e sarcofago numero 161 Lat. ora ai musei Vaticani
Nel sarcofago vediamo la vendemmia, la raccolta dei frutti della vita (io sono la vita e voi i tralci). Un
giardino con al centro il buon pastore con la pecorella sulle spalle. Si tratta di un sarcofago pagano non
cristiano perché ci sono degli amorini che diventano degli angioletti pagani, dei messaggeri cristiani. Se
osserviamo bene ci sono tre pastori sopra dei piedistalli, non ce n’è solo uno. Vengono rappresentate tre
statue simboliche all’interno di un giardino che è carico di simbologia ma non è una simbologia
necessariamente cristiana. I cristiani non inventano nulla, la simbologia arriva dall’Oriente. Sulla prima
liturgia non è un caso che compaiono i pani e i pesci perché questa simbologia è originaria, la liturgia della
messa era quella, non c’erano le prediche, si faceva solo il gesto di spezzare il pane, la messa era un segno. Il
cristo veniva rappresentato sotto le spoglie di un giovane che ora è pastore e ora è filosofo, ci sono tutte e
due le iconografie.
Di cristiano abbiamo altri particolari come per esempio:
sarcofago n 171
Questo sarcofago numero 171 arriva nuovamente dalla Siria ed è molto significativo perché troviamo il
chrismon cristiano (=monogramma di Cristo). C’è Cristo portato al sacrifico dai soldati romani e viene
rappresentata la futura resurrezione. Al centro croce del Cristo con corona d’alloro.
Il chrismon è la rappresentazione delle prime due lettere della parola cristos in greco (Chi e Rho). Questo
monogramma è la prima rappresentazione simbolica della sua presenza sulla croce, del suo sacrificio. Queste
lettere formano un cerchio che indica le direzioni dello spazio, i punti cardinali. L’alfa e l’omega, unite al
monogramma di Cristo, indicano inizio e fine del ciclo del tempo che con Cristo ha avuto inizio e fine.
L’avventura di Costantino inizia con il segno che l’angelo dà a Costantino nel sogno per la battaglia di ponte
Milvio del 312, il segno è il chrismon, la croce non era ancora ben gradita agli occhi dei cristiani.
La parola Gesù (Jesus) sarebbe un acronimo, deriva dal termine greco “pesce”. È simbolo di lunga vita e di
salute e questo accresce il significato religioso e spirituale del pesce.
Nelle porte di Santa Sabina (basilica paleocristiana di Roma) solo nel V secolo compare il crocifisso. Con il
Cristo che sembra in piedi. Questa formella è sopra delle porte in legno di cipresso che si sono conservate
negli anni. Queste porte sono ancora presenti e visibili a Santa Sabina in queste si vede la prima immagine
del cristo crocifisso con accanto i due ladroni. Il cristo è grande per problema di proporzioni gerarchiche
(egli è più importante degli altri due). Osservano bene la formella vediamo che questa scena viene mal
rappresentata, non è ben scolpita.
C’è la croce, è gemmata che sostituisce con l’oro l’idea del cristo crocifisso (egli non è sulla croce ma sul
trono). Barbuto, con aureola, seduto su trono come dice l’iconografia siriana. Siede sui cuscini di porpora
che avranno una lunghissima storia. All’interno di una grande esedra oltre la quale si percepisce
Gerusalemme, è quella celeste, che rappresenta il paradiso. Vediamo che appaiono a sinistra e destra
personaggi che in qualche modo sono sempre gli stessi: San Pietro, San Paolo, le due chiese di Roma e di
Giudea (quindi chiesa dei gentili ed ebraica, del cristo), e la chiesa dei pagani: Roma e Gerusalemme, San
Pietro e San Paolo e gli apostoli intorno. In cielo, volteggiano i simboli degli evangelisti con gli animali.
Ecco come nasce l’iconografia del cristo medievale (dove siede, che gesto fa con le mani). Inizialmente il
cristiano fa fatica ad accettare la croce perché non era altro che lo strumento di tormento e morte dei ladri, di
coloro che venivano giustiziati in quel modo infamante. Sara un problema per coloro che a quell’epoca
avevano ancora senso della giurisprudenza romana. Pensare quindi al loro dio che soffriva e moriva sulla
croce come un malfattore. Per lungo tempo c’è quindi questo disagio.
Il gesto del sospendere la corona sulla testa è un gesto imperiale e romano, un gesto di vittoria. Le due donne
sono una personificazione, ovvero quando la figura umana rappresenta una condizione attratta. Le prime
personificazioni nell’arte romano appaiono quando una figura di donna con corona sulla testa
rappresentavano delle province dell’impero, qualche volta rappresenteranno delle città imperiali. Le
personificazioni romane hanno dato vita ad iconografie interessanti come la figura della madre che allatta i
bambini con le ninfe che ricordano il mondo della terra feconda. Quest’immagine diventerà l’immagine della
carità, la virtù della carità cristiana. Qui le personificazioni sono:
- dalla parte di Pietro (capelli bianchi folti, barbetta riccia rotonda) la donna di destra indica la chiesa di
giudea, di Gerusalemme;
- dal lato di Pietro, a sinistra, la donna è la personificazione della chiesa di Roma.
Gli altri personaggi nel catino absidale sono gli apostoli. Alle spalle nell’esedra compare la Gerusalemme
celeste. Gli edifici classici che si vedono dietro riempiono il piano di fondo. Nel cielo animali alati che
portano nella sfera spirituale, sovraumana che accompagnano la croce gemmata d’oro con la loro presenza,
sono i simboli degli evangelisti. Non siamo lontani dalla croce gemmata con lo sviluppo celeste della ruota
dei celi e la presenza degli evangelisti negli angoli nel mausoleo di Galla Placidia.
Mausoleo Galla Placidia di Ravenna
La croce gemmata la troviamo anche nella tomba di Galla Placidia a Ravenna che sarà conquistata dai
longobardi, chiudendo il capito dell’impero romano d’occidente ma con un forte legame con l’impero
romano d’oriente. La capitale viene spostata da Milano a Ravenna perché vicino al mare e all’Oriente. Gli
imperatori dopo Teodosio erano due, i suoi due figli, egli aveva lasciato l’impero nelle mani dei figli Onorio
e Arcadio (uno seguiva l’impero oriente, l'altro d’occidente). Sono fratelli di Galla Placidia, principessa
bizantina che muore a Roma nel 450 d.C. non è quindi sepolta in questo mausoleo. Figlia, sorella, madre e
sposa di imperatori. Nel cielo blu di questa notte eterna che l’accompagna alla morte troviamo la croce d’oro.
Vediamo che i sott’archi del quadrato che innalza la cupola sono decorati con un nastro prospettico azzurro
che entra ed esce dal fondo dorato che ricorda immagini pompeiane. Si tratta di decorazione romana antica
del I secolo. Tutto è contaminato e coabitante insieme.
L’immagine simbolica del cielo di Galla Placidia con quest’oro smagliante dove la luce arriva soffusa.
Sempre all’interno del mausoleo troviamo questa decorazione, nei bracci della croce (pianta del mausoleo).
Questa decorazione arriva da una tradizione orientale ed astratta del cosmo. Si tratta di rosette che sia aprono
con i loro petali nel cielo. Nell stesso edificio troviamo dei modi diversi di raccontare il cielo cristiano con
queste stelline a forma di asterisco. Queste decorazioni arrivano da un mondo lontano, arrivano dalla
tradizione delle stoffe orientali e portano la loro simbologia in un contesto cristiano.
Immagine di San Lorenzo, primo martire
Osserviamo la lunetta di fondo di uno dei bracci del mausoleo, quello opposto al lato di ingresso. San
Lorenzo (diacono e martire) con il libro del vangelo e l’aureola, con il panneggio che si muove. Viene
descritta la graticola sulla quale subirà il martirio. Sta andando al martirio con sulla spalla la croce d’oro.
Sulla sinistra, con uno sforzo di rappresentazione prospettica, un armadio con dentro i 4 vangeli. È la prima
immagine di santi martiri, San Lorenzo fu uno dei primi insieme a Santo Stefano. È illusorio ma efficace il
modo di rappresentare la griglia sulla quale sarò arrostito San Lorenzo.
Dall’altra parte, sopra l’ingresso compare una rappresentazione aggiornata al V secolo del buon pastore. Uso
dell’oro, non è più un pastorello ma è un sacerdote con veste d’oro con nastri che configurano la veste dei
primi sacerdoti cristiani.
Vediamo la solidità nel viso, il colore dei capelli, il modo di rappresentare gli occhi che guardano verso la
sinistra e verso l’alto.
L’interno di questo mausoleo ci stupisce per tutta una serie di orchestrazioni spazio\decorative.
Vediamo come queste forme ben definite spazialmente arrivano da un lontano passato, da decorazione di
case romande del II secolo. È il meandro greco (siamo contesto ellenistico-romano) che viene rappresentato
prospettico che viene fuori dal muro e che con i colori da illusione della tridimensionalità.
Siamo nella chiesa di San Giovanni Evangelista a Ravenna, poco dopo il periodo di Gala Placidia, vediamo
Cristo sul trono con il libro aperto e Pietro e Paolo uno con la croce del martirio che pongono le corone. In
cielo vediamo delle nuvole e sotto il trono escono i 4 fiumi del paradiso, si vedono le palme con i datteri.
Questo porta il discorso nella rappresentazione simbolica del paradiso.
In quest’altro sarcofago ravennate vediamo un cambiamento, al posto di Gesù in trono c’è l’agnello mistico,
quindi il Cristo è l’agnello mistico. Troviamo due altri agnelli che sono naturalmente la rappresentazione
simbolica di Pietro e Paolo, ci sono sempre le palme e i fiumi del paradiso.
BATTESIMO
In Siria uno scavo che fece sì che si potesse ritrovare la domus ecclesia del V secolo faceva vedere com’era
fatta una casa cristiana trasformata in chiesa. (casa della comunità). All’inizio la chiesa non esisteva, erano
case dei fedeli dove si trovavano per fare la divisione dei pani. Nella sale della riunione c’era già una piccola
abside, già c’era l’idea che l’abside simbolicamente rappresentasse il cielo. Un altro ambiente della casa era
probabilmente dedicato al battesimo. Quest’ultimo fin dagli inizi sembra essere svolto in un ambiente
specifico, sperato dal luogo della divisione del pane. Quando nascono le prime basiliche Cristiane e quando i
battisteri hanno forma ottagonale canonica il battesimo si fa per immersione al centro di una vasca. Il
battistero prende la forma a partire dall’edifico romano, dai ninfei, abbiamo un rimpiego che era stata usata
già nell’antichità dai costruttori romani. I ninfei delle terme, per esempio, di Caracalla a Roma avevano
questi ninfei ottagonali con pareti aperte sul giardino con al centro vasca con fontana. Infatti, il battesimo si
serve dell’acqua con vasca battesimale. I cristiani vanno a prendere quest’edificio che faceva capo all’acqua,
è l’immagine di fonte della vita al centro dell’idea del paradiso terrestre. Qui troveremo l’albero della vita e
sgorgheranno i quattro fiumi del paradiso che usciranno da una fontana mitica che c’è in tutte le culture
mediterranee, quella della fonte della vita = origine della vita che è rappresentata anche dal recupero di una
tipologia monumentale come il battistero cristiano.
Battistero degli Ortodossi di Ravenna (Battistero Neoniano)
Il battistero è il luogo distinto dalla chiesa, dalla casa del signore, è il luogo della vasca battesimale. I
battisteri di Ravenna sono due: Ortodossi e Ariani.
La forma dei battisteri è simbolica, anche qui c’è un modello romano, è ottagonale a pianta centralizzata
concluso da cupola (all’esterno la cupola non si vede, cioè l’estradosso è coperto dal tiburio ma l’intradosso
è ben visibile e meraviglioso). A salire dal primo livello, passando attraverso delle fasce intermedie, dove la
decorazione è affidata alla cultura, i cerchi che innalzano nel culmine della cupola.
Vediamo rappresentato una delle prime rappresentazioni del battesimo di Cristo da parte di San Giovanni
Battista. Ma tutt’intorno una decorazione che a che fare con una ricca simbologia. Vediamo rappresentata per
la prima volta l’etimasia, il tempo a venire, la preparazione del trono dell’agnello (anche se qui non c’è la
rappresentazione dell’agnello ma c’è la croce). Il trono vuoto all’interno di quest’esedra, che evoca gli
antichi giardini e le pitture pompeiane, ma l’immagine fortemente scatologica del trono vuoto che aspetta
l’agnello, la venuta del cristo.
L’interno del battistero Neoniano del vescovo Neone mostra la ricchezza decorativa di simboli che
culminano tutti nella cupola superiore dove il tema raccontato è in sintonia con quando accade nella vasca di
sotto ed è proprio quello del battesimo. Ecco un'altra iconografia che nasce perfetta, quella del battesimo di
Cristo grazie a San Giovanni Battista. L’immagine verrà sempre rappresentata così ma sparirà poco per volta
l’immagine del genio del fiume Giordano ma la figura del battezzatore con la conchiglia, l’acqua e la
colomba, è presente ancora oggi.
Battistero Ortodossi Battistero Ariani
Battistero Ortodossi
Nella sequenza compare anche il leggio con il libro aperto. Trono vuoto e libro aperto. Tutt’introno i 12
apostoli che ruotano, 12 come le direzioni dello spazio, come un orologio (12 con giuda più il cristo). Sono
tuti con la corona del martirio. A fare da 12 apostolo, dove il ritmo si chiude, ci sono San Pietro con alla
sinistra San Paolo. Un cerchio di figure che divergono e si affrontano. Un ritmo perpetuo che evoca il mondo
degli astri, del cielo.
Battistero Ariani
Lo stile è cambiato. Questo battistero sarà indicato come eresia dai concili, micea e altri. L’eresia ariana
viene considerata eterodossa e quindi rimossa. A Ravenna ariano era Teodorico e i barbari. Nasce una
convivenza tra cultura ellenistico-romana e quella bizantina che Ravenna stessa aveva importato da Bisanzio
(attuale Istambul).
Il battistero degli ariani arriva con i barbari, con Teodorico. C’è molto oro, una decorazione ritmica e fluente.
Personaggi sono modellati con grande senso plastico e girano vorticosi su questo fondo blu, sembrano
muoversi ed arrestarsi. Al centro, su fondo oro, il battista, il cristo, il fiume giordano, la colomba dello spirito
santo con la ciotola che è una conchiglia rovesciata sulla testa = iconografia perfetta. Questa
rappresentazione la troviamo in entrambi i battisteri. Ma qui siamo agli inizi del VI secolo e osserviamo le
figure.
Le figure sono piatte e ripetitive, molto semplici. Riconosciamo San Pietro con le chiavi, San Paolo con i
rotoli del vangelo e gli altri personaggi che portano la corona del martirio e al centro la preparazione del
trono dell’agnello mistico della fine dei tempi. Trono gemmato con cuscino di seta e l’immagine della croce
gemmata che rappresenta il cristo risorto. I personaggi si sollevano sulle punte, tutto appare più “ballerino” e
i volti sono molto astratti e generici rispetto agli altri.
Tra queste due immagini che problema c’è?
C’è il problema di Teodorico dell’età degli ariani. L’uso così massiccio del fondo oro e le figure che
diventano più piatte e semplici, a creare i primi e veri grandi effetti del fondo d’oro. Il particolare che
consente di leggere la scena (il discorso è ribaltato perché da una parte leggo San paolo e San Pietro con il
trono ma se io lo guardo dal lato opposto vedo la rappresentazione del battesimo di Cristo nel verso giusto).
San Pietro con le chiavi che sono il suo attributo simbolo, la croce gemmata sul trono con il cuscino di seta e
tutti portano la corona del martirio.
L’arianesimo rappresenta molto bene l’apporto dei popoli germanici perché gli ariani seguivano gli eretici
condannati nel concilio di micea perché dubitavano sul problema della trinità, che l’uomo cristo era
equiparato al padre in un’unità mistica che gli ariani non capiscono. Gli ariani seguono un filosofo
d’Alessandria d’Egitto, Ario, che in realtà accetta il fatto che ci sia un Dio solo ma crede che il Cristo fosse
un'altra cosa da dio padre, era fatto di un'altra sostanza. Ci sono stati tre concili successivi per questo fatto e
nell’ultimo gli ariani sono stati poi considerati eretici. I barbari poi questo concetto lo dimenticheranno, la
sua forza è grand proprio in questo passaggio tra il V e VI secolo quando Teodorico diventa l’Imperatore
dell’Impero romano d’Occidente. Egli crede nella pacifica coabitazione di popoli latini e barbari (latinitas
barbaritas). L’arte che chiamiamo medioevale è debitrice sia dell’uno che dell’altro carattere di popoli
diversi che finiscono per amalgamarsi.
A Ravenna rimane questa cupola d’oro del battistero degli ariani del tempo di Teodorico e rimane la
decorazione di una parte di sant’Apollinaire nuovo. Perché quando il potere, finito il periodo i Teodorico
all’inizio del VI secolo, passa a Giustiniano il nuovo imperatore i mosaici di Sant’Apollinare Nuovo vengo
cancellati, l’abside per esempio viene rimosso. Gli eretici andavano e verranno sempre combattuti, avviene la
damnatio memoriae, ovvero la condanna della memoria, per questo che vengono distrutti i capolavori.
Questa pratica viene realizzata soprattutto quando le immagini portano un significato non corretto, è il
problema dell’ortodossia (giusta fede) e l’eterodossia (credenza che non viene accettata). Per questo gli
eretici venivano giustiziati. La verità non era quella scientifica ma quella che si imponeva da parte del potere.
Giustiniano rimuove quello che era rimasto che dava fastidio nell’ambito delle rappresentazioni di credenza
ariana dell’epoca di Teodorico, è una damnatio memoriae, Giustiniano viene dopo Teodorico e per questo
non c’è un ritratto di Teodorico a Ravenna ma troviamo quello di Giustiniano.
Le decorazioni che poi campeggiano all’interno di San Vitale rappresentano poi molto bene il concetto di
religione come veniva fuori dai concili di quegli anni, la religione cattolica, il mondo cristiano come si stava
configurando dal papa. I franchi che erano dei barbari nel V secolo si sono convertiti in massa direttamente
alla religione cattolica senza passare attraverso l’arianesimo.
San Vitale a Ravenna
Questa chiesa vede la presenza di Giustiniano e Teodora. 523\546 sono gli anni della prima pietra e poi della
consacrazione di questa chiesa. Il Cristo viene raffigurato nella calotta absidale. Vediamo il cambiamento
rispetto a ciò che abbiamo visto prima con nuovi apporti iconografici.
Nel catino absidale di San Vitale, chiesa a pianta centralizzata ottagonale con un’anomalia perché è
centralizzata e ha una cupola che si regge su un alto rodine di muratura interna formando un fiore con le
arcate, in uno dei lati dell’ottagono si apre in un’abside (quello dell’immagine) e dalla parte opposta non è
totalmente simmetrico c’è un nartece, cioè un ingesso addossato che è un atrio. Forma centralizzata ma con
un atrio e con un’abside, è una forma molto particolare. Il cristo compare tre volte in modo diverso. Non
siede in trono ma è imberbe con nimbo crucifero, seduto sul mondo, sul cosmos e porge la corona a San
Vitale presentato dall’arcangelo. Dall’altra parte un altro arcangelo presenta il vescovo Ecclesio, colui che ha
promosso la costruzione della chiesa (vediamo che porta nelle mani il modellino della chiesa). Quindi il
santo dedicatario, San Vitale, presentato a Gesù dall’arcangelo e Gesù gli dona la corna del martirio e l’altro
arcangelo che presenta Ecclesio che nel 523 aveva promosso la costruzione della chiesa. Vediamo sempre i
quattro fiumi: due sono reali (Tigri ed Eufrate, fiumi della Mesopotamia) altri due sono inventati (Geone e
Fisone). Questi quattro fiumi diventeranno poi le quattro direzioni dello spazio.
Cristo imberbe ha in mano il rotolo chiuso del volume del vangelo e si trovano in un luogo mistico della
chiesa. Da sotto al monte escono quattro rivoli d’acqua da cui nascono i fiumi del paradiso (sotto il Cristo) e
rappresenteranno anche la quattro direzioni dello spazio. Sotto dove il coro inizia a curvarsi nella curva
absidale troviamo questo:
Vescovo Massimano di Ravenna che tiene in mano la croce gemmata che è diventata la croce dell’altare,
oggetto liturgico. I suoi assistenti tengono in mano il codex, l’evangeliario con la copertina già gemmata.
L’ultimo a destra tiene in mano il turibolo per profumare l’altare (incensiere). Giustiniano veste di seta e
perle perché è il re di Bisanzio, l’imperatore. Le perle e la sete sono monopolio del suo potere (al centro).
Tra le mani ha una ciotola con dentro forse il pane eucaristico, le ostie. Teodora dall’altra parte (la sua sposa)
rappresenta l'altro apporto della messa, cioè l’dea del servizio eucaristico rappresentato dai due regali
protagonisti del potere. A destra la chiesa a sinistra funzionari imperiali e l’esercito. Sullo scudo troviamo il
chi e il ro del monogramma di Cristo perché Giustiniano è discendente di Costantino il quale aveva fatto
segnare la croce sugli scudi.
Icnografia perfetta = è un modo di raffigurare una figura es. Cristo in un modo che viene sempre ripetuto
nel tempo, nasce già con delle caratteristiche che saranno fisse. Mentre altre saranno suscettibili di
notevoli cambiamenti, per esempio, la Natività (prima è sdraiata e nel 400 non più).
Pictor Imaginarius
I personaggi si pestano i piedi, è legata alla procedura del pictor imaginarius, ovvero il pittore che imposta la
scena, prepara i bozzetti ed inventa le immagini (la carta è il papiro). Ci sono poi i maestri tassellarli, ovvero
coloro che scelgono le tessere di mosaico. C’è un direttore lavori che adatta le tessere prima su un foglio ed
in seguito viene posto su parete. Ognuna di queste figure hanno in coppia il loro cartone preparatorio. Questi
sono stati preparati e giustapposti uno sopra l'altro e chi l’ha eseguito l’ha riprodotto uguale con la
sovrapposizione per questo si pestano i piedi. C’è una gerarchia legata alla sovrapposizione dei cartoni
preparatori del mosaico.
L’imperatore ha ancora l’aureola, questo atteggiamento del tempo di Giustiniano si chiama cesaropapismo =
sono riunite in lui le prerogative dell’impero e della chiesa, raffigura un coabitare dei poteri.
Nella parte alta dello spazio presbiteriale il cristo viene rappresentato altre due volte, siamo nell’ambito non
più dell’eresia ariana ma dell’ortodossia. La trinità è evidente nelle persone del padre figlio e spirito santo
che sono tutte fatte della stessa sostanza. Nella volta del coro troviamo il Cristo che compare come agnello
mistico innalzato dagli angeli in un tappeto di stelle. L’agnello che in qualche modo rappresenta lo spirito del
Cristo. Il Cristo come figlio è rappresentato nel catino della calotta absidale e Cristo pantocrator è nella parte
culminante dell’arco di trionfo di San Vitale, ovvero un’immagine di dio padre pantocratore con il libro
chiuso della bibbia, la croce ma vediamo come le tre immagini ci rappresentino molto bene il senso della
fede al tempo di Giustiniano.
Quindi, superato il periodo ariano il Cristo viene rappresentato tre volte: imberbe nella calotta absidale, nel
disco al di sopra come pantocrator (dio padre) e nella volta del coro come agnello mistico che per qualcuno è
la terza persona dello spirito santo. Una rappresentazione simbolica che passa tra uno e l’altro (in seguito non
ci sarà più l’agnello ma la colomba ad ali aperte).
ROMA CAROLINGIA
San Prassede, IX sec. – età pasquale 817-824
Ricostruzione assonometrica della chiesa. Addossato alla navata destra troviamo il sacello di San Zenone:
Mosaico absidale:
Il parallelismo si estende, oltre che al fondo azzurro (tipicamente romano) e alla composizione a sette figure,
a particolari tecnici come l’uso di tessere d’argento e a particolari iconografici come:
- mano divina tra le nubi
- palma con la fenice
- riva del Giordano
- processione di agnelli
- iscrizione in lettere capitali oro su fondo blu
Il regno franco nel 771, cioè nell’età in cui Carlo Magno inizia a prendere il potere (che è il primo a istituire
quella che potremmo definire una vera e propria unità), i franchi erano già abituati ad accogliere popolazioni
di altre etnie, culture. È già un territorio ampio, si vede già la forma della Francia. Nel verde chiaro vediamo
le conquiste di Carlo magno e come viene ritagliato lo stato della chiesa che ingloba la Romagna e le
Marche. Vediamo anche l’impero carolingio con le aree ad est, la Bretagna. Il ducato di Benevento era
ancora longobardo. Si allarga e si dilata quello che con la famosa notte dell’800 a Roma viene affidato nelle
mani di Carlo Magno, che viene definito imperatore.
KAROLUS IMP AVG (Carlo imperatore augusto)
Mantello, serto di alloro, palio sulla spalla, ecco l’imperatore. Se guardiamo questo denaro in un'altra
emissione troviamo anche la rappresentazione del retro della moneta:
Sul retro è la rappresentazione del sacro romano impero, c’è scritto “religio cristiana”, cioè religione
cristiana e vediamo stilizzato il grafema del tempio con la croce sia sopra che sotto. Viene scritto con la chi e
la ro della lingua greca come da tradizione della scrittura della parola Christos.
Sistema del vassallaggio
(Subordinazione clientelare = è il termine che usano gli storici per definire il vassallaggio)
716-714 sono le date del regno di Carlo Martello, suo successore sarà Pipino il Breve ed in seguito Carlo
Magno. C’è quella che possiamo considerare a quell’epoca l’invenzione del sistema del vassallaggio. Questa
sistemazione del potere e dell’organizzazione del territorio nasce con Carlo Martello: io ho degli interessi e ti
impresto le tue truppe e tu in cambio mi dai terre, benefici e privilegi.
Si creava tra il re e il popolo franco e ancora di più tra l’aristocrazia e il re un’unione forte che non si è mai
interrotta, fa parte del DNA della Francia, che dopo l’impero carolingio è diventata l’identità nazionale del
regno di Francia.
Quindi l’istituzione del vassallaggio è un’invenzione di Carlo Martello e non è un’invenzione di Carlo
Magno, lui se la è trovata già fatta, era entrato in incubazione a partire da questa forte unità e variegata del
territorio. Perché sul territorio franco ci sono stati sistemi di aiuto reciproco, è un grande territorio, a
differenza dei longobardi che sono un popolo, barbari tutti uguali che conquistano, i franchi sono
un’istituzione di potere che ha quella caratteristica.
Il vassallaggio unisce la gente alla terra e la terra al re, ma anche gli aristocratici alla terra e al re\imperatore
nel caso di Carlo Magno.
Non è un caso che questo sistema gli storici del medioevo francese lo fanno arrivare fino al 600, per loro il
medioevo arriva fino a li. Perché in Francia questo legame degli aristocratici con la terra nasce già da Carlo
Martello e arriva fino a Re Sole, alla dissoluzione dell’Ancien Regime.
Prima della conquista dei territori longobardi Pipino in Italia è riuscito in un’operazione, ovvero nel 730
circa si fece affiliare dal re longobardo Liutprando. La rinascita liutprandea è un episodio affascinate della
cultura longobarda, quello più sensibile alla cultura classica. Liutprando adotta Pipino in qualche modo e lo
può far diventare re. I longobardi erano re, i franchi lo erano ma fino ad un certo punto, Pipino arrivava come
uno straniero in territorio italico e i longobardi lo accolgono in pace e di Carlo Magno, quindi lo consacrano
in qualche modo re, come se fosse un loro pari sul territorio. Si profila la futura unzione ad imperatore di
Carlo Magno.
In questa epoca sono molti importanti i gesti carismatici e le fondazioni delle ritualità che hanno una base
sulla quale costruire degli effettivi risvolti giuridici che abbiano un criterio ereditario. I franchi arrivano in
Italia, incontrano i longobardi sul loro passaggio che avevano conquistato tutta l’Italia del nord e vengono
accolti in pace come loro pari, vengono unti re anche loro. Liutprando non ha capito il re longobardo che lì a
poco sarebbero arrivati con altre intenzioni, per eliminarli, quindi la conquista quindi dell’Italia da parte di
Carlo Magno. È quest’ultimo che si dilata con queste conquiste (vedi immagine) tutta la zona est e della del
regno longobardo.
CARLO MAGNO
Per quanto riguarda lo stile c’è una ripresa alle statue equestri romane ma con apporti medioevali (corona, i
baffi, scarpe moderne) il cavallo però è alla romana con il ciuffo alzato come il cavallo di Marco Aurelio. È
una scultura alta 20 cm. Le proporzioni organiche nella statua sono quasi perfette mentre nell’altra immagine
no, sembra una caricatura, ci chiediamo come fa a stare tutto il corpo dietro allo scudo. Anche il cavalo ha
forma stilizzata. Nell parte bassa c’è la solita decorazione ad intreccio che arriva dalle stoffe, dalle miniature,
ecc. quel piegarsi decorativo dell’animale (sono dei serpenti che si intrecciano) piegandosi a fini decorativi.
Vediamo la latinitas e la barbaritas contrapposte anche se poi la fine il sostrato dalla quel proviene Carlo
Magno è sempre quello germanico e i franchi sono popolazioni barbariche.
Aquisgrana è una delle capitali dell’impero di Carlo Magno, si distingue subito per la scelta di Carlo Magno
di andare verso una forte latinizzazione.
Uno degli esempi straordinari che sono rimasti di quel periodo è la Cappella Palatina (vuol dire cappella di
palazzo quindi li c’era il palazzo imperiale con annessa la cappella) la quale ha delle funzioni di esposizione
della figura dell’imperatore, si celebrano funzioni religiose ma tutto al cospetto dell’imperatore. Il palazzo
del potere ad Aquisgrana non c’è più al giorno d’oggi ma rimane questo edificio a pianta centralizzata e
doppio ordine di arcate, un’immagine di architettura diaframmata come a Ravenna e San Vitale. Vediamo
attraverso, quando le strutture si alleggeriscono sono dei diaframmi. La sontuosità e la bellezza di questo
edificio riporta subito il discorso ad un edificio che Carlo Magno ha preso a modello, ovvero San Vitale di
Ravenna.
Cappella Palatina
San Vitale di Ravenna fu realizzato dopo la caduta di Teodorico in età di Giustiniano e quest’ultimo fu
l’imperatore che per un attimo ha riportato insieme l’Impero Romano d’Oriente e d’Occidente sotto la stessa
persona, per questo Carlo Magno lo cita. Carlo Magno è un imperatore itinerante e vuole in una delle sue
capitali, Aquisgrana, vuole avere una architettura che visivamente riprenda Roma, il culto imperiale in
Ravenna, proprio all’epoca di Giustiniano che era stato lo scrittore del corpus giuridico e quine era per lui
punto di riferimento assoluto. Cupola smagliante di mosaici (oggi non sono originali) e il lampadario fatto
come le mura di una città, con riferimento alla Gerusalemme celisti, sono del 12 secolo, epoca decisamente
successiva.
Altra citazione del mondo romano antico la troviamo nel monastero della città di Lorsch (760-99).
Sopra questa galleria i timpani, lesene scanalate, capitelli classici ma ciò che colpisce sono i colori però non
sono classici e nemmeno i rivestimenti in marmi chiari rossi, colori caldi a contrasto ma è quanto di più
barbarico non latino si possa ritrovare. In questi aspetti vediamo delle contaminazioni continue. I costruttori
citano il mondo romano, sembra l’ingresso di un palazzo del potere, invece è ingresso al monastero
carolingio di Lorsch. Siamo nel momento in cui Carlo Magno entra al potere e fa le conquiste. È un esempio
di rapporto con mondo antico che viene manipolato.
Altro esempio lo troviamo in Francia, Corvey (873-885)
Westwerk = corpo occidentale (dal tedesco) è quella costruzione architettonica tipicamente medioevale di
epoca carolingia.
La chiesa ha forma canonica a partire dalle prime basiliche cristiane ha l’abside orientato ad est e con l’epoca
di Carlo Magno arriva lo sviluppo in verticale delle chiese e lo sviluppo di un’altissima struttura ad ovest
dove poi nasce la facciata monumentale. Colpisce la forma delle alte e snelle colonne, sembra una fortezza.
La struttura è quadrata con all’interno degli spazi a più livelli, vediamo in sezione come sono fatti:
all’interno ci sono delle logge che affacciano all’interno della chiesa stessa e servivano all’imperatore per
ostendere la sua persona.
Ostensorio = oggetto che serve a mostrare l’ostia consacra (termine latino)
L’imperatore si mostra da quella loggia verso l’interno della chiesa. Quello che però vediamo a Corvey
(unico caso davvero documentato) è ciò che possiamo considerare l’anticipazione della grande facciata
romanica francese altissima tra le due torri. Nasce qui, nell’ambito della costruzione del westwerk carolingio.
PROGETTO IDEALE DI ABBAZIA CAROLINGIA
Il monastero assume molta importanza come cellula sul territorio. Il monastero è benedettino e ha una
struttura, una forma codificata.
Operazione di San Benedetto
Benedetto sviluppa un’idea geniale, non soltanto per la forza europea che è stato il mondo dei monasteri
benedettini. San Benedetto è il protettore dell’Europa, ma fu importante per il potere laico, per l’impero
carolingio in particolare perché questi monasteri creano un rapporto mediato tra il territorio, il re e Roma.
Nei monasteri non vanno a studiare solo chi vuole raggiungere l’ordine benedettino ma anche i figli di chi
può permetterselo per aver vasta cultura ed imparare bene la lingua latina.
Ora et labora = pregare e lavorare, è un cliché che rappresenta i benedettini
Ecco come poteva essere il progetto di un grande monastero benedettino all’epoca:
Pianta di San Gallo IX secolo (816-830)
Per capire qualunque monastero, anche quelli più recenti, tutto era partito da un’idea di Benedetto che ha
pensato a come doveva essere il monastero come se fosse un architetto. Pensa a ciò che era nella sua cultura
l’idea più perfetta. Lui ha in testa la casa romana che si articolava intorno ad uno spazio quadrato aperto,
questa è la base e poi sviluppa la forma del suo monastero. Si chiamerà chiostro, cioè luogo chiuso e lo
vediamo anche nel cuore dello spazio del monastero di San Gallo.
= quadrato con intorno portico e al centro il pozzo = è l’idea dell’antico impluvium
Nei più antichi documenti benedettini c’è un disegno a forma di quadrato per indicare questo luogo che forse
Benedetto ha tracciato per primo. Quindi l’idea è quella di cortile quadrato con portico che conduce ai vari
ambienti. Il portico collega rapidamente tutte le parti che compongono il monastero benedettino che si
orienta con i punti cardinali.
Ad est, accostata al lato nord troviamo la chiesa abbaziale con la caratteristica tipica del mondo germanico,
ovvero due absidi contrapposte. Il lato est è anche quello della cappella d’inverno, la sala capitolare. Il sud è
il luogo del sole, da dove arriva la luce, c’è quindi il refettorio, l’ambiente dove si mangia insieme. Vicino ad
esso ci saranno le cucine. Tutta la zona ad Ovest, oltre ad essere ingresso, è il magazzino per le provviste. Il
chiostro è il punto focale del monastero. Ai piani superiori troviamo a sud e ad est le celle dei monaci perché
sono i punti più caldi durante l’anno, dove non si rischia di morire congelati. Oltre a questi ambienti ce ne
sono altri, scuola, ospedale, cimitero, sale d’accoglienza, cortili, orti, voliere per uccelli, ecc.
Differenza tra abbazia e monastero
Il monastero è il complesso monastico, l’abbazia è la chiesa del monastero. È una chiesa che vede la
presenza dell’abate, è annessa al monastero. Un monastero carolingio è benedettino del tempo di Carlo
Magno con la sua abbazia annessa.
MILANO CAROLINGIA
ALTARE VUOLVINIO DI SANT’AMBROGIO DI MILANO
Parliamo di Milano perché acquisisce visibilità e potere in quest’epoca anche se ce l’aveva già perché al
tempo di Teodosio era stata capitale. A Milano vi sono oggetti preziosi come, per esempio, l’altare d’oro di
Vuolvinio IX secolo della chiesa di Sant’Ambrogio.
Fronte dell’altare
Gervasio e Protasio e i santi Martino e Ambrogio. Ancora una volta le figure si piegano in adorazione e
curvano le schiene. È un movimento dell’inginocchiarsi che si chiama proskunesis, è il gesto dell’omaggio,
gesto devozionale (che arriva dal mondo bizantino) in questo caso della Croce che rappresenta
simbolicamente il Cristo.
Martino perché è vescovo di Tours, del IV secolo, santo paleocristiano che è il simbolo di quella chiesa di
Clodoveo, dei franchi. Simbolo della religiosità dei franchi.
Fianco dell’altare
Gioco dei quadrati e dei quadrati ruotati dalla parte dello spigolo a creare questi giochi geometrici. Anche
qui ci sono figure chiave e dei santi come Ambrogio e Martino dall’altra parte. Martino non è altro che il
protettore dei franchi. Anche se siamo a Milano, nella città di Sant’Ambrogio che viene citato in primo
piano, c’è anche Martino. Lavorazione di smalti che anima l’immagine.
Retro dell’altare
Presenta una piccola apertura, sono due ante che si aprono per potere prendere le reliquie. Dentro c’è una
cassa marmorea e intorno è lignea sul quale sono inchiodate le lastre d’ oro e d’argento. La parte dietro è
argento, molto più duro dell’oro, lavorarlo è più difficile. Le forme sono diverse rispetto al maestro del
fronte dell’altare. In questi dischi, sormontati dagli arcangeli, Vuolvinio rappresenta sé stesso e vescovo di
Milano Angilberto, suo committente. Paragona sé stesso orafo al vescovo e li mette in rapporto con il santo.
Gli orafi sono importantissimi nel medioevo, sono cloro che maneggiano materiali preziosi e hanno in mano
le sacre insegne del potere imperiale. Preparano per le reliquie la cassa, il contenitore. Sono quanto di più
fisico perché è carne e resto ma e anche quando di più magico e misterioso ci sia unito insieme, si può
vedere, prendere in mano e ci protegge.
Nel dettaglio delle porte della finestrella troviamo uno stile diverso. Arcangelo Michele e Gabriele,
Ambrogio e Vuolvinio phaber.
Phaber = fabbro, colui che maneggia il fuoco, il primo dei grandi mestieri anche nel mondo antico romano.
Un fabbro era un dio, era il forgiatore delle spade degli dei dell’olimpo.
Il retro dell’altare è in argento e parzialmente dorato e, come nella parte frontale c’è la vita di Cristo, da
questo lato c e la vita di Sant’Ambrogio che era un importante personaggio e santo e vescovo di Milano al
tempo di Teodosio.
Vuolvinio viene incoronato da Angilberto il quale ha invece aureola quadrata, ovvero quella della figura
vivente. Quando vediamo personaggio di alto livello, candidato a diventare santo una volta morto era d’uso
nel medioevo rappresentarlo con aureola quadrata. È il segno che il personaggio rappresentato è vivente.
Quindi la datazione intorno metà 800 è quella presunta che fa capo al vescovo di Angilberto sulla chiesa di
Milano.
Particolare Sant’Ambrogio che incorona Vuolvinio “magister phaber”
Incoronato dal santo. Questo piegarsi è perché è davanti al santo ma anche per farlo sentire tridimensionale,
solido, fatto di profondità. Questa sarà una caratteristica anche della miniatura carolingia, gli episodi più
classicheggianti di Carlo Magno faranno vedere le forme gobbe, è un tentativo di riconquistare la forma
tridimensionale solida.
L’immagine qui sotto presenta delle teste di angioletti o di santi, è un gusto bizantineggiante. Lo smalto
viene colato dentro gli alveoli di metallo. La tecnica si chiama cloisonné e si contrappone alla champlevé che
fa vedere un avvallamento. Nel primo la viene costruita con filo di metallo che crea gli scomparti dove viene
colato lo smalto.
Nel retro dell’altare la lavorazione su argento è molto più complessa, e viene utilizzata una tecnica diversa
rispetto al fronte dell’altare.
Tutti e due i lati sono importanti perché è vero che uno e d’oro ma l’altro è argento ed era prezioso come
l’oro all’epoca ed era rivolto verso il clero, ed era la parte che si apriva. Lo stile è diverso perché cambia
anche per la durezza del materiale.
Non si sa quale parte abbia fatto Vuolvinio. Egli si ritrae nel retro ma non siamo sicuri se sia stato omaggiato
da un suo collaboratore o no. Anche se c e una notevole differenza di stile tra le due parti.
SANTA MARIA A CASTELSEPRIO
Castelseprio era importante perché era sulle vie di percorso verso Milano, era importante per i rapporti che la
cittadina aveva con Milano stessa. Vediamo un ciclo di affreschi famoso e celebre sulla quale sono stati fatti
molti dibatti e oggi si data all’età carolingia anche per la presenza di tombe molto sontuose addossate alla
cappella. Triconco, con tre absidi contrapposte in cui gli affreschi sono lungo la curva dell’abside, sulla
parete interna dell’arco di trionfo e anche sull’arco di trionfo stesso.
Al centro c’è un’immagine del Cristo pantocrator che stupisce per la tecnica pittorica così come sono celebri
scene. Vediamo una mano pittorica straordinaria. Si vede bene dai dipinti come qui sia all’opera un maestro
il cui nome si è perduto ma con un’alta qualità.
Guardare approfondimento .pdf di Santa Maria a Castelseprio
Questi documenti sono molto rari perché molto antichi ma anche per la tecnica pittorica di queste epoche che
non è quella fiorentina.
Si trova fuori dal piccolo abitato di una piccola località però con enorme importanza strategica. Siamo nel
contesto della cultura longobardo-carolingia, qui vicino vi era Milano e tutta la cultura oltralpe che qui vuol
dire l’avvicinamento ai territori della Svizzera.
Piccola architettura a triconco, ovvero l’apertura di un ambiente in tre grandi absidi profonde. Quella rivolta
ad est è quella rivestita di affreschi i quali corrono lungo tuta la curva dell’abside e rivestono anche quello
che chiamiamo arco di trionfo che mette in comunicazione l’ambiente quadrangolare con l’abside. Gli
affreschi sono presenti solo sulla superficie interna, su quella esterna non ne sono stati rintracciati.
Si aprono tre finestre nella curva dell’abside (caratteristica delle prime basiliche cristiane ravennate).
Domina al centro, in corrispondenza dell’apertura centrale, un Cristo pantocratore di rara bellezza. L0angelo
che appare in songo a Giuseppe compare nella scena successiva.
La scena più rara è quella dell’Andata in Betlemme che diventa fuga in Egitto.
Dal vero gli affreschi sono molto lacunosi, la conservazione di essi è a rischio. L’occhio del Cristo sembra
colmo di lacrime. Egli porta l’aureola che valorizza l’immagine dello stesso (grande clipeo). Il clipeo in
origine era lo scudo greco rotondo. Vediamo la croce, simbolo del Cristo.
Angelo che appare in songo a Giuseppe e lo riscuote con un senso vivace di movimento. Queste
caratteristiche del maestro di piegare il panneggio con queste pieghe piatte (un po’ metalliche). Si tratta di un
maestro che conosce la pittura antica, probabilmente tardo antica romana di altissima qualità. Queste
caratteristiche fanno la più importante documentazione parietale (= su muro) di tutta Europa.
Dda questa scena, se ci si sposta verso destra, si trova l’episodio dell’andata a Betlemme. Ma se Maria
avesse in braccio Gesù bambino diventa la più canonica scena della fuga in Egitto. Scena che segue
l’adorazione dei magi. Siamo nell’ambito delle scene dell’infanzia, vediamo la bellezza per l’ambientazione
architettonica (arco, portico) ma soprattutto le figure di Maria, Giuseppe e l’asino. Quest’ultimo dalla bocca
aperta quasi ragliante è “sbozzato”, ovvero realizzato molto frettolosamente, le immagini sembrano
muoversi. Tecnica veloce, rapida, che riassume il plasticismo del volto, che arriva dall’antica tradizione della
pittura romana.
Immagine dell’arcangelo
Episodio della natività: Maria sdraiata a terra, San Giuseppe in un angolo, la presenta di un castello, gli
animali che pascolano e già la presenza delle due allevatrici che lavano il bambino nella coppa del lavacro.
Ci sono tutti gli elementi bizantini di questo episodio.
La presentazione al tempio ambientata in questa architettura dove la presenza di una nicchia con una sorta di
pipistrello ad ali aperte (animale cosmico), la conca dell’abside rappresenta il cielo. Maria sta dando al
sommo sacerdote il bambino Gesù nel momento dell’anticipazione simbolica del battesimo. Il bambino sarà
invece circonciso (come dice la tradizione ebraica). Questa scena rappresenta in qualche modo l’ingresso del
Cristo nella comunità del tempio (battesimo).
Vediamo il trono dell’agnello, su di esso c’è una corona. Lo avevamo visto nella cupola del battistero degli
Ariani. Due angeli portano dei globi (alcuni la interpretano come una corona) e convergono verso un altro
clipeo che contiene, la scena legata all’Apocalisse di San Giovanni.
Anche se la conservazione è precaria, il maestro (o il gruppo guidato dal maestro) è ben preciso e lo vediamo
dalle pieghe piatte così eleganti.
Nell parete rettilinea a sinistra dell’aro di trionfo interno, vediamo i magi. Essi hanno i calzoni barbarici
come si vede anche nella scena dell’adorazione dei magi nella chiesa di Santa Apollinare nuovo in Ravenna.
Salterio di Utrecht
Si tratta di un codice, opera realizzata in uno degli scriptoria più importanti della produzione carolingia di
manoscritti. È un codice monocromo, eseguito a Reims nel 820c. Testo accompagnato da vignette, si tratta di
fogli i quali si distinguono in verso (dietro del foglio) e recto (retto, davanti). Uno degli aspetti più
caratteristici dell’epoca carolingia è la nuova scrittura, detta “carolina”.
Questa vivacità di rappresentazione delle immagini è paragonabile agli affreschi appena descritti. L’asinello
assomiglia al dettaglio morfologico del Salterio di Utrecht, la vivacità di realizzazione. I confronti sono di
stile.
Questo evangeliario è l’esempio di questa grafia vivacissima, questo modo di lavorare molto nervoso.
Vediamo bene il senso frenetico del panneggio e della forma che è quello archeologico del mondo antico
romano. L’arte non si ripete mai uguale, vediamo una delle prime interpretazioni dell’antico rivisitato nello
scriptorium guidato dal vescovo Ebbone nello scrittorio della città di Reims (città imperiale carolingia). I
libri dei Vangeli sono degli evangeliari, ovvero la raccolta dei 4 vangeli illustrati. In questo caso
l’evangelista è rappresentato su trono romano, si vede il leone con un'unica gamba (trapezoforo), mentre
scrive, si tratta di Luca (vediamo il toro lato in alto a destra).
Evangeliario di Ebbone (vescovo) 816-823 eseguito a Reims
Osserviamo la bellezza di questi segni che sono tutti rialzati da sottile filo d’oro ottenuto macinando l’oro
vero e poi dato con un legante e con il pennello (si chiama oro di conchiglia, perché miscelato in una valva di
conchiglia).
Luca sta scrivendo con la penna sul codice appoggiato sul leggio, il vestito antico bianco alla romana, il
corno nel quale ci sono i materiali per scrivere, la penna e una piccola stecca per le correzioni.
Negli evangeliari troviamo la raffigurazione quindi canonica dell’evangelista.
Altri esempi della miniatura carolingia:
Si tratta di un codice realizzato ad Aquisgrana al tempo di Ludovico il Pio (figlio di Carlo Magno), vediamo
qualcosa di diverso. L’immagine è la stessa: seduto sul sedile a lavorare al leggio e scrivere ma ci sono
caratteristiche diverse. Vediamo un modello romano rispettato, le forme ingobbite danno il senso del volume.
Madonna in trono tra due figure di profeti e sotto le scene nella natività e l’angelo, i magi davanti ad Erode e
i magi che adorano il bambino. Nella seconda il Cristo con a fianco di due evangelisti (Michele e Gabriele).
La confezione di questi due oggetti (uno è ai Vaticani e l’altro a Londra) danno l’idea di quello che è il libro
antico carolingio.
Evangeliario di Godescalco, è uno dei più antichi, mescola decorazioni ad intreccio di gusto barbarico.
Risale al 783c. Una pagina aperta con le pagine intinte nella porpora e la scrittura in oro. È una data di piena
età carolingia, Carlo Magno non ha ancora avuto l’incoronazione della notte di Natale. È un gusto misto tra
la nuova certezza di ciò che sarà essere gli eredi dell’impero, del riappropriarsi dei sistemi del mondo antico
rappresentativi e dall’altra la sperimentazione di temi nuovi tra i quali dei simboli che avranno una lunga
vita, vediamo la fons vitae, è uno dei temi più affascinanti dell’arte medievale: evoca l’idea del battesimo di
Cristo (=fonte del paradiso terrestre da dove uscivano i fiumi che creano le regioni del mondo). Otto colonne
recingono una vasca il tutto sormontato da cupole con animali di vario genere (tra cui i pavoni con la coda
chiusa che abbiamo visto nei rilievi longobardi).
In piena età carolingia, a distanza di anni, il codice incorniciato con motivi che troveremo nell’oreficeria
perché il libro si confeziona nei monasteri: c’è il pittore che dipinge, l’orafo che lo decora e chi lo scrive.
Vediamo come si sono chiariti certi passaggi: l’architettura è la stessa ma la prima è piatta con simboli
semplificati, questa ci fa sentire la profondità, cambiano la luce e l’ombra.
L’importanza della reliquia, della pietra che porta fortuna, un oggetto così prezioso che Ottone III vorrà
usarlo come protezione. In seguito sparisce, viene offerto al tempo di Napoleone Bonaparte.
Gioiello con gemma incisa dallo scrigno di Carlo Magno. È l’esempio della passione collezionistica delle
pietre, delle perle, dell’oro e dell’antico, si tratta dell’unica parte rimasta dello scrigno di Carlo Magno. È
arrivata fino agli anni 90 del 700 ai tempi della rivoluzione francese attaccata ad una cassa più recente. Era
alta più di 1,5 metri, centinaia di pietre preziose (ora resta solo più un acquerello di Labarre del 1791).
Rimane il monile della parte alta conservata in Francia, acquamarina contornata di zaffiri. Compare il ritratto
di Giulia di Tito, la figlia, è un oggetto raffinatissimo.
A Milano restano la corona ferrea con al centro quello che era la reliquia di un chiodo della croce di Cristo
(cerchio di ferro che sta all’interno). Essa ha delle caratteristiche di lavorazione a sbalzo e di smalti cloisonné
caratteristici della lavorazione presente anche nell’altare di Vuolvinio. Siamo nell’ambito di oreficerie nella
Milano carolingia.
Qui vediamo una serie di codici carolingi, è quello di Lindau, vediamo come è fatta la copertina. Il volumen
è il rotolo di papiro, è l’antico modo di scrivere. La colonna Traiana ricorda il volumen, il fregio sembra un
grande papiro che si avvolge. Il codex, più recente del papiro, è fatto da fogli di pergamena (vellum = parte
della schiena di pecora messa a macerare a creare il foglio) che poi venivano cuciti ad un piatto di legatura di
legno che sono le coperte del codice (si dice coperta non copertina perché sono tavolette di legno sulle quali
si realizza la vera e propria coperta di evangeliario elaborata dal monaco in un lavoro ulteriore in un lavoro
di oreficeria).
Occorre tenere presente che c’è la coperta sopra e se noi giriamo il codex dall’altra parte c’è l’altra coperta
(fronte e retro). Nell’illustrazione vediamo un Cristo crocifisso con 4 chiodi, è un cristo triunfans =
trionfante sulla croce sormontato dalla presenza del sole e della luca. I personaggi sono curvi, ricordano
l’altare di Vuolvinio. Le figure sono angeli, figure di personaggi risorti, personaggi che si inchinano a
pregare il Cristo (terra vs cielo). Se osserviamo i dettagli vediamo come tutto è a rilievo, le borchie con pietre
e perle sono sopraelevate sul piano di fondo. Questa è l’epoca di Carlo Magno. La produzione di questi
oggetti è ricchissima per questo si sono così conservati.
Se guardiamo la parte sotto ci accorgiamo che la coperta è realizzata con uno stile più antico, non siamo nel
9 secolo ma nell’8. Decorazione raffinatissima in oro lavorato ad intreccio, lavorazione di gusto barbarico
con inserti. I bracci della croce sono riempiti con 4 cristo con nimbo crucifero.
Osserviamo come gli elementi coabitano insieme in un tutt’uno. Decorazione ad intreccio di gusto celtico ma
anche irlandese con particolare nell’angolo degli evangelisti che scrivono assistiti dai loro simboli.
Sacramentario di Carlo il Calvo, è un codice, siamo degli anni 79\80 del 9 secolo (verso la fine della dinastia
carolingia). Vediamo tutti gli elementi che compongono la miniatura carolingia: le cornici in oro, la pagina
intinta nella porpora e scritta in oro, decorazioni all’antica, la grande pagina di gusto celtico con la
decorazione ad intreccio a comporre la grande lettera V e la straordinaria decorazione in oro della pagina.
Sono pagine per essere viste insieme. Foglie d’acanto in oro, decorazione ad intreccio, pergamena. La
scrittura carolina è stata inventata da Carlo Magno nell’epoca carolingia. Essa riprende dal mondo antico per
la leggibilità, per la perfezione geometrica, si tratta infatti di una delle scritture del mondo antico più facili da
leggere. Riprende un po' dalla scrittura “onciale” che ha queste curve.
ARTE OTTONIANA
L’arte ottoniana si sviluppa nei territori del Sacro Romano Impero del declino della dinastia carolingia
(esauritasi nell’887 dopo la morte di Carlo il Calvo) e la svolta dell’anno 1000. È un’arte per lo più religiosa
e prodotta nelle grandi abbazie, improntata su quella carolingia.
Ottone è il nome dei tre re di Germania della dinastia sassone, Imperatori del Sacro Romano Impero dal 962
al 1024:
1) Ottone I il Grande nel 962 è incoronato a Roma in S. Pietro da Giovanni XIII e regna fino al 973;
2) Ottone II è associato al titolo nel 967 e muore nel 983;
3) Ottone III (a soli tre anni) è incoronato ad Aquisgrana nel 983 e muore nel 1002 senza un successore
diretto.
4) Nel 1002 il potere passa al nipote Enrico II (ultimo rappresentante della casa di Sassonia), incoronato nel
1014 e morto nel 1024;
Dal 1024 al 1039 regna Corrado II il Sacro (inizio dinastia salica).
Siamo nel X secolo, l’età ottoniana è stato un periodo molto turbolento, ancora di invasioni e arrivi di popoli
che si mettono in una posizione conflittuale con l’impero. Dalla Norvegia e dai mari del Nord arrivano i
Vichinghi (o normanni), essi prima non erano stanziali e ora iniziano a fermarsi e a passare gli inverni (non
tornano più nelle loro terre d’origine). SI fermano sulle coste, nelle isole del nord, entrano in scozia,
Inghilterra e poi iniziano a navigare i fiumi e ad entrare in Francia. Intorno al IX secolo entrano attraverso la
valle della Loira, saranno poi loro che si trasferiranno nel Sud d’Italia e diventeranno i depositari del regno
dei Normanni di Sicilia (XI e XII secolo).
Altre invasioni sono quelle degli Avari, dal regno d’Ungheria (popolazioni minacciose), i Danesi che
conquistano l’Inghilterra dalla Danimarca.
Dal Sud dal Califfato Fatimide gli arrivi del mondo arabo. Non fu un periodo facile anche dal punto di vista
economico con carestie e problemi in gestione delle risorse.
L’oggetto dell’epoca di Ottone I o II (non si sa) che ci fa capire la potenza e la volontà di mettere in capo agli
Ottoni una corona che avesse il carisma delle antiche corone bizantine passate attraverso il potere carolingio.
Si trova al museo di Vienna. La croce è piena di gemme sul fronte, il Cristo viene disegnato sull’oro nella
parte posteriore. È una corona a placche (sono 8 concluse ad arco) con la presenza di pietre preziose (zaffiri,
smeraldi, ametiste, rubini) molto grandi perché messa in testa all’imperatore doveva vedersi da lontano.
La corona, lo scettro, il globo (simbolo del potere sulla terra), il mantello, la spada, la lancia, le calzature, i
guanti formano il quadro completo dell’imperatore.
Si alternano placche completamente rivestite di pietre preziose a rilievo incastonate con un lavoro di filigrana
raffinatissimo. Le pietre sono tenute da elementi in oro che sostengono la pietra preziosa. La lavorazione
dell’oreficeria è “moderna” e lo vediamo nel retro della corona, nell’interno, la finitura vista anche dove non
si può vedere sorprende per la straordinaria particolarità. L’orafo è l’artefice per eccellenza del potere, non è
lo scultore o pittore. Si alternano tre placche con delle figure di profeti come Salomone che spone una
sciarpa sacra, il Cristo seduto in trono con due cherubini con le ali chiusi e i piedi sul mondo con la scritta
“attraverso di me, Cristo, i re, regnano”. C’è la base della legittimazione del potere ovvero il re regna perché
Dio lo vuole. Gli altri due sono re David ed Ezechia ovvero due profeti e David e Salomone.
Si pensi a Vuolvinio che negli sportelli della finestrella dell’altare si è raffigurato mentre viene incoronato da
Sant’Ambrogio, lui stesso Vuolvinio si presenta incoronato dal santo di Milano, questo ci fa vedere la
potenza dell’orafo, colui che ha in mano la materia che rappresenta il potere e il divino.
Possiamo avere un’idea della sua antichità e della sua origine romano\orientale guardando un dipinto
probabilmente del 9 secolo che si trova nella chiesa di S. Maria in Trastevere. Dipinto a tempera su tavola
simile all’encausto secondo la tradizione della pittura su tavola romana. È la prima e vera pala d’altare:
troviamo la Madonna assistita da due angeli. La vergine ha gli occhi fissi, sbarrati ma ha in testa una corona
a placche con una parte più alt con la croce e con una grande cascata di perle che cadono sul viso dalla
corona stessa. Questa caduta ci ricorda il copricapo di Teodora nella chiesa di San Vitale in Ravenna, si tratta
di un esempio di una rappresentazione della corona di tipo bizantino e la madonna stessa è vestita come una
regina di Bisanzio.
La Madonna è retta sul trono il quale è ben rappresentato con decorazione di perle, troviamo il grande
cuscino di seta che è un arredo tipico di quest’epoca e il bambino non è appoggiato sul braccio come siamo
solito vedere ma messo al centro del corpo quasi ad identificarsi con il ventre di Maria (è il frutto del ventre).
È l’immagine iconografica della madre di Dio, è lei che ha generato i Cristo e lo presenta, lo espone, questo
si chiama “theotokos” (in seguito la Madonna porterà il bambino sul braccio e lo appoggerà alla gamba, è
l’immagine che chiamiamo odighitria che soppianterà questa prima immagine della vergine).
Tradizione del camelaukion bizantino, è la corona bizantina a placche con le perle. L’importanza che ha
avuto Bisanzio nell’età ottoniana lo vediamo nel Cristo che incorona Ottone I e Teofano, principessa
bizantina che si trova a Parigi al Musée de Cluny.
Sotto un padiglione regale con le tende che si scostano Cristo che incorona Ottone e l’imperatrice Teofano,
ovvero la sua sposa, una greca. Perché gli Ottoni si sposano le principesse greche. Teofano sarà la madre di
Ottone III.
Notiamo la lavorazione della tavoletta e il modo frontale e rigido del Cristo simile alla Vergine precedente.
La lavorazione a rilievo e i rombi e quadrati sono la rappresentazione dell’oreficeria. Lo stesso Cristo poggia
i piedi su un suppedaneo che lo innalza e a terra schiacciato a sinistra troviamo il committente dell’opera che
è un vescovo (committente dell’opera). Questo si chiama proscunesis.
La Tavoletta Trivulzio mostra Ottone I, il piccolo Ottone III tutti in proscunesis di fronte al trono di Cristo.
Da Bisanzio arriva “Neustan”, il serpente di bronzo donato da Basilio II, imperatore bizantino, intorno
all’anno 1000 e dal vescovo Arnolfo da Arsago. Questo oggetto rimane a Milano alla chiesa di
Sant’Ambrogio. SI dice che quando fischierà finirà il mondo. È un talismano, oggetto archeologico
dell’antica Bisanzio, si dice che potesse arrivare dall’ippodromo di Bisanzio ma non è sicuro. Era destinato
ad Ottone III che però muore.
L’età ottoniana si configura per un’estrema raffinatezza e si cerca di ribadire gli aspetti dell’arte carolingia in
particolare il rifarsi all’antico. Osserviamo il Gregormeister, ovvero il Maestro anonimo di un codice con le
epistole di San Gregorio (Gregorio magno). Sono rimasti due soli fogli erratici (perché sono andati uno da
una parte e uno dall’altra: uno al Museo Condé di Chantilly, l’altro a Treviri). Esso rappresenta l’esempio di
questo classicismo e viene oggi identificato con un pittore di Milano. Gli artisti milanesi sono molto raffinati,
parliamo di un pittore identificato con un Giovanni che si sa che aveva dipinto ad Aquisgrana dei cicli di
affreschi di cui non è rimasto nulla. È probabile, visto il gusto delicato del pittore, che possa trattarsi appunto
di Giovanni, pittore di corte molto celebrato al suo tempo.
L’oro viene privilegiato nell’età ottoniana. Userà ancora loro Piero Della Francesca nel 1448 con il Polittico
della Misericordia sullo sfondo perché la tradizione medioevale delle chiese vuole vedere l’oro.
Questo possiamo confrontarlo con il codice di Godescalco dell’epoca carolingia dove gli evangelisti sono in
una costruzione come questa.
L’oro è il sacro, la luce di un luogo che non è la terra. L’evangelista Luca è pensato in una realtà
sovraumana, non è più l’umile scriba dell’età carolingia. È vestito si come un antico ma tutta la sua figura
respira quella luce lì e dilata nello sguardo, nel gesto, ci vuole far capire che questa è la via, ovvero quella
della conoscenza dei testi sacri. È un libro che stiamo aprendo, ovvero il vangelo di San Luca.
La mandorla in questi anni si configura in qualcosa che si arriva dall’oriente ma trovava una spiegazione
pitagorica e platonica. Il precettore di Ottone III è Gerberto D’Aurillac, di origine francese, che si trova a
corte. SI tratta di un vescovo che è un grande matematico e ha istruito e impostato una cultura matematica
alla corte degli Ottoni. Verrà poi eletto papa con il nome di Silvestro II a Roma. C’è un intreccio di culture
ed intellettuali. Osserviamo l’origine della cosiddetta vesica piscis che non è altro che la mandorla, ovvero
due cerchi intrecciato per la geometria Euclidea. Oltre a questa forma creano tre segmenti che rappresentano
la santissima trinità.
Con questo gioco matematico inizia a svilupparsi la speculazione sui simboli geometrici. Nascono in seguito
testi che parlano della proporzione aurea. Oltre alla forma della mandorla (vescica del pesce) vengono fuori
anche rombo e rettangolo che sono forme rintracciate nelle miniature che stiamo guardando.
Da oggetti piccoli come coperte di evangeliari o miniature, troveremo le mandorle nei portali delle chiese.
Hildesheim (Sassonia) Chiesa di S. Michele (1010-1033) commissionata dall’arcivescovo Bernoardo
In questi luoghi della corte del potere si sviluppa una nuova architettura. Le chiese dell’epoca ottoniana
iniziano ad essere imponenti, ha due tiburi e più avere due absidi (si sdoppia).
La chiesa fu distrutta durante l’ultima guerra. Fu ricostruita com’era all’epoca. Le chiese precedenti erano
ambienti dove si amministrava la giustizia (es. Basilica Ulpia del foro Traiano). Era un’architettura che
arriva dall’antica Roma ma aveva caratteristica funzionale, per guardare il cammino del cristiano verso la
mensa di Cristo, l’altare sulla quale si sviluppava la liturgia. La comunità si capiva in un’architettura
funzionale con altare al centro e mandorla.
Dalla forma di Hildesheim le altre chiese prendono spunto da qui e si sviluppano in opere spettacolari. Era
cambiata l’interruzione barbarica del ritmo, ovvero non abbiamo tutte le colonne che separano le navate, ma
un’interruzione del ritmo (ogni due colonne un pilatro). Da qui, con l’invenzione del pilastro a fascio
abbiamo in un certo senso l’inizio dell’architettura romanica.
In questi disegni vediamo nascere il sistema del pilastro a fascio che si innalza e separa gli archi di sostegno
delle volte a tutte le altezze perché la navata centrale è più alta mentre le laterali on più basse.
Senza questo momento ottoniano nulla sarebbe accaduto, non si sarebbe diffusa così rapidamente questa
architettura romanica. Perché tutte queste sperimentazioni non avvengono casualmente ma avvengono a
corte e una corte centralizzata come quella ottoniana è un forte focolaio dalla quale le novità vanno in tutte le
parti dell’impero.
Porta bronzea di San Michele, inizio XI, ora in cattedrale Hildesheim - 1015, commissionata dal vescovo
Berward. Sono quasi 5 m di altezza in un'unica fusione. Sono un lavoro straordinario. Siamo in un contesto
che è quello del potere, non solo del vescovo ma del potere imperiale e poi i vescovi hanno molta importanza
nel sistema feudale. Alcuni di questi vescovi ottoniani come Bernward determinano la cultura del tempo e lo
fanno con libertà.
Vediamo il racconto della salvazione a partire dalla genesi (creazione) a scendere fino ad un dramma, ovvero
l’uccisione di Abele da parte di Caino. Dalla creazione di Eva, non di Adamo perché Eva è la madre terra, la
sapienza di Dio. Quindi dalla visione della creazione di Eva dalla costola di Adamo all’annunciazione e alla
resurrezione nell’altro portone. Da un alto Eva e dall’altro la Maddalena, due peccatrici testimoni della
venuta e della resurrezione di Cristo.
Le scene si corrispondono: Maddalena ed Eva e in particolare dove ci sono le borchie con gli anelli dove le
porte vengono tirate troviamo Eva che allatta e Adamo che zappa la terra e dall’altra parte Maria omaggiata
dai re magi. Maria rappresenta la chiesa, Eva la terra.
Lotario II era un nipote ci Carlo il Calvo, croce realizzata nell’età ottoniana. La posto del Cristo vediamo un
cammeo antico con Augusto, lo scettro e l’aquila imperiale romana. Quest’oggetto ci racconta l’Impero
Romano.
Le problematiche di questa croce sono un discoro che sta a monte della realizzazione di questi oggetti. Una
croce che arriva da Colonia e conservata ad Aquisgrana. (una delle grandi città capitali dell’Impero
Carolingio). Si chiama croce di Lotario per l’effige di Lotario II. È una croce a stile (=da inserire sull’asta
della processione). Fu realizzata in piena età ottoniana. Il cammeo è una gemma a strati lavorata a partire da
fondo scuro con il volto di August mentre innalza lo scettro con l’aquila e sfruttando la parte bruno-rossiccia
della parte più alta troviamo la realizzazione delle parti più rilevate (mantello e serto di alloro). Un oggetto di
grande bellezza, notiamo come percepivano perfettamente la bellezza della gemma antica, come il medioevo
è intriso di una cultura antica ella gemma.
Nella parte dietro della croce troviamo la figura del Cristo in croce inciso sopra. Sono figure che non hanno
bellezza aurea ma hanno un senso dolente, doloroso, una confidenza tra uomo in croce e i fedeli.
Alcuni oggetti ci parlano di una Milano dell’età ottoniana dove abbiamo già invidiato la targhetta segeutne:
Nella Situla Basilewsky a Londra vengono presentati due secchielli liturgici che ci fanno vedere la
lavorazione raffinata delle botteghe milanesi di intaglio dell’avorio.
Sono divise le storie della vita pubblica di Gesù su due registri, sono oggetti molto piccoli, si tratta di una
zanna di elefante. Una dimensione obbligata dalla zanna quindi. Notiamo che compaiono due testoline in alto
che facevano da elemento di aggancio di una maniglia metallica. Uno dei più famosi di questi oggetti è il
secchiello (o situla) liturgico di Gotofredo del X secolo che si trova a Milano al tesoro del Duomo.
Qui è presente anche la parte metallica del manico della situla. In realtà la situla (termine latino) è l’oggetto
che serve per la sete, è un secchiello dal quale si attinge con un piccolo mestolo per bere. Le prime situle
della storia dell’archeologia sono quelle relative al cerimoniale dei faraoni.
Rappresenta una seduta in trono assistita da due diaconi (in realtà sono due angeli, hanno le ali) uno porta
l’ostensorio (oggetto che profuma) e l’altro ha un piccolo porta-certo (oggetto per illuminare). LA Madonna
è una theotokos, perché ha il Cristo centrale a ricordare la nascita del figlio di Dio. Figura molto frontale,
come nella tavoletta Trivulzio ma anche la capacità di illuderci che ci sono piano diversi come un portico che
gira tutt’intorno, con dei fregi sopra. Ma ci sono anche altri elementi come le porte di città. Nel piede del
vasetto compare una decorazione a meandro e anche la basi delle colonne che compongono il finto portico in
qualche modo vogliono sembraci a rilievo, più avanzate rispetto alla figura di Maria. Vuol dire che questi
intagliatori sanno lavorare illudendoci. Nelle altre arcate troviamo la presenza degli evangelisti.
La maniglia è in argento con degli animali raffigurati.
“Pace” di Chiavenna (immagine a destra) si trova nella chiesa di San Lorenzo a Chiavenna sopra il lago di
Como, uno dei luoghi dell’ottoniano e del romanico lombardo. Perché sono sulle rotte di passaggio epr
arrivare in Svizzera. Vediamo la somiglianza tra al croce di Essen (immagine a sinistra) (croce a stile con un
nodo di cristallo per poterla inserire nelle piccole staffe che servono per portarle in processione).
Quest’oggetto era una coperta d’evangelario solo che non si è conservato (avevano lamine aurea sulla quale
venivano fissate con dei chiodini le lamine auree). Quest’oggetto è diventato una pace che serviva per il rito
della “osculatio” ovvero il bacio, il baciare l’immagine sacra. Un diacono presentava l’oggetto ed in fila
andavano tutti a baciarlo. È un oggetto che subentra nella funzione liturgica all’uso originario di coperta di
evangeliario.
La “Pace” di Ariberto del XI secolo ci porta a parlare di un vescovo conte, un grande ‘signore’ di Milano,
Ariberto. Di lui resta questa pace (=coperta di evangeliario), è un tesoro con delle caratteristiche preziose di
composizione molto vicina a quello che è il gusto della decorazione ottoniana.
Gli apostoli nella parte superiore, il Cristo in croce che guarda il soldato romano con la lancia che diventa
santo. Maria, San Giovanni e due personaggi Disma e Misma (uno buono e uno cattivo) sono i due ladroni.
Questi nomi compaiono anche spesso ad identificare i carnefici del Cristo. Essi configurano il rapporto
privilegiato di chi si converte sulla corco o ai piedi della croce.
Il colore verde e azzurro sono i colori più preziosi nell’ambito dello smalto e sono presenti in questa pace che
doveva rappresentare la purezza di Milano.
Troviamo alcune placchette molto interessanti come l’angelo che incontra Maria e il Cristo che scende
nell’oltretomba a liberare i giusti che qui viene visto mentre porta in cielo il buon ladrone (immagine
rarissima).
Cristo risorto portato in cielo degli angeli, gli apostoli, la resurrezione del cristo con l’angelo e l’incontro con
mari a(o la Maddalena), la rara immagine del cristo e del ladrone, i due carnefici (Longino che si converte
verso quale crisot volge lo sguardo), Maria e san Giovanni sotto la croce, e al centro il Cristo che è sceso algi
inferi per salvare Abramo, Adamo ed Eva e che rpedne per mano Adamo per poralo fuori e portarlo con lui
in paradiso.
La parte dietro mostra una lavorazione in argento sbalzato con figure significative. La parte retro è più
semplice, al centro troviamo sempre il Cristo con un cartiglio che gli pende dalla mano con scritto “lex et
pax” (=legge e pace). Ariberto l’arcivescovo che compare mentre tiene in mano il libro (questo) che porta in
dono al Cristo. La madonna e san Giovanni Battista (destra e sinistra) del cristo. Sotto il protettore di Milano
che è sant’Ambrogio e Protasio e Gervasio. Sul bordo, con grande profusione di scrittura troviamo tuti i
nomi citati fin ora e anche la chiesa di Milano. Sono oggetti che rappresentano il senso di una città che si sta
avviando sempre di più alla costituzione del libero comune medioevale (fine XI secolo nascono i comuni
italiani, le repubbliche come si diceva in antico).
Come cambia il modo di rappresentare lo può provare quest’oggetto che risale al 1024. IN quest’anno
moriva Enrico II e subentrava il nuovo imperatore Corrado II. Qui compaiono in proskynesis una coppia
imperiare che è quella di Enrico II e Cunegonda. CI può ricordare l’altare di Vuolvino ma non è più un
altare, un sarcofago rivestito ma è la parte davanti dell’altare.
Nelle arcate vediamo delle figure interessanti. Da sinistra verso destra troviamo: S. Benedetto, Michele,
Cristo, Gabriele e Raffaele (è l’antenato degli angeli custodi). Gli ultimi tre sono tre arcangeli, quelli che
compaiono sempre in modo privilegiato e rappresentano delle virtù degli arcangeli.
Ci sono delle scritte in alto: Chi è come dio? (Michele) Chi è forte? (Gabriele) Chi è salvatore? (Cristo) Chi è
benedetto? (Benedetto) Chi è il medico? (Raffaele).
A questi arcangeli vengono associate delle virtù taumaturgiche, protettive.
Il tutto è lavorato in modo raffinato, troviamo sempre le arcate che arrivano dal mondo carolingio e i volti ci
fanno sentire che stiamo voltando pagina.
“Guarda come le cose d’uso terrene, gli oggetti liturgici, sono protetti da chi è clemente e mediatore presso
Dio” - frase che troviamo scritta, bisogna guardare le cose che si usano per rivolgersi a queste figure, a Dio,
bisogna quindi fare attenzione agli arredi liturgici. È un invito a tenere da conto le cose preziose in uso.
Ci accorgiamo dell’enorme ricchezza del monastero, dell’attenzione all’arredo e alla distinzione del
monastero di questi grandi concetti.
Vediamo come il modellato di questi volti, i gesti che vengono fati da queste figure, lo sguardo, abbia una
forza quasi orientale. Anche l’uso dell’oreficeria nell’aureola è significativo. Vediamo come tuto prende una
solennità, siamo a 1,20m di altezza. Siamo passati da piccoli oggetti a grandi oggetti.
Stiamo andando avanti nell’11 secolo e queste figure risentono ormai di questa nuova cultura che chiamiamo
romanico. Sono più solenni, più grandi.
Il gesto di incurvarsi di Enrico II e di accarezzare il piede, un gesto che faranno anche gli imperatori nei
mosaici romani e lo faranno anche i papi.
Crocefisso di Ariberto, 1040ca, 2,20m in rame lavorato in lastra e dorato. SI trova al museo del Duomo di
Milano.
Restauro
Ai lati della croce compaiono Maria e San Giovanni piangenti mentre si accostano al corpo del Cristo
sofferente. Sotto la croce troviamo un novello Adamo, egli rappresenta ala terra primordiale. Il luogo sotto i
piedi del Cristo è quello dove sta l’Adamo che si va a sostituire l’arcivescovo vivente perché ha nimbo
quadrato che lo configura come vivente “Ariberto arcivescovo indegno” (come immeritevole di tanto onore.
Ariberto offre a Dio il modello della chiesa che tiene in mano. La stessa posizione di Ariberto con in mano la
chiesa ci porta alla chiesa di San Vincenzo a Galliano del 1007. Si tratta di un momento chiave dell’epoca
che chiamiamo ormai Romanica. Si tratta di una chiesa con battistero a fianco.
Ci consente di documentare al 1007 Ariberto quando non è ancora diventato arcivescovo dove lo troviamo
già con il modellino in mano.
All’interno la chiesa ha diversi livelli di calpestio: il presbiterio è innalzato, è come se fosse un palco
scenico. Perché mentre salgono le scale del presbiterio scendono le scale che portano nella cripta, il locale
semiinterrato. Tutto questo per far vedere dal punto di vista architettonico il rapporto con gli spazi della
chiesa.
Nella parete destra ci sono quattro registri sovrapposti di dipinti, è quindi completamente rivestita di dipinti.
In questa parete compaiono storie di San Cristoforo Sansone.
Nell’abside viene rappresentato il Cristo in mandorla con il libro con due figure prosternate Geremia ed
Ezechiele con i loro angeli protettori (arcangelo Michele e arcangelo Gabriele).
Notiamo il particolare dell’abbigliamento e del gesto dell’arcangelo Michele (che è l’unico rimasto intatto
dei due). Nel volto si cerca di esaltare la tridimensionalità, sono presenti ombre e luci con lumi di biacca
(bianco) per prepararlo ad una visione da lontano e farlo sentire plastico.
Vediamo anche la ali viola, non solo i colori straordinari. Dopo una piccola nicchia dove erano conservati gli
oli santi vediamo Ariberto che appare con la chiesa che fece fare lui. Cultore già al tempo delle arti.
Al centro (sotto semicerchio) troviamo la scena del supplizio del Santo con i carnefici che gli versano
addosso il piombo fuso. È la scena più famoso di martirio di santi.
Entrambi gli affreschi hanno: architetture complesse, composizione ampie, figure monumentali, prevalenza
della delineazione lineare delle figure piuttosto che sulla resa plastica.
In questo episodio vediamo una caratteristica dell’epoca ottoniana, ovvero la presenza dei meandri
prospettici, ovvero decorazioni che risalgono al mondo dell’antica Roma. Sono esercizi prospettico
decorativi. Questo affresco si trova sempre ad Oberzell nella chiesa di San Giorgio.
Nel contesto delle poche ma importanti decorazioni pittoriche del X secolo occorre citare gli affreschi
dell’apocalisse di Novara. Sono 8 spicchi che all’interno del battistero di Novara. Sono sette spicchi con
storie dell’apocalisse e uno spicchio con la sovrapposizione di altre immagini. È la scena della donna, del
bambino e del dragone.
L’Apocalisse di San Giovanni, l’ultimo libro, quella della fine dei tempi, diventa importantissimo. Siamo tra
il 900 e il 1000 e tutto il mondo dell’alto medioevo che ci hanno descritto come cupo in realtà è pieno d’oro
ma è un mondo che ha paura della fine del mondo. In realtà il medioevo non ha avuto cos’ paure dell’anno
1000. Mente il X secolo fu un periodo molto complesso con nuove invasioni, i normanni, i danesi, i saraceni,
ecc. ora inizia, con il passaggio all’XI secolo a stare tutti un po' meglio. Molto importante è anche il clima,
inizia a fare caldo. Cambiano tante cose in questo nuovo secolo. Viene anche inventato l’aratro a versatoio.
Tutto il medioevo da qui in avanti è legato a questo stare bene, a non patire troppo il freddo.
Le rappresentazioni dell’apocalisse si moltiplicano ed iniziano ad illustrarsi diversi codici. Nei vangeli di
Ottone III (detti del gruppo di liutar) vediamo l’imperatore in cui l’imperatore viene trattato come il Cisto: ha
la mandorla, intorno ha i simboli degli evangelisti. Questa confusione è anticipata nell’ultimo periodo
dell’impero carolingio dove il Cristo in mandorla passa dal dominio dei cieli al dominio sulla terra come un
imperatore. Qui l’imperatore prende le caratteristiche del Cristo mistico, il Cristo giudice.
Evangeliario di Liuthar o di Aquisgrana, Ottone III, con la terra che sostiene l’imperatore in mandorla
incoronato da Dio, simboli evangelisti intorno, sorretto dalla terra come la croce di cristo (confusione totale).
Apocalisse di Bamberg di Enrico II, episodio bambino, neonato dragone, la donna che vince il drago, una
metafora della chiesa
Il tema dell’apocalisse compare anche nel muro che prospetta nella chiesa di San Pietro al Monte di Civate.
Siamo nel XI secolo e la scena dell’apocalisse con la donna che ha partorito il neonato, il dragone che cerca
di portarlo via ma le schiere angeliche difendono la donna e bambino (donna simbolo chiesa, bambino
simbolo salvazione che prefigura il Cristo).
È un luogo longobardo, siamo sopra Lecco, è un territorio che era collegato alle vie importanti che
collegavano i territori imperiali. È un territorio sacro, è legato ad un luogo che era stato, dice la leggenda,
fondato da Re Desiderio, per ricordare la salvazione del figlio. In questa forma però e con questi affreschi,
sono legati all’XI secolo, siamo in un contesto romanico con ricordi dell’antico.
Dall’apocalisse di San Giovanni:
San Pietro al Monte era una chiesa con l’abside girato dal punto sbagliato, ad Ovest (in genere andava ad
Est) e in seguito verrà modificato e l’abside diventerà ingresso principale.
L’affresco dell’apocalisse è sopra l’arcata dalla quale si entra dall’ingresso principale. AL centro, a
proteggere l’altare, un ciborio.
La faccia che vediamo quando entriamo nella chiesa rappresenta la crocifissione, dalla parte opposta
compare la tradizione legis: Cristo che da libro e chiavi.
Sud troviamo la resurrezione (angelo seduto sul sarcofago aperto del Cristo vuoto e le Marie che appaiono),
Nord (Cristo giudice rivolto alla notte), Est (fondazione della chiesa, tradizione legis) e verso Ovest (verso
chi entra) troviamo una novità, ovvero la scena della crocifissione.
Nell’interno della cupola del ciborio troviamo sempre la decorazione al meandro e le figure dei santi e di
salvati con al centro l’agnello mistico e nei 4 pennacchi 4 angeli che trattengono i venti ce non sono altro che
degli uccelli in volo.
Al centro, dove si passa per entrare nella chiesa troviamo una scena significativa che presenta le
personificazioni dei 4 fiumi del paradiso. Rivolto verso est, verso il cristo al centro, il Tigri, dall’altra parte il
Geon (ovest) e poi l’Eufrate e il Fison.
Vediamo qui la rappresentazione apocalittica nella volta di passaggio il Cristo seduto sul globo con il scettro
del potere, l’agnello mistico dalla quale parte il fiume che ha l’acqua che dà la vita eterna e intorno la
Gerusalemme celesti. È la prima volta che il Cristo viene rappresentato in un giardino chiuso del paradiso
(Gerusalemme celeste). Questa iconografia arriverà fino a Giotto.
Il Cristo dice “Qui sitit venian” (=venga chi ha sete), è la fonte della vita del paradiso terrestre. Tutto intorno
troviamo delle figure e dei nomi. OSno delle rappresentazioni come di torri, porte, attraverso le quali
possiamo entrare che poi diventeranno personificazioni. SI tratte delle 4 virtù cardinali (si trovano ai 4 lati
dell’affresco).
L’apocalisse di San Severo è un “beatus” ossia un codice dell’apocalisse del XI secolo creato secondo lo
schema interpretativo del Beatus de Liebana, storico commentatore spagnolo del testo sacro di S. Giovanni.
Ne sono sopravvissuti 24 esemplari (uno si trova alla biblioteca Nazionale di Torino).
Rosso è il cavallo della violenza, bianco della guerra e nero della fame la quale tiene la bilancia che
rappresenta la carestia. Acanto all’agnello che fa l’operazione di rompere i sigilli con le zampe compaiono i
simboli degli evangelisti ma i loro animali sono cosparsi di occhi perché così gli racconta San Giovanni
nell’apocalisse. È dalla sua descrizione che arriva questa rappresentazione degli evangelisti in questo modo.
Questi animali sono animali che vedono molto lontano, hanno a che fare con la fine dei tempi.
Questa miniatura sembra arrivare dalla Cina. Attraverso la Presina poi l’ambito arabo, raggiungono la Cina e
torna indietro. Queste contaminazioni di codici arrivano a mondi veramente lontani e sono uno dei fascini di
queste miniature.
Anche Picasso prende spunto per il dipinto Guernica dai beatus dell’apocalisse. L’apocalisse di S. Severo è
un “beatus” ossia un codice dell’Apocalisse dell’XI sec. Creato secondo lo schema interpretativo del Beatus
de Lièbana, storico commentatore spagnolo del testo sacro di S. Giovanni Ne sono sopravvissuti 24
esemplari (uno alla Biiblio Nazionale di Torino).
Nascono anche le prime mappe, il primo tentativo di rappresentare la terra grazie ai miti.
Il modo tradizionale di rappresentare la mappa a T la troviamo nel St. John’s College di Oxford:
Queste mappe riempiono la conoscenza simbolica del mondo. Ancora nel 14 secolo saranno messe nei globi,
nelle mani dei Cristi benedicenti.
INTORNO ALL’ANNO 1000 – “ROMANICO”
“Allora il mondo scosse la polvere dalle sue vecchie vesti e la terra si ricoprì di un candido manto di
chiese” (Rodolfo Il Glabro)
Questo Rodolfo Il Gabro (=pelato) è un abate cronista, sono coloro che trascrivono gli eventi della loro
epoca, scrivono le croniche dei monasteri benedettini. Egli fu un abate del monastero di San Benigno e poi di
Clunie, tocca quindi due luoghi.
Questa frase parla di Romanico con questa poesia ed efficacia di immagine. Scuotere via la polvere dà il
senso di rinnovamento, come in primavera la terra di rinnova e si veste di fiori. Ci fa sentire l’Europa che si
ricopre di un manto di chiese nuove, una proliferazione e rifiorire di costruzioni nuove quale non si vedeva
da secoli. Noi sappiamo bene che questo ha una sua origine ben precisa.
Candido manto di chiese cosa vuol dire? Ci sono due ipotesi: hanno materiali quali marmi e pietre chiare
oppure perché sono anche nuove, pulite, di pietre nuove.
Noi identifichiamo con l’anno mille la nascita del cosiddetto Romanico. Nasce questo nuovo termine a
partire dal 1800 in Francia quando la moda del romanico gotico del mondo medioevale fa si che si
riscoprissero etichette su quest’epoca. Romanico sembra un termine valido per indicare una proliferazione di
nuove strutture architettoniche quali chiese ed edifici sulle antiche vi del pellegrinaggio. Romanzo e
romanico distinguono la lingua romanza e il linguaggio architettonico e artistico.
Cattedrale di Modena
Si tratta di chiese cattedrali, che hanno la presenza del Vescovo. Sono degli organismi architettonici e
plastici con diversi piani di livelli di calpestio.
Architettura romanica
Nell’immagine seguente vediamo l’interno di una chiesa romanica di tipo lombardo, che mostra bene la
suddivisione dello spazio in campate. La campata è una cellula spaziale delimitata in pianta da quattro
pilastri a fascio. La combinazione pilastro + arco (a tutto sesto) + volta (a botte o crociera) costituisce in
effetti la campata romanica, non solo in pianta, dove presenta forma quadrata o rettangolare, ma in alzato,
nello spazio reale dell’architettura, poiché essa si sviluppa dal piano di calpestio al sistema delle volte.
Nel pilastro, nella sua funzione strutturale portante, di origine preromanica (ottoniana), troviamo l’elemento
portante della nuova architettura chiesastica. Di forma semplicemente quadrata o rettangolare, si svilupperà
in tipi più complessi, cruciformi, compositi e a fascio. Dal sistema composto del pilastro a fascio si sviluppa
la grande novità strutturale della campata romanica.
Bruno Zevi ha parlato in termini semplici e intuitivi di questa antica rivoluzione architettonica. L’esempio è
quello del modellino, da farsi in cartone, e fil di ferro. Come si costruisce il modellino della basilica
paleocristiana? Semplicemente prendendo dei piani di cartone e facendoli incontrare agli spigoli: saranno i
muri perimetrali. Dentro potremo metterci tuto quello che ci serve, come se fosse una scatola, un contenitore.
Va da sé che in questo caso lo spessore del muro dovrà essere notevole. Avremo una navata centrale più alta
delle laterali, con filari di colonne che portano all’insieme presbiterio-coro-abside ma l’unica funzione
portante delle colonne sarà sorreggere la porzione di muro soprastante e il sistema delle capriate che
sostengono il tetto.
Invece per costruire il modellino di una chiesa romanica (dice Zevi) dovremo prendere dei fili di ferro, non il
cartone. Perché è dall’interno e non dai muri perimetrali, dallo scheletro, che dobbiamo partire. Come si vede
bene dalla pianta (S. Ambrogio a Milano) è un’architettura puntiforme, innervata, lineare. I punti sono in
pianta i pilastri, le nervature i pilastri a fascio in alzato, cioè in altezza.
Ogni pilastro si ottiene mettendo insieme un certo numero di fili di ferro di differente lunghezza e sezione. A
un certo punto li stringeremo (tutti o in parte) con un anellino di ferro: il capitello. Oltre questo elemento,
strutturale o decorativo insieme, ogni singolo filo di ferro si staccherà dagli altri e andrà a formare un arco, in
varie direzioni dello spazio. I fili più corti andranno a formare gli archi incastrati, tra un pilastro e l’altro nel
senso parallelo alla navata. Gli ultimi due, in alto, dopo un altro anelino, i grandi archi trasversale e
incastrato che reggono la volta, in questo caso a crociera. Fili più sottili percorreranno tutta l’estensione del
pilastro e genereranno, oltre l’ultimo capitello, i costoloni della crociera che sono in pianta le diagonali del
quadrato.
Notare che tutta S. Ambrogio riposa sull’idea del quadrato e su un ritmo particolare che ritroveremo spesso:
ogni campata è delimitata da quattro pilastri a fascio, ma tra un pilastro e l’altro a variare il ritmo è una
colonna. Perché? Osserviamo la pianta: a ogni campata della navata centrale corrispondono quattro campate
delle navate laterali o minori. Due per parte. Nell’architettura romanica le navate laterali sono più basse e
con archi e volte sorreggono un piano alto affiancato sulla navata centrale, il cosiddetto matroneo.
L’architettura romanica è particolarmente plastica. Sono presenti vari livelli, particolarmente visibili in
sezione. Oltre al piano di calpestio (quello grafico delle pinte) è il piano seminterrato della cripta che con
colonne e vorticelle sostiene il piano di calpestio del presbitero, sopraelevato rispetto alle navate e
raggiungibile con scale. Poi è il livello dei matronei (+1), infine quello delle coperture. Spesso c’è il transetto
(pianta a croce latina) e all’incrocio dei bracci, longitudinale e trasversale, la cupola, protetta dal tiburio o
con l’estradosso visibile, come a Pisa.
Con il pilastro a fascio, con il sistema nuovo di quest’architettura che è pensata a partire dall’interno, il
sistema riesce a creare come dei percorsi introno agli spazi più sacri. Vediamo già in S. Ambrogio
l’organizzazione matematico geometrica degli spazi.
Cattedrale di Pisa XI-XII secolo (“tempio di candido marmo”)
Vediamo la presenza di archetti cechi che impreziosiscono la facciata a salienti. La loro ripetizione è come la
firma degli architetti dell’area comasca lombarda.
Gli interni ci fanno vedere il ritmo basilicale, notiamo la divisione in 5 navate. I materiali da costruzione
sono diversi da una zona all’altra perché ogni luogo fa capo ai materiali locali.
Lombardia – area pavese, S. Michele, XII secolo
Presenza in facciata di monofore e bifore, segni che riflettono sul tema della trinità. Le arcate sono delle
piccole logge La facciata è a capanna.
Pavia ha risentito molto dell’area lombarda con caratteristiche locali e anche con decorazioni con mostri,
diavoli, serpenti intrecciati.
Materiale: arenaria, per questo è molto rovinata (si scolpisce facilmente ma la durezza è minima)
Area veneta e alto adriatico, Torcello cattedrale e S. Fosca, XI secolo
Venezia, S. Marco, XI-XII secolo (dal 1063 sotto il doge Domenico Contarini)
Pianta a croce greca sormontata da cinque cupole viene dall’Apostoleion di Costantinopoli così come il
completo rivestimento delle pareti a mosaico. Riferimenti occidentali sono invece l’ampia cripta e l’asse
direzionale longitudinale.
Sono cupole che raccontano la teologia, sono di tipo bizantino, raccontano le vicende della vita del Cristo ma
non solo, anche vicende riferite alla dottrina, cioè alla ritualità della fede come si era sviluppata nel contesto
bizantino.
Toscana, area pisano\lucchese – Pisa, Campo de’ Miracoli XI-XII secolo
Non siamo in centro città ma in periferia accanto alle mura. Sono collocazioni delle cattedrali abbastanza
comuni. L’orientamento Est Nord\est della chiesa (la chiesa è rivolta ad est ed è introdotto davanti
all’ingresso dal Battistero circolare all’interno scandito da una forma di ottagono).
Prima di entrare nella chiesa ad ovest io devo passare attraverso il rito del battesimo.
La torre campanaria (torre pendente) non è altro che la torre delle campane, del suono del tempo della chiesa.
Era anche il tempo dei mercanti, della mensa, dello svegliarsi. Questa torre per un cedimento del terreno si
spostò e si inclinò fortemente e poi fu sistemata da Bonanno Pisano che la raddrizzò con una auto correzione.
C’è un camminamento che gira tutto intorno con una scala coclide molto stretta. Queste logge che la
rivestono giocano sul tema della colonna, del camminamento della loggia. Dobbiamo andare in facciata per
trovare questo rapporto visivo.
Architettura tutta in marmo bianco. Il disegno della facciata è di Reinaldo che prolungò le navate di tre
campate. Suoi gli ordini sovrapposti di loggette, mentre gli archi cechi sono stati impostati da Buscheto.
Transetto a tre navate, la chiesa interna ne ha cinque. Questo marmo anticamente si chiamava marmo di luni,
è il marmo di Carrara.
- Torre campanaria (Bonanno, dal 1173, compiuta nel XV secolo)
- Cattedrale (Buscheto e Reinaldo – dal 1063, consacrata incompiuta nel 1118)
- Battistero (Diotisavli, dal 1153, con coronamenti superiori di Nicola e Giovanni Pisano, XIII secolo)
- Camposanto (Giovanni di Simone, 1278)
Lucca, duomo di S. Martino e S. Michele in foro, XII-XIII secolo
All’interno ci sono lastre lavorate a tarsia marmorea dove ci sono figure dal misterioso simbolismo, sono
animali che si affrontano e divergono, ci sono dei draghi, c’è un ritmo armonico ed esatto come se già ci
fosse in azione un Brunelleschi che misura tutto (egli parti da qui, dallo studiare i ritmi e le geometrie di una
chiesa come questa). S. Mignato all’interno lo spazio è ritmato da sostegni forti e sostegni deboli, insieme ad
archi-diaframma è indipendente dal tipo di copertura (qui capriate lignee e non volte a crociera come più
comunemente nell’architettura romanica).
Vediamo che questo sistema non è collegato al sistema di copertura, è come se avessero preso dal romanico
solo qualche aspetto, cioè si fossero limitati al sistema pilastro e colonna solo per sostenere gli archi
diaframma (quelli orizzontali) che irrobustiscono la struttura. Le campate non terminano nel sostengo delle
volte. Il tetto è a capriate ed è indipendente dal sistema dei pilastri a fascio (mantengono il loro sistema di
tetto).
Cattedrale di S. Ciriaco, fine XI- XII secolo
L’impianto architettonico a croce rimanda alla cultura orientale. La cupola posta all’incrocio dei bracci e il
protiro risalgono al XIII secolo.
Roma, Basilica di S. Clemente, XIII secolo
A Roma tra il XI secolo e XIII furono particolarmente auge le botteghe dei marmorari, organizzate in
famiglie di lapicidi che si tramandavano competenze e nomi, tra cui in particolare quello di Cosma. Da qui
l’aggettivo cosmatesco per definire la loro tipica produzione (arredi liturgici, pavimenti, ecc.) caratterizzati
da decorazioni geometriche policrome in tarsie marmoree e fasce di tessellato (mosaico di grandi
dimensioni).
Montecassino non esiste più (è ricostruita), si tratta una delle abbazie più importanti. Il chiostro,
l’orientamento ad est della chiesa abbaziale addossata sul lato nord. Sul lato sud lo spazio occupato dal
refettorio (come luogo della vita). I lati est e sud sono legati ai luoghi di vita e condivisione.
Lo spazio a sinistra era quello antico dei catecumeni per essere ammessi ai sacri riti (spazio porticato).
Desiderio (che poi diventa papa nel 1086 per un ano con nome di Vittorio III) è molto importante, è un
grande mecenate, è sotto di lui che Montecassino si orna di spazi plastici e romanici.
Esempio di come in epoca romanica le chiese dei monasteri benedettini di pellegrinaggio si sono ingrandite e
sono state trasformate nell’epoca del romanico, epoca che vede l’esaltazione per il viaggio per il santo
sepolcro, per il pellegrinaggio non sono a Roma ma anche in Terra Santa e a Santiago De Compostela. I
monasteri benedettini che accolgono i pellegrini. Le chiese diventano le tipiche chiese di pellegrinaggio.
Ecco un confronto tra Cluny II (età ottoniana) e Cluny III:
Vediamo la ripetizione di un modulo, di una cellula che si ripete all’infinito. Vediamo anche l’invenzione di
un percorso per potersi muovere intorno alle navate. Si poteva incontrare le cappelle nel transetto (qui ne
vediamo due di transetti) e visitarle con le reliquie (ogni cappella è dedicata ad un Santo legato a dei precisi
territori). Si girava quindi intorno e si usciva dall’altra parte (è il percorso che facciamo ancora oggi quando
visitiamo una chiesa).
Il confronto tra Cluny II e III serve anche per ricordare un problema: tutta questa ricchezza la si deve al
mondo ottoniano dell’ultimo periodo e c’è lo spiega il fatto che c’è un sistema centralizzato del potere.
Sant’Angelo in Formis, ante 1087
L’abate di Montecassino, Desiderio ha lasciato la sua impronta. Possiamo verificare come il rapporto con il
mondo ottoniano sia forte.
Molto particolare la decorazione pittorica. Oggi come allora, ciò che colpisce è la presenza della decorazione
della parte terminale del catino absidale dove si vede una conchiglia dominata dalla colomba. Un’immagine
antichissima dell’immagine del cielo che sovrasta il cristo (paradiso) nel suo trono gemmato con il libro in
mano. I tre arcangeli sotto e compare l’abate Deisderio con in mano il modello della chiesa.
L’importanza di queste pitture è fondamentale. Noi non abbiamo più la pittura di Montecassino da cui
proveniva questo abate e fa dipingere da suoi artisti di fiducia questo santuario negli anni in cui è abate a
Montecassino. Abbiamo un documento prezioso di ciò che doveva essere la prima decorazione al tempo di
Desiderio. È prezioso vedere in che modo questo artisti dipinge i volti, modella le espressioni.
Il gesto che fa il Cristo nella parola sacra riprende la maniera bizantina. Ma osserviamo com’è dipinto il
volto. Un’immagine che ci parla di una lingua locale ed è un esempio di come il romanico abbia irrobustito
le vene espressive dei luoghi. Montecassino non esiste più ma esiste Sant’Angelo in Fornis.
Sono presenti aspetti decorativi che arrivavano dal mondo romano. Gli arcangeli adattano ad un linguaggio
locale il gusto bizantino perché nella lunetta sulla parete di ingresso vediamo un maestro greco a
documentare la presenza di doppia maestranza (quello locale è l’arcangelo).
Sulle pareti prendono piede i racconti con i cattivi e buoni da lati opposti, cristo trionfante in croce (è
tipicamente romanico, i bizantini preferivano i crocifissi dolorosi), la madonna, san Giovanni, le Marie, i
soldati. Ecco nato il racconto popolare del romanico.
Particolare della navata: lavanda dei piedi. È una storia commovente che vedremo poi nella tavola Bardi.
La sorpresa che colpisce è che nella parte di controfacciata è rivestita di questo affresco. Il tema arrivava dal
mondo ottoniano viene trasferito in un linguaggio più comprensibile, più incline al racconto. Cristo in
mandorla con apostoli seduti in trono, presenza dei salvati da un lato e condannati dall’altra parte. Il cristo
nella mandorla e la presenza degli arcangeli che espongono dei cartigli.
Questa scena arriva dall’apocalisse ottoniamo. Gli arcangeli che espongono i cartigli. È l’arte imperiale che
determina il cambiamento delle iconografie e la scelta degli artisti di essere più o meno vicini a Bisanzio o
all’impero (qui più vicini all’impero visto che siamo a casa dei Benedettini).
Un confronto è con un mosaico della chiesa di Torcello, Santa Maria Assunta. Mosaico del giudizio
universale. Siamo dopo, nel XII secolo, e lo schema è ancora di tradizione bizantina perché siamo a Venezia.
È la discesa del Cristo nell’inferno.
Abbiamo fatto confronto tra la chiesa di Sant’Angelo in Fornis e la nascita di un modo di esprimere il grande
giudizio universale. Vedevamo coincidere con lo sviluppo della lingua romanica nel territorio di
Montecassino, la casa madre dei Benedettini proprio la figura di San Benedetto che risale al tempo di
Teodorico quindi tra V e VI secolo, siamo in un contesto straordinario per la nascita di tutta la cultura visiva
europea. Il confronto è con l’anastasis, ovvero il giudizio universale di Torcello.
Da una parte si va più verso i modelli ottoniani che è l’incubatrice del linguaggio del romanico (la civiltà del
romanico ha avuto uno sviluppo così vasto all’interno dei territori europei perché alle spalle c’era un impero
come quello carolingio ottoniano). Quindi l’importanza che ha avuto Torcello come esempio della
rappresentazione del giudizio universale secondo la codificazione bizantina già con delle connotazioni
romaniche come la presenza del cristo in croce tra Maria e san Giovanni ecc. Ma il punto focale di differenza
è nella maggior importanza data all’anastasis = la discesa del Cristo nel limbo e l’andare San Giovanni
Battista.
In Torcello il Cristo in mandorla risulta molto piccolo, c’è anche un punto vuoto, ovvero si vede il punto
vuoto del trono dell’agnello. Adamo ed Eva non sono figure “normali” sedute accanto al Cristo ma sono in
proscunesis (come si faceva con il re).
La proscunesis di questo periodo è particolare: i personaggi hanno le mani protese, e non è troppo prostrata
(più si è importanti e più ci si sdraia a terra).
Vergine orante: notiamo anche alcuni ingressi come la madre di dio rappresentata con le mani aperte (come
nella teotocos bizantina).
Molto interessante la presenza di un angelo tutto dorato che riavvolge il cielo in una specie di rotolo (lo
arrotola come un volume romano). È un volumen tempestato di stelle. Dall’altra parte la sposa di Poseidone.
Questo mosaico racconta delle vicende tradotte dalle decorazioni pavimentali dell’epoca del 2\3 secolo.
Porta con San Pietro e consegna delle chiavi, la presenza del ladrone, della vergine con le mani da orante e
l’immagine di Abramo che tiene il lazzaro.
Nel dipinto di controfacciata di Sant’Angelo in Fornis troviamo la rappresentazione dei tormenti infernali.
Questa iconografia è trasferita nelle chiese di pellegrinaggio nei cicli scultorei.
Giudizio universale di Giotto: Lucifero blu come i demoni etruschi (in basso a destra) che mastica i dannati.
Questa immagine ha la potenza dell’immaginario Dantesco che Giotto condivide.
Il riferimento non è solo come quella di Torcello ma si fa anche riferimento ad altre opere: ci sono
personaggi che escono dalle tombe scoperchiando le lastre di chiusura.
Osserviamo come a continuare gli elementi che compongono le ghiere dell’arco ci sono le strombature dei
portali dove vediamo innalzato la loro sporgenza plastica. I capitelli portano racconti, mostri, ecc. tutto ciò
che serve ad affascinare l’architettura. È come se l’uomo dell’epoca non fosse mai soddisfatto, avesse
sempre voglia di vedere di più e ancora, non troviamo mai la stessa decorazione. Si parla di varietas.
È uno dei capolavori del romanico. La Santa Fede era una fanciulla, una Santa e questo è il suo reliquario:
Si tratta di una piccola statua di legno rivestita con al suo interno le reliquie. Il rivestimento è di lamina
d’oro, ci riporta al gusto raffinato ottoniano o tardo carolingio per l’incastonatura delle pietre, la filigrana,
l’utilizzo di tutta una serie di pietre antiche, di gemme romane e greche. È come si ci fosse una raccolta di
gemme antiche, allora possedere una pietra incisa romana voleva dire possedere qualcosa di molto prezioso.
Es. Croce di Lotario con al centro il cammeo con l’imperatore Augusto con aquila e scettro che era posta
davanti all’immagine del Cristo.
Lunetta portale della chiesa di Sante Foy:
Sul portale troviamo il giudizio universale con il Cristo in mandorla, la presenza degli arcangeli intorno e la
possibilità di giudicare: i beati da un alto e i dannati dall’altro. Introno i simboli degli evangelisti e figure
locali. In alto gli angeli stanno appendendo la croce. Siamo nel caso di una chiesa di pellegrinaggio con tutte
le caratteristiche come il doppio ingresso.
Tutta la lunetta in pietra locale era tutta dipinta di colori ad oggi dal restauro è emerso un colore azzurrino.
Sulla destra troviamo un olderico abate che teine per mano una figura con dei baffi e la corona che potrebbe
essere Carlo Magno: Maria a fianco del cristo giudice con San Pietro con le chiavi, un eremita santo del
luogo, un abate della chiesa e Carlo Magno come fosse un santo perché rappresenta l’unità dei territori nel
mito.
Sempre sulla sinistra troviamo la mano di dio con la Santa Fede, ovvero la santa dedicataria della chiesa.
Questa è in proscunesis e viene individuata nella chiesa.
Tra le figure più curiose ed affascinanti è l’apparizione di queste figurine che sembrano voler staccare le
fasce:
Saint Lazare a Autun 1120 ca.
Questa chiesa ha una storia che fa capo ai duchi di Borgogna, siamo agli inizi del 12 secolo. SI tratta di uno
dei portali interni. Grande chiesa di pellegrinaggio legata a questa famiglia di feudatari. Osserviamo il cristo
nella mandorla, un cristo piatto magro e spigoloso, è la caratteristica degli stili di questi scultori. In questo
caso lo scultore è Gislebertu.
Racconta lo zodiaco intervallato ai lavori dei mesi (riconosciamo pesci, bilancia, scorpione, ecc.) mentre sul
lato destro vediamo la scena della pesatura delle anime e la solita classificazione tra salvati e diavoli. Il
Cristo apre le mani al centro come giudizio di equità, di spartiacque. Ricordiamoci come queste chiese
rivolte ad Est sono anche esperienze astronomiche cosmiche. Il centro è il simbolo dell’equinozio di
primavera.
Vediamo che le figure che compaiono sotto, non appena risorte sono già giudicate: si salta un po’ il
passaggio della resurrezione dei morti i quali sono già usciti e compaiono mentre vanno già al loro premio o
alla loro condanna.
Anche in questo caso la decorazione scultorea era colorata. Osserviamo questi personaggi che escono dai
loro sepolcri ma hanno conchiglia in mano, sono quindi i pellegrini morti durante il viaggio.
Osserviamo come le figure si pieghino in modo spigoloso. Particolare con angeli che calano dal cielo
capovolti per aiutare la mandorla a scendere:
Si trovava nel portale sud della chiesa. Rappresentata mentre si muove sinuosa come se fosse lei stessa
diventata il serpente e che si fa largo nella flora strappando via il frutto proibito. Notiamo come il corpo della
fanciulla sia stato raccontato, è sensuale.
Nella chiesa di Saint Lazare c’erano delle statue come S. Marta e S. Andrea nel mausoleo:
Questo sepolcro di Lazzaro era il sepolcro dell’amico di Cristo, Lazzaro. Certi aspetti legati alle Marie e alla
Maddalena che erano unite in un unico contesto di amici di Gesù avevano la lor importanza a livello di
reliquie. Si sente la rinascita della statua monumentale. Questo maestro è stato anche collegato a sculture
delle prime fasi del romanico.
I pellegrini, entrando in questa chiesa, rimanevano colpiti da queste statue, probabilmente è il momento in
cui si aspetta la resurrezione di Lazzaro.
Lazzaro, Marta e Maria
Lastra 1
La prima scena raffigura Dio Padre in una mandorla sorretta da due angeli, segue la creazione di Adamo; la
scena successiva rappresenta la creazione di Eva che sorge dal corpo addormentato di Adamo.
Si noti in queste due scene la resa anatomica del corpo di Adamo e la sua plasticità, uno dei maggiori risultati
dell’arte di Wiligelmo.
Segue la scena del Peccato Originale, dall’esecuzione meno fortunata.
Gli episodi fondamentali sono collocati secondo una sequenza cronologica, la cui narrazione è leggibile da
sinistra a destra. Gli spazi, al di sotto delle arcatelle sono semplici, scarni, essenziali: si noti la roccia e il
fiume su cui è adagiato obliquamente, come un burattino senza i fili, il corpo di Adamo.
Lastra 2
Adamo ed Eva, nudi, sono in piedi davanti a Dio creatore che, con espressione severa punta verso di loro
l’indice della mano destra. I progenitori prendendo coscienza del loro peccato e nascondono il volto con la
mano sinistra, mentre con la destra coprono le loro nudità. Segue la cacciata dal paradiso terrestre.
Nela scena con il lavoro dei progenitori, l’autore rende il senso della fatica diurna attraverso la posizione dei
due corpi chinati e la collocazione sulle due teste dei capitelli pensili, per far percepire il sacrificio cui sono
stati chiamati a compiere sulla terra.
Lastra 3
Nella terza lastra sono raffigurati l’offerta all’ara del Signore da parte di Caino e Abele; l’uccisione di Abele
e la maledizione di Caino.
Caino uccide Abele con un colpo di bastone sulla testa. In questo particolare la scena è rappresentata con
forte realismo evidente nei volti e nei gesti dei personaggi.
Nella scena de la maledizione di Caino, Dio Padre pone la mano destra sulla spalla di Caino in un gesto di
condanna e maledizione; nella sinistra ha un cartiglio in cui si legge: “Ubi est Abel frater tuus” (= dov’è tuo
fratello Abele?)
Gli effetti della condanna saranno visibili nella quarta lastra.
Lastra 4
Lamech, raffigurato cieco, con il passo vacillante e con il copricapo caratteristico degli Ebrei nel Medioevo,
ha l’arco in mano ed ha appena scoccato una freccia che ha colpito alla gola Caino, il quale cade come
fulminato, in ginocchio, reclinando la testa all’indietro per il contraccolpo e aggrappandosi al ramo del
grande albero, nel tentativo di sorreggersi.
Nella scena con l’arca di Noè, l’artista riprende il testo biblico e realizza un’arca secondo le indicazioni che
il Padre Eterno ha dato a Noè, cioè a piani, ma la costruisce come se fosse una basilica romanica, con quattro
arcate nella parte inferiore e altrettante nella parte superiore. Quelle inferiori sono tutte chiuse, due delle
superiori, invece, sono parte. Da queste si affacciano i visi di Noè e di sua moglie, che guardano nelle
direzioni opposte, a destra e a sinistra. In basso vi sono raffigurate le acque del diluvio. Anche in queste
scene, gli sfondi sono semplici e quasi scarni.
Wiligelmo e i rilievi del Duomo di Modena
Il creatore della Bibbia di pietra
Il nome Wiligelmo è tramandato solamente da un’iscrizione sulla facciata del Duomo di Modena: “quando tu
tra gli scultori sia degno di onore è chiaro ora, o Wiligelmo, per le tue opere”
“CORPUS ANTELAMICUM” – Fidenza\Parma
Si tratta di un luogo di pellegrinaggio. Siamo a Fidenza (anche se non si chiama così) all’interno di un borgo
che ha dovuto la sua fama al pellegrinaggio, dalla via francigena che segna il percorso da Canterbury a
Roma. Questa chiesa segna uno dei momenti di passaggio dal romanico al gotico ed è popolata di storie e di
invenzioni tant’è vero che si può collocare in una duplice lettura: quella che avevamo già introdotto sul
bestiario (l’animale in una sua accezione complessa).
Chiesa di San Donnino a Fidenza (anche il borgo si chiamava San Donnino). Questo personaggio era un
santo che era vissuto ala fine del III secolo (età della tetrarchia, di Diocleziano), un’epoca che si definisce
tardo-antico e paleocristiana. La città di San Donnino fu trasformato in Fidenza in epoca fascista.
Nell’immagine a destra vediamo la via che conduce alla parte tergale della chiesa con le grandi arcate e la
loggetta che ci porta in un ambito che respira l’aria padana e la grande armonia ed eleganza dell’abside.
San Donnino racconto al centro la storia di Donnino, del suo santo. Paradossalmente la vicenda relativa al
Cristo, alla religione, viene passata in secondo piano rispetto a quella della ventura di Donnino e soprattutto
la vicenda della costruzione della chiesa è messo in massimo risalto. Diventano importanti il santo locale ed
il pellegrinaggio.
L’organizzazione di questo spazio vuole citare un monumento antico (romano) e le semicolonne addossate
con la statua sopra la colonna, la presenza dei timpani, di figure altolocate (c’è Carlo Magno, c’è un papa
Adriano II) sono tutti riferimenti che indicano come la storia del passato, del presente e dell’immediato
passato sono importanti.
La composizione ci fa capire bene gli argomenti:
Dubbio: alcune formelle forse sono state recuperate dalla posizione che non è quella odierna. Alcune lastre
sono state murate e non sono nella giusta collocazione originaria.
Episodio dove compare Carlo Magno, papa Adriano II con la presenza di un vescovo. La chiesa di San
Donnino nasce in quel luogo per segnare il luogo dove il martire ha voluto essere sepolto.
Nel nome del San Donnino ecco la consacrazione della chiesa alla presenza di questi personaggi (già visto
nella chiesa della Santa Fede) con il particolare che a San Donnino non c’era sede vescovile, quindi non era
un vescovo del luogo. Nel disco un segno cristologico con il vessillo (simbolo di resurrezione).
I due particolari laterali: inserviente che gli porta la spada a Carlo Magno sul lato sinistro (questa scena c’è
quasi sempre) e dall’altro lato (destra) qualcuno si sta introducendo nella chiesa è un “egrotus” vuol dire
malato (quindi il malato che si introduce nella chiesa). Il malato che va a cercare il miracolo.
Questa chiesa si configura proprio come il luogo dove non solo io compio il mio dovere di cristiano e faccio
il percorso per andare a Roma, ma anche il luogo dove posso risolvere i problemi ed essere aiutato.
Esempio di come tutta la parte più decorativa sia ricca di animali:
San Donnino fu restaurato in tempi recenti. In alto a destra c’è un angelo che indica il precorso da fare, la
strada da compiere (andare nella chiesa) e sulla sinistra ci sono tre personaggi che camminano (compaiono
anche dall’altro lato dove un altro angelo sembra dire “venite con me” e ‘è un madre che è un fiore perché è
l’immagine di Maria come immagine di vita. I personaggi sono una madre, un padre e un figlio e sono dei
pellegrini.
San Donnino è il santo del luogo, colui che garantisce la salvezza, e la presenza dei pellegrini che sono
fondamentali e sono guidati dall’angelo verso la chiesa, la tappa del viaggio.
Sotto questi personaggi troviamo animali del mito (grifone e una specie di capricorno) che sono animali
solari.
Racconto di Donnino
Tradito nella sua funzione di porta spada (portano spada all’imperatore Massimiano) viene condannato.
Donnino è diventato santo, viene inseguito dai soldati di Massimiano che non si fida di lui e che lo farà
decapitare accanto al fiume. Nel luogo dove viene sepolto dagli angeli la sua testa trova pace provvisoria
perché il santo cefaloforo (=santo che prende la testa e va da un'altra parte per scegliersi un’altra sepoltura) e
così fa Sa Donnino: dove sarà ritrovato lì sarà eretta la sua chiesa.
Qui giace il corpo del martire e qui il malato è risanato
C’è un episodio che conclude la fascia che è hic restituitur eques, ovvero il personaggio ritrova il cavallo
perso grazie a San Donnino. Dimostra come si affrontino temi più affettuosi nei confronti dell’animale.
Notiamo come lo scultore abbia raccontato con precisione la sella, la posizione della staffa e tutto il sistema
della bardatura dove si vedono le fibbie, i ganci.
Il miracolo del ponte crollato, al centro la “Gravida”: in alto vediamo una decorazione ricca che riprende
quella romana, medaglioni e girali, elementi vegetali che denotano un maestro impiegato a fare solo quello in
bottega. Quindi una grande attenzione alla lavorazione accurata, foglia per foglia.
In contrapposizione abbiamo il racconto sotto scolpito in modo meno dettagliato: si rompe il ponte e cadono
tutti giù ma mentre si celebrano le esequie del santo una donna gravida è salvata dalla rovina del ponte.
Questo miracolo viene riprodotto perché le donne gravide erano preziose (tema della fecondità e della
mortalità infantile). Sotto la decorazione a riccioli geometrica che serve ad isolare e raccontare la varietà di
decorazioni che piace nell’epoca romanica.
Lunetta portale sinistro con vergine in trono e lunetta con angelo Michele, manca Gesù, perché al suo posto
c’è San Donnino. Troviamo anche la figura di un mitico santo eremita, Raimondino:
Sul fianco della chiesa gira il fregio con i pellegrini (per un certo pezzo):
Quindi non solo il pellegrino che si ferma nella chiesa ma la cui avventura viene schematizzata e scolpita.
Vediamo anche i meandri, è un ricamo di pietra, la decorazione oltre al racconto è un capolavoro.
Saint-Gilles
In questa chiesa possiamo confrontare le opere con San Donnino, con elementi che arrivano dal mondo
romano (presenza di aquile, sistema della scanalatura della colonna, ecc.). C’è uno stretto rapporto anche dal
punto di vista dello stile e del gusto.
Gli animali sono sempre: cane, maiale, stambecchi\capre di montagna mescolati a figure che appaiono nei
bestiari ma sono inventati come le arpie. Quest’ultimo è chiamato così e ha il corpo di un drago (di un
mostro) quindi con la coda e le ali ma con la testa di umano.
Il mostro non è mai fermo, mai fisso, è un’apparizione.
Troviamo anche questi due animali molto strani che diventano dei pesci. Cfr. S. Bernardo e la sua
riprovazione delle raffigurazioni
Il Battistero di Parma è un ottagono con tre portali i quali sono rivolti a Ovest, Nord e Sud e raccontano la
Vergine, il giudizio e il senso della leggenda mediorientale, di una leggenda Buddista che è stata estrapolata
dal mondo dei pellegrini.
Portale del giudizio: Cristo mostra le piaghe della croce, è mistico, è venuto a giudicare i vivi e i morti
Portale Sud, racconta la leggenda di Barlaam
Leggenda di un principe che scappa su un albero e pensa vi viere nutrendosi di miele che trova sull’albero.
Sotto ha il drago che lo aspetta, vediamo anche due roditori che rosicchiano l’albero alla radice. L’albero
cadrà e il diavolo, in forma di drago, l’avrà vinta e sarà mangiato. È una metafora della vita.
Troviamo due dischi: il giorno del sole e il giorno della luna che si contrappongono e rappresentano
l’equinozio di primavera nel centro.
Patera di Parabiago, IV secolo
Si vede il carro di Attis con figure di armati, la figura del leone, simbolo dell’eternità e delle figure che
rappresentano le stagioni con divinità che rappresentano la terra.
L’arco di Costantino mostrava nell’alto breve da un alto il sole e la luna. Immagine del sole:
Sono simbologie astrali che rappresentano l’orientamento, il sud e il nord (luoghi della notte e del giorno).
Per essere sicuri di questa simbologia occorre fare riferimento all’arazzo di Gerona.
Si fa riferimento anche all’anno con le sue stagioni. I mesi continuano sul fianco e nel fondo i due carri con il
giorno e la notte.
SUGER E BERNARDO
Suger, abate di Saint-Denis (1122-1151)
Il discorso delle vetrate è fondamentale per l’immagine, la luce e l’architettura gotica. L’immagine presenta
la figura di Suger e San Bernardo (il grande riformatore dei benedettini) il quale fu uno dei dominatori di
questo periodo. Nasce il mondo del racconto attraverso le vetrate illuminanti di mille colori anche i
pavimenti delle chiese. Questi personaggi sono contemporanei l’uno con l’altro, sono due anime del gotico.
Vediamo il Suger in proscunesis.
Struttura del monastero benedettino:
È l’immagine primordiale che compare tracciata a penna dallo stesso Benedetto che poi verrà ripresa e
riscritta in codici successivi. Benedetto voleva che ci fosse un monastero strutturato sull’origine della casa
romana. Un organismo in cui vediamo sempre accostato al lato nord del chiostro la chiesa. Il chiostro serve a
disimpegnare gli ambienti che girano attorno ad esso. La sala capitolare sul lato est, lato sul quale è rivolto
l’abside della chiesa. La richiesta è quella di rendere il monaco isolato, nell’idea di Bernardo si ha un’idea di
monaco come figura distaccata dai laici, dalla gente comune, deve vivere isolato. Le suppellettili devono
essere di ferro, non di materiali preziosi e i vetri sono bianchi, trasparenti per non dare nessuna istanza di
contemplare forme che non siano la purezza della preghiera.
Le decorazioni che avevano interessato i pellegrini non vengono più realizzate. Bernardo aveva una visione
del monaco molto distaccata da quella dei pellegrini.
Saint-Denis a Parigi
Questa chiesa ci fa vedere com’è nato il gotico. La chiesa viene trasformata a partire dalla zona absidale, c’è
una luce che arriva molto forte. È un’abside con il deambulatorio che gira tutto intorno tipico delle chiese di
pellegrinaggio. La luce si concentra nell’abside, questa architettura porta a compimento il concetto tipico
dell’architettura romanica ovvero un’architettura innervata, lineare, pilastri a fascio, che compongono la
campata. Il sistema della campata è scandito dai pilastri a fascio, è alla base dell’innovazione architettonica
del gotico ma è già nata nel romanico. È come se i costruttori del gotico si trovano la possibilità di sviluppare
in altezza un’architettura basata sui sostegni interni alleggerendo i muri di sostegno della chiesa che
diventano semplicemente dei diaframmi sottili, cioè vetrate. Il ritmo parietale è quello che passa dalla grande
arcata fino il claristorio, ovvero la parte alta del muro che affaccia sulla natava.
I rosoni introducono un tema allegorico che è quello della ruota del cielo che è un’immagine molto antica
che arrivava dagli antichi battisteri paleocristiani e diventa una forma di pura luce.
In questi anni si moltiplicano anche gli studi su quella che è la recezione del raggio di luce. Alcuni aspetti
arrivavano da Aristotele, da molto lontano, gli scienziati del tempo partono da qui ma poi si chiedono che
cosa siano i raggi di luce. Suger è innamorato della luce che passa attraverso i vetri colorati. I colori hanno
una valenza simbolica, sono segni della divinità.
Oggetto appartenuto a Suger, ora al Louvre di Parigi:
È un calice dove Suger utilizza una coppa antica greco-romana che è stata montata per farne un calice da
eucarestia. Vediamo come Suger ci tiene ad essere il portatore nella chiesa di bellezza e di ricchezza al
contrario di Bernardo che voleva ferro per gli oggetti liturgici dei monaci. La coppa evoca il tempo di cristo.
Un altro oggetto è un vaso liturgico di Suger:
Quest’oggetto ci fa vedere l’idea di Roma che è anche la città di Pietro. L’aquila è una figura della parola di
Dio. La testa è reclinabile per poter utilizzare il vaso in porfido (marmo egiziano). Il vaso romano fa da
corpo all’aquila liturgica. Siamo nel 12 secolo, intorno al 1140\50. Sul collare c’è una frase “questa pietra
merita di essere racchiusa da gemme e oro, era marmo ma in gemme e oro è più preziosa del marmo”.
Nelle chiese gotiche il rosone è duplice uno più piccolo inferiore e uno più grande superiore, sia all’interno
che all’esterno gioca un ruolo di stupore e meraviglia. Le vetrate dei rosoni sono frutto di calcoli matematici
e geometrici.
Architettura gotica
Tutto si alleggerisce e diventa un calcolo di pesi. La spinta degli archi trasversali viene rimandata di arco in
arco, di pilastro in pilastro e si scarica sui contrafforti. Quest’ultimo è un grande pilastro che si conclude in
alto con delle guglie.
Non c’è più il matroneo delle chiese precedenti a favore di uno spazio di luce.
Villard de Honnecourt: Libro di disegno (livre de portriture) XIII sec
È un libro in cui Villard de Honnecourt effettua disegni di architettura. Si vedono piante complesse e
architetture in alzato.
Troviamo anche disegni di personaggi umani e animali, fiori, che ci fanno sentire come il gotico e chi opera
in questo settore pensa le immagini per geometria, per corrispondenza di punti ed elementi geometrici.
Godefroy de Huy
A fare da piede ci sono statutete dorate dei 4 evangeliti che scrivono sui loro libri.
Vediamo argentiere e orafo che pensano dei modelli dominati da costruzioni geometriche.
Cattedrale di Parma
Deposizione di Benedetto Antelami
Segna il passaggio dal romanico al gotico. È ciò che resta della apre centrale della cattedrale di Parma. C’è
una lunga iscrizione con data e firma dell’artista “nell’anno 1178, mese di aprile, uno scultore realizzo
quest’opera, fu Benedetto Antelami”.
Era un grande magister che ha radunato intorno a se una bottega di lavoratori di marmi, applica qui la tecnica
della niellatura del marmo, è tutta una decorazione a scavo.
La processione delle figure è antica e si rifà al mondo romano antico, le figure sono giustapposte come si
faceva negli antichi sarcofagi romani.
Da sinistra troviamo le tre marie e dall’altro lato i soldati che giocano e disputano la tunica di Gesù decorata
come se fossero piccole pietre preziose intrecciate. Troviamo il centurione e poi Maria che prende la mano di
Gesù e San Giovanni. Compaiono anche dei personaggi rappresentati nell’atto di staccare Gesù dalla croce e
compariranno in tutte le scene dove troviamo la rappresentazione di questo momento.
Un angelo si avvicina a Maria e si avvicina ad una figura che è la chiesa vittoriosa con la coppa del sangue in
mano, sul lato destro un angelo spinge via la corona dal capo della sinagoga.
Sole e luna che sono i due testimoni della crocifissione di cristo. I volti arrivano dal mondo antico, le foglie
sono foglie di acanto.
Chartes
Queste statue occupano lo spazio dello strombo del portale. Sono figure di re e profeti della bibbia, sono
allungate, eleganti, hanno in mano un codice. Il gesto della mano aperta è il gesto di chiedere attenzione,
riflessione ed è anche il gesto della constatazione del miracolo.
In quest’altra immagine iniziano a cambiare i volti. La regina sta sorridendo, la cintura bassa,
l’abbigliamento cambiano. Sono immagini di ciò che è considerato l’inizio del gotico in Francia.
Qualche anno dopo, sempre a Chartes, vediamo che le sculture non sono più statue colonna ma si stanno
animando. Abramo gira la testa e vede arrivare l’angelo e nell’altra immagine due donne che si guardano e
sembrano parlarsi.
Queste sculture possono essere gotiche perché hanno le caratteristiche della nuova scultura come per
esempio il movimento ma c’è anche un altro aspetto, ovvero andare a prendere modelli classici e trasformarli
in qualcosa di nuovo.
Problematica che si sviluppa in questi anni (70\80 del 12 secolo – quando nasce il gotico): si vede ritornare la
statuaria, la scultura è a sé. Mentre precedentemente le sculture erano le statue ma non erano tecnicamente
delle statue. Le statue colonna sono ancora nello strombo del portale. La grande statuaria antica riprende vita.
Sguardo, smorfia, le figure che ridono e che piangono. Tutto diventa più reale, documento di un guardare il
volto e la fisionomica. È aspetto importante per l’avvento della grande statuaria classica, una statua che non è
attaccata all’architettura ma e a sé stante.
Tra gli aspetti significativi ci sono i volti che vogliono essere giovani a contrasto di quelli che vogliono
essere più anziani, vediamo il gioco tra il volto più bruno e quello con un sottile stato di stucco per poter
colorire. C’è tutta una pratica di coloritura delle sculture.
Si passa da una scultura romanica ormai abbandonata per restare a bocca aperta in queste statue gotiche.
Federico II a cavallo, coro orientale di San Giorgio. Il volto ha una lettura fisionomica, è intensamente
animato. Il sopracciglio fa si che le sculture creai l’espressione (deformazione sopraccigliare).
C’è anche una preoccupazione che i romani definivano sollicitudo nostra, era una delle espressioni
dell’imperatore romano nell’epoca della decadenza e in questo personaggio si va oltre. Ci sono deformazioni
che arrivano dall’antico ma con un senso di vita ricco nei dettagli: gli occhi gonfi, si creano effetti di
avvicinamento del sopracciglio forti e il sistema della bocca (si apre). Si percepisce che questi personaggi
prendono la parola, stanno per dire qualcosa o hanno appena finito di parlare. Questa animazione la
ritroveremo nel Barocco di Bernini.
Già nel 1245 circa i notabili, i conti vengono rappresentati con un enorme ricchezza di dettagli. SI tratta dei
conti di Naumburg nell’immagine: monili, le vesti, gli ornati, le cinture.
Quest’immagine venne scelta per la strega di Biancaneve. Le sfumature sono molto precise e raffinate.
La statua che ritorna e diventa protagonista e può essere tolta dal muro. Sono state scolpite a parte rispetto
all’epoca precedente dove erano scolpite nel muro. Tutta la fisionomia, il colore dei volti, il guardare al
mondo antico.
FEDERICO II
Negli anni ’70 si sono moltiplicati gli studi su Federico II e sono state fatte molte ricerche. In seguito c’è
stato un lungo periodo di tentativo di rimozione. Si pensi ad un imperatore che ha perso su tutti i fronti tranne
su quello della cultura. Stiamo parlando della apre perdente, quella che non c’è l’ha fatta. Se forse si fosse
annesso i territori e avesse battuto il papato sarebbe diventato un personaggio più illustre. L’ultimo dei suoi
discendenti diretti, Corradino di Svevia, nel 1268, viene bruscamente catturato e decapitato sulla piazza di
Napoli.
La madre era Costanza d’Altavilla, la nipote di Ruggero Normanno II di Sicilia e il padre del padre era
Federico I di Barbarossa. L’unione nacque per ideologie politiche, il matrimonio con Enrico VI fu obbligato
per portare i tedeschi in Sicilia. Federico II aveva tutto il Sud fino al regno di Napoli, proprietà dei normanni
di Sicilia, e i territori tedeschi e Italia del nord a di sopra di Roma, lo scopo era conquistare tutto. Per questo i
papi si alleano e riescono a sconfiggere Federico II.
Testi consigliati: Biografia di Federico II di Ernst Cantorowicz (testo difficile)
Libro di David Abulafia
Augustale di Federico II, 1231
Fiorentini vs Sensi, Sensi con Pisani. Questo mondo si prepara quando Federico II prende il potere e vuole
essere imperatore. Con la cultura di Federico II ci accorgiamo precocemente con uno storico d’arte, che
siamo di fronte ad un esempio di arte di corte.
L’augustale è una moneta d’oro simile a quella di Carlo Magno (da collegare idealmente). Quella di Federico
II è una cultura di corte che è una cultura di stato, uno stato laico. Una cultura che viene imposta dall’alto
così come vengono creati i funzionari regi imperiali che venivano ad amministrare la giustizia. La
caratteristica è quella di guardare come modello anche visivo all’impero romano il quale era il modello che si
riconosceva. Nella moneta Federico II viene rappresentato come se fosse un imperatore romano (mantello,
ecc.) e con l’aquila che arriva da Roma.
Addirittura al tempo ci si accorge che citare l’arte romana voleva dire automaticamente svevo. Svevo e quini
romano ma anche romano e quindi svevo.
L’augustale viene coniato con leggere varianti a seconda di dove veniva creato ma aveva grande prestigio.
La figura di Federico non è solo stata questa con riferimento romano ma c’è ne sono state molteplici. Lui è
siciliano normanno da parte di madre e nasce a Palermo che all’epoca era araba. Federico II conosce l’arabo,
viene educato come un arabo (conosceva 7 lingue tra cui ebraico, tedesco, latino, arabo, inglese, ecc.) e
conosceva una lingua nuova, ovvero il siciliano (primo volgare della storia italiana). È anche un uomo che
rifiuta la guerra e quando si troverà costretto dal papa a partire per la crociata nel 1227 non combatterà
contro gli arabi ma farà un incontro commerciale che favorirà tutte e due le parti. Non voleva portare le armi
ma la pace.
Primo documento dell’arte federiciana: Porta di Capua
Il primo a studiarla fu un francese, Emile Berto, nel 1904 e scrisse un testo sull’arte dell’Italia meridionale.
Egli ribaltò tutto ciò che si pensava dell’arte gotica italiana: diceva che non era nata in Toscana ma nel sud,
nel regno di Federico II.
Il potere forte, centralizzato, chiama gli artisti migliori, quelli più importanti e importa le novità. In Italia
l’unico territorio che poteva essere pilotato da un potere forte era il sud federiciano.
Egli dalla Germania importa la nuova arte, il gotico. Ecco che si combinano le sculture della stessa epoca
della Germania con sistema imperiale alla corte di Federico. Svevo, imperiale, romano. Ecco che si crea una
strategia di rappresentazione che è di propaganda: l’imperatore si seve di un linguaggio per esprimere la
propria presenza. La bandiera di Federico II è quella dove campeggia l’aquila di Roma, il riferimento più
chiaro all’antico.
La porta di Capua attualmente è rotta, la parte centrale non esiste più. Era l’ingresso alla città, si tratta di una
porta urbica. Capua è la prima citta che si incontrava dallo stato della chiesa (Roma) andando verso Napoli.
Sulla porta Federico II esponeva il suo programma politico nella quale non vi erano accenni alla religione. D
solito sulle porte della città c’erano le figure dei santi protettori, ecc. ma qui no.
Federico II era fedele allo stato, alla giustizia. Non a caso fondò la prima università in Italia a Napoli che
nasce come facoltà legata alla giurisprudenza e istituisce e rinnova la facoltà di Salerno di Medicina in
quanto appassionato di scienza e matematica. Era un uomo dai profondi interessi scientifici ma era anche
appassionato di poesia e di canto. Non era un uomo della guerra, uno stratega.
C’è una figura che protegge la città di Capua (ora c’è solo più la testa ma era un busto alla romana): la
Giustizia Imperiale. Serto di alloro, nodo ai capelli, scavo dell’occhio nella quale era inserita una pasta di
vetro bianca e nera.
Questa figura nelle ricostruzioni antiche finiva al centro della porta:
Le figure erano dentro le nicchie, dentro una sorta di “tribunal” romano. Ci sono una serie di archetti che a
sua volta è stato influenzato da certe facciate del gotico. Al centro c’è la giustizia imperiale, la divinità che
Federico II mette a protezione del suo regno. Ai lati, due busti (come quello dell’immagine) di due giudici:
Pier delle Vigne (ultimo grande scrittore in latino) e Taddeo da Sessa (o da Suessa), entrambi raffigurati con
la barba, all’antica, ma una moda che non sembra essere stata seguita a corte. A livello superiore c’era il
busto di Federico II, palliato alla greco-romana, ecco cosa ne rimane:
La testa fu rovinata ma nel museo della porta di Capua esiste questa testa detta gesso Solari, dal nome dello
scultore che ha tratto il modello in gesso. Potrebbe essere una copia di quella di Federico II vista la corona e
il giovane viso.
La porta è tutta il laterizio in alta ed in arenaria chiara in basso con un lavoro di bugnato liscio con degli
elementi triangolari che portano tutti delle teste scolpite. Alcune sono sopravvissute e si trovano al museo di
Capua. I colori erano quindi il bianco ed il rosso. Vi è anche un’iscrizione che correva lungo tutto l’arco: la
porta parlava, era uno di quei casi di architetture parlanti, che parlano in prima persona. Si animava la
presenza della giustizia, una personificazione che i disegni ci dicono che era un busto il quale, dicono le
fonti, avesse un aquilotto scolpito sul petto. SI trattava di un’iconografia di apoteosi imperiale, ovvero
quando viene esaltata la figura dell’imperatore e portata in cielo miracolosamente.
Tra le sculture di Capua compare la testa di Silvano. Vediamo il sottosquadro potente dell’occhio e del
sopracciglio patetico che arrivano dal mondo antico e poi nella barba sembrano dei “krumiri” (biscotti), sono
rigati e sono caratteristiche della cultura federiciana di matrice ancora tardo romanica. La collocazione di
questa testa all’antica con questo serto di piante in testa viene indicato come divinità fluviale, divinità detta
del Silvano (divinità fluviale romana). Questa testa è un concio di chiave, è scolpita insieme al concio che
finisce con la ghiera d’arco, al centro della porta. L’ipotesi che si fa è che questo busto non era nella porta di
Capua, ma era stato tirato giù da un palazzo imperiale sempre a Capua e sempre nell’epoca federiciana.
Questo cavaliere è a grandezza naturale, realizzato in arenaria nel punto in cui si apre il coro di S. Giorgio
(orientale) della chiesa di Bamberga (la chiesa aveva due cori). Su un pilastro, sopra una mensola fogliata,
troviamo il cavaliere dove alcuni elementi come i finimenti del cavallo sono in metallo. Ci sono elementi
tipici come la sella così alta che è una sella da torneo. È una scultura curiosa perché fu scolpita in 5 pezzi, a
fasce, prendendo dei blocchi di arenaria che è un modo di lavorare non antico, non secondo una tradizione
classica e romana.
Sono sculture come queste che dopo l’incoronazione di Federico II nel 1230 egli riportò nel sud Italia. Si
tratta della data della porta di Capua e dell’augustale.
In Puglia, in una masseria del barese, fu ritrovato nell’800 un busto che fu riconosciuto da Cesare Prandi che
ne fece un famoso articolo di interpretazione, il cosiddetto Busto di Barletta.
Questo busto era murato ed è molto più grande del vero. Si tratta di un’erma (= busto romano privo di
braccia) con una piccola struttura, una parte scolpita sotto dove c’è una scritta: dell’imperatore Cesare (è
rovinato non si legge). Forse non si tratta di Federico II ma si pensa così.
Purtroppo i cacciatori avevano deciso di scaricare i loro fucili contro la statua trattandolo come un tiro al
bersaglio, lo vediamo dai segni molto evidenti. Dietro è scavato con un grosso gancio di metallo perché forse
era inserito in una nicchia e agganciato per non cadere.
Lo sporgere del collo è giustificato dal fatto che sporgesse e potesse essere vista dal basso. È una scultura
molto famosa. Opera che unisce il realismo gotico d’oltralpe alla cultura romana a cui Federico II voleva
collegarsi.
Tutte le sculture di Federico II sono state danneggiate, la damnatio memoriae ne ha cancellato la memoria.
Il De Arte Venandi cum avibus della Biblioteca Vaticana, ms. lat. 1071:
Arte di cacciare con i falchi, fatto scrivere ed illustrato grazie a Federico II. Vediamo Federico II con il figlio
Manfredi il quale era figlio illegittimo, non poteva diventare imperatore.
Si tratta di un documento della grande passione di Federico per i falchi e per la natura, è un codice dove si
parla dell’addestramento dei falchi. Federico li alleva, li osserva in prima persona e scrive cose che in
Occidente non erano mai state scritte.
Federico II aveva un rapporto con il mondo arabo e con la natura. Egli fu molte volte nominato anticipatore
delle culture ecologiste e questo può essere in parte vero. Istituì pratiche di cura dei cavalli e problematiche
relative alla caccia. Federico aveva grande passione della caccia con il falco, per questo creò il De arte
Venandi cum. Con la caccia l’uomo entrava in contatto con la natura.
Il falconiere viene ricordato come l’uomo perfetto. Cavallo, uomo, falco e cane che va a recuperare la preda
abbattuta dal falco e che verrà premiato con zampe di gallina.
Miniatura di uomo che si fa un bagno, senso di libertà, con il falco che ghermisce un’anatra:
Di questo codice ne esistono delle copie. Questa miniatura mostra l’unione dell’uomo con gli elementi:
acqua, aria, terra e fuoco (falco).
La storia di questo mantello rappresenta bene la cultura federiciana. Egli porta sulle spalle e sulla testa una
duplice tradizione che è quella della sua storia personale. È un mantello arabo, in seta oro e perle
dell’Oceano Indiano realizzato per Ruggero II nel 12 secolo e non pronto per la sua incoronazione nel 1130.
Fu allora continuato e realizzato a lungo da un sistema produttivo della Palermo arabo-normanna il quale ha
una storia interessane. Queste manifatture, officine = ergasterion (greco) e tiraz (arabo), sono laboratori
imperiale di ricamo e confezione di oggetti preziosi.
Quando Federico II si trova nella condizione di dover affrontare l’incoronazione ecco che va ornato i questo
mantello, uno degli elementi che consentono il riconoscimento del potere (poi c’è il guanto, le scarpe, la
spada, il globo ma sono tutti elementi minori).
L’iconografia è araba, sono rappresentati due leoni stilizzati che atterrano due cammelli e al centro una
palma da dattero stilizzata che rappresenta un paradiso, un giardino chiuso, quello islamico, dove l’animale
forte per eccellenza atterra la preda. Seta rossa a filo d’oro con borchie per tenere il mantello:
Nella parte lunga curva una lunga scritta con caratteri arabi che culmina con una frase ben augurante con la
data della finitura del mantello.
Mantello come esempio della sua storia personale in quanto era già il mantello di suo nonno materno. Sulla
testa c’è la corona che è stata di suo nonno Federico Barbarossa. È quindi molto importante il segno, il
simbolo. Federico riunisce le due casate del grande impero che vuole riunificare.
Corona del sacro romano impero
Alla corte di Federico ci sono caratteristiche particolari. Gli smalti con le decorazioni e le palmette delle
borchie sono caratteristica arabo-normanna ma molto interessante è l’alternanza dell’oro rosso\rosa e oro
giallo, è un’alternanza che è ancora di moda oggi. Filigrana in roro rosso in contrasto cromatico con l’oro
giallo e le pietre preziose con tantissime perle di fiume.
Quando Ruggero II impianta nella nuova Palermo del 12 secolo e realizza questi laboratori lui non aveva
tante botteghe organizzate a corte e fece un’operazione di pirateria. Andò a rapire i lavoranti (orafi e
ricamatori) che lavoravano per esempio in Grecia e che avevano tradizione di tecnica bizantina. Gli importa
forzatamente a Palermo dove si creino i presupposti che queste botteghe funzionino e creino manifatture di
grande bellezza. Quindi non solo la cultura araba dei ricami ma anche la contaminazione on gli importati
lavorati rapiti dalla Grecia avente tradizione bizantina. Ecco perché queste botteghe hanno il nome greco, a
arabo e latino.
La spada fu fatta realizzare proprio per Federico II ma la lavorazione non è così curata. Forse fu stata fatta in
modo vistoso decorativo ma non con quella raffinatezza che ha il mantello.
I guanti hanno piccole perle e l’interno è in seta. Hanno ricamo con aquila sul palmo della mano.
Federico II non costruì molte chiese e monasteri però i castelli sono molto importanti. Costruiti per la
maggior parte in Sicilia Castel Maniace e Castel Aussino entrambi sul mare. E poi le città della Puglia fino a
Prato, a due passi da Firenze.
Castel del Monte ha suscitato da sempre la più grande passione. Non è da tanto che è così noto e famoso ma
all’epoca non era conosciuto tranne che dagli specialisti. Nel 1904 Emilè Bertò pubblicava un testo che
parlava della formazione del gotico italiano. C’è un potere forte a corte, è chiaro che gli artisti chiamati a
corte e le manifestazioni artistiche vengono privilegiate. Molto importante è l’arte di corte di Federico II
perché egli ha avuto un’idea moderna dello stato dove il funzionario e la divinità- sono messi al primo posto.
Tra i funzionari imperiali egli mette in evidenza gli artisti.
Molto importante è un testo “Profezia delle città” e fa parte di una serie di testi del 200 che fanno capo ad un
fenomeno che è stato indicato come degli arcana imperii, le cose segrete dell’impero, cioè una lingua. Pier
Delle Vigne fu lo scrittore di Federico II che egli eleva al rango di suo cancelliere personale ma poi Pier
viene accusato di tradimento. Questo giovane è alla base dell’immaginario federiciano che si serviva di
simboli particolari come per esempio simboli legati alla geometria e matematica come i numeri che
nell’ambito medioevale hanno avuto molta importanza. Il nume 8, su cui continuamente insiste il pensiero
architettonico di Castel Del Monte: edificio ottagonale, con 8 torri e 8 spigoli. Anche le torri sono degli
ottagoni e all’interno un cortile ottagonale che pare avesse una vasca centrale (cisterna) ottagonale. L’idea
dell’ottagono, di questi arcana imperi, significati misteriosi e simbologie del potere.
In un contesto del genere gli artisti rivestono un’importanza notevole. Sono architetti e orafi e scultori. Ci
sono documenti che parlano di un orafo tedesco, Dietrich von Boppard, che compare alla corte di Federico II
e diventa funzionario pubblico e diventa il signore infeudato a Viareggio. Cioè Federico II gli dà in gestione
il feudo di Viareggio. Il libro citato prima sulle città cita gli artisti come dottori per Federico II. È un
documento dove le parole sono scelte in modo da fare propaganda imperiale. Questo libro ci serve a capire
l’importanza enorme della figura degli operatori nel settore delle arti ed è qui che può venire fuori la figura
di un Nicola Pisano, e viene fuori il mondo di artisti che vengono invitati a fare un certo tipo di operazioni,
ovvero la conoscenza del mondo antico greco-romano in una grande anticipazione di aspetti che poi saranno
del periodo Rinascimentale.
Castel del Monte è di due soli piani scanditi da un cordolo marca piano a metà. Un piano terra illuminato da
monofore e un piano alto illuminato da bifore con un'unica eccezione. Castello orientato ai punti cardinali,
un’unica finestra rivolta a Nord è a trifora. Tre torri sono scalari e collegano il piano terra alle terrazze che
sappiamo essere predisposte per le gabbie e l’allevamento dei falchi.
Il portale è rivolto ad est con l’ingresso monumentale: potale ad ogiva con i leoni e la citazione di
un’architettura che è un po’ antica e gotica insieme.
Anche Castel del Monte racconta che siamo sempre a giocare sulla conoscenza e reinterpretazione moderna
del mondo antico come avevamo già visto per le statue.
Il materiale usato è un’arenaria locale pugliese dal colore bianco sporco. Ci sono anche parti in breccia, un
marmo che da carattere più rustico.
Nel portale è presente il sistema di chiusura a caduta, dove scendeva già il cancello di chiusura del castello
(caditoio). Il sistema prevede all’interno un sistema di leve di questo elemento che scorre nell’intercapedine
e sigilla l’ingresso del cancello.
All’interno il castello si trasformò in carcere e i marmi furono rovinati ma al piano alto restano elementi
particolari: 8 stanze la piano di sotto e 8 stanze al piano di sopra. Ogni stanza ha forma geometrica
trapezoidale e negli angoli si impostano le volte a crociera. Al paino terra su singole colonne e al piano sopra
fasci di colonne con capitelli cistercensi molto semplici.
I cistercensi erano abili nel campo dell’astrologia\astronomia. Alla corte di Federico II ci sono magi della
vicenda di Cristo assimilati a lui stesso. Il mago astrologo che alla corte vede due personaggi. Uno p il
maestro Teodoro e l’altro Michele Scotto, intellettuale e mago importante della corte. L’ipotesi che si fa
ancora oggi è che questo castello oltre ad essere residenza di caccia fosse una sorta di osservatorio
astronomico tant’è vero che l’unica trifora inquadra al centro la stella del Nord, Polare.
Le pareti interne erano rivestite di marmi preziosissimi. I capitelli scolpiti in un blocco di marmo insieme
alle colonne erano anche scolpiti insieme alle lastre di rivestimento. Così si è potuto capire che tutta la parete
era rivestita di questi marmi preziosissimi che hanno delle inclusioni rosse e sono potentemente policromi
quindi una vera rarità.
Nel cortile si forma un disegno di stella a 5 punte, disegno studiato sull’articolazione delle porte orientate
(sono 3 porte). Vediamo la presenza dell’effige dell’imperatore, nel punto in cui cadrebbe la punta della
stella (immagine a destra in mezzo alle due finestre).
L’effige a cavallo di Federico II che oggi è rovinata, si vede solo il braccio. Probabilmente il cavallo usciva
fuori dalla muratura con le zampe in avanti. Questa iconografia è antica, arrivava dal mondo romano.
Al piano terra vi era il sistema delle crociere e delle serraglie degli archi scolpite con interessanti iconografie.
Questi costoloni non sono il sistema di sostegno della volta. In realtà Castel del Monte fu studiato da uno
specialista dell’architettura gotica, il prof. Cadei. Egli scoprì che se noi togliamo i costoloni la struttura non
si muove perché il sistema delle volte a crociera si regge già grazie alla forma delle volte che giocano
sull’ammorsamento degli elementi costruttivi. I costoloni vengono sistemati solo in seguito. La pratica
costruttiva, il sistema, è diverso, nel senso che è un sistema costruttivo dei castelli arabi delle crociate. Castel
del Monte riposa tecnicamente sulle scelte costruttive tecniche del castello crociato.
La torre più interessante è quella scalare ma la vedremo parlando di Nicola Pisano.
Avagnina e Meneghetti, due donne, uniscono le loro forze e scrivono su questo ritrovamento. L’Avagnina ha
identificato la scena, ha adattato l’affresco alla data della rappresentazione di Federico II della sua sposa
Isabella e la presenza di altri personaggi tra cui un personaggio che suona la sua viola, strumento usato nelle
corti. Vediamo come sotto il bianco siano stati trovati altri elementi, come delle finte pellicce d’ermellino.
Questa decorazione a finte pellicce configurava qualcosa di molto prezioso, è la pelliccia dei re per
eccellenza e immaginare, anche se dipinto, un ambiente arricchito da una così enorme esposizione voleva
dire che c’era qualcosa di importante. Le pelliccette di vaio avevano occultato un altro affresco. Tra le figure
vediamo un ospite di Federico II che sarebbe passato elle sue terre per l’occasione delle sue nozze con
Isabella d’Inghilterra. Federico II gli offre una rosa con grande gentilezza alla sua sposa. E accanto c’è
l’unico esempio di quello documentato dalle fonti dove comparivano scene di corte che però non sono mai
state ritrovate perché è stato operata nei confronti di Federico II una damnatio memoriae, una cancellazione
delle immagini da parte degli angioini.
Alcune immagini furono riportati addirittura ad altri significati come alla corte degli angioini a Napoli. Per
questo che l’affresco di Bassano del Grappa è molto prezioso.
C’è solo un altro caso di un affresco dove si parla di Federico II e della sua corte. SI tratta dell’affresco che si
trova nella torre antica della canonica a fianco della Basilica di San Zeno a Verona. Lì, in una stanza
quadrata, c’è l’omaggio dei popoli della terra ad un imperatore, che è Federico II.
Sull’iconografia è entrata in gioco la Meneghetti con un’intuizione, perché si è ricordata di una vicenda
letteraria. Bisogna entrare con la mente nella corte di Federico di cui tanto si è parlato, dove si faceva una
vita di agio e bellezza. Alcune poesie sono attribuite a Federico II e ai suoi figli e al gruppo di intellettuali
come Pier Delle Vigne che fu uno scrittore in latino e inventore di lingua. C’è una composizione poetica
attribuita a Federico II che gioca su una sfida tra la rosa e la viola. È sulla base di questa intuizione che la
Meneghetti ha scritto un articolo che resta un piccolo capolavoro che collega storia della letteratura, delle
immagini e dei significati e storia dell’arte.
Personaggi e interpreti: Federico II seduto sulla panca con i cuscini mentre rivolge lo sguardo alla figura di
imperatrice seduta in trono la cui iconografia è misteriosa perché sembra strabica (simbolo del potere) e tiene
sul dito un falco “codardo”, dalla lunga coda. Federico le offrirebbe la rosa. Che sia Federico II è provato
dalla fisionomia.
Vediamo come siano cadute certe parti della pittura e si percepisca il disegno preparatorio e come si vedano
bene dettagli della corona di Federico II come la palma, elemento arabo e le borse sotto gli occhi. Vediamo
anche la cuffia che trattine i capelli, tipica dell’epoca.
Ci si è chiesti subito se è Isabella d’Inghilterra o se si tratti di una figura ideale visto che non viene tanto
promossa dall’imperatore. La sua amante molto amata era Bianca D’Agliano. L’idea che possa trattarsi non
tanto del momento biografico del matrimonio con Isabella è un’ipotesi interessante.
La viola, un fiore importante a 5 petali dalle virtù anche medicamentose, è rappresentata dallo strumento
musicale. Il giovane con le braccia incrociate della figura precedente è un elemento molto moderno. Si
tratterebbe di Pier delle Vigne, di un suo ritratto, dato che sarebbe da ravvisare in lui l’autore di un
componimento poetico sulla rosa e la viola, come aveva fatto lo stesso Federico II.
NICOLA PISANO
Nicola Pisano è pugliese. Furono trovato documenti del contratto per il pulpito del Duomo di Siena (1265-68
contratto di allogagione) ma non era pisano, Nicola lo sceglie lui come nome che si dà in quanto è li che crea
la sua bottega. Arnolfo di Cambio e suo figlio Giovanni saranno figure importanti per la sua crescita.
Il momento in cui Nicola diventa importante e iniziano a scriversi libri su di lui come quello di Giusta Nicco
Fasola fu intorno all’epoca fascista. La Fasola mise in risalto il genio italico di Pisano usando un linguaggio
che risente della retorica di epoca fascista.
Il pergamo di Pisa, alle origini dell’arte italiana
Egli diventa un protagonista dell’arte italiana del 200 e nel 1260 firma questo pulpito o pergamo esagonale
per il Battistero di Pisa.
Egli realizzerà anche un secondo pulpito con la sua bottega, pulpito del Duomo di Siena, e in questi
documenti di contratto c’è scritto “Nicola del fu Pietro di Puglia”. Questo conferma quando nel 1864,
Giovan Battista Cavalcaselle, nel suo libro edito a Londra dedicato alla storia della pittura in Italia nel
Medioevo, aveva detto che questo scultore è pugliese, perché a Pisa non c’erano le condizioni perché un
artista si formasse in questo modo ma al sud si. Mentre tutti dicono che Pisano non è pugliese, lui dice subito
che era pugliese, era uno scultore del regno di Federico II.
Questo piccolo monumento fu realizzato per una pasqua. Perché si battezzava nella notte di pasqua quando
venivano portati nel Battistero di Pisa i bambini nati nell’ultimo anno. Si battezzava una sola volta all’anno.
Era una grande festa civica.
L’inaugurazione di questo monumento marmoreo datato e firmato da Pisano, risale alla pasqua del 1260,
perché era il momento dell’utilizzo di queste strutture liturgiche. Questa pasqua del 1260 cadeva allora il 4
aprile come quest’anno (2021).
Il pulpito si trova in un ambiente che non è quello tradizionale della presenza di un pulpito. Forma esagonale,
autonoma nello spazio, in uno spazio che nel caso del battistero ha forma circolare. Ottagona è la vasca del
Battistero perché essi nascono nell’epoca paleocristiana a forma ottagonale. La collocazione è singolare
perché in realtà la liturgia che giustifica la presenza del pulpito, dell’ambone presbiteriale è il presbiterio che
è il punto che si affaccia sulle navate dove si affaccia il sacerdote per le letture. Spesso gli amboni erano due
(cornu epistole e cornu evangeli) dai quali si faceva la lettura del vangelo. Ma tutto questo non esiste nel
Battistero perché è un luogo battesimale. Quindi a Pisa il Battistero è un luogo che non ha solo a che fare con
la chiesa ma anche con il comune di Pisa perché tra tutti gli edifici presenti nel Campo Dei Miracoli era
quello più laico e più accessibile al comune. Perché il battesimo avveniva una sola volta all’anno a pasqua e
si battezzavano tutti i bambini che potevano avere un massimo di un anno ad un minimo di poche ore.
Battezzandoli si cancellava il peccato originale, aveva valenza originale ma erano anche i nuovi pisani, i
nuovi cittadini, che venivano accolti nella comunità. La liturgia era cantata. Tutto avveniva nell’attesa della
resurrezione di Cristo, del sorgere del sole del giorno di Pasqua. Quindi la simbologia di questo rito caricava
questa giornata di un valore spirituale e laico insieme. Quindi ecco perché viene inserito il pergamo di Pisano
all’interno del Battistero di Pisa.
Aveva un balconcino esagonale cui si accedeva attraverso una scala. Il numero 6 è l’antica simbologia della
terra, della creazione e della redenzione terrena (il numero 8 è il simbolo del cielo).
Ci si rifà al mondo classico, alla cultura greco-romana. Questo pulpito è un insieme di elementi che
compongono un tutt’uno che ha caratteristiche di riduzione a livello architettonico. Se uno toglie gli elementi
della scultura, questa architettura funziona lo stesso. Ogni elemento ha dei significati ben precisi, vogliono
essere l’esaltazione di un sistema enciclopedico. L’epoca di Nicola è quella della maturità e della fine
dell’enciclopedismo antico, con il gotico alcuni aspetti diventano una struttura visibile, obbligatoria, sono le
grandi cattedrali gotiche che hanno espresso l’uso simbolico della forma architettonica.
Un pulpito, pergamo, è una struttura architettonica che serviva per la lettura del vangelo e delle lettere degli
apostoli. Non si usava per la predica ma solo per il lettore, era nella zona presbiteriale. Questo pulpito è
isolato nello spazio e non è legato ad altre strutture, è all’interno di un battistero, struttura romanica, con
pianta centralizzata. Cosa ci fa questo pulpito in questo edificio battesimale?
Occorre tenere in considerazioni alcuni aspetti come la sua dislocazione all’interno del battistero il quale
finiva con il dialogare con la vasca battesimale.
Il pulito non siamo così sicuri che si trovasse da questa parte, che fosse la collocazione originaria. Occorre
pensare anche ad una scala per salire che però oggi non è quella originaria e si trova al muso del Duomo ed è
del 300 (pertanto non è originale). L’asportazione della scala, quindi l’isolamento totale del pulpito, non data
tantissimi anni. Il pavimento non è quello originale.
Le domande su a che cosa servisse questo pulpito non sono mai state fatte anche se si tratta una delle opere
più importanti dell’arte italiana. Si parla di indagine astronomica, è la scienza del medioevo.
La liturgia battesimale nei luoghi di culto delle città italiane si basava su alcune scansioni fisse. Questa
esperienza liturgiche e simboliche insieme ruotavano intorno all’idea della pasqua e della resurrezione del
cristo. La benedizione dei nuovi bambini in questo contesto di morte e resurrezione dei quali sono ancora
conservati certi passaggi nel Comune di Pisa (si sapeva il giro del corteo, della processione, ecc.). Il pulpito
si sarebbe presentato con una specifica faccia visibile. Era una festa molto importante per la città. Questa
struttura si erge con una potenza espressiva straordinaria nonostante abbia perso alcuni elementi della sua
primitiva espressione in un contesto visto tra religioso e civico che è quello del battistero.
Il leggio è sostenuto dall’aquila sul balconcino in alto e sono presenti fasci di colonnine che si riducono negli
spigoli. Il problema era stato rintracciato da uno storico, Pesentis, che si stupiva della ancata alternanza delle
statuette agli spigoli (che dovrebbero essere alternate tra maschile e femminile). Non torna perché le statuette
furono scambiate e spostate. Sotto l’aquila del leggio troviamo la statuetta di San Giovanni Battista con
agnello tra le braccia che andrebbe spostata a lato.
La sistemazione del pavimento con queste liste di marmi grigio scuro è del 300, non è quella originale.
Quest’ultimo è stato documentato da frammenti quando nel 500 è stata isolata una zona presbiteriale dove
vennero rinvenuti antichi materiali. Questo no è il pavimento sul quale Nicola ha collocato il suo Pulpito. Il
pavimento originale fu smantellato e sostituito, frammenti ne sono conservati al museo dell’Opera del
Duomo.
Il fatto che invece la statuetta del Battista fu stata spostata è dovuto al fatto che il pulpito è stato collocato
con il leggio alla zona presbiteriale e quindi la statua doveva supportare la zona del presbiterio dove si
saranno poi anche svolte le messe. Quindi è probabile che la nuova funzione del pergamo è legata questo:
I tre rettangoli sono le posizioni dei leoni con le frecce che indicano la loro direzione (movimento antiorario,
è quello solare). Se collochiamo tre figure femminili sui leoni e tre maschili sulle colonne che partono da
terra osserviamo che l’esagono è formato da due triangoli intrecciati, ovvero le forme del divino tertrachis (=
la storia visibile in forma geometrica del rapporto eterno tra alto e basso, ombre e luce, era l’infinita e
universale armonia degli opposti teorizzata da Pitagora e da Paltone).
Fu cosi messo al centro il Battista con il suo leggio (esagono sopra fig.2) e mettere sui leoni le donne (madre
e figura semi nuda, e la terza tocca i denti di un cane). Lo spostamento dovuto alla ricollocazione del pulpito.
Sotto il leggio dell’aquila vediamo la zampa tagliata e rimessa insieme che sicuramente non sono più quelli
originali.
La zona delle basi (gialla) e dei sostegni delle colonne che sono 6 agli spigoli e 1 centrale. Ci sono tre
colonne che partono da basamento e tre che partono da leoni stilofori più una centrale. Si crea il gioco dei
triangoli anche all’interno della colonna centrale con le sue decorazioni. I materiali sono colorati, le 3
colonne che partono dalle basi e la colonna centrale sono di granito grigio mentre le tre colonne che partono
dagli animali sono colonne di recupero romane, di marmo africano una nera e due con delle inclusioni (una
con inclusioni rosse e rosa e l’altra gialle e rosse). Dobbiamo immaginarci una cultura sontuosa della scelta
dei marmi che Nicola di porta dietro dai cantieri federiciani.
Quando qualcosa è innalzato dai leoni vuol dire che la mette in grande risalto, che gli dà gloria e potenza. Il
leone è animale che rappresenta la forza fisica, la vittoria e simbolicamente è il Cristo. Le colonne che
partono dai leoni sono le più piccole ma le più preziose e sono quelle che sostengono le figure femminili.
I colori del pulpito sono interessanti non solo per le colonne monolitiche (pulpito è alto circa 5 metri) ma
anche per la parte alta fatte di marmo di una cava di Sassetta (sono estinte oggi). La parte sotto dei leoni è di
marmo venato grigio e contrasta con la parte intermedia del pulpito (blu) che è di marmo di Carrara bianco.
Nei restauri dell’800 pare che nei piccoli tri angolini vuoti abbiano inserito del marmo scuro verde di Prato
che non sono originali. Ma la perdita più greve del pulpito si ha nel 700 quando insieme ai restauri hanno
asportato gli smalti, le paste di vetro perché il piano di fondo era rivestito di vetri colorati. Dobbiamo
immaginarci la figura del cristo campire su uno smalto rosso e oro raffinato e prezioso. Un piccolo pezzo si è
conservato nel giudizio universale e nei fondi dell’arca di San Domenico a Bologna opera del 1265-68.
Nicola voleva far sentire la struttura quasi come se fosse un’opera di oreficeria, dobbiamo immaginarcela
intensamente colorata. L’effetto è quello di una oreficeria portata su scala mondiale.
In questa immagine vediamo organizzarsi il racconto (c’è già la sostituzione che reputiamo corretta, e
originale):
Sui leoni vediamo le figure femminili e sui basamenti le figure maschili (Ercole, Battista, arcangelo
Michele). Uomo forte, santo profeta e angelo. In corrispondenza del giudizio universale troviamo
l’arcangelo, in corrispondenza del battesimo troviamo il battista e nel momento della nascita del figlio di dio
troviamo Ercole. Tre virtù: forza fisica, forza spirituale e conclusione del ciclo (spirito della creazione).
L’arcangelo inizia e chiude la vicenda dell’uomo.
Le figure delle donne sono anche loro delle virtù. Rappresentano le virtù teologali: carità, speranza e fede.
Leoni della base
Il primo in alto porta tra le zampe un ariete, ha il muso ellenistico, come ripresa dei modelli antichi. Lo
riprende da un sarcofago presente in una tomba a Pisa. Sono leoni tranquilli, suo figlio Giovanni li farà che
azzannano. Non sono animali che rappresentano la forza bruta o che azzannano simboli del male, ma
proteggono dalle zampe gli animali. L’ariete è l’animale dell’olocausto, che si sacrifica sugli altari, è il
simbolo del Cristo.
Il secondo animale ha forte simbolo sapiente, è un leone con le mammelle (è femmina e maschio insieme).
Sopra questo leone troviamo la statuetta della madre, è una Eva (si trova a sinistra della foto precedente). I
cuccioli del leone sono rovinati e sbiaditi dalle mani dei turisti che hanno rovinato e rotto le sculture. IN
questo caso l’animale protetto è il coniglietto, animale che rappresenta la timidezza (è lo stesso ai piedi
dell’aquila del leggio). È l’animale portato in cielo dall’aquila.
Il terzo leone (quello a destra della figura sopra) protegge un cane mastino con collare che rappresenta la
fedeltà. Sopra questo leone vi è la figura di donna con il cane.
Base centrale
Compaiono figure che si associano a due a due lavorando su un sistema. Il gioco delle figure della base, dei
leoni e delle lastre alte entreranno in un gioco di sfere di rotazione. Alla base troviamo tre figure umane e tre
figure di animali. Troviamo: un leone e un uomo nudo che piange, un grifone e un uomo attento che guarda
il cielo come un astrologo (uomo persiano) e infine un uomo vestito come un pisano del tempo\un falconiere
con accanto a lui un cane che ha tra le zampe una civetta ed un serpente e morde qualcosa che non si capisce
(sembra quasi una pantera). Il cane ha un collare con fascia di pelle di pecora, è copiato dall’iconografia del
cane di Meleagro, cane che lo accompagna nella sua caccia al cinghiale.
Il cane rappresenta l’Europa, il grifone è l’Asia e il leone è l’Africa. Si rappresenta il mondo, gli animali
proteggono ancora una volta altri animali: il grifone ha un ariete tra le zampe, il cane ha una civetta e forse
morde un pesce e l’ultimo ha il toro. Siamo nel contesto dei mesi della primavera di inizio anno nonché dei
mesi della pasqua. Possiamo definirlo un orologio astronomico.
La base centrale del pulpito verte su tre aspetti: fisica, logica, etica. Le parti dell’uomo in cui risiedono questi
aspetti, e dell’anima. Anima naturale, definita irascibile, che ha dentro il corpo, la sensazione dell’uomo
della sua fisicità (anima legata al dolore). Questo lo vediamo nella figura accovacciata: se le gambe sono
aperte vediamo il sesso (telamoni) Questa figura rappresenta la fisicità dell’anima, Aristotele affermava che
il centro dell’anima è nel ventre (fegato) e nei testicoli (sesso). L’anima razionale è invece nella testa e negli
occhi.
Non c’è solo lettura delle tre parti del mondo e tre figure della filosofia, ma anche una tradizione biblica:
figli di noe usciti con lui dall’arca e poi separati a fondare i grandi sistemi: asia africa e Europa. Sem, Cam,
Yaphet che danno origine ai semiti (asia), camiti (africa) e iapeti (Europa).
Le conoscenze geografiche al tempo di Federico II si basano su al biruni che oppone al sistema tolemaico la
divisione della terra in klimata.
6 petali, 6 dischi più uno centrale, riducibili a esagoni. Passaggio dell’asse ovest est e sud ovest. Orientando i
7 climi, la base centrale è centro della terra. Monte delle vittorie dei magi e monte persiano dove i
musulmani attendono l’avvento dei maghi, epifania della virilità, centro del mondo.
Il 4 al centro sarebbe proprio l’antica babilonia. Il grifone coincide con il persiano, l’astrologo, e quindi
coincide con l’india, (dove viveva il grifone). Il leone con il 3 clima, Egitto. il cane, sesto clima, (giudizio
universale sopra), regno dei mongoli, gog e magog.
Sistema del pergamo
Nicola è figlio del suo tempo, dietro di lui ci sono già questi sistemi organizzati secondo delle
corrispondenze. Ogni personaggio ha un significato che è sia religioso ma sono anche degli animali e figure
animali che non hanno nulla di religioso. Si attinge a sistemi astronomici. Logica, etica e fisica, sono concetti
aristotelici.
Temi trasversali: immagine del potere, da Carlo magno a Federico II e la semplificazione geometrica.
Il pulpito è organizzato sul sistema degli esagoni ruotati, vertice opposto ad un lato dell’esagono. Nel
perimetro esterno continua ripresa degli esagoni che ruotano su sé stessi, è un fatto geometrico. Gli esagoni
hanno proporzioni armoniche.
Mani intrecciate bambino con la madre, simbolo di carità. Anche come una venere. forse come Enea
bambino tra le braccia di venere, non si sa. Idea della donna bella del pulpito. Non solo virtù teologali ma
anche tre arti liberali, quindi la donna potrebbe essere una delle arti. Sapere dei dottori. Con le scuole del 12
secolo inizierà a dilatarsi all’avvento di nuove scienze, ma in quest’epoca era così. Grammatica, dialettica,
retorica, il trivio delle arti. La virtù della parola. Le domina la n 8, filosofia.
Forse è la retorica. Arte del bello stile, del parlare con capacità.
Dall’altra parte ingresso arcangelo Michele. Vestito come console romano, teneva in mano lancia o vessillo
che è spezzato. In mano ha il codex con cristo in croce sulla coperta.
Dopo la donna madre c’è Ercole vincitore, al suo braccio si aggrappa una leonessa furibonda perché lui gli
sta portando via il cucciolo. È l’immagine della fortezza, una delle virtù cardinali.
Figura che arriva da modelli classici. Nicola ha sia padronanza sia la creatività, afferma una nuova bottega
moderna. Nicola ha firmato il pulpito.
Messaggio di Nicola pisano, unisce tutti i simboli in un discorso che privilegia sempre le tre parti, corpo
mente e spirito, logica, fisica, logica ed etica. Queste tre parti fanno parte delle formelle della parte alta del
pulpito.
Troviamo poi la figura Eva, non vestita ma avvolta dal mantello, figura sostenuta da colonna con
leone\leonessa. Si attribuisce iconografia della speranza, indica con le dita verso alto e verso e basso, sono
due contrapposizioni.
Altra figura, la seconda della foto, tasta i denti a un cagnolino, è l’iconografia della dialettica perché la
dialettica è l’arte liberale del quadrivio, affila le armi, forse è la madre grammatica.
Sono la fede speranza e carità, ma più probabilmente tre arti del trivio (dialettica retorica grammatica).
Il volto sembra quasi truccato, è un problema del marmo, che aveva delle pecche. Nicola le ha fatte cadere lì,
le ha usate bene. Quella è la statua che guarda la notte, e occhi pieni di caligine.
L’altra figura maschile, il santo, l’Eracle. Figura dell’equilibratore, il cui solstizio divide lo scorrere del
tempo. Paludamento potente, ripetitività panneggi.
Natività, annuncio ai pastori: Formelle ricchissime di scultura. Rispetto per il mondo antico. Figura
semisdraiata, sembra giacente etrusca. Elementi architettonici alle spalle delle figure. Presenza di figure
secondarie. altre stanno più davanti a quelle principali. bambino Gesù rappresentato erculeo. Preso dalle
sculture romane di ercole. come uomo forte e vincitore della morte.
scultura parte dalla tecnica romana, ex con arco traiano benevento, rilievi arco tito foro romano. Figura con
blocchi di partenza spessi, perché fa più livelli, con parti totalmente a tutto tondo, altre a giorno (traforate).
testa bambino a tutto tondo ed è caduta. paste di vetro dove possibile. Maria è a figura continua, compare più
volte, come nella colonna traiana. nell’annunciazione e poi come Maria della natività.
Capri, dall’ellenismo. Attenzione per animale e la forma con Federico è assoluta. Nicola non ha rivali per la
sua precisione e complessità e ricchezza di passaggi. Marmo lunense. Figura della madonna qui riprende
modelli dei sarcofagi, in particolare quello di fedra, arte ellenistico-romana. camposanto di Pisa.
2- Adorazione dei magi
Forme stellari e pentagonali. pentagono aureo. triangoli, che dividono lo spazio. cavalli in un triangolo,
qualità della scultura. riprendono modelli antichi del vento del nord, come torre dei venti Atene. Criniere
gotiche fiammeggianti. Collo che si incurva, grande intensità drammatica. Emotività. i magi danno i doni. il
terzo è il mago medico, figura salvifica di Federico II.
Angelo che indica il bambino. tradizione bizantina della rappresentazione magi. un po a lato Giuseppe. due
magi inginocchiati, uno in piedi o seduto. se togliamo i due davanti e collochiamo il secondo alla figura di
Maria, sembrano seduti alla pari sulla stessa panca come amore cortese. quasi Maria come sposa, visione di
Maria del cantico dei cantici. nascita del mito delle madonne nere (sono nera dal sole= cristo ma bella).
siamo nel pieno dell’epoca manfrediana e quindi federiciana.
3- Presentazione al Tempio
Vediamo l’aspetto della scultura romana della giusta apposizione delle figure, fino agli elementi
architettonici antichi sullo sfondo. Questo aspetto riprende da sarcofagi: non c’è uno spazio vuoto. Gli
elementi architettonici servono ad unire i gruppi di figure.
Al centro: Maria, sacerdote e Gesù bambino che però è spezzato. Scultura a tutto tondo. Questo particolare
del bambino che sgambetta verrà poi anche eseguito da Giotto.
Per due volte compare la figura di una vecchia (copiata dalle figure ellenistiche), Nicola la prende e gli fa
interpretare la figura di profetessa. Al momento dell’arrivo del bambino ha una visione, sembra quasi
ubriaca.
Sulla destra un sacerdote che sembra figura mitologica. Questa immagine arriva dal vaso “attico” di Pisa,
dove si vedeva una figura greca sostenuta da una figurina di un piccolo inserviente che lo sosteneva (come
osserviamo in questa formella).
Mettendo una luce all’interno del pulpito, esso si illumina tutto, perché lavorando su questi spessori, una luce
fa sì che le sottigliezze del piano di fondo diventino traslucide. Il pulpito quindi si illumina. Si spiega anche
il gesto degli angioletti che tengono in mano dei ceri, sembrano dare luce con i loro ceri. È probabile che ci
fosse la possibilità, che fosse illuminato in occasione della festa della Pasqua.
La luce crea rilievi e profondità. Si può fare un confronto con Giotto il quale prese come riferimento questo
bambino. Un’idea della prof è che il bambino si trovi in qualche collezione privata e che non sia mai più
riemerso perché queste parti cadute venivano poi raccolte. La rottura del braccino che lo collegava alla mano
della madre ha fatto si che anche la mano di Maria si sia frantumata.
4- Crocifissione
Il cristo è sofferente ma visto nel massimo risalto della sua forza sulla morte. Iconografia di Maria, bizantina,
piegata.
Troviamo anche la presenza del teschio di Adamo, si parla dell’albero del bene e del male (semi dell’albero
messi nella bocca del padre).
Troviamo le tre Marie di cui una è la Maddalena, il doloroso San Giovanni ai piedi della croce e il cristo
definito erucleo per la straordinaria muscolatura. SI tratta di un cristo patiens, è la tipologia ben
rappresentata da certi crocifissi bizantini, una tipologia amata in ambito francescano e presente nell’ultimo
quarto e seconda metà del 200 (in età Dantesca). Figura di cristo morente, patiens, non cristo vivo, ma
interpreta bene il dolore della morte, la sua sofferenza umana.
Osserviamo la cura con la quale è stato rappresentato ed è stata rappresentata l’aureola (nimbo crucifero =
che porta la croce). Gli occhi si stanno richiudendo, Nicola ci fa vedere il momento della emissione dello
spirito, il momento della morte e nello stesso tempo vediamo la delicatezza dei capelli e dei piccoli fori
rotondi che sono buchi di trapano (lo userà molto Giovanni Pisano, il figlio di Nicola). Questi fori profondi
venivano poi lavorati in profondità con altri strumenti.
5- Giudizio Universale
Il cristo viene rappresentato con il braccio con un forte sbalzo in avanti che però è caduto. Cristo seduto in
trono sopra la sua stessa croce che presenta il tetramorfo, cioè la presenza degli animali mistici che facevano
capo alla visione dell’apocalisse di San Giovanni è cioè i simboli degli evangelisti (tetramorfo, cioè le 4
forme). Sulla parte sinistra ci sono i beati come avevamo già visto nelle lunette romanici dei cicli scultorei
dei giudizi universali ma ci rendiamo conto di quanto ancora una volta qui ci siano modelli di sarcofagi tardo
antichi, ovvero modelli che fanno capo alla scultura tardo romana del IV secolo.
Fra Gugliemo era un frate domenicano, ottimo collaboratore di Nicola, fu individuato nel confronto di gesti
scultorei diversi, lavoro soprattutto all’arca.
Man mano che ci sia avvicina al momento infernale dove compare un Minosse (ha la coda, ricorda un
demone) che riprende le forme antiche del dio egizio tolemaico\ellenistico. Troviamo figure nude,
accovacciate, spinte, che sono dei draghi sulla destra che fanno quasi da citazione dell’inferno. I demoni
inghiottono dei dannati.
Vediamo come le figure si collegano le une alle altre, molte sono ripetitive e quasi tutte si collegano petto
con petto, schiena con petto, schiena con schiena, in mood da evidenziare questi passaggi. E’ probabile che il
lavoro sia opera del figlio di Nicola e che stia imparando.
Dettaglio del Cristo giudice:
Volto classico ma vibrante di vita, l’aquila di Giovanni e volti con modelli che risentono dello stile del
Pulpito del Duomo di Siena (pulpito numero 2).
Sentiamo l’animazione gotica e nella barba di destra osserviamo la cura con la quale Nicola fa sentire il
respiro potente che arriva dall’antico. Nicola ha forte carattere visionario che è presente spesso in
quest’epoca e dopo in contesti in cui davvero la scultura partecipa di un ideale mitizzato, la visionarietà
speso si lega a questi artisti che hanno avuto ei confronti dell’antico un rispetto straordinario, un’esaltazione
di certi elementi. A volte si usa il termine ipertrofico, lo vediamo nei capelli di questo sacerdote. Significa
nutrito troppo, troppo ingrandito.
Il capello ellenistico es. di un Laocoonte diventa in Nicola questa esaltazione degli elementi che lui ha
imparato ad amare nel contesto del suo apprendistato federiciano in ambito imperiale. Oltre al capello che è
molto virtuoso e tecnico, osserviamo la potente espressione di quello che chiamiamo ciglio patetico, quel
gonfiore del sopracciglio caratteristico della scultura barocco-pergamento del mondo greco-romano e le
labbra come si gonfiano e stringano verso l’alto e tutta la fisionomia sembra in movimento.
NUOVI TEMI E NUOVE ICONOGRAFIE - Scultura e pittura
A confronto Pergamo del Battistero di Pisa, 1260 e Pulpito del Duomo di Siena, 1265-68 opere di Nicola
Pisano. Il pulpito di Siena fu spostato dal lato sinistro del transetto al lato destro nella sistemazione che in
parte risale al 500 e si fa anche l’ipotesi che il sostegno che innalza il pulpito potrebbe essere stato rifatto o
ingrandito in epoca 500 (epoca adattamento della scala). Nicola è il responsabile di questo cantiere, a Siena
abbiamo tutta la documentazione. Esiste il contratto che sanciva gli accordi commerciarli tra il duomo e
Nicola stesso. Abbiamo i nomi degli autori impegnati, i tempi di esecuzione, i materiali impiegati e i
pagamenti dati a Nicola stesso e ai suoi collaboratori. Tra questi il più importante è Arnolfo di Cambio.
Vengono citati altri due maestri che sono due fiorentini Donato e Lapo Di Ricevuto e viene citato per ultimo
un giovane, il figlio Giovanni, perché viene scritto nel documento che se Nicola è d’accordo ì, il figlio sarà
accettato come collaboratore al pulpito ma sarà pagato da Nicola stesso. Giovanni non doveva essere un
carattere facile, era molto esigente e problematico.
Pisa Siena
Abbiamo anche un documento, un esordio fondamentale relativo a Nicola, perché firma e si definisce
condam petri de a puglia (figlio di un certo Pietro di Puglia) 1265\68 è la data dei contratti che furono poi
pubblicati dal Milanesi. Si affermava anche che Nicola non era pisano, difatti era un pugliese, figlio di un fu
Pietro (forse scultore anche lui).
Le differenze tra questi pulpiti si vedono bene, quello di Siena è ottagonale non è esagonale e non ci sono gli
elementi architettonici che avevamo confrontato con le sale superiore di castel del Monte dove c’erano i fasci
di colonnina a tre a tre. Gli elementi più arcaici, più legati a Castel del Monte qui non ci sono più, al posto
dei fasci di colonnine vediamo altre statuette legate a tematiche religiose. Qui siamo all’interno della
Cattedrale di Siena, si fanno le letture del vangelo, il contesto è più ecclesiale.
Nella fascia intermedia le sculture che si torcono su se stesse e sono state interpetrate come sibille, forse
potrebbero portare valenze simboliche come quelle del pulpito di Pisa ma non sono così chiare, sono più
generiche. La cosa interessante è invece la presenza dei 4 leoni della base e della base centrale. Dove c’era la
figurazione della terra qui ci sono figure molto interessanti, relative alla sapienza terrena, sono le 7 arti
liberali del trivio e del quadrivio più la filosofia (la numero 8, regina).
Gli altri due pulpiti di Giovanni Pisano, il figlio: Pulpito del Duomo di Pisa e Pulpito di Sant’Andrea a
Pistoia.
Pisa Pisotia
A Pistoia c’è il suo capolavoro, pergamo a 6 lati, opera elegantissima con sorprendenti esiti stilistici. Rispetto
al pulpito di suo padre, dove gli archi erano a tutto sesto, leggerissimamente ogivali (gotici) con forma
trilobata che riprende gusto romanico e romano insieme, qui, con Giovanni, a Pistoia, si acutizzi la citazione
di un’arcata più gotica. Siamo tra il 1297\98 e il 1302, in piena età di Dante il quale venne esiliato nel 1302.
A partire dalla base vediamo le figure a tre a tre, gioco triangolo, leonessa magra con i cuccioli che gli porta
il cibo, un leone che azzanna un cavallino sul muso e dall’altra parte una figura di un atlante. Gli atlanti, i
telamoni, sono figure che sostengono una parte architettonica. Qui questa figura guarda verso il basso, verso
la terra, verso il giro di animali alati che rappresenta il senso di rotazione cosmica (leone, grifone, aquila).
Tutti e tre hanno le ali e sono in rotazione che ci fa sentire un giro orario, il giro del sole durante il girono e
ci rappresenta bene una simbologia già citata per il pulpito di Nicola Pisano.
I leoni alla base del pulpito di S. Andrea
Notiamo la magrezza della leonessa, molto realistica. I cuccioli che sembrano ciechi, brancolare alla ricerca
delle mammelle. La mamma leonessa porta un coniglio il quale non è più simbolo del cristiano timido tra le
braccia di dio ma sono le prede. Nella seconda immagine il leone con la sua preda, un cavallo.
Nel duomo di Siena si aggiungevano due scene: la strage degli innocenti e si duplicava l’episodio del
giudizio universale. Invece di essere su una sola formella, il giudizio era su due e il cristo giudice finiva sullo
spigolo come statuetta a dividere i buoni dai dannati.
Problematica è invece la lettura, il rimontaggio del pulpito del duomo di Pisa perché questo pulpito ha subito
uno smontaggio e rimontaggio in epoca tardiva e ancora oggi si fa fatica a capire come poteva essere il suo
orientamento e la sua collocazione. La forma è di nuovo ottagonale ma con questo senso di rotazione quasi di
giostra, il movimento simula i movimenti astronomici e qui è molto evidente. Dà l’impressione di una sorta
di macchina, di carrion. In quest’epoca la passione degli automi è molto forte, di questi orologi con forme in
movimento perché era una caratteristica del mondo arabo. Dobbiamo percepire questa architettura e scultura
ricchissima di dettagli.
Nel pulpito di Siena c’è una lunga iscrizione e la firma di Giovanni: Giovanni figlio di Nicola ma più bravo
di lui. C’è anche una frase “Giovanni qui a circondato con le parti del mondo e con i fiumi del paradiso” (che
sono orientati ai punti cardinali). Vediamo che Giovanni voleva raffigurare la terra nella base, nella sua
fisicità mitica.
Confronti Natività (Annunciazione) tra Nicola Pisano e Giovanni
Vediamo com’è cambiata la scultura di Giovanni, come si apra a delle letture della realtà, morbidezze gesti e
umanità. Egli si avvicinò molto all’uomo e diede vita alla corrente dl realismo di Giovanni. Vediamo il senso
romano di Nicola che guardava all’antico e Giovanni invece, sempre nella stessa iconografia cambia stile.
Vediamo i pastori che risalgono dal gregge che sta in basso, la vergine sdraiata alla bizantina, il bue e
l’asinello e San Giuseppe (perplesso nella versione di Giovanni) e le levatrici che preparano il bambino che
in Nicola è un piccolo Ercole e in Giovanni è un bambino vero. Ci vorranno due secoli per vedere un
bambino così vero in scultura.
Nell’opera di Giovani vediamo una delle due allevatrici che sta toccando l’acqua per vedere se è calda e la
vediamo scorrere, la vediamo passare dal recipiente versato alla coppa dove il bambino sarà inserito. La
Maria stanca del parto che si aggrappa alla coperta con si segni del ventre visibili sotto la stoffa che è una
caratteristica del gotico. Maria fa il gesto di guardare il bambino negli occhi mentre la Maria di Nicola è un
coperchio di sarcofago, non c’è dubbio sul rapporto diverso con la storia sacra, molto più distaccato. Dietro
Giovanni c’è la grande importanza che sta acquisendo l’ordine francescano.
Nicola Giovanni
Nicola è legato la suo apprendistato alla corte di Federico in un gotico che arrivava dal mondo tedesco. La
visione di Giovanni è più realistica e legata ad una forzatura anche di certi aspetti della realtà. Vediamo in
Giovanni la figura della vergine modellata dalla stoffa. Sono punti di osservazione della realtà che
conducono a quella libertà espressiva e sono una caratteristica di un cambiamento in atto, di un qualcosa che
Giovanni gestisce in direzione diversa da quella del padre. Però Giovanni non saprebbe lavorare così se non
avesse imparato dal padre.
Giovanni nella sua epoca vive nell’aura del padre ma non è così apprezzato. Forse era troppo avanti per il
suo tempo, ha momenti di incomprensione. Lui cercherà di difendersi per es. nel pulpito del Duomo di Pisa
c’è una lunga iscrizione dove lui arriva a dire “a quelli che dicono che non so scolpire guardate qui che
cosa.”.
Nella natività del Duomo di Siena abbiamo le figure che si muovono in uno spazio più articolato. Ancora di
mano di Giovanni con ulteriore avanzamento verso un racconto sempre più aperto a particolari descrittivi
come vediamo nei dettagli degli angeli e nei pastori. La scultura arriva prima, la pittura dopo e farà passi da
gigante con Giotto e Cimabue.
Nicola Giovanni
Pulpito di Siena: Adorazione dei Magi
Torniamo indietro di qualche anno. Nel pulpito di Siena si vedeva una rappresentazione, un’iconografia
moderna che avrà una lunga storia per tuto il 400. Questa rappresentazione che arrivava da modelli gotici
francesi era la rappresentazione del viaggio dei magi, non solo dell’adorazione. I magi appaiono due volte, in
alto personaggi del corteo a cavallo e in basso i cavalieri sono smontati da cavalo, le selle sono vuote e il
cavallo beve alla fonte. Ai lati statuette tra una formella e l’altra. Il pulpito di Siena è quello con tutta la
documentazione. Ad Arnolfo viene attribuita la figura del San Paolo.
Nicola Giovanni
Crocifissione di Giovanni a Sant’Andrea a Pistoia
È un capolavoro di Giovanni. In questo crocifisso vediamo il realismo di Giovanni, vediamo come per
arrivare all’espressione straziata del corpo fa una forzatura, esaspera l’anatomia. È la rappresentazione
dell’ultimo respiro di Cristo. Vediamo lo strazio della carne che rappresenta creando la deformazione
realistica delle costole. Giovanni scolpisce il marmo come se fosse la terra cruda del modello.
Non si può non citare la Crocifissione di Cimabue nella Basilica di San Francesco ad Assisi, chiesa
superiore. Il Crocifisso dipinto si chiama Croce dipinta e risale al 1280-85. Affresco 350x690, molto grande,
ci riporta il tempo delle crocifissioni di Nicola e Giovanni tradotto in pittura. Con le braccia alzate appare la
Maddalena e ai piedi della croce vediamo San Francesco che prega. C’è questo cambiamento iconografico.
San Francesco non viene mai rappresentato ai piedi della croce ma ovviamente in chiesa francescana lo
troviamo.
Cimabue credeva di essere il primo in pittura ma c’era anche Giotto che in quel periodo era più moderno di
lui. Alla sua pittura sono successe molte disgrazie, una è questa, che viene superato da Giotto e l’altra è
quella del crocifisso che fu ribaltato. In più crollò una vela di Cimabue in questa chiesa che seppellì alcune
persone tra cui frati e ispettori in seguito ad un terremoto.
Le parti chiare con biacca d’argento (o di piombo) si è scurita, i chiari sono diventati scuri e viceversa (quasi
come se fosse un negativo fotografico).
La crocifissione in questi anni vede due tipologie importanti: quella romanica del Cristo vivo sulla croce
come per es. la croce dipinta da Guglielmo nel 1138, Duomo di Sarzana. Pare che questo corpo e volto siano
stati dipendi alla fine del 1100, fu quindi ridipinto anche se la struttura della croce dipinta è datata 1138. Il
Cristo triunfans è vivo sulla croce con occhia aperti, inchiodato con 4 cioè, i piedi sono separati. Nel caso del
Duomo di Sarzana la croce presentava un’iconografia mista.
Nella seconda immagine il Cristo Patiens, doloroso, croce bizantina del Museo San Mateo di Pisa, fatta da
maestro greco, 1210. A Bisanzio di preferisce cristo sofferente. La tipologia è quella che prenderà piede a
Pisa, infatti vengono dette croci pisane quelle che hanno questa caratteristica, ovvero avere il tabellone
grande ai lati del corpo del cristo dipinto con fondo oro con storie della passione di cristo (storiette). Nasce
questa tipologia insieme al cristo crocifisso nelle croci dipinte, sono delle espansioni o tabelle. Ne troviamo
alcune che compaiono in orizzontale ai lati del braccio della croce e lacune in verticale.
Croce n.20
Il Cristo sofferente della seconda foto reclina il capo sulla spalla e ha un’anatomia caratteristica, il corpo si
inclina verso l’esterno per dare la sensazione del corpo che sta morendo.
Berlingerius me pinxit, croce dipinta XII sec. Lucca, Museo di Villa Guinigi
Croce firmata da un Berlinghiero, famiglia di Lucca Al posto delle storie te ci sono più piccole le figure
chiave della crocifissione: Maria e San Giovani evangelista. Il Cristo è vivo, ci guarda, braccia aperte a
squadra e nelle tabelle laterali simboli degli evangelisti. L’aureola è dipinta a rilievo e sporgente (anche nelle
croci precedenti è così) e riempita con paste di vetro.
A Pisa ad un certo punto si sviluppa qualcos’altro. Un maestro, Giunta Pisano, realizza per la chiesa di San
Domenico a Bologna questo crocifisso dipinto. Si tratta della codificazione del cristo patiens, sofferente,
italiana. Sulla destra il Cimabue di San Domenico ad Arezzo (entrambe realizzate per i domenicani). Stessa
tipologia, croce sagomata. Oro, rosso e nero esaltati. La tecnica è di illuminazione che trasforma l’antica
lumeggiatura bizantina che è visibile nelle figure di San Giovanni e Maria nella croce di Cimabue. I volti
sembrano quasi cubisti, Cimabue cerca di interpretarli in modo nuovo.
Il panneggio che invece Cimabue ha dipinto nel perizoma del Cristo è modellato facendo cadere la
pennellata intinta nell’oro dove cade l’illuminazione vera che serve a modellare questo leggero velo rosso
che cinge i fianchi del Cristo.
Cimabue, Croce dipinta del 1288, Museo Santa Croce di Firenze 448x390, grande
I passaggi del corpo, del ventre, delle braccia, diventa un tentativo di rappresentare la pelle che si tende su
muscoli veri. Molto bello il punto in cui l’interno del gomito si distende, si vede che Cimabue ha studiato
l’anatomia. Vediamo le decorazioni, come se il corpo è stesso su una stoffa preziosa.
Sfortunatamente l’alluvione di Firenze rovinò il crocifisso (vedi foto a destra) perché era conservato in un
locale ai piani bassi della chiesa ed essendo tempera su tavola l’acqua l’ha rovinato.
Il restauro accurato non ha ripristinato una pennellata, si riporta allo splendore solo ciò che era stato toccato
dal pennello di Cimabue. Non si è voluto fare un falso ma documentare anche i morti e le vicende relative
all’alluvione.
Un classico confronto tra i due crocifissi
Cimabue opera un cambiamento sul tema della croce dipinta.
Crocifisso di Giotto a Santa Maria Novella, 1300 578x406cm
Tradizionalmente si dice che Giotto fu allievo di Cimabue. Questo crocifisso è quasi 6 metri di altezza ed è
al centro del presbiterio della chiesa. È datato anche prima del 1300. Il Crocifisso rispetta la forma dei
crocifissi di tradizione precedente, l’ipotesi di qualche studioso è che possa trattarsi di crocifisso di Cimabue
non finito e questo giustificherebbe il rispetto della forma. La tipologia è sempre quella del cristo patiens è
quella dei 3 chiodi (non più 4) che prevedono il sovrapporsi dei piedi. Vediamo che Giotto ha considerato il
peso del corpo che piega le ginocchia e tende ad afflosciarsi sotto la spinta del suo stesso peso.
Interessante è anche la fisionomia del Cristo di Giotto. Troviamo una nuova umanità, come quella di
Giovanni Pisano, che Giotto elabora in pittura.
Giotto realizza anche un’opera, quella della Cappella degli Scrovegni che realizza intorno al 1305. Lui ha già
dipinto con il gruppo dei romani e di Pietro cavallini nella chiesa superiore di San Francesco dove oggi c’è il
punto interrogativo della sua presenza e si sposta a lavorare per Enrico degli Scrovegni, Padovano.
GIOVANNI PISANO E IL REALISMO NELLA SCULTURA GOTICA ITALIANA
Temi:
- Il Cristo mistico e Giudice (Beau-Dieu) del pulpito del Duomo di Siena
- Le Madonne madri
- La strage degli innocenti del pulpito di Sant’Andrea a Pistoia: Giovanni porta la sua idea di dramma, di
dolore, di madre. Sono madri dolorose. Il tema delle madri dolorose crea qui sotto lo scalpello la scena più
crudele del tema della uccisione di bambini. Nessuno in pittura rappresenterà questa scena dei personaggi
che tolgono i bambini alle madri e gli uccidono. La gente chiede pietà ad Erode il quale dà il via ad uccidere
i bambini.
Lo strazio delle madri di Giovanni: modernità da 900 non da 200, lavora girando intorno alle figure come se
fosse una sequenza cinematografica. Giovanni accorcia i passaggi, rappresenta il dolore con dei semplici
buchi di trapano. I capelli sciolti erano segno del lutto e dello strazio.
Giovanni Pisano era avanti rispetto al suo tempo e rappresentava l’esigenza di realismo, di rappresentare la
realtà con di passaggi abbreviati di forme che però esprimevano in modo poetico delle sensazioni, o di
dolcezza o di ferocia come nel caso del pulpito di Pistoia. Egli diventò celebre e apprezzato dagli scultori del
900.
La prima immagine madre con bocca socchiusa, i capelli che sono due colpi di stecca nell’argilla, il foro di
trapano, sembra quasi vedere l’artista ridurre la forma. La sua grande novità è l’aver passato certe intuizioni
nel modellato plastico della terra nel marmo. Il marmo si piega, sotto le sue mani diventa duttile, sembra
creta anche se è marmo di Carrara. Questo da luce alla sua opera.
Giovanni ha utilizzato la tecnica scultorea del Padre, dalla lastra all’opera finita. Questi maestri sanno
lavorare il marmo in profondità e per piani paralleli ovvero da un piano più esterno ad arrivare al piano di
fondo. Osserviamo tre madri che si somigliano: una con un panno asciuga le ferite del figlio, l’altra scuote il
bambino e l’altra ancora espone il bambino. Queste madri sono state analizzate dalla macchina fotografica
girando attorno perché hanno un rilievo particolare, sono staccate, lavorate con la tecnica a giorno e anche a
tuto tondo per quanto riguarda le teste che sporgono dalla lastra.
È una scena molto drammatica. Giotto, negli Scrovegni, racconta la stessa scena ma non ci fa vedere il
momento in cui affonda la lama nel ventre come invece ha il coraggio di far vedere Giovanni Pisano con
questo stile del realismo gotico giovanneo perché si arriva a forzature anatomiche.
Pulpito del Duomo di Pisa, 1314
C’è una venere nuda alla base del pulpito di Pisa nella figurazione della fortezza. Venere antica, dei medici,
si trova nelle collezioni medicee che si copre (sarà una tradizione fiorentina), è la Temperanza come se il
gesto incrociato temperasse la sua novità (secondo la prof. è la prudenza).
Fortezza e temperanza
Madonna gotica in avorio tesoro Duomo di Pisa
Viene usata la zanna di elefante in avorio che ha quella curvatura. Giovanni monta con tasselli piccolissimi
per poter fare uscire fuori il velo che non sarebbe stato ricavato dalla zanna perché va restringendosi. LA
testa del bambino è tarda, è frutto di un restauro antico. Ha una problematica di tecnica molto significativa
della naturalezza, indica che i maestri lavorano con passione i materiali e usano materiali naturali. Giovanni
Pisano usa molto l’avorio e farà anche molti crocifissi lignei che riprendono il corpo doloroso scolpito nel
pulpito di Pisa e Siena.
Re Salomone
- La fontana di Piazza Maggiore a Perugia
Ultima operazione di Nicola e Giovanni insieme 1268, la fontana di Piazza Maggiore di Perugia. Da un
documento del 1284 sappiamo che Nicola era morto (la sua morte avvenne tra il 1268 quando lui e il figlio
firmano per la fontana e il 1284 quando il documento dà Nicola come morto).
Nel 1470 c’è stato un terremoto, Perugia ebbe danni e la fontana andò in pezzi e fu rimontata non proprio
seguendo il rispetto delle proporzioni che c’erano in origine. Siamo però sicuri degli elementi che
compongono queto sistema di vasche concentriche e di coppa di bronzo dalla quale tre figure di donne
agganciate per le braccia che sostengono un ancora esce l’acqua.
Dobbiamo pensare ad un’operazione civica, comunale, perché a Perugia l’acqua non c’era. Occorreva
un’impresa idraulica che facesse portare l’acqua nel punto più alto della città (era di fondazione etrusca, poi
romana e poi medioevale). Città antica rivestita di mura, con porte monumentali e punto alto dove si
confrontano il potere religioso e civico.
La fontana si trova vicino al Duomo e al palazzo comunale, nel punto più alto e più importante della città.
Era il cosiddetto umbilicus (parola etrusca, significa centro), era un foro che collegava la città di sopra alla
città di sotto.
Le tre donne che prendono l’acqua, portano un’anfora in tre. Sono unite per la schiena, entrambe alzano il
braccio per portare l’anfora e con l’altro braccio si toccano il fianco. Sono il segno di un’antichità profonda.
Sono tipiche figure etrusche e romane. Dante prende spunto da qui.
L’acqua viene condotta con un’operazione idraulica, un frate francescano si preoccupò di condurre l’acqua e
viene citato nei documenti. I maestri coinvolti sono Nicole e Giovanni. Quest’opera, come tutte le fontane, si
legge a partire dall’uscita dell’acqua. L’acqua esce zampillando fuori dall’anfora portata dalle tre donne,
ricadeva nella coppa (Rubeus è il bronzista, il Rosso Padellaio che firma la coppa in bronzo su disegno di
Giovanni). IN seguito colma la coppa e riempie la prima vasca. Le vasche giocano su due colori: marmo
travertino bianco e rosa di breccia. La vasca si riempie fino ad un certo punto e il riempimento della vasca
inferiore avviene attraverso dei boccagli che si trovano negli spigoli, hanno forma di teste di animali
(protomi). Dalla bocca dell’animale c’è un boccaglio che porta l’acqua nella vasca inferiore.
Le due vasche sono sostenute da colonnine con capitelli tutti diversi.
Le facce non consentono appoggio, ovvero non ci sono spigoli con spigoli, è tutto un po’ sfasato come se
fosse un meccanismo. Le vasche infatti venivano usate come un orologio: a seconda della caduta della luce
sulle facce la gente leggeva l’ora.
La vasca superiore dovrebbe avere 16 lati e quella inferiore 25, sono due numeri che non hanno punti
d’appoggio particolari ma danno senso di rotazione. Quella superiore è fatta di specchiature lisce, è una
forma che viene definita “vagamente stellare”, ovvero vediamo che il lato si flette leggermente verso
l’interno, cioè il lato è diviso in due specchiature lisce con al centro statuetta scolpita. Il piccolo parapetto
piega l’interno e in pianta si crea questa forma vagamente stellare e la ripetizione a tutti gli spigoli di una
statuetta più una statuetta interna che divide le specchiature di breccia.
I personaggi sono religiosi e legati alla rappresentazione della città, c’è Perugia, Roma, ci sono i Santi come
San Pietro e figure che hanno a che fare con una tradizione religiosa ma anche con la conoscenza della storia.
Ci sono anche dei personaggi che sono il capitano del popolo e il podestà del 1278 in Perugia.
Nella vasca inferiore il problema è ribaltato, non ci sono specchiature lisce ma rilievi, non ci sono statuette
agli spigoli ma ci sono colonnine. La figura non è più stellare e vengono raccontate ancora altre cose. In
particolare le arti liberali del trivio e quadrivio e la filosofia. E poi i mesi e i segni zodiacali, per es. maggio
ha il cavaliere con la dama che vanno a caccia con il falco e il cane. Troviamo anche le favole di Fedro e di
Esopo, in particolare il lupo e la cicogna e il lupo e l’agnello di Fedro. Sono racconti drammatici che ci
insegnano a non fidarci di chi ci aiuta.
“Se vuoi che il leone ti tema, picchia il cucciolo”, questa è un'altra favola, sono immagini realistiche che
compaiono anche dipinte all’interno della sala maggiore del palazzo dei Priori (è vicino alla fontana, il
comune).
La sua fontana era in competizione con quella di Nicola e Giovanni, era in un punto più basso della piazza e
addossata ad un palazzo. Era addossata al muro con delle nicchie e due figure, degli scribi che avevano libri
sulle ginocchia a farci sentire che il significato forse non era solo l’acqua da bere ma era paragonata al
sapere, alla cultura e anche al potere religioso della parola di dio e alla salvezza dell’acqua di vita (acqua del
battesimo). In foto uno degli assetati e il volto di una figura che si appoggia al parapetto che ha il bordo
inclinato. Un altro frammento fa vedere un'altra figura assetata chiusa nella sua forma essenziale, giocata sul
volume e su semplificazioni formali stilizzate molto forti. La figura raccoglieva l’acqua nelle mani. Ci si
immagina che al momento del troppo pieno le figure potessero ricevere sul volto o nelle mani l’acqua del
colmo della vasca.
Vediamo bene come la scultura si rifaccia a modelli antichi e come sotto lo scalpello di Arnolfo la scultura
sembra quasi schiacciata e premersi sotto il cambio di fondo.
Uno dei primi confronti che possiamo fare tra Arnolfo e Giotto è nell’idea di questi assetati. Queste figure
che si prolungano rese volumetriche da queto vestito semplificato nel Miracolo della Fonte di San Francesco
ad Assisi di Giotto. Oggi si pensa che non sia Giotto l’autore delle opere di San Francesco ad Assisi ma sia
Pietro Cavallini.
Tomba del Cardinale di Braye del 1282 che si trova a San Domenico di Orvieto. Questa tomba è originaria di
Roma. Arnolfo è uno che sa organizzare perfettamente le maestrane a differenza di Giovanni. Egli
modernizza molte chiese di Roma (1527 sacco di Roma) e realizzerà la statua bronzea in San Pietro e la lupa
capitolina. Arnolfo inventa una tipologia di tomba che chiamiamo tomba parietale. Egli utilizzò le maestrane
romane dei marmorai romani. Le famiglie dei cosamti e dei vassalletto erano specialisti nella lavorazione dei
marmi soprattutto nell’ambito delle pavimentazioni soprattutto fatte con grandi dischi e forme geometriche.
Arnolfo impiega queste famiglie e le usa come maestranze. Fece un rinnovamento dell’aspetto delle chiese di
Roma.
Per leggere le tombe si parte dal basso: basamento, sarcofago, statua del defunto giacente (novità e ritorno
dal tempo egli etruschi) animata da due angeli che si avvolgono nelle cortine (tendaggi) uno apre e uno
chiude. Troviamo anche una parte allegorica, dove ci sono figure allegoriche. La Madonna in trono con
bambino (trono all’antica con colonne tortili).
La tomba in antico subì danni e spostamenti e fu collocata in opera distribuendo a triangolo le figure della
parte superiore che sono la Madonna con bambino. L’apostolo Marco e San Domenico.
Particolare dell’angelo reggi cortina: statua piccola, forma prisma sfaccettato. Particolari che Arnolfo ha
imparato a realizzare grazie a Nicola Pisano. Un angelo apre e l’altro chiude, sono movimenti cosmici.
In Roma l’attività di Arnolfo ha lasciato due documenti perfettamente conservati. In foto Ciborio di San
Paolo (1285) e di Santa Cecilia (1293). La chiesa bruciò in una notte, il fuoco si fermò nel presbiterio
risparmiando il ciborio di Arnolfo. Sono gli eredi degli antichi cibori che abbiamo studiato per es. San Pietro
al Monte. Il ciborio è una tipologia architettonica che serviva a valorizzare lo spazio più sacro della liturgia.
Sono piccole architetture giocate su forma quadrata che si sostengono su colonne preziose come in porfido
scuro e marmi lavorati.
Le parti scultoree sono le parti più interessanti. Sgusciano fuori dagli spigoli che sono svuotati come delle
nicchie delle statuette di santi e santi. San Tiburzio in particolare esce fuori dalla nicchia con tutto il cavallo.
È molto presente il riferimento all’antico in Arnolfo di Cambio anche perché è a Roma e vede stimoli alla
sua ispirazione.
Nei timpani compaiono rosoni tipicamente gotici sostenuti da angeli che sembrano vittorie alate che
sostengono i dischi dell’esaltazione imperiale come si vede per es. nel basamento della colonna Triana.
Non solo ci sono marmi preziosi ma anche dorature, mosaici, paste di vetro. Le dorature sono date
direttamente sul marmo.
C’è un riferimento non solo all’antico classico ma ad un antico con riferimento al mondo paleocristiano.
Visibile nella decorazione del pulpito interno dove ci sono figure realizzate a litostrato, cioè tarsia di marmi
scuri e chiari a formare forme decorative simboliche che si rifanno al mondo antico già cristiano.
Arnolfo e Giotto si sono frequentati. Questa immagine è una delle scene delle storie di San Francesco ad
Assisi, il presepe di Greccio. Gli astanti che cantano, lo stupore della folla, San Francesco mette il bambino
nella mangiatoia. C’è una croce dipinta, un pulpito, una scala e c’è un ciborio sulla destra. Francesco ha il
vestito da prete che in realtà non poteva indossare perché non era sacerdote. Il ciborio è arnolfiano con
particolare degli angeli delle vittorie alate che portano il disco.
ARTE NELL’ITALIA CENTRALE DA PISANO A GIOTTO (libro caricato dalla prof, parte 5)
Dipinto della famiglia dei Berlinghieri del 1235 (pp.549). Siamo nella chiesa di San Francesco di Pescia,
vicino a Lucca. È una pala d’altare cuspidata dove è presente la centro, contornato dalle storiette di vita di
San Francesco (donazione delle stigmate è evento più importante). Fondo oro, la figura di Francesco che
tiene libro del vangelo ed espone la mano con le stigmate assistito da due cherubini.
Per tradizione si dice che si tratta dell’unione della imago (immagine, in altino) più le istorie (storie che
verranno definite poi storiette e finiranno nelle predelle delle pale d’altare). La tipologia della prima pala con
un santo è dedica a San Francesco e ad un’altra sana, la Maddalena. I due sono i santi che rappresentano
bene il cambiamento devozionale, condividono la passione di Cristo e la croce.
Tipologia della Maestà: Confronto tra quella di Duccio e di Cimabue (la terza maestà è quella di Giotto)
(pp.554). Sono pale d’altare di immense dimensioni, monumentali. Sono tute e tre nella stessa sala degli
Uffizi di Firenze. Quella di Santa Trinita, Madonna Rucellai e Chiesa Ognissanti di Giotto. E? la prima
grande tavola italiana da mettere sull’altare che viene amata da tutte le chiese perché è un’immagine che
partiva da codificazione bizantina. Quello che c’è di nuovo sono alcuni passaggi, la pala gigante, la forma
della tavola che è cuspidata (a punta) e la Madonna deve essere con il bambino e in trono e devono esserci
gli angeli che portano il trono in cielo. Madonna in Maestà vuol dire che il trono viene portato in paradiso
dagli angeli, si tratta del simbolo della chiesa.
Cimabue, come aveva fatto nel perizoma del crocifisso di Arezzo, fa cadere la luce li dove gli serve farci
vedere la forma del panneggio, la plasticità, non usando più le geometrie della lumeggiatura bizantina.
Giotto fa vedere come si cambia strada, la sua maestà è più moderna e più architettonica. La luce in Giotto è
orchestrata in modo da farci sentire che le figure sono soldi e tridimensionali.