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La Chiesa trionfante
Stile gotico:
● nasce nella Francia settentrionale;
● nasce verso la metà del XII secolo;
La cattedrale di Chartres fa parte del tardo XII secolo. Dopo l’anno 1200 molte nuove e
magnifiche cattedrali sorsero in Francia, in Inghilterra, in Spagna e nella Renania.
LA SCULTURA:
● il maestro che lavorò al portale settentrionale della chiesa di Chartres infuse vita in
ciascuna delle sue figure;
● nelle statue dall’atteggiamento al drappeggio, devono rappresentare naturalezza e
leggerezza;
● ogni figurazione doveva essere riconoscibile da chiunque conoscesse il vecchio
Testamento;
● quasi ogni statua che affolla i portali delle grandi chiese gotiche è chiaramente
contrassegnata da un attributo, così che il suo significato e il suo messaggio
potessero essere compresi e meditati dai fedeli;
● nel loro insieme esse incarnano la dottrina della chiesa;
● ogni figura doveva essere doveva essere diversa da quella vicina; nell'atteggiamento
e nel tipo di bellezza e investita di una dignità individuale;
● ricerca dell’antica formula dei corpi drappeggiati;
● interesse dei problemi espressivi;
● scopo: narrare la storia sacra nella maniera più persuasiva possibile (al contrario dei
greci del V secolo che si interessavano soprattutto al modo di costruire un bel corpo).
OPERA:Un elefante con il guardiano, storico Matthew Paris, Corpus Christi College,
Cambridge.
Elefante mandata da re di Francia a Enrico VIII nel 1255.
LA SCULTURA:
Le opere più caratteristiche della scultura sono i lavori più minuti in metallo prezioso e
avorio, nei quali eccellevano gli artefici del tempo.
OPERA:disputa nel Tempio e Caccia con il falco 1310, Salterio della regina Maria, Londra,
British Museum.
Disputa di Cristo con gli scribi del Tempio. Cristo siede su un seggio altissimo e spiega
qualche punto della sua dottrina, rappresentato con il gesto che negli artisti medievali
caratterizzava il maestro. Gli scribi ebrei alzano le mani in atteggiamenti di meraviglia e di
sgomento, proprio come i genitori del Signore.
Secondo quanto dice la Bibbia, Cristo ha 12 anni;
l’artista non tenta di rappresentare le figure con dello spazio tra loro;
l’artista non ha le stesse capacità di Giotto nel rendere le scene vive;
le facce sono disegnate in maniera molto semplice, con le sopracciglia ad arco, la bocca
volta in giù, i capelli e la barba ricciuti.
In fondo alla pagine viene rappresentata un tema della vita quotidiana di quei tempi, ovvero
la caccia alle anatre con il falco. Vengono rappresentati un uomo e una donna a cavallo e un
ragazzo che li precede, il falco è appena calato su un’anatra, mentre le altre due stanno
fuggendo. Rappresentazione del sacro e del secolo di Chaucer.
L’arte del ritratto che si sviluppò in questo periodo si deve forse a Simone Martini e al suo
modo di interpretare la natura e di osservarla in tutti i suoi particolari(Es. Il ritratto di Laura, la
donna citata da Petrarca)
Simone lavorò alla corte pontificia ad Avignone, Francia.
La Francia era ancora il centro dell’Europa.
La Germania era governata da una famiglia oriunda del Lussemburgo che aveva la sua
residenza a Praga.
La cattedrale di Praga ospita una meravigliosa collezione di busti risalenti a questo
periodo(1379-1386), che rappresentano i benefattori della Chiesa,e servono a un fine
analogo a quello creato dalle figure della Cattedrale di Naumburg. Nella serie che include
anche busti di contemporanei, tra i quali quello dell’artista cui era affidata l’opera, Peter
Parler il Giovane, che è il primo vero autoritratto di un artista a noi noto.
La boemia divenne uno dei centri dove l’influenza italiana e francese si diffuse in più larga
scala, giungendo fino a paesi lontani come l’Inghilterra, dove Riccardo II aveva sposato
Anna di Boemia.
L’Inghilterra commerciava con la Borgogna. L’Europa della chiesa latina era ancora una
grande unità.
Gli artisti e le idee passavano da un centro all’altro, e nessuno pensava a respingere una
conquista perché di origine straniera; allo stile sorto da questo scambio verso la fine del
Trecento gli storici hanno dato il nome di gotico internazionale.
Gli artisti del gotico internazionale applicarono lo stesso spirito di osservazione e lo stesso
gusto delle belle cose e delicate nel ritrarre il mondo che li circondava. Si era usato nel
Medioevo ornare i calendari con scene che illustrano le varie occupazioni dell’anno: semina,
caccia, raccolto.
È facile constatare come l’arte del dittico di Wilton House sia legata alle opere di cui
abbiamo trattato prima, forse anche perché nella consuetudine dei “ritratti di donatori”
sopravvive qualcosa dell’antica credenza nel potere magico delle immagini oppure l’abilità
nell’utilizzo dello scorcio
L’interesse per tutto ciò che la vita ha di splendido e di lieto dimostra che le sue teorie sullo
scopo della pittura differivano da quelle degli artisti del primo Medioevo. L’interesse si era
spostato verso una rappresentazione capace di rendere un aspetto della natura. Per l’artista
il compito era cambiato. Prima il tirocinio consisteva nell’imparare certi antichi schemi
corrispondenti ai principali personaggi della storia sacra e adattarli a combinazioni sempre
nuove. Ora il mestiere dell’artista richiede la capacità di fare studi dal vero e inserirli nei suoi
dipinti.
ARCHITETTURA:
Fu a Firenze, all'inizio del Quattrocento, che un gruppo di artisti volle creare un’arte nuova,
rompendo con le teorie del passato; a guidare questo eminente gruppo ci fu Filippo
Brunelleschi(1377-1446), architetto che lavorava al completamento del duomo.
Il duomo era gotico. Brunelleschi conosceva le innovazioni tecniche dello stile gotico.
L’architetto fa delle scoperte in ambito progettistico e della costruzione che presuppongono
la conoscenza dei metodi gotici di campare volte.
Fu chiamato a progettare nuove chiese o altre costruzioni e ruppe completamente con lo
stile tradizionale, abbracciando le idee di quanti aspiravano alla grandezza romana.
Si dice che si recasse a Roma per misurare le rovine dei templi e dei palazzi e che ne
rilevasse le linee e i motivi ornamentali.
Brunelleschi mirava alla creazione di una nuova maniera architettonica nella quale la forma
classica, usata liberamente, contribuisce a creare nuove espressioni di armonia e bellezza.
Per quasi cinquecento anni gli architetti d'Europa e d'America hanno seguito le sue orme.
Circa una generazione fa alcuni architetti cominciarono a discutere i metodi di Brunelleschi,
ribellandosi alla tradizione architettonica rinascimentale, proprio come egli si era ribellato alla
tradizione gotica.
LA PITTURA E LA PROSPETTIVA
Non fu solo l’iniziatore del rinascimento in architettura, pare infatti che gli sia dovuta anche
un’altra importante scoperta: la prospettiva; fu infatti Brunelleschi a dare agli altri artisti i
mezzi matematici per risolvere tale problema. Gli artisti intorno a Brunelleschi desideravano
con tanto ardore un rinnovamento artistico che per realizzarlo si volsero alla natura, alla
scienza e ai ruderi dell’antichità. Fu in questo clima che si sviluppò il genio artistico di
Masaccio(1401-28), peggiorativo di Tommaso, che riuscì a rivoluzionare interamente la
pittura non solo nell’accorgimento tecnico della prospettiva, per quanto fosse una
straordinaria novità, ma furono la semplicità e la grandiosità delle sue figure ad
impressionare il pubblico. Pur non imitandolo, Masaccio ammira la grandezza drammatica di
Giotto.
SCULTURA:
Il più importante scultore della cerchia di Brunelleschi fu invece Donatello(1386?-1466), che
volle sostituire alla squisita raffinatezza dei suoi predecessori una nuova a vigorosa
osservazione della natura. I maestri fiorentini del Quattrocento cominciarono ad osservare
attentamente negli studi e nelle botteghe il corpo umano, chiedendo ai modelli di posare per
loro negli atteggiamenti desiderati; è questo nuovo modo e interesse che conferisce a
Donatello una grande forza di persuasione.
OPERA: Festino di Erode, rilievo in bronzo eseguito per il fonte battissimale di Siena,1427
Episodio della vita di San Giovanni Battista: la macabra scena in
cui Salomè ottiene dal Re Erode la testa del Santo.
Vediamo la sala regale del banchetto e, dietro, la tribuna dei
musicanti e una fuga di stanze e scale.
Il carnefice, appena entrato, si è inginocchiato dinanzi al re al
quale offre la testa del santo sopra un piatto. Il re si ritrae
levando le mani inorridito, i bambini piangono e fuggono, la
madre di Salomè, istigatrice del delitto, sta parlando al re per
spiegargli l’accaduto. Gli ospiti, indietreggiando, le fanno un
grande vuoto intorno. Uno di questi si copre gli occhi con una
mano, altri circondano Salomè che sembra aver appena
interrotto la sua danza. In quest’opera di Donatello tutto è nuovo.
Chi era abituato alle narrazioni chiare e aggraziate dell’arte gotica, rimane colpito da un
simile stile narrativo che ricorreva a un effetto di caos improvviso. Le figure sono dure e
angolose, come quelle di Masaccio. I loro gesti sono violenti e non c’è alcun tentativo di
mitigare l’orrore della storia.
La nuova arte della prospettiva accresceva ancora di più l’illusione della realtà. Donatello nel
rilievo rappresenta un palazzo antico, scegliendo per figure di sfondo tipi romani. A quei
tempi Donatello aveva intrapreso uno studio sistematico dei ruderi romani per la sua azione
volta a una rinascita artistica.
Gli artisti attorno al Brunelleschi desideravano con tanto ardore un rinnovamento artistico
che per realizzare i loro nuovi fini si volsero alla natura, alla scienza e ai ruderi dell’antichità.
La scienza e l’arte classica rimasero un dominio esclusivo degli artisti italiani.
La volontà di creare un’arte nuova, più fedele alla natura di tutte le precedenti, ispirò pure gli
artisti nordici di quella generazione.
Come la generazione di Donatello, anche uno scultore d’Oltralpe lottava per un’arte più
realistica e più diretta:CLAUS SLUTER che lavorò dal 1380 al 1400 a Digione, capitale del
ricco e prosperoso ducato di Borgogna.
Nel Nord non fu uno scultore ad attuare la conquista definitiva della realtà, poiché l’artista le
cui scoperte rivoluzionarie furono subito un elemento innovatore fu il pittore Jan van
Eyck(1390?-1441). Era legato alla corte dei duca di Borgogna, ma lavorò soprattutto in
quella parte dei Paesi Bassi che ora si chiama Belgio. La sua opera principale è il grande
polittico che si trova a Gand. Si dice che sia stato cominciato dal fratello maggiore di Jean,
Hubert, del quale si sa poco, e terminato da Jan nel 1432, in quello stesso decennio che
vide il completamento delle opere di Masaccio e Donatello.
L’osservazione del vero di Van era ancora più paziente, più dettagliata. Esempio gli alberi.
Gli alberi dì Limbourg erano piuttosto schematici e convenzionali. Gli alberi di Van sono reali
e il paesaggio portano alla città e al castello che si stagliano sull’orizzonte. La veridicità
dell’erba sulle rocce e i fiori nati nei crepacci non possono essere minimamente paragonati
al sottobosco dei fratelli. Ciò che vale per la natura vale anche per le figure. Esempio: il
cavallo dei fratelli è piatto, quello di Van è diverso per forma e atteggiamento.
Gli artisti meridionali i suoi contemporanei avevano perfezionato un metodo grazie al quale
la natura poteva venir rappresentata in un quadro con esattezza quasi scientifica, ma Van
Eyck si mise per la strada opposta, raggiungendo l’illusione del vero sommando
pazientemente un particolare all’altro, finché l’intero quadro apparisse come uno specchio
del mondo visibile. Le opere dove si eccelle nella rappresentazione della bellezza esteriore
degli elementi sarà di un artista nordico, più probabilmente di un artista dei Paesi Bassi. Una
Pittura dai contorni arditi, dalla prospettiva chiara e dalla sicura conoscenza del corpo
umano sarà italiano.
Inoltre egli inventò la pittura ad olio, ideando una nuova ricetta per la preparazione dei colori
(usando l’olio invece dell’uovo->pittura a tempera). Prima si utilizzava estrarre le tinte da
piante e minerali. Questo tipo di tecnica permette di poter lavorare
più lentamente e con maggiore precisione e di realizzare colori più
brillanti.
Nel celebre quadro Ritratto dei coniugi Arnolfini,1434,National Gallery di Londra,(Giovanni
Arnolfini, Giovanna Cenami) recatosi nei Paesi Bassi per commercio. Notare i particolari: il
tappeto, le pianelle, il rosario appeso alla parete, il piumino accanto al letto e la frutta
accanto alla finestra. Viene rappresentato lo sposalizio dei due. La giovane ha appena
messo la destra nella mano sinistra di Arnolfini. L’artista era presente,notare le parole latine:
Johannes de Eyck fuit hic (Van era presente). Nello specchio in fondo alla camera vediamo
tutta la scena riflessa a rovescio e lì pare si possa scorgere l'immagine del pittore e dei
testimoni.
paragonare l’impiego della pittura all'uso legale della fotografia: per la prima volta nella
storia l’artista diventa un perfetto testimone oculare del senso più vero del termine.
Altri artisti invece, applicavano tranquillamente i nuovi metodi senza preoccuparsi troppo
delle difficoltà. Questo è il caso di Benozzo Gozzoli(1420-1497) il quale ricoprì le pareti della
cappella privata del palazzo dei Medici con un affresco rappresentante la Cavalcata dei Re
Magi verso Betlemme, 1459-63, Firenze, Palazzo Medici-Riccardi.
L’episodio biblico offrì l’opportunità di spiegare raffinatezze sontuose e sgargianti costumi
tipici di quegli anni sia a Firenze che in Borgogna.(Paese con il quale i Medici intrattenevano
strette relazioni commerciali).
Nel frattempo altri pittori, nelle città a nord e a sud di Firenze, avevano accolto il messaggio
della nuova arte. Ne è un esempio Andrea Mantegna(1431-1506), il quale contribuì a
diffondere il nuovo stile soprattutto nell’area lombardo-veneta.
In Cappella Ovetari a Padova, chiesa degli Eremitani, (vicina a Cappella Scrovegni dipinta
da Giotto) egli realizzò un ciclo di affreschi dedicati alle Storie di San Giacomo e San
Cristoforo, ma la chiesa fu gravemente danneggiata a seguito dei bombardamenti della
seconda guerra mondiale, cosicché la maggior parte di queste scene è andata distrutta.
Una di esse, San Giacomo si avvia al supplizio, terminato nel 1455, dimostra il tentativo di
Mantegna di concretizzare con perfetta chiarezza la scena creata nella sua immaginazione.
Giotto in questo caso si sarebbe focalizzato su come gli uomini si sarebbero mossi in questa
situazione, a Mantegna invece interessavano anche le circostanze esterne. A tal fine aveva
studiato con attenzione i monumenti classici (arco di trionfo, vesti e armature dei legionari),
ma non solo per le decorazioni, nell’intera scena rivive lo spirito dell’arte romana nella sua
scabra semplicità e al contempo maestosità. Nel caso di Gozzoli è visibile un ritorno al gusto
gotico internazionale, Mantegna invece continua nella direzione di Masaccio (figure
statuarie, uso prospettiva). Interessante è la composizione della pittura: l’arco incornicia la
scena principale (la scorta di san Giacomo di è fermata perchè uno dei persecutori, pentito,
si è gettato a terra ai piedi del santo per riceverne la benedizione) separandola dal tumulto
della folla che assiste.
Come Mantegna, anche Piero della Francesca(1416-1492) contribuì alla diffusione della
nuova arte fuori da Firenze.
Il sogno di Costantino, 1460, Arezzo, San Francesco, è il primo notturno della pittura
italiana, infatti l’episodio scelto dall’artista è la leggenda del sogno che indusse l’imperatore
Costantino ad abbracciare la fede cristiana. Come nei dipinti di Mantegna, Piero ha curato il
costume dei legionari romani, evitato i particolari gai (a differenza di Gozzoli) e adoperato la
prospettiva (angelo). Ma a questi accorgimenti, egli ne aggiunse uno: la luce, alla quale gli
artisti medievali non avevano dato importanza. Masaccio tentò di dare plasticità alle sue
figure attraverso il chiaroscuro, ma nessuno come Piero della Francesca seppe scorgere le
immense possibilità della luce. Grazie alle ombre percepiamo non solo la plasticità delle
figure ma anche la distanza tra esse e il volume della tenda. Inoltre, grazie al chiaroscuro,
riesce ad evocare l’atmosfera misteriosa dell’episodio, è questa impressione di semplicità
che fa di Piero della Francesca il più grande erede di Masaccio.Mentre questi e altri maestri
sviluppano le scoperte della grande generazione fiorentina, gli artisti a Firenze si facevano
sempre più consapevoli dei nuovi problemi che le scoperte stesse avevano suscitato. La
nuova concezione secondo la quale il quadro doveva essere uno specchio della realtà,
ostacolò le scelte degli artisti nella disposizione delle figure. Questo gravava su uno dei doni
più preziosi dell’artista: creare un insieme piacevole, armonioso e soddisfacente.
LA PITTURA
Possiamo dire che il Quattrocento nordico, nonostante le grandi innovazioni dei fratelli Van
Eyck, rimase legato all’arte medievale. Ma come Gozzoli e Beato Angelico avevano
rielaborato le innovazioni di Masaccio nello spirito del Trecento, vi furono artisti nel Nord che
applicarono le scoperte di Van Eyck a temi più tradizionali.
Tra questi troviamo il pittore Stefan Lochner(1410-51),che lavorò a Colonia, con la sua
Madonna del Roseto, 1440, dipinto che nella cura dei dettagli mostra la conoscenza dei
nuovi metodi di Van Eyck. La Vergine si trova sotto un pergolato di rose, circondata da
angioletti che suonano, lasciano cadere una pioggia di fiori oppure offrono frutta al Bambino
Gesù, sta a provare come il maestro conoscesse le tecniche di Van Eyck, esattamente come
Fra angelico conoscenze le novità di Masaccio.
Eppure questo quadro è più vicino al trecentesco Dittico di Wilton house,San Giovanni
Battista, Edoardo il confessore e Sant’Edmondo intercedono per Riccardo II presso la
Vergine, 1400, Nation Gallery of London A differenza di quest’ultimo, il maestro tedesco
Lochner è stato in grado di creare il senso di spazio attorno alla Vergine, nonostante si
scagli su un fondo oro. Egli ha persino aggiunto due angoli che reggono la tenda così che
sembri appesa alla cornice. Nel Dittico di House le immagini sono leggermente piatte.
Arte nordica di metà ‘400, meno preoccupata dell’arte italiana di raggiungere armonia e
bellezza ideali, favorì sempre riproduzioni festose/ piene di vita di una città medievale.
➔ Errore pensare che queste 2 scuole di siano sviluppate indipendentemente l’una dall’altra
➢ Jean Fouquet(1420?-80?0), Étienne Chevalier con santo Stefano,1450, Berlino: Étenne
con affianco il
suo santo protettore, Santo Stefano, che indossa abito del suo grado (1° diacono) +
tiene libro con sopra sasso appuntito, simbolo della sua lapidazione → Jean Fouquet
torna da viaggio in italia colpito dal nostro modo di dipingere: la sua arte si
avvicina sempre più alla rappresentazione immediata della natura, figure quasi
scolpite (≠ Dittico di Wilton House, figure sembrano incollate sullo sfondo) + uso
della luce per dare l’idea di spazio reale (=Piero della Francesca); modo
rinascimentali italiano, MA interesse per materia e superficie oggetti, scelta temi è
tradizionalmente nordica, e collegata a Van Eyck
➢ Veit Stoss, Altare ligneo con la Morte e le Sette consolazioni della Vergine, 1477-89,
Cracovia, Santa Maria
ordinato dalla città di Cracovia in Polonia (sforzo di conciliare nuove esigenze e temi
religiosi):
gruppo centrale → morte vergine, inginocchiata in preghiera; gruppo
sopra → anima accolta da Cristo; gruppo in alto: incoronata da Dio e Cristo + intorno
comincia il ciclo delle Sette Consolazioni di Maria (sx-dx): Annunciazione, Natività,
adorazione Re Magi, Resurrezione di Cristo, Ascensione, discesa dello Spirito Santo a
Pentecoste + esattezza e espressività dei volti e mani
➢ L’agonia del giusto, 1470, incunabolo usato dalla Chiesa come sermone figurato,
scopo: rammentare che l’uomo che possiede l’arte di ben morire, non deve
temere le potenze infernali, raffigurate da piccoli brutti demoni che
pronunciano parole fonte di distrazione per il morto; il quale, dovrebbe
concentrarsi su Cristo e i santi, rappresentati sullo sfondo
Gutenberg sostituisce le matrici in legno con caratteri mobili tenuti insieme in un
riquadro: torchio Tipografico → gli incunaboli cadono in disuso
\1
➢ Martin Schongauer(1453?-91), Natività,1475: spirito dei grandi maestri dei Paesi Bassi →
fissa
ogni particolare, attenzione alla materia e superfici oggetti(pietre, mattoni
rotti, edera, fiori, pelo animali) + composizione riprende motivi tradizione
cristiana: Vergine inginocchiata in una cappella in rovina (stalla); bambino
posato su un lembo; Giuseppe la guarda con espressione paterna; bue e
asino; pastori varcano la soglia, uno porta il messaggio dell’angelo; coro
angelico nell’angolo + motivo rinascimentale: ressa spaziale e imitazione del
vero che però non devono turbare l’armonia della composizione, per questo
sceglie come cornice una rovina → inquadra la scena, figure spiccano su
sfondo nero, testa Vergine=centro quadro
Purtroppo però, i pochi lavori che Leonardo completò sono giunti a noi in cattivo stato, ne è
un esempio l’Ultima Cena(1495-1498): l’opera che copre la parete di una sala rettangolare
che serviva da refettorio ai frati del convento di Santa Maria delle Grazie a Milano.
Mai prima d’allora l’episodio era apparso così vicino e cos’ verosimile, forse i frati furono
colpiti dapprima dalla fedeltà con cui tutti i particolari erano stati ritratti al naturale, in
secondo luogo cercarono di capire come Leonardo avesse ricostruito l’episodio evangelico.
A differenza delle rappresentazioni passate, il nuovo affresco era molto diverso, vibrante di
drammaticità e di animazione. Cristo ha appena pronunciato le tragiche parole e tutti quelli
che gli sono al fianco si ritraggono inorriditi dalla rivelazione. Ma nonostante l’atmosfera
concitata creata dalle parole di Cristo, nell’affresco non c’è nulla di caotico. I dodici apostoli
sono suddivisi in gruppi da tre, legati tra loro da gesti e movimenti, c’è tanto ordine nella
varietà e tanta varietà nell’ordine. Riusciamo a capire a pieno la grandezza di Leonardo nel
formulare
questa composizione solo ripensando alla fatica a cui dovette fronteggiare il Pollaiolo nel
suo Martirio di san Sebastiano. Leonardo, appena più giovane, lo risolse con facilità.
Inoltre l’artista fiorentino, a differenza di Botticelli, non sacrificò la correttezza del disegno
alle esigenze compositive. Oltre agli aspetti tecnici, dobbiamo ammirare la profonda
intelligenza di Leonardo nell’individuare le reazioni dell’uomo, quella capacità che permette
di evocare la scena dinanzi ai nostri occhi.
Più famosa dell’Ultima Cena è il ritratto di una dama fiorentina di nome Lisa: La
Gioconda(1502), Louvre.
Ciò che colpisce di questo dipinto in primo luogo è l’intensa vitalità trasmessa dallo
sguardo e dal sorriso della donna. Le grandi opere dei maestri del Quattrocento hanno in
comune la rigidità espressiva, responsabile di questo effetto non fu la mancanza di pazienza
e di sapere ma la ragione sta nel fatto che, quanto più minutamente ritraiamo una figura,
tanto meno ci immaginiamo che essa possa mai essere viva. Il contorno evanescente e i
colori pastosi fanno confluire una forma nell’altra lasciando sempre un margine di
immaginazione allo spettatore. Questa è la famosa invenzione leonardesca detta lo
“sfumato”. Leonardo si è avvalso di questa tecnica soprattutto in quei due tratti che
determinano l’espressione del volto: gli angoli degli occhi e della bocca (ecco perché non
siamo mai sicuri dello stato d’animo con
cui Monna Lisa ci guarda). Inoltre, se osserviamo attentamente il quadro, vediamo che le
due metà non sono simmetriche. l’orizzonte sul lato sinistro appare più alto di quello a
destra, questo comporta che la donna appare più eretta e alta a sinistra rispetto al lato
destro. Nella paziente osservazione della natura, Leonardo poteva essere meticoloso come
qualsiasi predecessore ma non ne era più lo schiavo incondizionato.
Una delle sue opere maggiori è la Nascita della Vergine, 1491, Santa Maria Novella : le
figure sono rappresentate in gruppi all’interno di un’abitazione in stile tardo
quattrocentesco, in fondo alla stanza, Ghirlandaio decise di dipingere un rilievo di putti
danzanti come simbolo di condivisione per i temi dell’arte antica.
Tra il maestro e il giovane studente però, le idee sull’arte erano divergenti, tanto che
Michelangelo preferì studiare le opere dei maestri del passato come Giotto e Masaccio e
tentò di assorbire le leggi dell’anatomia della scultura antica. Come Leonardo, Michelangelo
non si limitò all’osservazione dell’antico ma studiò il corpo umano attraverso un’analisi
diretta, sezionando cadaveri e disegnando modelli dal vero. Ma diversamente da Leonardo,
per il quale la figura umana era uno dei tanti enigmi della natura, Michelangelo decise di
sviscerare a fondo in modo da averne la piena padronanza. Atteggiamenti e angolazioni che
molti maestri del Quattrocento avrebbero esitato a introdurre nelle loro opere, non facevano
che stimolare le sue ambizioni artistiche. Verso i trent’anni, Michelangelo era già considerato
uno dei principali maestri dell’epoca, non inferiore , nel suo campo, al genio di Leonardo,
con il quale collaborò alla realizzazione di un affresco nella Sala del Maggior Consiglio a
Palazzo vecchio, ma l’opera non fu mai portata a termine. Nel 1506 Michelangelo ricevette
una chiamata da papa Giulio II, il quale lo volle a Roma per farsi erigere un sepolcro degno
del capo della cristianità.
L’artista fiorentino perciò si mise subito in viaggio verso le famose cave di marmo di Carrara
dove vi rimase più di 6 mesi, ma quando tornò per mettersi a lavoro, scoprì che l’entusiasmo
di Giulio II per la grande impresa era quasi svanito. Una delle ragioni principali fu quella che
il progetto della tomba era venuto in contrasto con quello della nuova San Pietro, il
mausoleo infatti era destinato alla vecchia costruzione. Perciò Michelangelo, contrariato,
abbandonò Roma per tornare nella sua Firenze. Malgrado la violenta lettera scritta da
Michelangelo rivolta al papa, Giulio II intavolò trattative ufficiali con il governo di Firenze per
convincere il giovane scultore a ritornare a Roma. Michelangelo accettò l’invito e il papa gli
commissionò un altro progetto: dipingere la volta della Cappella Sistina, 1508-1512.
Inizialmente l’artista volle rifiutare l’incarico poiché si sentiva più scultore che pittore, ma la
fermezza del papa lo condusse ad accettare. In soli 4 anni, Michelangelo, senza l’aiuto di
altri maestri, portò a termine l’opera. La ricchezza inesauribile della fantasia, la maestria
sempre vigile nell’esecuzione di ogni minimo particolare e la grandiosità di visione che
Michelangelo rivelò a quanti vennero dopo di lui hanno dato all’umanità una misura del tutto
nuova della potenza del genio.
La volta è stata concepita con il metodo del “quadro riportato”: inoltre sono disegnate scene
separate come se fossero tanti quadri. L’impianto compositivo è ovviamente condizionato
dall’architettura della volta, che ha una forma molto originale: in una struttura a padiglione,
sono inseriti quattro pennacchi nei quattro angoli, e otto vele triangolari (quattro per ognuno
dei lati lunghi) in
corrispondenza delle finestre. La forma architettonica della volta viene ulteriormente
arricchita da Michelangelo da finte membrature architettoniche dipinte. Con queste
membrature ottiene un grande rettangolo centrale, stretto e lungo, nel quale inserisce le
nove scene principali del programma iconografico tratte dal libro della Genesi. Le scene
hanno dimensioni differenti, alternandosi una grande e una piccola. Quelle piccole hanno ai
lati due medaglioni dipinti a finto bassorilievo con scene bibliche alle cui estremità sono
inserite le figure di "ignudi", i quali rappresentano il mondo classico prima dell’avvento del
cristianesimo. La veduta d’insieme
della volta risulta ardua e forse nelle intenzioni dell’artista non era un risultato importante. Le
immagini e le scene vanno intese più come elementi a sé che per il contributo che portano
all’insieme. In pratica Michelangelo in questa opera si comporta secondo la mentalità tipica
dello scultore: non crea scene ma figure. Infatti i risultati migliori li ottiene nelle figure dei
profeti e sibille, dove il loro isolamento accentua il carattere possente e monumentale delle
immagini.
Nelle scene centrali la più riuscita è sicuramente quella della creazione di Adamo (p.200),
proprio perché anche qui il tema è basato soprattutto sulla plasticità delle due figure di Dio e
del primo uomo. I colori usati da Michelangelo sono molto brillanti, funzionali soprattutto ad
accentuare il più possibile il chiaroscuro e quindi la plasticità delle figure. Michelangelo nel
1512 terminò il lavoro nella Cappella Sistina ma ben presto riprese il progetto della tomba di
Giulio II. L’artista prodigio decise di circondare con statue di prigionieri (come ne aveva visti
sui monumenti romani), e tra queste vi è la figura dello Schiavo morente,1516, Louvre
Tornato al suo materiale prediletto, la sua potenza fantastica si rivelò maggiore di prima.
Mentre in Adamo aveva raffigurato il momento in cui la vita entra nel corpo vigoroso di un
giovane, in Schiavo Morente scelse l’attimo in cui la vita sta per fuggire e il corpo sta per
abbandonarsi. Uno dei più mirabili segreti della sua arte è la fermezza, la calma,
l’abbandono delle figure, pur tese e contorte in movimenti violenti. La ragione di ciò è che fin
dall’inizio
Michelangelo le concepì come celate nel blocco di marmo e pensò che fosse suo compito
rimuoverne soltanto la pietra che le ricopriva. La sua fama fu maggiore di quella raggiunta
da qualsiasi artista prima di lui, ma questa non gli consentì di terminare quello che era stato
il suo sogno: la tomba di Giulio II. Mentre papi e signori si contendevano i servigi del
maestro, egli pareva sempre più chiudersi in se stesso e molte sue lettere ci rivelano che,
quanto più si
innalzava nella stima del mondo, tanto più si faceva amaro e scontroso. Questo sentimento
di superbia, lo prova ancor meglio il fatto che egli rifiutò l’ultima grande impresa: il
completamento della cupola di San Pietro, iniziata dal suo antico nemico Bramante.
Nel 1504, mentre Leonardo e Michelangelo emergevano sempre più, giunse a Firenze un
pittore umbro: Raffaello Sanzio(1483-1520). L’artista emergente si formò presso la bottega
del Perugino(1446-1523)che, come quelle di Ghirlandaio e Verrocchio, era molto attiva e
richiede un nutrito personale. I lavori del Perugino mostrano l’abilità nel dare il senso di
profondità senza sovvertire l’equilibrio della composizione e come avesse imparato a
modulare lo sfumato leonardesco per evitare ogni possibilità di rigidità nelle figure.
Tra questi troviamo la pala d’altare intitolata Apparizione della Vergine a San Bernardo,
1490, Monaco, un olio su tavola in cui la disposizione non potrebbe essere più semplice,
eppure non c’è niente di forzato in questo ordinamento quasi simmetrico. Fu in queste
lezioni che crebbe il giovane Raffaello,
impadronendosi ed assimilando la maniera del maestro. Giunto a Firenze, era deciso ad
imparare pur rendendosi conto di dover fronteggiare due grandi maestri, ma a differenza di
questi, Raffaello possedeva un'indole dolce tale da raccomandarsi ai mecenati influenti.
Nei dipinti di Raffaello traspare quel senso di spontaneità che esula ogni tipo di difficoltà
esecutiva, ma in realtà dietro al prodotto finale si cela una profonda meditazione di attento
calcolo. Un quadro come la Madonna del Granduca, 1505, Palazzo Pitti dimostra che al
mutare di un minimo particolare, l’intera armonia compositiva verrebbe meno. Il modo in cui
modella il viso della Vergine, il volume del corpo avvolto dal manto drappeggiato e la
saldezza con cui Maria regge il Bambino contribuiscono al perfetto equilibrio d’insieme.
Nel 1508, mentre Michelangelo lavorava per la Cappella Sistina, Giulio II affidò al giovane
Raffaello l’incarico di decorare le pareti di alcune stanze del Vaticano, dove diede prova della
sua perfetta padronanza del disegno e dell’equilibrio compositivo. Capacità riscontrabili
anche Trionfo di Galatea,
un affresco realizzato nella villa del ricco banchiere Agostino Chigi. L’opera, ispirata al
poemetto di Angelo Poliziano (lo stesso che ispirò Botticelli), rappresenta Galatea che,
cavalcando le onde sopra una conchiglia trainata da due delfini, ad un tratto si sofferma ad
ascoltare il canto di Polifemo a lei dedicato. In questo affresco, ogni figura sembra
controbilanciare un’altra, ogni movimento rispondere a uno contrario. Abbiamo osservato
questo metodo nell’esempio di Pollaiolo. Ma le sue soluzioni ci appaiono ben rigide e
monotone in confronto a quelle di Raffaello. Con questi mezzi, Raffaello, senza provocare
disordine o squilibrio, ha ottenuto in tutto l’affresco un effetto di moto continuo. Come
Michelangelo aveva raggiunto la padronanza perfetta del corpo umano, così Raffaello era
riuscito a toccare la meta verso la quale aveva teso la generazione precedente: la
composizione perfetta e armoniosa di figure in libero movimento. Un altro elemento
nell’opera di Raffaello è la pura bellezza delle figure, come il suo maestro Perugino, egli
abbandonò la fedele riproduzione della realtà per crearne un proprio archetipo.
Ma non vi è nulla di idealizzato invece nel Ritratto di papa Leone X, 1514, è facile indovinare
che i cardinali e il papa non si sentono a proprio agio in tutto quel lusso fatto di velluti e
damaschi. Proprio in quel periodo infatti Lutero aveva attaccato il papa per aver lanciato una
raccolta di denaro per la nuova basilica di San Pietro. Quest’ultima, dopo la morte di
Bramante, fu portata a termine proprio da Raffaello, egli divenne quindi anche architetto,
progettando chiese, ville e palazzi.
Oltre a Firenze, un grande centro artistico in Italia fu Venezia. Questa città, una volta accolto
lo stile rinascimentale, iniziò a splendere come le grandi città mercantili del periodo
ellenistico.
Uno degli edifici più caratteristici di questi anni è la Libreria di San Marco (p.207), progettata
dall’architetto fiorentino detto il Sansovino. I ricordi dell’architettura classica romana sono
evidenti: come il Colosseo (p.73), nell’ordine inferiore le colonne sono di tipo dorico, mentre
su quelle superiori di tipo ionico. Inoltre, grazie a dettagli come la balaustra, le ghirlande e le
statue, l’edificio assume i caratteri dell’ornato che era stato in uso nelle facciate gotiche di
Venezia. Fondamentale fu la presenza dell’atmosfera lagunare che permise di elaborare
nuove teorie sul colore con più consapevolezza, a differenza dei pittori medievali e fiorentini
che si focalizzarono più sul disegno che sull’aspetto cromatico.
Entrando nella chiesa di San Zaccaria a Venezia e osservando la Madonna coi santi,
realizzata da Bellini(1431-1516) nel 1505, ci accorgiamo subito che l’uso del colore è diverso
rispetto a quello rinascimentale. Il trittico, nonostante la presenza di una cornice lignea che
tripartisce la pala, appare come una scena unitaria, resa possibile grazie all’uso della
prospettiva. Ma in questa opera di Giovanni Bellini c’è una tridimensionalità più evidente
data soprattutto da una maggiore attenzione alla luce che, con le valenze tonali del colore,
riesce a staccare con più forza i piani dell’immagine.
L’effetto appare molto evidente soprattutto nel pannello centrale, dove la figura della
Madonna sembra emergere con grande evidenza dall’abside retrostante. Giovanni Bellini
apparteneva alla stessa generazione di Verrocchio, Ghirlandaio e Perugino, e come loro
possedeva una bottega assai operosa, la quale formò due famosi pittori del Cinquecento
veneziano:
Giorgione(1478-1510) e Tiziano(1477-1576).
Giorgione giunge a noi come un artista enigmatico in quanto possediamo poche notizie sia
sulla biografia che sulle opere, nell’ultimo caso ne è un esempio La Tempesta (1508).
Non sappiamo con esattezza da dove Giorgione avesse tratto ispirazione per questo tema,
forse da uno scritto di qualche autore classico, ma in ogni caso non è il tema che fa di
quest’opera un capolavoro. La tela rappresenta una donna cacciata con il suo bambino dalla
città nelle selve, dove viene scoperta da un giovane pastore. Per quanto le figure non siano
disegnate con eccessiva cura e la composizione risulti piuttosto semplice, il dipinto
raggiunge la sua unità grazie alla luce e all’atmosfera che lo permeano: è luce misteriosa di
tempesta e, per la prima volta, pare che il paesaggio in cui gli attori si muovono non sia un
semplice sfondo ma abbia una sua autonomia e sia il vero soggetto del quadro. Sentiamo
che a differenza dei predecessori e dei contemporanei, il paesaggio crea un’unione
indissolubile con le altre figure. Da allora in poi la pittura fu molto più che la somma di
disegno e colore.
Giorgione morì troppo giovane per poter ampliare la sua grande scoperta, al suo posto lo
fece il più famoso di tutti i pittori veneti: Tiziano. La sua estrema abilità pittorica gli permise di
trascurare le venerate regole della composizione per concentrarsi sul colore, basti guardare
Pala Pesaro(1519-28) .
La posizione centrale solita della Vergine in questo caso viene occupata dai due santi
intercessori i quali costituiscono parte attiva del dipinto, la Vergine invece è dislocata sul lato
destro ma posta su un piano rialzato rispetto agli altri personaggi. La pittura fu eseguita in
ringraziamento per una vittoria sui turchi a opera di Jacopo Pesaro, il quale è ritratto
inginocchiato dinanzi alla Vergine mentre un porta-stendardo trascina dietro di sé un
prigioniero. Tutta la scena sembra svolgersi in una corte scoperta, caratterizzata da due
gigantesche colonne che si levano verso le nuvole. L’insolita composizione serve solo ad
animare il dipinto, e a non turbare l’armonia d’insieme ci pensa il colore. L’idea di bilanciare
la figura della Vergine con un semplice stendardo avrebbe probabilmente scandalizzato la
generazione precedente, ma questa bandiera con il suo colore caldo è un tale prodigio che
rese l’opera un successo.
La maggior fama di Tiziano si basò sui ritratti, basta guardare Giovane inglese (1540),
Palazzo Pitti. Qui non vi è più il modellato minuzioso della Gioconda (p.193), eppure questo
giovane è altrettanto vivo, pare fissarci con uno sguardo reale. Furono in molti a
commissionare al maestro veneto il proprio ritratto, in quando si
pensava che grazie alla sua arte si sarebbe vissuti in eterno. È proprio quello che accade
con il Ritratto di papa Paolo III (p.214), il vecchio pontefice si volge verso un giovane
parente, Alessandro Farnese, che sta per rendergli omaggio mentre il fratello Ottavio guarda
lo spettatore. L’incontro di questi personaggi è così realistico che non possiamo fare a meno
che domandarci di cosa stessero parlando.
Non solo nei grandi centri gli artisti progredirono nella scoperta di nuovi metodi, infatti, tra gli
artisti più “progressisti” troviamo l’emiliano Antonio Allegri detto il
Correggio(1489-1534).L’artista approfondì gli studi sul chiaroscuro di Leonardo ed ottenne
effetti completamente nuovi, destinati a influire le scuole posteriori.
In Natività (1530), Dresda, a prima vista, la composizione pare casuale: la scena affollata a
sinistra non sembra bilanciata da un gruppo corrispondente a destra. Ma Correggio sfruttò,
ancora più di Tiziano, la possibilità di equilibrare le forme mediante il colore e la luce e di far
convergere il nostro sguardo nei punti voluti. Ciò che del Correggio maggiormente imitarono
i secoli successivi fu il suo modo di dipingere volte e
cupole di chiese. Egli si sforzò di dare ai fedeli l’illusione che la volta fosse spalancata sulla
visione della gloria dei cieli. Quando si è nella oscura, tenebrosa cattedrale medievale di
parma e si guarda verso la cupola (p.217), indubbiamente l’impressione è grandiosa.