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Cantieri medievali

Agli inizi dell'XI secolo, Rodolfo il Glabro, un monaco dell'Abbazia di Cluny, in


Francia, scrive nella sua cronaca: "... verso il terzo anno dopo l'anno Mille, su quasi
tutta la terra, soprattutto in Italia e nelle Gallie si ricominciarono a costruire le
basiliche... Si sarebbe detto che il mondo stesso si scuotesse per gettare le spoglie
della vecchiaia e si rivestisse dovunque di un bianco mantello di chiese. I fedeli non
si contentarono soltanto di ricostruire le cattedrali, ma restaurarono anche le chiese
dei monasteri e persino le chiesette dei villaggi". Queste parole comunicano l'idea di
un mondo in trasformazione, in piena attività.
Molte città europee sono ancora oggi ricche di edifici medievali; in Italia, in
particolare, la struttura cittadina, di origine medievale, è spesso segnata dai centri
del potere religioso, la cattedrale, e politico, il palazzo comunale. Gli edifici che
ancora osserviamo sono frutto del lungo lavoro, delle idee e della collaborazione
di numerose persone. Il cantiere edile medievale è il luogo dove maestranze
spesso provenienti da luoghi diversi si riuniscono, fondendo insieme conoscenze
tecniche e diverse culture in soluzioni originali. Al funzionamento di un cantiere
importante contribuiscono persone che svolgono le attività più varie e spesso
l'intera cittadinanza è coinvolta nel progetto. Un cantiere come quello di una
cattedrale può diventare per un periodo l'elemento trainante dell'economia di una
città e addirittura di un'intera regione. Del resto, la costruzione di un edificio così
importante, che in età comunale rappresenta l'immagine che la “civitas” vuole
dare di sé, è strettamente legato al contesto storico ed in particolare alla
committenza
Architetto e scultore: artisti o artigiani?
Nei testi medievali con il termine “artifex” vengono designati sia gli artigiani che gli
artisti. Il termine artista, usato per indicare una persona dotata di una particolare
capacità tecnica, compare per la prima volta nel Duecento nella cronaca di
Salimbene. All'architetto viene talvolta riconosciuta una componente teorico-
progettuale ed organizzativa, che lo distingue dai comuni lavoratori manuali. In realtà
l'idea medievale dell'architetto è molto varia: autori quali Isidoro di Siviglia nel VII
secolo, e Rabano Mauro in età carolingia, identificano l'architetto con il muratore,
mentre nel XII secolo, periodo di rivalutazione delle arti meccaniche, Gundisalvi
unisce ancora una volta nella figura del “caementarius” capacità manuali e tecnico-
teoriche.
In Italia, dove la tradizione romana ha radici profonde, firme di artisti appaiono fin
dall'Altomedioevo a testimonianza di una precoce autocoscienza. Sono infatti diversi
gli scultori che hanno lasciato la loro firma: molto noto è il caso di Ursus, che
nell'VIII secolo scrive il suo nome su una transenna dell'Abbazia di San Pietro in
Valle a Ferentillo, accanto alla rappresentazione di un personaggio con un attrezzo
interpretato come uno scalpello da scultore; nel 712 un altro Ursus firma il ciborio di
San Giorgio in Valpolicella (Ursus magister fecit). È significativo che le due firme,
accompagnate dalla qualifica di “magister”, si trovino in aree sotto il dominio
longobardo.

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Nell'XI secolo, l'architetto Buscheto viene celebrato sulla facciata della Cattedrale di
Pisa e agli inizi del secolo successivo la figura dello scultore Wiligelmo è nettamente
distinta da quella dell'architetto Lanfranco nell'epigrafe sulla facciata del Duomo di
Modena: "Inter scultores quanto sis dignus honore claret scultura nunc Wiligelme
tua", espressione che suona come consapevole autoaffermazione dell'artista. Tra il
1135 e il 1140 Rainiero, scultore e architetto, viene celebrato da un'epigrafe nel
Duomo di Fano e, intorno al 1204, Guidetto lascia un'iscrizione-firma sulla facciata
della cattedrale di San Martino a Lucca. Nel 1178 Benedetto Antelami appone il suo
nome sulla “Deposizione dalla Croce” della Cattedrale di Parma e, nel 1196,
sull'”Adorazione dei Magi” del Battistero. Anche i Cosmati e i Vassalletto,
“marmorari romani”, hanno lasciato i loro nomi nelle chiese di Roma ed i
“Campionesi” hanno firmato diverse opere a Monza, Verona e Bergamo tra il XIII e
XIV secolo. Verso la fine del XII secolo, in alcune zone d'Italia sembra quindi
diffondersi in modo sistematico la tendenza a commemorare pubblicamente il lavoro
dei maestri attivi nei grandi cantieri edilizi, confermando come ormai la civiltà
comunale riconoscesse una superiore dignità a scultori e architetti.
In Francia, alla fine del Duecento, il prestigio di alcuni architetti è tale che essi
possono addirittura collocare nelle chiese da loro edificate il proprio busto scolpito in
pietra. Tornando invece all'Italia, si osserva che le firme degli scultori sono spesso
seguite da elogi, da inviti ad ammirarne la creazione, da promesse di fama per i secoli
futuri. Tutto questo indica un nuovo atteggiamento nei confronti della figura
dell'artista. A Modena l'architetto Lanfranco è celebrato sia in una lapide posta
sull'abside a ricordare la fondazione dell'edificio, sia nella “Relativo”, dove sono
illustrate le prime fasi della costruzione. Nelle miniature che illustrano questo
importante testo, Lanfranco è rappresentato in atteggiamento solenne e vestito
elegantemente, mentre impartisce gli ordini ad operai, manovali e muratori, ma anche
mentre partecipa agli atti e alle cerimonie più solenni in compagnia del vescovo o
della contessa Matilde. Il suo ruolo va quindi oltre l'organizzazione del cantiere: egli
è un personaggio di spicco e partecipa alla vita politica e sociale del tempo accanto
alle persone più importanti. Le miniature sono generalmente datate agli inizi del XIII
secolo ed è probabile che l'immagine di Lanfranco che esse trasmettono risponda alla
concezione duecentesca dell'architetto.
Nell'Italia comunale la figura dell'”artifex” assume maggiore importanza grazie alle
grandi iniziative edificatorie dei Comuni. Il prestigio della città aumenta con la
realizzazione di costruzioni grandiose, orgoglio della collettività. Così, la figura
dell'architetto-capomastro, cioè del progettista e dei suoi collaboratori, acquista anche
un ruolo sociale, oltre che tecnico: assicurarsi i migliori artefici è un vanto che va a
favore della collettività. Non è perciò un caso se la “Relativo” modenese racconta
come evento miracoloso e provvidenziale l'identificazione del progettista (designator)
Lanfranco, indicato come “mirabilis artifex” e “mirificus edificator”. Dalla fine del
XIII secolo alcuni Comuni, per legare completamente l'artista alla città committente,
in caso di commissioni importanti adottano addirittura il sistema della concessione
della cittadinanza, dispensandolo inoltre, per la durata del suo lavoro, da imposte ed
altri obblighi.
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Monaci costruttori
La costruzione dei monasteri costituisce un capitolo di grande interesse all'interno
della storia dell'architettura medievale e molti studiosi si sono posti il problema del
ruolo svolto dai monaci -in particolare dai Cistercensi- nell'edilizia di questo periodo.
Indubbiamente i monasteri, oltre ad essere promotori essi stessi di un incessante
rinnovamento di sedi e di insediamenti, hanno un ruolo di fondamentale importanza
nello scambio di idee e di formule costruttive. Molti muratori e artigiani imparano il
mestiere lavorando nelle fabbriche delle abbazie e delle cattedrali, anche se i monaci
o il clero secolare non sembrano aver svolto un ruolo di primo piano
nell'insegnamento della tecnica edilizia. Essi, però, cercano di assicurarsi i servizi di
artigiani esperti nelle arti della costruzione. Esistono inoltre testimonianze su
architetti o tagliapietra appartenenti all'ordine, autori di chiese ed edifici conventuali,
ai quali vanno aggiunti quei monaci che, nonostante specifici divieti, lavorano per
committenti del clero secolare o laici. Vi sono anche iscrizioni e ritratti di “artifices”
che vengono indicati come monaci; la presenza dei conversi nei cantieri è
documentata, ma è certo che nelle abbazie il lavoro è svolto per lo più dai fratelli
laici.
I cantieri dei monasteri costituiscono un importante luogo di incontro e di
sperimentazione di nuove tecniche, tanto che alle soglie del XII secolo le più
importanti realizzazioni artistiche sono quelle monastiche. L'architettura monastica
costituisce un capitolo a sé, ma nello stesso tempo intimamente collegato
all'architettura civile e religiosa medievale. L'edilizia prodotta dai monaci esprime il
loro specifico modo di vita e le loro idee ed è uno dei momenti creativi più alti del
Medioevo occidentale. I Cistercensi in particolare diffondono anche in Italia le nuove
tecniche gotiche e la costruzione della volta ad ogiva. È ormai accertata l'esistenza di
cantieri/scuola cistercensi e l'importanza del ruolo da essi svolto nella definizione
dell'architettura e delle strutture della città europea tra XII e XIII secolo.

L'arte
Con il termine "arti" o corporazioni si indicano, generalmente, le associazioni di
artigiani, professionisti, mercanti, professori e studenti universitari, lavoratori in
genere, volte alla difesa di interessi comuni. In età medievale le corporazioni di
mestieri si sviluppano in tutta Europa, soprattutto in coincidenza con il fiorire della
vita urbana. Esse vengono variamente denominate: in Italia i termini più usati sono
arti, collegi, compagnie, matricole, scuole, universitas; nell'Europa nord-occidentale
prevale, invece, il termine gilde.
Le arti, nate come libere associazioni, ben presto assumono il monopolio nel proprio
settore di attività, stabilendo le regole commerciali, i prezzi delle merci prodotte, i
salari, gli orari di lavoro degli operai e assumono, soprattutto in Italia centro-
settentrionale, un ruolo politico decisivo nella vita cittadina tra il Due e il Trecento.
Le corporazioni hanno un'indiscussa centralità nell'organizzazione del mondo del
lavoro medievale ed un ruolo molto importante in campo sociale, soprattutto per
quanto riguarda il settore assistenziale e ospedaliero. Sono infatti numerosi gli
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ospedali fondati dalle corporazioni già nel corso del Duecento, come quello
modenese dei mercanti e dei tavernieri. Facendo specifico riferimento alla realtà
modenese, per molti aspetti paragonabile a quella delle altre città, si osserva come a
Modena il primo codice di statuti artigiani giunto fino a noi sia lo Statuto dei Fabbri
del 1254, che ci illumina sull'organizzazione di questa corporazione. Prima di
diventare socio dell'arte il fabbro deve prestare un giuramento, il “sacramentum
massariorum”, ai quattro massari che stanno a capo della corporazione per un anno,
aiutati da alcuni “conxiliatores speciales”, eletti ogni mese, da un “notarius” e da un
“nuncius”. Varie disposizioni regolano il rapporto tra i fabbri; inoltre l'appartenenza
all'arte si caratterizza per alcune regole di solidarietà tra i soci, come la disposizione
che stabilisce che, nel caso di malattia o povertà di uno dei membri, tutti i soci
provvedano ad aiutare chi si trova in difficoltà. La vendita del ferro che arriva in città
è sorvegliata dai massari, che distribuiscono agli iscritti all'arte i lavori richiesti dal
Comune. Tutti i nomi degli associati vengono scritti in un libro e solo i figli dei fabbri
sono ammessi nella corporazione: il mestiere diventa quindi ereditario. Nello Statuto
dei Fabbri del 1258 si trova anche menzione dell'esistenza dell'Arte dei Muratori
(oltre che dei fornaciai), “per artem et professionem muratorum et fornaxarium
civitatis Mutine”. Tuttavia i documenti più antichi rimasti dell'arte dei muratori a
Modena risalgono al 1476. Al 1466 risalgono invece i documenti dell'Arte dei
Marangoni (o falegnami), ma è evidente che l'origine delle due arti è precedente. Nel
XV secolo, ma è molto probabile che questa norma sia stata presente anche negli
statuti duecenteschi, il maestro che vuole esercitare l'arte muraria, oltre ad iscriversi
pagando una tassa d'entrata, deve superare una prova che attesti la sua abilità. Nello
Statuto compare anche la figura del discepolo, che deve alloggiare con il maestro per
il periodo che quest'ultimo ritiene sufficiente per apprendere l'arte, mentre il maestro
stesso non deve "portare la concha ni crivelare calcina ne impastarla ad alcuna
persona, impero che farebbe vergogna a la dicta arte..." e, se svolgerà uno di questi
compiti riservati ai dipendenti, dovrà pagare una multa. L'osservanza delle feste
religiose, il soccorso ai poveri e agli infermi, l'accompagnamento dei soci defunti,
sono obblighi ai quali tutti gli iscritti sono legati.
La struttura interna dell'Arte dei Muratori si avvale di due massari, un notaro e un
messo. I massari sono un “murator” e un “fornaxarius”, poichè il mestiere di
muratore e quello di fornaciaio sono uniti, come abbiamo visto, in un'unica arte. Essi
hanno tutti i poteri di governo: puniscono, giudicano, multano, controllano e bollano
le misure, le forme dei fornaciari e le carrette per il trasporto della calce. Il giorno di
San Geminiano i massari, con i guanti, e il messo, con un berretto scelto per
l'occasione, dirigono il corteo degli iscritti all'arte per offrire il cero al Santo. Il
“notaro” è preposto ai lavori di cancelleria dell'arte ed il “messo” è addetto alle
ambasciate.
Gli Statuti dell'Arte dei Marangoni menzionano invece un massaro, "cinque maistri
compagni del massaro", un "notaro" e un "messo". Il massaro è tesoriere ed
amministratore, si occupa di far rispettare le norme statutarie e di imporre multe in
caso di necessità; nei suoi compiti viene aiutato dai "cinque magistri compagni", che

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ne giudicano l'operato ed hanno la facoltà di limitare le pene. Notaro e messo hanno
le stesse funzioni di cancelleria e ambasceria.

Il lavoro nella mentalità medievale


Il modo di porsi davanti al lavoro degli uomini dell'Altomedioevo è fortemente
condizionato dal pensiero dell'Antichità. Infatti l'uomo medievale eredita dal passato
un atteggiamento che oscilla tra il disprezzo e la valorizzazione del lavoro: i Romani
elogiavano l'”otium”, il paganesimo barbaro opponeva il nobile mestiere del
guerriero al lavoro manuale; il pensiero cristiano delle origini, invece, con le parole di
San Paolo dà dignità al lavoro (particolarmente interessante la II Lettera ai
Tessalonicesi, in cui l'apostolo esorta la comunità a lavorare, proponendosi egli stesso
come modello di lavoratore manuale).
Nel periodo Tardoantico nasce così il dibattito, che caratterizzerà tutto il Medioevo,
sul rapporto tra vita attiva e vita contemplativa. Del resto il lavoro manuale, secondo
il racconto biblico, è legato alla caduta, alla maledizione divina e alla penitenza, ed
anche nella Regola benedettina il lavoro, nelle sue due forme manuale e intellettuale
in cui è imposto ai monaci, rimane una penitenza.
In epoca classica il lavoro manuale, in campagna, era svolto da schiavi, presenti per
tutto l'Altomedioevo, con le medesime mansioni. Nel XII secolo assistiamo ad una
trasformazione mentale e spirituale, dovuta soprattutto all'evoluzione tecnica ed
economica iniziata intorno all'anno Mille. L'uomo acquista coscienza di sé in quanto
appartiene ad un certo “stato”, ad un gruppo professionale, perché esercita un
mestiere. Questo si manifesta anche attraverso un differente atteggiamento nei
confronti del lavoro: alla concezione del lavoro-penitenza si sostituisce l'idea positiva
del lavoro come mezzo di salvezza. È la Chiesa stessa a promuovere una nuova
teologia del lavoro, mettendo in rilievo tutti quei passi che nobilitano la fatica: viene
ricordata, ad esempio, la condanna dell'uomo costretto a guadagnarsi il pane col
sudore della fronte, ma anche la necessità sociale del lavoro. Il progresso della
scienza e della tecnica sono ormai inclusi in un disegno provvidenziale. Questo
cambiamento di mentalità è evidente nelle rappresentazioni artistiche del lavoro.
Assistiamo infatti nell'iconografia alla comparsa dei “lavori dei mesi”, caratterizzati
dalla rappresentazione realistica di un solo personaggio al lavoro, spesso legato al
mondo agricolo, a differenza del calendario antico, dove le scene erano di tipo
allegorico e religioso.
Segnale della nuova mentalità è anche la comparsa, a partire dagli ultimi decenni del
XII secolo, e poi per tutto il XIII, di santi che presentano caratteristiche diverse
rispetto ai modelli di santità affermatisi in precedenza. I "nuovi" santi non
appartengono più soltanto al clero e alla nobiltà, ma sono laici usciti dal variegato
mondo urbano, pienamente inseriti nella vita cittadina, alcuni provenienti addirittura
dal mondo del lavoro artigianale.

Fabbrica o Fabbriceria o Opera


Verso la metà del XII secolo le grandi cattedrali sorte nell'area padana - Modena,
Piacenza, Cremona, Ferrara, Verona, Parma - si trovano in una fase di stasi dei lavori,
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nel momento in cui viene meno la generazione di maestranze che ha partecipato alle
prime fasi edilizie. Ben presto tutti questi edifici necessitano di interventi di
manutenzione o, come accade a Modena, addirittura di restauro. Ci si accorge così
della necessità di dotarli di maestranze che garantiscano una presenza quasi
continuativa nel cantiere che, per forza di cose, è sempre attivo: da qui il termine di
“laborerium” che costantemente appare nei documenti e che precede quello più tardo,
riferito ad un soggetto giuridico pienamente costituito, di “Fabbrica” o “Fabbriceria”
o “Opera” del duomo. Gli incarichi vengono quindi affidati a gruppi di maestranze
che sono in grado di garantire ogni tipo di intervento. La Fabbrica, che dispone di
redditi propri, derivanti dalla proprietà di immobili, terre, boschi, cave, è retta da
“operarii”, che hanno il compito di amministrarne le finanze e di assumere gli artisti e
le maestranze.
Nel Trecento le “Fabricae” e le “Operae” preposte alla manutenzione o alla
costruzione delle cattedrali, in origine di netta impronta ecclesiastica, si trasformano
in organismi a prevalente partecipazione laica, con funzione di direzione e
finanziamento dei lavori. L'istituzionalizzazione della Fabbrica segue percorsi diversi
a seconda delle singole realtà. A Modena la Fabbriceria è documentata dal 1167,
quando il suo Massaro ottiene licenza dal Comune di scavare marmi e pietre
dell'antica città romana ormai sepolta, purché non rechi danno ad edifici già esistenti.
Il Massaro (cioè l'amministratore) della Fabbriceria modenese, probabilmente
rappresentato anche in una delle miniature della “Relatio”, deve essere un laico, non
nobile, di onesti costumi e di buona fama; viene eletto dagli ecclesiastici ma su
istanza della comunità cittadina: è mantenuto finanziariamente dal Comune e ogni
anno deve rispondere al Vescovo dell'amministrazione della Fabbriceria. Compito del
Massaro della Fabbrica modenese è quello di seguire i lavori di completamento e i
restauri del Duomo e della torre. Si occupa di procurare materiali, operai, dirigenti
dei lavori, muratori e progettisti che svolgano la loro attività nel cantiere del Duomo
o sugli altri cantieri comunali o della Fabbrica.

Trasmissione del sapere tecnico


Il problema della diffusione delle tecniche e dei "saperi" nel Medioevo è ancora in
gran parte da indagare; probabilmente nella maggior parte dei casi, la trasmissione
del sapere tecnico avviene tramite lo spostamento fisico delle persone più che tramite
teorie o indicazioni scritte. Taccuini e appunti teorici possono tuttavia circolare da un
cantiere all'altro: si suppone che anche Wiligelmo abbia portato nei vari cantieri in
cui operò libri che raccoglievano molti temi, come sembra dimostrare il ripetersi di
scene e soggetti nella Cattedrale di Modena prima e in quella di Cremona poi.
Del resto, non bisogna dimenticare il diffondersi della scrittura tra i capomastri e la
possibilità, per alcuni, di frequentare scuole monastiche. I segni che i lapicidi
pongono sulle pietre per fissare la collocazione dei pezzi nella prova prima del
montaggio (e che servirà da guida nel montaggio medesimo) o per distinguere il
proprio lavoro di taglio da quello degli altri, sono in genere delle lettere, talvolta
molto accurate, come le capitali romane che caratterizzano l'officina di Wiligelmo a

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Modena. Questi segni indicano fra l'altro la conoscenza dell'alfabeto e della scrittura,
quanto meno per alcuni “magistri.
La cultura e la formazione dei maestri costruttori nel periodo romanico, in effetti,
costituisce un tema complesso, in quanto soltanto a partire dalla prima metà del XIII
secolo, si hanno notizie abbastanza precise sull'attività e sul ruolo degli architetti.
Documenti eccezionali come il taccuino di Villard de Honnecourt e i disegni anonimi
delle cattedrali di Reims, Strasburgo e Colonia, testimoniano il punto di arrivo delle
conoscenze degli architetti attivi in età gotica. Per i secoli XI e XII in Italia non
abbiamo tuttavia testimonianze grafiche di progetti architettonici, probabilmente
perché in questo periodo si usava fare misurazioni dirette sul terreno al momento
dell'apertura del cantiere. Soltanto alla fine del XII secolo si può parlare di veri e
propri progetti coerenti, ad esempio, con i lavori guidati da Benedetto Antelami per il
Battistero di Parma; è probabile anche che alcuni architetti facessero uso di schemi
grafici di riferimento, con indicazioni di massima.
Per un sapere basato soprattutto sulla pratica quotidiana, appresa e trasmessa sul
cantiere, era sicuramente molto importante la padronanza di una metodologia basata
sull'uso delle figure geometriche: si usava in genere il modulo “ad quadratum”, che
non rendeva necessario un progetto disegnato. Tuttavia nelle fasi preliminari di
costruzione potevano essere eseguite delle planimetrie, o dei rilievi, come è attestato
per i cantieri più importanti del Trecento, nei quali si diffuse l'uso di disegni e
modellini.
Della vita degli architetti romanici, prima del loro arrivo sui cantieri registrati dalle
fonti, non abbiamo alcuna notizia: esemplare è a Modena il caso di Lanfranco,
elogiato nel testo della “Relatio”, che non riporta però alcuna notizia sulla sua origine
e formazione. Egli viene tuttavia definito “doctus” nella lapide absidale, con un
probabile riferimento anche ad un sapere di tipo teorico. L'indagine del rapporto tra
teoria e prassi in questo periodo rimane comunque complessa. Nel periodo medievale
esistevano ricettari relativi alle tecniche artistiche, privi però di riferimenti sistematici
all'arte architettonica, in quanto rivolti soprattutto a pittori, orafi e scultori. In Italia,
tra l'VIII e l'XI secolo, nell'ambito di una cultura latina di matrice ecclesiastica, non
sembra esistere una riflessione teorica sui problemi relativi all'architettura, presente
invece al di là delle Alpi nelle discussioni della filosofia scolastica sulle “arti
meccaniche”.
L'unico genere letterario dove nei secoli XI e XII risulta possibile reperire
informazioni sull'arte della costruzione, sono le opere di agrimensura romana,
insieme ad alcuni trattatelli di geometria applicata, che già nell'Altomedioevo
circolavano in un manoscritto detto genericamente “Corpus agrimensorum”. In effetti
le applicazioni pratiche di tali principi sono riscontrabili nel campo dell'architettura e
anche in alcuni racconti relativi alla storia di importanti costruzioni che parlano
dell'uso di strumenti geometrici. Per citare un caso illustre, l'abate Suger, a proposito
della ricostruzione del coro di Saint-Denis, ricorda l'uso di “geometricis et aritmeticis
instrumentis”.
Le applicazioni di precisi schemi geometrici appaiono tuttavia rare eccezioni per i
secoli XI e XII. E' probabile che Lanfranco abbia applicato una formulazione
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geometrica usata già da Vitruvio per stabilire le proporzioni del Duomo di Modena,
ma non sappiamo niente sulle sue conoscenze. Soltanto per Buscheto, architetto del
Duomo di Pisa, è possibile supporre un approfondimento delle conoscenze nel campo
della statica e della meccanica applicata, forse dovuto a un rapporto con il sapere
arabo, grazie anche al contatto di Pisa con il mondo islamico, che in questi anni
cominciava a comunicare all'Occidente la propria rielaborazione della cultura antica.
All'inizio del Duecento proprio a Pisa riprenderanno gli studi sui problemi geometrici
e matematici in contatto diretto con le ricerche svolte nell'ambito della cultura
musulmana.

Organizzazione
Il lavoro, all'interno del cantiere, è diviso tra numerose persone, spesso con compiti e
specializzazioni diverse: l'architetto, il direttore dei lavori, i muratori, gli scalpellini, i
falegnami, la manovalanza non specializzata; inoltre tutto un gruppo di figure
professionali non direttamente legate alla costruzione, quali i trasportatori, i fabbri, i
vetrai, i fornaciai, i costruttori di campane, i pittori. Tuttavia è necessario ricordare
che nel Medioevo i confini tra le tecniche non sono invalicabili, anzi spesso gli artisti
sono polivalenti, capaci di operare in diversi campi. Ci sono architetti che progettano
e dirigono i lavori, costruttori che sono abili lapicidi ed intervengono di persona nel
taglio delle pietre, altri che sono sia maestri muratori che carpentieri e scultori che
dirigono personalmente la costruzione di un edificio.
Nell'arte medievale sono frequenti le rappresentazioni di cantieri edili, soprattutto
all'interno delle immagini dei grandi temi biblici della torre di Babele, della
costruzione dell'arca di Noè o della costruzione del tempio di Gerusalemme. L'opera
dei muratori viene però rappresentata anche nel suo svolgersi quotidiano, a partire
dall'XI secolo, in concomitanza con la progressiva affermazione del valore del lavoro
che si manifesta nell'arte e nella letteratura. Ne è un esempio la miniatura della
“Relatio de innovatione ecclesiae sancti Geminiani”, in cui è rappresentato un
momento dell'attività del cantiere del Duomo di Modena, sotto la direzione
dell'architetto Lanfranco. I muratori sono raffigurati al lavoro con i loro attrezzi e
viene indicata anche una suddivisione dei compiti. Ancora in una delle miniature
della “Relatio” un gruppo di persone, alle spalle di Lanfranco, osserva il lavoro degli
operai. Si tratta probabilmente di appartenenti alla comunità modenese (il cui abito
denota una posizione sociale di un certo rilievo) che insieme al clero, decretarono nel
1099 la costruzione della nuova cattedrale. Uno di loro, a testa scoperta, in abito
lungo e mantello cadente dal quale spunta una mano che indica Lanfranco, è forse il
Massaro, cioè l'amministratore della Fabbrica di San Geminiano, istituzione questa
documentata dal 1167.
I testi figurativi, come le miniature appena citate, insieme alle fonti scritte ed
archeologiche, offrono la possibilità di ricostruire l'ambiente di lavoro, le relazioni tra
i personaggi rappresentati, e come e quando certi attrezzi e materiali vengono
impiegati. Il Duomo modenese, dall'epoca della sua costruzione sotto la direzione di
Lanfranco fino al periodo campionese, costituisce un raro esempio di come la

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documentazione scritta, epigrafica, iconografica e architettonica offra preziose
informazioni sull'organizzazione del lavoro del cantiere.

Machinae
E' particolarmente interessante come la “Relativo” descrive il procedere dei lavori di
costruzione della cattedrale modenese: "Erigitur itaque diversi operis machina,
effodiuntur marmora insignia, sculpuntur ac puliuntur arte mirifica, sublevantur et
construuntur magno cum labore et artificum astutia. Crescunt ergo parietes, crescit
edifitium, laudatur et extollitur, summe Deus, tuum ineffabile benefitium". ["Viene
eretta quindi una macchina complessa, sono estratti bellissimi marmi, sono scolpiti e
levigati con arte meravigliosa, sono sollevati e messi in opera con grande fatica e
perizia degli artefici. Si elevano quindi le pareti, cresce l'edificio, è lodata ed esaltata,
o sommo Signore, la tua inesprimibile benevolenza"].
Oltre a sottolineare l'importanza dei materiali usati e l'abilità tecnica della messa in
opera, il testo allude ad una importante macchina, probabilmente un'impalcatura,
eretta per proseguire in alzato la costruzione. In questo caso, il cronista della
“Relatio” utilizza un termine, di per sé generico, secondo la precisa definizione
proposta da Isidoro di Siviglia (vissuto tra il 560 e il 636 ca.) nelle “Etymologiae”, un
grande trattato enciclopedico, suddiviso in venti libri, nel quale viene analizzata, tra
le altre cose, l'origine etimologica di molti termini propri del lessico del lavoro
manuale.
Il termine “machina” infatti era stato impiegato in epoca classica per designare le
impalcature edilizie, ma poteva anche assumere altri significati. Vitruvio (I sec. d.C.),
per esempio, dedica alle “machinae” gran parte del libro X del suo trattato
sull'architettura, intendendo con questo termine gli strumenti dotati di movimento
meccanico. Per Isidoro invece il termine sembra indicare esclusivamente le
impalcature, forse perché in epoca altomedievale le “machinae” impiegate
nell'edilizia erano ormai soltanto i ponteggi lignei di supporto per gli operai, dal
momento che tutte le attrezzature ben più complesse usate nell'edilizia romana erano
cadute in disuso.
Il termine è probabilmente da mettere in relazione anche con quei gruppi di tecnici
specializzati, la cui presenza nei regni romano-barbarici dei secoli VI e VII è
segnalata da diverse fonti documentarie e che Isidoro, differenziandoli dai semplici
”caementarii”, definisce ”maciones”, proprio perché si servono di impalcature di
supporto. Del resto anche la “Relatio” mantiene questa distinzione, facendo un breve
accenno anche ai ”caementari”, che avevano il compito di gettare le fondamenta del
nuovo edificio.

Le impalcature
Le impalcature in legno, elevate parallelamente all'edificio in costruzione,
permettono agli operai di muoversi, lavorare e depositare materiali e attrezzi sulle
piattaforme sopraelevate. Dalla loro solidità dipende anche la sicurezza del lavoro dei
muratori: non è certo un caso che gli infortuni sul lavoro spesso siano dovuti a crolli
o cedimenti delle impalcature.
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Dall'iconografia del cantiere e dalla disposizione dei fori dei travicelli ancora visibili
sulle murature di molti monumenti medievali, è possibile individuare due tipi di
impalcature: impalcature indipendenti ed impalcature dipendenti.
Le impalcature indipendenti sono costituite da elementi verticali, detti pertiche o
candele o antenne, disposti parallelamente a coppie, uno vicino alla costruzione e
l'altro ad una certa distanza, in modo da collocare nello spazio intermedio il piano di
lavoro, generalmente un tavolato. La stabilità dell'insieme è assicurata da elementi
orizzontali ed obliqui, che collegano le pertiche, piantate in terra. I vari elementi sono
strutturalmente legati insieme da corde di fibra vegetale oppure da rami flessibili di
salice o di quercia; l'inserimento di cunei di legno garantisce la stabilità della
struttura, che è usata soprattutto per i lavori più delicati, come la posa d'intonaco.
La più usata nel Medioevo è però l'impalcatura dipendente, con due tipologie
prevalenti: ad una fila di pertiche e a sbalzo. Tale impalcatura è più solida ed
economica, poiché per il suo assemblaggio viene impiegata una minore quantità di
legno. Come suggerisce il nome, questo tipo di impalcatura necessita dell'appoggio
del muro in costruzione.
Nell'impalcatura ad una fila di pertiche i travicelli, usati come appoggio durante la
costruzione, a lavori ultimati possono venire segati a filo del muro, rinforzando così
la muratura, oppure vengono sfilati per essere impiegati in altri cantieri: in questo
caso le cavità possono essere murate o lasciate in vista, come accade nel Duomo di
Modena e nel Duomo di Parma. Le cavità vengono frequentemente lasciate in vista
dalle maestranze e utilizzate poi sia per il consolidamento delle strutture murarie che
per le continue manutenzioni dei tetti e del manto di copertura che necessitano di
frequenti controlli.
Molto diffuso è anche l'impalcato incastrato a sbalzo. Questo tipo di impalcatura non
utilizza le pertiche, ma i travicelli, con un'estremità parzialmente inserita nella
muratura e l'altra fissata a un elemento obliquo, la saetta, un estremo del quale poggia
contro il muro, mentre l'altro è legato, tramite corde, all'estremità libera del travicello.
Questo tipo di impalcati permette l'allestimento di due piani di lavoro simmetrici e
sembra che consentisse l'attività contemporanea di più squadre di muratori.
Un altro tipo di struttura provvisoria in legno, adoperata con frequenza nei cantieri
medievali e realizzata dai carpentieri, è la centina. Questa, in legno sagomato, serve
ad offrire una forma ed un sostegno adeguato ad archi, volte e cupole durante la
costruzione.

Apparecchi di sollevamento
I dispositivi di sollevamento usati nella costruzione degli edifici non subiscono grandi
variazioni rispetto ai modelli romani. La costruzione di macchine per il sollevamento
dei pesi è indispensabile nei cantieri di grandi costruzioni quali chiese e roccaforti,
ma esse restano ovviamente curiosità o rarità che soltanto dei principi, delle città,
delle fabbriche ecclesiastiche potevano utilizzare. È con grande meraviglia che, nel
1174, il monaco Gervais riferisce che Guillaume de Sens, chiamato dai monaci di
Canterbury per ricostruire il coro della loro chiesa distrutta dal fuoco, "costruì

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ingegnose macchine per caricare e scaricare le navi e per sollevare le pietre e la
calcina".
In Italia le trasformazioni più importanti per quanto riguarda gli apparecchi di
sollevamento si verificano agli inizi del XV secolo in coincidenza con la
realizzazione dei primi grandi progetti rinascimentali. Tuttavia macchine di avanzata
ingegneria dovevano già essere utilizzate nei più importanti cantieri romanici, se a
Buscheto, il primo costruttore del Duomo di Pisa, celebrato da una famosa epigrafe,
viene attribuito il merito di aver costruito macchine meravigliose, in grado di spostare
enormi pesi. L'epigrafe posta sulla facciata del Duomo, infatti, riferisce che, grazie ad
esse, dieci fanciulle potevano spostare pesi tali che i gioghi congiunti di mille buoi
non avrebbero potuto muoverli. In effetti le colonne della cattedrale pisana,
trasportate dalle cave dell'Elba, sono senza dubbio le più grandi colonne monolitiche
(alte sino ad otto metri, con un peso unitario che oscilla per le maggiori tra le 15 e le
16 tonnellate) prodotte dopo l'Antichità: per il loro spostamento era stata
evidentemente ideata una macchina non molto diversa da quelle progettate nel XV
secolo dagli ingegneri senesi. A Modena la stessa “Relatio”, riferendo della
costruzione di "diversi operis machina", allude probabilmente a importanti
impalcature erette per poter proseguire in alzato la costruzione, forse provviste o
collegate ad apparecchiature in grado di sollevare pesi notevoli, come le colonne in
marmo di Verona all'interno del Duomo.
Gli apparecchi di sollevamento rappresentati nell'iconografia italiana di epoca
medievale sono costituiti da una struttura in legno dalla quale pende una carrucola.
Su quest'ultima è fatta scorrere una corda, mossa da un argano nei casi più complessi.
Anche nell'iconografia del cantiere di area franco-anglo-tedesca si trovano numerose
immagini di gru e di macchine enormi e complesse, indispensabili nella costruzione
delle altissime cattedrali gotiche. Nei cantieri nord-europei, in particolare, è molto
diffusa una grande ruota in legno munita di pioli, già in uso in epoca romana. Tale
macchina è collegata ad un braccio mobile, mentre nella ruota prendono posto alcuni
manovali che, camminando, con la sola forza delle gambe, permettono il
sollevamento dei pesi.

Il piano inclinato
Il piano inclinato rimane il sistema di innalzamento dei materiali più corrente, come è
ampiamente attestato anche dall'iconografia; in caso di necessità, questa sorta di
"rotaia" inclinata consente anche di trasportare pietre pesanti fino alla sommità
facendole ruotare.

Le rappresentazioni
Nell'arte medievale sono frequenti le rappresentazioni di cantieri edili, soprattutto
all'interno delle immagini dei grandi temi biblici della costruzione della torre di
Babele, dell'arca di Noè, del tempio di Gerusalemme e della Gerusalemme Celeste.
L'opera dei muratori viene però rappresentata anche nel suo svolgersi quotidiano, a
partire dall'XI secolo, in concomitanza con la progressiva affermazione del valore del
lavoro che si manifesta nell'arte e nella letteratura. Successivamente, soprattutto a
1
partire dagli inizi del XIV secolo, l'immagine del cantiere può fare da sfondo a pitture
di carattere politico, essendo strettamente legata alle motivazioni che spingono a
costruire. Fin dall'Antichità, infatti, personaggi politici, sovrani, imperatori e signori
non costruiscono solo per necessità, ma anche per materializzare la propria immagine
di potenza e ricchezza ed ostentarla all'esterno.
Nelle immagini dei grandi temi biblici, il significato simbolico-religioso è evidente,
anche se in molte di queste rappresentazioni emergono note di attualità, che
trasformano il racconto biblico in una scena di vita medievale. Tuttavia non
possiamo porci davanti ad una pittura o a una miniatura come davanti ad una
fotografia. Le immagini rappresentate da pittori e artisti sono spesso simboliche e
convenzionali, frutto di schemi rappresentativi canonici che si ripetono quasi invariati
nei secoli. E' importante però rilevare in queste immagini l'importanza che viene data
agli strumenti di lavoro, essenziali per l'artigiano. Gli studi più recenti
sull'iconografia del cantiere medievale concordano nel riconoscere la fedeltà di
queste illustrazioni alla realtà, soprattutto nel rappresentare gli attrezzi, le
impalcature, le leve, mentre il contesto generale rimane una raffigurazione
immaginaria, ricostruita mentalmente dall'artista anche se basata su dati reali, di un
evento più volte osservato.

L'arca di Noè (Genesi VI, 14-16)


Il libro della Genesi narra come il Signore, irato con l'umanità corrotta e violenta,
decide di sterminarla inondando la terra. "Io farò venire il diluvio, le acque sulla
terra, per distruggere ogni carne che ha alito vitale sotto il cielo: tutto ciò che è sulla
terra morrà!" (Genesi VI, 17). Solo Noè e la sua famiglia si salveranno, insieme ad
una coppia di animali di ogni specie, grazie alla costruzione dell'arca. Ed è il Signore
stesso che ordina a Noè: "Fatti un'arca di legno resinoso; falla a celle e spalmala di
bitume dentro e fuori (...). Farai un tetto all'arca e lo terminerai un cubito più in alto;
a un lato dell'arca farai la porta, e farai un primo, un secondo e un terzo piano (...)".
(Genesi VI, 14-16)
L'episodio dell'arca di Noè in costruzione, nel pensiero dei filosofi medievali, assume
un significato simbolico. Secondo Isidoro di Siviglia (570 - 636) l'arca di Noè
prefigura la Chiesa di Cristo; per Ugo di San Vittore (1096 ca. -1141) rappresenta
invece il simbolo di ciò che il cristiano deve costruire nel suo cuore. Noè, costruttore
dell'arca, prefigura il capo della Chiesa e, a sua volta, Gesù è considerato il Noè
spirituale in quanto architetto della Chiesa.
Nei testi figurativi l'arca di Noè è sempre rappresentata come una casa in legno, posta
su una nave, anch'essa di legno. Vi è quindi raffigurato il lavoro dei carpentieri ed i
loro strumenti. Nei testi figurativi di autori italiani Noè viene rappresentato in
conversazione con il Signore oppure mentre dirige il cantiere, invece in Inghilterra
viene raffigurato al lavoro ed in Francia nelle vesti di architetto.

La torre di Babele (Genesi 11, 1-9)


All'origine dei tempi "tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole", ma i
discendenti di Noè si dissero: "costruiamoci una città e una torre la cui cima tocchi il
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cielo. Rendiamoci famosi per non disperderci sulla faccia della terra". La reazione di
Dio non si fece attendere: "Orsù, scendiamo e confondiamo la loro lingua in modo
che non s'intendano più gli uni con gli altri. Così il Signore di là li disperse su tutta la
faccia della terra".
Il testo biblico sulla costruzione della torre di Babele, di per sé estremamente conciso,
è stato arricchito dalla tradizione giudaico-cristiana che ha aggiunto vari particolari
ed ipotesi sulla motivazione della torre stessa: essa sarebbe stata costruita dagli Ebrei
per raggiungere il cielo e ribellarsi al volere divino, oppure per ripararsi durante il
diluvio. Fanno parte di integrazioni successive alla narrazione originaria anche il
particolare dell'altezza della torre, il racconto della sua distruzione e la partecipazione
alla costruzione, come architetto, del gigante Nembròd, menzionato nella Genesi
come "grande cacciatore al cospetto di Dio" e fondatore di un impero in Babilonia e
Assiria.
In generale tutta questa tradizione pone l'accento sull'eccesso e l'irragionevolezza
collettiva dei primi uomini. Solo sant'Ireneo (padre della Chiesa vissuto tra il 135-140
circa e il 200 circa) attribuisce il progresso della torre all'accordo ed alla comunità di
vita che regnava sul cantiere. Gli scritti filosofico-letterari hanno ovviamente
influenzato le rappresentazioni iconografiche dell'episodio ponendo l'accento, fino a
tutto il XIII secolo, ora sul gesticolare degli uomini dalla torre, allusivo alla
dispersione dei discendenti di Noè, ora sulla presenza di numerose figure di muratori
e manovali impegnati nei lavori, con arnesi e scale accuratamente rappresentati. Le
raffigurazioni della torre assumono in seguito un carattere sempre più complesso,
soprattutto per quanto riguarda la tipologia architettonica dell'edificio e le macchine
per il sollevamento dei materiali, che compaiono soltanto a partire dal XIV secolo.

Tempio di Gerusalemme.
Secondo la Bibbia (I Re 5, 19-32; 6,1 ss; 7, 13-51), Salomone, re d'Israele, fece
costruire un tempio grandioso per la gloria di Dio. Il racconto biblico si sofferma a
lungo sulla costruzione e la descrizione dell'edificio: "Il re Salomone fece quindi una
leva di trentamila operai da tutto Israele (...) Adorinam era il loro sovrintendente.
Salomone aveva poi 70.000 uomini addetti al trasporto del materiale e 80.000
scalpellini a lavorar pietre sul monte, senza contare i 3600 capi preposti da Salomone,
che presiedevano ai vari lavori e comandavano al gran numero di operai (...)". E
ancora: "Il tempio che re Salomone edificò al Signore aveva sessanta cubiti di
lunghezza e trenta di altezza. Davanti all'aula del tempio vi era un portico lungo
quanto era largo il tempio (...). Fece al tempio delle finestre con grate sporgenti fisse.
Costruì pure un edificio a piani tutto in giro, addossato al muro del tempio, e vi fece
delle camere all'intorno......". Il racconto prosegue poi con l'accurata descrizione delle
caratteristiche dell'edificio, magnificandone la grandezza e la preziosità dei materiali
e delle decorazioni e specificando che nella parte più riposta del tempio fu collocata
l'Arca dell'Alleanza con le tavole di Mosè.
Sempre secondo il Vecchio Testamento, il tempio poi fu incendiato e distrutto dai
babilonesi (II Re 25, 9) e successivamente ricostruito (Esd. 1,1ss; 3,1 ss; 4,1ss; 6,3-7)
e poi ancora incendiato e devastato.
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Il racconto biblico, così lungo e dettagliato nel descrivere la costruzione, l'aspetto e la
storia dell'edificio, fu più volte rappresentato nel Medio Evo nelle miniature, dove il
mitico cantiere di Salomone o quello della ricostruzione successiva, viene trasformato
in un cantiere medievale, con architetto e muratori all'opera in contesti che
assomigliano molto alle città europee del XIII-XV secolo.

La Gerusalemme celeste.
Si definisce Gerusalemme celeste la visione che costituisce l'avvenimento conclusivo
dell'Apocalisse di Giovanni (21,1 - 22,15). L'evangelista descrive minuziosamente la
Città celeste: "aveva un muro grande e alto; aveva dodici porte, e alle porte dodici
angeli (...). E la città era quadrangolare, e la sua lunghezza era uguale alla larghezza
(...). Le fondamenta delle mura della città erano adorne d'ogni sorta di pietre preziose
(...). E le dodici porte eran dodici perle, e ognuna delle porte era fatta d'una perla; e la
piazza della città era d'oro puro, simile a vetro trasparente". Essa raccoglie la
prospettiva ultima della storia della salvezza narrata nella Scrittura e impegna la
condizione presente della Chiesa pellegrina verso la seconda venuta di Cristo.
Mentre nel mondo giudaico l'attesa della Nuova Gerusalemme coincide con la
restaurazione della Gerusalemme storica e del suo tempio, per il mondo cristiano la
Gerusalemme celeste rappresenta il compimento escatologico.
La spiritualità del Medievo riconobbe in Gerusalemme l'esempio paradigmatico dei
quattro sensi di interpretazione della scrittura: in senso storico Gerusalemme è la città
giudaica e il popolo d'Israele, in senso allegorico la Chiesa, in senso morale l'anima
del cristiano e in senso spirituale è il regno di Dio in Terra. Gli artisti medievali la
raffigurarono talvolta come una chiesa, identificandola come la dimora di Dio. La
raffigurazione della Gerusalemme celeste come città, e quindi la rappresentazione
della sua architettura legata alla nascita o ai miracoli di Cristo, è un motivo ricorrente
nella pittura romanica. La preferenza per il motivo della Città celeste da parte degli
artisti romanici potrebbe essere un riflesso della crescente urbanizzazione che
caratterizzò il XII secolo con la fondazione di nuove città, in seguito all'aumento
della popolazione e al crescente sviluppo economico.

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