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I protagonisti

Nell'iconografia non viene rappresentato tutto lo svolgersi del lavoro nel cantiere, ma
si pongono in risalto i personaggi e le attività ritenute fondamentali: questi non
sembrano subire grandi variazioni nei secoli, a partire da alcune immagini di epoca
romana, databili ai primi secoli del I millennio, fino al Rinascimento.
Uno degli aspetti che risulta più evidente è la differenziazione dei ruoli dei lavoranti:
evidente già nei testi figurativi, essa trova riscontro anche nelle fonti scritte, quali i
registri delle spese dei cantieri di cattedrali, palazzi o edifici monastici. Purtroppo per
l'età romanica le fonti in nostro possesso sono veramente esigue, anche se qualche
elemento nuovo compare verso la metà del XII secolo. E' possibile tuttavia affermare
che nel mondo rurale l'attività costruttiva non era appalto di maestranze specializzate,
ma costituiva uno dei settori ordinari di lavoro; a partire dall'età carolingia sono
documentati gli obblighi imposti agli affittuari per “operae” edilizie riguardanti anche
le fabbriche signorili. Maggiori notizie si hanno sull'organizzazione delle attività
costruttive di pertinenza monastica, in particolare riguardante i monasteri benedettini,
dove il rispetto della “Regola” rendeva possibile una divisione razionale delle attività.
In questi casi nascono precise divisioni dei compiti e specializzazioni delle
maestranze, sotto la direzione dell'abate. Del resto, soltanto la presenza di una
struttura produttiva particolarmente sviluppata poteva favorire la formazione di
maestranze più competenti. L'esistenza di maestranze specializzate in Italia è sicura
soltanto a partire dal VII secolo, con i Maestri commacini.
La forma organizzativa del cantiere è invece ampiamente documentata in età gotica,
quando lavorano fianco a fianco maestranze con specializzazioni diverse e spesso di
provenienza eterogenea: muratori, architetti, scalpellini, falegnami, manovali, fabbri,
vetrai, pittori, ciascuno dei quali fornisce uno specifico contributo al lungo processo
della costruzione.

I Maestri commacini
I capitoli 144 e 145 dell'Editto di Rotari (643), un importante testo legislativo di età
longobarda, insieme alle disposizioni del “Memoratorium de mercedibus
commacinorum”, probabilmente di età liutprandea (712-744) o forse redatte sotto il
regno di Grimoaldo (661-671), attestano la presenza in Italia di maestranze
specializzate, unite in una delle prime forme di consociativismo, note come "maestri
commacini". Alcuni studiosi hanno sostenuto che il termine “commacini” significasse
"maestri comensi", riferendolo quindi all'area geografica di provenienza della
maestranza; altri che il termine derivasse da “cum macinis” o “cum machina”, cioè
"con impalcatura"; altri ancora che volesse indicare "impresari costruttori". La
complessa questione storico-filologica sembra ormai risolta con il riconoscimento
della connessione del termine al lavoro praticato “cum machinis”.

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I “magistri commacini” dunque erano prestatori d'opera specializzati nel campo
dell'edilizia, che intervenivano in tutte le fasi di svolgimento del cantiere, abilitati a
stipulare contratti di lavoro con i committenti.
Le fonti di epoca longobarda documentano da un lato, per la prima volta nell'arte
medievale, la volontà del potere pubblico di intervenire per regolamentare l'attività
lavorativa nel settore edilizio, dall'altro configurano la struttura gerarchica delle
maestranze "commacine", “équipes” composte da diverse figure - apprendisti,
garzoni, operai - e dirette appunto da "magistri".
Non è invece possibile stabilire fino a quando i “magistri commacini” continuarono a
operare in Italia, dal momento che i documenti che li riguardano sono limitati al
periodo longobardo, ma è probabile che la loro capacità tecnica si tramandi in
territorio italiano fino all'affermazione della prima arte romanica.

Villard de Honnecourt
Villard, originario della piccola città francese di Honnecourt, è noto per il suo
taccuino di disegni, composto probabilmente tra il 1225 e il 1235. L'autore così si
presenta all'inizio dell'opera: "Villard di Honnecourt vi saluta (...) In questo libro si
può trovare grande aiuto per la saldezza della muratura e per gli strumenti di
carpenteria (...) il modo per rappresentare (...) le figure, i disegni, secondo quanto
comanda e insegna l'arte della geometria". Villard viaggiò molto e disegnò numerosi
particolari delle cattedrali da lui visitate (di Laon, di Chartres, di Reims e alcune
anche in Ungheria).
Da quando, a metà del XIX secolo, il suo taccuino fu pubblicato, sono state fatte
molte ipotesi sulla professione dell'autore e sul reale utilizzo dei suoi disegni. Villard
era probabilmente un architetto e i suoi disegni costituivano una sorta di manuale da
utilizzare sui cantieri. Questi disegni potrebbero anche essere degli appunti presi
durante i viaggi e usati in seguito per trasmettere le conoscenze acquisite. Essi
dimostrano in ogni caso che egli conosceva le tecniche costruttive più avanzate del
tempo e i procedimenti di progettazione architettonica usati nei più importanti
cantieri di Francia; era un disegnatore esperto, padroneggiava la geometria e la
utilizzava per progettare edifici e proporzionare figure, aveva nozioni di idraulica e
meccanica, si interessava di macchine da guerra, sapeva scrivere e conosceva un po'
di latino. Il suo manoscritto quindi risulta una “summa” delle conoscenze tecniche
tardomedievali, soprattutto in campo architettonico.

Il committente
Nella mentalità medievale la figura più importante per la costruzione di un edificio è
quella del committente. Se una costruzione viene associata mentalmente a qualcuno,
questi non è il progettista, ma colui che ne ha promosso l'esecuzione e che spesso è
anche finanziatore dell'opera. Nei documenti verbi come “fecit” o “construxit” e
nomi come “aedificator” o “fabricator “sono usati frequentemente per indicare il
committente e non l'architetto o il costruttore. Nell'iconografia esso ha un ruolo di
primo piano: sono in genere i committenti, o i donatori, ad offrire al santo protettore i
modellini della chiesa o ad essere rappresentati davanti all'edificio in costruzione.
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Tuttavia è importante distinguere, dove possibile, la figura del committente,
promotore dell'esecuzione di un'opera d'arte, da quella del donatore, finanziatore della
stessa. Spesso, infatti, nelle grandi imprese architettoniche sacre o profane di età
medievale accanto al committente si trovano uno o più donatori.
Nel Medioevo il rapporto tra artista e committente è un rapporto ineguale. L'artista o
il progettista - architetto di un edificio devono sottomettersi alla volontà del
committente, politicamente potente, ricco e spesso acculturato. Dalla metà del XIII
secolo l'iniziativa della costruzione, prima quasi esclusivamente in mano al clero e ai
sovrani, si allarga ai governi comunali ed ai principi, subendo un vero e proprio
processo di laicizzazione.
Il rapporto tra committente e lavoratori del settore edilizio, compreso l'architetto o
progettista dell'opera, non riguarda soltanto l'ideologia alla quale l'opera deve
sottostare e la forma che deve assumere, ma anche il tipo di contratto, i salari, il
tempo e i ritmi di lavoro, insomma la qualità di vita del lavoratore nella sua globalità.
Gli statuti comunali fissano i salari massimi, prescrivono il numero e la durata delle
soste consentite per la merenda e per il pranzo, stabiliscono l'uso della campana
pubblica, che scandisce il ritmo della giornata lavorativa. Inoltre definiscono tutta una
serie di norme che tendono ad impedire accordi tra la manodopera per ottenere salari
più alti, quali l'obbligo di accettare il lavoro offerto e il divieto di confabulare tra
salariati durante il lavoro.

Architetto o capomastro
Sul capomastro che guida i lavori ricade la responsabilità del progetto dell'edificio.
L'idea che nel Medioevo si ha dell'architetto (variamente chiamato “caementarius,
artifex, magister, fabricator, caput magister, princeps artifex”, e solo raramente detto
“architectus”)è molto varia: alla sua opera viene riconosciuta una componente
progettuale, quindi intellettuale, e organizzativa; tuttavia le fonti scritte si alternano
nel mettere in luce l'aspetto progettuale, ereditato dall'antichità classica, o quello di
costruttore materiale, poco diverso dal muratore. Del resto la sua formazione si
compie probabilmente quasi esclusivamente sul cantiere: si tratta di un sapere basato
soprattutto sulla pratica quotidiana, che sfrutta però alcune regole fondate sulle
proporzioni di derivazione geometrica, note attraverso i libri di agrimensura
dell'antichità, di cui probabilmente si ignorano i procedimenti logico-dimostrativi.
La presenza del progettista sul cantiere è considerata una necessità vitale per il
procedere dei lavori: si utilizzano progetti di massima, o addirittura modelli
tipologici, senza la redazione di un disegno esecutivo generale, in quanto le
maestranze potrebbero non essere in grado di interpretarlo con sicurezza, o non essere
disposte a seguirne le istruzioni, rinunciando al loro spazio tradizionale d'autonomia.
Inoltre, nel caso di una commitenza pubblica, c'era sempre il rischio che i programmi
in corso sul cantiere avrebbero potuto non sopravvivere al primo cambio di guardia
tra i decisori. Solo a partire dalla seconda metà del Duecento si hanno prove certe
dell'esistenza di un procedimento progettuale preliminare alla costruzione,
completato cioè in anticipo rispetto all'avvio del cantiere, come dimostrano, proprio a
partire da questa data, esempi di tracciati geometrici, delineati in genere su strati di
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intonaco, per definire aspetti architettonici o decorativi. Successivamente, alla fine
del XIII secolo, pressoché ovunque in Europa, cominciano a circolare anche disegni
su pergamena delineati in piccola scala, che si diffonderanno nei grandi cantieri del
Trecento.
In tutta Europa, ma soprattutto in Francia, fino almeno ai primi decenni del XII
secolo, l'architetto è in alcuni casi lo stesso committente; anche in Italia, l'abate Elia
chiama e dirige i Maestri comacini incaricati di erigere la chiesa di San Nicola a
Bari. La situazione è tuttavia molto varia: in Italia, a differenza della Francia, dove
nel corso del Duecento la figura dell'architetto assume grande rilievo, si sviluppa e si
estende l'attività dei pittori ed assume sempre maggiore importanza il ruolo dello
scultore, che spesso è anche architetto. A Modena Lanfranco, rappresentato nelle
miniature della “Relatio” ed elogiato nell'epigrafe dell'abside del Duomo, assume un
ruolo di progettista oltre che di direttore dei lavori. L'importanza della figura di
Lanfranco è sottolineata anche per un altro aspetto: egli si pone come tramite ideale
tra il committente, in questo caso il clero e la comunità cittadina (rappresentata nella
miniatura dal gruppo di persone alle sue spalle), e gli artefici propriamente detti.
Inoltre la “Relatio” lo qualifica come progettista (“designator”) ed
autore della struttura, qualità proprie dell'architetto inteso in senso moderno. Lo
studio dei dati dimensionali della planimetria del Duomo di Modena, ha fatto
ipotizzare l'impiego di una formulazione geometrica usata da Vitruvio nelle
proporzioni dell'edificio. Proprio questa applicazione di ascendenza vitruviana può
aver fatto conquistare a Lanfranco l'appellativo di “doctus”.
In effetti, agli inizi del XII secolo in Italia, si assiste alla progressiva affermazione di
un nuovo atteggiamento verso l'artista. A Modena, ma anche a Pisa, Parma, Fano,
Lucca, solo per citare alcuni esempi, iscrizioni elogiative poste sulle mura delle
nuove cattedrali celebrano gli architetti e gli scultori che vi hanno lavorato.
L'iconografia inoltre tramanda l'immagine dell'architetto con gli strumenti tipici del
mestiere: l'asta per misurare, la squadra e il compasso.

Apprendisti
L'apprendistato costituisce uno dei cardini su cui si impernia l'organizzazione del
mestiere; attraverso di esso il sapere tecnico passa da un artigiano già esperto al
giovane apprendista; questo comporta un lungo periodo di convivenza del ragazzo
con il maestro e un continuo processo di imitazione e correzione. Solo il
completamento del periodo di apprendistato permette di esercitare l'arte: tale
situazione consente ai vertici delle corporazioni di regolamentare i meccanismi di
reclutamento dei propri membri, intervenendo sul processo formativo. I garzoni
operano sempre insieme al maestro da cui dipendono, sia nei grandi cantieri che nei
lavori più modesti. Il maestro, in genere, riscuote il salario anche per loro: talvolta
solo formalmente, versando poi il compenso al dipendente, altre volte di fatto,
quando il contratto con l'apprendista prevede una retribuzione fissa mensile o
annuale. Un'immagine interessante del rapporto tra maestro muratore ed apprendista
è quella della formella dell'intradosso del terzo arco del portale di San Marco a
Venezia, dove i mestieri veneziani sono rappresentati attraverso la raffigurazione dei
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maestri con i loro garzoni. Nella formella dei muratori il maestro, riconoscibile oltre
che dalla barba e dal tipico berretto anche dalle maggiori dimensioni, verifica la
verticalità della costruzione con un filo a piombo. Il garzone è raffigurato mentre sale
una scala con un cesto colmo di laterizi sulle spalle: il suo compito, per un lungo
periodo, è quello di aiutare il maestro svolgendo i compiti di manovalanza, e di
osservarne il lavoro per impadronirsi del mestiere.

Carpentieri e segatori
Sul cantiere la competenza primaria dei carpentieri è quella di erigere le impalcature
necessarie alla costruzione e di realizzare i supporti per le opere murarie non ancora
consolidate. Essi si occupano poi di compiti minori che riguardano la lavorazione del
legno. Il lavoro dei carpentieri è perciò strettamente collegato a quello dei muratori:
impalcature e ponteggi necessari per sostenere operai e materiale sono realizzati
interamente in legno e lignei sono i soffitti, i solai, le orditure del tetto degli edifici.
Inoltre, accanto al lavoro del cantiere, il carpentiere possiede spesso una propria
bottega e, soprattutto durante la stagione morta dell'edilizia, si occupa non solo di
lavori di carpenteria ma anche di falegnameria. In alcuni casi, soprattutto per la
costruzione di ponti, il carpentiere si identifica con l'architetto. La competenza
dell'architetto-carpentiere riguarda non solo l'assemblaggio, ma anche la stessa
selezione degli alberi da abbattere per ricavare tronchi finalizzati alle diverse
esigenze del cantiere. Una figura professionale che talvolta si identifica con quella del
carpentiere è il maestro d'ascia, specializzato nel taglio dei tronchi d'albero.
Ai lavori di carpenteria partecipano anche i segatori. Essi lavorano in genere in
coppia per poter muovere la grande sega a telaio, loro principale strumento di lavoro,
e vengono chiamati quando occorre compiere operazioni di taglio e di prima
sgrossatura del legname, nonchè per la preparazione di tavole e di assi. Spesso i
segatori si recano direttamente nel bosco, per ridurre le spese del trasporto del
materiale, che così arriva già pronto in cantiere. Gli operai che lavorano con seghe a
telaio a due manici percepiscono un solo salario. Dai testi figurativi la suddivisione
del lavoro è evidente: alcuni segano, altri tagliano con la scure, altri ancora piallano,
secondo un programma ordinato e spesso sotto la guida di un capomastro.

Fabbri
La presenza dei fabbri è indispensabile in un cantiere: essi si occupano della
manutenzione e costruzione degli attrezzi necessari al taglio e alla sbozzatura delle
pietre, dei chiodi, dei tiranti, dei ferri da cavallo, degli strumenti usati dai carpentieri
addetti alle armature delle volte.
Vasche per temprare il ferro spesso sono state rinvenute negli scavi archeologici di
cantieri importanti. Gli scavi archeologici condotti nella Torre Civica di Pavia (XII
secolo) hanno portato alla luce i resti di una piccola forgia e molte scorie di ferro, che
sono state interpretate come i resti di lavorazione dovuti alla preparazione degli
strumenti da lavoro per gli operai del cantiere.

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Il ferro, che veniva di solito commerciato sotto forma di barre, era forgiato in
apposite fucine. Qui esso veniva surriscaldato, in modo da renderlo malleabile e poi
martellato a mano con martello ed incudine.
Il problema maggiore per i fabbri era costituito dal rifornimento delle materie prime.
Significativa la rubrica “Quod massarii teneantur mercadare ferrum” dello Statuto
modenese dei Fabbri del 1254 (Stat.cod.1254 c.10a), dalla quale si ricava che i
rifornimenti venivano garantiti dall'Arte ai propri soci e che tutto il ferro che arrivava
in città era oggetto di monopolio da parte dell'Arte stessa, che lo vendeva ai soci in
appositi spacci.
Questo testimonia come per tutto il Medioevo il ferro fosse un materiale prezioso,
che era bene tesaurizzare.

Muratori e manovali
I muratori si occupano della costruzione; essi operano sotto la direzione di un
capomastro, o architetto, aiutati da manovali (ingaggiati tra immigrati, sbandati, figli
di famiglie contadine molto numerose) e garzoni per il trasporto e la preparazione del
materiale sul luogo della messa in opera. I muratori stessi insegnano ai loro aiuti e ai
garzoni la composizione e le proporzioni dei diversi elementi che occorrono per
preparare calcina e gesso. Martellina, filo a piombo e cazzuola sono gli attrezzi tipici
del mestiere.
Spesso i maestri muratori sono sostanzialmente degli impresari che hanno alle loro
dipendenze, come familiari o come sottoposti, un gruppo di persone che costituiscono
una vera “équipe” “masachani”, “ muratores”, “scarpelini lapidum”, “sculptores” o”
intaliatores marmorum”. Sono i Maestri Antelami, i Guidi, i Campionesi, le
maestranze lombarde ed altre ancora, provenienti dall'arco alpino centro-occidentale,
quali il Canton Ticino e la regione comasca, che operano in varie regioni italiane,
assumendo responsabilità di cantiere e partecipando ai lavori come esecutori
materiali.
Queste maestranze si caratterizzano per una notevole capacità nell'organizzazione del
lavoro, ma anche per un forte legame con il loro luogo di origine, dove tornano
periodicamente, sposando sempre donne della loro terra e mantenendo in genere gli
stessi nomi. A Modena, nella prima metà del XIII secolo, lavorano almeno tre
generazioni di Campionesi, come testimonia la trascrizione del contratto del 1244
stipulato da Ubaldino, massaro (cioè amministratore) della cattedrale, con alcuni
“magistri lapidum” campionesi. Il documento mette in luce anche il mutamento
nell'organizzazione del lavoro, con il passaggio da botteghe guidate da singole
personalità (Lanfranco e Wiligelmo) a gruppi a carattere familiare, in grado di
garantire un controllo unitario dei vari aspetti del cantiere. Purtroppo nei documenti
trecenteschi la menzione di attività edilizie condotte nel Duomo si fa meno frequente
e l'eventuale permanenza a Modena di maestranze campionesi non pare aver lasciato
traccia, pur non essendo improbabile che nel cantiere abbiano continuato a operare
discendenti di Anselmo e di Enrico o collaboratori dell'ultima generazione di
Campionesi. Tra questi vi era forse quel magister Johannes de Pedrinis la cui
iscrizione sepolcrale è incisa su un piedritto dell'arcone occidentale di collegamento
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tra il Duomo e la Ghirlandina, costruito nel 1338; certo è che nel nome non resta
memoria della provenienza lombarda, della quale i maestri che lo avevano preceduto
si erano mostrati fieri.
Nella maggior parte dei casi ci si rivolge a manodopera specializzata proveniente
dall'esterno per costruzioni di particolare importanza, come le grandi fabbriche
monastiche e i principali edifici religiosi e civili, che costituiscono una sorta di
"evento". Così, l'apporto del patrimonio di esperienze e di tecniche introdotte da
maestranze specializzate provenienti da altre città e spesso itineranti, incide sulle
tradizioni locali, fondendosi con esse e adattandosi ai materiali più facilmente
reperibili in zona.

Scultore, scalpellino
In Italia troviamo spesso il termine “sculptor”. In effetti la categoria degli scalpellini
include un gran numero di competenze tecniche, come è dimostrato dai diversi tipi di
remunerazioni che si ritrovano nei libri dei conti che ci sono pervenuti.
Dalle registrazioni di pagamento emergono termini, quali “lastricatori “o “cavaioli”,
che però si riferiscono alla natura del lavoro più che ad un gruppo distinto di
lavoratori specializzati; il termine usato invece per tutti coloro che lavorano la pietra
è generalmente quello di “scalpellini”, con il quale può essere indicato sia il minatore
e lo sbozzatore delle cave sia colui che intaglia la decorazione o addirittura il
supervisore dei lavori. I maestri di pietra sono indicati talvolta anche come maestri
muratori, nel caso di costruzioni in cui la pietra è utilizzata in modo preminente.
Si presenta così il problema di stabilire in quali termini l'attività dello scultore si
inserisca all'interno del cantiere. Generalmente la figura dello scultore viene collocata
tra gli altri membri dell'équipe come operaio specializzato e non in posizione separata
o di privilegio, soprattutto quando l'apparato di sculture è dipendente dalla struttura
architettonica. La linea di separazione tra scultore e scalpellino rimane poco definita
per tutta l'età medievale. È interessante notare che nel Capitello dei santi e discepoli
lapicidi del Palazzo Ducale a Venezia, dove seguiamo lo scultore nel suo lavoro,
possiamo osservare che sono di sua competenza sia le colonne con le loro basi,
capitelli e conci sia le figure.
Probabilmente anche tra i lavoratori della pietra, in particolare tra gli scultori,
esisteva una gerarchia, analoga a quella rappresentata nelle miniature della “Relatio”
modenese, tra l'architetto, gli operai e gli “artifices”, come dimostra il rilievo del
portale meridionale di Santa Maria Maggiore a Bergamo, della fine del Trecento, in
cui la lavorazione di un capitello è suddivisa tra persone che svolgono funzioni
diverse. In questo caso ogni scultore, pur accettando un grado di regolamentazione
assai maggiore rispetto ad uno scultore che lavora da solo, mantiene anche a livello
tecnico un ampio margine di individualità, non rinunciando all'uso di strumenti
specifici e a particolari modalità di utilizzo degli stessi. La divisione del lavoro in
fasi, poco usuale nella scultura, è più diffusa nella decorazione architettonica dove,
dalla seconda metà del XIII secolo, è normale che un blocco di pietra passi attraverso
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fasi di lavorazione ben distinte, spesso affidate a diversi specialisti: esso viene
dapprima squadrato, seguendo appositi modelli; si abbozzano quindi le modanature,
che vengono infine perfettamente definite e poi decorate. Probabilmente questo tipo
di organizzazione costituisce un importante elemento di controllo di un cantiere
complesso o di qualsiasi altra impresa che comprenda il montaggio di numerosi pezzi
scolpiti. Del resto una forma di controllo è necessaria per garantire unitarietà e fedeltà
ad un progetto, quando operano fianco a fianco numerosi scultori di formazione
diversa, provenienti da differenti aree geografiche, come accade nei cantieri
importanti, quali quelli per la costruzione di cattedrali o fortezze.
In genere la lavorazione dei marmi e delle pietre dure che possono scheggiarsi e su
cui è difficile intervenire lavorando sulle impalcature, viene completata nella loggia e
nel cantiere. Interventi dopo la posa in opera possono dipendere dal tipo dei materiali
impiegati e sono frequenti per la realizzazione dei particolari decorativi e sui conci
che fanno parte integrante della muratura. E' probabile, ad esempio, che sul cantiere
della Cattedrale di Modena capitelli e rilievi vengano lavorati al suolo e poi montati
in opera, come sembrano suggerire le immagini dello scultore al lavoro, raffigurato
quasi sempre seduto; tuttavia, interventi dopo la posa sono frequenti nei particolari
decorativi, come le mensole o i fogliami che riempiono gli spazi tra gli archetti. Nel
Duomo di Modena valori architettonici e linguaggio plastico si integrano e si
confrontano. Purtroppo nessun documento scritto ci testimonia gli effetti che
l'incontro di due maestri così importanti, quali l'architetto Lanfranco e lo scultore
Wiligelmo, ebbe sul funzionamento del cantiere. I versi che celebrano Wiligelmo, la
rappresentazione del lapicida al lavoro sul “Portale dei Principi”, l'alta qualità delle
sculture, fanno comunque pensare che gli scultori godessero di una loro
indipendenza.

I trasportatori
Il ruolo dei trasportatori è fondamentale - come dimostrano i numerosi racconti di
miracoli accaduti durante il trasporto dei materiali, dove i buoi aggiogati al carro
ricevono nuovo vigore dal cielo - in quanto il materiale utilizzato nei grandi cantieri
arriva anche da una notevole distanza. Spesso i trasportatori forniscono, insieme al
loro lavoro, anche i mezzi di trasporto, e sono pagati di norma un tanto alla soma o al
carriaggio, più raramente a giornata. Il costo del trasporto generalmente è in rapporto
alla distanza da percorrere e può fare aumentare in maniera considerevole il prezzo
dei materiali da costruzione.
Il trasporto meno costoso è rappresentato, in ogni epoca, dalle vie d'acqua. Lo
sfruttamento dei calcari prealpini dell'area lombarda e veneta era dovuto, in larga
misura, proprio alla presenza di vie fluviali e lacustri che permettevano di rifornire i
grandi cantieri delle città padane. Inoltre le fonti scritte bassomedievali informano
dell'esistenza di imbarcazioni apposite per il rifornimento dalle cave.

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