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Architetti e storia

dell’architettura fonvi

Nel 1519 Raffaello nella lettera a


Leone X scritta con Baldassarre
Castiglione e Angelo Colocci
distingue nei rilievi dell’arco di
Costantino diverse epoche e diversi
stili tentando una prima storia
dell’arte romana. Arco trionfale dal
codice Marcanova, Bib. Estese
Modena
La Lettera di Raffaello d'Urbino a Leone X è un documento, databile al 1519, scritto da Raffaello Sanzio e Baldassarre Castiglione,
con la collaborazione di Angelo Colocci, e indirizzato a Leone X, sul tema della protezione e conservazione delle vestigia di Roma
antica. Si tratta quindi di una preziosa testimonianza del crescente interesse e dell'amore per l'antichità che era andato maturando
durante tutto il Rinascimento, fino a raggiungere una consapevolezza moderna sulla loro conservazione.

La più lunga copia della lettera si trova nella Bayerisches Staatsbibliothek, a Monaco di Baviera.

La lettera era allegata come prefazione alla raccolta di disegni degli edifici della Roma imperiale eseguita dal pittore su incarico del
papa. La prima parte enuncia i principi e le idee che hanno portato a tale opera; la seconda illustra i dettagli tecnici dell'operazione,
con la descrizione di uno strumento munito di bussola usato durante i rilevamenti, per misurare e orientare gli edifici sulla pianta. Il
rigore che si evince nell'operazione è indice degli intenti filologici della ricostruzione, basata su un preciso metodo di studio che
indagava anche le parti distrutte o danneggiate degli antichi edifici.

Gli edifici antichi sono poi presentati in tre disegni: una pianta, un rilievo esterno con tutte le decorazioni e uno dell'interno, pure
corredato di tutti i dettagli possibili.

La parte più celebre è la prima, in cui viene enunciato con grande chiarezza il senso culturale di questo lavoro, partendo da una rapida
sintesi della storia dell'architettura dall'epoca romana ai giorni contemporanei, all'insegna di una consapevolezza della nuova "cultura
della rinascita", rispetto alla degradazione dell'arte "tedesca" del medioevo, cioè il gotico, stile anticlassico per eccellenza. Si tratta di
un'evidente percezione della "frattura" tra mondo antico e mondo contemporaneo che sta alla base dell'idea stessa di Rinascimento.

Altro punto importante è la traccia delle cause della scomparsa dell'arte classica, non dovuta solo a fattori storici, come le invasioni
barbariche, ma soprattutto a causa dell'incuria e dell'insipienza degli uomini, compresi i precedenti pontefici, che hanno autorizzato
l'utilizzo dei monumenti antichi come cave di materiale, delle statue come ingrediente per la calcina, ecc.

« Quanti Pontefici, Padre Santissimo, li quali avevano il medesimo officio che ha Vostra Santità, ma non già il medesimo sapere, né il
medesimo valore e grandezza d'animo, né quella clemenza che la fa simile a Dio: quanti, dico, Pontefici hanno atteso a ruinare templi
antichi, statue, archi e altri edifici gloriosi! Quanti hanno comportato che solamente per pigliar terra pozzolana si sieno scavati dei
fondamenti, onde in poco tempo poi gli edifici sono venuti a terra! Quanta calce si è fatta di statue e d'altri ornamenti antichi! che
ardirei dire che tutta questa Roma nuova che ora si vede, quanto grande ch'ella si sia, quanto bella, quanto ornata di palagi, chiese e
altri edifici che la scopriamo, tutta è fabricata di calce e marmi antichi. »

Ma il rammarico espresso al pontefice per la condotta dei suoi predecessori nasconde anche un'esaltazione indiretta del suo
mecenatismo e della sua cultura, sotto il cui patrocinio si sarebbe voluta avviare un'opera di restauro e ricostruzione, per quanto
parziale e frammentaria. Tra la perfezione degli antichi e l'epoca dei "barbari", l'età moderna si proponeva quindi come fase dalla
posizione intermedia, legata allo studio e all'imitazione di quel mondo perduto. La lettera quindi mostra una piena maturità del
concetto di Rinascita e rappresenta un dato di fatto sull'acquisizione dell'arte antica come modello aureo. La rinascita della nuova
Roma inoltre si rinsaldava con ambizioni prettamente politiche del papato, come autorità suprema diretta erede del prestigio imperiale.



Claude Perrault 1613-88, Vitruvio, Paris (1663) 1684, frontespizio, tempio in
antis, Artemision Efeso 

Medico di professione e architetto per diletto, a lui si deve la facciata est del Louvre di Parigi iniziata nel 1667 e che ebbe notevole
influenza sull'architettura francese del periodo. Di lui ricordiamo la critica al fondamento vitruviano, egli accetta la bellezza della natura
come fonte costante di ispirazione ma rifiuta la consuetudine.

Claude Perrault e l’inizio della modernità

La teoria di Claude Perrault è una “soglia” nella teoria dell’architettura europea: il momento in cui si manifesta in essa, per la prima
volta, il moderno disincantamento. Dopo di lui l’architettura non può essere più ingenua, non può credere con tranquilla fiducia alle sue
“favole” metafisiche. In Perrault la modernità si annuncia attraverso la convergenza di razionalizzazione culturale e politico-sociale.
Per la prima volta l’architettura viene investita in pieno dal nuovo razionalismo scientifico sia sul piano della teoria che del linguaggio
architettonico, ma tale operazione di "razionalizzazione culturale" è parte integrante del progetto di "razionalizzazione sociale e
politica" che è all'origine della formazione dello Stato assoluto francese. Concretamente la convergenza fra operazioni sul piano
teorico, linguistico e politico-culturale, ispirate tutte dal nuovo approccio razionalista, si attua attraverso:

Una teoria disincantata dell’architettura che smaschera l’infondatezza scientifica della teoria armonicistica e dimostra la natura
arbitraria e convenzionale delle sue presunte regole "naturali" (e quindi universali e oggettive) trasmesse dalla trattatistica
rinascimentale.

La proposta, legittimata da tale assunto teorico, di regole "convenzionali” nell’uso del linguaggio classico, che siano razionalmente
fondate ( cioè aderenti al significato oggettivo-costruttivo dei suoi elementi) e di semplice utilizzo e diffusione. Il disincantamento
teorico come presupposto per un approccio pragmatico e razionale all’architettura.

(grazie a tali regole) Il progetto di estendere anche all'architettura, il nuovo sistema di controllo e organizzazione razionale tipico del
nascente Stato moderno francese, facendo anche del campo della costruzione uno spazio sempre più omogeneo ispirato a regole
razionali fissate dall'autorità centrale e applicate con uniformità ed efficienza in tutta la Francia (secondo finalità analoghe a quelle che
ispireranno successivamente la unificazione dei sistemi di misura dello spazio e del tempo). Per tutto il Settecento, le conseguenze
“relativistiche” della teoria di Perrault, ossia la natura del tutto arbitraria (ossia "culturale") del linguaggio architettonico, vengono
vissute come un incubo e un pericolo incombente. Questo non solo dagli architetti legati ancora alla teoria tradizionale del classicismo,
ma anche da quell'architettura "neoclassica" che si ispira ai miti illuministi della Natura e della Ragione e che in essi cerca ancora un
fondamento assoluto e universale per l'Architettura.La teoria di Perrault verrà “riscoperta” ai primi dell’Ottocento da Durand, l’architetto
la cui teoria totalmente disincantata e il cui pragmatismo didattico si mettono al servizio della infrastrutturazione del nuovo stato
napoleonico, l’istituzione attraverso cui la modernità irrompe irreversibilmente sulla scena politico-sociale dell'Europa.

Perrault fu, e si ritenne sempre, medico e scienziato prima che architetto. Tali erano la sua forma mentise i suoi più profondi interessi.
Per quanto fosse anche membro di fatto dell’Accademia reale di Architettura, oltre che membro ufficiale dell’Accademia delle Scienze,
nel suo epitaffio viene ricordato solo come M. Perrault de l’Académie Royale des Sciences Docteur en Mèdecine de la Faculté de
Paris. Egli stesso in un colloquio con Leibniz disse di non essere un architetto di professione, né che avrebbe mai voluto abbandonare
tutto per l’architettura. Eppure il posto che egli occupa nella storia dell’architettura è probabilmente più rilevante di quello che gli spetta
nella storia della scienza e questo proprio grazie alla sua formazione e mentalità di scienziato che gli fornirono un punto di vista nuovo
rispetto a quello dominante nella tradizione in cui si formavano gli architetti professionisti. La sua importanza storica rivoluzionaria sta
infatti nell’aver introdotto per la prima volta nella teoria dell’architettura il punto di vista “moderno”, razionalista e disincantato, che si
era già affermato in campo scientifico. Sarebbe eccessivo attribuire alla sua teoria una incidenza diretta e diffusione tali da mettere in
crisi la plurisecolare tradizione dell’architettura classicista; di fatto questa crisi maturerà nel corso del XVIII secolo non tanto a causa
degli scritti di Perrault, quanto per effetto di alcuni mutamenti di portata epocale della società e della mentalità europee. In vista
nell'evoluzione successiva dell'architettura, il contributo concreto della teoria di Perrault è nel fatto che essa quasi “in laboratorio”,
applicando alla teoria classicista l’agente corrosivo di una razionalità disincantata, (proprio quella razionalità scientifica i cui effetti si
manifesteranno nei mutamenti sociali e mentali del secolo seguente), riorganizza secondo un approccio innovativo, il campo teorico
dell’Architettura. La nuova ripartizione da lui introdotta, fra POSITIVO e ARBITRARIO coglie i due piani fondamentali sui quali
l'Architettura, ormai concepita come prodotto storico e relativo, sarà chiamata a rispondere delle sue scelte dal XVIII secolo in poi:
come strumento tecnico-funzionale e come oggetto "culturale". Come scrive Rykwert a proposito di questa distinzione “Perrault
introduce i principi che da allora in avanti avrebbero influenzato ogni discussione di problemi architettonici”.

Carlo Fontana 1638-1714 e la storia di S. Pietro, Roma 1694 esempio e modello
di architettura
Contrariamente a quanto sembra promettere il titolo, il Tempio non è un libro sulla storia della nuova chiesa avviata da Giulio II e
Donato Bramante; non è neanche una semplice descrizione architettonica degli edifici esitenti e nemmeno un'opera storico-erudita
sulle origini di San Pietro da Costantino al medioevo. Esaminando lo sviluppo dei Sette libri ciò che a tutta prima può sembrare
semplicemente una storia più ampia rispetto alla vicenda architettonica della basilica, si rivela essere un'eccezionale testimonianza
del passaggio dalla cultura antiquaria cinque-seicentesca alla cultura storico-progettuale del XVIII secolo.

Nei primi tre libri Fontana ignora completamente gli edifici che attualmente compongono il complesso petriano. Il Primo libro si occupa
della topografia antica dell'intera cittadella vaticana e in particolare della ricostruzione del circo di Nerone; il Secondo della demolita
basilica costantiniana; il Terzo, se possibile, è ancora più "inattuale" dei precedenti poiché descrive la macchina progettata da
Domenico Fontana nel 1586 per il trasporto dell'obelisco dalla sua originaria posizione sul fianco meridionale della basilica, al centro
del circo neroniano, a quella attuale di fronte alla nuova fabbrica. Solo nei libri dal Quarto al Sesto, Fontana tratta del complesso
vaticano. Nel Quarto (legato al precedente da un nesso "topografico") l'attenzione passa dall'obelisco al centro della piazza ai portici
costruiti da Gian Lorenzo Bernini e Alessandro VII; finalmente il Quinto libro discute l'architettura della chiesa di San Pietro, mentre il
seguente valuta i costi della fabbrica paragonandone l'ammontare alle spese sostenute nella realizzazione della più grande
architettura della storia, il tempio di Salomone. Il Settimo libro di nuovo porta l'attenzione lontano, a studiare altri importanti "templi"
dell'antichità e della modernità, in particolare il Pantheon e la basilica di S. Maria del Fiore, concludendo così un percorso che nelle
intenzioni dell'autore ha dimostrato "la magnificenza e grandezza della Vaticana basilica [avendola] palesata disuguale ad ogni
altra" (p. 306). Fontana, inoltre, procede su vari livelli: l'esame archeologico, storico, economico, è affiancato da note ed enunciati di
carattere generale sull'architettura e da proposte progettuali. Questi aspetti, considerando che ben più della metà delle tavole
del Tempio contengono osservazioni o veri e propri progetti dell'autore, e che uno dei principali obiettivi di Fontana consiste
nel "dichiarare e pubblicare le notizie e segreti della Architettura" (p. 21), sembrano particolarmente qualificanti quest'opera anche
rispetto alla letteratura seicentesca su San Pietro. I progetti sono spesso "puramente virtuali" (come nota Curcio, p. LXXIII), dunque
non hanno valore propositivo ma si presentano come conseguenza necessaria del lavoro di ricerca dell'architetto. Nel progetto
Fontana sintetizza ed espone compiutamente il giudizio maturato in un percorso di studio che - si è detto - appare assai ampio ma
altamente selettivo. Ad esempio nella tavola che contiene una proposta generale per l'intero Vaticano (L. IV, p. 153), il progetto,
presentato in modo defilato "per appagare la curiosità, essendone lontana l'effettuazione"(p. 131), propone secondo le regole
dell'architettura moderna un impianto urbano basato sulla topografia antica (L. I, p. 50) analogamente a quanto avviene, a scala
architettonica, nel celebre progetto di ampliamento della piazza (nel quale tra l'altro - come nota Hager, p. XXXIX e p. CCXXIII -
l'obelisco torna alla sua posizione originaria al centro di uno spazio longitudinale). Il progetto diventa quindi anche un puro strumento
di analisi, come avviene nella prima tavola del Quinto libro ("Il Vaticano Moderno, anno 1690", L. V, p. 208) dove compaiono
contemporaneamente rilievo, elementi scomparsi come il circo di Nerone o mai esistiti come parte del progetto per la zona dei Borghi
presentato nelle pagine precedenti.

Giovanna Curcio invece, esaminando le ambiguità del giudizio di Fontana all'interno di un quadro più vasto e complesso, ritiene che
Carlo intenda escludere Bernini dal novero dei "veri" architetti. In questo suo saggio, certamente uno dei più interessanti della
raccolta, la curatrice esamina infatti l'impalcatura speculativa del Tempio in cui Fontana, sulla scorta di Vitruvio e soprattutto di Leon
Battista Alberti, definisce specificità disciplinari dell'architettura e dell'operare dell'architetto. Il vero oggetto del Tempio si rivela quindi
essere il "processo razionale di costruzione dell'architettura" e la basilica petriana il modello più alto e complesso a disposizione del
maestro per esemplificarlo. La grande consapevolezza nell'esercizio dell'architettura propria di Fontana si rivela anche nel complesso
di regole che affiancano e corredano l'esame delle fabbriche. Ben lontane dal presentarsi come un prontuario o come un sistema
compiuto, tali regole, come dimostra il saggio di Arnaldo Bruschi, sono il risultato di un'operazione complessa in cui l'autorità degli
antichi e delle interpretazioni precedenti viene costantemente vagliata da Fontana sulla base delle proprie osservazioni o di quelle
regole "comuni" seguite nella pratica della professione.


Carlo Fontana e la storia di S. Pietro, Roma 1694 il campanile di Bernini
Carlo Fontana e la storia di S. Pietro, Roma 1694
Carlo Fontana completa il palazzo iniziato da Bernini come curia per Innocenzo
XII e pubblica Monte Citatorio 1694 ricostruendo la storia del campo Marzio
dall’antichità
Vincenzo Fontana
Carlo Fontana: il completamento della <<piazza di decoro>> e il progetto in <<embrione>>
per i Borghi e il Vaticano.
approfondimento
<<Sono con tal disposizione, e così ordinatamente disposte le Parti di quelle sontuose Fabbriche,
che cingono presentemente la Piazza Vaticana, cioè de' Portici circolari, e Corridori, col Prospetto
del Tempio, che dall'esposizione di Vitruvio, trovasi in essi il conveniente consenso
accompagnato da una vaga, e piena simmetria.>>().
Con questo elogio dell'opera berniniana il cavaliere Carlo Fontana esordisce nell'esposizione del
suo pensiero per risolvere i nodi e le questioni ancora aperte della fabbrica barocca.
Essi sono precisamente: il terzo braccio del colonnato e il campanile, il primo pensato, ma non
costruito, il secondo costruito e poi demolito.
<<....Più decorosi, e magnifici però comparirebbero questi Edifizij, quando fosse compita la parte
che manca nel fine della Piazza, in quel lato di riscontro al Tempio, e restasse distrutta
quella brutta veduta di Casuccole in detto luogo, nel quale appunto, secondo si scorge dalli
Disegni, e Medaglie fatte dal Bernino Autore de' Portici, si mostra, che doveva essere il predetto
compimento costituito dentro la linea, che circoscrive questa non perfetta Elipse, con una parte di
Fabbrica, di ornato simile, e corrispondente a' Portici; il che per varij accidenti, e ragioni, non
puotè effettuarsi>> ().
Ma l'idea di Carlo non vuol essere replica di quella berniniana, bensì propria e originale: il
proseguimento dei <<corridori>> con due bracci analoghi a quelli fra la basilica e il colonnato in
modo da comporre una nuova piazza <<retta>> a forma di trapezio rivolta verso la città, di modo
che l'obelisco si trovi al centro di una circonferenza che tocchi da un lato la facciata della basilica
e dall'altro il fondo della nuova piazza da costruirsi al termine dei <<corridori>>, toccando poi
lateralmente gli estremi del colonnato berniniano.
Carlo Fontana idea del
terzo braccio per S.
Pietro da Il tempio
Vaticano 1694. la storia
del grande monumento
diventa esemplare di
metodo architettonico e
si sostituisce a Vitruvio
e ai trattati
rinascimentali per una
diffusione mondiale del
modello romano
Carlo Fontana idea del terzo braccio
per S. Pietro da Il tempio Vaticano
1694, l’inresso segnano da torre con
cupola e orologio è una versione
moderna dell’antico ingresso al
quadriportico sotto il campanile.,
mentre la fontana davanti serve al
pediluvio dei pellegrini prima
dell’ingresso nell’area sacra
Come già osservato da Wittkower e poi da Hager, l'architettura riprende il modello del maestro
per esserne la logica e naturale prosecuzione, sia nei <<corridori>> laterali che nel portico finale,
diretto discendente del <<terzo braccio>> berniniano (). Senonché questo è sormontato da un
secondo ordine che ripete l'idea del campanile demolito e lo sostituisce anche funzionalmente,
comprendendo pure l'orologio che Bernini aveva pensato di collocare in ambedue le testate del
portico..
Così il disegno urbanistico trae spunto da idee berniniane: innanzitutto dallo schizzo dipiazza San
Pietro come figura umana dove la piazza <<retta>> sarebbe stato il busto e la spina dei borghi le
gambe (Roma, biblioteca Apostolica Vaticana, cod. Chigi JVI, 205). Mentre in un altro schizzo
Bernini disegna un orologio in ognuna delle due testate dei portici verso la basilica (in particolare
ivi e cod. Chigi aI, 19). Inoltre nel codice Chigi Bernini prova di collocare il terzo braccio, arretrato
come <<nobile interrompimento>> alla testata della spina dei Borghi, sovrapponendovi un
secondo ordine sormontato da una campana e poi culminante con una croce o con un' enorme
stella chigiana (); Ma oltre alla volontà di ripetere fedelmente le intenzioni del maestro, Carlo
vuole qui proporre di ricostruire la torre dell'orologio eretta da Paolo V come ingresso del Palazzo
Pontificio.
Il terzo braccio colonnato prevede al centro, fra le colonne in tutto simili a quelle dei <<seni>>
berniniani, quattro piloni di muro per sostenere il secondo ordine - ispirato al campanile distrutto -
nella permeabilità atmosferica che smaterializza i piloni in pilastri accompagnati da colonne. I due
ordini dell'ingresso alla piazza avrebbero contrastato con il pieno della cella campanaria,
immaginata come tamburo ottagonale di una cupola ribassata con lanterna.
Oltre a ciò Fontana prevede dietro la trasparenza del colonnato la <<Nicchia Teatrale>> fra le due
strade di Borgo. Una esedra avrebbe coperto la parte restante della spina di <<Casuccole>> del
tutto simile a un teatro d'acque tuscolano (villa Aldobrandini e villa Mondragone) alimentato
dall'acqua delle due fontane della piazza, graduando il passaggio dal tempio alla città.
Tutto questo poteva trovare motivi fondati nella storia esposta nel primo libro del Tempio e
dimostrata dalla ricostruzione della basilica costantiniana sulla base della pianta di Tiberio
Alfarano. La nuova <<piazza retta>> avrebbe ricreato in un certo senso il vecchio quadriportico
con al centro la fontana della Pigna offrendo ai pellegrini provenienti dai borghi innanzitutto il
ristoro dell'acqua, poi l'ingresso nella prima piazza sacra o di <<decoro>>, esplicito richiamo
all'atrio del quadriportico costantiniano, cui si affiancava il campanile romanico coronato da una
cupola. Questo non a caso era stato costruito in questa posizione avanzata rispetto la basilica per
cercare un terreno più solido e immune da infiltrazioni d'acqua su cui fondare. Pur senza averne
prove certe, Carlo pensava che allontanandosi il più possibile dalla facciata e in particolare
dall'estremo sud avrebbe trovato un terreno migliore.
Inoltre l'idea dell'arco trionfale di ingresso al quadriportico era stata ribadita nel progetto niccolino
raffigurato nel codice Grimaldi, ben presente al Fontana.
D'altro canto si sarebbero eliminati gli inconvenienti estetici che egli espone nel capitolo VIII del
libro IV (pp. 207-208): due campanili simmetrici in facciata oltre, al costo eccessivo, avrebbero
prevalso sulla cupola perché in primo piano; quello a sud avrebbe comportato il rifacimento delle
fondazioni, quello a nord avrebbe disturbato i palazzi vaticani, come era avvenuto con la torretta
dell'orologio, costruita da Martino Ferrabosco e da Giovanni Vasanzio all'ingresso dei palazzi per
Paolo V.
In conclusione:
<<Quelle parti che si aggiongessero ne' sopradetti luoghi confonderebbero, & alterarebbero la
limpidezza di quella vaga proporzione che di presente appaga , e perturbarebbero la veduta, che
tanto sodisfa à gli occhi; onde può figurarsi quell'Edifizio à similitudine del Mare, mentre le cose
sommerse vengono dal medesimo rigettate al lido, per la pulizia, che ritiene.>> ().
Carlo non ci dà l'immagine del vecchio ingresso ai palazzi, come invece farà Filippo Bonanni due
anni più tardi, ma possiamo considerarlo un antecedente non trascurabile per composizione e
scala del suo portico- ingresso-campanile (). Oltre a risolvere il problema del compimento del
portico e del campanile, la nuova piazza avrebbe creato quella distanza dell'occhio necessaria
per comprendere meglio il tempio e vedere la cupola nonostante l'intervento del Maderno. I
<<corridori>> nuovi avrebbero costituito un passaggio coperto dal sole e dalla pioggia alle
processioni sostituendo gli apparati temporanei.
Semplici calcoli ottici servono a Carlo, esperto architetto teatrale e scenografo, per calcolare
l'altezza del nuovo portico-campanile rispetto al tempio mantenendo una scala <<umile>>, resa
però non meschina dall'uso degli ordini berniniani secondo il principio della <<consonanza>>
vitruviana della parte al tutto. La pendenza della piazza avrebbe inoltre rafforzato il calare delle
gerarchie dal sacro al profano.
Nel capitolo XI l'architetto continua a sviluppare il progetto ottico di messa in valore della basilica
nel suo insieme con l'allontanare il punto di vista. Una volta costruita la nuova piazza retta, invece
di costruire il teatro con le fontane, si potrebbe demolire la spina dei Borghi residua fino al ponte
Sant'Angelo per ottenere <<viste mirabili>>. In questo caso si verrebbe a creare una nuova
piazza di forma molto allungata. Il portico di prospetto dividerebbe così la distanza fra il ponte e il
tempio in due piazze: una di <<decoro>> e <<venerazione>> del tempio, l'altra per il
<<commercio>> fra loro comunicanti visivamente e fisicamente.
<<Nello spuntare del Ponte, si vedrebbe quel nobile interrompimento con la parte del mezzo che
sormonta, da destinarsi per Campanile, Orologio, & Arco Trionfale per la Santa Fede Catolica.
Per la moderata misura della quale soggiace, & accorda con la parte del Tempio, in modo, che
contribuirebbe all'occhio una Scena interrotta di stupenda e maravigliosa veduta>>. ()
Avvicinandosi dal ponte, attraverso le ampie aperture laterali del portico, verranno inquadrati
l'obelisco, le fontane, i portici e soprattutto San Pietro. Di modo che <<si può ragionevolmente
concepire nell'idea per un Portento incredibile prodotto dalla potenza, e dall'arte>> ().
Se il primo progetto con il teatro era partito dalla visuale dal tempio verso la città, in questo
secondo la visuale è opposta dalla città verso il tempio visto a grande distanza con il <<nobile
interrompimento>> di mediazione nella sequenza di avvicinamento.
Come nel primo progetto alla ragione visuale segue la ragione funzionale: separare il sacro e il
profano tenendo i mercanti a debita distanza secondo un preciso piano urbanistico.
L'esempio del tempio di Salomone gli fornisce un argomento inattaccabile con gli atrii profani
lontani dai portici sacri.
Nella piazza profana avrebbero trovato luogo giusto e adeguato - disponendosi con ordine sui lati
lunghi - tutte le baracche e botteghe, che allora occupavano lo spazio sacro in maniera
sconveniente.
Alla distruzione dell'isola dei borghi avrebbe corrisposto la costruzione di nuove case e botteghe
lungo due vie mercantili che, circondando gli spazi sacri e sfociando in una grande piazza dietro il
tempio, sarebbero montante sul colle Vaticano per uscire dalla porta Portusa, riaperta nella cinta
leonina, verso l'Aurelia.
La <<Pianta del Vaticano con l'embrione di quello che si propone di farsi>> (p. 231) mostra
meglio delle poche parole il suo progetto di massima. Le due vie <<di mercantie>> avrebbero
avuto un percorso mistilineo, costretto a sud fra il portico da un lato e la villa Barberini e il palazzo
del Santo Uffizio dall'altro, e a nord interrotto dai palazzi papali - forse superati con un sottopasso,
senza però evitare la commistione indecorosa fra i mercanti e i pontefici -. Giunte all'altezza dei
fianchi della basilica si sarebbero allargate dapprima in due mezzelune in corrispondenza delle
absidi del transetto e poi in una grande piazza posteriore disegnata e scavata nel monte <<per
ottenere il vero loco del godimento della parte più nobile, esterna, ch'abbia il Tempio>>. Forse
questa idea era già stata suggerita da Martino Ferrabosco a Paolo V con la sistemazione delle
pendici del colle mediante potenti sostruzioni verso i palazzi vaticani e dietro l'abside, laddove la
naturale disposizione orografica suggeriva una piazza a mezzaluna, ornata da un colonnato ().
Ma la proposta di Fontana amplia di gran lunga il raggio dell'emiciclo e lo allontana verso il
monte. Oltre allo sbancamento e ai riporti di terra necessari anche nell'ipotesi di una piazza in
pendenza, ciò avrebbe comportato la distruzione della chiesa di S. Stefano degli Abissini.
E' probabile che le aree del cantiere della fabbrica michelangiolesca avessero suggerito al
Ferrabosco questa sistemazione, come pure la necessità di contraffortare le pendici del Vaticano
per contrastare la pressione della terra e lo scorrimento dell'acqua verso le fondazioni della
basilica. Una preoccupazione che anche Leon Battista Alberti aveva avuto a proposito della
basilica costantiniana (De re aedificatoria, I, VIII).
Un'altro motivo era dato dalla conformazione del sito che crea un anfiteatro naturale intorno
all'abside.
Carlo è consapevole che questa <<invenzione>> mostrata in pianta è solo <<per appagare la
curiosità, essendone lontana l'effettuazione>>. Ma è indubitabile che da questo teatro posteriore,
forse inclinato come una platea e concluso da due rampe arcuate ascendenti la collina,
Michelangelo sarebbe ritornato il protagonista. Né si deve dimenticare il riferimento alla curva del
Circo Neroniano da lui studiato e ricostruito con notevole esattezza, e il precedente della
liberazione dell'abside di S. Maria Maggiore, come ha notato Hager ().
Qui la componente estetica visuale e teatrale non trova un corrispettivo funzionale come nelle
altre piazze del progetto. Il metodo insieme barocco (ricerca della meraviglia visiva, della
successione temporale di punti di vista diversi, quasi <<zoomate>>) e razionale (ricerca di
funzioni specifiche per intere parti della città) resta qui incompleto. Solo nell'accenno
all'espediente dello sgravio delle gabelle per le merci transitante dalla nuova porta verso
Civitavecchia per incrementare il traffico nel nuovo borgo retrostante la basilica ritroviamo la
razionalità dell'urbanista che sa essere anche economista e politico.
Nella piazza retrostante, come del resto nel progetto per il Pantheon, o in quello per Montecitorio,
sono in nuce le idee dell'isolamento per la contemplazione e la messa in valore del monumento.
Vanno notate in particolare le due mezzelune in corrispondenza delle absidi del transetto, mentre
la grande semiluna che conclude la piazza sembra rievocare il Belvedere, anche nel trattamento
dei lati rettilinei interrotti da lievi scarti nell'allineamento delle facciate. Le due rampe con cui le
strade ascendono alla sommità del monte seguendo l'emiciclo, discendono dai ninfei e dai teatri
dei giardini, mentre possono essere state un precedente per la sistemazione di piazza del
Popolo. Del tutto indicativo è invece lo schema di urbanizzazione del monte all'interno della cinta
leonina.
Carlo Fontana idea definitiva per S. Pietro da Il tempio Vaticano 1694
Nel settecento, il concorso per la sacrestia terrà ben presente il progetto, risolvendo con un
sovrapasso il difficile problema della continuità della circolazione nel fianco sud della basilica e
della comunicazione al coperto fra sacrestia e basilica (). Solo dopo i patti lateranensi Luca
Beltrami concepirà il piano su cui l'architetto Giuseppe Momo costruirà nell'anfiteatro dietro la
basilica il palazzo del governatorato, i <<ministeri>> del moderno Stato vaticano e la stazione
ferroviaria. Stazione che, secondo i progetti del prossimo giubileo, potrebbe invertire il
tradizionale approccio a S. Pietro rendendo di nuovo attuale la piazza di Fontana.
Nel libro V Carlo Fontana presenta un nuovo progetto, datato al 1690, dove le piazze di
<<decoro>> e di <<commercio>> separate dal <<nobile interrompimento>> scompaiono e così
pure la grande piazza retrostante e il nuovo quartiere sul colle Vaticano (). Al loro posto c'è il
grande <<stradone>> ottenuto dalla demolizione della spina dei Borghi. Così la vista dal ponte
Sant'Angelo sarà definitivamente libera e capace di abbracciare tutto l'edificio. Tutt'al più si
potranno costruire portici ai lati dello <<stradone>> per la processione del Copus Domini. In
questo modo si sarebbe ricostruita la via <<portica<<, <<....a ponte ad basilicam usque Petri,
pedes MMD, opertam porticu ex marmoreis columnis et plumbea tectura>> (De re aedificatoria,
VIII, vi). Da allora questo suo progetto diventa assioma definitivo fin quasi alla sua realizzazione.
Brasini prima, e poi Piacentini e Spaccarelli faranno riferimento alle tre fasi successive illustrate
nel Tempio vaticano.
Così nei tre progetti si può vedere il graduale allontanarsi di Carlo Fontana da Bernini. Dal
completamento del gran teatro barocco allo stradone egli si avvicina a Domenico e agli effetti
urbanistici della Roma sistina per proporre una città moderna e borghese.
Il metodo istituito da Carlo Fontana di fondare i suoi progetti architettonici su un approfondito
studio storico dell'intorno urbano è stato riconosciuto importante da Hellmut Hager per l'Entwurf
einer Historischen Architektur, di Johann Bernhard Fischer von Erlach, ciò andrebbe approfondito
con specifiche ricerche, come anche l'indagine sugli influssi fontaniani sulle opere dell'architetto
austriaco oltre alla chiesa di San Carlo a Vienna. Per esempio si protrebbe vedere nel progetto
del 1699 di un arco di trionfo effimero costruito dai mercanti stranieri in onore di Giuseppe I un
discendente dell'<<arco della fede>> anche se, in mancanza della torre, il secondo ordine è più
leggero e trasparente. Esso si avvicina di più all'idea del terzo braccio berniniano a due ordini
sormontati dall'emblema chigiano (cod. Chigi aI, 19 cit.)().
Si potrebbe dopotutto affermare che per lui il progetto è risarcimento storico, dove la torre della
fede vuole restituire la disposizione dei campanili medievali e nella forma ricordare la torre
dell'orologio di Paolo V. Mentre lo <<stradone>> avrebbe potuto essere l'occasione per ricostruire
l'antica <<via portica>> replicando oltre il Tevere le vedute e i colpi d'occhio stupefacenti della
Roma sistina.
Non è da escludere per l'idea del <<campanile, orologio e arco della fede>> a ingresso della
<<piazza retta>> un debito nei confronti dell'ingresso nella corte del palazzo del Luxembourg a
Parigi di Salomon de Brosse, 1613-24. In esso si ritrovano: l'impianto a croce greca con l'atrio
circolare al centro, il doppio ordine dorico e la cupola. E, senza andare a Parigi se ne potevano
vedere le piante e il prospetto col titolo di <<palais d'Orleans>> all'inizio del Recueil des plans
profils et élévations des plusieurs Palais, Cha^teaux, Eglises, Sépultures, Grottes, et Autels ba^tis
dans Paris (Paris, s. d.) di Jean Marot, detto anche il <<petit Marot>>, edito verso la fine del '600.
Questa tipologia del <<pavillon>> a forma di torre di ingresso ricorre nei castelli francesi a
cavallo fra cinque e seicento, da Jacques I du Cerceau al de Brosse, che riprende il lavoro del
primo a Verneuil e ancora nel castello di Montceaux (1600) traducendo gli arbitrii manieristi di du
Cerceau in un potente ordine classico di colonne binate che aggettano dal volume. A
<<Colomier>>, o Coulommier en Brie (1611-14), il de Brosse costruisce il prototipo del padiglione
di ingresso parigino a doppio ordine e cupola la cui pianta è riprodotta dapprima nel <<Grand
Marot>>,
L'Architecture Française, ou Recueil, (s. l. n. d., ma circa 1670) e poi anche nel <<petit>> con in
più il prospetto (). Carlo Fontana potrebbe quindi essersi ispirato al modello francese del
padiglione di ingresso, sostituendo però ai corpi massicci di ordine rustico toscano - un richiamo
al cortile di Pitti imposto da Maria de' Medici - la trasparenza del colonnato berniniano. Il ché
rivelerebbe, nel caso che questa ipotesi fosse vera, una singolare attenzione da parte del
maestro romano al classicismo francese, ormai modello alternativo al barocco romano per
l'Europa protestante. Un omaggio che Bernini aveva tributato nel suo Un omaggio che Bernini
aveva tributato nel suo viaggio in Francia del 1665 visitando il Lussemburgo ().
Contemporaneamente a Bernini sir Christopher Wren (1632-1723 coetaneo quindi di Carlo) era a
Parigi per trarre modelli e iniziare la sua carriera di architetto reale ed ecclesiastico. La Tom tower
all'ingresso del Christ Church college a Oxford (1681) emula il <<Gate of Honour>> del Gonville
and Caius college di Cambridge (1572-73), dove John Caius guidò l'architetto fiammingo
Theodore de Have (Havenius) tenendo in mente il modello della torre cupolata di Padova (sua
città di studi) con il celebre orologio (rifatto nel1473) e con l'arco classico di Falconetto (1532)
posta fra le piazze dei Signori e del Capitaniato. E' vero però che la Tom tower rientra nella
tradizione medievale dell'ingresso fortificato fatta propria dai <<colleges>> in epoca Tudor e che
nel passaggio dalla pianta quadrata alla cupola ottagonale Wren usò il gotico per intonarsi con il
resto dello <<square>>.
• (P. FREART de CHATELOU), Giornale del viaggio di Bernini in Francia, in <<L'italiano>>, XIII, nn. 62-63, 1940, p. 125 in data 1°
luglio. Nel viaggio oltre a Claude Perrault, Bernini incontrò Jean Marot, che poi ne L'Architecture Francoise incise e pubblicò il
definitivo progetto berniniano per il Louvre.
• C. FONTANA, Il Tempio Vaticano e la sua origine...., In Roma, nella Stamparia di Gio: Francesco Buagni, 1694, p. 208. Su questa e altre
opere scritte v. H. HAGER, Osservazioni su Carlo Fontana e sulla sua opera del "Tempio Vaticano" (1694), in, Il barocco romano e l'Europa.
Atti del Corso internazionale di Alta Cultura "Centri e Periferie del Barocco", (22 ottobre-7 novembre 1987), a cura di M. Fagiolo e Maria
Luisa Madonna, voll. 3, I, Roma, Ist. Poligrafico dello Stato, 1992, pp. 84-150; ID, Le opere letterarie di Carlo Fontana come
autorappresentazione, in, "In Urbe Architectus" modelli disegni misure. La professione dell'architetto. Roma 1680-1750, a cura di B.
Contardi, G. Curcio, catalogo della mostra (Roma, 12 dicembre 1991-29 febbraio 1992), Roma, `Argos, 1991, pp. 154-203 e in particolare
pp. 162-171.


• C. FONTANA, Il Tempio Vaticano , cit., p. 208.

• Cfr. H. HAGER, Osservazioni su Carlo Fontana , cit., p. 95 e in particolare n. 47 a p. 124.
• Cfr. F. BORSI, Bernini architetto, Milano, Electa, 1980, pp. 64-69 e 73, tavv. 69, 71, 72, 82.

• C. FONTANA, Il Tempio Vaticano, cit., p. 207.

• Cfr. l'incisione di Alessandro Specchi <<Porta Palatii Vaticani sub Paulo V extructa>> in F. BONANNI, Numismata Summorum
Pontificum Templi Vaticani Fabricam indicantia...., Roma, 1696, , tav. 81
• C. FONTANA, Il Tempio Vaticano, cit., p. 228.
• Ibidem, p. 228.
• Ibidem, p. 229. Si osservi che la pianta dei Palazzi Vaticani di Martino Ferrabosco (1684) pubblicata in F. BONANNI, Numismata,
cit. , p. 225, tav. 86 presenta dietro l'abside della Basilica un accenno di sistemazione a emiciclo del monte Vaticano.
• Cfr. H. HAGER, Osservazioni su Carlo Fontana , cit., p. 95.
• Vedi A. BARGHINI, Juvarra a Roma. Disegni dall'atelier di Carlo Fontana, Torino 1994, fig. 83r.
• C. FONTANA, Il Tempio Vaticano cit., p. 243 e la tavola Pianta del Vaticano moderno anno 1690 a pp. (246-248) non numerate.
• J. B. FISCHER von ERLACH, Entwurf einer Historischen Architectur, Wien 1721, Livre IV, tav. I.
• R. COOPE, Salomon de Brosse and the Development of Classical Style in French Architecture from 1565 to 1630, London 1972,
pp. 41, 54-55, 99-100, 118-119. C'è da notare che il padiglione d'ingresso nella tipologia del <<chateau>> deriva da una
interpretazione moderna del <<donjon>> d'ingresso medievale con ponte levatoio. La prima traduzione moderna si può
considerare l'arco d'ingresso al Chateau di Anet (1547-52) di Philibert de l'Orme, dove però è del tutto assente la torre e la cupola.
• (P. FREART de CHATELOU), Giornale del viaggio di Bernini in Francia, in <<L'italiano>>, XIII, nn. 62-63, 1940, p. 125 in data 1°
luglio. Nel viaggio oltre a Claude Perrault, Bernini incontrò Jean Marot, che poi ne L'Architecture Francoise incise e pubblicò il
definitivo progetto berniniano per il Louvre.
Johann Bernhardt Fischer von Erlach Entwürff einer historischen Architektur 1721
Nel 1721 Johann Bernhardt Fischer von Erlach ha pubblicato la sua maggiore
opera teorica di architettura, una raccolta di incisioni con ampie didascalie in
formato in folio, dal titolo Entwürff einer Historischen Architectur (così il
titolo originale). Fischer aveva elaborato per anni le sue informazioni tratte dalle
più disparate fonti. Era un eccellente disegnatore, e ha anche dato i suoi disegni
a eccellenti incisori di prima classe . Tre sezioni della collezione
sono rappresentazioni di importanti edifici del passato, a cominciare con le Sette
Meraviglie del Mondo. Le fonti erano spesso poco attendibili e Fischer nella sua
ingenuità aveva molte lacune di conoscenza, colmate con aggiunte fantasiose e
ricche di curiosità esotiche riportate da eruditi, missionarie e
viaggiatori. Per quanto riguarda la Cina, usa come modello Joan
Nieuhofs. Nella quarta sezione, riproduce le proprie opere. L’ Entwurff
è considerato la prima storia universale dell' architettura, anche se
la fedeltà storica e archeologica, non erano l'obiettivo primario, a differenza che
nelle opere di Carlo Fontana. Esso era al servizio del rinascente impero
asburgico, come architetto di corte Fischer ha quindi legittimato lo
splendore imperiale con la costruzione di esempi selezionati dalla storia.
L’intenzione du propaganda è rilevata dal bilinguismo tedesco e francese.


Johann Bernhardt Fischer von Erlach Entwürff einer historischen Architektur 1721;
medioriente Stonenge, Palmira.
Johann Bernhardt Fischer von Erlach Entwürff einer historischen Architektur 1721
Giovan Battista Piranesi (1720-78) Architetture e prospettie 1750. Davanti alla crisi dell’ordine
classico di Laugier (1755) Piranesi nelle Antichità romane 1756 è costretto a scrivere una
documentata difesa dell’architettura romana.Poi si risolve polemicamente a riversare le proprie idee
esclusivamente sulla carta. La sua <<coscienza infelice>> deriva dalla impossibilità di detenere e
controllare i processi complessivi di produzione dell’architettura, ma anche dal polverizzarsi della
committenza in punti di riferimento sempre meno chiari, il profilarsi del conflitto artista-società dal
romanticismo alle avanguardie. 

Giovan Battista Piranesi (1720-78) Architetture e prospettive 1750.

Di questa grandiosa costruzione cartacea e immaginativa - ma anche della poderosa distruzionde
dell’universo dei valori dell’architettura <<classica>> - G.B. Piranesi è uno dei massimi esponenti.
Non va dimenticato il ruolo delle accademie di S. Luca e di Francia con i concorsi dai temi grandiosi
e utopici, fuori scala, monumentali

Piranesi Le Antichità romane 1756

Nelle Antichità romane, l’opera più importante e impegnativa vuole dimostrare l’originalità
della architettura romana rispetto alla greca ora conosciuta con viaggi diretti ad Atene e in
Asia minore Leroy 1758 e Stuart e Revett 1762

Piranesi Carceri II 1760. Thomas De Quincey nelle Confessioni di un oppiomane (1822) (trad. it.: Einaudi, Torino
1973) scrisse: <<Molti anni fa, mentre stavo esaminando le Antichità di Roma, di Piranesi, Mr. Coleridge, che mi
era accanto, mi descrisse un insieme di tavole di quell'artista... che registrano lo scenario delle sue visioni durante
il delirio causato da una febbre: alcune di loro (descrivo solo il ricordo dell'esposizione di Mr. Coleridge)
rappresentano un grande ambiente in stile gotico, sul cui pavimento si levava ogni specie di attrezzi e macchinari,
ruote, cavi, pulegge, leve, catapulte, ecc., ecc., che esprimono enorme potenza che cresce e supera le resistenze.
Strisciando lungo i lati delle pareti, potevate percepire una scala; e su di essa, accarezzando il suo percorso verso
l'alto, c'era Piranesi stesso: seguite le scale un po' più su e percepite che arrivate ad una improvvisa brusca
interruzione, senza alcuna balaustra e che non permettere di salire ancora verso lui che aveva raggiunto
l'estremità, tranne che negli abissi sotto... Ma sollevate ancora i vostri occhi e percepite una seconda rampa di
scale più su: sulla quale Piranesi è percepito ancora, ma questo volta si leva in piedi sul bordo stesso dell'abisso.
Sollevate ancora il vostro occhio e si vede un volo più aereo di scale: ed c'è ancora il povero Piranesi occupato ai
suoi lavori di ispirazione: ed e così via, fino che le infinite scale e Piranesi non sono entrambi persi nell'oscurità
dell'ambiente.>>

Piranesi Il Campo Marzio
1762
L’architettura classica qui viene smontata per rappresentare la crisi dell’ordine. La
storia è il materiale le cui forme spettrali vengono combinate e fatte muovere
secondo modalità che non rispecchiano per nulla le loro origini.Nelle tavole non si
rappresenta Roma Antica ma la razionale confusione della metropoli moderna
attraverso l’ horror vacui di segni classici riprodotti in serie per tipi e la
giustapposizione meccanica delle forme. Una città razionale che diventa una
machina inutile come quelle delle avanguardie moderne. D’altro canto gli enormi e
complicati complessi architettonici si chiudono nei loro recinti senza tentare un
dialogo urbano complessivo un po’ come proprio avveniva fra fori, terme, recinti
templari, palazzi e domus di Roma antica. La civiltà romana fu una civiltà
eminentemente urbana; colonie e città di fondazione portarono in tutto l’impero
un’immagine codificata in età augustea e immediatamente riconoscibile
semplificando l’esempio dell’Urbs. La croce di cardo e decumanus, la divisione in
isolati rettangolari sono ereditati dalla città ellenistica, ma alla sequenza di spazi
aperti concatenati e filtrati da portici e propilei trasparenti, Roma sostituisce fori e
spazi sacri conclusi e recintati, indifferenti all’intorno. Il foro, la basilica, il
Capitolium, il macellum, le terme pubbliche, gli isolati collettivi, il teatro e
l’anfiteatro, emporia e horrea la locanda diventano elementi costituenti la vita dei
cittadini romanizzati.
Piranesi, della magnificenza dell’architettura dei romani 1761. monumenti
improbabili e sublimi esprimono un pondus sconosciuto ai Greci e terribilmente
lontano dalle grazie del settecento.
Joseph Michael Gandy (1771–1843. Soane banca d’Inghilterra primi 800

La storia
come
materiale
di
progettazi
one in
questo
caso la
romana
antica
John Soane
casa
propria
1792-22
Dulwich art
gallery
1814

La luce piove e viene


incanalata all’interno
della galleria d’arte o
della casa museo come
nelle rovine ipogee e
negli altari di Bernini visti
a Roma
Jean-Nicolas-Louis Durand (1760 – 1834) è stato un architetto e teorico dell'architettura francese, che influenzò il dibattito
architettonico anche al di fuori dei confini nazionali. Allievo di Étienne-Louis Boullée ed esponente del neoclassicismo, Durand fu per
40 anni insegnante all'École polytechnique. È appunto nei testi che scrisse per i suoi allievi che portò avanti la sua speculazione
teorica. Raccolse le sue lezioni in Prècis des leçons d'architecture (1802-1805) in cui propose un metodo fondato su razionalità e
modularità costruttive e compositive, indirizzando l'architettura verso il funzionalismo.Durand sostieneva che l'architettura non è
un'arte d'imitazione e polemizzava quindi con il mito della capanna proposto da Marc-Antoine Laugier. Pubblicò inoltre: Recueil et
parallèle des édifices de tout genre, anciens et modernes : remarquables par leur beuté, par leur grandeur, ou par leur singularité, et
dessinés sur une même échelle by J.N.L. Durand. pub. l’Imprimerie de Gillé fils; (1799 or 1800). È un museo virtuale di architetture
ordinate per tipo e ordine cronologico fondamentale per tutti gli architetti storicisti dell’ottocento anche per la semplicità schematica di
piante e alzati

J.N.L. Durand Recueil et parallèle des édifices de tout genre, anciens et modernes : remarquables par leur beuté, par leur grandeur,
ou par leur singularité, et dessinés sur une même èchelle . pub. l’Imprimerie de Gillé fils; (1799 or 1800).
Cicognara, Diedo, Selva, le
Fabbriche …di Venezia, 1815-20
Le Fabbriche più cospicue di Venezia…del 1815-1820 è una pubblicazione ufficiale della Accademia di Belle Arti di Venezia presieduta
dallo storico dell’arte Leopoldo Cicognara (Ferrara 1767-Venezia 1834) e condotta dagli architetti Gian Antonio Selva 1751-18 e
Antonio Diedo 1772-1847 patrocinata da Canova e da Napoleone I e poi da Francesco I d’Austria. Una galleria virtuale di edifici
veneziani in ordine storico in prospetti al tratto e piante con dovizia di particolari architettonici che nonostante la regolarizzazione
neoclassica delle architetture soprattutto medievali (la ca’ d’oro per es. resa simmetrica), furono importanti per la diffusione di uno stile
veneziano nell’architettura occidentale.
descrive San Marco come una sintesi straordinaria fra oriente e occidente. “[…] I marmi che dall’Oriente venivano trasportati, ed in
ispecie da’ luoghi ov’erano immediate le relazioni de’ Veneziani, attestano come col commercio e col cambio d’ogni altra ricchezza
succedesse anche un miscuglio ed una specie di comunanza nel gusto delle arti”. Per capire questa sintesi bisogna conoscere
Cordova, Siviglia e Granada, gli edifici saraceni della Sicilia e soprattutto Costantinopoli. “[…] Non trattasi quindi di decadenza o di
corruzione nel gusto, ma vuolsi qui riconoscere uno stile a parte, determinato e unico in tutta l’Italia, che non ha origine da alcun’altra
causa; e quantunque possa da noi opinarsi che lo stile, volgarmente chiamato Gotico, sia derivato esso pure dall’Araba architettura,
giova in tal caso fare la seguente distinzione[…] Stile gotico: origine araba Æ Spagna Æ Normandia Æ Francia Æ Inghilterra Æ
Germania Æ Milano[…]In definitiva un Alessandrino era meno straniero a Venezia di un Lombardo.” (I, 1815, p.7) Infine Cicognara
conclude la sua galleria virtuale della architettura veneziana con l’abside dei santi Maria e Donato a Murano, dove "[…]
Tanto nella forma del totale, come in quello delle singole parti, delle colonne dei capitelli, degli archi, degli ornamenti vi si scorgerà
quantità di punti di contatto con l’araba architettura, più che con qualunque altra di cui rimangano avanzi.” (II, 1820, p.163) Ancora
nel tempietto di Santa Fosca e nella basilica di Torcello Cicognara vede forme “[…]che appartengono ai costumi orientali, come nel
suo viaggio in Levante Tournefort riferisce di aver veduto praticato in un’antica chiesa armena nel castello di Angora (II, p.165).
Santa Fosca inoltre nel suo semplice impianto centrale a falsa cupola è capostipite del modello rinascimentale a quincux di San
Giovanni Elemosinario a Rialto dello Scarpagnino e di San Geminiano di Sansovino. Particolari di architetture codussiane e
lombardesche del primo rinascimento veneziano.
Selvàtico   (Estense Selvàtico), Pietro. - Storico dell'arte e architetto (Padova 1803 - ivi 1880). Studiò legge, pittura e architettura
con G. Japelli. Avversario del neoclassicismo, fu un grande ammiratore dei primitivi e appoggiò quindi con entusiasmo i puristi italiani.
Fra i suoi scritti si ricordano:Sull'architettura e sulla scultura in  Venezia  dal medio evo ai nostri giorni  (1847);Storia estetico-critica
delle arti del disegno (2 voll., 1852-56), la sua opera più importante, che è la raccolta delle lezioni tenute nell'Accademia di Venezia di
cui fu presidente; Scritti d'arte (1859; raccolta di precedenti scritti su monumenti di Venezia, Vicenza, Padova); Le arti del disegno
in Italia (3 voll., in collab. con L. Chirtani e T. V. Paravicini, 1877 e segg.). Fra le opere architettoniche, che testimoniano tutto il suo
entusiasmo per l'arte gotica, la più nota è la facciata (1848) della quattrocentesca chiesa di S. Pietro a Trento, ma forse più completa
è la cappella funebre di Almorò Pisani a Vescovana 1860.

John Ruskin, tipi di archi veneziani dal bizantino,
romanico, lombardo moresco, al gotico; acquerello
della facciata sud di S. Marco.

Ruskin sense
and
sensibility. La
classificazion
e scientifica
positivista e
la poesia
dell’acquerell
o romantico
applicate allo
studio
dell’architettu
ra come a
quello del
paesaggio e
della pittura.
• John Ruskin segue dal punto di vista storico le orme di Selvatico in
Sulla architettura e sulla scultura in Venezia dal Medioevo sino ai
giorni nostri (Venezia 1847) e poi nella Guida Artistica e Storica di
Venezia ... autori P. Selvatico e V. Lazari, Venezia, 1852 citata
esplicitamente da Ruskin nel finale del cap.3 del vol.2 dedicato al
duomo di Murano. L’introduzione storica di Ruskin si fonda sull’opera
degli accademici veneziani facendo seguire all’influsso bizantino
quello arabo, che però si sovrappone senza sostituire il primo per
mescolarsi poi con il romanico lombardo e con il gotico internazionale
creando così quella sintesi singolare e originale che è l’architettura
veneziana.
• Ruskin dedica poi uno dei capitoli più intensi del secondo volume al
duomo dei SS. Maria e Donato a Murano.
• Analizza da geologo il muro dell’abside, leggendone con la
sensibilità critica dello storico dell’arte e dell’architettura (che ne è
parte) quell’ornamento sorprendente che è il fregio a cunei policromi
dove si alternano <<the sculptured or colored stones>>, per
descriverlo con la sua prosa poetica che affascinò Marcel Proust .
John Ruskin,
The stones of
Venice ,
London
1851-53, II,
tavv. III, IV,
V ; Owen
Jones, The
Grammar of
Ornament
1856
Schinkel la storia come
sogno romantico
L’architetto di Dio. August Welby Northmore Pugin 1812-1852 contrasts, la città
gotica e la città industriale, cattolicesimo e gotico dal 1834, John Talbot conte di
Schrewsbury, the Houses of parliament con Barry 1844-52
Eugene
Viollet-le-duc,
Entretiens…
1864. la storia
come maestra
del moderno
Eugène Emmanuel Viollet-le-Duc (Parigi, 27 gennaio 1814 – Losanna, 17 settembre 1879) è stato un architetto francese,
conosciuto soprattutto per i suoi restauri degli edifici medioevali. Fu una figura centrale tanto nell'architettura neogotica in Francia,
quanto nel pubblico dibattito sull'"autenticità" in architettura, che infine trascese tutti i revival, permeando lo spirito emergente
del Modernismo.

Figlio di un alto funzionario, i suoi amici d'adolescenza furono l'autore Charles Augustin Sainte-Beuve o anche Prosper Mérimée.
All’inizio del 1830 sorse in Francia un movimento per il restauro del consistente patrimonio medioevale. Prosper Mérimée diede
l'incarico a Viollet-le-Duc, architetto boudé i Beaux-Arts di ritorno di un viaggio di studi in Italia, per restaurare l'abbazia di Vézelay
nel 1840. Questo lavoro segnò l'inizio di una lunga serie di restauri.

Durante tutta la sua carriera, prenderà note e schizzi, non soltanto delle costruzioni sulle quali lavorava, ma anche delle
costruzioni romane, gotiche e rinascimentali che dovevano essere presto demolite. Il suo studio del periodo medioevale e del
rinascimento non si è limitato all'architettura: si interessò anche ai mobili, agli abiti, agli strumenti musicali, all'armamento... Il suo
punto di vista sul restauro è notevole e si oppone alla semplice conservazione. «restaurare una costruzione, ciò non è mantenerlo,
ripararlo o rifarlo, è ristabilirlo in uno stato completo che può non essere mai esistito fino a quel momento» articolo "restauro" del
dizionario ragionato dell'architettura francese, 1856 in applicazione di questi principi, Viollet-le-Duc modificò irrimediabilmente molti
monumenti, cosa che spiega come il suo stato d’animo fosse spesso contrastato, ma questo permise spesso di salvarli.

È così storico e soprattutto teorico dell'architettura. A questo titolo, tenterà di imporsi al quadro di comando di storia dell'architettura
dell'Ecole Nationale Supérieure degli Beaux-Arts di Parigi (esperienza inutile, a causa di orme cabale da parte di Julien Guadet -
che prenderà il suo posto - e da parte di Jean-Louis Pascal). Sarà in seguito, in opposizione contro l'insegnamento della via
Bonaparte, all'origine della creazione della scuola speciale d'architettura, boulevard Raspail. Le sue idee ispirarono numero dei
suoi contemporanei, dei creatori dell'arte nuova alla svolta dello XX secolo e trovarono anche una nuova diffusione attraverso
realizzazioni recenti. Uomo dalle amicizie illustri, il suo nome è stato associato agli eccessi del romanticismo, - fare Viollet-Leduc -
aveva, fino alla fine dello XX secolo, connotazioni péjoratives che i congressi ed esposizioni presentati in occasione del centenario
della sua morte nel 1979 hanno contribuito ad attenuare.

Eugéne Viollet-le-Duc, La Madelaine a Vezelay, St. Sernin a Tolosa, St. Denis
Paris
Choisy, François-Auguste. - Ingegnere e storico dell'architettura francese
(Vitry-le-François 1841 - ivi 1909). Ingegnere capo e prof. di architettura alla
École des ponts et chaussées, scrisse una Histoire de l'architecture(1899),
attenta soprattutto all'analisi dei materiali e delle tecniche costruttive, riflesso
di una tecnologia in continuo progresso, espressa soprattutto con tavole
assonometriche. 

Auguste Choisy 1899. l’indagine storica positivista. analisi della struttura per
spaccato assonometrico del Pantheon, basilica di Massenzio e S. Sofia
Camillo Boito SS. Maria e Donato Murano 1858, porta Ticinese Milano 1861, le
patine della storia.
Gustavo Giovannoni 1930 città vecchie ed
edilizia nuova. Documento ed edificio
l’architetto storico nella scia di Boito, ma
positivismo da ingegnere sulla scia di
Choisy ma anche da storico dell’arte
nonostante la polemica con Adolfo Venturi
di cui era stato allievo.
Architettura moderna Adolf Behne (nato il 13 luglio, 1885 in Magdeburg - è morto 22 agosto 1948) è stato un critico,
storico dell'arte, scrittore d’architettura, animatore artistico. Era uno dei leader delle avanguardie nella Repubblica di Weimar.

Behne studiò brevemente architettura e storia dell'arte a Berlino. Si unì al Werkbund tedesco e fu un faro per gli artisti nel 1918. Nel 1913
scrivendo su Bruno Taut, Behne coniò il termine "architettura espressionista", e presto divenne uno dei promotori più importanti
dell'espressionismo. Era vicino ai membri del collettivo di artisti Magdeburgo 'la palla' riuniti per creare nuova sintesi tra arte e architettura. Egli
fu influenzato dagli scritti di Jakob von Uexkull. Uexküll definisce l'ambiente come il mondo percettivo in cui un organismo esiste e agisce
come un soggetto. Studiando come i sensi di vari organismi, come le zecche, i ricci di mare, le amebe, le meduse e i vermi di mare si
comportano, fu in grado di costruire teorie di come essi avevano esperienza del mondo. Poiché tutti gli organismi percepiscono e
reagiscono ai dati sensoriali come segni, Uexküll pensò che devono essere considerati come soggetti viventi. Questo argomento è stato la
base per la sua teoria in cui le caratteristiche di esistenza biologica("vita") non potevano essere semplicemente descritte come una somma
delle loro parti inorganiche , ma dovevano essere descritte come soggetti e parti di un sistema di segni (biosemeotica).

Ha insegnato presso l'Università di Berlino fino al 1933. Tra il 1945 e il 1948 è stato professore presso l'Università Nazionale delle Belle Arti
(Staatlichen Hochschule für Bildende Kunst Berlin) e appartenne al gruppo “der Ring”.

Come architetto raramente realizzò i suoi progetti. Tuttavia, tra il 1932 e il 1936 costruì l'edificio della hall della stazione principale di
Düsseldorf.


• Behne, Adolf 1913. Bruno Taut. Pan 3(23) (Mar. 7, 1913): 538-540.

• Behne, Adolf 1914/1915. Biologie und Kubismus. Der Sturm 5(11/12), 68–71.

• Behne, Adolf 1919. Die Wiederkehr der Kunst. Kurt Wolff, Leipzig. Reprint: Kraus, Nendeln/Liechtenstein, 1973; Gebr. Mann,
Berlin, 1998.

• Behne, Adolf 1926. Der moderne Zweckbau. Drei Masken Verlag, Vienna/Berlin. Reprint: Der moderne Zweckbau. Ullstein
Bauwelt Fundamente, Frankfurt am Main / Berlin, 1964; and Gebr. Mann Verlag, Berlin 1998. Translated as Modern Functional Building, ed. &
intro. Rosemarie H. Bletter. Getty, Oxford UP, Santa Monica, 1996.

• Behne, Adolf 1927. Neues Wohnen - Neues Bauen. Hesse & Becker, Leipzig.

• Behne, Adolf 1928. Eine Stunde Architektur. Stuttgart. Neuausgabe Berlin 1984

• Behne, Adolf 1994. Architekturkritik in der Zeit und über die Zeit hinaus: Texte 1913 - 1946. Herausgegeben von Haila Ochs.
Basel, Boston, Berlin: Birkhäuser-Architektur-Bibliothek.

• Behne, Adolf 1998. Schriften zur Kunst. Ed. & postscript Cornelia Briel. Berlin: Gebr. Mann.

• Bohm, Arnd 1993. Artful Reproduction: Benjamin's Appropriation of Adolf Behne's `Das reproduktive Zeitalter' in the Kunstwerk
Essay. The Germanic Review68(4): 146-155.

• Bushart, Magdalena, ed. 2000. Adolf Behne. Essays zu seiner Kunst- und Architektur-Kritik. Berlin: Gebr. Mann.

• Gutschow, Kai Konstanty 2005. "The culture of criticism: Adolf Behne and the development of modern architecture in Germany,
1910-1914 /." Ph.D. diss., Columbia University.

• Lindner, Bernd 1992. 'Auf diesen Berg...' Adolf Behne - Vermitter der Moderne. In: Avantgarde und Publikum. Zur Rezeption
avantgardistischer Kunst in Deutschland 1905-1933, ed. Henrike Junge. Cologne, Weimar, Vienna: Böhlau, pp. 7–15.

• Mertins, Detlef 1997. Transparencies Yet to Come: Sigfried Giedion and Adolf Behne. A + U 10(325) (Oct. 1997): 3-17.

• Schwartz, Frederic J. 1998. Form Follows Fetish: Adolf Behne and the Problem of Sachlichkeit. Oxford Art Journal 21(2): 45-77.



adolf behne:

von kunst zur
gestaltung

arbeiterjugend-
verlag, berlin,
1925

size: 21 x 14 cm

designer: oskar
fischer (jacket)

Tra agosto e settembre 1922 si svolge intanto la prima
grande mostra del Bauhaus, voluta anche dalla
municipalità per verificare il lavoro sinora svolto. Sono anni
di gravissima crisi economica in Germania, con l'inflazione
alle stelle. Gropius riesce ad approntare in pochi mesi un
prototipo abitativo, Am Horn, progettato su un'idea di
Georg Muche, a seguito di un concorso interno. È una
casa semplicissima e goffa nella distribuzione, che si
sviluppa forzatamente a partire da un vano centrale. Le
linee denunciano una ricerca orientata non più verso
l'espressionismo, come la Sommerfeld, ma verso il
razionalismo.


Osserva acutamente il critico Adolf Behne:


La mostra soffre, io credo, perché ha luogo in un momento
nel quale il Bauhaus sta cambiando. La nuova attitudine
verso un rapporto con la tecnologia, e cioè la
standardizzazione, comincia a vedersi ma ancora non ha
assunto consistenza. [...] La casa Am Horn si muove tra
tutte queste difficoltà, come un oggetto senza interesse e
potenzialità conoscitive. È per metà lussuosa e per metà
primitiva; per metà ideale e per metà storica; per metà
artigianale e per metà industriale; per metà standardizzata
e per metà no. In nessun modo è pura e convincente, ma
sembra un oggetto estetizzante rimasto sulla carta.

Gustav Adolf Platz (nato il 21 novembre 1881 a Cracovia (Wroclaw) , † 13 settembre 1947 a
Mannheim) è stato un architetto tedesco.

Dal 1909 in poi ha lavorato con Fritz Schumacher ad Amburgo. Nel 1913 entra a far parte del
dipartimento di pianificazione della città di Mannheim, dove fu 1923-1932 Direttore di
Urbanistica. Oltre alla sua opera architettonica, ha scritto diversi libri di architettura
contemporanea e moderna. Dal 1932 lavorò come libero professionista a Berlino ma prima del
1942, tornò a Mannheim funzionario nell'amministrazione della edilizia urbana.

Nel 1927 pubblicò Die Baukunst der neuesten Zeit, L'architettura dei tempi moderni, un panorama
completo delle costruzioni e dell’architettura di quegli anni nella bella e prestigiosa Propyläen
Kunstgeschichte Storia dell’arte Propilei. Fu il primo tentativo di una visione generale della storia
dell'architettura moderna - dai suoi predecessori nell'ingegneria di fine 19esimo secolo alle
recenti manifestazioni della "nuova architettura" in Germania.

A causa dell’ interesse per l’argomento il libro ottenne un grande successo e fu necessaria una
nuova edizione di 5000 copie. Nella nuova edizione del 1930 Platz ha colto l'occasione per una
revisione ampia della sua opera estesa a comprendere l'architetti e opere al di fuori dei paesi di
lingua tedesca, in particolare in Francia e nei Paesi Bassi. Egli è stato anche in grado di
aggiornarla con le opere moderne sorte nel frattempo - dal Weissenhofsiedlung di Stuttgart alle
siedlungen di Berlino al Padiglione di Barcellona di Mies Ludwig Mies van der Rohe. Ha anche
offerto un esame critico delle idee radicali (Le Corbusier), accolte come esperimenti interessanti,
ma, rifiutati come dogmi eccessivamente costrittivi. 

A differenza delle successive, parziali, selettive e dogmatiche storie di Pevsner e Giedion, volte a
celebrare solo una parte del movimento, l’opera di Platz illustra un panorama articolato, completo
e oggi rivalutato dalla storia più recente.



Taut monumento al ferro Lipsia 1913, Theodor Fischer chiesa evangelica, Ulm 1911
Behrens padiglione linoleum Dresda 1906 e Stoffregen fabbrica, Tessenow sala casa a Hellerau
1910-13
Taut unione editoriale Berlin 1925
Alberto Sartoris cappella a Loutier in Svizzera 1932
Gli elementi dell'architettura funzionale. Sintesi panoramica dell'architettura moderna,
Milano 1932
, Milano 1944
Encyclopédie de l'architecture nouvelle, Milano 1948
Léonard architecte, Paris 1952
Linee Parallele - razionalismo e astrattismo a Como negli anni Trenta, Fidia edizioni
Alberto Sartoris


Architetto e scrittore, nato a Torino il 2 febbraio 1901. Sartoris fu uno degli iniziatori del movimento
razionalista italiano. Studiò all'Ecole des Beaux-Arts di Ginevra e all'Ecole des Beaux-Arts di Parigi,
diplomandosi rispettivamente nel 1919 e nel 1923. 

A partire dagli anni '20 Sartoris svolse un'intensa attività di teorico propagandista della cultura
razionalista. Nel 1932 Milano l'architetto pubblicò la sua opera capitale, Elementi dell'architettura
funzionale, studio degli sviluppi dell'architettura contemporanea.

Durante gli anni Venti Sartoris si trasferì a Torino, dove iniziò la sua attività professionale, diventando
discepolo di Annibale Rigotti e di Raimondo d'Aronco. Sempre a Torino collaborò con il pittore Felice
Casorati.

Di questo periodo rimangono gli studi di Sartoris per la progettazione architettonica e urbanistica del
Piazzale dello Stadio di Torino, quelli per un complesso di edifici d'abitazione e uffici a Orbassano e
per il Palazzo delle Belle Arti di Milano.

A Ginevra Sartoris progettò un complesso di cellule operaie su palafitte, richiamando la sua azione per
il logement social e il Teatro d'Avanguardia. Membro del Miar e fondatore del Cirpac (Congressi
Internazionali per la Risoluzione del Problema Architettonico Contemporaneo), nel 1932 Sartoris tenne
a Milano una mostra personale di architettura.

Negli anni seguenti, insieme a Felice Casorati, ideò la macelleria-modello per la via commerciale alla
Biennale di Monza del 1927; disegnò alcuni mobili e progettò e allestì il teatro privato di Casa Gualino
a Torino.

Sartoris non interruppe mai i suoi rapporti con l'ambiente culturale di Ginevra, collaborando con riviste
del settore, il "Werk/oeuvre" e il "Das neue Frankfurt", e partecipando all'organizzazione di esposizioni,
come quella degli Artisti Italiani Contemporanei.

Nel 1928 progettò l'edificio delle comunità artigiane fasciste per l'esposizione torinese. Diventò
membro fondatore del 1° Congresso Internazionale di Architettura Moderna, al castello di Madame de
Mandrot, a la Sarraz.

Negli anni seguenti l'attività professionale di Sartoris proseguì con conferenze in Argentina, la
progettazione della città satellite operaia di Rebbio e del quartiere popolare di via Anzani a Como
(1938-39), in collaborazione con Terragni.

Nel 1972 Sartoris ritornò a Torino, diventando membro onorario del Circolo della Stampa e del
municipio della città nel 1980 e 1981.

L’elegante volume di Hoepli con prefazione di le Corbusier rappresenta un
primo panorama della architettura moderna in Europa e probabilmente fu di
modello per Hitchkok e Philip Johnson per la mostra al MOMA International
Style del 1936. Esce nel 1932 in sintonia con l’affermarsi dell’architettura
moderna in Italia e la sua adozione da parte del fascismo. Nella breve
introduzione Sartoris cita Sant’Elia e afferma che dopo Antonelli è il primo
architetto italiano moderno. Copertina di Gli elementi dell'architettura
funzionale. Sintesi panoramica dell'architettura moderna, Milano Hoepli
1932, assonometria della chiesa di Nôtre-Dame-du-Phare, foto con
Marinetti a Ginevra nel 1933.

Dal barocco al moderno, la scoperta dell’archeologia
industriale e la rivalutazione dell’architettura inglese dell’
ottocento e in particolare vittoriana ed edoardiana, la sua
difesa e la sua conservazione

« Una rimessa di biciclette è un edificio. La Cattedrale di Lincoln è un'opera di architettura »



(Nikolaus Pevsner, 1943)

Sir Nikolaus Pevsner (Lipsia, 30 gennaio 1902 – Londra, 18 agosto 1983) è stato uno storico dell'architettura e storico
dell'arte inglese di origine tedesca, specializzato nella storia dell'architettura. È conosciuto soprattutto per la monumentale
serie di 46 volumi sull'architettura britannica regione per regione (The Building of Englan, 1951-1974) uno dei più importanti
testi in tale argomento del XX secolo.

Figlio di un mercante di origine ebraica, nacque a Lipsia in Sassonia. Studiò storia dell'arte alle università di
Lipsia, Monaco, Berlino e Francoforte sul Meno, poi lavorò alla Galleria di Dresda e insegnò all'Università
di Gottinga (1929–1933). Sebbene avesse apprezzato l'architettura del primo periodo della Germania nazista, a causa
delle sue origini dovette trasferirsi in Inghilterra nel 1934, dove insegnò nelle università
di Londra, Oxford, Birmingham e Cambridge. Divenne cittadino inglese nel 1946.

Oltre che per il The Buildings of England, è conosciuto per aver ideato e pubblicato la serie dei Pelican History of
Art (dal 1953), composta da singoli volumi ormai entrati nella bibliografia classica sulla materia.

Nel 1958 fu tra i fondatori della Victorian Society, organismo nazionale inglese per la protezione e lo studio dell'architettura
vittoriana ed edoardiana e delle altre arti. Fu anche uno dei primi membri del Georgian Group, fondato nel 1937. Morì a
Londra. 

Vedi http://www.pevsnerinfo.cswebsites.org/

Academies of Art, Past and Present (1940)

An Outline of European Architecture (1943)

Pioneers of Modern Design (1949; originariamente pubblicato con il titolo Pioneers of the Modern Movement nel 1936)

The Buildings of England (1951-74)

The Englishness of English Art (1956)

Nicolaus Pevsner Pioniers of modern architecture1936
Sigfried Giedion 1932, ingegneria nuovi materiali e tecniche e architettura moderna,
la scuola di Chicago
Siegfried Giedion (Praga, 14 aprile 1888 – Zurigo, 10 aprile 1968) è stato uno storico dell'architettura, storico dell'arte e critico
dell'architettura svizzero.

Si laureò in ingegneria a Vienna nel 1913. Studiò poi storia dell'arte a Monaco di Baviera con Heinrich Wölfflin. Fu tra i fondatori
dei CIAM, dei quali fu anche segretario generale. Insegnò al MIT ed all'Università di Harvard dove diventò preside della Scuola di
Design. I suoi numerosi libri hanno avuto una grande influenza, in particolare Spazio tempo e architettura pubblicato nel 1941.

Spätbarocker und romantischer Klassizismus, München 1922

Space, Time and Architecture. The Growth of a new tradition, Cambridge (Mass.) 1941 (trad. it. Spazio tempo e architettura, lo
sviluppo di una nuova tradizione, Hoepli, Milano 1954)

Mechanization takes Command. A Contribution to Anonymous History, Oxford 1948 (trad. it. L'era della meccanizzazione, Milano
1967)

Walter Gropius, Zürich 1954 (trad. it. Walter Gropius, l'uomo e l'opera, Milano 1954)

con Robert Burle Marx, Neuere Arbeiten des Brasilianischen Gartengestalters, Zürich 1956

Breviario di Architettura, 1958

H. Labrouste, Paris 1960

The Work of E. A. Reidy, Teufen 1960

Sigfried Giedion 1932, Perret, rue
Franklin 1902-04, contamin
Dutert gallerie des machines
1889
Sigfried Giedion 1932, Hallidie builing st Francisco,, Wright larkin Building
Buffalo 1904, burnh & Rot Reliance building Chicago 1890
Labrouste bibliotheque imperiale Paris 1865 tour Eifel, Gropius Fagus werk 1911
Perret, garage rue Marboef Paris 1929,
Lewis Mumford (Flushing, 19 ottobre 1895 – Amenia, 26 gennaio 1990) è stato un urbanista e sociologo statunitense.

Culturalmente legato a Patrick Geddes, Ebenezer Howard, Henry Wright, Raymond Unwin, Richard Barry Parker, Patrick
Abercrombie, Matthew Nowicki, a sua volta molto amato e spesso citato da Erich Fromm.

Si è occupato soprattutto, in un'ottica storica e regionalista, della Città e del territorio influenzando anche il pensiero di Colin
Ward; da rilevare in particolare le sue analisi a proposito di Utopia (con l'importante evidenziazione del significato di Eutopia),
sulla Città giardino e la collaborazione all'attuazione della New town inglese. Affrontò inoltre il tema della funzione simbolica e
dell'espressione artistica nella vita dell'uomo.

Lewis Mumford, La condizione dell'uomo, tit ori.: Conditio of man; collana: Tascabili Bompiani; 2 vol.: 1° - Uomo, sec. XX, 2° -
Civiltà e ambiente umano; trad.: A. Mondin, Milano, Bompiani, 1977, pp. 523 (complessive).

Lewis Mumford, Storia dell'utopia, collana: Virgolette; trad. R. D'Agostino, Roma, Donzelli, 2008, pp. 225. ISBN 8860362040

Lewis Mumford, M. Rosso, P. Scrivano (a cura di), La cultura delle città, collana: Biblioteca Einaudi, Torino, Einaudi, 2007, pp.
522. ISBN 880618704X

Lewis Mumford, La città nella storia, collana: Tascabili. Saggi; 3 volumi, Milano, Bompiani, 2002, pp. 564. ISBN 8845252795 

Lewis Mumford, Arte e tecnica, collana: Universale ETAS (28); trad. di Enrica Labo, Mario Labo, Milano, ETAS, 1980, pp. 155.

Lewis Mumford, Il pentagono del potere, tit. orig.: Pentagon of power; collana: Gutenberg & Company; traduzione di Marina
Bianchi; 2 voll., Milano, Il saggiatore, 1973, pp. 664.

Henry-Russell Hitchcock (1903-1987) è stato il principale storico dell'architettura americano della sua generazione. A lungo tempo
professore allo Smith College e New York University, è più noto per gli scritti che hanno contribuito a definire l’architettura
moderna.

Henry-Russell Hitchcock è nato a Boston e ha studiato presso la Scuola di Middlesex e la Harvard University, conseguendo il
AB nel 1924 e la sua M.A. nel 1927.

Nei primi anni ‘30, su richiesta di Alfred Barr, Hitchcock ha collaborato con Philip Johnson (e Lewis Mumford) alla mostra
"Architettura moderna: Mostra Internazionale" presso il Museum of Modern Art (1932), la mostra che ha presentato il nuovo "stile
internazionale" dell’ architettura europea al pubblico americano. Il libro di Hitchcock e Johnson, The International Style:
Architecture Since 1922 è stato pubblicato in contemporanea con la mostra al MOMA.

Quattro anni più tardi libro di Hitchcock, L'architettura di HH Richardson e il suo tempo (1936) ha riportato alla luce l’architetto
americano Henry Hobson Richardson sostenendo che le lontane radici del modernismo europeo in realtà si trovano negli Stati
Uniti. Ne la natura dei materiali (1942) Hitchcock ha continuato a sottolineare le radici americane della architettura moderna,
concentrandosi sulla carriera di Frank Lloyd Wright.

Hitchcock ha insegnato in un certo numero di college e università, ma soprattutto allo Smith College (dove fu anche direttore dello
Smith College Museum of Art 1949-1955). Nel 1968 si trasferisce a New York City e successivamente ha insegnato presso l'Istituto
di Belle Arti, New York University. Ha anche insegnato alla Wesleyan University, Massachusetts Institute of Technology, Yale
University, Harvard University e Università di Cambridge. Nel corso della carriera di Hitchcock, ha prodotto più di una dozzina di
libri di architettura. La sua architettura: secoli XIX e XX (1958) è uno studio esaustivo di oltre 150 anni di architettura che è stato
ampiamente utilizzato come libro di testo in corsi di storia dell'architettura dal 1960 al 1980, ed è ancora oggi un utile riferimento.

Era inoltre un membro fondatore di The Victorian Society in Gran Bretagna e il primo il presidente della società vittoriana in
America. Importante organizzazione per la tutela e conservazione di capolavori architettonici dell’ottocento e del novecento in gran
parte demoliti nei paesi anglosassoni. Uno dei Premi letterari della società è il "Henry-Russel Hitchcock Award". Il 'Premio Alice
Davis Hitchcock "della Society of Architectural Historians prende nome dalla madre di Hitchcock.

Hitchcock era gay, uno dei tanti uomini gay nel campo delle arti e delle scienze umane uscito da Harvard. Hitchcock è morto di
cancro all'età di 83

Hitchcock si focalizzava principalmente sugli aspetti formali del design e considerava l’architetto come individuo il
principale artefice determinante la storia dell'architettura. Il lavoro di Hitchcock tendeva a sminuire il ruolo di più ampie
forze sociali. Egli è stato a volte criticato per aver impostato la sua storia su "grande uomini" o sull’approccio
"genealogico".

• Hitchcock, Henry Russell, American Architectural Books: A List of Books, Portfolios, and Pamphlets on
Architecture and Related Subjects published in America before 1895, University of Minnesota Press, Minneapolis 1962

• Hitchcock, Henry-Russell, Architecture: Nineteenth and Twentieth Centuries, Penguin Books, Baltimore
1958; second ed. 1963; fourth ed. Penguin Books, Harmondsworth England, and New York 1977, ISBN 0140561153

• Hitchcock, Henry-Russell, The Architecture of H. H. Richardson and His Times, Museum of Modern Art,
New York 1936; second ed. Archon Books, Hampden CT 1961; MIT Press, Cambridge MA 1966 [paperback]

• Hitchcock, Henry-Russell, Boston Architecture, 1637-1954; including Other Communities within Easy
Driving Distance, Reinhold Pub. Corp., New York 1954.

• Hitchcock, Henry Russell, and Drexler, Arthur, editors, Built in USA: Post-war Architecture, Museum of
Modern Art (Simon & Schuster), New York 1952.

• Hitchcock, Henry Russell, Early Victorian architecture in Britain, Yale University Press, New Haven 1954

• Hitchcock, Henry-Russell, German Renaissance Architecture, Princeton University Press, Princeton NJ
1981, ISBN 0691039593

• Hitchcock, Henry-Russell, In the Nature of Materials, 1887-1941: The Buildings of Frank Lloyd Wright,
Duell, Sloan and Pearce, New York 1942; Da Capo Press, New York 1975 (paperback), ISBN 0306800195

• Hitchcock, Henry-Russell, and Hitchcock, Philip C., The International Style: Architecture since 1922, W. W.
Norton & Company, New York 1932, second edition 1966; reprint of 1932 edition 1996, ISBN 0393036510

• Hitchcock, Henry Russell, Latin American Architecture since 1945, Museum of Modern Art, New York 1955

• Hitchcock, Henry-Russell, Modern Architecture in England, Museum of Modern Art, New York 1937

• Hitchcock, Henry-Russell, Modern Architecture: Romanticism and Reintegration, Payson & Clarke Ltd.,
New York 1929

• Hitchcock, Henry-Russell, and others, The Rise of an American Architecture, Praeger in association with
the Metropolitan Museum of Art, New York 1970.

• Hitchcock, Henry-Russell, Rococo Architecture in Southern Germany, Phaidon, London 1968, ISBN
0714813397

• Hitchcock, Henry-Russell, and Seale, William, Temples of Democracy: The State Capitols of the U.S.A.,
Harcourt Brace Jovanovich, New York 1976, ISBN 0151885362


H. Russel Hitchkock alla Victoria Soc con J.O. 1975,opere; Richard
Neutra, Wie baut Amerika? 1927, Amerika 1930
Heinrich Wölfflin (Winterthur, 21 giugno 1864 – Zurigo, 19 luglio 1945) è stato uno storico dell'arte svizzero. La caratteristica del
lavoro di Wölfflin fu la classificazione dei principi pittorici che influenzarono lo sviluppo dell'analisi formale nella storia dell'arte del XX
° secolo.

La sua formazione avvenne prima a Basilea con Jacob Burckhardt, poi a Berlino presso Wilhelm Dilthey. A Monaco svolse il suo
dottorato con la dissertazione Prolegomena zu einer Psychologie der Architektur, 1886 (tradotta in italiano col titolo Psicologia
dell'Architettura, Venezia 1985). Tra il 1886 e il 1887 fu a Roma dove elaborò la tesi per la libera docenza, Rinascimento e
Barocco, München 1888, tradotta in italiano nel 1928 e ristampata nel 1988; in questa cerca di ricostruire la trasformazione del
linguaggio rinascimentale in quello barocco, sottolineando il residuo classicista che dall'epoca rinascimentale passa a quella
barocca.

Nel 1893 succedette a Burckhardt nella cattedra di storia dell’arte di Basilea. Del 1899 è L’arte classica. Dal 1901 al 1912 insegnò a
Berlino come successore di Herman Grimm. Del 1905 è Die Kunst Albrecht Dürers, in cui, partendo dall'opera del Dürer, passa
all'analisi dei rapporti tra il Nord e Sud europa, affiancandoli con l’analisi delle costanti stilistiche nazionali. Dal 1912 al 1923 insegna
a Monaco. Del 1915 è Principi fondamentali della storia dell'arte, München. Dal 1924 in poi insegna a Zurigo. Del 1921 è Italien und
das deutsche Formgefühl. Die Kunst der Renaissance, München.

Del 1914 è Wie man Skulpturen aufnehmen soll (Probleme der italienischen Renaissance), in «Zeitschrift fuer bildende Kunst»,
XXVI; del 1921 è Das erklären von Kunstwerken, Leipzig; infine del 1943 è Gedanken zur Kunstgeschichte, Basilea.]

Con il saggio Concetti fondamentali , di impianto prevalentemente metodologico e volto a ricostruire gli schemi dello sviluppo
stilistico, tenta di trovare delle leggi di fondo a una «storia dell’arte senza nomi», dividendo lo sviluppo stilistico in cinque coppie
polari:lineare/pittorico; rappresentazione in piano/rappresentazione in profondità; forma chiusa/forma aperta; molteplicità/unità;
chiarezza assoluta/chiarezza relativa

Gli schemi sono un tentativo di descrivere la «vita» e la «forza» delle forme, «fonti del piacere e della rappresentazione», quelle
forme che «senza certamente sottrarsi al condizionamento esterno, risultano però dotate di autonomia e di capacità condizionante e
compenetrano la vita spirituale».

1886 - Prolegomena zu einer Psychologie der Architektur

1888 - Rinascimento e Barocco

1899 - L'Arte classica. Introduzione al Rinascimento italiano.

1914 - Wie man Skulpturen aufnehmen soll (Probleme der italienischen Renaissance)

1915 - Principi fondamentali della storia dell' arte

1921 - Das erklären von Kunstwerken

1931 - Italien und das deutsche Formgefühl. Die Kunst der Renaissance

1943 - Gedanken zur Kunstgeschichte

I suoi studi partono dall’anallisi dell’architettura e partendo dal barocco arrivano all’arte e all’architettura moderne. Le forme per la
prima volta sono autonome dalla storia, dalla cultura, dalla società dagli autori stessi. Partire dall’opera e leggerla sopra e al di fuori
delle ideologia, autonomia della storia dell’arte. Pericolo del puro visibilismo.


Come fa l’architettura a essere espressione di uno stato d’animo? Com’è possibile che forme architettoniche incarnino
qualcosa di spirituale? Eppure non solo il profano senso comune, ma gli stessi storici dell’arte non hanno esitato a
caratterizzare epoche e popoli attraverso le loro architetture.

Fu a partire da questa domanda che, nel 1886, lo storico dell’arte Heinrich Wölfflin si mise a indagare la possibilità di
riconoscere leggi psicologiche anche nella storia dell’arte, raccogliendo il pensiero degli studiosi tedeschi di estetica, storia
dell’arte e architettura del XVII e XIX secolo, tra cui Schopenhauer, Goethe, Burckhardt, Semper, Vischer.

Secondo Wölfflin, da sempre affascinato dall’esattezza delle scienze naturali, sarebbe la nostra stessa organizzazione fisica
di uomini dotati di un corpo, che sa fare esperienza dell’ambiente che lo circonda e delle sue caratteristiche quali il freddo, il
peso o la luce, a renderci capaci di apprezzare il mondo delle forme.

A partire dall’analisi di questa organizzazione e delle sue leggi, l’autore cerca quindi di individuare i principi della nostra
comprensione delle forme architettoniche, finendo per offrire, in questo libro, un’analisi ancora oggi profondamente
innovativa dell’architettura e dei suoi effetti sulle sensazioni e sulle emozioni degli esseri umani.

Emil Kaufmann (Vienna, 1891 – Cheyenne, 1953) è stato uno storico dell'arte e storico dell'architettura austriaco, noto
soprattutto per i suoi studi sull'architettura neoclassica.Aveva studiato all'Università di Innsbruck ed all'Università di Vienna dove,
sotto la guida di Max Dvořak, aveva preparato la tesi su Claude-Nicolas Ledoux e l'estetica del neoclassicismo. L'interesse dello
studioso per Ledoux aveva preso origine dalla consultazione che fece di una copia del trattato L'architecture presso l'Accademia
di belle arti di Vienna. Dopo l'Anschluss, Kaufmann, essendo ebreo, emigrò negli USA. Qui aveva insegnato la storia dell'arte in
diverse università ed aveva continuato i suoi studi sull'architettura del 700 ed in particolare dell'Illuminismo. Von Ledoux bis Le
Corbusier, Leipzig-Wien, 1933 (trad. it., Da Ledoux a Le Corbusier, Mazzotta, Milano, 1973).Architecture in The Age of Reason.
Baroque and Post-Baroque in England, Italy and France, Cambridge, 1953 (trad. it., L'architettura dell'illuminismo, Einaudi,
Torino, 1966)

Nel 1968 i suoi testi furono tradotti, pubblicati e letti in Italia e nel mondo occidentale.
Rudolf Wittkower (Berlino, 22 giugno 1901 – New York, 11 ottobre 1971) è stato uno storico dell'architettura e saggista tedesco.

Il padre di Wittkower, Henry Wittkower, era un britannico che viveva in Germania. Rudolf Wittkower studiò un anno architettura a
Berlino, poi decise di studiare storia dell'arte a Monaco da Heinrich Wölfflin. Ma il rapporto con Wölfflin non andò bene e Wittkower
tornò a Berlino e studiò presso Adolph Goldschmidt. La sua tesi fu su Domenico Morone e sulla pittura veronese del Quattrocento.

A Londra fu impiegato presso il Warburg Institute. 

Bernini: The sculptor of the Roman Baroque (1955)

Born under Saturn: The character and conduct of artists (1963) con Margot Wittkower, ed. italiana Nati sotto Saturno, Giulio
Einaudi Editore, Torino, 1968,1996.

Alegory and the Migration of Symbols (1977), ed. italiana Allegoria e migrazione dei simboli, Giulio Einaudi Editore, Torino 1987.

Sculpture - Processes and Principles (1977).

Nel 1949 pubblicò Architectural Principles in the Age of Humanism, il suo capolavoro. Architectural Principles in the Age of
Humanism (1949), ed.italiana Principi architettonici nell'età dell'umanesimo, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1964.

Pochi libri come questo furono così importanti per gli architetti. Alberti e Palladio il neoplatonismo di Marsilio Ficino e la corte di
Lorenzo il Magnifico; così Art and Architecture in Italy, 1600-1750 (1958), ed.italiana Arte e architettura in Italia : 1600-1750, Giulio
Einaudi Editore, Torino, 1972.

per la prima volta colma magistralmente il divario fra architettura, scultura e pittura apertosi con le avanguardie e la condanna
dell’ornamento da parte del movimento moderno.
« No all'architettura della repressione, classicista barocca dialettale. Si all'architettura della libertà, rischiosa antidolatrica creativa. »

(Bruno Zevi, Zevi su Zevi: architettura come profezia, 1993) 

Bruno Zevi (Roma, 22 gennaio 1918 – Roma, 9 gennaio 2000) è stato un architetto, urbanista, storico e critico d'arte, docente
universitario, saggista e politico italiano.

Nasce a Roma nel 1918, consegue la maturità classica al Liceo Tasso, dove ha per compagni di classe Paolo Alatri e Mario Alicata.
Nel 1938, a seguito delle leggi razziali, lascia l'Italia per Londra prima e poi per gli Stati Uniti. Si laurea in architettura nel 1942
alla Graduate School of Design della Harvard University, in quel momento diretta da Walter Gropius. Il 26 dicembre 1940 si sposa
con Tullia Zevi. Rientra in Europa, a Londra, nel 1943; nel 1944 è di nuovo in Italia, dove fonda l'Associazione per l'architettura
organica (Apao) e l'anno successivo la rivista "Metron". Dal 1948 insegna Storia dell'architettura presso l'Istituto Universitario di
Architettura di Venezia e nel 1964 diviene professore ordinario alla Facoltà di Architettura dell'Università degli studi di Roma "La
Sapienza". Attivissimo nel campo della critica architettonica, pubblica nel 1948 Saper vedere l'architettura; dal 1954 al 2000 tiene una
rubrica settimanale di architettura su "Cronache" e poi "L'Espresso"; nel 1955 fonda la rivista mensile L'architettura. Cronache e
storia. Di particolare importanza per il superamento delle divisioni tra storia dell'arte e storia dell'architettura furono i suoi legami con i
critici d'arte Giulio Carlo Argan, Cesare Brandi e Carlo Ludovico Ragghianti. Fu uno dei fondatori dell'Istituto Nazionale di Architettura
(In/Arch) di cui fu un attivo collaboratore negli anni settanta. Fu segretario generale dell'Istituto Nazionale di
Urbanistica (INU),accademico di San Luca, vicepresidente dell'In/Arch. Nel 1979 viene eletto presidente emerito del Comitato
Internazionale dei Critici di Architettura (CICA). Dopo le decise contestazioni del '68, dichiara la sua delusione per una mancata
riforma e il permanere di un grave stato di degrado culturale nell'Università; nel 1979 lascia gli incarichi accademici. Muore a Roma
nel 2000. Sempre impegnato sul fronte politico e dei diritti civili, durante il fascismo Zevi fu membro del movimento
clandestino Giustizia e Libertà e diresse i Quaderni Italiani. Il 2 ottobre del 1935, il giorno in cui Mussolini annunciò dal balcone
di Palazzo Venezia la guerra contro l'Etiopia, Zevi era a piazza Venezia, insieme agli amici Carlo Cassola e Mario Alicata. Dirà molti
anni dopo che proprio quel discorso, così carico di retorica e di nazionalismo, fu la molla che fece scattare il suo antifascismo.
Durante la guerra di Spagna aiutò a raccogliere fondi per il fronte democratico e maturò profondamente il suo anticomunismo alla
notizia dell'assassinio dell'anarchico Camillo Berneri a Barcellona nel maggio 1937 da parte dei comunisti. All'inizio del 1940, dato il
clima antiebraico ormai diffusosi in tutta Europa, si trasferì a New York per continuare gli studi universitari e portare avanti la lotta
antifascista con Lionello Venturi Franco Modigliani, Aldo Garosci, Gaetano Salvemini. Tornato in Italia, militò nel Partito d'Azione,
in Unità Popolare, e infine nel Partito Radicale. Dal 1988 al 1999 è stato Presidente del Partito Radicale. Deputato dal 1987 al 1992,
si dimise dall'incarico di Presidente in segno di protesta per l'adesione dei deputati radicali al Parlamento Europeo al medesimo
gruppo dove sedevano gli eletti del Fronte Nazionale di Jean-Marie Le Pen.

Nel 1998 fu tra i fondatori del Partito d'Azione Liberalsocialista. 


Bruno Zevi Una storia selettiva la storia


come critica e manifesto per una nuova
architettura organica
Verso un'architettura organica, Einaudi, Torino 1945

Frank Lloyd Wright, 1947

Erik Gunnar Asplund, 1948

Saper vedere l'architettura, Einaudi, Torino 1948

Storia dell'architettura moderna, Einaudi, Torino 1950

Architettura e storiografia, 1950

Poetica dell'architettura neoplastica, 1953

Richard Neutra, 1954

Architettura in nuce, 1960

Biagio Rossetti architetto ferrarese, 1960

Michelangelo architetto e Borromini (in coll. con Paolo Portoghesi), 1964

Erich Mendelsohn, 1969

Il linguaggio moderno dell'architettura, Einaudi, Torino 1973

Sterzate architettoniche: conflitti e polemiche degli anni Settanta-Novanta, 1992

Zevi su Zevi: architettura come profezia, 1993

Linguaggi dell'architettura contemporanea, 1993

Storia e controntrostoria dell'architettura in Italia, 1997

Saper vedere la città, 1997

Leggere, scrivere, parlare architettura, 1997

Controstoria e storia dell'architettura, 1998

Capolavori del XX secolo, 2000


Bruno Zevi con Frank Lloyd Wright a Venezia nel 1951

Luigi Pellegrin villa bifamigliare sull’Aurelia, Roma 1964

Scrisse Zevi " ... L'edificio , realizzato nel 1964 , presenta un accentuato sperimentalismo , che è subito evidente nel
gran numero , o addirittura nell'eccesso dei materiali . Osservando la planimetria si potrebbe attribuire al progetto una
generatrice a spirale , ma questa interpretazione non è soddisfacente , in quanto è altrettanto decisivo della spirale ,
se non di più , un asse longitudinale . La possibilità di una lettura morfologicamente unitaria viene negata dalla
presenza di cinque elementi volumetrici autonomi , leggibili e aggregati : l'asse , un cerchio e tre prismi triangolari ,
evidenti in pianta e in sezione . La casa , dice Pellegrin , " è l'inizio della frantumazione " . La spazialità non è
un'intuizione geometrica unitaria , a quattro dimensioni , cui le forme si adeguino . Le componenti cariche di energie
multidimensionali e aggreganti si sottraggono al dogma di una idea-blocco , ad una concezione unica . Il processo
ideativo consiste nella frantumazione in parti , nella trasformazione degli elementi in matrici e infine nel loro
assemblaggio . L'architetto si dimostra perfettamente padrone delle tecnologie edilizie e prefabbricative , nonché di
quelle del design ... ".

Peter Reyner Banham (2 marzo 1922 – 19 Marzo 1988) è stato un teorico e critico dell'architettura britannico.

Meglio conosciuto per il suo libro Architettura della prima età della macchina (Theory and Design in the First Age Machine, 1960) e
per Los Angeles: The Architecture of Four Ecologies (Los Angeles: l’architettura delle quattro ecologie, 1971) nel quale classificava
l’architettura di Los Angeles in quattro diversi modelli ecologici: Suburbia, Foothills, The Plains of Id e Autopia. Visse quasi sempre
a Londra, ma si trasferì negli Stati Uniti nel 1976. Studiò con Anthony Blunt,Siegfried Giedion e Nikolaus Pevsner. Pevsner lo stimolò a
studiare la storia dell’architettura moderna, ma nel suo Architettura della prima età della macchina(1960), Banham andò anche oltre le
teorie di Pevsner, analizzando una serie di edifici modernisti e dimostrando che il loro funzionalismo era ancora sottoposto a
limitazioni e restrizioni. Nel 1962 scrisse una guida all’architettura moderna più tardi intitolata Age of Masters, a Personal View of
Modern Architecture (L’età dei maestri, una visione personale dell’architettura moderna). Durante la sua attività critica ebbe forti
connessioni con l’Independent Group, partecipando all’allestimento del This is Tomorrow Show del 1956, considerato l’atto di nascita
della pop art inglese. Fu amico di Peter e Alison Smithson e di James Stirling, apprezzando il loro stile che definiva New Brutalism e
che documentò in un saggio omonimo del 1955. Predisse una «seconda età» delle macchina legata ai meccanismi del consumo di
massa. Nel suo The Architecture of Well-Tempered Environment (L’architettura dell’ambiente ben-temperato, 1969) seguiva le teorie di
Giedion, considerando le tecnologie abitative (impianti elettrici, riscaldamento, condizionamento d’aria) come anche più importanti
delle strutture formali degli edifici. Queste idee, negli anni Sessanta, influenzarono particolarmente Cedric Price, Peter Cook e il
gruppo di Archigram. Il pensiero ecologista e, successivamente, lo shock petrolifero del 1973, influenzarono profondamente le teorie di
Banham negli anni successivi. Si trasferì negli USA e studiò Los Angeles, imparando a guidare per poterla «leggere in lingua
originale», per la BBC girò un documentario sulla città intitolato Reyner Banham Loves Los Angeles(Reyner Banham ama Los
Angeles). Considerò il postmoderno come un modello sconfortante e ruppe con l’utopia della tecnica. Nel suo Deserti
americani(America Deserta, 1982) e A Concrete Atlantis (Un’Atlantide di cemento, 1986) approfondisce il tema dello spazio aperto e
dà anticipazioni sulla sua idea di futuro. Come professore, Banham insegnò all’università di Londra, alla State University di New
York (SUNY) a Buffalo, e all’Università della California a Santa Cruz Ricoprì anche la cattedra Sheldon H. Solow presso l’Istituto di
Belle Arti della New York University a New York.

Banham visita Los Angeles e vi soggiorna durante gli anni Sessanta, quando ancora è considerata una città di confine, il cui carattere
è distante dal fascino architettonico e soprattutto dal consolidato assetto culturale di cui brillano le sorelle orientali New York, Boston e
Chicago. Il tessuto diffuso della città, la sua architettura percepita come dozzinale, eterogenea per stile ed epoca di costruzione, le
mastodontiche infrastrutture che la squarciano e la conseguente negazione dello spazio pubblico sono solo alcuni aspetti per i quali la
caotica e disordinata Los Angeles viene considerata priva di interesse architettonico e urbanistico. Eppure proprio per questi motivi
Los Angeles offre, a chi la sappia leggere correttamente, un esempio singolare di struttura urbana del XX secolo. Banham non si
arresta davanti a questa dimensione nuova, sconosciuta e, operando un’analisi per certi versi accomunabile a quelle effettuate
contemporaneamente da Venturi e Scott Brown nella vicina Las Vegas (Learning from Las Vegas, 1972) e, qualche anno più tardi, da
Rem Koolhaas su New York (Delirious New York, 1978), definisce un metodo di lettura specifico per la città di Los Angeles. Liberatosi
della posizione interpretativa eurocentrica, definisce quattro categorie, cosiddette “ecologie”, che gli permettono di decriptare il
sistema urbano angeleno e di svelarne i punti di forza, secondo un pensiero permeato da un’accentuata carica di positivismo,
intrinseca al suo autore e alla sua epoca. Egli “scopre” pertanto che quell’architettura dozzinale è in realtà un ricco inventario di Pop
architecture; individua nelle autostrade le arterie tanto vitali quanto democratiche di mobilità della città; riscontra che i cittadini si
ritrovano lungo il litorale oceanico, differentemente dall’Europa dove tradizionalmente sono la “strada” e la “piazza” a farsi collettori
sociali.

Dal 1971 ad oggi Los Angeles ha vissuto un notevole sviluppo che l’ha portata a essere un nodo centrale nel network finanziario e
culturale internazionale. Tuttavia l’analisi di Banham è ancora valida, Los Angeles è, e si riconferma, la città delle quattro ecologie. Ma
c’è di più, il libro serba anche una lezione magistrale a coloro che vanno argomentando l’idea di “omologazione” delle città
contemporanee. «Cosí come antiche generazioni di intellettuali inglesi impararono l’italiano per poter leggere Dante in originale, io ho
imparato a guidare l’automobile per leggere Los Angeles» scrive Banham nelle prime pagine del libro, ammettendo la sua
disponibilità, tanto rara quanto apprezzabile, a scegliere un metodo di indagine conforme all’oggetto di studio prescelto.

Los Angeles. L'architettura di quattro ecologie, Torino, Einaudi, 2009

Deserti americani, Torino, Einaudi, 2006

Architettura della prima età della macchina, Milano, Marinotti, 2005

Architettura della seconda età della macchina. Scritti 1955-1988, Milano, Electa Mondadori, 2004

Giulio Carlo Argan (Torino, 17 maggio 1909 – Roma, 12 novembre 1992) è stato un critico d'arte, politico e docente italiano,
primo sindaco non democristiano della Roma repubblicana nel 1976. Argan fu negli anni settanta un esponente di prestigio
della Sinistra Indipendente e fu sindaco di Roma.

Negli anni venti frequenta l'ambiente culturale gobettiano e si forma all'Università di Torino con Lionello Venturi, ricevendone l'esempio
di una critica di impostazione crociana, ma estesa anche all'arte contemporanea. Nel 1928 aderisce al Partito Nazionale Fascista. Si
interessa soprattutto di architettura: nel 1930 esordisce con gli articoli Palladio e la critica neoclassica e Il pensiero critico di Antonio da
Sant'Elia; nel 1931 si laurea su Sebastiano Serlio.

Frequenta il Perfezionamento, è assistente di Toesca, e nel 1933 entra nell'amministrazione Antichità e Belle Arti, diventando ispettore
a Torino, poi a Modena e infine a Roma alla Direzione Generale, dove elabora assieme a Cesare Brandi il progetto dell'Istituto
Centrale del Restauro oltre ad essere redattore della rivista Le Arti. A favorire la rapida ascesa professionale di Argan è il gerarca
fascista Cesare Maria De Vecchi, allora ministro dell'Educazione nazionale. Nel 1936-1937 pubblica due volumetti sull'architettura
medievale e nel 1937-1938 un manuale di storia dell'arte per i licei. Nel 1939 compie un viaggio negli Stati Uniti e in quello stesso
anno sposa Anna Maria Mazzucchelli, già redattrice della Casabella di Pagano e Persico. Nei primi anni quaranta collabora
regolarmente con la rivista Primato, fondata e diretta da Giuseppe Bottai, e con Il ventuno domani, fondata daFelice
Chilanti, Francesco Pasinetti e Vasco Pratolini.

Nel dopoguerra interviene in difesa dell'arte astratta e dell'architettura moderna (Henry Moore, 1948; Walter Gropius e
la Bauhaus, 1951; La scultura di Picasso 1953; Pier Luigi Nervi, 1955), occupandosi anche di urbanistica, di museologia, di design;
pubblica monografie su artisti rinascimentali, mettendo a frutto i suoi legami con studiosi del Warburg Institute e utilizzando in modo
molto personale il metodo iconologico (Brunelleschi,1955; Fra' Angelico, 1955; Botticelli, 1957); elabora una nuova interpretazione
dell'arte barocca attraverso le chiavi della "tecnica" e della "rettorica" (Borromini, 1952; L'architettura barocca in
Italia, 1957; L'Europa delle capitali, 1964).

Nel 1955 inizia l'insegnamento universitario a Palermo e poi dal 1959 a Roma (cattedra di Storia dell'arte moderna); è direttore della
sezione moderna dell'Enciclopedia Universale dell'Arte e partecipa alla fondazione de Il Saggiatore di Alberto Mondadori;
nel 1958 entra a far parte del Consiglio Superiore Antichità e Belle Arti (vi resterà, nelle varie sezioni, fino all'istituzione del Ministero
nel 1974).

Negli anni sessanta ha un ruolo di primo piano nel dibattito sullo sviluppo delle correnti più moderne: dall'informale all'arte gestaltica,
dalla pop art all'arte povera, fino all'elaborazione della tesi sulla morte dell'arte, cioè la crisi irreversibile del sistema delle tecniche
tradizionali dell'arte nella società industriale e capitalistica.

Nel 1962 crea l'ISIA di Roma istituzione per la formazione dei giovani designer. Sempre in quest'anno diviene presidente
dell'associazione culturale "Cenacolo diTorre Orsina" di Terni fortemente voluta dall'amico scultore Aurelio De Felice.
Nel 1968 pubblica la Storia dell'arte italiana, seguita da L'arte moderna 1770-1970, e nel 1969 fonda la rivista Storia dell'arte. Un ruolo
significativo è svolto da Argan nella rivalutazione del neoclassicismo e dell'opera di Antonio Canova attraverso corsi universitari e
conferenze.Nel 1984 è una delle vittime illustri della "beffa di Livorno” affermando che le tre teste ritrovate di Modigliani, rivelatesi poi
dei falsi, erano senza dubbio da attribuirsi all'artista. Durante gli anni ottanta continuò anche l'attività di critico d'arte. Nel 1990 pubblicò
il suo ultimo libro: Michelangelo architetto (in collaborazione con Bruno Contardi).

L'architettura protocristiana, preromanica e romanica, Nemi, Firenze 1936

L'architettura italiana del Duecento e Trecento, Nemi, Firenze 1937

Walter Gropius e la Bauhaus, Einaudi, Torino 1951

Borromini, Mondadori, Milano 1952

Brunelleschi, Mondadori, Milano 1952

Pier Luigi Nervi, Il Balcone, Milano 1955

Fra Angelico, Skira, Ginevra 1955

L’architettura barocca in Italia, Garzanti, Milano 1957

Botticelli, Skira, Ginevra 1957

Ignazio Gardella, Edizioni di Comunità, Milano 1959

L'Europa delle Capitali, Fabbri-Skira, Ginevra e Milano 1964 (riedizione: Skira, Milano 2004, con introduzione di Claudio Gamba)

Storia dell'arte italiana, voll. I-III, Sansoni, Firenze 1968

L'arte moderna 1770-1970, Sansoni, Firenze 1970

Michelangelo architetto, Electa, Milano 1990 (con Bruno Contardi)

Storia dell'arte italiana, sussidiario per la scuola secondaria in cinque tomi, Sansoni per la scuola, Milano 2008

James Sloss Ackerman (born 1919) is a prominent American architectural historian, a major scholar of Michelangelo's architecture,
of Palladio and of Italian Renaissance architectural theory.

He was born in San Francisco. At Yale, 1938–41, he came under the influence of Henri Focillon. His graduate work was at the Institute
of Fine Arts, New York University (MA 1947, PhD 1952), where he studied with Richard Krautheimer and Erwin Panofsky. His studies
were interrupted by his World War II service in the US Army in Italy, which, however, gave him an opportuniuty to increase his on-site
understanding of Italian Renaissance architecture, his specialty—He was assigned to retrieve the archives secured at the Certosa di
Pavia. He was a Fellow at the American Academy in Rome (1949–52). He taught at Berkeley and from 1960 at Harvard as Arthur
Kingsley Porter Professor of Fine Arts until his retirement in 1990. He was the editor of The Art Bulletin (1956–60) and Annali
d'architettura. Ackerman was elected a Fellow of the American Academy of Arts and Sciences in 1963. He is a member of
the American Philosophical Society, and a corresponding member of the British Academy, the Bavarian Academy of Sciences,
the Accademia Olimpica, Vicenza, the Ateneo Veneto, the Accademia di San Luca in Rome and the Royal Academy of Uppsala. He
gave the Slade Lectures at Cambridge in 1969-70. He has received six honorary doctorates and is aGrand Officer of the Order of
Merit of the Italian Republic, an honorary citizen of Padua, and received the Golden Lion Award at the Venice Biennale of 2008. His
rigorous method sets architecture in the broader contexts of cultural and intellectual history. He was awarded the Balzan Prize 2001
for achievement in architectural history and urbanism and the Paul Kristeller citation 2001 of the Renaissance Society of America for
lifetime achievement.

Ackerman conceived and narrated the films shot by John Terry Looking for Renaissance Rome (1975, with Kathleen Weil-Garris
Brandt) and Palladio the Architect and His Influence in America (1980).

Aside from numerous articles, Ackerman has written

The Cortile del Belvedere (1954) This was based on his PhD dissertation on the Renaissance extension of the Vatican Palace.

The Architecture of Michelangelo (2 vols., 1961; paperback version with condensed second volume, 1986) Volume I is a critical
overview of the architect's practice and theory,and Vol. II an exhaustive catalogue of Michelangelo's mostly-unfinished buildings,
employing architectural drawings and contemporary archival and graphic sources. The work received the Hitchcock Award of
the Society of Architectural Historians.

Palladio (series "Architect and Society") Pelican Books (1966; 1977, 2008) An introductory chapter "Palladio and his times" is followed
by chapters discussing the examples of Palladio's villas, civic and domestic architecture, ecclesiastical architecture, and principles of
his design and practice.

Palladio's Villas (1967)

The Villa: Form and Ideology of Country Houses (1990), an overview of the country house from Roman times to le Corbusier and
Wright.

James Ackerman Art Historian, 1992, book length interview for the Getty Foundation and U.C.L.A.

Distance Points: Studies in Theory and Renaissance Art and Architecture MIT Press (1991) Seven essays divided between the theory
of criticism and the relation of architecture and science in the Renaissance, with individual studies of Leon Battista
Alberti and Leonardo.

Origins, Imitation, Conventions: Representation in the Visual Arts MIT Press (2002) Twelve essays. For a full bibliography see his
Google website.


Leonardo Benevolo l’architettura moderna salverà il mondo (Orta San Giulio, 25 settembre 1923) è
un architetto e storico dell'architettura italiano. Ha studiato architettura all’ Università di Roma, dove si è laureato nel 1946.
Successivamente ha insegnato storia dell'architettura dapprima nello stesso Ateneo, e poi alle Università di Firenze, Venezia e
di Palermo. Per le sue prime, geniali intuizioni (rivoluzionarie per la cultura di quegli anni) gli fu data la cattedra di "Storia e stili
dell'Architettura I e II" nella facoltà di Roma nel 1956, a soli 33 anni. I suoi scritti, diffusi e tradotti in molti Paesi, gli hanno dato una
fama internazionale, sicché lo si può considerare a pieno titolo come uno dei massimi storici viventi dell'architettura e dell'urbanistica.
Tipico esponente della scuola romana Benevolo, sulla scia di Giovannoni unisce studio della storia e progetto. Partendo dallo studio
delle idee socialiste utopistiche dell’Ottocento criticate da Marx presenta l’architettura internazionale del movimento moderno e la
urbanistica dei ultimi CIAM come soluzione ai problemi della città e della società (Le origini dell'urbanistica moderna. Bari: Laterza)
1959. Nel 1961 pubblica Storia dell'architettura moderna. Bari: Laterza, che integra la visione tecnologica di Giedion con quella sociale
fissando nella rivoluzione industriale inglese del 700 l’origine del moderno come risposta ai problemi della società fino alle teorie della
scuola sociologica di Chicago e l’architettura scandinava e olandese, ma facendo perno su Le Corbusier, Gropius e i CIAM. Data la
vastità del materiale e un relativo maggior equilibrio rispetto alla “Storia” di Zevi ha un grande successo commerciale e internazionale
tanto da destare invidie accademiche che precluderanno a Benevolo una carriera universitaria pari al precoce inizio. Successivamente
come Giovannoni scrive Storia dell’architettura del Rinascimento, 1965 che sulla scia della Kulturgeschichte di Burchardt traccia un
arco più ampio fino a comprendere il barocco.

Oltre a tali attività didattiche Leonardo Benevolo ha svolto un'intensa attività professionale, che lo ha portato a progettare e costruire la
nuova sede della Fiera di Bologna (assieme a Tommaso Giura Longo e Carlo Melograni), il piano regolatore di Ascoli Piceno, il piano
del centro storico di Bologna, il piano regolatore di Venezia (1996-99) e Monza (1993-97). È stato inoltre membro della commissione
incaricata del piano di ricostruzione dell'area completamente devastata nel 1963 dal disastro del Vajont, dovuto alla tracimazione delle
acque dell'omonima diga, causa di migliaia di morti e della distruzione totale dei paesi di Longarone, Casso, Erto.

Chiamato a Brescia per la progettazione del nuovo quartiere S. Polo, vi si è stabilito definitivamente, continuando l'attività
professionale, specie in urbanistica (Piani Regolatori di diverse città piemontesi e lombarde). Attualmente opera sia in campo
progettuale che teorico, con una ininterrotta produzione di testi. 

L'architettura nell'Italia contemporanea. Bari: Laterza, 2006

L'architettura nel nuovo millennio. Bari: Laterza, 2006

Storia dell'architettura del Rinascimento. Bari: Laterza, 2006

Storia dell'architettura moderna. Bari: Laterza, 2006

Introduzione all'architettura. Bari: Laterza, 2005

Le origini dell'urbanistica moderna. Bari: Laterza, 2005

La città nella storia d'Europa. Bari: Laterza, 2004

História da arquitetura moderna São Paulo: Perspectiva, 1976


Benevolo, Giura Longo, Melograni Fiera
di Bologna 1968, Benevolo quartiere S.
Paolo, Brescia, se ne chiede la
demolizione
La difesa dell’architettura americana vittoriana e il postmodern

Vincent Joseph Scully, Jr. (nato il 21 agosto 1920) è Sterling Professor Emerito di Storia dell' Architettura presso la Yale University ,
e autore di diversi libri sull'argomento. Philip Johnson , una volta lo ha descritto come "il più influente docente di storia dell’architettura
Le sue lezioni a Yale erano note per attirare i visitatori occasionali, e regolarmente riceveva una standing ovation. Nato e cresciuto
a New Haven, Connecticut , Scully a ll'età di 16 anni, si iscrisse alla Yale University dove ha conseguito la laurea nel 1940, il suo MA
nel 1947, e il suo dottorato nel 1949. Ha insegnato a Yale dal 1947, Egli è anche un Distinguished Visiting Professor presso
la University of Miami . Scully ufficialmente si è ritirato da Yale nel 1991, ma ha continuato a tenere corsi presso l'Università di
Miami. Egli ha annunciato nel 2009, all'età di 89, di non essere più in grado di insegnare.Scully è stato fondamentale per la scoperta di
Louis I. Kahn e Robert Venturi come importanti architetti del 20 ° secolo. Scully fu critico feroce della distruzione nel 1963
deila Pennsylvania Station di New York, scrivendo, "Uno entrava in città come un dio. Ora invece una entra strisciando come un
topo". Il suo lavoro è stato fondamentale per rivalutare l’architettura di Mac Kim Mead e White a Newport e il shingle style La sua
conferenza sul tema "The Architecture of Community" illustra un concetto che è diventato centrale alla sua filosofia architettonica

Architecture: The Natural and the Manmade

The Villas of Palladio

"The Shingle Style: Architectural Theory and Design from Richardson to the Origins of Wright" 1955, Library of Congress catalog card
number 55-5988

Frank Lloyd Wright 1960

Louis I. Kahn 1961

Modern Architecture - The Architecture of Democracy 1961, 1974

The Earth, the Temple, and the Gods: Greek Sacred Architecture 1962

American Architecture and Urbanism 1969

The Shingle Style Today 1974

Pueblo: Mountain, Village, Dance 1989* Modern Architecture and Other Essays 2003

Manfredo Tafuri (Roma, 4 novembre 1935 – Venezia,, 23 febbraio 1994) è stato uno storico dell'architettura italiano.

Dopo la laurea lavoro presso lo studio Architetti e Urbanisti Associati, allievo di Ludovico Quaroni, nel 1966 vince la cattedra di Storia
dell'Architettura a Roma, Nel 1968 si trasferisce presso l'Università IUAV di Venezia dove diventa direttore dell'Istituto di Storia. I suoi
interessi storici, a cui dedicherà tutta la vita, spaziano dall'architettura rinascimentale all'architettura contemporanea. Nel contempo si
impegna attivamente nell'allora Partito Comunista Italiano. Insegna, fino all'anno della sua morte, presso l'università veneziana.

È sepolto presso il Cimitero acattolico di Roma. Conflitti e armonie, più storie e più fili rossi sono narrati nel
manuale: Dal Co, M. T., Architettura contemporanea, Electa, Milano 1976, e nel fondamentale M. T., Teorie e storia
dell’architettura, Laterza, Bari 1968

M. T., Il concorso per i nuovi uffici della Camera dei Deputati. un bilancio dell’architettura italiana, Edizioni Universitarie Italiane, Roma
1968

M. T., Progetto e utopia: Architettura e sviluppo capitalistico, Laterza, Bari 1973

M. T., Per una critica dell’ideologia architettonica, contenuto in: Contropiano, Materiali Marxisti, n. 1 (gen.-apr.) 1968

M. T., Les bijoux indiscrets, contenuto in Five Architects NY, Officina edizioni, Roma 1976

M. T., La sfera e il labirinto: Avanguardia e architettura da Piranesi agli anni ’70, Einaudi, Torino 1980

M. T., Storia dell'architettura italiana 1944-1985, Einaudi, Torino, 1986

A. Foscari, M. T., L'armonia e i conflitti. La chiesa di San Francesco della Vigna nella venezia del '500, Laterza, Bari, 1983

C. L. Frommel, S. Ray, M. T., Raffaello architetto, Electa, Milano, 1984

M. T., Venezia e il Rinascimento, Einaudi, Torino, 1985

M. T., Ricerca del Rinascimento. Principi, città, architetti, Einaudi, Torino 1992

Kenneth Frampton (Woking, 1930) è uno storico dell'architettura inglese,critico e storico dell'architettura attualmente insegna
alla Facoltà di architettura alla Columbia University a New York. In precedenza aveva insegnato presso la Princeton University nel
periodo 1966-1971.

Sotira dell'architettura moderna (Zanichelli 1993) (Modern architecture: a critical history), pubblicato originariamente nel 1980, è tra i
suoi più importanti contributi per la storiografia moderna. Nel 2002 è stato pubblicato Labour, Work and Architecture, contenente alcuni
articoli scritti da Frampton in trentacinque anni di studi.

È stato il principale teorico del Regionalismo critico. 

1982 –Storia dell'architettura moderna (Zanichelli), Bologna

1984 - Bohigas, Martorell, Machay. 30 anni di a Bohigas, Martorell, Machay. 30 anni di architettura 1954-1984 (Mondadori Electa)

1999 - Alvaro Siza. Tutte le opere (Mondadori Electa)

2002 - Steven Holl architetto (Mondadori Electa)

2002- Capolavori dell'architettura americana. La casa del XX secolo (Rizzoli)

2003 - Richard Meier (Mondadori Electa)

Classicismo versus moderno. Bisogna proprio essere moderni a ogni costo? Un
intellettuale e i gusti del principe Carlo. Contro Hegel e il Zeitgeist.

David John Watkin, nato nel 1941, è uno storico dell’architettura inglese.Ha insegnato storia dell’architettura a Cambridge dove è
Professore Emeritus e all’istituto di architettura del principe di Galles. David Watkin è Honorary Fellow of the Royal Institute of British
Architects e Vice-Chairman of the Georgian Group, ed è stato membro del Historic Buildings Council and English Heritage nel
1980-1995.

Il suo maggiore campo di ricerca è l’architettura neoclassica, dal 18° secolo ad oggi, and has published widely on that topic. He has
also published on general topics including A History of Western Architecture (4th ed. 2005) and English Architecture: A Concise
History (2nd ed. 2001), as well as more specialised monographs on architects Thomas Hope, Sir John Soane, James Stuart, C. R.
Cockerell and Dr. T J Eckleburg

Watkin first came to wide international attention, however, with his book Morality and Architecture: The Development of a Theme in
Architectural History and Theory from the Gothic Revival to the Modern Movement (1977), re-published in expanded form as Morality
and Architecture Revisited (2001). The basic premise of his argument is that the language with which modernist architecture is
described and defended is rooted in the false notion of the Zeitgeist or “the spirit of the age”, as put forward by German Idealist
philosopher Friedrich Hegel, so that any opposition to modernist architecture – and here he has in mind the revival of classical
and traditional architecture, which he has championed in his writings - are condemned as “old-fashioned”, irrelevant, anti-social, and
even immoral.

In terms of Zeitgeist architecture, he traces its moralistic attitude back to architects Pugin, Viollet-le-Duc and Le Corbusier, among
others – including their supporters within history such as Nikolaus Pevsner, who claimed that their chosen style had to be truthful and
rational, reflecting society's needs. Watkin also sees the pedigree of a distorting modernist architectural history emerging from Hegel,
and that modern art and architectural history began in the nineteenth century as a by-product of history and the philosophy of culture
in Germany and the rapid growth of Marxist sociology.

Among the ‘contemporary’ architects Watkin has championed are John Simpson and Quinlan Terry, as well as theorist Leon Krier. In
his book on Terry, Radical Classicism: The Architecture of Quinlan Terry (2006) Watkin is forthright: “The modernism with which
Quinlan Terry has had to battle is, like the Taliban, a puritanical religion.” "…it is man, creative, mysterious, and unpredictable, who is
the proper subject of the historian, not the subterranean collective urges of the spirit of the age or of the 'needs' of an as yet non-
existent society." (David Watkin, Morality and Architecture) 

David Watkin, The Roman Forum, Profile Books, London, 2009.

David Watkin, Carl Laubin: The Poetry of Art And Architecture, Philip Wilson Publishers, London, 2007.

David Watkin, Radical Classicism: The Architecture of Quinlan Terry. Rizzoli, New York, 2006.

Christopher Hartop, Diana Scarisbrick, Charles Truman, David Watkin, and Matthew Winterbottom, Royal Goldsmiths: The Art
of Rundell & Bridge. John Adamson, London, 2006.

David Watkin, A History of Western Architecture. Watson-Guptill Publications, New York, 2005.

David Watkin, The Architect King: George III and the Culture of the Enlightenment. Royal Collection, London. 2004.

David Watkin and Robin Middleton, Architecture of the Nineteenth Century. Phaidon Inc Ltd, London, 2003.

David Watkin, Morality and Architecture Revisited, University of Chicago Press, Chicago, 2001.


David Watkin, English Architecture: A Concise History, WW Norton and Co Inc, New York, 2001.

David Watkin (Ed). Sir John Soane: The Royal Academy Lectures, Cambridge University Press, Cambridge, 2000.

David Watkin (Ed), Sir John Soane: Enlightenment Thought and the Royal Academy Lectures (Cambridge Studies in the History of
Architecture) Cambridge University Press, 1996.

David Watkin, The Royal Interiors of Regency England. Rizzoli, New York, 1985.

David Watkin, Morality and Architecture: The Development of a Theme in Architectural History and Theory from the Gothic Revival to
the Modern Movement. University of Chicago Press, Chicago, (1984/original 1977).

David Watkin, The English Vision. John Murray, London, 1982.

David Watkin, Athenian Stuart: Pioneer of the Greek Revival. Harper Collins, New York, 1982.

David Watkin, The Rise of Architectural History, Eastview Editions, London, Reprint edition, 1980.

John Simpson The Queen Gallery Buckingham palace

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